Luigi Speranza --
Grice e Gitio: la ragione conversazionale e a setta di Locri -- Roma – scuola
di Locri – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Locri,
Calabria -- According to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi Speranza -- Grice e Giudice: la ragione
conversazionale al rogo -- l’implicatura conversazionale di Bruno – filosofia
napoletana – scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
Italiano. Napoli, Campania. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the
worth of the longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some
philosophical minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on
‘Atteone,’ which are jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno
is interesting: it’s not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and
usually the heretics had a better philosophical background – into what the
Italians called the lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford
in pre-lib days!” -- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the
Italians prefer ‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the
full surname – if it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth
the origin of philosophy in the Eleatic school. Si laurea a Napoli e studia BRUNO e la filosofia del
rinascimento. Fonda la Societa Bruno. Altre opera: “BRUNO” (Marotta e
Cafiero Editori, Napoli); “La coincidenza degl’opposti” (Di Renzo, Roma); “Bruno,
Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo, Roma); “Due Orazioni. Oratio
Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo, Roma, “La disputa di Cambrai.
Camoeracensis acrotismus, Di Renzo, Roma); “Il Dio dei Geometri” quattro
dialoghi, Di Renzo, Roma); “Somma dei termini metafisici”; “Tra alchimisti e
Rosacroce, Di Renzo, Roma, “Io dirò la verità. Intervista a Bruno, Di Renzo,
Roma, “Contro i matematici, Di Renzo, Roma, “Il profeta dell'universo finite” –
“Epistole latine, Fondazione Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore). BRUNO,
Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). Nacque
a Nola, nel Regno di Napoli, figlio di Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa
Savolino: è battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove trascorse
l'infanzia e iniziò i primi studi, conserva poi sempre un ricordo nostalgico. Si
reca a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe
come maestri il Sarnese (COLLE (si veda)), filosofo di tendenze averroiste, e
fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera
ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da
allora in lui l'interesse per la mnemotecnica. Con una incipiente
formazione laica, entra come chierico nel convento napoletano di S. Domenico
Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in onore del domenicano fra'
Giordano Crispo, maestro allo Studio) e quel nome ritenne poi sempre, salvo che
per una breve parentesi. Mal compatibile, per carattere e prima formazione, con
la regola conventuale incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il
culto di Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne
allora stracciata dal maestro dei novizi). Con cautela va accolta la
notizia da lui in seguito fornita (Doc. parigini) di un invito a Roma per
mostrare la propria abilità mnemonica a Pio:va però notato che allo stesso
pontefice il B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di
argomento morale (Dialoghi italiani). Ordinato suddiacono e poi diacono,
venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i ventiquattro anni, e celebrò la
prima messa nella chiesa del convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna,
presso Salerno. Dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece
ritorno allo Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di
teologia: il curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e
terza parte della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della
Summa,alternabile con il quarto libro delle Sentenze di PLombardo esposte da
Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e quelli
di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D. Thomas
in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit Magister
Sententiarum" (Doc. parigini). Tali studi, se da una parte
suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera d’AQUINO (si
veda), d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les
subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de
l'Eucharistie" (Doc. parigini,), con il conseguente disinteresse per la
problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure,
più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro
interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i
"libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di
Erasmo" (Doc. veneti). Ciò che, unitamente all'espressione dei propri
dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana,
portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale
(con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già
distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come
sospetto di eresia. Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò
ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello
stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria
sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i
disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali disordini
e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi credette lui che
l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I): imputazione
infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle successive
vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di lui venne
istruito dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di quell'anno, saputo
che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a Napoli, B., deposto
l'abito, abbandonò Roma, raggiunse GENOVA e si trattenne a insegnando la
grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini (Doc. veneti).
Da NOLI passa a SAVONA e quindi a Torino; di lì, non avendovi trovato
trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove si trattenne
non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa,
"un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto
esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova
fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non avesse
voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato, per
Brescia, a Bergamo. Toccata Milano, lasciò l'Italia attraverso la Savoia,
diretto a Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali dell'ostilità
che avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552
una comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo
Caracciolo di Vico. A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si
guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che
egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla
immatricolazione universitaria autografa, quanto da un processo per
diffamazione ai danni del titolare di filosofia Antoine de la Faye, istruito contro
di lui dal concistoro: B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente
scomunicato. Dopo un debole tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole,
pregò di essere riammesso alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla
scomunica. Tale episodio (che avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere
mediante la propria polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da
Ginevra. Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di
sostentarsi, vi si trattenne solo un mese e si recò quindi a Tolosa, che era
proprio in quel tempo uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò che
dimostra la portata della sua reazione anticalvinista, confermata anche dal
tentativo che allora fece di ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La
mancata assoluzione, "per esser apostata" (Doc. veneti), non gli
impedì di essere invitato "a legger a diversi scolari la Sfera, la qual
lesse con altre lezioni de filosofia forse sei mesi" (Doc. veneti), nonché
di conseguire il titolo di magister artium: ed ottenere per concorso il posto
allora vacante di lettore ordinario di filosofia: onde lesse, "doi anni
continui, il testo del LIZIO De anima ed altre lezioni de filosofia". Da
accenni fatti più tardi dallo stesso B., è dato inferire che il suo
insegnamento incluse lezioni di fisica, matematica e lulliane. Risale a
quest'epoca la composizione della Clavis magna, trattato mnemotecnico-lulliano
rimasto inedito e smarrito. Si delineò una ripresa della lotta tra
cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa "a causa delle guerre
civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi a Parigi, vi intraprese "una
lezion straordinaria", cioè un corso di trenta lezioni su altrettanti
