Luigi Seranza -- Grice
e Giacchè: la ragione conversazionale e l’implicataura
conversazionale dell’altra visione dell’altro – Barba, Bene, e Fellini
antropologo – filosofia perugina – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Perugia).
Filosofo
perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I like
Giacché; for one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should
appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a philosophical
anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision
dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial nonetheless, or
perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has philosophised on
spectator and participant, which is conversational in tone – there’s no
monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of
performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche
socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa,
solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere
soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante.
Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia
di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione
fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la
sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma. CURRICULUM
di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico
gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale”
presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici,
Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago,
PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere
(indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70
presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode.
Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie
inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio
quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”,
usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale
dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale presso la
Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle
esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli
anni accademici Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre
2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università
di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli
didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della
condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo,
dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è
divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato
in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato
altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la
facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno accademico
1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo et Territorio –
Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di Antropologia
del teatro e dello spettacolo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli studi di Perugia, Professore a contratto, docente di
Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della
L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio – anni
accademici Professore invitato, nel
quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles -
facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere Visiting Professor presso
l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione. Professore
invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII –
Département d’Etudes théâtrales Professore invitato dall’Université Paris VIII
per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della
Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della Commissione per la Procedura di
valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà
di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline
demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed
Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI
Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale
dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre
1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico
del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978
(Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro
Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza
locale e sull’ascolto radiotelevisivo. Consulente e collaboratore del Festival
Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna . Consulente e
collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, Consulente e collaboratore della
1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia).
Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema
“Segni Barocchi” di Foligno (edizioni). Consulente del Teatro San Geminiano di
Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”. Consulente e assistente, in qualità di
antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La escuela de la
escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Filippi,
nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus
relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de
Mexico (Città del Messico). Membro
del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology
diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro
internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de
Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della
Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences
humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris
Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica
Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de Rédaction de
“L’Ethnographie. Noveaux objets,
nouvelles méthodes. Revue de la Société d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero. Arte
Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione); già redattore
della rivista “Linea d’ombra e co-direttore de “La terra vista dalla luna”
Collaboratore della rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”,
diretta da Luigi Monti, dalla sua fondazione Membro del Comitato scientifico
della rivista trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua
fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle
“Théâtre Public” Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro
della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività
Culturali (Membro della Commission di valutazione dei progetti di
cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le Attività
culturali. Consulente della Regione dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con
l’incarico di ricognizione ed esplorazione del settore teatro nel territorio
regionale Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i
Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato Scientifico della Fondazione
Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal 2012). Membro del Comitato
scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea per . CORSI E SEMINARI
DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di docente, ai seguenti corsi o seminari:
• Corso biennale per la formazione di tecnici della ricerca sulle tradizioni
popolari nella regione umbra (Perugia corso regionale di preparazione e
aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati nell’attività di
prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza (Bologna Corso
regionale per operatori culturali nel settore del cinema (Orvieto Corso di
riqualificazione professionale per operatori audiovisivi: il videotape
(Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di formazione professionale per i 28
diplomati di scuola media superiore (schedatori) previsti dal progetto di
“catalogo unico regionale dei beni bibliografici” (Perugia Corso di formazione
professionale per i diplomati di scuola media superiore (ordinatori di
biblioteca) previsti dal progetto “sistemi bibliotecari comprensoriali”
(Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario
residenziale “L’Atelier: centro internazionale di ricerche artistiche”
(Volterra Soglie: esperienze di confine tra attore e spettatore”,
seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle scuole medie superiori
(Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique, Sciences et
Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis (lezioni Corso
di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento di Musica e
Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro, gioco,
narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne (Perugia e
Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico sull’arte
dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”. Seminario
di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato dall’Ambasciata
d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dall’Istituto Italiano di
cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento A/41 dell’I.R.R.S.A.E.
dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia del teatro per gli
allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi” (Milano, Corso
Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La cultura del
confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e teatro: culture
del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla didattica del teatro
nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro (Marcellina, Roma Corso
di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie superiori della regione
Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo,
organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università del Teatro Euroasiano,
sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro contemporaneo.
Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio Calabria, Le età
del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II anno: Dalla Commedia
dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia Romagna Teatro
(Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e maestri del teatro”
(Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di ogni ordine e grado,
organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato agli studi di Lucca e
intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei Marmi, Convegno-seminario
“La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di relazione / incontro
fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro Euroasiano, sessione
dedicata alla formazione dell’attore e intitolata “Apprendere ad apprendere”
(Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà noi viviamo! Tecniche
originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” - seminario interno al Corso
di Sociologia dell’Educazione dell’Università di Parma (Parma Vedere Fare
Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore teatrale”, organizzato
dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A Fontemaggiore, dal Teatro
Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a Isola Polvese - Perugia e a
Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli Istituti medi e superiori Gli
anni della contestazione” (Parma Sulla verticalità del verso », seminario di e
con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando
criticando. Laboratorio d’analisi dello spettacolo”, organizzata in
collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici di Teatro (sessione
dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo sessione dedicata al Teatro di Ricerca
- Reggio Emilia I mestieri e le lingue del teatro”, Seminario di
autoapprendimento per operatori dell’area penale esterna, organizzato dal
Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il patrocinio del Ministero di
Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della
Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e Armando Punzo, in collaborazione con
l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri organizzati dall’Istituto Sardo per la
Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e
promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68 e il teatro” (Cagliari La magia del
leggere”, Corso di aggiornamento per insegnanti e genitori della Scuola
Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di Modena Corso di aggiornamento per
insegnanti delle scuole elementari del comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro
e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio
cercando i teatri” organizzato dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso
dannunziano e il concerto d’autore”, seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P.
Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo di incontri “La parte dello spettatore”
(relatore del 1° incontro – Faenza Corso Uni Tea “Il teatro come disagio
antropologico” (Parma Divenire teatro”, incontri su Antonin Artaud organizzati
dal Centro Teatro Universitario di Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud
fatto Bene” (Ferrara Politica e società”, ciclo di incontri di formazione
politica (Roma, Relatore dell’incontro: “Minoranze e movimenti nell’Italia del
dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri in scena. Per un’indagine
sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro Astra, organizzati dalla
compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la collaborazione dell’Università di
Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro: “Antropologia dell’infanzia” “L’utopia
del teatro vivente. Living Theatre” (Siena nel quadro di incontri organizzati
dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque sensi del teatro.
Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro” (Rai-Pontedera
Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione sociale”, lezione
inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal Centro Solidarietà di
Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena Giornate di studio per
l’inaugurazione della sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics”,
presso la Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (St. Denis Conferenza sul
Living Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le
idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro
Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza su Carmelo Bene o delle
provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini
e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal
Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le risorse della diversità”, seminario
organizzato da Proteo Fare Sapere e dal Movimento Cooperazione Educativa
(Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per attrici “Il corpo del testo”, organizzato
da Emilia Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di antropologia e
cultura del teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del Teatro Seminario
sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene, organizzato dalla
Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza
“L’attore compositore: Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal
Centro Internazionale Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia giornate di lavoro
teatrale: incontri, dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di
via Manzoni), nel quadro di “Generazioni Festival organizzazione e cura della
Fondazione Pontedera Teatro. • Seminario dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales, “Carmelo Bene. Voir
la voix, écouter le visible”, coordinato da B. Filippi e G. Careri (Parigi,
Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione Le Sud du Sud des Saints, Teatro
in forma di libri”, incontri organizzati dal Teatro Due Mondi – Casa del Teatro
(Faenza Arte dello spettatore”.Corso di formazione per insegnanti, organizzato
dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo,
Seminario orientativo sul settore spettacolo, organizzato dalla Fondazione
Emilia- Romagna Teatro nel quadro della Laurea specialistica “Progettazione e
gestione di attività culturali” della Facoltà di lettere e filosofia
dell’Università di Modena (lezione Seminario di studio nel quadro della Mostra
“Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e visioni dall’archivio”, organizzato
dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune di Roma (Casa del Teatri-Villino
Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La verticalità del verso, 7.5.05. •
Incontro seminariale “Parole chiave per il teatro” (Lecce organizzato dai
Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia della memoria” Conferenza
dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la voce (Perugia, Palazzo dei
Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e Teatro: confronto su
un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di S. Margherita,
Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2 di Perugia. •
“Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel quadro del
ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un testimone
del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif S.P.O.T.
(Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master Europeen
conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de
Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna docente di un
corso di Antropologia teatrale. 8 • “Teatro come impegno civile”,
seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali Koreja
(Lecce Laboratorio di ricerca
interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50°
Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica
“Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica
di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi
del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario
Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura
(Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro
delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di
Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della
cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di
Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di
teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II
(Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La
adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint
en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e
organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di
Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di
Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of
Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 –
26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario –
Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e
Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14
novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da
Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala
Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia
di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi
“La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla
L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda
Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche
sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo et Territorio –
sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni
Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel
quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su:
“Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, Bruciare la
casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG) nel quadro di
“Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale.
• Séminaire doctoral
collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : «
Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS, 4
dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou
neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe
“- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour
quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai,
se non all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro
vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali
organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei
popoli: criteri di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La
Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte
di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare
dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi
(Perugia Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del
progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da
ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale
Coordinatore del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto
Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione
“Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia”
(Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance
THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th
International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII
Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo
viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un
antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze
di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia
Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”,
seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo
Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con
Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia,
Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo
Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce,
teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il
teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene”
(Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza
Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla
scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro
Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le
arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il
seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di
“Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La
parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della
Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro
con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio,
intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del
“Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano,
BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del
teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di
promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro
Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret,
nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli
operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia,
Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo
Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de
Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro
di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve,
si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove
va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto
Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste
Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al
globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto
Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di
due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come
cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano
(PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da
Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti
progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla
cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona,
Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione culturale”
- tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale (Perugia Storia
et Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri
dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire
l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro. Teatro ed
esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E.
Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca
sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro. Per un teatro giovane”
- incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma Il primo giorno.
Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro
nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma Coordinatore del
seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta”
(Parma, all’interno del Corso Uni-Tea Coordinatore del seminario laboratorio
“Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e
non luoghi” (Parma all’interno del Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi)
del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti”
(Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del
Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per
insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In
Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione
(Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli
maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo
Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro stabile di innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del
Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del
Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di
“Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri organizzato
dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del
festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio
sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), Laboratorio: Mondaino (RN)
organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass.
Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La
poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel
quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena,
Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla
condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti
(Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze
scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla
motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE dell’E.R.T. (Rubiera, Corte
Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e coordinatore dei sei
incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a
cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del
Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli
studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di “Autocritica”, quattro
incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie
Scena Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca “Delfini Curatore e
coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal
Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle
repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello
spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro
Clitunno di Trevi, Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della
Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat
Festival a Sansepolcro (AR), Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini,
per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione
presso il Teatro Drama di Modena sessione presso il Teatro Brecht di Perugia
Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia organizzato
dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese.
CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza:
problemi e contributi di ricerca” (Perugia Convegno internazionale su “Droga.
Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e
legislativi” (Firenze Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo”
(Greve in Chianti, Firenze Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International
School of Theatre Anthropology (Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione
e spettacolo” (Firenze Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno
di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate
della cultura e della partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio
dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto
come titolo” (Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza
sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard
Schechner” (Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare”
(Bellaria-Igea Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione
delle conoscenze” (Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia
del teatro” (Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro
delle diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle
società complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e
identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e
Emergenza. Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno
Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes
Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas
para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza
misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su
“Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del
Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral
contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro
euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World
Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di
“Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale”
(Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei
fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16
novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano
(Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi”
(Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian,
Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie,
rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della
Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate
di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale
“L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e
la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di
studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di
Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione”
(Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare
teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione
del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo,
disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di
Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes
Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro
antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e
modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed
Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e
percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno
Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati,
educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce?
Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo
sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di
ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello -
Università di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione
trent’anni dopo” (Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni
meridionali e mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e
Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting,
Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca
organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal
Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms
(Stoccolma,Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino
di un’utopia concreta” (Milano, tavola rotonda su “Il costringimento e il suo
doppio” (Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro
e handicap” (Milano). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X
edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità
(Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea). • Convegno di studio per
dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura,
traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À
partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité”
(Bologna organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale
Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo
Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro
cultural de Bélem). • “Per un teatro
popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera,
Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione”
organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale
“Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione
ecologica” (Amelia, organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di
studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di
Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al
limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film
Festival Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione.
Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici,
carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e
amministratori”, (Arena del Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda
USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia
e poesia” (Fisciano-Ravello, organizzato dall’Università degli studi di Salerno
e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un
nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri Convegno “Residui
illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il
Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri
e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e
Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea,
organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in
Scienze e Arti di Torino. • Convegno
Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of
Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo
per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti.
Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area
penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal
Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna
e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque
International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno “L’Attore”,
organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle Segreterie di stato
per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san Marino (Sala SUMS,
Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS -
Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo
Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno
organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere,
symposium on tracing roads across “Living Traces – Performing as a Shared
Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the Workcenter of Jerzy
Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera – PI, Convegno
“Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en Etudes Féminines
– Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée d’Art et
d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di
cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo
straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su “Travestitismo e
identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria Toledo),
organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e
Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II, L’Orientale,
Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di genere. Il
caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le
alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi,
Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione dell’Università di
Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il
corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia
della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile
principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il
teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu,
organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei
tacchi Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano,
Teatro dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di
Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli,
organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli,
Teatro Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le
théâtre” (Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del progetto Prospero,
dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss.
Convegno di studi” (Macerata, organizzato dal Centro Internazionale di Studi
sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il
prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40°
Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna,
Supercinema, Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le future
generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera
Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez
pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la
politique” (Tolosa, Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In
Extremis Una giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto
– Perugia, Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della
Giornata Mandiale del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture,
educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna
della Lumsa, Roma, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della
LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione”, organizzato
dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro
in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution
politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro
internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e
mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni,
Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée
d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on
performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris
Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François
Furet, bld. Raspail, Paris Convegno della Facultatea de Teatru si Televiziune –
Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator.
Performing Arts between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur.
Les arts du spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal
gruppo di ricerca Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a
Cluj-Napoca Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia
e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, nel quadro della manifestazione
“Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti”
organizzata dal Laboratorio di Cenci Convegno “Le théâtre et ses publics: la
création partagée” - 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO
(Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre
de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées
d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de
Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università
Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). •
Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National
d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique -
Cinéma du Panthéon), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex
Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e
Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres
de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio,
Biblioteca Sperelliana), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club
Gubbio Host. “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata
per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal
Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di
Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di
Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in
scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international
d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université
Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai
confini della democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni
dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia
della felicità” (Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra
passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio
regionale dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena,
Teatro delle Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da
Emilia Romagna Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di
riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro
(Pontedera, PI, Teatro Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia),
organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale
Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: Il contesto sociale della criminalità e
della devianza Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” La
solitudine abitativa come fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze
empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro Cultura dell’attore
nelle tradizioni teatrali euroasiatiche
L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro
Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni
performative Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema
del cooperativismo Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel
quadro della partecipazione al Groupe international de recherche
interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de
l’Homme, Paris Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i
corsi di formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro
dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano.
ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale
e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea
di Perugia Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico
per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione umana Indagine
su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il
Consiglio Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche
della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto
radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio
Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso
l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee Indagine sull’esercizio e il mercato
cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento
delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca
del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni
amministrative nel comune di Perugia
(ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello
spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre
Anthropology). L’informazione televisiva
in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il
Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in
Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo,
Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In
compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel
settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione”
promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna
Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen
Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting
Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione
dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare”
organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano
Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di
innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta
Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri
Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con
le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del
“Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi
integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo –
costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia
Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero
degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione),
“Lo straniero Arte Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo
straniero Arte Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta
“Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale,
(M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed., Firenze, La festa, la
protezione magica, il potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero
Arte Cultura Scienza Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo
straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura
giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il
territorio, “Segno critico, Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e
integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma,
Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea
d’ombra, Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente
quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia,
“Gli asini. Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i
vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la
criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in
coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime
fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con
G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla
cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande
(curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento,
L’ancora del mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica
culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle
elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro
PSI, Perugia, Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea
d’ombra ed., Milano, La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea
d’ombra, Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea
d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di),
Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano,
Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea
d’ombra, La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista
dell’intervento sociale, Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è
cultura da vendere, “L’indice, Sull’industria della coscienza: una questione di
dettaglio, introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia,
politica e industria della coscienza, trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La
parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello
stagno, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte
Cultura Società, Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
porto dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte
Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società,
Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La
questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il silenzio dei
post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il viaggio di
Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa
Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La montagna
elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il male minore, in: M.
Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male,
Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, G. –
V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica.
Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma,
Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che
viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia
con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il teatro del
prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Teatro e politica
all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento
sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Specchiarsi
nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è francese, “Lo Straniero.
Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio
dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La cultura e la politica, un
atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Indovinala
Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Fazio ovvero l’ultima
volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, L’università
dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero
monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, I
volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e l’azione di Aldo
Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e
liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano (riedizione con
il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del
Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista
dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini e l’obiezione di
coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”,
Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o,
Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione
dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana,
Molfetta (Bari), Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009,
(www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli
amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi
prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la
società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De
Matteis), “Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale,
“Scenascuola”, Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea
d’ombra, Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro
Festival, Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento
dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda
de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire
sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur
“L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro
suficiente, “Màscara. Cuadernos
Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in
discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo
spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e
ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni
(a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il
Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello
spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue
Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una
“canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro,
“Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro,
“Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della
piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia:
eventi, liturgie, rappresentazioni, Ed. scientifiche italiane, Napoli,
Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed.,
Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de
l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del
pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in:
Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia
Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale,
Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone
Marino). De la consommation
du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi aller
au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale
Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio
Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto
secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di
alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro, “Teatro e Storia, Shakespeare
e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre
comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du
Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de
Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)), Lansman,
Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce,
in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra
espressività e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia
di Modena, O la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Politica culturale e cultura teatrale, “Primafila.
Mensile di teatro e di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et
anthropologie, “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology,
“Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia.
Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo
dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento
di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa
Tem, Modena, Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana
ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul
presente di Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del
teatro, “Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a
“Lo straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu
Francesco, “L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio
Morganti (intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare,
sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli
(a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed.,
Corazzano (PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La
porta aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo
spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia
del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai
teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di),
Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte
dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo –
Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere
(Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità
dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du
spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of
Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della
cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il
pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope.
Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a
partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed.,
Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo Arte,
Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV.,
Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il
’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di
Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una
tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione
dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo,
Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in:
B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed..
Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla
madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du
spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création,
Pratiques, Publics Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero.
Arte Cultura Società”, Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di
Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e
poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio
“Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno,
Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione
aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, Arrevuoto, n’ata vota
(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Arrevuoto”: quando
il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli
– E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta.
Ubulibri, Milano, La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M.
Biagini (curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte
come veicolo, Bulzoni ed., Roma, La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre
contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée, (sous la direction
de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre,
Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo
all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro,
in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed
ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du
théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition), “Degrés.
Revue de synthèse à
orientation sémiologique”,
L’effetLiving. Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public”
(L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et
l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre
et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20,
publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique
Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film
Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e
Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G.
Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora,
Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma,
Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag
Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C.
Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos
Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU
Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre
européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione),
“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il
teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo
della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni,
Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”,
Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo
spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di
Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R.
Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita
attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a
cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il
bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno
XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori),
Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène
européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe
(n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou
verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique
et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L.
Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur –
Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca,
Romania, Barba e Carmelo Bene. Vite
parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova
serie, Bulzoni ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in:
Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et
témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales –
Sorbonne Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di
Roma”, Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto
Alegre, seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives
théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers
une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics.
La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen
PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e
comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni,
Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore,
Firenze, Risposte o riposte. Cinque
lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed.,
Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après
Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato
a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età
repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing,
Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a
direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis,
Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la
direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances
et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses
Universitaires de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra
visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian
implicature” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giacomo: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’icona -- sensibile, imagine,
presentazione, rappresentazione, formante e formato, contentente e contenuto --
l’inspiegabile – filosofia italiana – la scuola d’Avola – filosofia siracusese
-- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e
figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e
Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di
‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine
come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella
interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come
un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica
qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della
rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine
manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si
rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una
immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la
tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a
sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme
una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al
tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la compongono.
Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel quale la
dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente PRE-sentativa,
e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole supporto
materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine
(homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation,
according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e
neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo
imperceptibile, un “simul-acro”. Non a
caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di
immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa. L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’
o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione
di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione
epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di
mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una
concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni
pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può
essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’
(translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è
impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non*
con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa
che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile.
Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da
l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga
allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare
l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una
questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna
compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto
col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere
l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e
quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un
orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano
essere abbando il NON-senso. Altre opera: “Dalla logica all'estetica”
(Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo,
Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra
Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari,
Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano, "Volti
della memoria", Mimesis, Milano, Narrazione e testimonianza. Quattro
scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis, "Malevic. Pittura
e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma, Fuori
dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,
"Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,
"Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche.
L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano, Media e divulgazione Art and Perspicuous Perception in
Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin
e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf.
"Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte
contemporanea" “Astrazione e astrazioni”, "La questione dell'aura tra Benjamin e
Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario
di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università
di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è
stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e
Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in
“Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio
di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana
Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana
Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato
scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della
Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista
Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di
Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint,
collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte
inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie
(Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis,
Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di
Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse
tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile
di diversi progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem-
poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo
Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha
ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di
carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la
musica, le arti figurative, il teatro. Collabora con il Teatro Eliseo
all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul
teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la
Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio).
Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a
Wittgenstein (Parma); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra
presentazione e rappresentazione (Palermo); Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola
a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio
de Publicaciones); Introduzione a Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini
dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano),
Ripensare le immagini (Milano); Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto
nella pratica artistica, (Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura
(Rivista di Estetica), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al
Minimalismo (Roma), Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan
Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas
desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid),
Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte
e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una
guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano),
Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca
internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e
di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di
studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor
di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia
accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de
Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de
Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona;
Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic;
Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca; Facultat
de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València; Facultad de
Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi
post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for
the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic
University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC),
Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno
ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano,
Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica.
Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas.
Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La
balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura
e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e
testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano,
Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in
lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de
Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione
dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint»,
Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche,
Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear,
«Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica,
architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi
fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di),
Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il
sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a
cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo
oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura
di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli,
Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa-
radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo,
Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle
origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a
D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a
Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della
forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di
cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro
(RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla
follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di
Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G.
e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a
writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, Publishing house of the Russian Christian
Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans,
Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of
materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN
ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A
(in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada),
Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova
Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci,
Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience /
Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata,
Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L.
Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di
Estetica, Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel
Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi
in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A.
Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions
filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly
demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror,
in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i
l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e
vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra
testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo,
L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi»,
Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto
e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione
filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona
e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni,
L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El
poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla
modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L.
Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica,
Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de
la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula",
Barcelona,Facultat de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità,
tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S.
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Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente
promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica
continentale: problemi, prospettive e tradizioni a confronto Ente promotore:
MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale
Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente
promotore: MIUR Coordinatore dei Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo:
Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati
e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore:
Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi
delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università
di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini
nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma
"La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Roma Progetto di
Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e
artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" Progetto
di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artistica - Ente promotore: Roma
Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale.
Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università
di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il tema
dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi
di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e
rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST -
Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e
testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di
Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura
nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La
Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica
e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della
storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual
Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul
tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario
sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di
giacomo. wikipedia. org/ wiki/
Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia.
org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de.
wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo //ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo
ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material
in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they
created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries,
as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance
artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his
grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his
beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the
painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous
intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father
as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in
which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio
Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow
craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the
arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at
the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo. Parallel to
this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between
Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who
mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite
to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against
Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria
dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius
waiting for recognition from his fellow artists even at the height of his
success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative
endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo
Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo
Robusti”).1 Loosely based on actual historical personages, the tale is
almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of
great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio
Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the
seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various
writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty
morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths
are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the
unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio.
It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to
confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed
Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets
unimpeded by society’s strict gender expectations). The image of
Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner
of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a
lone wolf fighting against the stultifying rules of the system: Fate has
decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize
itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian
malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them
the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he
destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional
solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied
state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an
absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of
Venice.2 At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best
played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which
a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really
the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto
enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting
“outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”
Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an
extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year
marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has
been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last
autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of
Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”),
as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art,
Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered
“Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library et Museum and
“Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the
Metropolitan Museum of Art. The fete continues at the National Gallery of
Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale
and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third
independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a
once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred
and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists,
painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the
show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and
Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general
should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled
Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to
revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with
the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s
son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who
“displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take
into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian
installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei
Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before
Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem
compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was
practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting
acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the
Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice;
Titian died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo
Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced
with works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love
between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream
up, their careers ran parallel to each other rather than in constant
antagonistic competition. Many romantic myths are dispelled in the scholarship
that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the melodrama of
this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of Titian,” which,
at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby underlining both
chronological priority as well as influence. The paintings Tintoretto did
afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such as the Forge
of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but why filter
these achievements once more through Titian? And why not have, instead, a
section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the Carracci,
Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who found
inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening,
airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers,
elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw
chairs? The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also
willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice
and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in
contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance
standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a
questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for
the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s
“working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s
essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies
“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize
the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be
more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born
woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable
enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to
befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi,
including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an
early supporter of Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up.
His father-in-law, Episcopi, not only belonged to an influential family of
Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco,
where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest early work,
Miracle of the Slave. The scene features St. Mark swooping in headfirst from
the sky to protect a slave from being martyred for his faith. Current viewers
need not be intimidated by the religious matter of the vast majority of
Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and death.
According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder
of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the
piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax
and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in
pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience.
Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would
be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle,
with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially
profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled
bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him
as a thunderbolt and the cannons of a ship. Unfortunately, Miracle of the
Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can,
however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always
pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as
a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish
leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their
turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia
for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze
relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one
of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed
next to each other in a darkened room, the similarities and differences were
enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune
of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel
reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro with
a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic, agitated
poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he painted
Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be sculpted
out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add the
detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità that
often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE
TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to
unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the
reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in
an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The
Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square
footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one
instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic
Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new
picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied,
pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for
the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr
into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops,
especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces,
portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures. The
juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also
underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted
Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus
Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means
they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound
sense of community comes across in a rather touching contract found in the
Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and
Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this
document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees
to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity
admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco
Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo;
and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends,
and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well
represented in D.C. Offering important opportunities for artistic
communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In
several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani
Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line,
smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the
visible world around them. The willful way that these graphic studies
dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what
looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is
remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing
rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work
seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,”
but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable
assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that
he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring
the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the
speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he
avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh
frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the
artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most
atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic,
vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify
this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit
still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s
figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every
episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries
later.) One of the art-historical myths destroyed—hopefully once
and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not
really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants
surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì
(yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface;
sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop
instructions on designs that had been cleared for production by the master.
Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and
held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering
compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some
instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface;
in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the adjustment
of figural proportions. Of the thirty-some drawings by Tintoretto
and his workshop on display at the National Gallery of Art, the majority are on
the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of this carta
azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural movements,
tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow. It might
also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto paintings. The
canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is prepared with a
brownish layer upon which the artist sketched out his composition with white
lead paint (rather than using black paint on a white gessoed surface). Once a
scene had been plotted out on the canvas, however, Tintoretto was prone to
further editing, altering, and redrawing of figures and forms in a variety of
white, black, and even red paint until the work was completed. PAINTERS
AND people interested in the way things are made will find much to consider in
these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in medias res through the
various X-rays that accompany the didactic material in the galleries and comes
across most clearly in the oil sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the
Redeemer, a work included in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left
Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at the mannequinlike figures
waiting to be dressed with flesh and clothes, one comes to appreciate the
procedural logic that binds these drawings and paintings together, a topic expertly
discussed in Krischel’s essay Tintoretto at Work in the National Gallery of Art
exhibition catalogue. The show reveals Tintoretto’s exploratory procedure:
visceral, intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but never
entirely scripted. Tintoretto is all gestalt. If the Marxist machismo of
Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the underlings
who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced, one must
admit that his phenomenological acumen regarding the works is often startlingly
spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow, vertical
composition of Saint George and the Dragon: Everything is simultaneous in
his canvas, he contains everything within the unity of a single instant. But to
mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the spectre of a
succession of events. Not only is the route traced in advance, but each stage
devalues the previous one and shows it up as an inert memory of things past.
The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated from one moment
to the next, identical and useless. The time-trap works, we are caught: a false
present welcomes us at every step and unmasks its predecessor which returns,
behind our backs, to its original status of petrified memory.6 Time and
space collapse in on the spectator’s embodied experience, simulating the
effects of a hallucinatory drug. And indeed, as early as Boschini we find the
revelatory quality of Tintoretto’s art described in pharmacological terms. Of
the whirlwind of paintings on the ceilings and walls of the Scuola Grande di
San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a drugstore. Under my nose these
odors have aromas that overwhelm my heart. These fragrances remain in my mind,
my mind feels so utterly purged that my heart jumps for joy in my chest, and my
soul feels totally jubilant.”7 One must be in the presence of the work in
order to experience the psychosomatic force of Tintoretto’s art. A
black-and-white photograph of a room filled with Tintoretto’s portraits can
look like a field of dull heads, but in person these works become alarmingly
ghostly presences, with hands and faces that seem capable of movement. The
sketches that move from light fluffy strokes to devastating valleys of black charcoal
seemingly carved with a chisel, the thick ridges of impasto that rise suddenly
like waves from the surface of a canvas, the glazes and scumble that modulate
color and reflect light differently depending on the angle of view, the
enormity of compositions that threaten to engulf the spectator’s body — these
elements simply do not translate in any form of mechanical or digital
reproduction. This is true not only for Tintoretto but for Venetian art in
general, with its penchant for chromatic and luminous variability and
richness. In Drawing in Tintoretto’s Venicethe difference between
Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly figures created in a
torrent of quick brown ink strokes and Bassano’s schematic black chalk sketches
marked by dusty smudges of red, white, green, pink, and brown becomes
immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the master’s sons, produced oil
sketches of battle scenes that look comic in reproduction, but when one stands
before the flurry of red, white, and black patches on dark brown paper, these
detailed compositions dissolve unexpectedly into near abstraction.
Renaissance drawings are so fragile and sensitive to light that they can be
exhibited only rarely, and many Tintoretto paintings are so large that
they have remained in situ in Venice for most of their existence. Thus the
current triple exhibition is the first substantial retrospective of the old
master’s work in America. It is a fitting tribute on the occasion of his five
hundredth birthday — and a viewing experience not to be missed. Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia:
drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura
Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from
the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna
Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze,
Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in
Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he
still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later.
This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in
Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in
Venice) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto,
or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most
mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others
being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado
show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could
someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so
inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific,
Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the
furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took
to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought
off one of the world’s largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which,
at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be
essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of
sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures
whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to
ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest
daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too
late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a
brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his
behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.
Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of
Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice,
where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as The
Miracle of the Slave reside immovably in churches, palaces, and galleries. The
show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside
his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life.
The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make
plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind
provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action
on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from
somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the
movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms
that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over
dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that
are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that
his favorite colors were black and white, but he could be every bit the
startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With
abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the
Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese. As a
matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless
someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,”
Jean-Paul Sartre wrote in an essay, The Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto
is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last
native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as
the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp
of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of aristocratic
decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s gifts, scolded
him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari credited him with
“the most extraordinary brain that the art of painting has ever produced,” it
wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him the medium’s worst
madcap.) As a boy, Tintoretto is said to have entered Titian’s workshop
as an apprentice but was thrown out after a few days, having either frightened
the master with his aptitude or irked him with his personality; at any rate,
Titian’s attitude toward him was plated with permafrost. Little is known of
Tintoretto’s subsequent training. His earliest surviving work, from the early
fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically sculptural and draftsmanly,
embracing Central Italian influences. Then something happened which the art
historian Nagel compares to the bluesman Robert Johnson’s “going down to the
crossroads and coming back with scary new powers. The Miracle of the Slave,”
made for the Scuola Grande di San Marco, electrified Venice. Its unprecedented
range of spatial, chromatic, and kinetic effect suggested a synthesis of the
disegno of Michelangelo and the coloring of Titian —a contemporaneous formula,
often cited, for ultimate greatness in painting. He was roundly hailed, though
Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a caveat about his lack of
“patience in the making.” Commissions came in bunches to the new hero, but
solid status skittered out of reach. He compensated by striving to engulf
the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip on preëminence, let
alone die. When he finally expired, at the age of eighty-eight or so it brought
Tintoretto no peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading
painter, he responded with pictures as flailingly ambitious and various as
ever. Three from the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In The
Rape of Helen, the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a
churning land-sea battle scene, with scores of figures, ranging in size from
huge to tiny, which you can all but hear and smell. In TARQUINO (si veda) and
Lucretia, the naked, lividly fleshy protagonists struggle at the edge of a bed,
toppling a sculpture and breaking a necklace that rains pearls. The woman’s
right hand seems to extend from the canvas, as if to be grasped by a rescuing
viewer. (The Baroque, which took hold two decades later, with Caravaggio, can
seem an edited ratification of tendencies already developed by Tintoretto. The
Martyrdom of St. Lawrence is a sketchy and fierce nightmare of death by
roasting, with an anticipatory whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El
Greco, blazed trails for Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his
paintings for Philip IV. What is a Tintoretto? the art historian Echols
asks in the show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with
genius and a strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a
witty man who never smiled. What is his Susannah and the Elders if not a grand
lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering
still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men
(one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from
behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far
background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the
picture’s form is too disorienting to sustain any particular response,
including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of
the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions,
indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and
confusing. Who is Tintoretto’s viewer? strikes me as the really compelling
question. No other great artist before modern times, in which shifting
contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is
addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate,
and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist
encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte
problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con
le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella
riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul
problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici.
Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine
può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro;
nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta
un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta.
Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine
in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta –
all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della
statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a
par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni
logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no
della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive
nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi
dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto
del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine
rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se
paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la
paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere.
E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi
dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli
uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne
e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi:
Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice
se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua
propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali
termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine
intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione
dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine
intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la
«sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua
Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema
musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità
dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra
loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema
vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso
Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione
relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una
proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la
stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra.
(Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel
primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti
proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste
posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque
qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi
d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del
comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di
comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero
espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo
lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal
fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come
esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente
connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che
Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare
tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé,
soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può
essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se
stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua
unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che
l’immagine lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo
qualcosa d’unico può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da
sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la
prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e
meraviglia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa
ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere,
tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori
dell’ordinario. Non pensare che sia cosa ovvia – questo vuol dire:
Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento. Già nel
Tractatus Wittgenstein aveva affermato che la tautologia segue da tutte le
proposizioni: essa dice nulla, volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni
proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo luogo è una
tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della proposizione è ciò
che la proposizione mostra in ciò che dice. Secondo Wittgenstein il carattere
logico della proposizio- ne in quanto immagine è dato dal suo essere
‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa d’altro da
sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la fondamentalità della
logica, giacché se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie-
no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa d’ancora più
fondamentale che la logica. E tuttavia Wittgenstein si rende conto che nella
proposizione qualcosa dev’essere identico al suo significato, ma la
proposizione non può essere identica al suo significato, dunque in essa
qualcosa dev’essere non identico al suo significato. Questo qualcosa di
‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o l’immagine, e
il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse mostrano o
presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione interna al
rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di unicità, ossia
di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni
identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del rappresentato
qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera d’arte trova
il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del come, non del che cosa,
allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò che v’è. C’è
dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della logica. La
rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra, che si
manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della
rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa, l’immagine manifesta
l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel
visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante
l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Wittgenstein
sull’immagine si riferiscono non all’immagine come copia della realtà, bensì
all’immagine intesa appunto come icona. Non a caso, se per Wittgenstein il
silenzio, sul cui tema si chiude il Tractatus, non può dirsi, giacché esso
mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò
che resta sempre altro rispetto a ogni determinazione logica e rappresentativa.
Ciò che nell’opera d’arte si presenta sfugge alla nostra conoscenza e alla
rappresentazione. Non è stata l’arte astratta a mettere per prima in opera la
‘presentabilità’ del pittorico di contro alla sua rappresentabilità, dal
momento che il rapporto tra presentazione e rappresentazione appartiene
all’essenza stessa dell’immagine. È proprio della natura dell’immagine infatti
il suo presentarsi sempre chiusa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente,
vicina e insieme lontana: nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro
sguardo. È necessa- rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle
condizioni stesse dello sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere
che l’immagine manifesta, e tuttavia tale non-sapere non è una condizione
privativa, una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva, come positivo è
il ‘Niente’ dei quadri suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di
qualcosa che costituisce l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va
pensato come l’Idea platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel
visibile stesso. Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia
non la fine dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte
appunto. Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma
qualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa
che la visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e
guardare, tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è
in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre
altro rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello
stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che
abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere
pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza
di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’
‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in
opera da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non
è discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre-
scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché
mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta
paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale
non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un
assoluto silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso
la quale si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è
né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro
mondo. Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la
sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi
posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella
contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello
all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della
tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale
prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij
con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo del
soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura
iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o
il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di
quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per
dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo
non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività,
è la manifestazione della sua «risonanza interiore», ossia della sua spiritua-
lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è intessuta della connes- sione di
interiorità e astrazione, e una componente essenziale di tale astrazione è il
misticismo. Già la mistica tedesca medievale afferma, con Meister Eckart, che,
come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in grado di
rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga
operazione compie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle
cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia
reali. Così nel principio di Kandinskij della necessità interiore si riflette
la natura mistica del procedimento astratto di costruzione di un’opera che
viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire
interiore dà luogo a un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella
mistica, mostra un diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della
loro forma reale. L’emancipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura,
della quale parla Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere.
Di conseguenza, la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto
essenziale della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo
delle cose, e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto
per Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo
è, ma che esso è; esso consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò
significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle
cose, ossia la loro spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo
visibile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen-
tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità.
Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro
fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia
esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello
stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso.
Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma
questa è l’espressione di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno
‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il
cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di
Kandinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso,
facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale
nell’arte di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al
problema dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo
di Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime
una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui
quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di
Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia –
tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva –
mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è
la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore
suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ
non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere
come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo
apparire e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad
alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in
questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio
paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero
logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato
logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e
nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei
significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro,
ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel
non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è
assolutamente singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un
mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che,
presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro
dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti
questo essere, che è il nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e
delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio
dell’altro. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio-
ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il
profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo
senza oggetto il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro,
ovvero il nulla – in quanto nulla di rappresentabile e di dicibile – questo
Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine
della pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere
perché il nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A
differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la
cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà
solo spazialmente. Per questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non
ha luogo alcun ritrarsi; al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e
non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In
definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun
contenuto interiore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro,
ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna
finzione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che,
tautologicamente, dicono se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è
volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo
all’interno della rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in
quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee,
pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione
opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire
l’elemento soggettivo – definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee invece
indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è
il rifiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee, al con-
trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca cioè una
realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui
tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea,
immergendosi nel divenire delle cose stesse, nella genesi dei mondi possibili.
Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla
creazione, portando avanti e tentando le vie di realtà possibili. Klee, in
definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la
genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà nella percezione e
quindi al costituirsi dell’essere in significato. I presupposti di tutto ciò
vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il
mondo non si configura come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo
generarsi. Così l’immagine di Klee richiama alla memoria possibilità diverse,
somiglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul piano
dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre- fissata, ma
genera continuamente forme via via che procede, muoven- dosi appunto tra
somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee sono questa sorta di
somiglianze di famiglia – ancora una vol- ta nell’accezione wittgensteiniana – e, in quanto tali, escludono la de-
finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi
possibili riguarda l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare
l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene
all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle
altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità
simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima
non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si
manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale
possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di
non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce,
altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere
diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò
che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia questo mondo e non
un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che
presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condizione
dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di questo
senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato dato, di
un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo interno e non
contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo
d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine tutte le
cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione
filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture médiévale,
Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der
Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli scritti
filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed. or.
Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus
logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si
equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi
su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein,
Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito
Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è
usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e
metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe
Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura;
‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona,
segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto
formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giametta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --
il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – la scuola
di Frattamaggiore -- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore).
Filosofo
italiano. Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice: “Giammetta is a good’un, but
you gotta be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to
Clifton, as I did!” -- Grice: Giametta’s
philosophy is full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his
‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to
Nisso, Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi
di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche romanziere,
estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza filosofica e
morale; attitudine stilistica: la prosa
di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e
filosofia. Nella "Trilogia dell'essenzialismo"
(composta da “Il Bue squartato” -- L'oro
prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede
del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata
esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans”
(cf. Grice, implicans, implicaturus) sia
come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata).
Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive
la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi
eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle
condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono
sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi
(essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si
afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...". Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi
moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule
e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi
interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede.
Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi
nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo”
(Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano);
“Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita”
BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie
crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione
a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La
dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia,
Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli,
Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva,
Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina,
Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo;
Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci
napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo
di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola.
Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano. La passione della conoscenza. Pensa
Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte
in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in
Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer
Colli Mazzino Montinari. SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De
Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni
prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano
la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal
clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati
alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D.
trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di
riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e,
insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire
e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale,
culturale, civile). La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di
piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi
medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito
della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon
matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più
dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche
per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del
ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del
"galantomismo" meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano
aderito alla carboneria (in funzione patriottica e antifeudale): dopo aver
partecipato ai moti carbonari, vissero in esilio per dieci anni, serbando
intatto lo spirito antiborbonico, ma non il patrimonio. L'altro prete, invece,
don Carlo, fece fortuna in Napoli come titolare di una stimata "scuola di
lettere" (un ginnasio privato). D. è trasferito come ospite ed
allievo presso lo zio Carlo. Dai "ricordi" di D. (La vita) si
può ricavare l'elenco delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno,
per tutta la durata del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica,
Rettorica, Poetica, Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e
romane" e inoltre "l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"),
nonché una serie di notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico
e innovativo ("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola,
dovendo ficcarsi in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le
Storie di Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti
i sabati si recitavano centinaia di versi latini a memoria"). Poiché
i cinque anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico
in due anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini,
matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due
anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy,
Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto
molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica
"moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del
maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a
Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire,
Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di
leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa
chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi
giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad
apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica
giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto
d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi
di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a
determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio
Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle
del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua
numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben
cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui,
con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).
Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale
mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di
lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro",
cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi
della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo.
Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua
volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso
contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino
Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento
delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo
Belcari. Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di
ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del
suo primo magistero. Certo, la competenza grammaticale e testuale e la
sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui
penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano
allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e
maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga
sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della
metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza
culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e
ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del
sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con
forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai
suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti
latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di
classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi
Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e
Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente
allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava
con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a
Chateaubriand, Lamartine e Hugo. La professione dell'insegnamento diventò
per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno
contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei
sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa
accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi,
che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto -
a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza
(di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta
rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai
consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma
sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica
complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo
indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua
frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento
critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e
intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre
andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche,
politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo
insegnamento desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto
dettatura del maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei
diversi corsi di lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri
libri di testo costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta,
perciò, di una testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a
stretto contatto con la cultura del proprio tempo) dal purismo e
dall'illuminismo moderato fino all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il
neocattolicesimo, la partecipazione alla temperie vichiana e a quella dello storicismo
romantico. In vista della loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi
secondo le "materie d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin
dall'inizio, altre introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia
nella Vita). La grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i
quaderni "grammaticali" più importanti che ci restano appartengono
agli ultimi anni e si configurano perciò come approdo della ricerca
desanctisiana in materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del
giobertismo, di Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono
quelli di Lingua e stile, dove, dopo una serie di precetti di radice
puristico-illuministica (con forte incidenza della grande Enciclopedia e in
particolare d’Alembert), troviamo documentato il primo impatto con il pensiero
romantico tedesco (in particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi
di storia della letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura
italiana"). Questa ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in
D. maggiore (si muove in ambito postilluministico, con grande attenzione
all'Europa e al presente letterario, ma presenta come modello privilegiato di
scrittore "contemporaneo" il Manzoni, con un'accentuazione del punto
di vista neocattolico, che andrà attenuandosi in seguito). Una lunga storia
della poesia è nei quaderni dedicati alla Lirica, in cui l'approdo è
rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul Genere narrativo hanno le loro fonti
in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e Schlegel. Un salto di qualità
notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica e Estetica applicata, in cui
l'esigenza di definire teoricamente i problemi dell'arte trova un sicuro
sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre Hegel fa la sua apparizione
nel corso di Storia della critica, che introduce una più stimolante
rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli presenta ai suoi
allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Bénard. Alla luce dei
nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura drammatica,
soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola ci
resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che ha come
punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il
senso dei "compendi" (autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e
della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali
storiografici conferma il livello criticamente e ideologicamente molto avanzato
della ricerca desanctisiana alla fine della "prima scuola",
attestando una visione laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni
astrattismo e una forte rivendicazione della concretezza in ogni ambito
d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione
progressista. Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa
scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli, inaugurando il clima
"filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva finito per trovarsi al
centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto
compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti
giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate (dove fu
ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti:
Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo implicato in una setta
segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un
attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini
e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo
Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni
segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche
privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava
ad interessarsi di lui), D. si rifugia in Calabria presso un noto e attivo
"patriota", il barone Guzolini, in casa del quale è arrestato con
l'accusa di essere uno dei principali agenti della setta diretta da Mazzini e
da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due
anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente
molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e
imbarcato per gli Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare
Meis e Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta,
per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli
illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare:
Spaventa, Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz). Gli scritti
del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della
"spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono
elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere
drammatiche di Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso
fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca,
quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova -
dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente
impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di
prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è leopardiano;
evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con l'intellettuale
perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per tradurre il
Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia per leggere
in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie di Quadri
sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma il testo
più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La prigione: un
carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si esclude
qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di
"giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni
metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni
della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente
ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è
anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine
sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo
napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di
Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero
carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la
libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale). A
Torino D. rimase in un vitale rapporto
d'amicizia con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al
potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora,
l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove
si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis
- che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche
alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria
del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale
del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di
"lezioni pubbliche" su Dante: conferenze organizzate dai suoi amici
per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto
lo rivelarono alla cultura italiana. Egli prese a collaborare alle
appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali,
vero e proprio punto d'arrivo della sua critica militante. E allo stesso anno
risale anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la
pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il
"murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione
"diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza
di Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento di D. alla monarchia
sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione
della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in
seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele). Sempre per
interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un
importante incarico professionale: l'insegnamento della letteratura italiana
presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo. Gli anni di
Zurigo sono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso
diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione
di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca
critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto
con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa
(Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer,
ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio,
prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto
prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i
limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini è ancora un mito
in Italia. Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma
ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in
vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi
(undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al
Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare
riguardo ai problemi dell'unità e della forma del poema di Dante.
Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure
alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata,
Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei
maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e
prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna Dante a
Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale
lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo
tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le
idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli
anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che
furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura
una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la
celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei
personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La
Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo
retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese";
quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della
grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si
riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della
ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è
suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una
parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi
hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza,
per D. definitivo). Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o
d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte
raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante,
ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al
centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi
saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di
polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani,
ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in
funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la
sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice.
La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea (romantico-hegeliana
o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie essa è espressa con
molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia rimane inerte: il
cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è creazione e quindi
non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per questa facoltà è forse
il primo poeta di second'ordine che sia oggi in Italia"; del resto, i suoi
testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti della "declamazione
rettorica". E questa non è un difetto esclusivo degli scrittori moderati:
essa è condannabile anche quando sia posta al servizio delle più ardite analisi
politiche, come nella Cenci di Guerrazzi, avvolta nel vecchio repertorio delle
metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo poeta italiano che abbia attinto i
livelli della "grande poesia" nel mondo moderno, dice in un
importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il saggio s'intitola Alla sua
donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo scritto leopardiano più
importante del D., che, con parametri schilleriani e byroniani, traccia qui una
straordinaria immagine di poeta laico, interprete della civiltà contemporanea
perché capace di farsi critico e filosofo e di far scintillare la poesia dalla
"meditazione". Ma, a parte l'eccezione leopardiana, il clima del presente
letterario fa temere un ritorno alla identificazione tra poesia e retorica
(Sulla mitologia - Sermone di Monti. A questa pericolosa tendenza D. oppone la
difesa d’Alfieri contro i critici francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra,
Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la Mirra), ed evidentemente questa polemica ha
un profondo retroterra politico: la rivalutazione della fase "eroica"
del classicismo settecentesco, nella cultura "rivoluzionaria"
dell'intera Europa. Perciò questa rivalutazione riguarda anche Foscolo
(Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo e Storia di Gervinus, e la
polemica colpisce anche un critico come A. de Lamartine ("Cours familier
de littérature par Lamartine). Nello stesso ambito il modello di Hugo viene
proposto come sostanzialmente positivo (Triboulet e "Le
contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il recupero di un classico
manierato come Racine, perché capace di creare dei grandi personaggi drammatici
(La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si configura una delle prime,
ma già precise professioni di realismo di D. critico (Saint-Marc Girardin).Il
sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente ... La poesia dee
riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un uomo vivo, perché
questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio poetico. La
progressiva conquista di un punto di vista "realistico" con cui
guardare al testo letterario è registrata dai ricchi appunti che ci restano (a
cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi sul Poema epico. Proprio in questa
sede D. usa per la prima volta il termine "realismo" (ancora nuovo
nella critica francese più avanzata da cui lo deriva), mentre ribadisce il
rifiuto del "sistema" hegeliano come strumento di critica letteraria e
conferma la validità degli strumenti d'approccio al testo ricavabili
dall'estetica hegeliana. Il messaggio filosofico più complessivo, nell'ultima
fase del suo esilio e del suo vitale contatto con le avanguardie europee, fu
affidato da D. al dialogo Schopenhauer e Leopardi. Anche questo testo ha una
struttura leopardiana (ispirata alla provocatoria ironia delle Operette
morali), ma s'interessa a Leopardi solo nell'ultima parte, dedicando molto
spazio all'illustrazione del pensiero di Schopenhauer, indicato come il
liquidatore di un'epoca (quella dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto)
che egli considera "un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità
generale". La filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della
libertà, nemica dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli
ripropone "lo Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi",
nega la libertà di stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda
di Schopenhauer in Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico:
la sua tardiva riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo
europeo. A prima vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a
Schopenhauer; ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e
Leopardi è tanto interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria)
dell'umanità, quanto ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza
non è solo nel materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di
Schopenhauer) o nelle sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si
affida al fascino della retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di
lettura che Leopardi produce come uomo e poeta veramente grande (egli non crede
al progresso, e te lo fa desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare, è
scettico, e ti fa credente). Dopo le speranze e le delusioni della
seconda guerra d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia
improvvisamente Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un
ruolo, probabilmente importante, nella mediazione che portò il partito
garibaldino (e lo stesso Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per
nomina di Garibaldi, appunto in fase di preparazione del plebiscito
annessionistico, è governatore della provincia di Avellino e si mostrò
attivissimo organizzatore del consenso politico, della guardia nazionale
locale, della lotta al banditismo (che è già esploso violento in Alta Irpinia,
recuperando antiche radici sanfediste). Subito dopo, è direttore
dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni, tesaurizzando tutte le
precedenti esperienze di riforme liberali degli studi, impostò una vera e
propria rifondazione della scuola napoletana. All'università chiamò ad
insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa a
Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del liceo
gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei maestri
elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco) deliberò
l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della
luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come
il periodo eroico della sua vita). Eletto deputato al primo Parlamento
nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con
Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere
l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in
pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della
scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge
Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come
ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e
vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la
libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere
una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della
plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la
mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una
rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti
professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi
scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti
scelte progressiste, come quella che portò il materialista e rivoluzionario Moleschott
ad insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico
ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un
anno), D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di
potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai
"retrivi" e ai "codini"), su una linea mediana di
progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si pose il
giornale L'Italia (che egli diresse, in appoggio al gruppo emergente della
Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo
successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la
firma del manifesto di opposizione crispina e un importante discorso di
denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo ideologico, politico
ed economico) segnarono i punti più alti della sua partecipazione
politica. Sposa, a Napoli, Maria Testa dei baroni Arenaprimo, ma il
matrimonio agiato, da cui non nacquero figli, non è sufficiente a sconfiggere
la precarietà economica in cui tutta la sua vita si svolse, né fornì uno
stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di comunicazione
sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata delusione politica e
personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente ridivennero
protagonisti della sua vita: pubblica in volume i Saggi critici (dove raccolse
gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la
Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici. Il Saggio critico
sul Petrarca ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo, con pochi
mutamenti e con una "introduzione. Esso si articola in dodici capitoli
(tre dedicati alla personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli altri
strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a
fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo petrarchesco,
sulla base della teoria elaborata da D. a partire dalla "prima
scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio (tesaurizzazione
dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto del metodo
sistematico e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della poesia come
forma uscita dal più profondo della vita reale e come sostanza vivente, secondo
i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In quest'ottica,
Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica ne aveva
segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo (cioè dalla
sua riduzione a modello rettorico e platonico). La poesia di Petrarca va,
quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche (soprattutto
nella malinconia e nei momenti d’abbandono sentimentale), pur tra gli ostacoli
frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione
"spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla
figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la
creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua
"realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si
spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa
"situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia
sublime"). La Storia della letteratura italiana nacque come testo
scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran
parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena
illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto
complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale)
nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e
politico. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento
della letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente
dichiarato da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione
della materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo
con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica,
della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia
perché l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete
progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di
"ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni
tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte
rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia,
infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per
l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con
rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni.
La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in
un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori,
epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso
all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun
livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del
suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi
capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e
cortigiana, legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima
che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi
inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più
complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura
bolognese (e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso
l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico
medievale è ALIGHIERI. Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la
definisce come la voce dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta
(vichianamente) l'epoca della fantasia, ed è la prima fantasia del mondo
moderno". Il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I
Misteri e le Visioni, che esprimono l'idea religiosa penetrata ne' costumi e
nelle istituzioni, ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria
dell'aureo Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano
(attento ai Fioretti, a Cavalca e a Passavanti. ai testi di s. Caterina da
Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però
anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di
Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti,
l'ordito culturale da cui nasce La Commedia, con la sua "base
ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto
ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa
poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di
poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di
passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri,
quel mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi
letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è
breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un artista pieno di grazia e di
"malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione
culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma
popolo romano e latino. In questa scelta, secondo D., c'è una profonda
ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita
della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione",
imitazione, abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia
della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone
appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione
laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che,
liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là
del comico, fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è
il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi
le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo"
(ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti
grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano).
Infine il Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed
elegie, voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo al
movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero",
stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano".
Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari
che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi
capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto
(L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella
serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero Rinascimento",
mentre l'"ironia" e il "riso scettico" di Ariosto si
manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto capace di
critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione di fatto
della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza ideologica e
sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto ambivalente sulla
Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il poema del Tasso è lo
specchio della "ipocrita" cultura controriformistica italiana e i
suoi valori letterari vanno individuati in senso opposto rispetto a quello
programmatico e ufficiale: non nella falsa" religiosità, ma nell'idillio,
nell'elegia, nella voluttà (Tasso è, perciò, accostato al Petrarca, nella
tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e Ginguené). Ma
proprio al centro dell'arco storico c'è una punta alta, un grande ritratto in
positivo: quello di Machiavelli, che riesce a costruire una valida ipotesi di
rinnovamento, sia opponendo alla teocrazia l'autonomia e l'indipendenza dello stato
(un presentimento dei nostri ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando
il "metodo" della conoscenza, col rifiuto della teologia e del
principio d’autorità (per lui "la verità è la cosa effettuale, e perciò il
modo di cercarla è l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio
intelligente dei fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli
(liberato da tutte le riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui)
è un caso-limite d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è
scelto a simboleggiare la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro
che scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente egli fa
riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione
letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e
politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria
"precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a
Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli,
dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte moderna e
propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli,
intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra essi è
derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla
scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo, e che
ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò,
"i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di
"lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno,
Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e
Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla
Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo
l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con
la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero
della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il
primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col
Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di
stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di sperimentazione)
non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il cammino da
percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la direzione da
seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo nostro,
studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio petto
secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla
letteratura nazionale moderna". Nella seconda edizione dei Saggi
critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte
composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della
Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il
più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo
l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e
superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario
(perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto,
Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia
desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il
saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del
contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il
contenutismo cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della
letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di
filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana
non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di
stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti
della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della
"parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica
"positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei
puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si
afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il
materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e
impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la
stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e
intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di
libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre
vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia
della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta
storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi
(Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in
margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle
riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D.,
all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle
"sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica
ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile
(Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di
sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile
lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello
di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei
Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone
l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del
nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo
religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita
nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo
del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni
passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata nell'università
di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza nota come seconda
scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni, rispettivamente su
Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica, Leopardi).
Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi saggi critici,
Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli orientamenti
della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe continuata,
per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo momento
d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono
l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia,
con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e
piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una
serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e
subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e
ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un
impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione
trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera),
condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D.
il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880,
riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la
scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica,
in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla
"cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più
qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu
l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio
alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave
malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni
di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando
alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della
riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i
suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino
alla fine. Come tutti i principali episodi dell'insegnamento
desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana"
sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e
ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e
rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della
"prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella
ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni
le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati
rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di
valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di
"calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee
critiche che hanno importanza universale": la "misura
dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma"
diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione
della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole
letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su
quello dell'ideologia. Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo
svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola
(secondo una traccia già seguita da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due
filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale"
e scuola democratica. Alla Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni
universitarie, con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei
cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in
arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi
Arcadi sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono
una dimensione metafisica della storia e della politica; D'Azeglio resta
attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un
interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale
dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro, Padula, Parzanese, Sole) vengono
esaminati con interesse e simpatia. Il corso è dedicato alla scuola
democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini,
Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova
letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente
pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione
del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da D. nell'ultimo
decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi
furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione universitaria La
scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del realismo, Studio sopra
Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo nell'arte. L'assunto complessivo
è che il "realismo" auspicato da D. non si può confondere né col
materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è
molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e
attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni)
"l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac
forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la
reazione, l'autoritarismo sempre in agguato. Nell'ultima fase della sua
vita D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del
realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici
all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui
sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove
concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio
"familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con
estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e
che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica.
L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio
elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della
provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco
chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col
patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del
testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può
dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in
contemporanea con Nedda, quattro anni prima di Giacinta, sei anni prima dei
Malavoglia. Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici
e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D.
perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della
quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva
intitolata Memorie; Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La
giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza di D. dalla
nascita e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai
personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani
alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani
avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il
personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di
chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione
culturale e all'esperienza della prima scuola. Qui il tessuto è molto serio e
impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di
scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso,
mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò
la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e
teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il
fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del
romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie
libertarie del primo '800 napoletano. Nell'ultimo anno d'insegnamento
all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli
appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su
Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del
pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio positivistico. La
biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi
idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in questo tentativo
di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di
gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre in
D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di
realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo.
Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili
dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna;
è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a
parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né
alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel
saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della
"prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e
antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi
leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima
canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un
esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana:
"La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di
questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina
è il riapparire". Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un
vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino
e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un
dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi
dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto,
egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di
giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante
in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F.
D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello
studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei
documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente
pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D.,
ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione
"realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio
a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin
d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté
divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il
rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva
riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il
merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un
protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per
oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a
"rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria
del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di
arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia",
fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza
riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un
"ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA. Proprio dall'interno della
scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata,
tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero
della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il
significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza
dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica
realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della
letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli
studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la
ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di
Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo
valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura.
Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini
dichiara, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita
dall'"equivoco formalistico" della riduzione crociana di D. e la
necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi
desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo
spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione
dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua
celebre affermazione che il tipo di critica letteraria proprio della filosofia
della prassi è offerto da Sanctis. Da qui appunto si partì per un'ampia
verifica dell'"impegno" di D., del carattere militante della sua
critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo
Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al
bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il
"disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non
crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative
editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere D. su testi di alto
livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e Laterza (e dirette
rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere
complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia
(dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi
critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna
presenta D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta
di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne pubblicò in Francia una
documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso sono condotte
indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura (Mirri, Landucci,
Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai
insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato",
si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e
di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati)
la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli
interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei
partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il realismo".
Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario
desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta, Bari e F.
D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea di
attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora
aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale
nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si
mosse. Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova
(tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli
(Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad
Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll.
dell'Epistolario. Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz.
Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori
d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino,
Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due
voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La
letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e
la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia
della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti
giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E.
Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini.
La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese;
Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e
lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi
saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di
S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo
(prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di
estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della
letteratura italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana,
Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il
romanticismo a Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola
democratica (a cura di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna);
L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a
cura di Lanza; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici
a cura di F. Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi),
a cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi biografici, dal
taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di Cortese;
Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli stessi, (a
cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e Talamo).
Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino)
e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e della
critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari (con
integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E. Pesce,
Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener presenti
inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi
dell'ultimo venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte,
in Cultura e scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo
decennio, nel miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari,
Bari. Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi
d'insieme: Cione, F. D., Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia;
Antonetti, F. D. Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique,
Aix-en-Provence; E. Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione,
sono da tener presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis,
Teoria e storia della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo
illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due
discorsi di scuola del D., in Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia desanctisiana,
Firenze e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e critica, Studi
in onoredi Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi,
Bologna; Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta, D. e i
generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta,
Bari. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono indispensabili: E.
Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli; Croce, Il soggiorno in
Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora in Aneddoti di varia
letteratura, Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino;
Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni, Gli
anni zurighesi, entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso
Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di
F. D., in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus
transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F.
D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario
con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il
soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D.
Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri
saggi, Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale,
inF. D. nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato
postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia
formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di
D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche
nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze
funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della
Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere
generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari
(per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D.,
in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana,
Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I
minori, IV, Milano e in Letteratura
italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari, ibid 19854; Fubini, F. D. e la critica
letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e storico
della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia di F. D.,
Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di S.
Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in
Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in
Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le
introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da
tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in
Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del
D.), (ora in Saggi critici, Milano),
nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella
prima critica desanctisiana, ora in Critici e poeti dal Cinquecento al
Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici,
cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C.
Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem)
e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le
miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D.
nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e
cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo
dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti
ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989. Per i
rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G.
Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli
interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con
l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini,
D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello
hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo
hegelismo italiano, a cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F.
D. nella storia della cultura, Landucci, cit. Tra i tanti altri saggi,
cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna
Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze
Prete, Il realismo di D., Bologna Malcangi, F. D. deputato di Trani, con
Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio
elettorale" di F. D. Il dossier Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi,
Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi,
Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo,
F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila,
Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli
1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli. Per i
rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e
la critica francese (ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la
culturefrançaise, Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. -
Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F.
D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D.,
Bari Westhoff, Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna"
di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo
angloamericano, cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F.
D. - Un secolo dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D.
nella storia della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. -
Un secolo dopo. Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi,
F. D., Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della
critica, a cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana
del secondo dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D.
Storia, ideologia, mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di
G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici.
Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce –
eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e
implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il
vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta:
cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giandomenico: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’apertura semantica e
l’implicatura di Galilei – la scuola di Carunchio -- filosofia chietese –
filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti, Abruzzo. Grice: “I like
Giandomenico; he makes excellent commentary on Bernard’s controversial,
deterministic idea of life – from amoeba to man, in Russell’s words --.” Grice:
“Surely this has connections with my method in philosophical psychology, from
the banal to the bizarre, which actually starts with philosophical BIO-logy!”
Grice: “Giandomenico shows that while Bernard never thought he had to provide a
‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does propose this or that criterio: for
one he tries to prove that self-nourishment cannot be the criterion – but I’m
not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna
a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia nei Licei. Studia filosofia della
comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per
la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e
Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della
storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica,
teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria
del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha
trattato il contributo scientifico di Pende. Analizza i fondamenti
dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in
evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed
informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche
nella ricerca umanistica. Le ricerche condotte nell'ambito
dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi
linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del
livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como
‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio
di software dedicati. Il primo progetto ha riguardato l'analisi della
conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un
software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava
un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico)
galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi
“semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi
spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con
quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.
Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento”
Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “
Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna,
Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina
trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari,
Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea
umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G.
Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa
Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo);
“La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore);
La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte
unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del
Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio.
Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in
L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza. Milano, Angeli. L’esperire immediato e
l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che
s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza
diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le
scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento,
diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla
comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo
nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al
mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro
stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge
al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli
scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non
si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un
tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento -
perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e
della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai
complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo
proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto
si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco
un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi
esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un
astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di
quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la
fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di
complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi,
una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che
digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e
processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un
apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un
apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un
computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari
colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia
che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le
teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a
controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il
mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una
affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire
e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione
scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo
libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il calcolo,
l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti porta a
ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile. Per
questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto
con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione
della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante
strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica
contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata da
strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue
barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la
coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è
esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione!
Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche
parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore. La
rivincita della conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa
accolta usualmente dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un
contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e
strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra riportato.La tesi di Husserl è,
invece, che il fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette
empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle
intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci
coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale, vissuta,
la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in cui tutti
noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le
scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e
le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli
oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di
qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica,
ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo
esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono
attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo
circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre
esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di
validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza,
ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già
possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in
quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a
piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre
”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella
sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto
scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al
nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro
fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e
del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo dello
spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli aspetti del
mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già presente
alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente. Fungono
con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità teoretica, che
attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie
all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni
critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo
essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella
comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci
reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del
pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti
obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un
rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero
scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano
sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già
sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi
tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è
e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo
mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita
prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma,
insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è
imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere
compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben
determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle
verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa
esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di
compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In
realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale
(o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo
strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la
destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un
precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o
categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di
interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè
dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede
che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di
vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo
il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico
alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto
tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è
collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli
atti logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura
empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl
analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel
mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle
dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono
particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa
subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione
“storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente
assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole
rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale.
Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria
raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano
delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un
problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri
che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né
quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro
interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si
è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva
per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è
presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi
presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori.
Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più
antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire
agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi
“originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti.
Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente
nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune
risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione
offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti
che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire,
compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La
nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni.
Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla
tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente:
noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è
costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è
spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua
precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E
tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente,
un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile.
(Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio
specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A
questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe,
di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci
possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non
ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o
scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto
soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare
metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito
allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la
geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da
interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua
Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi
di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle
forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati
congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite
numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente
geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad
un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme
derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura
altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente
conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente
un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini,
non ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e
questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni
di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che
siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul
filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno
leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura
ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non
storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un
certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini.
Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune
e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi
elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo
circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo
regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della
determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice,
nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente
esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi
pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une
con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità
(sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in
questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva
di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque -
per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua
determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è
qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo
momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le
forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono
rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le
loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro
grandezze e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione,
mediante la determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati
a luoghi e a direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre
praticamente la possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali
empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono
generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che
esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme
corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente
univoco queste forme - dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi
per nuove sfere di forme. Si capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai
desta, di una conoscenza filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero
essere, l’essere obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione
empiricamente- praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione
dell’interesse pratico in un interesse puramente teoretico, potesse venir
idealizzata e trapassare così in un pensiero puramente geometrico. La
misurazione prepara così la geometria universale e il suo mondo di pure forme-
limite. (Husserl). Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la
guida di questo pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere
documentato, è tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state
anticipate e presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i
problemi che sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano
la ricerca sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di
riflessione teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un mezzo
della tecnica; una volta che una scienza come la geometria si è costituita,
quando cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un
universo di oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua
volta sul terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi
progetti. Logica trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione
tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e
sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la
logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica,
ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica
formale e trascendentale a Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una
genealogia della logica, in polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello
sviluppo del suo pensiero si impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che
genere di rapporto sussiste tra la logica antepredicativa e la logica
predicativa. La percezione sensibile, per quanto consista nel tendere da parte
dell’io verso l’oggetto intenzionato, è sempre una conoscenza instabile,
insicura, che non consente mai di possedere l’oggetto conosciuto in maniera
definitiva. Questo è possibile soltanto mediante una conoscenza predicativa,
cioè attraverso la logica, la quale ha la capacità di fissare l’oggetto e di
conservarlo anche quando non è presente nella percezione. La conoscenza
antepredicativa e quella predicativa, perciò, si differenziano nettamente e
ciascuna si caratterizza per una propria specificità. Se però si analizza la
genesi della logica, ci si rende conto che bisogna rifarsi alla percezione
sensibile per spiegare la logica predicativa. Questo significa che la
conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è l’espressione più compiuta,
riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista della sua fondazione, sulla
conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in logica trascendentale. Scrive
Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita,
occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria
obiettiva nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità
delle teorie predicative, dei sistemi logici in quanto sistemi di proposizioni
in sé, di verità in sé e, in questo senso, di enunciati logicamente connessi) è
radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue evidenze originarie. Proprio
per questo la scienza obiettiva ha una costante relazione di senso col mondo in
cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo anche nella nostra qualità di
scienziati accomunati a tutti gli altri scienziati - si tratta cioè di una
relazione col comune mondo-della-vita. Ma così la scienza obiettiva è
un’operazione di persone pre-scientifiche, di persone singole e di persone
accomunate nell’attività scientifica, di persone quindi che appartengono al
mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni logiche, non sono naturalmente
cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo sono i sassi, le cose, gli
alberi. Sono totalità logiche e parti logiche costituite da elementi logici
ultimi. Per parlare con Bolzano: sono rappresentazioni in sé, proposizioni in
sé, conclusioni e dimostrazioni in sé, unità ideali di significato, la cui
idealità logica è determinata dal loro telos “verità in sé”. Ma anche questa
idealità, come qualsiasi altra, non muta nulla al fatto che sono formazioni umane
connesse per essenza alle attualità e alle potenzialità umane, e che quindi
rientrano nella concreta unità del mondo-della-vita, la cui concrezione dunque
ha una portata maggiore di quella delle cose. Ciò vale, correlativamente, anche
per le attività scientifiche, sperimentali, per le attività che in base
all’esperienza plasmano le formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma
originaria e in modi originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella
comunità degli scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle
dimostrazioni, ecc. che sono state elaborate in comune (Husserl). Come potete
notare, si tratta di un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o
meno adeguate alla dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica
trascendentale si presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che
si costituisce la logica come scienza formale. La logica formale tradizionale,
invece, ha ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità
delle proprie leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come
un atto soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per
questo motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma
che non tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto,
fanno sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale
e sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista,
Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto
alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si
configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico
sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla
logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una
forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai
fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche
storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche,
ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne
rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica
è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica,
filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in
contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della
questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e
nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le scienze, invece, che
non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro fondamento
trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in pure
tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico.
Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots
karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica,
Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi,
la filosofia positivistica italiana -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots
karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giani: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura mistica –
l’implicatura di Catone – la scuola di Muggia -- filosofia muggiana – filosofia
triestina – filosofia friulese – filosofia veneta. filosofia italiana – Luigi
Speranza (Muggia). Filosofo muggiano. Filosofo
trestino . Filosofo italiano. Muggia, Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard for me to
judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the
so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to
expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at
Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being
more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of
an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica".
Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo
ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai
Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola
sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola
di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno
seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione
dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che
coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi
della nuova scuola. Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i
Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi
dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni
con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al
mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia
chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de
"Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più
importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi
quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti
sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e
quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col
grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".
Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della
chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano.
Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di
Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione
della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e
sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista
mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si
dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca
prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore:
Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna
fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al
"biologico" La Cronaca
prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.
L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai
"mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia
presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel
medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia,
chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La
palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore svolta da squadristi e combattenti. Per
esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della
scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti
riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta
da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto
a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro
attività. A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della
scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere
il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra.
L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei
filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come
volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio
di una rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nel reggimento alpini prende parte alla battaglia
delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia
d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito
all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra
in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere
soddisfazione. Alla fine ottenne di partire
come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca
prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia
aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività
di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune
azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in
Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente
incorporato nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la
campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la
conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa
missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco
ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi
i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico
L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto
registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte
avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un
dio o un demone". Il corpo di G. anda disperso e gl’altri
assaltatori che prendono parte
all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E
pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore
della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di
guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.
In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per
l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero
la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e
translata nel piccolo cimitero militare di Klisura. MUSSOLINI e preso
come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso
programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica
fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare,
interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola
di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori che sono nell'opera del Duce. (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i
principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma
in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle
Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni"
voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si
impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi
idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della
Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione
coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati
agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella
esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del
primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo
mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione
permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava
nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare
in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica,
socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo
sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già
visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta
all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il
comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche.
A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come
sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui
conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia
d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al
valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a
diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest guerra
assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario a due
azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa di due
compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal nemico e
avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave
pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante a
ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di
valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia
di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea
disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di
responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente
battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare,
partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando
sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del
pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino
per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come
aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita,
alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa.
Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a
mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e
superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si
lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi.
Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo
eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva
mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo
valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La
via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti
su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché
siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Longo, “I vincitori
della guerra perduta” (sezione su G.),
Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Antonellis, Come doveva essere il
perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su
storia illustrate, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista,
Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le
ricerche di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato.
Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il
saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale
tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica.
Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani,
La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della
guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,
L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola
di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica
fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione
su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La
rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo,
Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia,
Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR
Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M.,
Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti. In breve: Siamo mistici perchè siamo degli
arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini
partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e
nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la
volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più
significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale,
oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica
Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più
significativi scritti di G. È, a nostro
giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua
filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e
il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita
comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio
di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i
propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando
il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di
spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G.,
nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento,
trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la
morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e
della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano:
per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe
con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I
tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi,
i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro,
insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria
amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa
Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica
Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola
rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo
dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni
di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver
Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le
due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di
preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione
Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei
mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.:
Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea,
ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani,
sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come,
con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione
che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente
fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori
e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma
anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra
integrità spirituale (G.) Le conseguenze derivate dalla fine del primo
conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e
dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella
storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un
radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad
allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei
costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera
irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe
più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e
realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi
rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi
in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung. Per Bruck, uno
dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice
tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che
evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce
contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale,
che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una
rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua
posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un
allontanamento dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece
seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più
attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e
stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di
una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine
tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed
estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano
riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse,
sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal
predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più
perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze
della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza
collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate
entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i
rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai
combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo
stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme
di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per
l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori
e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture
politiche, sociali e culturali delle società borghesi
liberal-democratiche. Dalle forme statiche si passava alle forme
dinamiche, nel senso jungeriano del termine. Il Fascismo è la matrice
principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni
nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più
affascinanti sintesi nazionali e sociali. Furono infatti i reduci del
fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare
visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi
nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo
poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro
prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a
rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione
politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero
partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura
sociali. La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il
senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una
nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile
sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del
radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi
fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di
piazza. Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E
il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro
apoteosi. D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che
l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la
rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il
novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11°
Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la
pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente
mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi combattiamo e che
con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle
lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è
riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di
sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo
mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci
sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo
non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.” Una lucida e profetica
anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto
questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al
principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico,
all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e
anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e
carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con
il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della
Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico,
soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una
sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive,
miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile,
l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una
razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca
del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la
vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle
necessità politiche nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una
particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe
rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come
manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la
capacità di tradursi in Rivoluzione. Proprio nel senso di
quell’interpretazione che G. sa dare, facendosi portavoce di quegli ambienti
del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio
gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla
Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione
come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha
documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di
conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione,
attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di
superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria
strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e
Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto
che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che
l’italiano non può che essere fascista. Questa nuova visione della politica
rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione
dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e
culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di
tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza
moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle
cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche
nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta
ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla
società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee,
un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di
saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità,
sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica
alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo
militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e
polverizzata delle democrazie liberali. Un discorso ambizioso per
un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità
politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel
mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una
specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo
dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla
propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si
espresse il Duce parlando all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico
non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è
religioso, che è santo, che è guerriero. Quindi questa figura particolare
dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che
la cultura rivoluzionaria del Fascismo propone e che non mancava costantemente
di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di
sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di
mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché
cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù
“romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei
sentimenti. Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il
discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della
gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come
dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del
cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali
della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito
vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora
proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro
desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa
rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente
giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che
anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e autentica
cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica stagione
dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un
originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti
radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i
riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica
evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di
trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si
nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in
nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di
quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel
mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia
più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio
rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed
interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta
all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto
come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della
Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si
svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del
governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma,
rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il
Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando
il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della
Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e
anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che
la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto
in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece
l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere
tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo
rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella
intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva
assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che
in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si
adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece
mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere
in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una
rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità
e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente
dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma
che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata
bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai
margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate,
sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi,
attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite
spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere
integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si
evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a
Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta
respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione
nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del
Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del
Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI
(si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con
tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario. La Scuola di
Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente
scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e
molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo
Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla
Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta
a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva
farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna
rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove
generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una
mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può
derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il
Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito
nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il
pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco
il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono
nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello
Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e
della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche
della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione
organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato
all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale
facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il
riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo
aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento
della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada
al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista
elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una
autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica,
sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni
essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in
un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per
schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un
richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della
rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e
propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e
rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una
riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del
pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni
trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana
e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano
animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora
sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni
totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifesta con i forti
caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico
esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di
spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di
conservatorismo e di borghese buon senso pur di affermare il carattere
intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del
Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie
reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle
istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di
più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti non vi era altra
strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla
fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo
italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una
fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza
della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo,
proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare
infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e
totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della
Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel corso degli anni che
trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola di mistica fascista
assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero
l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e
dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei
nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi,
quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla
base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della scuola,
i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù
civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida
della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe, l’Eroe
che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare
pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un
popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e
un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere
integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di lettura
emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo
popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta
veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata
dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della
rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente
della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica
si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il
goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno
convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della
sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle
direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla
politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e
di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista
chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo
milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie
nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso
i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi Un luogo simbolico
carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario
collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di
irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione. Il cosiddetto
covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo
centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della
fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il
tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un
riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto
attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di
miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo.
Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi,
infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e
dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei
momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il
navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad
esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per
meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con
stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile. Il
Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che
aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la
gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha
una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo.
Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che
la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha
avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità
di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia
dello spirito umano. Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti
della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più
appassionati apostoli. Anche loro si stano preparando al combattimento –
nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare
degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare così la loro scelta
di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire
all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione. Mistica del realismo
eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano
antiche saghe. Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola
nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il
risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà
venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo
l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il
riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li
encomiò pubblicamente, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia,
incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza
dell’Idea e del mito rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da
vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano.
Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si
continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una
rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata.
Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo
ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli
nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la
politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori
eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo
occorre la fede. È facile ad un certo momento deviare nella politica: voi
dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di
queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi.
Avete tempo di riflettere.” Il secondo conflitto mondiale era però già
iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo. I
mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea
del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo
ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario
“nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169
quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il
processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione
proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota
l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà una
magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte
due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per
chi vuole percorrerla. Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore
come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e
politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte
greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre
volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente
nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir
Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due
tra i suoi migliori campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il
gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I
pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del
Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma
che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della
propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni
della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra
intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie
che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente
di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona
volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a
respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al
servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di
marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i
fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli
invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la
nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo
insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della
Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui
muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente
incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al
Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il
loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento
e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni
trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali
affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di
questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il
Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella
Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi
di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del
ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri
possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre
1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche
istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi
provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le
disposizioni a favore dei debitori, le distri buzioni semigratuite o gratuite
dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose
elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che
mi ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza
o almeno a paralizzarne gli effetti, ben ché nella loro essenza e origine
avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il
favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le
associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico
; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia termiorum, delle
casse di soccorso istituite da GIULIO (si veda) Cesare fra i suoi legionari.
Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali
istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe
specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti,
palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano
e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA CONCEZIONE
FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO STATO. LA
FUNZIONE SOCIALE DELLO STATO. PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE
SOCIALE DELLO STATO NELLA POLITICA E
NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino. Durante il
medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello Stato fascista.
In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione sociale. La
legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e privata. La
legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione del lavoro. La
legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione sull’igiene e sulla
sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere pubbliche. GLI
ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I soggetti. Gli
obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli obiettivi
inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in
particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella
di produttività e a quella di riposo.
Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai
cittadini non risanabili e non
rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo,
adottato dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti
la politica sociale. La famiglia.
L’associazione professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o
pariteticamente, dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere
nazionali parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE
DELLO STATO FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI
SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione
inerente alla sicurezza, all’igiene e
alla sanità pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare
l’igiene e la sanità. La legislazione inerente alla previdenza . Per
incrementare il risparmio. Per potenziare la mutualità. Per favorire la
cooperazione. Per diffondere le assicurazioni Ubere. La legislazione inerente
alla assistenza di soccorso. Per l soccorsi in natura e in contanti. Per i
soccorsi medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla
propaganda, all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per
favorire il perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione
culturale. La legislazione inerente all’integrazione della formazione e
dell’educazione fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e
all’incremento del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della
famiglia. Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La
legislazione inerente a particolari servizi pubblici.Per garantire il
soddisfacimento di bisogni primari. Per assicurare i rapporti e i contatti
economico-sociali. Per valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale
dello Stato fascista. La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento
e al collegamento ielle istituzioni dell’ordinamento sociale e alla selezione dei suoi soggetti.
Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per
ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare
la formazione della classe dirigente mediante la selezione totalitaria del
cittadini. IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI.
Origine, natura e funzione sociale del P. N. F . I Fasci di Combattimento. I compiti. I
soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti fascisti e
Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti I soggetti . L’ordinamento. L’Unione
nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi Universitari
Fascisti. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro. I compiti. I soggetti. L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I
compiti I soggetti L’ordinamento. Il Comitato intersindacale . I compiti. I soggetti. L'ordinamento.
Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere
Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Opera Universitaria. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato
olimpionico nazionale italiano. I compiti.
I soggetti. L’ordinamento. Di
alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale
dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE
PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo
familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla
insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella
vacanza di alcune sue funzioni. Per
integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi della famiglia. L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE
DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I
compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta da altri enti o istituti o da privati. Per
la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni di assistenza. Per la propaganda e la
vigilanza suU’applieazione delle leggi e
dei regolamenti riguardanti l'assistenza
materna e infantile. I soggetti.
L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione
richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione
professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del
cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione
professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica,
premilitare, morale e nazionale del cittadino.
L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI.
L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti.
L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata.
DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale
attuata dalle associazioni
professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente dai sindacati. Per assicurare l’azione
sociale da attuarsi dai sindacati a
mezzo di speciali istituzioni. IL
PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la
funzione sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune
considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione
inerente all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il
produttore obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del
lavoro. Per tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità
di datori di lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e
l'elevazione professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato
fascista. La legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e
della preparazione fisico-militare del
produttore. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL
CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La
legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di
riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a
favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI
'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione
inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze
individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI
CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La
legislazione inerente ai minorati assolutamente non produttori. La legislazione inerente ni
minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA POSIZIONE E
I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL CITTADINO
NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni preliminari. LA
POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE ETÀ. L’anione
previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. Per la
costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della famiglia. Per
li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano. Per iì
cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e
assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione
e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione
intellettuale e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno.
L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al
ventunesimo anno. Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino
che studia. Per il cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno.
DA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e
assistenziale dello Stato per il
cittadino ohe è produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello
Stato per la famiglia e i suoi membri
. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A
RIPOSO . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE
PER IL CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE
DELLO STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI
SUOI ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della
rete consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E
MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le
convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione
richiamata. Appartene alla categoria dei
mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello
morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da
Arnaldo im parò che prima di agire e costruire è necessario ele varsi,
purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto
si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo
imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al tri è prima
indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri
difetti, affinare inces santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà
aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può
suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò
che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof ferenza non
dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le
ricchezze sono effimere e ca duche cose. Quello che importa è quanto è dentro
di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a
strapparci la carne viva di dosso. Es sere se stessi in ogni momento, rimanere
se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un
uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di
quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono
anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi
motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le
intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che
se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol te vette bisogna scalare e talvolta
anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8
i G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi rituale, da
un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta,
«cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di
noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono
misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la
missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più
di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini,
scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa crificio e
nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli
uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di
civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo
della provvidenza, l'e sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci
viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il
condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima
di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in
cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1 del suo popolo,
la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani
nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del
Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene rosi ed
audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna va una classe dirigente che
sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de
gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente
fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric
chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte
le virtù spirituali, intellet tuali e fisiche che sono indispensabili per
poter eser citare con dignità e con efficacia la missione dei co mando.
Concepiva la famiglia nel senso più tradizio nalmente nostro; amava cioè la
sana numerosa fami glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc
ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com battendo-per la Patria e
la donna che nel piccolo gran de regno della casa vive nella serena ed operosa
attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza
lacrime perchè egli sopravvi va nella fierezza dei figli, I quali
continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come
ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria
più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per
lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e
tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran no; la
storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più
nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di
territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera;
per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e
Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli
intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione
e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca Prealpina, e
da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè accanitamente per la
creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico, coraggioso, un
giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun zione costruttiva di
divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che fosse degno di
essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma soprattutto maestro
dei giovani egli fu. All'Insegnamento si consacra con il religioso fervore con
il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte agl’italiani. All'ateneo di
Pavia, al centro di preparazione politica, alla scuola di MISTICA FASCISTA egli
porta il contributo della sua beila cultura fatta di conoscenza e di azione,
illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica da la
parte migliore di se stesso. Tutto quello che di buono e di meritevole è stato
fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro Presidente — proviene
unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e presentarlo come un mirabile
esempio agl’italiani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di
obbedienza ai comandamenti del Duce. È il migliore tra noi: il più
limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede è l'aifiere
più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia
uscissero ì missionari, i portatori del no stro credo politico ed è egli
stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fondamento
della nostra dottrina. La scuola sorge con lui per la volontà di un manipoio di
credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO, così come gli squadristi un
tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio la scuola è un'attività
de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i gruppi fascisti universitari.
Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione di tutti i fascisti. La sua
opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è seguita ed amata anche dai
camerati della vecchia guardia che vedono con intima gioia esaltate e
rinnovate ogni giorno, dagl’allievi della scuola, le due più preziose virtù
dello squa drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati della vecchia
guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato alla riapertura del
Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima
trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai
giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi
alle sorgenti genuine delia nostra Ri voluzione, cogliessero, dall'umile
grandezza delle ori gini, la poesia e il fermento delia vigilia. G. è
soprattutto un fedele ed un in transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un
fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col sangue «alla ruota
sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a qualunque forma di com
promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat teggiamenti; il bello, il
buono, il vero sono da un lato della barricata; dall'altra parte c'è il brutto,
il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo ai Convegno di Mistica: eravamo
alla vigilia delia nostra guer ra di liberazione e c'era in tutti noi una
febbrile im pazienza di decisione. Il tema del Convegno era bru ciante:
«Perchè siamo dei mistici?». I problemi dell'inteiligenza e deila cultura
furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e G.
dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti, agli
innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La dottrina che
conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende dalla
indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene tra e
trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse in
un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri
appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.: Fascismo uguale a spirito,
uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non
si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere
non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della
Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Littorio affermarono
solennemente il loro diritto al combat timento, Soldato dì Mussolini G. è
tra i primi a partire. C'èin lui la preoccupazione morbosa di stabilire coi
fatti una coe renza perfetta tra il pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo
come volontario alla guerra per la con quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente
di partire per la Spagna e non gli era stato concesso; finalmente
sopraggiungeva la nuova prova lungamente attesa. Chi lo vide tenente degli
alpini al fronte occidentale lo ricorda come un esempio di disciplina e di ardi
mento. Ma la parentesi fu troppo breve: tornò insod disfatto, Andò in Africa
settentrionale come corrispon dente di guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa
che il suo reggimento è già sul fronte greco chiede di raggiungerlo. Non puo
vivere lontano dai suoi alpini, gli sembra un tradimento. Parte per non
tornare. Tre volte si offre per azioni rischiose, tre volte è appagato, la
terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo adorano. Con lui sarebbero andati
dovunque: potenza insuperabile dell'esempio! Anda con un manipolo d’alpini a
raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle posizioni
del nemico. Assolge il suo compito felicemente e rapidamente, ma prosegue oltre.
Il suo programma è un altro. Incontra poco prima, lungo il cammino, un camerata
di Milano e gli affida l'incarico di salutare per lui tutti gli amici di mistica
e di comunicare loro che egli è partito per un'impresa della quale si sarebbe
dovuto parlare. Mantenne la promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge
un'altra vetta, sulla quale alta sfolgora la luce della gloria, e a bombe a
mano assalì un presidio greco. Circondato, lotta eroicamente, fino a quando
una pallottola gli recise la gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto..
Così cadde G. Egli è morto come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste
non potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito
alia polla purissima della sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo
degno di luì, Arnaldo gli insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper
vivere, saper morire, nel modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come
deve vìvere e come sa morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o
camerati di mistica, non lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro
ciglio è asciutto anche se il cuore in questo momento acce lera il ritmo dei
suoi palpiti. Ma noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre
file, li suo spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad
additarci la strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento
deve essere anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il
suo amore anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che
Arnaldo, il suo ed il nostro maestro, lo ha accolto nell'altra esistenza,
accanto al suo figlio prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come
il migliore dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di
Jehova in ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale
ideale? Ce lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De
Agri cultura laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo
chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la
maggiore lode a colui che così veniva chiamato. E ciò per chè dalla classe
degli agricoltori nascono gli uomini più forti e i soldati più valorosi e
coloro che si dedicano a tale occupazione non concepiscono cattivi propositi.
Queste parole, questo saggio romano le scrive esattamente, nello stesso
periodo in cui Roma combatte l’ultima e definitiva partita con la semita Cartagine.
Ma, a questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam,
perchè Roma s’è fissata ili questo mito della distruzione totale della città
di Annibaie? La risposta è una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è
solo politica ed economica. È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di
vita. Roma rurale, Roma gerarchica, Roma guerriera ed eroica combatte anche
la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma,
anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi
discorsi col noto ceterum censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel
suo De Agri cultura pone l’ideale romano nella gente nata dai campi, cresciuta
in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, temprata nelle lotte aperte e
solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande romano, che gli
ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16 essi, Apollonio Molone,
come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo nerà
anche lui contro la loro mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che
spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel l’interesse della
Repubblica è prova di saldi principi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella
sua orazione Pro Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che
dice anche ai sordi in quale dispregio avessero i romani i trafficanti di
denaro. Ecco infatti come Cicerone racconta che Catone risponde a chi lo
interroga va sul miglior modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E
in quale altro modo? è richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E
poi? Arare, egli dice ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del
prestare denaro a interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere
un uomo? Come, quindi, i romani, con mentalità siffatta, avrebbero potuto, non
dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con
l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti diplomatici tra
Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO
(si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tollerano, è altrettanto vero che gl’ebrei
anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con
tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di
tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per chè, come testimoniano
numerosi scrittori latini — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da
Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside rano come profano tutto ciò che da noi
è consi derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per chè essi hanno un culto
particolare, leggi par ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Giovenale,
Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di
istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito:
all’assedio e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo do, due secoli dopo
Cartagine, anche sull’or goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e
viene cosparso il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo
eletto e che per invidia di capi e per in comprensione ingenerosa di popolo
avevano tra dito e condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del
Profeta che smentirono la profe zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La
profezia del Golgota ebbe in tal modo realizza zione per mano di Tito, di quel
Tito, il cui arco, forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli
inconsciamente servì, s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma,
quasi a testimonia re e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e
della verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e
alla Chiesa di Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico,
il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica
della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina
liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giani: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del
melodramma – filosofia torinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo
torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I
love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is
Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful:
if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to
emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the
‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no
‘music’ in Dionysus, only noise! Trust
an Italian to correct Nietzsche on that point!” -- Appartene ad una famiglia dell'alta
borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo
zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente
all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si
dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di
Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla
seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro
musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale
la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale
italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di G.,
soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi
poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche
l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si
propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico
diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti
filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”,
dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita:
in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta
"arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale
evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello
spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora
considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il
solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna
fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è
singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di G. e
Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero
delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica
concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica
del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla
cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura,
G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui le immagini
della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente.
All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla
posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento
della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e
dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette
morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe
contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica
nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal
saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia
dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo
cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca
della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo.
Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla
base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei
drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della
tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni
metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto
profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più
alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone
principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità
nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma
prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi
musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute.
Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche
per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora
cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente
le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse
come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e
esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini. G. stesso è
librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai
rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne molto noto in tutta Italia
per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce. Non è particolarmente
ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria dell'arte come
intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale
e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene
sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri
seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso
pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non
vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che
addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce
al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato
italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto
particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della
“fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi
scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in
particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi
di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente
difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi
musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò,
pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca
continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della
musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila
figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle
suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in
essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del
"critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un
"critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso
cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei
quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a
lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati
"ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e
proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo
ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome. Altre saggi: “Per
l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista
Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto
di potere -- Il “Nerone” di Arrigo
Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con
lo pseudonimo di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca,
in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel
Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi
Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce),
Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in
morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In
memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale
Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia,
Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del
passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e
la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo
Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”,
Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli
interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di
Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo,
Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da
Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi. Laureatosi in
giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando
esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si
occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe
profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate
dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È
tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana,
alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi
di pseudonimi. Esordì sul primo numero della rivista con la critica
"I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus.
italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per
musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori
sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.
In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi
sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e
altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o
"l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come
sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il
saggio critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.),
che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in
cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di
Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il
pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte
musicale. Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato
pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G.,
ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova
versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo
di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia
greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce
L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul
ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. G.
inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO
(si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti
d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata
dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e
L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck,
musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la
rappresenta a Genova. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il
Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso
sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica
crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica
inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo
idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la
originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G.
ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.)
rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain
assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del
Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino
1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di
Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il
Sillabario di estetica (Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica
aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui
evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si
riaprì con lo scritto La favola
dell'aridità con il quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale
italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità
creativa" il secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non
soddisfece G., che replica con Il parto settimello. G. scrive inoltre
numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna
musicale, a cui collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A.
Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano:
Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di
N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi
critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una
biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti
della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G.,
ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo,
Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei
musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie.
Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giannantoni: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia
perugiana – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo
umbro. Filosofo italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one,
he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic,
Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly
‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the
‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my
philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di
Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto
laica della del divino e della religione (Religiosità, che Socrate, il quale
era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso
da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina
storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica
si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.Questo
spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera
monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G. ha
sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un
filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita
longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza
dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione
interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti. Convinto dell'onestà intellettuale come
valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della
filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica
dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un
profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di
farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo
da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da
una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme.
Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una
grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico
arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla
volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando
questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.
Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più
scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di
Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella
sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica
l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la
conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il
co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica
dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici
(Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia
italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee,
Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova
Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate.
Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari:
Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari:
Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari:
Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di
storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis
et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G., Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni;
Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati
della legislatura. Op.cit. Centrone, ed.
Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla
sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali G., di formazione gramsciana veniva accusato
come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi
perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero
greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o
abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia
filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio
del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su
richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per
la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico
si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come
una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia
della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia
filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo
fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete
scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il
Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’
Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la
direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu
inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo
fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di
rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della
costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento
che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in
secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire
all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni,
progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne
coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303,
ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”,
stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione
si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università “La Sapienza” di MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI
Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico
fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di
colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico
profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione
di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre
principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia
della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in
certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e
metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso
scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate
come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole
ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto
storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico –
cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti,
parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto
a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si
inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia
antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente
innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi
nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche
(delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva
un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato
sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione
di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa
a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi
scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle
iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che
esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo
specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una
approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana
era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui
esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos
intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico
(“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero
antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione
critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno
teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di
una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che
Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero
oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la
positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più
alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele,
coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale
astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee
trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica
puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la
teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico, nonché la capacità
di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella
filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni
profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica
ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e
diritto, come categorie dello spirito. G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo
qui i riferimenti da Croce. Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali
precisi, sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in
Gentile, sia da Gentile. G., rimanda a Croce; si veda Croce e a Croce, si veda
Croce ILIESI digitale Temi e strumenti copertina di “Elenchos. Per l’altro
verso, però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e
salutare, alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna
sviluppata in Germania, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione
della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non
essere una disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i
grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura
antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni,
si affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva
della visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente
della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente
nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle
filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione
dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero
il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue
in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse
cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto
la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto
quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce
di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia
idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della
filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri
monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto
umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile
oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito
un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da
superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa
riferimento prese le mosse da edizioni
di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte
che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano
comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla
monografia di Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al
riguardo: il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e
storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione
dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni
gentiliane intorno al filologismo che affligge la storia e ostacola la
costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo. Tracciando nel
primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno, quello che è
tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel
cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione
né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero
antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi
importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia
del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione, non
solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo
ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica,
ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica
hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra
quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che
erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la
conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e
ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto
nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando
G. scrive queste parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e
fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un
pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le
messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante,
quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi
storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di
delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che
il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è
quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra
il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di interessi messi in
campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi.
Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni
socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione
dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia
filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di
Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio
deprezzamento delle tradizioni minori. Ed è appena necessario [G. Il riferimento a Calogero è da intendersi a
Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di
Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo,
non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia
classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso
come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del
pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le
rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col
considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà
razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la
figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito
dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni
ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e
storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni
di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori
dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto
paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo
tramite tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni
discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene,
sulla tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola
Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si
profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che
concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica:
l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la
possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica
aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu
composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica
classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le
dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come
precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi determinati,
non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti
filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi
sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche
minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto,
Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica
diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello
del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la
prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto,
contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della
pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe
stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e di
diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di
Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del
magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale
critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo
capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto
ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi;
Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea,
sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come
Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il
superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei
contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che
dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle
principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post-
aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di
ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di
Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”,
organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui
direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati
nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al
Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle
filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti
concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età
imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul
tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella
quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma
ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono
messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo;
Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti
11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche,
traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico
peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo
filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da
questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico
che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze
della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di
comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale
non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione
indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di
apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione
dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali
sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione
che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti
filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola
testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica
dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di
individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza
lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al
contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità
(secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una
lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è
che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi,
emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la
testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di
storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un
capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un
millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle
tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene
irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti
mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano
l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il
nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che
presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle
problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di [Sulla
cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni
filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito dell’opera di Vitelli,
la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente
alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Filopono. G. dottrine riportate da testimoni spesso assai
lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si
vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un
capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce
il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe
ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità
senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite
dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le
raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche
dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi
Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a
meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia
filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti
editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati
alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di
quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio
di filosofi di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai
quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE
e Plutarco -- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con
testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come
Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo
dossografico e quindi un segno della tempestività e della sensibilità di G. nei
rispetti di un terreno di ricerca che si venne imponendo e che di fatto
contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui attività progettuale e
congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo
ellenistica ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche
una linea di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto di un
vivacissimo [Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20
Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena
necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono
coniate da Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria
filologico-storiografica, cfr. Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld,
rist. in Mansfeld-Runia – cf. GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” –
Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY: H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la
questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca,
in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’
“agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione che Platone
teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta
traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale
all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine
aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser,
ordinario di filologia a Tübingen e uno
dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la
Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne
pubblicato nel primo numero della rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che
merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte
di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per
riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più
precisamente per le cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto,
Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle
precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne
offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle
proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la
visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire
Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia
italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea
d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie
ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro.
A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del
Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in
Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante
collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e
scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin,
una unità di ricerca del Gaiser ILIESI
digitale Temi e strumenti Centre de Recherches sur la Philosophie Antique,
Centre de la Recherche Scientifique, ma operante all’interno e sotto
l’egida Francesca Alesse G.
e il Centro di Studio del Pensiero Antico della Sorbonne (perciò
definito anche Unité Mixte de Recherche), in modo non troppo dissimile
dai Centri di Studio del CNR istituiti in regime di convenzione con i
vari atenei italiani. La collaborazione con questo Centro si focalizza
sulle tematiche socratiche e da luogo al ripetuto scambio di filosofi tra le
due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della
filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi pubblicati sotto
il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono G. e Narcy, per
Bibliopolis di Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui
G. guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti
rapporti scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO
PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da, Gigante. I motivi di
tale collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco
per la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e
votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti nel
sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio inestimabile
per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione socratica, del PORTICO. Ma sono
anche ragioni metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si
concretizza in varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono
entrambi i Centri: i testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un
materiale che permette di arricchire enormemente la conoscenza di molte
importanti tradizioni filosofiche, a condizione di possedere un complesso
di conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono
trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate
contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi
due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro,
di alte competenze filologiche, contribuì in modo significativo a
costituire quella storiografia della filosofia antica che aveva, almeno
per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto
proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto
o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue
pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia
antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico,
oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite
l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una
descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una
iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un
indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica
storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è
emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio,
sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si
pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi
esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di
intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare
ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della
filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali
innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle
impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia
della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato
il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle
scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo
stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente
conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia
le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo
di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le
premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla
specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza
perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della
filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la
filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una
rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può
non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella
della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale
isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno
diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso,
la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia
avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma
anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è
o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla
lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo
la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di
operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che
l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e
l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi
come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della
filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La
serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica
sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del
filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica,
linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene
ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture
altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi
ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione
delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano
state date entro un certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che
investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le
relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca
individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni
ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza
un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con
Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione
di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla
filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del
quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi
partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta
collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica,
Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno”
(Pavia) ILIESI digitale Temi e strumenti G. G.-Vegetti
Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea
d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il
congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della
filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico
di ETA IMPERIALE Sesto Empirico (“Sesto
Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi
un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica
è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA
è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la
sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua
testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle
informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così,
mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione
della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico,
restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi
nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a
prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello
delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Gigante, permise di
allestire negli anni subito successivi un grande congresso sul tema “L’orto romano”
(Napoli-Anacapri, ILIESI digitale Temi e
strumenti 19 Figura copertina di Laerzio storico del pensiero
antico, Atti del congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti
pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento
di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono
cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed
epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di
questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene
alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi
di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti
tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e
pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro
operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di
direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle
di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento
inedito della sua opera”, Agrigento. Il
primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un
raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare
l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione,
sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il
secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita
del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che
accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”.
Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e
romano, Atti del congresso, cur. G. e Gigante, Napoli, Il concetto di
pathos nella cultura antica” (Taormina coperta del Papiro di Strasburgo
contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione
con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove
essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni
culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore
pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici
interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli
obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino
collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono,
di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della
didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla
realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche
abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema
Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo
grande progetto e articolato in cinque linee di indagine, la prima
delle quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a
scrivere il saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e
Sicilia, apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle
attività promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività,
cui si è fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna
Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e della
Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le
metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro Il
Progetto Strategico, svoltosi e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato
nel 1994 dal Biagini ILIESI digitale Temi e strumenti 21 Comitato
Nazionale di Consulenza del CNR per la filosofia, allo scopo di
convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete
scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al
Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al
fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo
costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà
molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori
disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di
metodo ad una naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni
culturali. Origine e incontri di culture nell’antichità”.
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in
questo progetto l’antico interesse di G. per la trasmissione delle
cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle quali per l’appunto
fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il
ruolo svolto in tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e
Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si sarebbe poi unito il
costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.
Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro riuscì
a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla posizione
accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica si formò infatti raccogliendo i suoi allievi,
che si unirono ai ricercatori già in forza presso il precedente Centro di
Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale,
inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor
meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di
studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di
rilevanza strategica. I maggiori convegni venneno quindi preceduti
da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di Diogene
Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si
svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza.
Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul
Mediterraneo antico, il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia
borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il
Centro riuscì a dar vita. Due furono le iniziative editoriali,
strettamente coerenti con l’idea programmatica che ispirò la costituzione
del Centro: la serie “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia
antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta
del medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in
riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello
stesso G., che riteneva la discussione, il confronto -- elenchos, appunto
-- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi della cultura
filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito alla formazione
della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo un’angolatura più
tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per
eccellenza dello studio del testo filosofico antico e della dottrina in
esso contenuta, come mostrano i primi autori di una nascente “storia
della filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto,
com’è assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE
– H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei
limiti del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o
promosse dal Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe
affidate alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di
Filosofia, di Franco. La collana e destinata in larga misura, benché
non esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano
concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la
ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in
primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,
disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una ricerca individuale, preparato
da molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle
testimonianze relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata dell’APPARATO
CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione), rappresenta la più
importante espressione degli interessi tematici e dei principi
metodologici che caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti
considerare i volumi usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle
tradizioni socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle
edizioni di testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora poco
studiati, per apprezzare l’impatto delle ricerche di G. su tutto il
gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica. ricerca
del Centro. Naturalmente la collana non e preclusa ad critici
su tematiche di grande rilevanza nell’ambito del platonismo e
dell’aristotelismo e delle filosofie della tarda antichità, promuovendo
in tal modo uno scambio costante con la più ampia comunità
Quanto alla rivista, è forse opportuno rimandare direttamente
alla Presentazione che G. Figura 6: copertina del primo volume di G. G.,
Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa
fa molto ben intendere tanto la relazione essenziale tra il
programma del Centro e il periodico che di quel programma doveva essere
lo strumento di diffusione; quanto l’apertura al dibattito che la rivista
(e quindi il centro stesso) si prefigge; quanto, infine, la tempestività
di un’operazione culturale che il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha
la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti
programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale
delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia
antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo
Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno
strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto
di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa
rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi
in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di
questi [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive,
sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia
delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento
della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti Questa situazione è rimasta invariata, e cioè
fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa,
e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più
ambizioso; se è vero, come è vero, che la storia della FILOSOFIA ROMANA è
un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della
storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che
tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una
fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle
proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il
compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi
diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue
pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono
venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e
delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi
di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella
Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro
di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G.
nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale
contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno,
Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi
classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté
disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos.
Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del
Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali,
Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone
(Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università
degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo
con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma);
Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio
(Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro
formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro,
lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività
editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare
Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università
di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di
diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo
dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi
scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né
dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e
Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia
delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito
volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini
confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero
filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea
greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel
mondo antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu
rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le
tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del
Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,
connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre
garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana Elenchos e
la rivista Elenchos. Da questa permanenza delle ricerche sul pensiero
antico nella nuova realtà istituzionale si deve ricavare non solo e non
tanto l’attualità di una disciplina (che si è comunque stabilizzata nel
mondo accademico con la benefica diffusione di cattedre e centri di
insegnamento, in Italia e fuori), quanto piuttosto l’attualità di un
metodo di lavoro. Questo metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un
po’ aulicamente, come un nuovo diatribein socratico, cioè come la
capacità di discutere in modo competente con i “morti” prima che con i
vivi, rispecchia abbastanza bene la disposizione intellettuale e
comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i
contemporanei, quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo
antico.] Gioè, Nucci, Santoro, Gambetti
e Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata
digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e
della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A
questa linea, diretta da Celluprica, fanno riferimento i ricercatori già
operanti nel Centro, a cui si aggiunge Chiodi, specialista in storia delle
religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. Arnim, Stoicorum Veterum
Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and
Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini (cur.),
Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali,
Roma, CNR Edizioni. Brancacci, Le orazioni diogeniane di Dione Crisostomo, in G.
(cur.), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino,
Brancacci, Il Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, Calogero, Gli studi italiani sulla filosofia antica, in Antoni,
Mattioli (cur.), Vita intellettuale italiana. Scritti in onore di Croce per il
suo ottantesimo anniversario, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Cambiano,
Il problema dell'esistenza di una scuola Megarica, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino Celluprica,
L'argomento dominatore di Diodoro Crono e il concetto di possibile di Crisippo,
in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il
Mulino Croce, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza. Croce,
Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della
pratica: economica ed etica, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della pratica:
economica ed etica, a cura di M. Tarantino. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto
Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Logica come scienza del concetto puro, a
cura di C. Farnetti. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli,
Bibliopolis. Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica
italiana, a cura di M. Mancini. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto
Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura
di E. Massimilla, Tagliaferri. Edizione Nazionale delle Opere di Croce, Napoli,
Bibliopolis. Pra, Lo Scetticismo greco, Milano, F.lli Bocca, rist. Laterza
Caizzi, Antisthenis Fragmenta, Milano, Cisalpina. Caizzi, La tradizione
antistenico-cinica in Epitteto, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Diels, Doxographi Graeci, Berlin,
Reimer. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann. Donini,
Stoici e Megarici nel De fato di Alessandro di Afrodisia, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Gaiser, La
teoria dei principi in Platone, “Elenchos”. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, Pisa, Spoerri. Gentile, La riforma della dialettica
hegeliana, Firenze, Sansoni. ILIESI digitale Temi e strumenti Alesse G. G. e il
Centro di Studio del Pensiero Antico Gentile, Storia della Filosofia (dalle
origini a Platone), in Bellezza (cur.), Gentile. Opere complete, a cura della
Fondazione Gentile per gli studi filosofici, Firenze, Sansoni. G., I CIRENAICI.
Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze,
Sansoni. Scuole socratiche MINORI e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino. La
storiografia idealistica, ELENCO. Lo scetticismo antico, Atti del convegno
organizzato dal Centro di Studio del Pensiero Antico del CNR Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Tavola rotonda. La storiografia filosofica sul pensiero antico,
“Elenchos”. In ricordo di Calogero, Elenchos. G. e Gigante, L’ORTO romano, Atti
del Congresso Internazionale tenutosi a Napoli, Elenchos, Napoli, Bibliopolis.
G. e Narcy (cur.), Lezioni socratiche Elenchos Napoli, Bibliopolis. G. e Vegetti,
La scienza ellenistica. Atti del Convegno di studio tenuto a Pavia Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Humbert, Socrate et les petits Socratiques, Paris, PUF. Ioppolo,
Aristone di Chio, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino, Parente, La valutazione dell’epistemologia dei
peripatetici, e in particolare di Statone di Lampsaco, nell’ambito della
valutazione della filosofia ellenistica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori
e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Liburdi, Materiali per una storia
dell’ILIESI, ILIESI. Relazioni Tecniche, ILIESI-CNR. Mannebach, Aristippi et
Cyrenaicorum Fragmenta, Leiden- Köln, Brill. Mansfeld, Doxographical Studies.
Quellenforschung, Tabular Presentation and Other Varieties of Comparativism, in
Burkert, Gemelli Marciano, E. Matelli, Orelli, Fragmentsammlungen
philosophischer Texte der Antike – Le raccolte dei frammenti di filosofi
antichi, Göttingen, Vandenhoeck et Ruprecht, rist. in Mansfeld-Runia,
Mansfeld Mansfeld, Deconstructing
Doxography, Philologus, rist. in Mansfeld-Runia Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual
Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The Sources. Mansfeld, Runia, Aëtiana.
The Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The
Compendium. Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a
Doxographer, Leiden, Brill: Studies in the Doxographical Traditions of Ancient
Philosophy. Manuli, Vegetti (cur.), Le opere psicologiche Socratis et
Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit apparatibus notisque
instruxit G., Elenchos Napoli, Bibliopolis. di Galeno. Colloquio galenico Pavia, Napoli, Bibliopolis. ILIESI
dTemi e strumenti Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico Mondolfo, L’infinito nel pensiero dei Greci, Firenze, Le Monnier.
Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica, Firenze,
La Nuova Italia. Patzer,
Antisthenes der Sokratiker. Das literarische Werk und die Philosophie,
dargestellt am Katalogen der Schriften, PhD dissertation, Heidelberg
University. Repici, Lo sviluppo delle dottrine etiche
nel Peripato, in G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica,
Bologna, il Mulino. Sillitti, Alcune considerazioni sull’aporia del sorite, in
G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino.
Untersteiner, I Sofisti, Torino, Einaudi. Usener, Epicurea, Lipsiae, Teubner.
Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vegetti Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis Vegetti = Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La Repubblica,
traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis,
e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura
di Mario e commento a cura di Mario e commento cur. Vegetti, Napoli,
Bibliopolis. a BS’l RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia
Classica II 6xi|iòvtov di Soorate. Como già nei tempi antichi, cosi
anello più tardi il 3 r.|iàviov di Socrate lui sempre suscitato il più
vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni nostri oggetto di studio. Ma,
per quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata
ago- volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi
successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una
spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause
dèlia tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle quali
dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono, come si sa', gli scritti
di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo subito di fronte ad una
questione molto discussa c cioè; quale dei due autori sia rispetto alla
dottrina socratica il più attendibile. Poiché i rapporti di Platono o di
Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di
Socrato in un modo assai pronunciato, è chiaro che dalla decisione alla
quale arriviamo rispetto a questo divario, deliba infine dipendere la
soluzione del problema. 1 > m,to che nel diciottesimo secolo si fece
strada il parere del leib- niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti
di Senofonte sarebbero per lo studio del socratismo i più veritieri,
parere che ha avuto fino ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in
linea generalo anche Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però,
Schleiermacher ed altri insistettero che por la valutazione della
dottrina socratica do vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone.
Di fronte a queste due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio
possiamo chiamare intermediario. Senza entraro in particolari, si può
dire che, sebbene gli atti attorno a questo divario non siano ancora
chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo
di Platone una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il
nostro quesito non è ancora risolto. Secondo Platone il Sxigóvwv
agisce in modo esclusivamente inibitorio, esso non è mai incitativo.
Secondo Senofonte, però, funziona nei due modi. Si è, è vero, creduto che
la contraddizione tra lo due versioni fosse soltanto apparente, perchè,
se il «aigóviov non inibiva Socrate nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è
detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp
s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li,
1, t* '.al., (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine
positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità venga con una talo
interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in realtà le
differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè
diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non andare via ! quosto
equivale praticamente al comando positivo: rosta ! Ma con ciò la cosa non
è fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo guidaro, da una
azione, che egli è in procinto di compiere, do, è vero, con ciò il mio
consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì da motivi sorti
nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E so, in un altro
caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli altri ordini
positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con
ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo
agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi
che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo
in senso positivo ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione,
i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo
strumento del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal
lato etico, la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado
in questo caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono
altri esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a
poco al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini
positivi dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui
deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in
seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la
sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato, per
l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la
differenza non si lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla, essa
riappare sempre. Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò
facondo ammettiamo anche che una dello due versioni non può essere esatta
e cho si deve decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come
vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene
oggi quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo
conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il
Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o
specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho
per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta
sicurezza da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da
parte in questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto
il nome di Platone e che trattano del Saipóviov escludiamo il Teagete,
perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K.
Akad. d. Wiss . i zu Wien] orilo. L’autenticità
dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo accettiamo con
riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane, malgrado lo obiezioni
di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino per noi valore
VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza entrare
rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino cronologico
delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in cui fu scritta
Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in- i rmazione
intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu- .dcigi c ciò è per noi importante fa salirò l’origine di quest opcra ad
un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del illusolo,
l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta a
Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo
primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse
Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba
riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe
arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni
psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si
connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià .di Platone si tratti di una
fedele riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di
Atene, o se si tratti soltanto di una riproduzione piu o meno fedele del
contenuto dei suoi discorsi. La prima opinione è quella di
Schleiermacher, della seconda è Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià
un'opera d'arte, in cui lo spirito socratico o quello di Platone si trovano
armonicamente fusi insieme. Ambedue le opinioni hanno avuto i loro
fautori. Considerazioni psicologiche mi hanno condotto nelle duo questioni
accennato a con' inzioni che risultano da quanto seguo. Come si vuol
spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi
spiriti della razza umana, o come si potrebbo comprendere la elevazione
morale clic ognuno devo provare in sè, quando vi si abbandona senza
pregiudizio, so non si ammette che essa suscita nel lettore la
convinzione di sentire la parola viva di Socrate stesso? Quale valore
potrebbo avere questo scritto, se si volesse considerarlo unicamente come una
creazione d'arto, come una descrizione dell’ideale platonico? In questo
caso dovremmo bensì inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo
avremmo cosi un Socrate come Platono avrebbo desiderato che egli fosso,
ma non come real¬ mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità
incorporata davanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli
aveva conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest
uomo un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di
idealizzarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?
P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen, F.
Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons
sàmmtl. Werke, Per quali ragioni poi l
'Apologia non fu scritta in forma di dialogo? Nessuna introduzione,
nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso tra i singoli discorsi,
nessun accenno a circostanze secondarie interrompono l'azione in questo
meraviglioso documento. Non dovremo convenire che soltanto forti motivi
psicologici indussero l’autore ad esporre cosi lo sviluppo del processo?
Non si dimentichi neppure quanto diversamente Socrate parla della morte
ne\\'Apologia e nel Fedone, la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta
molto più tardi. Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla,
mentre nel Fedone è Platone che motto, entro la cornice della realtà
storica, la propria convinzione in bocca al suo amato maestro. Vi
sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone
ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬
tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino che
faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di Sileno
clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo clic
Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come nessun
altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente per la
filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i particolari esteriori
che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza i quali non
possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente il timbro e la
cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti
mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi fattori clic, secondo la
leggo della fusione psichica, cooperano a lar sorgere in noi l’immagine
di una persona a noi nota c che, tutti quanti, esercitano la loro
influenza dormito la riproduzione di un suo discorso. È inoltro
cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce tanto più fedele,
quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬ giore era l’interesse
che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può immaginano
un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente? Figuriamoci
lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle labbra del suo maestro
e che appercepisce attivamente ogni parola da lui pronunciata; ridestiamo
nella nostra immaginazione l’uragano di emozioni che lo travolge, le
fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed il timore, tra l'ammirazione
della grandezza sovrumana che si palesa e lo schianto per la certezza
della perdita irrimediabile, e si dovrà convenire elio l’organismo umano
forse non sopporterebbe tali stati d’animo una seconda volta. Sappiamo
che emozioni come queste non passano facilmente, ma (die tornano sempre
in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane senza
espres¬ sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si comportano
diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni ed ogni
artista le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita. Ora,
anche Platone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile
emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro
per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva
ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò
clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por
dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede
luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che aveva
visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono ed
agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque
VApologia platonica. Essa non è un rapporto stonogralico, perché è certo
olle anche questa riproduzione doveva su¬ bire quei cambiamenti che,
secondo i risultati della trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i
processi riproduttivi. Perciò non ogni parola ebbe il suo posto
originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬ sione un po' più breve, un
altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma quanto al resto il documento
è. come per il contenuto, cosi puro pol¬ la forma tanto fedele, quanto,
data la mente Idi un Platone, era umanamente possibile. Con ciò ho esposto II
mio punto di vista rispetto allo due questioni sovracconnatc. No risulta
che dobbiamo fondarci nella nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in
quest'opera intorno al &tipóviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni
contenuti negli altri scritti di Platone non contraddicono in alcun modo
i dati precisi dell’Apologià. Per quanto concerno lo opero di
Senofonte che ci interessano, bisogna ricordare che esse furono scritte
parecchi anni dopo la morte di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai
informati intorno al fenomeno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza
del grande filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della
condanna, Senofouto metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il
Saipòvcov di Socrate in relazione colla fedo popolare nello divinazioni.
Ciò non può sorprendere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea,
già invaso dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene
presente elio Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa
ragione non dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò
che era nuovo ed essenziale nella concezione socratica del
fenomeno. In Meni. è detto clic il divino (vi Saipòviov) dava segni
a Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali
messaggi a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò
che dovevano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio
seguivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non
li seguivano, dovevano poi pentirsene. Meni. contiene il noto
colloquio con Aristodemo. Socrate domanda ad Aristodemo, clic cosa gli
dei dovessero l'aro per convincerlo elio si curavano anche di lui. A ciò
Aristodemo, alludendo al S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente,
che dovevano mandargli dei consiglieri per fargli sapere quello elio
doveva faro e non fare, corno Socrate pretendeva che fosse il caso
spo. In Cono. Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o
non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,
come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio. È evidente che, se non
avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il ixigiviov di Socrate sarebbe
rimasto per sompro un fenomeno inesplicabile. D'altra parte però le
comunicazioni di Senofonte sono di grande valore, in (pianto che fanno
vedere il modo in cui in Atene si giudi¬ cava questo fonomono, ivi assai
conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel
suo primo discorso (Apoi.), che egli non si era occupato di altari
politici, perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r.
-/.od Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/.
r.x'.Sif) vi era stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni
volta che gli sopravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva
mai spinto a qualsiasi azione. Nel discorso Socrate spiega, come la solita
divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato sovento
fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi- xpotg),
ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬ venuto
durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare, mentre
durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché la morte
non poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario il solito
segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel parlare.
Alla fine di questo discoi-so ripeto che il morire doveva ora essere per
lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij- pstov) l'avrebbe
avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto,
non possono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo
attribuito all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già
detto, non sono menomamente in contraddizione con quolli dell'Apologia,
essi hanno certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano,
come Platone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso. Nell'Atò/drtde
I l’autore si servo del fenomeno per iniziare il dialogo. Socrate dice ad
Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti anni non gli avesse più
parlato, perchè un ostacolo di natura non umana, ma demonica (oùx
ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene aveva
impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su che cosa
Meleto abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli
rimprovera di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E
Eutifrono gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla
sempre del suo Sxtpóviov. Noi Teetelo Socrate parla della sua
maieutica e dico che molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non
comprendendo la sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che,
se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov)
gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che
questi facevano di nuovo progressi. Nell 'Entidemo, un dialogo, in
cui Platone fa vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica,
Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico
clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in procinto di
andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno demonico (tò
siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei
duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già
oltrepassato di molto il socialismo puro e semplice, come risulta dalla
spiegazione elio dà dell’anima o dello ideo. Dopo una meravigliosa
descrizione del paesaggio vediamo corno Socrato o Fodro si coricano sulla
sponda dell’Ilisso nell'omhra di un albero. Socrato ticno il discorso sul
bel ragazzo che aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse
su questo tema, ma So¬ crate gli risponde che, in procinto di
attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò
ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl, gli era parso di sentire una
corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio lo impediva
di andare via prima di essersi purificato da un peccato commesso contro
la divinità. Dice ancora che egli deve essere veramente un divinatore, ma
soltanto per ciò elio riguarda lui stesso, e continuando rileva dm la sua
divinazione rassomiglia all'arte di quelli che leggono c scrivono male,
perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò
egli passa man mano agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone
si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in
cui so n'è servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il
fenomeno per rendere possibili i discorsi che seguono. Nella
Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò
ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o
quasi a nessuno. So analizziamo più da vicino il problema,
vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno
dopo l'altro. S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia
potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si
connette l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente
inteso per questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la
psicologia empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito
e, fino ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia
dei popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia
individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista
della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute
attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto il quale,
sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte
trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,
questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-
talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale,
mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il panteismo.
Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono
non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili
questi ultimi vengono attribuite anche ai demoni. Per ciò accado olio lu
coscienza popolare non distinguo sempre nettamente tra dei e demoni.
Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto
l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione,
in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno tra gli
dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione
deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo discorso
di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia
dei popoli si può diro elio col «aipóviov di Socrate il concetto del
demono torni nell'anima umana, nella quale, per motivi psicologici e per
processi di oggettivazione, è nato, vi ritorna filosoficamente
trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo
sviluppo elio Socrate nel Convito di Senofonte chiama l'anima umana un
santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse
da un punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente
dal punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli
nella sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o
so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima
interpretazione, l’accusato corea di far vedere l'assurdità
dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di
demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E
quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni sono figli di doi,
la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli
dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò anche a quella degli dei
stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano colpevole, erano in
piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate
dice ancora ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità,
abbiamo in mano la chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui
ancora notare che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone,
secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo.
Dico questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno
speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in
conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o
uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
crede puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di
tutte Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, ni; Clemente der VSt/cerpsi/chol.,(21
Op. cd. Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di
Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è assolutamente
certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in asso, una
volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o grande, dolla
vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè di non compiere
la sua missione. In questa cortezza, che forma una parte della sua fedo
religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia, colla quale egli
lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad essere qualche cosa
di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche cosa di umano,
perché si produce nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo
interiore. Per ciò il demonico stava veramente, come il demone della
mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora
in fondo persuaso che prima di lui questo dono non era stato posseduto da
nessun altro mortale. Ecco ciò che vi ha di nuovo nella concezione
socratica della divinazione, di fronte a quella della fede popolare. Como
dalla Repubblica di Piatone, questo fatto risulta anche dalle superbe
parole, colle quali Socrate si esprime sul suo valore davanti ai suoi
giudici (Apoi.). Tali parole può pronunciare un ammalato di mente, che si
deve compatire, ma quando escono dalla bocca di un Socrate, sono
l'espressione di una profonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque
miri a tini etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca
di scolparsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in
quanto al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche
(Apoi.). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della sua
etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico, è
importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il politeismo
ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo giudaico. Socrate
era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo. Educato in (inolia
religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente legato allo
prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la massima di Delfo:
conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire alle leggi.
L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione di non
dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone), e poco prima
aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale, se ora
permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non raggiunse l'altezza
dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa, perchè sulla*larga
base della religione popolare si eleva, quale sintesi della sua
conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbidire più che non agli
uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un apostolo (Apoi.). Socrate è
tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il suo Dio è l’intelletto che
governa l’universo e per il quale non trova neppure un nome, un divino
onnisciente ed onnipresente, che [LABRIOLA (si veda) Socrate, cur. CROCE
(si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni.). Tutte le
sue pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza
nomo, clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione di
ledo in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l).
Tenendosi presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua
incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima. Il
l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte
accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato
accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme
divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,
per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare del divino. Non è
qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo soltanto elio troviamo
precedenti in Senofane e che audio Anassagora aveva già riconosciuto un
unico principio immateriale che tutto ordina secondo lini. Che Socrate conoscr
l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone
(Fedone). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono
senz’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano
Socrate come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel,
che mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie
mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia
empirica moderna. So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci
presenta, è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un
processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non
può trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina
intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non
appartiene all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma
si trova piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da
quella dei sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di
risolvere il problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che
si forma in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti
parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito
della coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è
inteso, che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo
ripetutamento affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che
l’inibizione parte da un sentimento, al quale non corrisponde un
contenuto oggettivo, sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna
indicazione precisa [Cfr. pure (I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de
Si,croie ni. 1 C. Du Prel, Ine Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che
Du Prel l'accia uso ilei Teapele, benché riconosca che questo non sia
un'opera di Platone. Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva
ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „ non vuol alludere ad una
allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo Cuccante. Si
aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse tale origine, questo si
rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò che non è
assolutamente il caso. ] intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non
lo chiama semplice¬ mente il demonico o il divino, contentarsi di termini
metaforici. Parla, ad es., di una voce, come oggi si usa il termine voce
della coscienza. Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene
poi attivamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere
di un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo
costringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione
viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui non
possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone. Non vi
è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun conflitto tra
doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver
avuto trasmesso un divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo
Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che lo guidano nella sua
intera attività filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta qui di un
fatto psichico clic si verifica in ogni coscienza normale più o meno
frequentemente, benché molte persone non lo osservino o non si lascino da esso
frenare. Di Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso
molto intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato
in sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che
egli aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua
fanciullezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso
una certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per
tempo si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il
fenomeno era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento
cho egli era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione
divina, questa convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo
continuo autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione
teologica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che
governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto
esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni
grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la
coscienziosità colla quale cercò continuamente di compiere la sua missione, e
colla quale mirava sempre ai medesimi lini, doveva renderlo
straordinariamente sensibile o facilitare la formazione di tali sentimenti.
Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo sue
azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano trovati i punti
principali «he debbono guidarci nella spiegazione psicologica del
Sacgóviov di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro più esteso, ed
in questo sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori più di quanto
mi è stato possibile di fare in questa breve comunicazione. Zuccante, Kiesow. SOCRATE ET l’Amour
Grec. SOCRATE ET l’amour grec (Socrates sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON.
GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue Bonaparte, jegg^arean Gesner,
1’auteurde JgE cette curieuse dissertation, est I S&fe l un
erudit Allemand du xvm e sie- cle, dont les travaux ne sont pas
tres- connus en France. On lui doit d’excel- lentes etudes sur les Scriptores
rei rusticce, une Chrestomathie de CICERONE, une Chrestomathie Grecque,
des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de Lucien, des editions de PLINIO
(si veda), de Claudien, de Quintilien, de Rutilius Lupus et autres
anciens a rheteurs, toutcs enrichies de notes savantes et de longs
prolegomenes; plus, un nombre formidable de dissertations sur toutes
sortes de sujets, Opuscula diversi argumenti (Breslau), parmi lesquelles son
Socrates sanctus pce der asta tire forcement l’oeil par la bizarrerie
de son titre. Cette bizarrerie a valu au livre sa notoriete, et en meme
temps lui a fait grand tort. Beaucoup de gens, entre autres
Voltaire, malheureusement pour 1’erudit Tudesque, n’ont pas ete au dela,
et iis ont construit sur cette minee donnee un ouvrage tout entier
de leur fantaisie, a 1’extreme desavantage du pauvre Gesner.
D’autres ont cru Voltaire sur parole et sont arrives au meme
resultat. C’est Larcher, THelleniste, qui le pre- mier chez nous
mit en lumiere cet opus- cule, dans son Supplemenl et THistoire
universelle de labbe Bapn, en le citant parmi les ouvragcs a consulter
sur le proces de Socrate ; il se contenta d’en faire mention, sans
meme traduire ni expliquer le titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y
meprendre, et qu’un homme tel que Gesner fut suppose capable d’une
indecente apologie. Voltaire, dont le vif et alerte esprit se plaisait a
effleurer les surfaces, sans presque jamais approfondir, ne connaissait
sans doute pas Gesner et certainement n’avait pas lu son Socrates.