"attributi divini, tolti d'AQUINO (si veda) dalla prima parte, che alcuni
vogliono costituisse l'operetta inedita e smarrita "di Dio, per la
deduzion di certi suoi predicati universali" (Doc. veneti). A Parigi non
poté accettare un lettorato ordinario per l'obbligo - che, come apostata, non
volle assumersi - di frequentare la messa; tuttavia conseguì tale rinomanza
mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a dichiarare egli stesso,
"il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria
che avevo e che professava, era naturale o pur per arte magica; al qual diedi
sodisfazione; e con quello che li dissi e feci provare a lui medesimo, conobbe
che non era per arte magica ma per scienza" (Doc. veneti): episodio che
ben si comprende tenendo conto del fatto che la corte francese era frequentata
da intellettuali come Perron e Tyard di cui sono noti gli interessi per il
sapere enciclopedico e l'arte della memoria come strumenti per un piano di
riforma culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la corte - che sarebbero
durati, direttamente o indirettamente, per circa un quinquennio - si spiegano
altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga conto dell'analogia tra
l'equidistanza bruniana dal rigorismo cattolico e da quello protestante, e la
posizione mediana dei politiques, che controllavano la corte, tra l'estremismo
cattolico dei ligueurs e quello protestante degli ugonotti. Durante
questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le prime operette bruniane a
noi pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta dell'Arsmemoriae, opera
mnemotecnica e lulliana stampata da Gourbin, da B. dedicata ad Enrico III, il
quale "con questa occasione lo fece lettor straordinario e
provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far parte del gruppo dei
lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo aristotelico della Sorbonne);
seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus, operetta mnemotecnica stampata da
Gilles e dedicata, per conto del B., da Regnault ad Angoulême, fratello
naturale del re, essendo B. stesso "gravioribus negociis intentus"
(Opera); quindi il De compendiosa architectura et complemento Artis Lullii
(Gourbin) dedicata dal B. all'ambasciatore veneto Giovanni Moro. La prima
parte del De umbris rielabora materiale lulliano e mnemotecnico ai fini di una
ricerca gnoseologica che presuppone, platonicamente, una corrispondenza tra
mondo fisico e mondo ideale; la seconda e terza parte costituiscono un manuale
mnemotecnico per cui il B. attinge in particolare al ravennate (l'impostazione
didascalica è ripresa nell'Ars memoriae, in cui elementi della tradizione
astrologico-ermetica si inseriscono nella elaborazione lulliana e mnemotecnica,
fermo restando l'intento gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi,
presenta un'applicazione concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza
un'intenzione satirica che sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa
architecturarielabora gli elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire
uno strumento gnoseologico per cui l'ordine universale risulta riflesso nello
schema simbolico. B. terminava la composizione dell'unica sua commedia, il
Candelaio, stampata prima della fine dell'anno (anteriormente forse al De
compendiosaarchitectura) da Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore
si definiva "Academico di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia
hilaris, in hilaritate tristis. Il Candelaio, scritto in un volgare
popolaresco ricco di napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione
burlesca rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della
retorica classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con
l'Ordine, né è da escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima
dell'allontanamento dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio
napoletano di non sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto
napoletana - la cui azione si svolge vicino al seggio di Nilo" - investe
satiricamente tre materie principali e l'amor di Bonifacio, l'alchimia di
Bartolomeo e la pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla
vita morale del principio bruniano della corrispondenza e identificazione dei
distinti nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che,
riallacciandosi alla base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica
delle operette latine, anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi
filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla
s'annichila; è un solo che non può mutarsi..."). Dalla dedica del
Candelaio si sono desunti due titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli
pensier gai e Il troncod'acqua viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova
citata un'ottava ("Don'a' rapidi fiumi in su ritorno") di un
"poema" inedito e smarrito, cui appartiene forse anche l'ottava
"Convien ch'il sol, donde parte, raggiri" citata tre anni dopo negli Eroici
furori. L'ambasciatore inglese a Parigi, Cobham, inviava un preoccupato
messaggio al primo segretario del Regno d'Inghilterra, Walsingham, informandolo
dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la preoccupazione concerneva
l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione. L'arrivo del B. in
Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III per il proprio
ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de Castelnau (cui era
affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria di Scozia presso la
regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté essere indotto a
lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc. veneti) - o più
esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che due anni più
tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione con i
protestanti -; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in
Inghilterra potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a
mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione
politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la personale urgenza
bruniana per una sua affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i
tentativi compiuti a Tolosa e a Parigi. Al suo arrivo in Inghilterra B.
prese dimora nella casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva
altro, se non che stava per suo gentilomo" (Doc.veneti). Fa una visita a
Oxford, al seguito del conte palatino Laski: in tale occasione, pur non facendo
parte degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i dottori
oxoniensi, in particolare con il teologo Underhill, richiamandosi alla logica
aristotelica in polemica con le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da
ritenere che indirizzasse allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum
Oxoniensis Academiae Procancellarium, clarissimos doctores atque celeberrimos
magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum),
con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene
dai registri universitari non risulti che B. abbia tenuto un corso formale in
quella sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche
letture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici
sphaera" (Dialoghi italiani: vedi Doc. parigini, I, e Opera), risulta
confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il
futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol, da cui si apprende
che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa
estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria
copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando
quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati
l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale
corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico
Martin Culpepper, guardiano di New College, e Matthew, decano di Christ Church,
avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De vita
coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti
ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza
lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio
atteggiamento antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme
antiumanistica. A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e
speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte,
sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal
pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra è un
volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum
(preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il
Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile
precisare l'officina tipografica, che è quella di Charlewood, dalla quale
sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi. L'Ars reminiscendi
è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus.
Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole
di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei triginta sigilli
mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni ovvero ombre delle
cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il
presupposto gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel
Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo
conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità
dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione
platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze
d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillusfa
di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana. Il
mercoledì delle Ceneri, B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul
moto della Terra nella "onorata stanza" di Greville, a Whitehall, in compagnia
di Florio e del medico Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi
sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede
processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del
Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla
intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite
e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata
nello stesso anno). Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il
B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo
dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione
originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati
della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in Inghilterra, la corrente
scientifica distaccatasi dalle università e sostenuta dalla corte elisabettiana
(Recorde, Dee, Field, Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie
copernicane: è in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività
inglese di B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una
moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e
adozione del volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino
politiche (adesione alla moderata fazione puritana capeggiata da Dudley, conte
di Leicester, nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano Cecil: ciò
che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo
II della Cena). Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore
francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte
contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende
l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi
nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione
ermetica di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui
circonferenza non si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva
l'affermazione dell'infinito effetto della causa infinita, nonché
l'interpretazione prammatica di quei passi delle Scritture che concordano con
la concezione vulgata dell'universo. L'impostazione polemica dell'opera
investe, nel dialogo II, tutti gli strati della contemporanea società inglese
mediante una rappresentazione vivacemente realistica. B., pur adottando la
forma dialogica della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle
esigenze della propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica
della tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria
grammaticale oltre che di quella peripatetica. Gli attacchi contenuti
nella Cena alla università di Oxford e alla società inglese suscitarono una
forte reazione negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con
una serie di offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti
all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del
momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica:
è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di
quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di
premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio
et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però,
caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un
riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense
anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in
particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi
dialoghi, dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della
Cena. Il primo dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro
anche per i diversi interlocutori (tra questi Elitropio è Florio, mentre
Armesso sembra identificabile con Gwinne); notevole, tra gli interlocutori dei
rimanenti dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson Arelio (nativo di Errol),
discepolo londinese del B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis
et iudicii ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da
William Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi
di B. e del Dicson nella sua riprovazione del metodo mnemonico classico
considerato in opposizione a quello ramista. La presenza di questo
interlocutore, insieme con l'attacco frontale a Ramo nel dialogo III, può
valere a farci considerare la Causa come opera di letteratura militante
nell'ambito della contemporanea polemica ramista (per l'aspetto politico non va
dimenticato che l'attività del Dicson era in linea con il programma
politique). I quattro dialoghi più propriamente speculativi della Causa
concernono la definizione dei tre termini enunciati nel titolo:
"causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente, come la
"forma" e la "materia" che, indissolubilmente unite,
costituiscono l'"uno", cioè il "tutto". Movendo dalla
critica dei postulati della tradizione aristotelica, e non senza ricorso alle
formulazioni di stampo neoplatonico ed ermetico, B. giunge in tal modo a
fornire una originale base teoretica alla propria cosmologia già in parte
enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei dialoghi De l'infinito.
Il motivo della satira antipedantesca si accentua nella Causa con una aderenza
polemica alle posizioni culturali delle due università inglesi. Il ritmo
serrato con cui alla pubblicazione della Cena e della Causa segue quella dei
dialoghi De l'infinito, universo e mondi e dello Spaccio de la bestia trionfante
si spiega tenendo conto del fatto che B. doveva aver elaborato buona parte del
materiale confluito poi nei tre dialoghi cosmologici. Anche l'Infinito porta la
dedica al Castelnau, mentre lo Spaccio è dedicato a sir Philip Sidney, nipote
del Leicester, mostrandoci in tal modo la portata dei contatti letterari, oltre
che politici, dal B. avuti in Inghilterra. Nei cinque dialoghi De
l'infinito, in polemica con la fisica aristotelica, il B. rigetta la teoria
della divisibilità all'infinito e ribadisce la propria teoria della infinità
dell'universo e della pluralità dei mondi. In questa opera risulta enunciato il
pensiero bruniano sul rapporto tra filosofia e religione conforme alla teoria
averroista esposta dal Pomponazzi. Tra gli interlocutori figura Fracastoro,
tracce delle cui dottrine sono reperibili nel dialogo; discutibile rimane
l'identificazione di Albertino con Gentili (da B. certamente incontrato a
Oxford): potrebbe trattarsi invece di personaggio nolano. La nuova
concezione dell'universo esposta nei tre dialoghi cosmologici si riflette sul
piano etico con la trilogia dei dialoghi tradizionalmente definiti
"morali", a cominciare dallo Spaccio, il cui tono satirico ravviva
un'invenzione che risale, letterariamente, ai dialoghi "piacevoli" di
Niccolò Franco. Lo Spaccio espone un piano di riforma morale che implica
la critica all'etica cristiana delle Chiese riformate non meno che di quella
cattolica, in nome di un attivismo umanistico contrapposto al tradizionale
umanesimo misticheggiante e retorico. L'ispirazione acristiana dell'etica
bruniana sembra trovare conferma nella critica - metaforicamente condotta -
della duplice natura della persona del Cristo. Non è escluso che questa opera
sia da identificare con il Purgatorio de l'inferno,titolo fornito dal B. nella
Cena. Le allusioni politiche contenute nello Spaccio sono compatibili con
l'orientamento brumano favorevole ai politiques e che risale al suo soggiorno
parigino: c'è chi pur oggi continua a ritenere che la "bestia trionfante"
spodestata nello Spaccio sia da identificare con l'intransigente Sisto V. Ma, a
parte la cronologia, sembrerebbe contrastare all'interpretazione il quadro
tracciato nella Cabala del cavallo pegaseo, con l'aggiunta dell'Asino
cillenico, in cui l'"asino", identificabile con la "bestia"
dello Spaccio, riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre
che la Cabala sia posteriore, data della bolla con cui Sisto scomunicò il re di
Navarra. Al di là del possibile significato politico-religioso, la Cabala
interessa sia per l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli
spunti speculativi (quali il problema del rapporto tra le anime individuali e
l'anima universale, risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità
delle anime) che valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero
bruniano. L'operetta è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano,
don Sabatino Savolino, della stessa famiglia materna di B. cui pure appartiene
l'interlocutore Saulino presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in
seguito, di aver soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai
sapienti "propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra
le superstiti opere a stampa di Bruno. Il soggiorno inglese del B. non
poteva concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi
De gli eroici furori, dedicati a Sidney, in cui risultano poeticamente esaltati
i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre dialoghi
cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira morale
contenuta nei due dialoghi etici. I dieci dialoghi De gli eroici furori
hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno
infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana
(risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico, Proclo, ecc.)
rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e fisico" del
discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella dedicatoria. La
stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono son presi per
medesimo significante circa medesima cosa significata") va in realtà
ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di
trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono
"intrinseci" e la divina luce è sempre presente"; "ogni
contrarietà si riduce a l'amicizia, "le cose alte si fanno basse, e le
basse dovegnono alte. Notevole nei Furori l'esposizione della poetica
bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro interpretazione
normativa della poetica aristotelica, approda a una concezione della poesia
come letteratura applicata: di qui il ripudio della tradizione lirica
petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di rime intonate al gusto del tardo
petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A.
Epicuro). Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo,
amici della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico dell'infanzia,
la presenza di due figure femminili: Laodamia e Giulia. B. rientrava in
Francia al seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre
si trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di
una grassazione. Al suo rientro a Parigi B. veniva a trovare un clima politico
mutato (nel luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel
settembre era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse
il suo tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc.
veneti) tramite il nunzio apostolico Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese Bene,
abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus, esposizione
mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in contatto con gli
italiani di Parigi, tra i quali Botero, stringendo amicizia con Iacopo
Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto, epicuro per la vita"
(cfr. Yates), e prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno
prese a prestito l'edizione di LUCREZIO (si veda) curata da Giffen e confidò al
bibliotecario Guillaume Cotin (il cui diario ci conserva le notizie fornitegli
da B.) l'intenzione di pubblicare l'Arbor philosophorum, del quale nulla
sappiamo a parte il titolo lulliano. Due episodi clamorosi
neutralizzarono in quel tempo il residuo d'appoggio in cui il B. poteva ancora
sperare presso il partito politique. Dopo aver assistito a una pubblica
dimostrazione del compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano
Fabrizio Mordente, uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in latino la
scoperta - parendogli atta a dimostrare il limite fisico della divisibilità,
conforme alla propria incipiente monadologia -: pubblicò infatti i Dialogi duo
de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti
dall'Insomnium), presso Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il
Mordente, alla cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi
Idiota triumphans e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti
stampare insieme con i due precedenti dialoghi mordentiani. B. veniva così ad
attaccare apertamente un cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai
vacillante protezione politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa da B.
tenuta al Collège de Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux, sulla base di
Centum et viginti articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma
da lui fatto stampare sotto il nome del discepolo Hennequin. Secondo il Cotin
B. non avrebbe preso la parola, neppur dopo che allo Hennequin ebbe risposto
Callier, giovane avvocato politique (il B. venne dunque sconfessato dal suo
stesso partito), e, riconosciutosi battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo
Corbinelli, il B. "s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto
haveva lavato il capo al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva
di ricorrere al Guisa. Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania; toccata
Magonza e Wiesbaden, veniva immatricolato all'università di Marburgo come
theologiæ doctor romanensis (Doc. tedeschi). L'insegnamento bruniano si dovette
mostrare incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella università: gli fu
infatti negato il permesso di leggere pubblicamente; a una protesta formale B.
fece seguire le proprie dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg,
nella cui università venne introdotto da Gentili e immatricolato come doctor ITALVS
(Doc. tedeschi. Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra
l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria
lulliana - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle autorità
accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza. Seguì la
pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di
compendio della Topica aristotelica, dedicato a Mylins, cancelliere
dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica
adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti,
come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas
triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana post.: negli Opera,
con cui si conclude la trilogia delle "lampade". L'anno seguente, per
i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una seconda edizione dei
Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con
un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani Camoeracensis
Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari aristotelici ai
primi cinque libri della Fisica, al De generatione et corruptione e al quarto
libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum
Aristotelis explanati. B. si accomiatava dall'università con una Oratio
valedictoria stampata dal Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era
morto prima dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì
progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, ogni polemica a questo
contraria; di qui la rinnovata precarietà della posizione di Bruno.
Partito da Wittenberg, B. giunse a Praga e vi si trattenne fino al principio
dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il
cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque
se fu registrato all'università. A Praga B. ripubblicò, presso Nigrinus, il De
lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio:
nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don
Guglielmo de Haro; con dedica all'imperatore, presso Daczicenus, gli Articuli
centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos,
in cui riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione meccanica della
natura (già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De
minimo):notevole, nella dedicatoria, la dichiarazione della religio bruniana,
interpretabile come teoria della tolleranza religiosa e speculativa.
Ricevuta in dono dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc.
veneti), B. si recò a Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia"
(fondata dal duca protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato e dove
lesse l'Oratio consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la morte del duca.
B. fu remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de
quelle parti" (Doc. veneti), ma non gli mancarono seri fastidi: fu infatti
scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa luterana, Voët, per motivi
che B. definì di natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità
accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per sospetto
filocalvinismo (è comunque significativo che alla originaria scomunica
cattolica e a quella calvinista ginevrina si aggiungesse ora la scomunica
luterana). Il B. rimase tuttavia nella città. Durante l'anno e mezzo ivi
trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di
opere magiche stampate postume negli Opera, De magia e Theses de magia
(concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente tuttora
inedita nel codice di Mosca), De rerum principiis et elementis et
causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità
dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Intervenne a una
disputa tenuta dal dottor Heidenreich e avendo riscossi a Wolfenbüttel 50
fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò dall'università con l'intenzione
di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo
norimberghese Besler, di cui si era servito come copista) allo scopo di farvi
stampare qualcosa di suo in onore del duca. La partenza fu ritardata: ed è
probabile che il B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo
di farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo
i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi nel giugno. Il Senato della
città rigettò una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J.
Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei
carmelitani. B. attese soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i
Detriplici minimo et mensura... libri V e il De monade, numero et figura liber
unito ai De innumerabilibus, immenso et infigurabili... libri octo, opere
dedicate al duca di Brunswick, per le quali B. curò la stampa e intagliò i
legni, salvo che per l'ultimo foglio del De minimo a causa di un repentino
allontanamento dalla città (per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel.
Stampati il De minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il
De immenso,nell'autunno. Nei poemi francofortesi - composti alla maniera
di Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria
concezione della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo
sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia,
minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La
discontinuità degli atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante
con tutto che B. riconosce l'esigenza di una materia che agglutina gl’atomi. Se
l'atomo è l'elemento materiale insecabile, il minimo è l'essere o la figura
minima in un dato genere, mentre la monade è l'unità di un genere determinato:
l'atomo, che è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gl’atomi sono
infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non v'è posto per una
forza esteriore che regoli o determini le combinazioni materiali. Nel De monade
B. dà una spiegazione aritmologica delle diverse qualità degli oggetti
sensibili, i cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa
rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco. Così l'atomismo
dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo dei dialoghi londinesi, dei
quali il De immenso riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una
aderenza a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare al
periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In quest'ultimo il B. ripercorre
il cammino della propria speculazione, rinnovandone la polemica contro la
fisica aristotelica e ribadendone il superamento intuitivo dell'eliocentrismo
copernicano. Applicato l'ordine di estradizione del Senato francofortese
B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia scolastica raccolte e
pubblicate poi da Egli (la Summa terminorum metaphysicorum a Zurigo; la Summa
con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo. Ritornato per breve
tempo a Francoforte, B. pubblica presso Wechel i De imaginum,signorum,et
idearum compositione ad omnia inventionum,dispositionum et memoriae genera
libri tres, dedicati a Heinzel, patrizio di Augusta da lui conosciuto a Zurigo.
Durante il secondo soggiorno francofortese B. è raggiunto da lettere del patrizio
veneziano Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De minimo, lo invitava a
Venezia affinché gli "insegnasse l'arte della memoria ed inventiva"
(Doc. Veneti. B. giunse a Venezia. I motivi soggettivi dell'imprudente
rientro in Italia sono stati variamente definiti: imponderabile è la componente
nostalgica, mentre è ormai da escludere il proposito di una azione di riforma
religiosa con l'ausilio delle proprie nozioni magiche (con tutto che
l'accessione del Borbone al trono di Francia e la presenza del mite Gregorio
sul soglio pontificio ravvivavano allora le speranze conciliatrici in Europa);
sul piano contingente, più che dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto
conto delle aspirazioni magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi
soggiorni francesi, inglese e tedesco. Infatti, soffermatosi qualche
giorno a Venezia "a camera locanda Doc. veneti, B. prosegue per Padova,
dove già si trovava al principio di settembre e dove si trattenne, con brevi
interruzioni, per almeno tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari
tedeschi", tra i quali sarà da includere Besler, che era allora
procuratore degli studenti tedeschi (Besler gli trascrisse, e la Lampas
triginta statuarum, il De vinculis in genere, abbozzato l'anno precedente, e il
non bruniano De sigillis Hermetis, inedito e smarrito). All'insegnamento
patavino vanno riferite le Praelectiones geometricae e l'Ars deformationum,
lezioni, rinvenute solo piu pardi, in cui B. illustra geometricamente postulati
ed enunciazioni del De minimo. L'attività del B. a Padova induce a ritenere
che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse alla vacante cattedra di
matematica, che è assegnata a GALILEI (si veda). Rivelatosi infruttuoso
l'insegnamento padovano, al principio dell'inverno il B. si trasferì a Venezia,
prendendo dimora, almeno dal marzo in contrada S. Samuele, presso il Mocenigo.
Incominciò a frequentare il ridotto Morosini, sul Canal Grande, dove, in un
clima di "civile e libera creanza", si disputava di cose che avevano
"per fine la cognizione della verità" (F. Micanzio, Vita di Paolo
Sarpi, Leida. Nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, confide al domenicano fra'
Domenico da Nocera il proprio desiderio di quetarsi e di comporre un libro da
offrire al neoeletto Clemente, con lo scopo ultimo di trasferirsi a Roma, ed
ivi "accapare forsi alcuna lettura Doc. veneti: programma illusorio,
suggeritogli forse dalla politica papale e dalla contemporanea esperienza di
Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far stampare a Francoforte
alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle sette arte liberali e sette
altre inventive, e dedicar queste al Papa Doc. veneti, B. chiede licenza al
Mocenigo. Costui, deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte lo fece arrestare
dai suoi e presenta una denuncia per eresia (allegando tre libri a stampa di B.
e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la deduzion di certi
suoi predicati universali", nonché i nomi di due contesti: i librai Ciotti
e Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da Saluzzo: la sera stessa B. veniva
prelevato dagli sbirri e condotto alle carceri di S. Domenico di Castello. Si
apriva così la fase veneta del processo, che si doveva concludere nove mesi
dopo con la sua estradizione a Roma. Gli episodi principali del processo
veneto sono i seguenti: denuncia del Mocenigo; denuncia (B. era
complessivamente accusato di disprezzare le religioni, di non ammettere la
"distinzione in Dio di persone", di avere opinioni blasfeme sul
Cristo, di non credere alla transustanziazione, di sostenere che il mondo è
eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla metempsicosi, di attendere
all'arte divinatoria e magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare
i dottori della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti, di essere
già stato processato a Roma, di indulgere al peccato della carne); interrogatorio
dei contesti (favorevoli a B.) e primo costituto di B.; costituto e ulteriore
accusa (di aver soggiornato in paesi di eretici vivendo alla loro maniera);
interrogatorio sui capi d'accusa (a proposito dei propri saggi B. dichiara:
"io ho sempre diffinito FILOSOFICAMENTE e secondo li principii e lume
naturale, non avendo riguardo principal a quel che secondo la fede deve essere
tenuto, Doc. veneti; interrogatorio di Morosini e deposizione di Ciotti, favorevoli
a BRUNO; 30 luglio: ultimo costituto veneto del B. (ammissione di dubbi
marginali già dichiarati e sottomissione al tribunale) e trasmissione del
processo al card. di Santa Severina, inquisitore supremo in Roma (il quale già
prima dell'ultimo costituto interferiva nella causa); richiesta formale di
avocazione della causa a Roma: consenso del tribunale veneto; trasmissione
della richiesta romana al Collegio presieduto dal doge; parere sfavorevole del
Collegio trasmesso al Senato; comunicata a Roma la risposta negativa; rinnovata
richiesta al Collegio motivata con precedenti; comunicazione a Roma
dell'approvazione del Senato. BRUNO usce dal carcere veneziano e, fatto salpare
per Ancona, fa ingresso nel carcere del S . Uffizio di Roma da cui, dopo lungo
e intermittente processo, sarebbe uscito sette anni più tardi per subire
l'orrendo supplizio. Gli episodi noti e salienti del processo romano sono
così riassumibili: grave denuncia da parte di fra' Celestino da Verona,
concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto che Cristo peccò
mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè
era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini astuti e ben
meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che il culto dei
santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver bestemmiato; di
aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare nell'Ordine);
interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò, Francesco Vaia,
Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità bruniane e nuova
accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio del conteste
Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei mondi e nuova
accusa: riprovazione del culto delle immagini). Otto costituti bruniani
(dall'ottavo al quindicesimo dell'intero processo) e conclusione del processo
offensivo. Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a Venezia
(attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità, disponendosi ad accettare il dogma;
negò le accuse circa l'inferno, Cristo, i propositi sovversivi, l'ateismo, le
manifestazioni blasfeme; precisò il significato di "magia" con
riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta "filosoficamente"
e ipoteticamente, circa la metempsicosi; negò l'opinione attribuitagli circa
Caino, e precisò quella relativa alla pluralità dei mondi; negò le pratiche
superstiziose, precisando il proprio interesse per l'astrologia). Gennaio-marzo
1594: a Venezia, esami ripetitivi dei testi (Mocenigo, Ciotti, Graziano, De
Silvestris): confermate nel complesso le precedenti deposizioni, solo la
sospetta integrità dei testi poté far differire la conclusione del processo;
giugno: supplemento di denuncia da parte del Mocenigo (accusa di aver irriso il
papa nel Cantus circaeus); estate 1594: sedicesimo costituto (il B. si difese
sull'ultima accusa, su quella relativa ai Magi, e forse anche sull'altra
relativa alla verginità di Maria; sporse denunce contro il Graziano e Francesco
Maria Vialardi concarcerato a Roma); BRUNO presenta una difesa scritta, non
pervenutaci. Si stabilì che una lista dei libri bruniani fosse presentata al
papa. BRUNO è raggiunto nel carcere da Pucci, Campanella e Stigliola. La Congregazione stabilì una
commissione con lo scopo di censurare le proposizioni eretiche contenute nei
libri. BRUNO è ammonito di abbandonare la sua teoria della pluralità dei mondi.
Si stabilì inoltre che egli è interrogato stricte (forse con applicazione della
tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo costituto, circa la Trinità e
l'incarnazione (BRUNO precisa il carattere speculativo dei dubbi passati),
nonché la pluralità dei mondi (che BRUNO persiste a sostenere). Ha luogo, forse
oralmente, la risposta del BRUNO alle censure, otto delle quali sono rilevabili
dal Sommario del processo: "circa rerum generationem"; circa il
principio che a causa infinita debba corrispondere effetto infinito; circa il
rapporto tra anima universale e anima individuale; circa il principio che nulla
si genera e nulla si corrompe; circa il moto della terra; circa la definizione
degl’astri come angeli; circa l'attribuzione di un'anima sensitiva e razionale
alla terra; circa l'affermazione che l'anima non è forma del corpo umano (due
altre censure, rilevabili da una lettera di Schopp Doc. romani, concernono
l'identificazione dello spirito santo con l'anima mundi, e la credenza nei pre-adamiti.
A istanza di Bellarmino, venneno sottoposte a BRUNO, per la sua dichiarazione
di abiura, otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, de hæresi Novatiana,
e la settima, estratta dal De la causa, ubi tractat an anima sit in corpore
sicut nauta in navi. Il ventesimo costituto BRUNO si dichiara disposto
all'abiura incondizionata; ma torna a manifestare esitazioni sulla prima e la
settima. In mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si
dichiararono in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non è
approvata da Clemente. BRUNO si dichiara disposto all'abiura (costituto), ma
con un memoriale al papa, rimette in discussione le proposizioni incriminate.