Le Supplement a l’Histoire universelle n’etait d 7 ailleurs qu une
refutation tres-savante, quoique un peu lourde, de son Introduction
a 1'Essai sur les maeurs, publiee d^abord a part et sous le
pseudonyme de 1’abbe Bazin; quelques critiques justes qu’on y
rencontre le mirent de mauvaise humeur, et, battu sur divers points
d’erudition, il chercha une occasion de dauber Larcher, a cote du
sujet, selon son habitude. Il crut la trouver dans le livre etrange
qu’il supposa, d’aprcs le titre cite qu’il interpretait mal, s’indigna de
ce qu’on osait donner comme faisant autorite de si mons-trueuses
elucubrations (le monstrueux n’etait que dans ce qu’il imaginait),
et tantot sous le pseudonyme d’Orbilius, tantot sous celui de M Ilc
Bazin ( Defense de mon oncle, un de ses pamphlets), il ne cessa de
poursuivre la-dessus de ses bro- cards son inoflensif adversaire.
Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme reproduit son
assertion plus que hasardee dans le plus populaire de ses ouvrages;
on la trouve en note de 1’article Amour socratique, du Dictionnaire
philosophique. Un ecrivain moderne, nomme Larcher, repetiteur de college,
dans un libelle rempli d’erreurs en tout genre et de la critique la
plus grossiere, ose citer je ne sais quel bouquin dans lequel on
appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So- crate saint b ! Il n’a pas ete
suivi dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait trop beau jeu
pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Reponse . la Defense de mon
oncle, opuscule rare, reimprime a la suite du Supplement a
1’Histoire universelle. Vous m’attribuez, dit-il a Voltaire, votre infame
et infidele traduction du titre d’une dissertation de feu M.
Gesnera Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne
pouvait se prendre que dans un sens tres-honnete, mais il etait
reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne
vous suffisait-il pas? Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi
toutes les phases de la discussion, Larcher et Gesner etaient
innocentes; Voltaire restait convaincu d’avoir note dfinfamie un livre
sans le connaitre. Mais ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit
Larcher pour son plaisir, et le Dictionnaire philoso- phique est
dans toutes les mains. Voila pourquoi on croit generalement que Gesner a
developpe le plus scabreux des paradoxes et fait une apologie en regie
d’un vice honteux. Nous pourrions citer au moins un de ceux qui, se
fiant a Voltaire, ont propage 1’erreur mise par lui en circulation, et
affirme que cette dissertation n’est qu’un tissu d’invectives ; mais
nous ne voulons faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des
plus doctes et plus estime encore pour son caractere que pour son
savoir, professeur de Belles-Lettres a Goettingue, puis bibliothecaire,
ne pouvait ecrire qu’une defense de Socrate, une refutation des calomnies
dont on a obscurci sa memoire, et que la langue a attachees a son
nora d’une maniere en quelque sorte indelebile par les mots de
socratisme et d 'amour socratique. Inquiet et tourmente, comme il
1’assure, de voir peser sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si indignes
soup9ons, il a voulu remonter aux sources, compulser tout le
dossier et reviser le proces sur les pieces memes. II l'a fait
d’une facon non moins inge- nieuse que savante dans cette dissertation
lue a 1’Academie de Goettingue, recueillie dans les Memoires de cette
academie, dans les Opuscula diversi argumenti de 1’auteur et tiree
a part (Utrecht). C’est cette
derniere edition que nous avons suivie pour la reimprimer et la traduire,
ce qui n’avait jamais ete fait en Francais, ni probablement dans
aucune autre langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement
Socrate? Nous l’esperons; mais nous etions de son avis avant d 7 avoir lu
son livre, et, ccmme per- sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez
ceux qui pensent comme lui qu’un auteur, si bon dialecticien qu’il
soit, porte la conviction. Les esprits mal faits qui incli- nent a 1’opinion
contraire, et ceux-la seront toujours difficiles a persuader,
persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon, interprete de
Socrate, ait si souvent parle de 1’amour; qu’il ait consacre trois de ses
plus beaux dialogues, le Lysis, le Phedre et le Banquet, a cette
brulante passion; qu’il l’ait tant de fois soumise aux analyses les plus
delicates, expliquee par les conceptions les plus sublimes, les
mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un moment, dans
l’admirable episode de Diotime du Banquet, il ne soit question de la
femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres, ceux qui
sont regardes comme tels non-seulement par la posterite, mais par
leurs contemporains, ceux surtout dont le plus grand eclat consiste
precisement dans leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus
legers indices, de quelques travers, sinon de defauts plus graves; et
c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis sed
coaevis tales habitos, eos maxime quorum praecipua laus virtutis est,
vitii alicujus nedum criminis gravioris suspicari levibus argumentis,
vitium id quidem non leve : reos agere et condemnare crimen et piaculum;
in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta istorum
ignominia, tanta est gloria piorum virornm qui versantur in probrosis
his l’editeur qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se
faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est une chose criminelle, un
sacrilege, qu’il s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un homme,
meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant la gloire
des hommes pieux qui s’appli- quent a repousser ces odieuses
attaques. On peut le dire de Gesner, ce savant illustre, du petit nombre
de ceux qui depas- sant par la science tous leurs contemporains, font
encore plus estimer en eux les qualites du coeur que celles de
1’esprit; c’est un honneur pour lui d’avoir pris en main la cause
de Socrate, et un plus grand peut-etre pour Socrate d’avoir dte le
Client de Gesner. II nous a paru bon de recueillir dans une
edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus coercendis. Gesnero,
illustri nomini, e numero paucorum illorum qui cum eruditione
coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii celebrari malunt,
incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis quam Socrati
Gesnerum habuisse patronum. Visum
fuit, memoriam brevis operae sed auro contra noti carae nova editione
colere. Docuit vir præclarus,
scripto quidem, quam inani co- natu virtus summi hominis sollicitata
fuerit ab obscuris obtrectatoribus, qui non solent deesse virtuti.
Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas
trop cher paye au poids de For. Son excellent auteur nous y montre,
la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage par
ces obscurs detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous fait
voir aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete homme
de defendre la cause des gens de bien. II nous enseigne surtout avec
quel soin et avec quelle erudition il est besoin d’ecrire dans de telles
matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un examen
scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus utile qu’il
ne le semblerait au premier abord; et si, par ignorance ou par trop
forte credulite, tu as rejetd loin de toi les ecrits Socratiques,
reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos
omnes bonorum virorum caussam: tum et illud, in primis, ubi ejus modi res
agitur, accu- rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque
subtili examine, et benevolo illo, debere. Fruere, Lector, labore
utiliori quam decet: et si imprudentius forte abjeceris Socraticas
chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum
erit culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem Socratem, placide subridentem,
sereno vultu, xvi l’editeur au lecteur mis a notre tour de
mettre en accusation ceux qui font un crime a Socrate de ce qu'ils
trouveraient admirable s’il s’agissait de David et de Salomon; mais
laissons le bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son
placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu, je
t’ai honoree, Deesse! Quant a ceux qui blameront cette apologie, non
comme excessive, grands dieux, car que pourrait-on dire de trop sur
Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber
dans Todieux de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a
lapider ou a bruler, du moins a exorciser a force de signes de
croix traces d’un doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que
la Bienheu- reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere,
Et ego te, Virtus! colui Deam, Quibus fastidium movent
elogia, justa Di boni! quid enim de Socrate dici nimium potest? sed
quce magis opportune forsatn collocari potuis- sent, videant ne in odium
id evadat, quale est plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut
la- pides, saltim tremente digito averruncas cruces describentis,
si quis auserit credere, B. Virginem Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour
Grec MATTHI. GESNERI V. C. Socrates SANCTUS T/E D
E T{A STA t nihil tam alte vel natura, vel virtus, vel fortuna
constituit, in quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel
vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni etiam viri
abripi se ad suspicandum certe non nunquam patiuntur: ita mirum non
est, neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par
la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses
inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce d’atteindre, cette
medisante envie dont les clameurs poussent 1’homme de bien lui-meme
a soupconner le mal: c’est pourquoi nous nc devons point
nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de Anyti Melitique
criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani- tatis
aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,
in prcesenti non erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum,
et plus semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum
habuit, Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc
enim si verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est
cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum
esse hujus turpitudinis, negari non potest. Mittimus, quæ de
adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo,
prodidit CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis. etonner que lagloire
si haute de Socrate ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-
tefois nous ne voulons ni parier ici des accusations d’Anytus et de
Melitus sous lesquelles succomba son innocence, ni nous inquieter
de savoir si ce grand homine a ete incrimine de vanite, de mensonge
et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a
souvent tourmente; c’est celle qui, sans cesse discutee, a toujours
ete remise en avant, non sans apparence de justesse: Socrate etait-il
adonne d l’impur et detestable amour des jeanes gargons? Si cela
est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est un
indigne, lui dont on ne prononce le nom qu’avec respect. Qu’il ait
ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce que
Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire
de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius
apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam
ibidem additur, illum c-ojo^ xat oioayrj xouxou? a^aviaat xou; xurcous,
impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina abolevisse. Neque
valde huc faciunt, quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus
sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par- tim quod ad adolescendam
primam viri, de qua nobis sermo non est, pertinent, partim quod
Archelaus Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius
fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus (contra Julia.) ex eodem
Porphyrio (in Historia Philosopha, libro olim deperdito) refert, Socratem
-po; xr ( v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac, aoizov
os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat? •/.oivat; y prjaQat
fj-ovat?. Fuisse ad res venereas aliquantum vehementem, sed
injuriam abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel (1) Conf.
quae in fra de mali equi Socratici notis dicentur. § 18. et
l’amour grec 7 cure des prejuges des Grecs, Disc. iv),
raconte de sa jeunesse, laquelle aurait ete encline au libertinage ;
1’auteur ajoute, en effet, au meme endroit qu’il parvint a effacer
en lui, par Venergie de sa volonte \ jusqu’aux traces meme des
passions (i). Ne nous occupons pas non plus de ce que le meme
Theodoret (Discours xn) emprunte encore a Por- phyre, qui lui-meme
suivait Aristoxene, c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la
premiere jeunesse de Socrate (elle n’est pas en cause), et a ce disciple
d’Anaxa- goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout bien tout
honneur, un ami fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme
cate- gorie appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait
de YHistoire philosophi que de Porphyre, livre aujour- d’hui perdu
: a savoir que Socrate et ait violemment pousse aux choscs de iamour,
mais qiiil s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des
marques du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset communibus
uteretur. Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem ille auctorem
sequitur, allatum est de horribili scelere, Pcederastia : quod
praetermissu- rus non erat, qui satis hic in Philosophice parentem
iniquus est, Cyrillus. Decla- mat igitur praeter rem Socrates alter
(Hist. Eccles.), cum ita de Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou
xopu^aio- xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov
oietu- psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai
xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;, p.r[x£ v
Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait,
a Porphyrio Socratem, talia de viro scripta, quae neque accusatores
ipsius Anytus et Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat
objectam in judicio turpitudinem talem Socrati, quo nempe argumento
constet, famam viri hac tum macula caruisse. Sed nec a Porphyrio
plura aut turpiora his memorata, quae jam vidimus, satis illud argumento
est, quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant
jamais que de ses propres femmes ou, durant son celibat, des femmes
qui apparticnnent a tout le monde. Nulle part, soit chez Porphyre,
soit chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien allegue de cet
horrible crime : Pederastie ! II ne Paurait point passe sous
silence, ce Cyrille si injuste envers lepore de la Philosophie.
IPautre Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc une insigne
faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de Socrate, le
coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui; et
il nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si monstrueuses
que les accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas meme ose'
les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on n’en fit pas un
grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort de la
phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa renommee.
Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses plus
monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere, quibus
fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem
dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad
impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus
criminis ullam mentionem facit, non omissurus profecto, si illud
adhaerescere posse putasset. Nec forte quisquam est ex omni antiquitate
remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator
hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro petulanti illo ingenio
suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus erat ille libellus
quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas,
virgines, cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent illos de puerorum
amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus. que nous
venons de dire ; nous en trou- vons la preuve en ce que S. Cyrille
et Theodoret, deux detracteurs de Socrate, n’en ont souffle mot, et
qu’ils n’auraient pas manque d’en orner leurs diatribes si la chose
eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans ses Nuees,
represente Socrate comme un corrupteur de la jeunesse, comme
faisant de 1’imposture un enseignement, n’a pas davantage mentionne cette
accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a Thomme qu’il
bafouait? II n’y a enfin personne, si l’on prend des temoins dans
cette antiquite reculee ou dans les temps voisins du Philosophe,
qui se presente comme un accusateur serieux et digne de foi. Plus tard
seulement Lucien, entraine par sa verve moqueuse (dans 1’opuscule que
l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il vaudrait mieux traduire De
CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir pas rougi d ; invoquer les Muses,
des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de
quo dedita opera dicendum erit. Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem
Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque auctor est, jocose et
per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum locum diluisse me
arbitror. Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.)
refutavit, ut non videatur opus esse aliquid addi : cum praesertim
tanto magis et agnoscant innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo
depel- lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis homines, quo
magis virum ex aequalium ac paullo juniorum de illo scriptis ut cognoscere
possent, cuique contigit. Quin ne consultum quidem judicarem
veterem litem resuscitare, nisi viderem, nuper vierges, pour leur
faire dcouter ces fa- mcnx discours sur Vamour des jeunes gargons.
Mais ces discours, comme nous allons le voir, blament fortement
cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet, allusion au Phedre de
Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon dit
debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs, que ces dialogues soient
de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une plaisanterie ou une
mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr (
Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce
sujet par les an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le
meilleur argument, c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de
Socrate et repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation
infame, sont les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes
sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine tres-estimees. fuisse, et esse hodie homines eruditos,
et bonos viros, qui pravam de patre illo Philosophia? opinionem
conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non cum ullo homine
certamen esse volo, sed cum opinione ea, quam praeterquam quod
falsam puto, etiam virtuti noxiam, præter consilium quidem bonorum
virorum, humanitati certe adversam esse, arbitror. Qui autem fieri
potuit, ut homines neque indocti neque maligni in sinistram
falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut apologia vir sanctus opus
habeat? Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos- tram, quae imis
velut medullis fixa, et superbiæ illius nostrae nixa radicibus.
diatement suivi la sienne. Or, ce sont les contemporains et leurs
successeurs immediats qui peuvent le mieux juger un homme, en
pleine connaissance de tout ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais
donc pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je n’avais vu
naguere, et tout recemment encore, des hommes instruits, vertueux,
concevoir la plus mauvaise opinion de ce pere de la Philosophie; je
ne dirai pas leurs noms, ne voulant me prendre corps a corps avec
personne, mais seulement avec une opinion que je considere comme
sans fondement, nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a 1’avis de
ces gens de bien, defavorable a 1’humanite tout entiere. Comment
donc a-t-il pu se faire que des personnages qui ne p£chent ni par
ignorance ni par mechancete, aient concu de Socrate une opinion si facheuse
et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement saint a-t-il besoin d’etre
defendu? En dehors de cette maligni te inter ultima vitia eradicatur,
ceterasque ex genere morum rationes, conveniunt hic alia qucedam,
quce facilem errandi occasionem praebent. Magna pars doctorum etiam
hominum legendi laborem fugit, legendi uno tenore, continuata
attentione, totos veterum scriptorum libros; sed satis habet decerpere
qucedam, in quce primum incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius
que idem, repetere ab aliis excerpta, et e media nonnunquam
sermonum velut compage evulsa, de quorum sic sententia non facile
sit judicare. Platonis libri, unde pleraque Socratica peti hodie necesse
est, multos arcent ob Atticum illud sermonis genus, breve et
acutum, floridum praeterea, ac semipoeticum, ipsamque disserendi
ratio- nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri attentione, non
acutissimi homines illam statim adsequantur. Nec licet, ut adhuc
res est, ad interpretes confugere ; qui quoties vel nihil dicant, vel
alia omnia dicant, vix sine invidia licet commemo- rare. Et tamen
nisi attente legas, et to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond
de nos moelles, qui se fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache
qidavec les derniers defauts, outre encore diverses raisons tirees de nos
mceurs, il a fallu pour cela un concours de circonstances propres a
faciliter 1’erreur. La plupart des gens instruits eux-memes evitent la
fa- tigue de lire dans leur entier, avec une attention soutenue,
tous les livres ecrits par les Anciens ; on a plus tot fait de
choisir quelques passages, les premiers qui tombent sous les yeux, ou, ce
qui est bien pire, de s'en tenir aux passages choisis par d’autres,
a des fragments detaches de 1’ensemble et dont il est par consequent
difficile d’apprecier le sens veritable. C’est ce qui arrive des
livres de Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui tirer toutc la
doctrine Socratique; iis embarrassent bon nornbre de lecteurs par
leur style trop Attique, raffine et aiguise, fleuri pourtant et
semi-poetique, par ces controverses si subtiles souvent que, si
1’attention se relache, 1’esprit le tos legas dialogos, et qua scripti
sunt lingua legas, non est ut de sententia illorum, h. e. quam
tribuat Plato sen- tentiam Socrati, recte judices. Quare mirum non
est, si multi refugiant lectionem ita laboriosam; et illis veluti spinis
a familiari tractatione eorum librorum deterreantur. Denique si quid
etiam tribuatur a Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi
repugnet, non dubitaverim equidem, fidem potius adhibere Grylli filio,
memor illius, quod narrat Laertius, Socratem, cum Lysin Platonis
legisset, dixisse, to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le
fil. Et il serait inutile, dans le cas present, de recourir aux
annotateurs ; ou iis ne disent rien, ou iis disent tout autre chose
que ce qu’il faudrait ; on ne peut s’empecher de leur en faire un
re- proche. Cependant, amoins de lire avec un soin scrupuleux tous
les dialogues de Platon et de les iire dans la langue meme ou iis
ont ete ecrits, il n’est pas possible de juger saineinent de leur
doctrine, c’est-a-dire de la doctrine que Platon attribue a
Socrate. Il n’est donc pas sur- prenant que nombre de gens reculent
devant une si laborieuse lecture et soient rebutes, comme par des
epines, du commerce familier de ces livres. Enfin il faut dire que
si Platon at- tribue a Socrate une maniere de voir contredite par
la narration de Xenophon, il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon
qu’il faut se fier, si l’on se souvient du mot rapporte par Diogene de Laerte.
Socrate, apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa de
me mentitur adolescens! Tanto magis hoc memorabile est, quod ille
Dialogus ita scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens
inducatur Socrates, sed tanquam, qui ipsum illum dialogum
scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc breviter indicamus, amatorium
quidem esse hunc libellum, sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem.
Argumen- tum hoc est : Queritur Lysidis amator Hippothales, ab illo
se non amari ; Socrates ostendit, si velit amari, non adu- landum esse
puero, sic enim futurum superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus
rebus indigeat, et quam parum in ipso sit boni. Deinde dela- bitur
in disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et, In quo
insit natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum, sed
praeclararum etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe
ipse solebat Socrates in potestatem quasi suam redigere adolescentulos,
de quo que- rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme
ce jenne homme invente souvent ce qu’il me fait dire! » Le mot est
d’autant plus remarquable que, dans ce dialogue, So- crate
estpresente non comme un simple interlocuteur, mais comme s’il avait
ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons brievement que
cetouvrage roule sur 1’amour, mais qu’il n’y a rien dont put rougir
Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip- pothales, qui aime Lysis, se plaint
de ne pas en etre aime; Socrate lui demontre que s’il veut 1’etre,
il ne faut pas qu’il fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait plus
orgueilleux encore; il vaut mieux qu’il lui represente tout ce qui lui
manque et le peu de bonnes qualites quhl possede. On discute ensuite ces
questions: Qui est digne d’etre appele un veritable ami? et, Quelle est la
nature de Tamitie? Controverse pleine, il est vrai, C’est ainsi que
Socrate avait en effet coutumc d’assujettir les jeunes gens et son
autorite, et nous voyons Alcibiade s’en plaindre. bui a Platone colloquentibus, de quibus
ipsi non cogitarint, vetus observatio est, de qua vid. Athenaeus Deipnos.. Qiio dialogorum more se
excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI dedicatione Tullius CICERONE. Neque
ausim Platonis ipsius, junioris praesertim, patrocinium suscipere de
mollioribus versiculis, quos Apulejus servavit (Apol.) et Laertius
Diogenes: de quibus modo in neutram partem disputo, causamque Platonis a
Socratis causa hac in re sejungo. Quæcunque vero cum aliqua
specie testimonia Platonis contra Socratem proferuntur, ea cum ex Phædro,
nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et perverse non
nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi, de futilites,
mais aussi de remarquables definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete
faite depuis longtemps, que Platon attribue a ses interlocuteurs
des idees qu’ils n’ont jamais eues: on peut consulter la-dessus Athenee
(Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le meme defaut, s’en excuse sur le
genre meme du dialogue, dans son envoi des ACCADEMIA a VARRONE. Je
n’ose pas non plus defendre Platon du reproche d’avoir commis,
surtout dans sa jeunesse, des vers badins tels que ceux que nous
ont conserves Apulee (dans son Apologie) et Diogene de Laerte;
vieux ou jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe completement
sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis
par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence
de justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et quelque-fois
a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum dialogum
attento animo perlegere, et uno quidem tenore, et lingua sua, ne
quid eorum me falleret, qua saepe fraudi esse viris doctis, modo
dicebam. Ac spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non ferunt
tam longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio cognoscere
velut œconomiam illius libri et argumentum, inde- que de toto consilio
vel Platonis vel Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne abuti videamur illa, quam
modo propo- suimus observatione, Socratis hic veram sententiam bona
fide a Platone proponi. Ac primo illud meminerimus, Socratem hic
introduci senem, tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus
viribus superet. Jam fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis
obsequendum gratifican- dumque esse non amanti, quam amanti: camque
orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire attentivement ce
dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans son entier, et dans le
Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui
font trebucher les plus doctes. II sera peut-etre interessant, je
1’espere, pour ceux dont 1’esprit repugnerai-t a une besogne si
longue et si difficile, de connaitre sans grande etude le sujet et pour
ainsi dire 1’economie de ce livre, et de pouvoir apprecier toute la
theorie de Platon ou de Socrate. Nous admettrons, pour ne pas
abuser de la reserve faite par nous plus haut, que la doctrine de Socrate
a ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que
Socrate y est presente comme un vieillard, non pas tout a fait
tombe en decrepitude, mais qu’un jeune homme, comme Phe- dre, peut
maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir sur
cette question : Un jeune homme doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit
hanc Lysiae orationem, cante quidem et multa cum ironia Socrates, et
meliora se audisse ait, quae dicere illum amabilis- sime cogit
Phcedrus. Incipit hic a Musa- rum invocatione quam calumniatur, ut modo
dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non virginum auribus
dignissimum. Orditur a definitione Amoris quem vocat cupiditatem,
quae incitate feratur ad voluptatem
pulchritudinis, et inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit et
claudit hexametro: A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv
1 r’ 1 ! |Sf/aTra’.
Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista, et Musis faventibus.
Sed subito, At Amor tamen Deus est, inquit, et palinodiam parat,
quae incipit (p. 3 43 . plaisance pour celui qui ne 1’aime
pasque pour celui qui Faime ardemment ? II lit ensuite ce discours
a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et ddronie,
trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et pretend qu'il a
entendu dire la-dessus autrefois de bien plus belles choses; Phedre le
conjure de les lui rapporter. Socrate debute alors par cette
invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions plus
haut, car il n’y a rien dans tout le discours qui ne soit parfaitement
digne des oreilles chastes. II commence par la definition de
1’amour, qu’il appelle un desir violemment entraine vers le plaisir
que promet la beaute; il enumere en- suite les ecarts auxquels il peut
pousser et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau,
ainsi Vamoureux [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien,
grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant un Dieu,
s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo
amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim furorem etiam
bonum aliquem: ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem esse a
verbo [i-aiveaOai dictam, velut quan- dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis
furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit amorem, cumque magnæ felicitatis
causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem animam esse
immortalem, quam inde probat (quam bene vel male, nunc non dis- putamus)
quod principium motus sui in se habeat. Deinde similem ait animam
nostram, etiam antequam ea in corpus ve- niat, bigae alatae cum suo
auriga. Alterum hujus
biga 3 equum bonum ponit et tractabilem, malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia
ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout
d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. Il compare ensuite notre
ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage aile,
compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem
secutce (Socratis anima Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et
illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem anima; retinent
alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum
coeli orbem sunt. Alia;, qua; partim in altum elata; viderunt plura,
partim ab equo illo refractario impe- dita; ac retractae, pauciora;
ruptisque per illam equorum in diversa tendentium luctam pennis
atque amissis, cadunt, et in corpora humana veniunt. Harum, pro
gradu cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso,
novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit
anima, ea inseritur semini, e quo nascatur aliquis sapientias,
pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et
s’elance a la suite de l’un des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait
Jupiter). Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des
deux chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder
leurs ailes, voya- gent dans les regions etherees et contemplent meme ce
qui est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois emportees
jusqu'aux plus hautes regions, parfois retenues et embarrassees par
le cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre une partie des mysteres
; dans cette lutte des chevaux qui tirent en sens inverse, elles
brisent et perdent leurs ailes; ces ames tombent alors sur terre et
sont emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de
connaissance qu'elles ont atteint dans la contempla- tion des
essences, Socrate divise en neuf classes ces ames dechues. Celle qui
a per9u le plus de verite et de choses sublimes, vient animer le
germe d’ou naitra un homme tont entier consacre au avopo?
ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj fi.ouaixou Ttvos, x at
spamxoy. Secundi fastigii anima animabit regem, legibus, bello,
imperio, potentem : tertiae classis anima civitatis familiaeque regendae
et rei fa- ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in
exercendis sanan- disve versantem corporibus : quinti ordinis
animae vitam habebunt in vaticinando, aut in castimoniis initiisque
mysteriorum occupatam : sexti, poetas : septimi, geometras aut fabros:
octavi sophistas aut cum factione populares: noni denique animabunt
tyrannidis cu- pidos. Multa hic nec injucunda de hoc ordine, de his
vitee generibus, disputandi occasio: sed maneamus in argumento
nostro. Ha’ omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum
vel pce- [culte de la sagesse, de la beaute, de la Science et de
Vamour ; Vdme du second degre vivra dans le corps d’un roi juste,
belliqueux et capable de commandere celle du troisieme fonnera un
homme habile a administrer sa famille, sa cite ou la chose
publique; celle du quatrieme un athldte laborieux ou un medecin,
tous deux occupes soit d exercer le corps humain, soit d le guerir;
les ames de la cinquibme classe passeront leur vie, soit d predire
1’avenir, soit d initier aux abstinences et aux mysteres ; celles de
la sixieme former ont des poetes ; celles de la septieme, des
laboureurs ou des ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes ou des
chefs de factions populaires ; celles de la neuvidme, enfin, des
tyrans. Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu- ter, et non sans
agrement, des rangs assignes a ces ames et de leur genre de vie:
mais restons dans notre sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a
separees du corps, parviennent au sejour narum vel pr cerni orum
perveniunt, et mille exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi
nova corpora, vitas novas, sive hominum sive bestiarum. Quce anima
ter sibi, exactis millenis illis annis, primam istam sedulo
philosophantis, sive pueros cum philosophia amantis, vitam delegerit tou
<ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO; [j.£xa
<ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille annorum periodo, pennas
denuo accipit, quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,
contemplari cœlestia, queat: cum reliquarum octo classium animae, non
nisi decies mille annorum periodo absoluta, in primam illam
conditionem restituantur. Hoc ipsum quod primam et felicissimam classem Pæderastarum
philosophantium constituit, quod tantum prae- mium illis, compendium
septies mille annorum, tribuit Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive
Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum igitur jam satis monere nos
poterat, non posse hic sermonem esse de re ita turpi, quam fuisse illud,
cujus des peines et des recompenses, et au bout de mille annees,
recoivent la permission de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-
mes soit de betes, et de vivre de nou- velles vies. L’ame qui, durant
trois revo- lutions de mille annees, trois fois de suite a choisi
Texistence d’un homme quicultive sincerement la philosophie, ou qui
aime les jeunes gens d'un amour philosophique, a 1’expiration de
cette triple periode, recouvre les ailes qidelle possedait
autrefois et peut, comme au-paravant, suivre l’un des dieux et contempler les
essences celestes. Les huit autres classes ne retournent a cette
condition premiere qu’apres une revolution de dix mille annees. Ainsi la
premiere classe et la plus heureuse est celle des philosophes amis
des jeunes gens, et l’inventeur de ce mythe ou allegorie, que ce soit
Socrate ou Platon, la favorise d’une exemption de sept mille annees:
cela seul nous avertit assez qu’il ne peut etre question ici de ce vice
infame dont on accuse Socrate et que d’ailleurs les 3postulatur
Socrates, ipsis etiam legibus Atticis, paullo post ostendemus: sed magis
hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur, apud Platonem paullo attentius
considerare mecum voluerit. Intelligentia hominum, ex pluribus rebus
sensu perceptis collecta, nihil est aliud, quam recordatio illorum,
quae anima in illo volatu suo coelesti viderat, quae sola verum
illud ens sunt (t 6 ov-co; ov, p. 346, A). Haec intelligentia
maxima est in illa prima philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa
est, ob quam alas soli recipiunt, quibus volatum illum coelestem,
deorumque comitatum tentant: præ qua terrena hæc, et sensus
externos ferientia, ita negligunt, ut male sani aliis et furiosi
videantur, icocpa -/.ivouvts?, quos commotos s. commotce mentis
vocat ORAZIO (si veda) (Serm.), cum re vera divino quodam spiritu
agitentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad coelestem illam
pulchritudinem revocet, quam in priore volatu viderant. lois
Athenicnnes reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure; cela
deviendra plus evident encore pour qui voudra bien examiner
attentivement avec moi ce qui suit dans Platon. i3.
L’intelligence humaine est formce de la reunion des idees percues a
l’aide des sensations, et les idees ne sont rien autre chose que
les reminiscences de ce que 1’ame a vu anterieurement dans son vol
celeste, c’est-a-dire des essences veritables. Or 1’intelligence la plus
complete appartient a la premiere classe, a celle des philosophes amis
zeles des jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent les
ailes a 1’aide desquelles iis pourront essayer de nouveau de par-courir
le ciel et suivre le cortege des dieux. Detaches des soins terrestres
et de tout ce qui frappe les organes, iis pas- sent pour des
insenses et des hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si
veda) appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment
ce sont des en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in sensu, <ppov 7
]<m, in mentis qua vult et intelligit prostantia, si ita in
oculos, ut alia quce videri his possunt, incideret, ad mirabiles sui
amores exci- tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav habet,
hoc velut fatum, et conditionem, uti subeat oculos, ut amo- rem
moveat. Hinc ponamus ipsa verba, ut existimare melius ac certius de
tota re possint etiam, quibus ad manus non est Plato ipse, vel
magnum volumen de pluteo promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj
otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;,
Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv,
aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT
xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’
ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib.
r. thousiastes, agites comme d’un transport divin, qui les
attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment entrevue
par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside dans un
sens particulier, la sagesse, source de la volonte et de
1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir, comme
toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient pas de tirer du
rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en toute E.
hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to
ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato- nem, vel
Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea,
qua ? in idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv
xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX- Xo; eu
[j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita
verto, Hic ergo, qui non est nuper illis mysteriis coeles- tibus in
illo volatu animarum initiatus, aut, initiatus cum esset, corruptus
est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac corporea, non vera,
pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem,
cujus hic videt nomen, umbram, similitudinem : itaque neque inter
adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis
ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et cum
contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec erubescit PRXETER
NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae
tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui
pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius
speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un « souvenir recent
de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est
laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de
cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute celeste,
absolue, « dont il ne rencontre ici-bas que le nom, 1’ombre, la
ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de divin. Entraine par
la volupte, il se precipite, comme une brute, sur 1’objet de
ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et, outrageant
ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne rougit pas de
poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme, encore plein
des saints mysteres qu’il a longtemps contemples autrefois, 11 est
remarquable que Platon, meme dans ses Lois, appelle crime contre nature
le commerce honteux marium cum maribus, et feminarum cum feminis. Les foudres
de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas
plus que celles qu’il lance contre 1’idolatrie. virtutem
speciosam: Dei instar
colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus sancti et philosophici
amoris, similia, ex parte Venerei, et quomodo illa alce, quas
amiserat anima, hinc de novo crescant, sub Allegoria perpetua
describit, qua nihil aliud tandem indicat, quam enthusiasmum quendam, et
injectam divinitus philosopho cupiditatem versandi cum pulchris, h. e.
ingenio vel forma potentibus, adolescentulis: quos nempe captabat
Socrates, qui sciret, cum facilius sit formare ad sapientiam et
virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a quibus futura civitatis fortuna
pendeat. Hinc est quod se venari pulchros non dis- simulabat (vid.