Intanto al S. Uffizio di Vercelli perveniva una delazione dovuta, sembra, a un
reduce dall'Inghilterra con cui BRUNO è di nuovo accusato di irriverenza verso
il papa, lo Spaccio, e di aver lasciato fama di ateo in Inghilterra. Il
tribunale ordina il termine per il riconoscimento degl’errori. Ventiduesimo
costituto, BRUNO rifiuta la ritrattazione. Vano è l'intervento del generale e
del procuratore dei domenicani. Il papa ordina che BRUNE è sentenziato come
eretico formale, impenitente e pertinace, e consegnato al braccio secolare. Un
estremo memoriale di BRUNO al pontefice venne aperto ma non letto dal
tribunale. BRUNO viene condotto dal carcere del S. Uffizio al palazzo del
cardinale Madruzzi, in piazza Navona, dove la sentenza gli è letta
pubblicamente. Dell’imputazioni contenute nella sentenza, risultano accertate
quelle concernenti la transustanziazione, la verginità di Maria, la vita
eretica, lo spaccio, la pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana,
l'eternità del mondo, Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti
e gl’apostoli. Riconosciuto eretico impenitente pertinace ed ostinato
(Doc. romani), BRUNO è condannato alla degradazione dagl’ordini, all'espulsione
dal foro ecclesiastico e a essere consegnato alla corte secolare per la debita
punizione. I suoi saggi sono bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte
incluse nell'indice. BRUNO ascolta in ginocchio la sentenza. Quindi, levatosi
in piedi, esclama rivolto ai giudici. Maiori forsan cum timore sententiam in me
fertis quam ego accipiam Doc. romani. Trasferito al carcere di Tor di Nona, e
visitato ancora da teologi e confortatori, è condotto a Campo di Fiori, dove,
spogliato nudo e legato a un palo, è bruciato vivo Doc. romani. La
portata speculativa della vicenda bruniana è implicita nella storia del moderno
pensiero europeo. Per il lato culturale e biografico, pur dopo ricerche
secolari, quella vicenda è tuttora al vaglio della filologia
contemporanea. Fonti e Bibl.: Per la biografia bruniana le fonti sono
costituite dalle opere e da una serie di documenti coevi. Edizioni complete
delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine Conscripta: Facsimile - Neudruck
der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und anderen,Neapel und Florenz Drei Bände in
acht Teilen, Stuttgart-Bad Cannstatt da integrare con le seguenti
pubblicazioni: Zubov, Rukopisnoe nasledie Džordano Bruno, Moskovskij Kodeks"
Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im. V. I. Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej,
Moskva Bruno, Due dialoghi sconosciuti e due dialoghi noti: Idiota triumphans,
De somnii interpretatione, Mordentiu, De Mordentii circino, cur. Aquilecchia,
Roma con Errata-corrige stampate a parte; Id., Prælectiones geometricæ e Ars
deformationum: Testi inediti, cur. di Aquilecchia, Roma; Le opere italiane di
G. B., cur. Lagarde, Gottinga, edizione para-diplomatica, per le opere italiane
in edizione moderna: Bruno, Candelaio: commedia, a cura di V. Spampanato, Bari;
Id., Dialoghi italiani: Dialoghi metafisici e Dialoghi morali stampati con note
da GENTILE (si veda) cur. Aquilecchia, Firenze; Id., Lacena de le ceneri, cur.
di Aquilecchia, Torino (da tenere presente
Tissoni, Sulla redazione definitiva della Cena de le ceneri, in Giorn.
stor. della letter. ital. Pregevoli le sillogi antologiche in Opere di BRUNO e
di Campanella, cur, Guzzo e Amerio, Milano - Napoli, e in Scritti scelti di BRUNO
e Campanella, cur. Firpo, Torino. I documenti coevi in Spampanato, Documenti
della vita di BRUNO, Firenze suddivisi in Documenti napoletani Documenti
ginevrini Documenti parigini Documenti tedeschi Documenti veneti Documenti
romani da integrare con Elton, Modern Studies, London, Harvey, Marginalia, cur.
Smith, Stratford-upon-Avon; Sigwart, Kleine Schriften, Freiburg i. B. Mercati,
Il sommario del processo di BRUNO, Vaticano, Firpo, Il processo di BRUNO,
Napoli Yates, BRUNO: some documents, in Revue internationale de philosophie,
XVI 1951], 2, pp. 174-199; G.
Aquilecchia, Un autografo sconosciuto di G. B., in Giorn. stor. della letter.
ital., Id., Un nuovo documento del processo di BRUNO, McNulty, B. at Oxford, in
Renaissance News]; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B. in Polonia, in
Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, Una poesia
"Ad Iordanum: Brunum", in La Ragione, Korzan, Praski Kra̢g humanistów
wokóù Bruna, in Euhemer. La biografia più estesa, sebbene in parte
invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di G. B. con documenti editi
e inediti, Messina Biografie sintetiche recenti sono dovute a Garin, B.,
Roma-Milano, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma da cui dipende la presente voce.
La bibliografia bruniana è vastissima: va fatto riferimento a Salvestrini,
Bibliografia di BRUNO, a cura di Firpo, Firenze: opera monumentale di
inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai titoli, con
l'appendice bibliografica alla citata monografia di Aquilecchia. A questi due
strumenti si fa qui riferimento, rispettivamente, per opere critiche di
tradizionale autorità (Tocco, Troilo, Gentile, Namer, Garin, Corsano, ecc.), e
per saggi più recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica
bruniana conforme a diverse metodologie (Badaloni, Michel, Yates, Gorfunkel',
Nowicki, Papi, ecc.). Guido del Giudice. Giudice. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Keywords: l’implicatura di Giudice, universe finite, infinito,
geometrici, alchimisti, matematici – rinascimento – scintilla d’infinito” -- Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice:
implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giudice: la ragione
conversazionale, l’esperienza, e l’implicatura conversazionale di Telesio – filosofia
foggiese – la scuola di Lucera -- filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Lucera). Filosofo lucerese. Filosofo
pugliese. Filosofo italiano. Lucera, Foggia, Puglia. Grice: “Riccardo del
Giudice is a philosopher; he wrote an essay on Telesio.” Allievo e collaboratore di GENTILE (si veda),
si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali,
che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica
formano il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e
l'accuratezza nella scrittura, è parlamentare di chiara fama nella Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare
preparazione filosofica. Insegna a Roma. Intestazioni: Sindacalista,
politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre frequenta
nell'ateneo romano i corsi di GENTILE (si veda). Si tessera al Partito fascista,
del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. È appunto
nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i
primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in
provincia di FOGGIA, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti
dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Caradonna. Espulso dal partito viene
nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di Torino. Passato
nella Federazione di Bari si oppone allo sbloccamento dei sindacati. Si occupa
di studi sulla legislazione del lavoro e sul corporativismo, partecipando
attivamente alle riunioni del consiglio nazionale delle corporazioni e viene
nominato presidente della confederazione fascista dei lavoratori del commercio.