Protagora > principium, frustra reprehensum Cyrillo contra Julia),
quod Xenophontem baculo etiam transverso objecto et l’amour grec
q'3 en presence d’un visage presque divin ou d’un corps dont les
formes lui rapit pellent 1’essence de la beaute, c’est-a-dire 1’essence de la
vertu, adore comme « en presence de la divinite. Platon retrace ensuite
quelques-uns des phenornenes de ce saint et phi- losophique amour,
parfois peu different de l’autre; il montre aussi comment re-
poussent les ailes autrefois perdues par rame. C’est une allegorie
perpetuelle dont la conclusion est que le philosophe con^oit, par
une sorte de grace divine, le plus fervent desir de vivre au milicu
des beaux adolescents distingues par la perfection de leurs formes ou par
leurs dispositions naturelles. C’est ceux-la, en effet, que Socrate
ambitionnait de gagner, sachant qu’il est facile, a cet age, de les
tourner au bien et a la vertu, et que c’est d’eux que dependent les
futurs destins de la Republique. II appelait cela prendre les beaux
garcons dans ses filets (voyez la-dcssus le commencement du. velut
exceptum, sibi adjunxit (Diog. Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA,
conviviaque et deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus,
sequebatur, quod ludos et jocos non refugiebat, quod se plane communem
illis faciebat, nec irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua, quod doceri se velle
simularet, certe discendi causa disputare, ut accessum ad Sophistas illi
dabat, ita adolescentulo- rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ
blandiri videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi
amatores pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed (p. Sdy, C) quem
quisque in illo coelesti volatu Deum secutus est, ejus Dei si-
milem sibi quaerit amasium; qui Jovem, ut Socrates, Jovialem (Auvov x
wa), Martia- lem vero qui Martem, et sic Junonios. ET Protagoras, blame a tort par
Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple de Xenophon qu’il
arreta en lui barrant le passage avec son baton. Voila pour- quoi
aussi il frequentait les gymnases, les banquets, les promenades, tous
les lieux de reunion des jeunes gens, ne fuyait ni les jeux ni les
badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de preter a rire
aux medisants. Cette ironie perpetuelle grace a laquelle il
feignait toujours de vouloir apprendre, pour mieux enseigner, lui
donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la
presomption de la jeunesse. Mais achevons d’exposer le Mythe de
Platon. Ces FILOSOFI amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas
indistinctement a tous; selon le dieu quhls accompagnaient dans les
espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens suivants du
meme dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme celle de Bacchicos,
Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt omnia, uti
Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu- jus jam similitudinem quandam in
ipso deprehenderunt, sibique adeo, reddant quam similimum. Ita Socrates,
Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales, amatores natura
sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res habet, sancti tales
Paederaslce, J elices qui sic amantur. Sed nec dissimulanda sunt
quae sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad superiorem illum de
Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,
est auriga. Equorum alter bonus, sanus, verecundus, gloria amator, qui
sine plagis, sola ratione auriga regitur : pravus alter, qui multum ac
temere una aufera- [Socrate, dans le cortegc de Jupiter, recherche un
suivant de Jupiter, et ainsi des autres qui avaient choisi Mars, ou
Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent
de rendre celui qu’ils aiment semblable a ce dieu dont iis
retrouvent en eux-memes le caractere. Ainsi Socrate, satellite de
Jupiter, recherchait pour les cherir ceux qui avaient aussi suivi ce
dieu, c’est-a- dire ceux qui, par nature, etaient portes a la
sagesse et a la domination. Jusqu’ici tout va bien ; de tels Pederastes
sont de vrais saints, et bien heureux ceux qui sont aimes de la
sorte! Mais il ne faut pas dissimuler ce qui vient apres dans
Platon. Socrate re- tourne au precedent Mythe de hame qu’il a
coniparee aux triples forces reu- nies de deux chevaux et d’un
cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein de retenue et
d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du fouet et par la
seule persuasion: 1’autre est mechant] tur, (impetu alieno potius
feratur, smo judicio) dura ac brevi cervice, simus, nigri coloris,
glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque gau- dens,
hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem concedens.
Operet ? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce ponere : cxoXt
65, ~oXu; eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3
payuipayrjXo?, aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat-
[xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco;, xwipog, gaartyt
p.S7a xdvxpwv [xdy.; UTEclXOJV. r<S\ Apposui Graeca, ut facilius judi- cari
possit, probabilisne sit conjectura, in quam incidi, dum in hac equi mali
de- scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic
Socrates non tam equi mali proprie dicti signa, quam sui corporis
formam, quatenus vitiosum inde ingenium colligebat physiognomon ille
Zopyrus. Hic enim, ut est
apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse Socratem dixit et bardum,
addidit et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7
est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par
son propre jugement); il a 1’encolure courte et dure, les naseaux
apiatis a la maniere du singe, le poil noir, les yeux glauques le
sang le tourmente et il est toujours en rut et en querelles ; il a, de
plus, les oreilles velues, il est insensible a tout et n 7 obeit
qu’a peine au fouet et a 1’aiguil- lon. Il est necessaire de transcrire,
dans le texte Grec, ces marques particulieres du mauvais
cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse decider si la conjecture
que me suggere cette description du cheval retif a quel- que
vraisemblance. Ou je me trompe fort, ou Socrate ici retrace moins les
ca- racteres d 7 un cheval defectueux que son propre portrait, dans
lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un naturel vicieux.
Zopyre, au dire de CICERONE (Du Destin) pretendait en effet que
Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con- venire
cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa- mox declarabitur: quod
muliero- sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con- gruit : novimus
enim quos uSp-.sxa; tum dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd- aw-ov
plane pertinet ad notationem Socra- tis, in quo cum deridetur a
Critobulo, tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo patulisque non
modo deorsum sed in hori- qontem naribus, non minus quam in ocu-
lis ultra frontem eminentibus, et labio- [Unum ponamus exemplum e
libello, quipree manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18
1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1
xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad
libi- dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p,
Socrates ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap
/a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque
pulchrior esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus, Nrj Ata, rj Ttavxcov
SsiX7jvwv xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait,
essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam veniunt,
turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs
veneriens. Pource qui est dela lour- deur, cela concorde avec
1’encolure courte et dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond
a &'6peto; ItaTpo;. Nous savons, en effet, quels etaient ceux que
les Grecs appelaient uSpiatat'. Quant a la face simiesque, cette
designation s’ap- plique parfaitement au portrait de So- crate ; il
y a fait lui-meme agreablement allusion en repondant aux moqueries
de Critobule. Il avoue que toute sa beaute consiste en un nez epate
et me- nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous
d’un seul exemple tird du livre que nous avons sous la main, le De
Physiognomia, d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave sont
&6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que la voix £tait bruyante
comme celle de l’ane, les phy- sionomistes conci uaient qu’on devait
avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet). Socrate dit
il Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc? Tu crois etre
plus beau que moi? Critobule lui repond: Si je n’etais plus beau que
toi,je serais le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre
dans les drames salyriques.] rum tumore molli, pulchritudinem suam
prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut in Platonis Convivio Sileni s.
Satyri formam Alcibiades illi tribuit : et in Tlieceteti Platonici
principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum, cum sit Socrati similis,
tQ te cijxo-rjta xat to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-
tibus oculis, licet minus quam Socrates utraque re sit notabilis. Nempe
hcec si- gna cum haberentur, et naturales quae- dam notce, hominis
libidinosi, iracundi et stupidi, non negabat illud Socrates, verum
eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee tantum contra
vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non injucun- dum forte
fuerit lectoribus nostris in rem quasi preesentem ire, et ex artis,
qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium defendere. Vix autem opus
est admoneri lectores, non hoc agi, Num veri aliquid sit in ea
arte? Num ipso des levres gonflees comme un abces ; de meme
dans le Banquet de Platon, Alci- biade compare son masque a celui
de Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte, l’un des
interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a Theatete en disant qu’il
ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux lui sortent de la
tete; que pour etre chez lui moins apparents que chez le maitre,
ces defauts n’ensontpas moins sensibles. Socrate ne niait pas d’ailleurs
que ces particularites physiques n’indiquassent un homme lascif,
violent et d’un esprit paresseux ; il en concluait seulement en
faveur de la Philosophie qui parvient a dompter un si vicieux
naturel. Pendant que nous y sommes, il ne deplaira peut-etre pas au
lecteur d’aller plus au fond sur ce chapitre et de defendre les idees de
Zopyre, idees basees sur des regles alors acceptees. Il nes’agit
pas de savoir si cette Science est sure; est-ce que 1 ’excmplc meme de
Socrate etiam Socratis exemplo ea refellatur, et vanitatis
convincatur? sed hoc modo, quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et ut
oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus Aristotelis
libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum hujus
artis consultorum collegisse prae- cepta videtur . Hinc ea, quee ad
formam Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam pertinent, huc
transferamus. Igitur inter ’Avai- c07j- ou hoc est stupidi, et sensu
communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a aap'/.oj07)
7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea quas adjacent collo
carnosa, complexa et colligata, itemque cervix crassa, XGxytjkoq -ayjj;.
Et Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,
avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis CICERONEZopyrus? Stupidum
esse Socratem, et bardum quod jugula con- cava non haberet,
obstructas eas partes et obturatas. Alia adhuc mala signifeat ista
conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai ne temoigne pas du contraire ?
Mais Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne notre Philosophe, un
pronostic judi- cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote un
opuscule intitule Physionomiques ou ce philosophe parait avoir recueilli
les regles admises avant lui par les habiles. Nous transcrirons
celles qui se rapportent au portrait de Socrate et au caractere de son cheval
mythique. D ? apres Aristote (chap. m), les in- dices d’un esprit
lourd et presque prive du sens commun sont le gonflement des chairs
qui avoisinent le cou, leur engor- gement et leur replelion- ce qu’il
con- firme en disant au chapitre vi : « C’cst un signe de betise
que d’ avoir 1’cncolure epaisse. Zopyre, dans CICERONE, n’ex-
prime-t-il pas la meme idee? Socrate, dit-il, etait lourd et stupide,
parce quii navait pas le cou bien degage, que ces parties etaient
cheq lui comme engorgees et obstruees. Cette conformation indi- que
cncore bien d’autrcs dcfauts : la TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et
plena cervix iracundos signat, exemplo taurorum: Ol? 8s [Bpayjj;
ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus est, ii sunt homines insidiosi,
lu- porum instar. Talem modo vidimus illum malum equum,
xpaxepauyeva et [Bpa- yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat
Socrates, aut potius talem significat Plato Socratem, a natura
fuisse. Videamus reliqua. Equus malus Socratis est sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus circa
aures. Libidinosi, Xayvou, apud Aristotelem o t xpdxoupot oaa$T?,
densa pilis i. e. hirsuta tempora. Deinde oi xa yecXrj “aysa
eyovxe; puopoi avacpdpexai £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa
labia stultitiae characterem faciunt, ob simili- tudinem asinorum.
Quid de se Socrates (Xenoph.) in ludicra cum pulchro Critobulo
contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv
oou 'iyv.v xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat osculum
mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un
homme violent, par similitudo avec le taure au ; ceux qui l’ont trop
courte sont ruses, par similitude avec le loup. Or, cette
indication, 1’encolure epaisse et courte, figure parmi les marques
du mauvais cheval. Si je ne me trompe Socrate avoue qu’il etait
bati de la sorte, ou plutot c’est ainsi que le depeint
Platon. Voyons le reste. Le mauvais cheval Socratique a les oreilles
velues: Aristote designe comme libertins ceux qui ont du poil jusques sur
les tempes. De plus, les physionomistes notent les grosses levres
comme un indice de betise, par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons
dans la plaisante discussion (Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de
ses l&vres charnues il pense que son baiser est plus sensuel, et
plus loin: Je te par ais avoir, 6 Critobule, une bouche plus
difforme que celle de Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt
lieu de levres. aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,
turpius os quam habent asini illum mollem labiorum tumorem habere
tibi, o Critobule, videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates :
at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy- siognomones, atque adeo
Zopyrus ? Si fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01 G'|j.7jV
Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi sunt libidinosi,
exemplo cervorum. Patulas quoque versus nares suas, qu£e possint
odores undecunque oblatos excipere, laudat sipojv Socrates
Xenophonteus, pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot ;xev yao ao\
(xuxT7jpE; ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte
tx; T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o!
p.uxT7jp£$ ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt,
quorum patula? nares, quod in ira diffundi so- lent. Iracundum
valde a natura fuisse Socratem, non soli credamus Cy r rillo,
quamvis Porphyrium auctorem laudat, qui ab Aristoxeno se illud dicat acce
- [Socrate, nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les
naseaux ecrases du singe. Quel indice en tirent les physionomistes
et Zopyre ? Aristote dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec
le cerf. Socrate declare quii a les narines lar gement ouvertes,
comme pour subodorer de toutes parts les parfums. Jaime mieux cela,
dit-il, que d’avoir, comme Critobule, un ne^ penche vers le sol.
Mais d’apres les phy- sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera-
ment porte a la colere. Que Socrate ait etedun naturel violent, nous ne
nous en rapporterons pas la-dessus seulement a Saint Cyrille,
quoique son temoignage soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene
et qu’il dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable
qu’il ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses pisse, ’'Ote
<pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat
xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe
-payjj.ato;, Eo importunitatis progressum, ut nullo neque verbo neque
opere abstineret : sed ipsi de se credamus Socrati, qui tam gravi ac
molesto sibi, quam fuit Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis
gymnasio opus fuisse, fassus sit apud Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;,
dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;,
oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN,
avOptfaoic auveaouat, Quam ferre si posset, facilis esset cum aliis
omnibus conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat Socrates. Itaque ita
jocabundus disputat cum pulchro Critobulo, ut cum primo
convenisset, Pulchras esse res, quatenus respondeant consilio, propter
quod ha- bentur; roget eum, Cujus rei gratia ha- beamus oculos?
eoque, ut necesse erat, respondente, Ad videndum, inferat, Suos
ergo pulchriores esse, qui Sta zo actions ». Croyons-en Socrate
lui-meme; dans le Banquet de Xenophon, il avoue que le caractere
acariatre de Xanthippe fut pour lui la meilleure ecole de pa-
tience et de douceur; que par la suite il lui fut plus facile de
supporter la contradici ion. Il ne reste plus qu’une chose : So-
crate avait les yeux saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le
beau Cri- tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est
belle pourvu qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il
lui demande alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? Pour voir,
repond naturellement Critobule. E/i bien alors, dit Socrate, mes yeux
sont les plus beaux de tous, car iis me sortent de la £7it-oXatot
sivat, quod emineant, non ea modo, quas exadversum sint videant,
sed etiam quae a latere. Et cum diceretur, secundum hmc pulcherrime
oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum, id ipsum affirmat.
Jam Physiognomon Aristoteles"Oaoi i£6z>- OaXjjiot, inquit,
aS&vepoi, Fatui sunt, quibus oculi eminent : rationem petit ab
judicio quodam decoris et convenientia naturali, et ab similitudine
asinorum. Male de horum gente meritus est Stagirita : quce videtur
ex hoc prcesertim libello contraxisse infamiam illam, qua ab eo
inde tempore, et Platonis quibusdam dictis, onerata est : honestum
superiori cetate animal, cujus majestatem, ut Var- roniano verbo
utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac re adjicietur potius
huic disputationi quoddam corollarium, quam ut longius digrediamur
a Socrate. tete, si bien que je puis voir non-seulement devant moi,
mais et droite et d gaiiche. Son interlocuteur lui repond qu’a ce
compte les crabes ont de tres-beaux yeux, et Socrate affirme que c’est
parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote, les yeux saillants sont 1’indice
de la sot- tise; il tire ce pronostic de certains rap- ports
naturels de convenance, de syme- trie, et de la ressemblance que ces
yeux offrent avec ceux des anes. Le philosophe de Stagyre a par la
bien mal merite de cette race inoffensive, et ce doit etre a partir
de ce petit traite qu’il acquit le mauvais renoni confirme depuis
par Platon lui-meme. L’ane, cet honnete animal, etait mieux
apprecie des genera- tions precedentes, et Homere se plaisait,
suivant le mot de Varron, a lui reconnaitre de la majeste. Nous ferons de
cela un corollaire a cette dissertation pour ne pas trop nous
eloigner presentement de Socrate. Gesner a «Jcrit un appendice intitulc
De antiqua Nempe tempus est, ut videamus, quorsum evadat ille de
bono et malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri bonus ille quidem
aurigee obsequitur, contineri se patitur, malo alteri, quantum
potest reluctatur. Simile certamen est in pulchro, qui amatur:
repugnat malo isti equo bonus illius jugalis, hic enim est 6
[xo'£u£, et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous xat Xdyou, cum
pudore et recta ratione. Si ergo ita vincant meliora, et ad vitam
ordinatam, quae eadem FILOSOFIA est, ducant illum currum, beatam et
concor- dem hic vitam agunt continentes se, et decus suum tuentes,
syxpatcTs auroiv xat xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo
equo, cui vitiositas animae inerat; in libertatem asserto eo, cui virtus.
Tandem vero alati ac leves denuo facti, sic de tribus illis
certaminibus asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates
sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir assez d’interet pour
Ctre traduit. II est temps de voir ou il veut en venir avec son Mythe du
bon et du mauvais cheval. A Taspect de la beaute, ie coursier docile
obeit au cocher et se laisse contenir; il resiste de toutes ses forces
a son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie
aunesemblablelutte; son bon cheval se defend contre les tentatives de son
mauvais compagnon d’attelage, que de plus le cocher s’efforce de contenir
par la pudeur et la raison. Si les meilleurs instincts remportent la
victoire et conduisent le char dans les chemins de la vie rangee,
cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s vivent dans le bon- heur et
bunion, maitres d’ eux-memes et regles dans leurs mceurs : iis ont
dompte le mauvais cheval, qui repre- sente le vice, et affranchi 1’autre
qui represente la vertu. Recouvrant enfin leurs t ailes et leur legbrete
primitives, iis sor- tent vainqueurs de ces trois luttes vraiment
Olympiques dont nous avons parle plus haut. Socrate peut donc
dire*sans hesitation que ccux qui se prescrvcnt. vere Olympicis,
unum vicerunt. Absque hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,
qui se puros et castos ab amore Venereo servaverint. At nunc
sequitur apud Platonem, in quo defendere illum, Platonem, in- quam,
nam Socratis causam hic segre- gandum putamus (vid. 6) paullo
diffi- cilius est; tacuisset enim forte sapientius : sed non
iniquum (i) excusare. Nempe his, quee modo prolata sunt, subjungit,
quee non scripta equidem malim : sed pono, ne quid dissimulasse videar,
ne parum bona fide egisse. Quam vero caute, quam suspensa velut
manu illud ulcus tractet, videre opera? pretium est. Eav’ os
8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu) 8s
yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci>
axoXaTCto ajTOtv Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j;
aovaya- yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-
fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani
Episcopi: aut aliorum, quos vrxterco sciens. purs et chastes, de
1’amour Venerien, jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui
suit, chez Platon, est un peu plus difficile a expliquer; chez Platon,
disons-nous, car ici nous croyons devoir separer sa cause de celle de
Socrate; evidemment il aurait mieux fait de se taire, mais il n’cst pas
impossible de l’excuser. A ces choses sublimes que nous venons de
transcrire, il en ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui voir
passer sous silence; je les exposerai cependant, de peur de paraitre rien
dissi- muler et manquer un peu de bonne foi. Il faut ici donner le
texte pour qu’on [Son cas est en effet moins grave que celui de
certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que je ne veux pas
nommer. L’auteur fait ici allusion a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et
a son fameux Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement
pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle sens de ce celebre
petit poeme. cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X. Si vero
vitam vivant LICENTIOREM et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque
ambitiosam, forte aliqua in ebrietate aut qua alia negligentia
depre- hensas INCAUTAS animas equi illi uiriusque amatoris
indomiti, eodem con- ducant, et sic illam quce beata vulgo videtur
electionem faciant, et (turpe illud facimts) peragant : eoque peracto per
re- liquum tempus utantur quidem (illa voluptate ) sed raro, quippe
qui non omnino deliberata mente (sed deprehensi velut incauti ) hoc
agant etiam hi præmium non parvum amatorii illius furoris (non
Venerei, de quo modo dic- tum, sed philosophi) auferunt : in tenebras
enim illas et illud sub terram iter non veniunt, etc. voie avec
quelle prudence et sans ap- puyer la main, il decouvre cet ulcere
de la civilisation Grecque. S’ils embr assent, dit-il, nn genre de vie
moins austdre, etrangbre a la Philosophie et livree aux passions
desordonnees, il arrivera quau milieu de Vivresse ou de quelque
autre etourderie les coursiers indomptes sur- prendront leurs ames
et les meneront l’un et l’ autre au meme but,' iis prendront alors
le parti de faire ce en quoi, selon le vul- gaire, consiste le supreme
bonheur et (c’est la le crime infame) satisferont leurs desirs.
Dans la suite, iis renouvelleront leurs jouissances, mais rarement,
parce qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils
agissent comme par surprise et sans defense. C’est pourquoi ce qu’il y a
encore d’excellent dans leur amour (le pur amour pliilosophique et
non le desir Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis niront pas,
aprds leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs souterraines, etc.
yo Apertum est his, qui et sermonem Platonis
intelligunt, et non ultro qucerunt crimina, non illum prcemium
constituere pceder astice turpi, non Philosophice genus facere
flagitiosum puerorum amorem : sed summam c.ulpce esse hanc, quod dicat,
si qui coelestis illius pulchritudinis, quam in volatu illo suo viderint,
desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum arctius eos complectantur,
liberius cum iis versentur, etiam ad turpe facinus ab ebrietate,
certe ex improviso, incauti, proster deliberatam voluntatem, abri-
piantur, id quod ipsis contingat ob genus vivendi licentius atque a
Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi
propositum, ut non cum reliquis ad inferos mittantur, et ad
poenarum locum non cogantur post ternas millenorum anno- rum
periodos, septem alias subire ete sed facilius alas ut recipiant, quibus
evo- lare ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem possint.
Hactenus reprehendat Pla- tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est
bien clair, pour qui veut comprendre Platon et ne cherche pas de
griefs de son plein gre, qu J il n’assigne pas cette recompense aux
fauteurs du vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour
masculin un attribut special des Philosophes. On voit, au con-
traire, combicn il blame ceux qui, les yeux encore eblouis de cette
beaute ce- leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des
desirs pour la beaute terrestre, recherchent les jeunes garcons, et
a force de les embrasser etroi- tement, devivre familierement avec
eux, se trouvent entraines a 1 ’improviste, au milieu de livresse,
par surprise et sans que leur volonte y ait part, a conimettre
l’acte immonde; cela leur arrive, parce qu’ils ont adopte un genre de vie
trop libre et qu’ils negligent la Philosophie. Iis tirent cependant
ce profit, de s’etre d’abord propose pour but cette noble Science,
qu’ils ne sont pas relegues aux enfers avec tous les autres hommes ;
apres une revolution de trois mille annees, iis Pcederastice, sed
ut clementem nimis, lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis
peccatis severum satis ac durum se praebuerit. Sed, si cequi esse
volumus, si de nostris religionum doctoribus ecquos ex- periri
judices, videamus etiam, quid dici pro ratione illa Platonis possit, quid
pro Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello sectari vitia
id genus solebat. Distinguamus legislatoris personam et Philosophi.
Legibus Atheniensium primo antiquissimis illis a Cecrope,
sanctitas Bona pars libri De re publica decimi in eo consumitur, ut
a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles sacrificiis Deos,
ostendant. Vid. pras. extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.
de Legib. j n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis
recouvrent plus vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres
celestes, a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a
Platon, si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la
Pede- rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier
assez ferme, lui surtout qui pour de moindres fautes se montre si
dur et si severe. Mais soyons equitables; prenons d’honnetes gens pour
juges de nos Phi- losophes, voyons ce que l’on peut dire en faveur
de Platon ou de Socrate, et jusqu’a quel point ce dernier a
vraiment neglige de flageller le vice en question. II faut
distinguer le legislateur du Phi- losophe. Les plus anciennes lois
Athe- niennes, celles de Cecrops, proclamaient la saintete du
mariage. La loi de Dracon [II emploie la majeure partie du X® livre de
sa Republique a montrer que les dieux sont insatiables de
sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies sur le Tr ciite des
lois, de Cicerrr.i. matrimoniorum constituta : Draconis lex
capite plectebat adulteros : Solon li- beram faciebat marito potestatem
sta- tuendi in adulterum in facto deprehen- sum, quidquid liberet.
Itaque mirum fuerit si masculam libidinem non punis- sent. Sed
bene habet : supersunt monu- menta Solonis hac etiam de re
legum, diligenter collecta a Sam. Petito
(de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim ex vEschinis in Timarchum
(edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis contra Androtionem orationibus
: unde hoc constat, qui vi vel persuasione ingenuum corrupisset,
produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum supplicium corruptoris et
productoris, in- terdum etiam corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro
mercede turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les
adulteres; Solon laissait la faculte au mari, dans le cas de
flagrant delit, de se faire justice comme il 1’entendrait. II serait bien
surprenant que ces deux legislateurs fussent muets a l’egard de
Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste des lois portees
par Solon sur la matiere divers fragments precieusement recueillis
par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques et le Commentaire dont il a
accompagne cet ouvrage); ii les a surtout tires du Discours contre
Timarque, d’Eschine, et du Discours contre Androtion, de Demos-
thene. Il y est dit : Quiconque, memesans violence, aura debauche ou
prostitue un homme de condition libre sera passible de la peine la
plus rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un comme dans
Tautre cas, et pour le liber- tin, comme pour savictime. C elui qui
se sera prostitue pour de l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne
pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari, neque ullum
magistratum vel intra vel extra urbem, neque sortito neque suf-
fragiis, capere, neque pro Praecone s. oratore mitti usquam, neque sententiam dicere
unquam, neque in templa publica intrare, neque in pompa coronata et ipsum
coronari, neque intra sacros fori cancellos (evto; twv t rj; ayopa?
TteptppavTT]- P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae
quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba
legis ab As schine recitata. Plura huc transferri opus non est, cum rarum
esse Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam in Themide Attica
Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au
etre l’un des neu f archontes, ni remplir aucune fonction sacerdotale, ni
etre nomme delegue d’une ville; il lui est interdii d’exercer
aucune magistrature, soit en dedans, soit en dehors de la cite,
quii ait et e designe par le sort ou par les suffrages de ses
concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault, ou comme
orateur; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans les temples publics;
de faire partie des processions et d’y porter une couronne sur la
tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque, deja
condamne pour fait de prostitutiori, fera ou acceptera de faire une de
ces choses sera puni de mort. Puni de mort, tel est le texte meme
de la loi lue par Eschine. II est inutile d’en transcrire ici
davantage, car Touvrage de Samuel Petit est loin d’etre rare ; Meursius
en a meme donne, dans sa Themis Attique, les cha- pitres
importants. Ces prescriptions eurent-elles tou- jours force de loi?
Ne purent-elles etre dacia, astus subterfugerit, eluserint rhetores?
annon ipsa poenarum gravitas impunitati occasionem non nunquam de-
derit? an non professce impudicitiae ho- minis utriusque sexus, libidinum
publica- rum victimce, toleratce sint? An denique poetce non multa
saepe impudenter scrip- serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-
nam non avxtxatrjyopia quadam repellere possent veteres Attici
cujuscunque vel sec- tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-
probrare iis velint, quce de Comicorum pe- tulantia sublegerunt illi apud
Athenaeum (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae colligere ex illa
parentum cura apud Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos
constituentium suis filiis, qui ne quidem colloqui suis cum
amatoribus (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g.
a. Ceterum severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum
fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt tournees par les
gens ruses, eludees par les avocats? La rigueur du chatiment ne
favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des
prostitues de profession, victimes de 1’incontinence publique et
remplissant le role de l’un et 1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas
ef- frontement deerit ces turpitudes, ne les ont-ils pas mises en
action sur la scene? Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel que les
Atheniens de nfimporte quelle secte et de quelle epoque ne pussent
re- tourner Taccusation a ceux qui leur re- procheraient trop
vertement ces horreurs etalees par les poetes comiques et recueil-
lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de
1’inquietude des peres de famille confiant leurs fils, d’apres
Platon, a des precepteurs severes, pour les empecher de s’entretenir avec
leurs amis, des amis infames et detestables. 3o. Les lois
devaient etre d’autant plus severes, que les coutumes de la Grece] non
nunquam praeberet (ut nempe res sancta? prope omnes, ut ipsce
populorum sceculorumque pene omnium religiones, atque ceremonice)
ille puerorum amor, castus, legitimus, sanctus, quo tanquam
potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento utebantur
qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores, cum
viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
demonstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu animentur,
nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti homines et
commoda sua, et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum
effectibus judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui
sibi Philosophi videntur, opera fere ad inanium vocabulorum strepitus
relata, et, dum relata sunt, etiam redacta. comme toutes les choses
saintes, comme les cultes et les ceremonies religieuses de presque
tous les peuples et de tous les temps) donnaient plus de facilite a
la depravation. La fervente amitie entre jeunes gens, Tamitie
chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques de la
Grece, comme le plus energique stimulant du courage militaire et des
vertus civiles. Leurs legislateurs savaient bien que ni la vertu ni le
courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si bonnes qu’elles
soient; que 1’homme est naturellement faible a moins qu’il ne soit
pousse par la passion et par 1’orgueil ou entraine par cette espece
d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises de la vie, la
fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et les supplices.
C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la cite, ces
heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la
patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis- sants, comme nous
pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis
igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis? erat
Amor ille adolescentulorum tum in- ter se, tum inter ipsos et natu
majores: inde illa sacra Amantium cohors The- bis, et Cretensium.
Quanta illius vis esset, et quam metuendus esset miles amator,
svOouatwv, et ab Amore simul atque a Marte bacchans, occurenti in
prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H. V. ) ut IvOo-jatav et furere
ipse prope videatur. Idem Laconica qucedam circa eam disciplina?
publica? partem instituta commemorat: V. G. ab illis multatum esse
virum alioquin bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem
amando sui similem, et per hunc forte etiam alios, redderet: itemque
peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains
Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus que de
vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure qu’on en
abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit entre eux-raemes, soit
entre eux et leurs ames, etait favorise partout en Grece, pour le
bien de la chose publique; voila ce qui donna naissance a la cohorte
sacree des Amants, chez les Thebains et chez les Cretois. Quel etait le
courage de ces sortes de soldats, quelle etait la ter- reur qu’ils
inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour et
de sang: c’est ce que Elien nous a fait connaitre, en partageant, pour
nous les mieux depeindre, leur impetuosite et leur fureur. II nous
indique aussi qu’il y avait quelque chose de semblable dans les
institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende, quoique
excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune
que lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius
imputari vitia posse cen serent. Etiam illud Laconicum narrat,
so- litos ibi adolescentulos petere ab ama- toribus, viris nempe
bonis ac fortibus, stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-
tur illud verbum, Laconibus proprium, sElianus per epav, amare : idem
factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia
ad utrumque Hesychii locum viri docti, post Meursium (Mis- cell.
Lac.) sed nihil, unde ratio ap- pellationis queat intelligi. Nec
satisfacit, quod refert, non probat Eustathius (ad Odyss.)
EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et
pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum conveniunt, si
fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo, de quo agimus,
loco. Srap-ctaTT)? epio;
ataqui eut ete capable, a son tour, de les transmettre a d’autres.
Lorsqu’un jeune homme commettait une faute, les Spar- tiates
punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui
tolerait. Elien rapporte encore cette autre coutume de Sparte, que
les jeunes gens exigeaient de ceux dont iis etaient aimes, toujours
choisis parmi les meilleurs et les plus braves, ut se adflarent. II
explique le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet
autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS et
eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette interpretation, a 1’exemple
de Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons qu’ils en
donnent. Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion emise, sans
preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants IV e et V e de
YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur [On appelait
indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants)
ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor turpe nihil
quidquam novit. Sive enim ausus fuerit adolescentulus pati turpia
(upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6 oat) neutri quidem Spartee
manere pro- fuerit : aut enim patria privarentur, aut vita ipsa.
Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv, illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa?
vocat Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in- spirando s.
adspirando divino quodam spiritu, dictos arbitror, unde afflati, ut
7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi- no quodam furore perciti,
ruerent. Hic est ille furor, quem supra) tetigi- mus, et de quo
plura sunt in Platonis Phædro. Nempe spiritum 7iveSp.a quum
dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem indicabant, sed rem subtilem,
magna ean- dem movendi et agendi vi praeditam, etc. de friires
d’armes, si terribles dans les batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se
traduire positivement par meter les souffles ou metaphoriquement
par avoir des aspirations communes.] choix par la beaute et 1’elegance
corporelle. Cela me parait peu convenir a cette severite Laconienne dont
temoignent tous les anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question. On
ignorait a Sparte ce que detait que les impures amours. Si quelque
jeune homme eut ose se prostituer, ou prendre 1’autre role, il lui
eut mal reussi de rester d Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la
mort. C’est ce qui me fait croire que ces inspires, designes aussi sous
les noms de compagnons, freres d’armes, par Eustathe et par Hesychius,
etaient ainsi appeles du souffle ou de Tesprit en quelque sorte
divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi comme
transportes d’une fureur plus qu’humaine. Nous avons deja parle de
cette espece de delire, dont il est si souvent question dans le Phedre
de Platon. Il convient en effet de remarquer que les anciens n’entendaient
pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle, mais une
essence subtile, douee d’une grande forcc de mouvement et
d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora- tio. Cum enim fuerit,
quod, adhuc probatum est, in Græcia r.aiozptxizv.a. quaedam honestissima,
et sancta adeo, qua ad virtutem, bellicam praesertim, et quidquid pul-
chrum est, incitari homines crederentur, cum nomina spojvuo?, Ipaaxou,
raioapaaxou, itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur- pitudinem
nondum haberent : cum illud raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut
quem ad modum capital Romae erat servo, si militarat, ita Solonis
lege multaretur quinquaginta plagis publice, qui servus eXsuOspou
7ra'oo; spav, amare liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent
omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem,
fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So- cratis
dicta Platonem, quae ex Phaedro commemoravimus . Quod mitior est
vel Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei tribuat, non satis
ille quidem aequa ratione, quidquid apud Platonem ex ipsius persona
dictum ponitur) in hos etiam quos Cette digression ne nous a pas
eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait en Grece, comme nous venons de
le prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete, sainte, on peut dire,
et reputee propre a pousser les hommes au bien et a la vertu,
surtout a la vertu guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu
et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux; puisqu’il etait meme si
honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de Solon
punissait de cinquante coups de fouet, subis en pleine place
publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune homme de
condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne doit
s’etonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens, qu’il ait
lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que Platon nous
ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate, ce que
nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on veut, Socrate,
quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer tout ce que son
disciple lui fait dire, se montre mala libido ad turpitudinem
transversos abripuit) illud primo hanc rationem, ut innuimus,
habuit, quod nec legislatorem hic, neque publicum accusa- torem
ageret ; sed Philosophum, sed amatorem, amicum certe quidem, qui
non metu pcence deterrere a turpitudine homines, sed virtutis amore
revocare a peccato vellet. Deinde erant forte, quibus parcendum
erat, juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias,
alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti- /Mxipcc et dcfikoaofM
otattr) yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab
omni ad virtutem reditu excludere velle, et sic plane a se et a
virtute segregare, non erat consilii. Non instituam hic comparationes,
quce invi- diam habere possunt : sed illud addam unum, si forte
aliquid veri sit ineo, quod de liberiori Socratis adolescentia
dictum est /'§. : si non mendax
historia, e qua refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee
conditionem primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers
ceux qu’un infame desir pousse a Tacte honteux. Son excuse, nous
Tavons deja dit, c’est que ce n’est pas ici un accusateur public ou
un legislateur qui parle, c’est un Philosophe, un ami, un amant, et
il essaye non de detourner les hommes du vice en les ef- frayant
par la menaee des chatiments, rnais de les dissuader d’une faute en
leur inculquant Tamour de la vertu. II y avait d’ailleurs peut-etre
autour de lui des jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers
lesquels il ne fallait pas se montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias,
d’autres encore, pleins de fougue, adonnes a une vielicencieuse et
etrangere a la sagesse; les priver de quelques-uns des benefices de
la philosophie, c’eut ete leur fermer toute voie de retour au bien,
les eloigner de la personne du maitre et par consequent de la vertu. Je
ne cherche pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler
malseantes; je veux ce- pendant rapporter un fait, vrai ou faux,
qui a traita la jeunesse un tant soit peu Phcedonem e lupanari traductum
ad Philosophiam a Socrate : quid facere illum oportebat in hac disputatione? Nihil
igitur est in Phædro, quod urgeat Socratem : si quid incautius dic-
tum sit, illa Platonis culpa fuerit: quamquam si universam circumstantiam,
ut a nobis ostensa est, quis consideret, etiam hunc accusare, vel
non excusare, iniquum videtur. De Convivio Platonis jam non opus est
multis disputare. Distin- guat mihi aliquis personas loquentes: ad
universam libelli descriptionem, quam vocamus Œconomian, ad
Allegorian denique ab amore Venereo ductam, ac translatam ad
animos, quorum lenonem se et obstetricem ferebat Socrates: ad hcec,
inquam, mihi attendat aliquis, et et l’amour grec q3
dereglee de Socrate. C'est Origene qui le raconte dans son traite
contre Celse. Celse reprochait aux premiers disciples du Christ
d’avoir ete tires de conditions abjectes; Origene repondit que
Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu pour le convertir
a la Philosophie. Je vous demande un peu ce que ce Phedon venait
faire dans la discussion. On ne rencontre donc rien dans le Phedre
qui puisse incriminer Socrate; s’il y a ca et la quelques paroles
imprudentes, c’est la faute de Platon. Encore, si l’on examine bien
toutes les circonstances, comme nous 1’avons fait, il serait
injuste, tout en blamant Platon, de ne pas lui trouver d’excuse.
Nous ne nous etendrons pas longuernent sur son Banquet. Que l’on
distingue bien les uns des autres les interlocuteurs, que Fon fasse
attention a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous appelons
1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin cette allegorie
tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux mirabor, si quid ibi
sit, unde Jiagitio ipsi praesidium, vel crimini in Socratem jactato
firmamentum peti possit. Sed est in illo libro, quod maxime ad defenden-
dum a Socrate fagitium pertinet, quod ut magis pateat, tota ultimee
partis, et velut actus postremi fabulae illius convivalis, CEconomia
proponenda est, e qua ipsa appareat, velle pro veris haberi Platonem, qua
’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades
ad eum finem, ut neque pedes officium faciant, comissator
supervenit potantibus apud Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex
lege compotationis, dextrum sibi accum- bentem Socratem laudare jussus,
obse- quitur cum professione ebrietatis, ut tamen vera se dicturum
confirmet et redargui petat, si quid mentiatur. Ac primo sub imagine quadam lau
[idees, dont Socrate se donnait comme l’entremetteur et Taccoucheur, et
je serai bien surpris si 1’on y decouvre quoi que ce soit en faveur
du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre Socrate. On
pourra y puiser, au contraire, les meilleurs arguments pour l’en
defendre; mais il est necessaire d’exposer ici toute 1’ordonnance de la
derniere partie, ou plutot du dernier acte de ce dialogue, ou il
est clair que Platon veut nous faire tenir comme vrai ce qu’il a place,
touchant Socrate, dans la bouche d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du
festin dans un tel etat d’ivresse que ses pieds refusent de le
porter; il veut prendre sa part de plaisir avec Socrate et les
autres, en train de boire chez Agathon. La, par suite d’une
convention adoptee entre les convives, il est force de faire 1’eloge
de Socrate, assis a sa droite, et demande de 1’indulgence, en se fondant
sur ce qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne daturus
Socratem, cum Sileno aliquo (Conf. J nominatim cum Satyro Marsya,
tibicine, illum comparat, cujus figura, ex ligno, edolata ruditer
atque deformi, utebantur artifices pro theca, quce intus haberet
pulcherrimum aliquem Mercuriolum: scilicet in corpore deformi
habitare animam pulcherrimam demonstrat: et esse tibicini Marsyce similem
Socratem, ob illam vim demulcendi animos, cui resisti
non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum sectatorem quendam
ct capta- torem videret, se, qui fiduciam fornice haberet,
sperasse, si pellicere virum ad amorem sui (venereum nempe) posset,
eique se prceberet obsequiosum, impetra- turum se ab illo admirabilem illam
artem, et ablaturum, quce Socrates sciret, omnia. Hinc narrat verbis
quidem honestis modestisque, et tamen venia ante dira que la verite et
exige, s’il se trompe, qu’on lui donne un dementi. II com- mence,
pour louer Socrate, par le com- parer a ces grossieres figures de
bois representant Silene ou le satyre Marsyas, le joueur de flute,
sculptees sans travail et sans art, dont les statuaires se
servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur quelque joli petit
Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme peut habiter une belle
ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar- syas en ce qu’il
a, pour charmer, une force a laquelle nui n’est en etat de
resister. II raconte ensuite que le voyant s’attacher a la poursuite
des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans ses filets, plein
de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui inspirer
de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses
desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son admirable science,
et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate.
Alcibiade exorata ebrietati, et pro? Fatus uti servi aliique profani aures
obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s) quam varie,
et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis, temperan-
tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam facit hanc, ut
Deos Deasque testes faciat, se cum totam noctem sub eadem veste cum
Socrate jacuisset, non aliter ab illo, quam ut filium a patre, aut a
fratre majori frater deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine,
quem hac sola forte parte capi posse putasset. Enumeratis deinde aliis
Socratis virtutibus, bellica prcesertim, qua sibi etiam vitam
servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum,
sed Charmiden etiam, Euthydemum et gg place ici, mais en
termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son
ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher
les oreilles, le recit des gradations savantes et de tous les
stratagemes vainement mis en oeuvre par lui pour induire en tenta-
tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement,
l’heroique fermete de Socrate. II conclut en disant: Je prends les dieux
et les deesses d temoin quapres avoir repose toute une nuit d cote
de Socrate, et sous le meme m ante au, je me levai d'aupres de lui
tel que je serais sorti du lit de mon pere ou de mon frere aine. Ainsi,
le seul point par lequel il croyait que cet homme fut accessible
avait tout a fait trompe ses esperances. Apres avoir ensuite enumere
les autres vertus de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a
laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il n’est pas
le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris
simulatione deceptos in potestatem suam redegerit, ou? oiito;
s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’
epaotou. Nempe adulabantur vulgo amatores, certe qui turpe quid
spectarent, pueris aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus. Alia
ratio Socratica, quae etiam supra in Lysidis argumento declarata est.
Suavissima sunt reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia, ut
intelligamus Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae
se ferret, cum illis suaviter et amice ut versaretur, ut virtutis
illos amore impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet, in quibus valde
sibi elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta
Socrates, et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel affront;
que pareille chose est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a bien
d’autres qu’il avait feint d’aimer tendrement, pour mieux les asservir
et les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient de
honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons, et
ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait la
methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le
sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout
aboutit a nous montrer que telle etait la coutume de Socrate de
rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un exteneur
gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite,
afin de leur faire aimer la vertu; ce point obtenu, il jugeait
facile de leur donner les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a
acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il
etait pur du nis expers: a quo etiam alios avocare studuit, quod
Critice exemplo docet Xenophon, ejus, qui post in triginta tyrannis
fuit, quem Euthydemi pudori insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay
eiv dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et
potentis sibi contraxit; quibus carere poterat, nisi potius fuisset
officium. Sed admonet me Xenophon de crimine
alterius illo quidem generis, et multo, ut in malis, tolerabiliore :
quod tamen ipsum etiam in illo adhaerescere, quantum in me est, non
patiar. Accusatur, ut naturalis quidem, sed malce tamen libidinis suasor et
leno quidam, propter ea quce referuntur in Xenophontis Convivio. Sed nec
ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur
convivis mirabilia, partim vice infame entre tous. Bien mieux, il
s’efiforcad’en detourner lesautres, comme Xenophon nous 1’apprend par
1’exemple de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu par la suite
l'un des Trente tyrans, avait voulu attenter a la pudeur
d’Euthydeme; lorsque son ancien maitre Bapprit: II a le prurit du
porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent 1’animosite d’un
homme puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete facile d’eviter,
s’il n’avait mieux aime faire son devoir. 3g. Mais Xenophon me fait
songer a une autre accusation qui a ete egalement portee contre
Socrate; quoique moins grave, elle n’en est pas moins facheuse, et
je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui reproche, a 1’occasion
d’un incident rapporte par Xenophon, dans son Banquet, d’avoir excite ses
disciples a la debauche, ce qui serait pernicieux encore, [Concupiscit
ad Euthydemum se affricare quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon,
Memorabilia). etiam periculosa, et horrorem quendam spectantibus
moventia, inter districtos gladios corpora saltu jactantium, aut in
figuli rota circumacta scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati,
qui aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov
T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad
tibiam edi motus et saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae,
Nymphae a pictoribus exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc
quod Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus- picioni repugnat,
quod dicitur Ariadne illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce
autem profecto apud Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici de
plaisirs conformes au vceu de la nature, et de s’etre fait, en quelque
sorte, entremetteur. II n’y a rien, dans ce passage, dont doivent
rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes viennent d’executer
devant les convives toutes sortes d’exercices extraordinaires,
quelques-uns tres-dangereux et propres a donner le frisson aux
spectateurs; on a vu les uns presenter leurs poitrines, en sautant,
a des pointes d’epees rangees en file; d’autres lire ou ecrire enfermes
dans une roue de potier mise en mouvement. Ces exercices deplaisent
a Socrate ; il pense qu’il serait plus convenable, au milieu d’un
festin, de voir des danseuses executer des poses, au son de la
Jlute, sous le costume que les pcintres pretent d’ ordinaire aux
Graces, aux Heures et aux Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce
qu’on a coutume de representer les Graces toutes nues. Mais ce
soupcon ne repose sur rien, car la danseuse qui parut alors,
habillee en nymphe, representait I Ob non solebant : nymphae in
insectis ab eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter
vestitas contemplari licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant.
Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus
crimen hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter
alia ad turpes figuras refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis
commendatas libellis fuisse constat, ut hic ejusmodi impudens
spectaculum suspicaretur . Sed tum interjecta de amore disputatio tum ipsa
perfectio exsecutioque consilii (c. g) suspicionem illam eximunt.
Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in scenam nihil
veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu et Praest.
numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est omnis gestus saltantium blandus, minax,
derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr. Apertior, simpliciorque, et
incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio, quam Platonica : sed
cujus summa eodem pertineat, uti ab impura libidine ad sanctam animorum
conjunc- tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne
permettaient pas le nu dans les roles de femmes mariees.
D’ailleurs, certains insectes imparfaits sont appeles nymphes precisement
parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-
pliquee de Montfaucon, que les Grecs, meme sur leurs monuments,
figuraient les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance
contre Socrate cette accusation s’est peut-etre effarouche du mot
pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de
celles qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il
a soupfonne Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or,
ladiscussion surTarnour qui intervient alors, 1’execution et
l’ache- [Spanheim (De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de
tout cela. On appelait poses toute esp6ce de geste lascif, provocant
ou railleur, des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de
Xenophon est bien plus franc, bien plus simple et bien moins circonspCct
que celui de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au
meme amplexus, cetera reservantur postsceniis. but, qui est de
detourner les hommes des plaisirs les plus impurs et de les rapprocher
dans une sainte communion des ames. Tales saltationes s.
repraesentationes etiam pars sacrorum erant. Apud Lucia. in
Pseudom. xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat Alexander, xai SaStyta?, xat
tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo? yapto; cum
Apolline item riooaXstpiOU xai pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; denique
SsXrJvr^ xai AXs^avBpou spto? Alexander ut Endymion alter xaOsuSwv
exsixo sv xw piato cptXrjtxaxa xs
eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt
xat xwv utco xoXtcou sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam
7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum. vernent immediat du
divertissement qu’il avait demande, enlevent toute force a cette
conjecture. Les mimes representent les noces d’Ariadne et de Bacchus:
mais on ne voit rien de plus sur la scene que des baisers et des
etreintes amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de
danses et de reprdsentations faisaient partie des Myst6res. Dans lM
lexander seu Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme
nouvel initii, passer par les 6preuves du dadouque et de
l’hi<5rophante. Parmi les scenes religieuses auxquelles cette
initiation donne lieu figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles
de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les amours d’Alexandre et
de la Lune. « Alexandre, comme un autre Endymion, etait couchd au
milieu du theatre; on dchangeait des caresses et des baisers. S’il n’y
avait pas eu D des torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6
entrainer a faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest un peu
ldger; cependant il n’y a rien la de bien obscene. Gesner aurait du
citer Lucien plus completement; ce passage du Pseudomantis offre un
tableau de genre exquis: Alexandre, comme un autre Endymion, etait
couche au milieu du thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la
voute, comme du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait
le role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant de
1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii
ita indi- cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte;
T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01
(j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci
xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj- Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim;
xojxojv xuy otsv. Tandem post blanditias quasdam, verecundas,
maritales, complexi se invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus implexis,
vel brachiis mutuo cervici im- positis, vel tergo circumjectis,
velut cubitum discedunt: ab hoc spectaculo incalescentes, et ut
paullo ante dicebat, av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se
ducturos esse uxores ; mariti autem equis conscensis domos festinant, ut
simili voluptate et ipsi fruantur. Utinam vero e spectaculis et
theatris hodie ita discederetur! utinam Socratis hac parte disciplinam
sequeren- tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere
debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,
iis echangeaient des caresses et des baisers. Xenophon indique de la
maniere suivante la fin et les resultats de l’histoire. Apres toutes
sortes de caresses honnetes et maritales, les deux epoux se tenant
embrasses, c’est-a-dire, je pense, les mains entrelacees ou les bras
passes mutuellement soit autour du cou, soit autour de la taille,
s’eloignerent comme pour aller se coucher. Echauffes par ce
spectacle et se sentant de furieuses demangeaisons, comme s’il leur poussait
des ailes, les convives encore celiba- taires /irent le serment de ne pas
tarder a prendre femme ; les maris monthrent a cheval et se
haterent de regagner le logis, pour gouter d leur tour de semblables voluptes.
Plut au ciel qu’aujour-d’hui on quittat les spectacles et les theatres
dans de si bonnes intentions! plut au ciel que cette partie de la
discipline Socratique fut pratiquee par les ediles preposes aux plaisirs
publics! Ce sont de tels divertissements qu’auraient du decreter
les empereurs Romains, soucieux d’exciter toutes les classes au ma principes,
cum de maritandis ordinibus, et sobole Romana augenda soliciti
erant: talia conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo universae, quum
Ducis Burgtindice natalem nuptiis mille puellarum celebrarent: talia magnam
Britanniam, si quid veri habent quorundam qucerelce, Swiftiance
praesertim, quas eo loco protulit, ubi de abrogando clero disputat: aut
eorum, qui hodie peregrinos invitandos, supplendi populi causa. et
civitate donandos, censent. Nempe incidit aetas Socratis in ea
tempora, ubi civium paucitate laborabat exhausta bellis Persicis et
Peloponnesiacis Attica, cui etiam lege matrimoniali obviam ire, et
afferre remedium, conati esse dicuntur. Debemus notitiam hujus
legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte illius mentio extaret hodie,
nisi de duabus Philosophi uxoribus jam olim disputatum esset. Res cum
queestioni. de qua riage ct d’accroitre la posterite de Remus: iis
auraient convenu naguere a la ville de Paris et a la France entiere
lorsqu’on feta la naissance du duc de Bourgogne en mariant un millier
de jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire de la Grande-Bretagne,
s'il y a quelque chose de vrai dans ces plaintes dont Swift surtout
s’est fait l’e'cho et qui reclamaient 1’abolition du celibat despretres;
iis conviendraient encore a ces pays ou l’on attire les etrangers en
leur conferant les droits civiques pour suppleer au petit nombre
d'habitants. Socrate vivait a une epoque ou 1’Attique, epuisee par
les guerres des Perses et du Peloponese, souffrait de ne plus avoir
qu'une population clair-se-mee; on dit menae que les Atheniens s’efforcerent de
remedier a cet etat de choses par une nouvelle loi touchant lesmariages.
Nousdevons l’unique renseignement que l’on ait sur cette loi a Socrate,
car il n’en subsisterait aujourd’hui aucune agimus conjuncta sit,
illam, quam breviter jieri potest, expediemus. Duas So- crati uxores
vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua Lamproclem susceperit, et Myrto,
Sophronisci atque Menexeni matrem. In hoc conveniunt Cyrillus
(contra Julia) et Theodoretus (Grcecar. Affect. curat) ac Diogenes
Laertius. Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por- phyrio,
7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in ipsius amplexus venisse ; quod
plane repugnat Platoni et Xenophonti, qui nullius conjugis prceter
Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum Theodoreto, qui tamen
ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non tantum pro
TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv, induxisse priori
uxori, ut pereat illa secreti, et furti amatorii notio : sed etiam
addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde pace facta
conjunctim impetum facere in Socratem ideo, quod is bella illarum non
dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna:
mention sans la controverse autrefois agitee au sujet de ses
deux femmes. Comme cette question tient a notre sujet, nous la discuterons
bridvement. On donne communcment a Socrate deux femmes : Xantippe,
dont il eut un de ses fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de
Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille, Theodoret et Diogene de Laerte
sont tous les trois d’accord la-dessus. Mais S. Cyrille, empruntant ce
detail a Porphyre, dit de Xantippe que son mariage avec Socrate fut
clandestin, qu’elle se cachait pour 1’embrasser, ce qui contredit
absolument Xenophon et Platon, puisqu’ils ne parient d’aucune autre
femme que de Xantippe, epouse legitime de Socrate. Theodoret, qui lui
aussi dit tenir de Porphyre ses renseignements, change 7iepi7tXoaEiaav
XaOsTv en npovnXxxsT- aav XafleTv et declare ainsi que Socrate
introduisit Xantippe chez sa premi^re femme, ce qui ruine toute cette
histoire de mariage secret, et de furtifs baisers; bien mieux, il
ajoutc que ces deux mecum risu speci are consuevisse. Utri fi dem habebimus? Sed
nondum est finis discordiarum. Theodoretum si audimus, induxit Xanthippen
suce jam Myrto Socrates: sed Laertius negat convenire inter auctores,
utram prius duxerit. Idem ait, simul ambas habuisse Socratem, a quibusdam
esse traditum. In hac sententia etiam fuit auctor Dialogi Halcyon,
qui inter primos Lucianeos editur, in cujus fine Socrates dicat, se
Halcyonis amorem in maritum suis conjugibus Xanthippee et Myrto prcedicaturum
esse. Antiqua porro esse illa relatio memoratur Callisthenis, Demetri
Phalerei, Satyri Peripatetici, Aristoxeni Musici, geres se battaient
continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes sur
le pauvre Philosophe, en lui reprochant de ne les avoir pas separees:
pour lui, il restait simple spectateur du combat et voyait donner ou
recevait lui- meme les coups en souriant. A qui faut-il s’en rapporter,
de S. Cyrille ou de Theodoret? Et nous ne sommes pas au bout
de la querelle. Dapres Theodoret, So- crate epousa Xantippe, dtant deja
marie a Myrto; mais Diogene de Laerte af- firme que les auteurs ne
sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des deux il epousa la premiere. Il
dit aussi qu’il les eut toutes les deux ensemble, et sur quelles
autorites repose cette assertion. Elie a ete accueillie par 1’auteur du
dialogue intitule Alcyon, imprime en tete de ceux de Lucien; on y voit
Socrate proposer en exemple a ses deux femmes, Xantippe et Myrto,
1’amour d’Alcyon pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris- i Hieronymi
Rhodii, apud Plutarchum (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi
auctorem fuisse ait Aristotelem in libro de nobilitate, (rapi s-jyevsia;)
qui tamen liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem
ita, Aristidis neptim Myrto, vidua cum esset et paupercula, domum
ductam a Socrate, eique cohabi- tasse, licet aliam uxorem
habenti. At non licebat a Cecrope inde Athenis plure s una habere
uxores. Qui sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores
objecerint digamian Socrati? Hic nobis narrant Athenaeus et Laertius
legem, latam supplenda 1 multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo
prodente ipsum decretum a Rhodio Hie- ronymo conservatum, wax' si-eivat
xai ouo ET L’AMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion
etait ancienne, et qu ; elle fut partagee par Callisthene,
Demetrius de Phalere, Sa- tyrus le peripateticien, Aristoxene le
musicien et Hieronyme de Rhodes; Athenee dit de son cote qu’ils
Tavaient tous puisee dans le Traite de la No- blesse d Aristote,
livre dont cependant Plutarque doute qu’Aristote soit l’auteur. Tous
racontent que Myrto, pe- tite-fille d Aristide, etant veuve et se
trouvant dans une extreme pauvrete, fut recueillie par Socrate dans sa
maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja marie. J
Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient cependant a Athenes les
doubles unions. Pourquoi donc ni les poetes co- miques, ni les
accusateurs de Socrate ne lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de
bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et Diogene de Laerte nous parient
de cette loi nouvelle, edictee, disent-ils, dans le but d’accroitre
le nombre des citoyens. SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum
haec male accusaretur Socrates, qui et legi paruerit de augenda
sobole Attica, et Aristidis progeniem viduitate et pauper- tate
extrema liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis
uxoribus, quin de lege maritali etiam falsum esse, prcesertim ex
dissensu commemorato, itemque ex Platonis et Xenophontis silentio
arguit Bentleius. Et habet, quantum est de monogamia Socratis,
magnum auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui cum
retulisset eam quce modo proposita est de Myrto narrationem, satis
illam refutatam ait a Panaetio: cujus si opus hodie extaret,
facilior forte hodie esset causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In
Dissertat, de Phalaridis et exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee
s’avance jusqida dire qu’il y avait un decret, conserve par
Hieronyme de Rhodes, et ainsi concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux
femmes. Si cela est vrai, on accuserait mal a propos Socrate, qui
n’aurait fait qu’obeir a la loi portee en vue de repeupler
1’Attique, et qui de plus aurait sauve du veuvage et de la
mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais vraiment Phistoire des
deux femmes, tout aussi bien que celle de la loi matrimoniale,
paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se fonde surtout sur le
desaccord que nous avons signale et tire une grande preuve du silence
de Platon et de Xenophon. Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de
Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le plus
bel eloge; apres avoir rapporte ce que nous avons dit de Myrto, il
ajoute que cettefable a ete suffisamment refutee Dissertation sur
les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE rorum amore, et a lenocinio turpi, et
a libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido. ET L AMOUR GREC par
Panaetius. Si nous possedions son livre, la cause de Socrate serait
aujourd’hui plus facile a defendre; je pense cependant avoir prouve qu’il
ne fut ni un corrupteur de la jeunesse, ni un provocateur a la
debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances repouss^es
par Socrate. Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6 classification des ames suivant le degrd
de connaissances acquises avant la vie, p. Amour
philosophique, raisons qui dirigent les choix dans cette
sorte d’amour les impuretes ou il peut s’egarer Analyse du Lysis,
dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute physique
-- Bigamie; Socrate eut-il deux femmes? la bigamie etait-elle
autorisde en Grece ? Cohorte sacree des amants, a Thebes et
en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et poses
plastiques -- riaiospaatsta, le mot et la chose pouvaient etre pris
en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les Grecs contre
les infames Pronostics tirds par les physionomistes de la voix
forte et grave de lencolure courte des oreilles velues -des grosses
levres -- du nez camard des yeux saillants, Representations mythologiques
et divertissements dans les festius dans les mysteres effets singuliers
produits parfois sur les convives par ces representations, p.
m. Socrate; motifs ordinaires des accusations portees contre lui pourquoi
il recherchait les beaux garcons son portrait physique Socrate
l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte
; coutume rappor- t6e par Elien -- les amours impures y etaient
ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele
Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma,
Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giannetti: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del corposcolarismo – filosofia
carrarese – scuola d’Aulla – la scuola d’Albano di Magra -- filosofia toscana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo carrarese. Filosofo toscana. Filosofo
Italiano. Aulla, Massa-Carrara, Toscana. Grice: “I like Giannetti; for one, he
is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at
Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street
(‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered
heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation
of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando
lascio la cattedra, gli successe Grandi.
Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi,
che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa
da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. N C. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di
filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui
ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a
sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. È e'di Albiano
di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra
sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini,
cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI
e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia
corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li
Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi
sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che
G. è tenuto per uno de'più arditi e co raggiosi sostenitori degl’insegnamenti
novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosi filosofanti, ma in particolar
modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo III de'Medici, fecero
in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la
Pisana Università. Per tale cagione, sendo state forti let tere scritte e
minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica,
G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le
dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo
la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente
costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i
nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men
tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche
spiegavà, senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al
trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo
ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni
maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di
Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio
Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre
fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più
efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró Viri
Paschasii G. Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem. Professoris
logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis
temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit Concesserat Aun. S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non
posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti
di questo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente d'illustrare sua
patria, e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più
che molto distinto riuscì nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Que
stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo
studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre Malpighi, dove si
dottorò verso la fine del si estrarre il sale catartico a guisa di quel
d' In ghilterra, se non venisse incautamente adulterata. Benespesso Pascasio
dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che i segreti
dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele inezie altrui.
Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi fino alla
vecchiezza, dopo anni di lettura in quella università, muore in una villetta
che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella terra, fugliper
Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se polcro, riferito
ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove parla di G.: =
Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit
Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam a docendo
vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana. Avviato
agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli medici, presso
l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana e, in fisica e
in medicina, era ben rappresentata la corrente meccanico-corpuscolarista. Fu il
gruppo di docenti formatisi alla scuola di G.A. Borelli a istradarlo verso
questa tradizione concettuale; soprattutto Marchetti, Bellini e Zerilli lo
introdussero allo studio delle opere, oltre che di Galilei, di Gassendi e del
Borelli. Parallelamente, G. attinse da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo,
anch'esso presente nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in
campo medico, il galileismo con esigenze di ordine pratico. Laureatosi in
filosofia (promotore e il Del Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di
logica e filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e
apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò
una reazione generale della Chiesa contro quelle interpretazioni dello
sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente eversive
dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti
materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme con altri
sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di non
insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di Fabroni, G.
alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto, in difesa dei
lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i contemporanei il
provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire G. alla lettura
di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni domiciliari di
filosofia. Come lettore di questa disciplina medica, il G. mostrò di
voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno". Lesse gli
Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che
privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel
commentarli continuò a seguire i novatori. In particolare, a quanto
sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in
lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito
la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei
diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle
qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le
quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre
camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che Grandi solea
frequentemente conversare nella casa del G.), ma, a differenza di Grandi, il G.
non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica,
tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto
matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri,
fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere
di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne
fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo
(Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiæ novo-antiquæ r.p.
Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova
occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di
Firenze. Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M.
Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello
T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo
sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio
fiorentino. Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso
profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato
dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che
"già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni
pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati
attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes
attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è
la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia
che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi. G. muore a
Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi
giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem
conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS). Per
la collaborazione do G. all'edizione fiorentina delle Opere del Galilei vedi le
lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei
lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum
Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria,
Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis,
Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati
provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia
dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno,
Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature
corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giannetta -- search – another time?
Luigi Speranza -- Grice e Giannone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della terza Roma – e
l’implicatura ligure – scuola d’Ischitella – filosofia foggese – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo foggese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano.
Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta
terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he
meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if
ingenious ones!” “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le
anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse
fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente
da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il
paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben
presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento,
che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu
essenziale per la sua formazione. I suoi interessi non si limitarono
soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici
e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria
civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la
Chiesa per il suo contenuto. Costretto a riparare a Vienna, ottenne
protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire
indisturbato i suoi studi filosofici. Il suo tentativo di rientrare in
patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo
di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a
trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città,
rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso
la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un
altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il
regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione
delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio
della Savoia, ove fu attirato con un tranello. Rimasto nelle prigioni
sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la
libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei
suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della
Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme
fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri
proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a
riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi
riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado
civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante
della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Nel
Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta
la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno
papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche
a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del
male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso
un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale
raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno
Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante
un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una
forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come
fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti
scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di
Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis. Nella Storia della colonna infame, Manzoni
dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che
anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come
filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle
opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo
e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe
scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia
o sterilità di mente, e certo raro il coraggio. Altre saggi: Autobiografia:
i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici
sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del
pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di
Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier,
G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del
Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli,
Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini,
La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO
(Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana:
autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano,
Ricciardi, Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole
degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati,
La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e
illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/
giannone. htm. De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come
sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare,
sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando
de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù
e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa
amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non
tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS
VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM
DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano
i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed
ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a
sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte
d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose
aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed
insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine
o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E
perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO,
PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri
erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o
sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed
occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle
mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i
liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli
STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI,
i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati
fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i
quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio
console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi
perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini
ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove
dimorano ciascuno nel proprio distretto. E fra le città son da considerarsi alcune antiche
ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO in
XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di quà
del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città
marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a
questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non
lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città
antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la
religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia
de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella
di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni
credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA
ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata
pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del
fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re
di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO
GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona,
Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii.
Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA
DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio
monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano
divide l'Italia per mezzo, avevano i liguri di qua e di là d e l monte medesimo
nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona, Iria,
Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri
vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto
lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’
ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo
stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di
principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò
esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella
Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui
città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso
l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu
dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii
posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati
ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè
rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio,
poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due
uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al
quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte,
da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é
somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo
poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi
De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte
di là del Tanaro,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri
statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non
lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi
duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio
di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi
onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua
cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti
monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua montuosa
Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai
salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza
dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui
sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi
longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti
come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla.
I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione
d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi,
anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e
Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche
Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM STIRPE,
egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi,
sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua
antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di
essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con
altre forestiere nazioni, non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro
de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide
navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della
Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza
di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono
le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano
loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria,
discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii,
avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri
levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER
ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se
dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser
piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di
Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti
anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto
maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si aggiunge
che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO, Torino e
già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi hanno
allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli
coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso
rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri
e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città
de'massiliesi soci de’ romani,e non già i campi di Torino, la qual città perciò
non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli
chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa
è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti
erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle
schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente
dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri
antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per
chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi
popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che
perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia
Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i
liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone,
Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per
distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà
le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per
lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente
dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di
Annibale co’ suoi cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche
Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da
questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia,
gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese,
tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano.
E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando
questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione
all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio
da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo
che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era
stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO
ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE,
STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee
riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE
LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara
anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola
derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA
che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal
tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti
altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato,
l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore
ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI
TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè
questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè
prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I
romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili
in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a
ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio
diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle
isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani.
Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro
i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe
certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci
manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES
TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO
stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è
facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i
liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica
quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO
nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per
insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti
dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo,
sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei
consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino
ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua
dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e
sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di
risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori
consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni
de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo
infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e
dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA
MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI
NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO
FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI
LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo
del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE
POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori
sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio
che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve,
dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se
non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni
per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non
sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà,
con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria,
siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto
verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le
genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti
primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli
poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche
della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il
quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro
popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali
si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria,
il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe
pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani
dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato
Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per
discacciarne i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il
capitano supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI
QUESTI INVIARE NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella
Liguria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI
DELLA LORO LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe potuto unendo l’armi
liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio
fino alle mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO
SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani,
die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma
riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese
la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere
state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i
greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro
peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti
mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile
a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano
inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti
che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo
polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco, se non il ligure COLOMBO? Quanto ben
gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui
quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile TORQUATO
assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza
d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento
All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè
l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più
grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila
angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo
centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la
guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente
destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere
a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il
procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia
diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando.
Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici
latini e italiani. Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se
marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori
figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e
Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per
abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il
suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si
trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso
Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela
fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI,
che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi
destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno
austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del
Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile
del Regno di Napoli. Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì
un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando
divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata
contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In
risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G.
pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro
in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno
all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il
Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la
marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per
gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e
vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote
dell'Aulisio, Ferrara, arrestato due
anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come
compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei
quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo
pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo
richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta
fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto
più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli
interessi che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le
opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato
nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi
giuridici e storici. Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo
nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per
potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo,
detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Battista e Niccolò
Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di
più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico
soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G.
fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico
Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché,
nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al
dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di
rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria
civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100
esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale). Scritta con lo
scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA
CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi
documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione,
esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE dell'Impero romano sino al Vice-regno
austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione
direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi, in
particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi),
nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella
Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e
politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il
procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel
capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa,
rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie
l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi
del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello
Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie
necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i
primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine.
Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai
Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G.
accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo
l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei
confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla
dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto
quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno
come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL
MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le
dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che
ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei
barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici
di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia
per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di
restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio
spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso
Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno.
L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel
quale il ceto civile ripone le proprie speranze. L'Istoria e dunque
un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente
sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e
organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e
proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia
meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica
per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e
sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del
Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento
verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende
l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche
l'ostilità di Roma verso G.. Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti
-- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della
città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le
polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha
ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva
chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta
argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a
tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta
atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza
necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del
Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i
provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio.
Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro
G. e la vendita dell'Istoria. La situazione volge al peggio al momento
del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero
napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la
pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la
città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice
della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a
scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto
anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione
dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella
che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA
RITORNO. Raggiunta in incognito
Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una
villa del fratello di Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s.
Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana
e giunge a Vienna. In questa città G. presnde subito contatto con alcuni
esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il
bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore
Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla
curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G.
ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’
Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di
Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro
le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi
in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide
e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che
confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra
migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G.
ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione
annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a
ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di
tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e
si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse
confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto
l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici
della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano
pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti
su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO,
in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora
costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta.
Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del
Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si tratta di un
lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo tempo decide
di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei dintorni di
Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta fortuna,
testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la definitiva
rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito alla
pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli)
di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del
giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G.
Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività
forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive
il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi
non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De'
veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano
nel tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale
della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli
e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le
Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto
al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto
su incarico della Città di Napoli. Nel frattempo, continua la fortuna
europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con
Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive
la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis
nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni
creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum
sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per
la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella
filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il
principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i
più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste
sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il
progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a
Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il
Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia
la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al
popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun
riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a
ENEA -- e, dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno
celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea
della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari,
mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in
parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i
fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni
mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --,
riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del
Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento
evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE
IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della
superiorità rispetto allo stato mondano, temporale. Nella composizione del Tri-regno concorrevano
diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con
cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana,
per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia
ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre -
l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile -
ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a
Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca
(particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle
Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes
sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo
senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le
Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi
secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea
di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata
criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di
Mosheim). Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria
civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale,
dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico,
affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più
"istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente,
fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana
muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a
entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno. Si impede così la
pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la
diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli
archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano
in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad
Amsterdam. La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone
determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con
ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche
G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere
solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli
rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le
trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale
veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia
con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri.
Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione
dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile
cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In
realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo,
Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare
sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Oddi, fa pressioni sul governo della
Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per
screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica
veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi.
La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile.
G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del
Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a
Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche
questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera. Dopo
oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato
sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la
casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su
un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi
fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese,
sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A.
Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento
ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si
reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto
della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran
cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro
di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che
Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani,
offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un
concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro -
aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino
parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano
per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio
sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e
in contatto con l'editore Bousquet, che
annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da
l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a
Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al
calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue
precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese
dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet.
Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore
Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che
G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e
pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in
territorio sabaudo e arrestato. Ormea da disposizioni per l'arresto al
governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del
rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine
esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso
il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui
fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna
la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro
savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In
questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone
Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G.
accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di
Vésenaz. Si trasfere a casa di Gastaldi.
Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e
arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso
Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo
ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da Sedelmayer) andava di paese in paese urlando
di aver catturato "un grand'uomo". Giunto a Chambéry Gastaldi
consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento
nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i
prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il
marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al
quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma,
ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di
Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano
sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto,
perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.
Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da
lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi
sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per
l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello
stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi,
a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del
Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve,
bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio,
e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi.
Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi
errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano. Il testo
dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che -
contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A
convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in
libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite
al conte Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione
possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la
speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e
chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché
non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo
leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino.
Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di LIVIO
(si veda) e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici,
l'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda), e L'ape ingegnosa. In esse
riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi
scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA
DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda).
Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera
e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove
essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in
particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di
Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e
complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le
opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici. Nonostante
la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i
suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques
contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son
établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat
e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione d’Aja.
Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità
ecclesiastiche, a Ceva G. entra in
contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura
di alcune allegazioni forensi. A causa dell'avanzata delle truppe
franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di
successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo tempo le
condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il
governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini particolari
per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile a quello
riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il
Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia al
sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui
lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le condizioni
della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non e passato
inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con personaggi della corte e
della cultura, come i bibliotecari dell'Università Ricolvi e Rivautella, e,
soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi libri della propria
biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale
tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi
scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi. L’interesse destato da G.
suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il nunzio a Torino, Merlini,
protesa presso il sovrano, il quale gli
assicurò che le condizioni del prigioniero sono divenute più severe.
In realtà G. continua a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da
Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una lettera ad Ormea che
sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente composta non e esaudito.
Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S.
Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa e distrutta. Altri saggi:
“Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con bibliografia, in cui sono
comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del
Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune
lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano; Triregno, a cura di
Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi
reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del Triregno, cur. Ricuperati, in
L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di
Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un
testo inedito di G., cur. Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere
del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa,
overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a
cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a
cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, cur. di Minervino (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto
affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino,
Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a
cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze
di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato
arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi
austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche
bibliografiche, Bari; Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G.
riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e
documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e
religiosa di G., Milano; G. e il suo
tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, Risorgimento ghibellino: Ferrari
lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La
lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati,
G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on
the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The
Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli"
di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche,
Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel
pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you
know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’
by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the
Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone.
Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi –
Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --.
Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giavelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --
semantica del segnare -- segnante e segnato – filosofia fortinese – la scuola
di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an
Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which
I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented
on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro
Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de
immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi
stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII,
esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in
"Angelicum", DBI.Casale Monferrato. Crisostomo Javelli was born
in 1470 c., presumably in Piedmont, joins the Dominicans. On G. see GILSON,
Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie,
Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age; TAVUZZI, G. OP A
Biobibliographical Essay: Biography,
Angelicum, G. A Biobibliographical Essay: Bibliography », Angelicum. G. is the author of a Compendium Logicæ. The structure
of G.’s work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also NICOLETTI
(si veda)’s Logica Parva (unlike NICOLETTI (si veda), however, G. does not deal
with obligations and insolubles. The Compendium deals with the following
topics: Introductory remarks, which include a short history of
logic; terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by
Aristotle in De Interpretatione); propositions; the five
praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge); the
antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the
postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's
Categories); syllogism; supposition theory; ampliatio and
appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes in the
tenses of verbs; theory of consequentiae; de probatione terminorum
(this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth,
or the probability of a proposition); demonstrative syllogism (this part
aims at expounding what Aristotle says in his Posterior Analytics). The
treatise is published in in Venice. The Compendium is rather successful, and goes
through many editions. G. has many teaching positions within the dominican order
and, most probably, he writes his Compendium logicæ for didactic purposes. The
tendency to systematize the new logic of the late medieval authors and to
present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in SAVONAROLA
(si veda)’s Compendium. G. is also influenced by the humanists, inasmuch as his
treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which
ancient logic arose. If VALLA (si veda) criticizes NICOLETTI (si veda) for the
latter's unfamiliarity with the Greek language, G. dwells on the etymology of many key terms of
logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his
historical section, G. maintains that Socrates and Plato are not strong
in answering and solving because they did not have logic, even though
they were strong in asking questions or in raising doubts » (licet potentes
essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum
propter logice carentiam). Logic is founded on its proper grounds by Aristotle,
for whom Javelli has words of deep admiration: Hence, the Author of
nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost
divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so
that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in
arts and sciences." TAVUZZI, G. OP Logicæ Compendium LIZIO,
ordinatum per G. Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de
Colonia, Olvssipponae henceforth, G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ Ut
igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis
inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene
divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit
ac perfecit. These words implicitly show the ideological background of the
Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was
aware that many topics of his treatise had not been discussed by LIZIO, but he
nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit.
When G. introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his
textbook, he states that doctrines like the suppositio are consistent
with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them, and
this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and
in metaphysics under the guidance of the LIZIO. G.’s attitude in finding an
agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of
later thinkers has been already underlined by Tavuzzi, and may be said to be a
trademark of his Compendium. After his sketchy history of logic, G.
defines logic as a rational science® and states that its generic subject is
mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the
" ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod argumentatio.This
remark echoes BARBÒ (si veda)’s claim that the object of logic is the ens
rationis, but G. seems to harmonize the AQUINO (si veda)’s solution with the
position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as
ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to BARBÒ
(si veda), Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments.
BARBÒ notices the similarity with what he took to be Aquinas's position, but
stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. G.
implicitly unifies their positions. According to G., logic is a science and
not empirical knowledge, because it has proper subject and proper principles:
the presence of these two elements is enough to hold that it falls under the
rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to the scheme
that Aquinas introduces in the Proemium to his -- etsi non habeantur ab
Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi constabit postquam
in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in physicis atque
metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf.
TAVUZZI, Herveus Natalis and the Philosophical Logic of AQUINO (si veda) in the
Renaissance, Doctor Communis, G. Compendium logicae -- llogica est scientia
rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that logica est ars artium
et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie
clauduntur; this statement echoes Peter of Spain's claim that dialectica est
ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens (Petri
Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione,
apud Sansovinum, Venezia -- subiectum in illa universalissime sumptum est ens
rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra
intellectum -- commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on
terms, G. stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always
tensed. G. has something interesting to say about
propositions. According to him, a proposition 1s omething s (oratto verum
vel falsum signtcans Indicando s) the Clause 'indicando' is meant to
exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. G. adds
that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense,
because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that
is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:
The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify
primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a
phrase in the indicative present tense.' This is not sufficient evidence
to suggest that G.'s understanding of propositions is analogous to SAVONAROLA
(si veda)’s and, regrettably, G. does not add many details to his definition.
In the same third treatise, G. deals with modal propositions as well, and in
this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He
deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic
principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical
propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.
There are four modal operators for G.: necessary, contingent, possible, and
impossible." G. maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by
doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by
Aquinas in his De propositionibus modalibus. G. adds that also 'per se' and
'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent'
respectively: Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de
necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non>
sunt formaliter modales."2 Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione. This claim, although consistent with Aristotle's
littera (cf. De Interpretatione), is at odds with Savonarola's exposition. This
suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated
issues. G. Compendium logicæ Orationes etiam modi indicativi temporis
praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi
reducantur ad unam temporis praesentis indicativi. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it
intelligible. This observation seems to suggest that modal syllogistic is
grounded on Aristotle's theory of predication. G., however, does not expand
this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the distinction
de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the problems that such
a distinction may create within modal syllogistic.' His exposition of modal
logic is intentionally simplified for didactic reasons; after having expanded
modal conversions, Javelli adds: that would be enough for now, lest you get
confused, young man (hæc pro nunc sufficiant ne tu iuvenis confundaris. The
tendency to simplify the core notions of medieval logic brings sometimes G.
to modify significantly these doctrines, as is the case in his supposition
theory. Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere
theory of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for
interpreting sentences. G., on the contrary, seems to consistently maintain
that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of
reference." According to him, the supposition is said to be
the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings.
In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the It
is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an
increasing consensus among contemporary scholars: cf. Thom, The Logic of
Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer,
Dordrecht The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History
of Philosophy); MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard, Cambridge,
MA The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu
composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the
modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's
modal logic is inconsistent. G., however, seems not to be aware of this
philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu
composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito
modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de
sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed 95
mediat inter partes dicti. G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ According
to NOVAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list
all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the
suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements
of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that
supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the
sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for
determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure
including, but by no means limited to, the determination of the entities that
the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the
case if it were a theory of reference (An Intensional Interpretation of
Ockham's Theory of Supposition, Journal of the History of Philosophy, Geach
presented supposition theory as a theory of reference in his classical
monograph Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and
Modern Theories, Cornell, Ithaca, NY Contemporary Philosophy] term 'God' stands
for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is
good.'8 Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter
of Spain and by MANTOVA (si veda), but in his view the supposition theory is a
theory of reference: A substantive term in or outside a proposition,
taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a
proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes to have a
reference For to signify is to introduce a term or a sound to represent a given
something. As a consequence, it is up to the first authors who give names to
things to make it possible to signify. To have a reference is to take an
already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or
references in a proposition. 10° According to Javelli, 'supponit' may be
translated with 'refers to a suppositum. G. is faced with two alternative
interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that
is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. G.
writes that Thomists are debating among
them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also
in itself. G. maintains that a term supponit only in a proposition - a
conclusion that is certainly more consistent with an understanding of
supposition theory as a theory of meaning, 'G. points out that this debate
originated from the interpretation of AQUINO (si veda), Summa Theologiæ. G. summarises
AQUINO (si veda)’s position as it follows. In his answer to the
third never refers to a person, unless the word is determined by its
corresponding predicate, such as in 'God TAVELLUS. Compendium logicæ,
dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo SVO
SIGNIFICATO.In quo sensu dicimus quod in hac oratione Deus est bonus, ly Deus
ponitur PRO SUO SIGNFIICATO, ut sit sensus, id quod significatur per 'Deus' est
bonum -- terminus substantivus in propositione et extra propositionem per se
sumptus SIGNIFICAT, sed non supponit nisi in propositione. Pro
cuius notitia adverte quod SIGNIFICARE precedit supponere. Nam SIGNIFICARE est
imponere terminum sive vocem ad aliquid certi REPRESENTANDVM. Unde facere
significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. Supponere
autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in
propositione pro aliquo suo significato vel supposito generates, God is Father,
God is Son. Hence means (significet) a substance
with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on
the basis of which the name is attributed; however refers to (supponit) a
substance, i.e. to the thing to which such name is attributed. This leads
Capreolus to maintain that this is false: God does not generate God (ista
est falsa Deus non generat Deum). 104 If we were to follow G.’s view, it
is possible, I think, to maintain that a proposition like Deus non generat Deum
may also be TRUE, inasmuch as the term Deus in this context may be taken to
refer not to a person. Consequently, it would be true to say that god, qua trinity,
does not generate god, qua trinity. This example shows that G. has original
ideas, even though he never wants to explicitly detach himself to the core
tenets of that Thomistic school to which he belonged. -- in responsione ad
tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit
pro natura. Plostquam beatus AQUINO (si veda) dixerat quod Deus supponit per se
pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem,
ut cum dicitur Deus creat. Numquam autem supponit pro persona, nisi
determinetur per predicatum relativum, ut Deus generat, Deus est pater, Deus
est filius, ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro
persona Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi
AQUINO (si veda), ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Cattier, Touronibus -- nomen,
licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat
qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia,
hoc est pro re cui imponitur tale nomen According to the Catholic dogma, it is
God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the
term Deus supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it
follows that a proposition like God does not generate God should be FALSE. The sections on syllogistic are the less original
parts of G.’s treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et
demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui
turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e,
in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter diuiditur
in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de
terminis secundo intentionis, et iste
est liber praedicabilium. In
secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber
praedicamentorum, et post
praedicamentorum. Secunda est in
qua tradatur de terminis
complexis, id est de oratione et
propositione et hic est liber “Peri
Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in
quatuor. In prima agitur de
argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata
alicui materiae et hic est
liber pnorunviln secunda agitur
de syllogismo demonstratiuo, et
hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est
probabili, flthic eft liber topicorum. In quarta agitur de
syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co q* per ipsum solum gc iteratur deceptio, et hic est liber
elenchorum. Hoc est summa librorum, quos
tradidit nobis LIZIO inventor logicæ. Reliquos autem minores tradarus quos
appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab LIZIO. Sed posteriores
traxerunt virtualiter ex praedictis libris LIZIO, ita us
tradare de gtib9oronis, deinde de oratide
et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et
socundo loco tradabimus de syllogismo formali et tertio loco de prædicabilibus, et quarto loco de
praedicamentis. Nam abfqj notitia propositionis et syllogismi, n “Quida homo
non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant
nomen ad constructionem pro cerro casu,
puta ablativo ucl
accusative. Adverbia
determinant verbum f>ro
determinato Io co, ut
adverbia localia, vel pro determinaro
tempore, ut adverbia temporis, vel pro
determinato modo quantitatis ucl qualitatis tut adverbia
quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem determinant
terminos et orationes, secundum,
modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum (‘or’) vel
illatiuum. exeplum primi,
“et”, arcp exemplum secundi, “vel,”
“aut”, exemplu tertii, “ergo,”
igitur, iracp. Inter
syncategorematicos terminos non
comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam ut
docuimus signficant NATURALITER,
nec pronomina primitiva, quoniam sumuntur loco proprii nominis et certam
significant personam. De derivativis autem videtur quod sic,
quem sunt ut determinationes nominum
substantivum - ut “meus liber”,
“tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer
participium ji5 eft terminus
syncategorematicus, compleditur
enim nomen substantiuum et verbum
-- ut “legens” loquiTUni» ‘homo qui legit’ loquitur. Ex his omnibus sequitur,
quod cum sine odo partes orationis,
tantum nomen et verbum sumendo cum nomine pronomen primitivum, et cum verbo participium, sunt termini
categorematici, alix autem partes sine termini syncaregorematici
apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum
categorematicorum quidam eft primat
intentionis, quidam secundae. Prima intentio apud veros peripateticos (LIZIO)
est primus conceptus fundatus immediate in re, quod est ens reale, ut primo
apprathenditur prxhenditur ab
intellectu, -- ut ‘animal rationale’ est prima
intentio quam format intellectus, et immediate fundatur, iit natura hominis. Secunda aurem intentio est secundus conccprus
formamus ab intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo
conceptu, ut esse praedicabile de
pluribus differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem format
inrellectus de homine. Nam postquam appraehendit cp ‘homo’ est “animal rationale”, advertit ut
est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est
praedicabilis de quolibet suo
individuo in quid, et tunc format secundum conceptum, dicens quod natura
hominis e eo quod est ‘animal rationale’ est prædicabilis de pluribus
differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet
natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est
terminus significans primum conceptum,
fundatum immediate in
essentia rei -- ut “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem
secunda intentionis est terminus significans secundu conceptum fundatu
in natura rei
median re pmo conceptu -- ut “genus”,
“species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus
novitii hic sisto. In tradaru aute de
universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et
feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod
divisio termini in terminos
pmz impositionis, et secundo
positionis apud nos, qui sequimur VIAM REALIUM non differt
a praecedenti. Nam “homo” in mente vel anima excogitatus, et voce probatus, et in scripto politus,
significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz intentionis in mente vel anima, in voce, in
scripto. Et iste terminus species ex
cogitatus in mente vel anima et in voce et in
scripto et secundæ intentionis,
quia significat secundum conceptum modo
quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos
f>mx, 8( secundae intentionis,
assignare eam quæ dicitur pmz, et secundx imtentionis ut penitus distinctam
aprxcedenti, qux fuit inter m x, et secundx
intentionis. Hoc enim continetur
in illa. Terminorum quidam cfimunis, quidam singularis. Cdmunis est q
de pluribus pradicatur -- ut “homo”, “animal”, “lapis”, et apud grammaticum
dicitur nomen appellativum, quem pluribus convenit. Terminus singularis est
qui de uno
solo prædicatur -- ut piato, et
fortes, et apud grammaticum dicitur
nomen proprium (“Fido”), qmuui foli conuenk, et ad
«erte alternas, ut
qndiuiditeorpus p alata et inaiatu, et aiatu per fenfitiuu St no (cnfitiuu, fecundo gnis
in spes spalissimas, uc qii
dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces
in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes fkqncp
modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas individuales, ut qn dividit
ho in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo
qn totu dividitur in partes eflcntia lcs, uc ens naturale compositu dividif in
materia et forma, sicut dividit homo in
animam et corpus, III qn dividitur totu co tinuuin partes suas
intcgralcs, ut domus in
fundametum, tc» dii, et pariete, et corpus animalis in partes, qufe
sunt membra sua, ex qbus integrat corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in
partes fiias, inter quas et fi no fit
continuitas est rame ordo et proportio. Hoc rao dividif EXERCITVS in
mtlitcs, cqtcs peditcs, 8(c.
quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi in partes
fuas poreftatiuas qn
diuiditur anima per
potentias suas et virtutes
suas, ut tibi manifeftabitur i
libro de anima, et ifra
manifestabimus tibi in libro de
syllogismo Topico Divisio uo cis in sua significata sit tribus modis
primo vocis univoce in significata univoce, ut qn dividif ho in fortem et platone etc, secundo vocis aequivoce in
significata aequi-vocata,
-ut qn
diuiditur “cancer” in ftclla fiue signum cæleste, et aquaticum aial, et
morbum, III vocis analogicæ in significata analogata, ut
qti diuiditur “sanu”, iu alal
(anu, urina lana, medicinam
sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et cetera Et hanc divisione cognofccs in trac. de pntis.;
Divisio secudu accidens sic tribus
modis, primo subiecti in accidentia, ut holum alius
parvus, alitis magnus 1 alius
albus, alius niger, alius
medio colore coloratus, (c3o accidentis!in
subiecta, ut accidentifi, quæ sunt m hoie, aliud
in aia, ut seia, aliud
in corpore, ut
agilitas etc. tertio
accidentis in accidentia, ut accidcntiu, quarda dura, quaedam
liquida, qnada lucida, quaedam tenebrosa, et hxc divisio manifestabit tibi in philosophia naturali et
præcipue in libro de generatione. Ifti
igitur sunt iqodi univerfales
famofiores apud Aristotelem, quibus fieri
confutuit divisio. Quantum ad
pmam divifionem, quac est
per affirmatiua et negatiuam aduerre, quod affirmatiua
dupfr definitur, pmo fic, categorica affirmatiua est. ppofirio in qua praedicatum affirmatur
de subiefto: -- ut: Homo est albus. Sed
adverte cj» tuc praedicatu affirmatur
de subiectc quando negatio no
p cedit copula, q?
fi praecedit negatio, negatur
pdicatum de subiecto, et efficitur
negariva – ut hic “Socrates
non est
albus.” Si au tem fiib fequitur
no efficitur negatiua, sed permanet affirmativa,-- ut:
Homo est no albus. Ire adverte «p alio
modo affirma! pdicatum de
fubiecto in affirmatiua
uera et in falsa,
na in vera
affirmatur re et voce
quia sic est in re, sicut dr, ut homo re et uoce est risibilis. In
falsa atite affirmatur voce tm et non
re. Nam licet dicam q» Homo est asinus tarhe non sic est in re, secundo
definitur sic. Affirmatiua est in qua verbum principale affirmatur de subiecto,
ut Homo est animal. Dr in qua nerbum
principale affirmatur ad differentiam verbi secundarii qtiod si negattir vel
affirmatur, propter ipsum non sit propositio affirmativa
nec negativa. Vnde ista non est
negativa. SOCRATE CICERONE CATONE qui
non currit, mouetur, nec ista
eft affirmatiua, Socrates,
qui currit, non movetur. Nam
In prima licet
uerbum secundarium, quod est, currit, negetur, tamen principale quod est
movetur, affirmatur, ideo permanet affirmatiua. In IccQda autem
fit oppofito modo,
ideo permanet negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii
secundarium fe tenet a parte subiecti,
q3 paret refoluedo in
fuu participiu fiuc aftiuum siue pasfiuu, ut hic. SOCRATE CICERONE CATONE qui non currit,
ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, SOCRATE CICERONE CATONE qui currit, id
est Socrates curreni non mouerur:
Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no facit propositionem dic affirmatius ucl
ncgariuam, tcd negatio cadens
fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur fubiedum, ut
“homo non est
afinus”, sive mediate, ut Non homo est
animal, dum modo fumatur
negatio negans, et no infinitam
terminum, cui opponitur, nam si infinitarer, non faceret
negativam. Vnde lixc non clt
negative. “Non homo currit”, qm ly non homo clt nomen infinitum, etc.
Vnde non homo curru, xquippollet ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat
aut hanc elfe affirmatiua Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua.
Categorica negatiua dupliciter definitur. Primo sic, categorica negativa est
propositio in qua prædicatum negatur de suo subiecto, auc homo non est lapis.
Secundo sic, est propoaitio in qua verbum principale negatur . Dicitur verbum
principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus sive affirmetur
sive negetur, non facit propositionem
affir. aut nega. Et aduertc, quod propofitio
poreft fieri afflr.
vel nega. dupliciter scilicet
explicite et IMPLICITE. Si explicite, sit per
nomen et verbum indicativi modi,
ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum terminu, ut quando
dicimus, homo est risibilis, et e converso, ly
e converso aequippollet uni
propositioni, qux elf hxc, et
risibile est homo. Item aduerte quod divisio per
afflrmativam et negativam non foium convenit categoricæ sed etiam hyporheticæ
et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer modal s, dicemus agentes de eis. Nunc autem
fuftine, ne confundaris ut nouus AVDITOR (Grice, RECIPIENT). Hxc de prima divisione di&afint Quantum ad
secundam divisionem categorica: fciliccc
per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam
negatiua dupliciter definitur. Primo sic, vera est, qua: significat verum
id est significar rem sicut est, si est affirmatiua, vel significat rem sicut
non est, si est negatiua. Sed de hac latis
diximus in ca. præcedenti
in dedaranlo definitionem
propositionis secundo autem fir
defiintur. Vera est illa, cuius SIGNIFICATVM PRIMARIVM EST VERVM. SIGNIFICATVM autem
PRIMARIVM est illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft
ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius
primarium significatum est uerum ad differentiam secunda rii. secundarium autem eft quod continetur in
primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia primarium huius, homo est
rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem fcquitur cfte
ani mal, esse animatum, ede
corpus efie subie&am.
luxta igitur SIGNIFICATVM
PRIMARIVM et fccundarium indicanda eft
propofirio uera, qm cft ucra
primo et per fe ex eo, ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene
sequitur qcf “Si fortes est homo, fortes est animal.” sed non
ceonuerfb, ut declarabimus
in trac. dc confequentiis. Similiter falsa dupliciter
definitur. Primo sic, falfi est qux
aliter significat quam fit in re,
ut hxc
cft falsa, Homo est ansinus, quia SIGNIFICAT hominem esse asinum,
et tamen aliter est rn re, quia
in re no
est asinus, sed homo sive rationalis, et de hac
definitione iam diximus
in cap. præcedentiin definitione propositionis. Sccundo sic,
falsa est illa cuius primarum
significatum est falsum. Verbi
gratia hæc est
falsa “Homo est
asinus”, quia holem esse
asinum est falsum, cu sic ronalis,
et asinus irratroalis. Quod si fiereciudicium secundu
SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe animal, effet vera. Nam
hxc est, vera homo est animal v non
tamen sequitur, ergo est afinns,
ut declarabitur tibi in
trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad
tertiam divisionem scilicet quod aliqua est
alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius subiectum ftat
pro aliquo ucl pro aliquibus vel pro omnibus vel pro nullo, ut declarabitur in
diuifione sequenti. Nullius quantitatis eft illa cuius subiectum suspenditur a
propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ipIum quails est exclusiva
exceciua reduplicativa, de quaif, p- Satiqne aprietates: ut est RISIBILITAS in
homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, sumum calorem in
igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit
fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap.
de proprio et accidente. Illæ vero fiunt in materia remota, in quibus
prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo id
inuicero repugnant. Istæ autem sunt in quibus subiectum et prædicatum
sunt opposita contraria vel contradidoria vel
privative ucl relative opposita. Exempla: Album est nigrum. Homo est non homo. Caecus est videns. Pater est
filius. Et aducrte, q? dicuntur
fieri i|i materia
remota, scilicet repugnanti, qm natur subiedi&i
prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1
omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa,
negatiua autem femg et immutabiliter
ucra. In materia vero naturali est opposito
modo. Nam affirmariva femg est vera, negatiua fepig falfcM Jn nuter cotingeti? 4 est medio m6, qm tam affirma,
q nega, aliqn e vera aliqn falsa,
nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est vera, negativa falsa, qn
prædicatum removetur, affirmativa est
falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam divisionem, quae fuit haec, Propositionum
categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici
materia.Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit
quatruplexoppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter
eas quarum una est universalis affirmatiua et altera universalis negatiua, de
eifdcm subietlis et prædicatis univoce et æque ample et aeque strictca cceptis.
Primo df quarum una est universalis et cetera. Nam ut distinguantur a
contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si
eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum
quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est
affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis:
uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non funt
contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn aduerte
quod subiectum et prædicatum pnt esse
idem tripliciter, pmo fm vocem
tm et non fm
SIGNATVM, secundo t m. SIGNATVM
tm et non fm vocem, tertio fm vocem et
SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: Omnis canis latrat: nullus
canis latrat. Omnis homo currit, nullum
ronale currit. Omnis homo est alal
nullus homo est alaU Prima
identitas non sufficit ad
contrarietatem, ideo dicitur
in definitione, acceptis UNIVOCE,
constat aut quod canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; aut sufficit ad contrarietatem
virtuale seu ÆQVIVALENTE sed no
ad formalem; vero sufficit ad
contratietate proprie dicta et formale
[CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM
– why not both, as in J.?], unde licet iftx duæ, “Omnis homo currit, nullu rationale
currit, sint cotrariæ virtualiter eo q
SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formaliter
non participat E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM.
III dicitur aeque ample &aeque
ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. Omnis homo est animal, nullus homo est animal,
quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda
SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte, quod
secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS ideo
acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt
contrariæ. Omnis homo EST albus, Nullus homo FVIT albus, quia in prima
reftringitur ad præsentes, in secunda
autem ampliatur ad przfentcs vel
præreritos. Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et
APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod prxdldx non sunt contrariæ non solum ronc di
da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in secunda
est ly FVIT. Unde in definitione
intelligendum est q' contrarix
debent c(Te de
ctfdem subicdis et
prædicatis et copulis. Hoc de
contrariis dida fint. Oppositio contradictoria est inter eas,
quarum una cft viis affirmatiua, altera particularis negativa, ut Omnis homo est animal, Quidam homo non
est animal, uei altera est vfis
negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut Nullus homo currit, Quidam
homo currit, dccifdcm subicdis et pdicatis
et copulis, uniuocc et zque ample, et xque ftride acceptis. Omnia debent intclligi sicut
expofitum est de contrariis. Ut
autem habeas maiorem
noticiamdc contradidione adverte ex doctrina
LIZIO, quatuor condidioncs requirit, et defedu cuiullibct carum enitatur
contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et
negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”,
“Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria
formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE
currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte
significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce
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V^lArii* Jj; ii .I' d appdlationibus J
IX de consequentiis. X de
probationibus terminorum. Vndeamus de syllogismo demonstrativo, in quo quo
continetur LIZIO docrina in lib. poster. Qjia E Gmma recenti hac nostra
editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their
subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider G.: the dog barks,
anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums
raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification.
It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If
the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in
pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian
philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards
which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His
comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to
‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog
that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and
rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox
signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From
there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et
authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli.
Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library.
Giavelli.
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