Dopo una intensa attività nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con SPIRITO
(si veda) sul rapporto tra sindacato e corporazione - è nominato sotto-segretario
al ministero dell'educazione nazionale, allora retto da Bottai. Si occupa
soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro,
seguendo le indicazioni contenute nella carta della scuola di Bottai. Lasciato
il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è
nominato presidente dell'ente nazionale per l'oganizzazione scientifica del
lavoro, Enios. Non adere alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato nel
campo di concentramento di Padula dove scrive le memorie. Epurato
dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di diritto della
navigazione, poi di diritto del lavoro, presso l'ateneo romano. Complessi
archivistici prodotti: G. (fondo). Il fondo archivio conserva le carte del
dirigente sindacale e collaboratore di BOTTAI ed e costituito da documentazione
riguardante la politica sindicale FASCISTA, da una vasta raccolta di materiale
e stampa sulla POLITICA CORPORATIVA, da documenti sulla POLITICA SCOLASTICA del
regine negl’anni della guerra e da un ricco epistolario con personalita della
FILOSOFIA, della politica, dell’economia, e della cultura. Bibliografia:
PARLATO, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime, Roma,
Bonacci. G. PARLATO, G.: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Spirito, G.
PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il
Mulino. Sindacalismo fascista Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni La
neutralità di questa voce o sezione sugli argomenti fascismo e politica è stata
messa in dubbio. Con sindacalismo fascista si intende quel settore del
sindacalismo improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro. Filippo
Corridoni con Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a
Milano. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Sindacalismo rivoluzionario. Fontana sulla cui lapide marmorea era
scolpito il discorso che Mussolini pronuncia presso lo stabilimento di Dalmine,
in occasione dell'autogestione operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi
primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX
secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella
componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza
del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!,
poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare
l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno
all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui saranno espulse già nel 1915, per
incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2].
Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza,
gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo
a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari. In Italia
non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito
Socialistanon sarà abbattuto. Corridoni a Malaparte SICKERT (si veda) a Milano
poco prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame è quello
con la Unione Italiana del Lavoro, da essi creata e di ispirazione sindacalista
rivoluzionaria, diretta inizialmente da Rossoni. La nuova formazione sindacale,
nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di
operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario
italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle
nazionaliste del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le
teorie di imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista
Italiana) e lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo
d'Italia di Mussolini, pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di
classe per difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti
all'interno del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL
portava però già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a
concludersi più tardi, durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella
tra la visione di un sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata
principalmente da Rossoni, e quella indipendentista di Ambris. Primo sfogo di
queste evoluzioni avvenne al Dalmine, dove si verifica la prima occupazione con
autogestione operaia della storia italiana, organizzata dai sindacalisti
rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore fu però soprattutto la
continuazione della produzione, d'accordo con l'ottica produttivista che aveva
acquisito il movimento: gli operai autorganizzati continuarono infatti il
lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore nazionale. Due giorni dopo lo
stesso Mussolini è in visita agli stabilimenti: Voi oscuri lavoratori del
Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma
idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato
nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione,
perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi
nella patria libera e grande oltre i confini. Mussolini, Discorso del Dalmine,
in "Tutti i discorsi) In un primo momento la posizione di De Ambris e
della sua UIL fu la più apprezzata da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920
una forte convergenza tra i due, con il secondo che sostenne apertamente la UIL
dalle colonne de Il Popolo d'Italia[11 ed il primo che dette un apporto
considerevole al programma dei FASCI ITALIANI DI COMBATTIMENTO, costituiti e
dai quali prenderà spunto il fascismo durante la fase governativa. Il nucleo
iniziale Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Sansepolcrismoe Squadrismo. Benito Mussolini a Dalmine con gli operai
dello stabilimento autogestito. Grandi. È da questo connubio che, infatti,
si costituisce in maniera strutturata il sindacalismo fascista, i cui
protagonisti, dapprima immersi nei movimenti sindacalisti di varia estrazione
sopra descritti, andarono a creare l'ossatura del nuovo movimento insieme agli
interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di guerra, nazionalisti e
squadristi. Fra i maggiori esponenti di questo sindacalismo squadrista,
che affianca i sindacalisti puri Balbo, Bianchi, Baroncini ma, soprattutto,
Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli ambienti de "L'Assalto",
portatori di uno dei più genuini tratti del fascismo di sinistra, basato
particolarmente a Bologna sulle rivendicazioni contadine, l'allargamento della
piccola proprietà agricola ed al concetto de "la terra a chi la lavora. L’armonia
tra sindacalismo rivoluzionario e fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in
conseguenza della grave sconfitta elettorale, Mussolini operò la strategia
della virata a destra per aprirsi maggiori spazi politici e, staccandoli dalla
UIL, creò i Sindacati economici, che diventeranno poi la Confederazione
nazionale delle corporazioni sindacalifasciste dirette da Rossoni. La crisi tra
i due movimenti si attuò essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto
tra economia e politica. Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale
che ogni dinamica attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra
i sindacalisti rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai
propri canoni libertari ed autonomisti, concependo la nazione come identità e
sostanza storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe
esclusiva. Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo
alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore
dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù delle quali
l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre
forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo. In questo
senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento sindacale
fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario. Masotti) Rossoni e la
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste Magnifying glass
icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali. Edmondo Rossoni. I quadrumviri e Benito
Mussolini(da sinistra a destra: Bono, Bianchi, Mussolini, Vecchi e Balbo). Il
primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti. Si tenne il I Convegno
sindacale di Bologna, in cui si scontrarono le due visioni principali, già
emerse in passato, riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei
confronti della politica e, in questo caso, del neocostituito PARTITO NAZIONALE
FASCISTA. Si scontrarono quindi la visione "autonomista" di Rossoni e
di Grandi e quella "politica" di Rocca e Bianchi, tra le quali sarà
vincente la seconda. A Bologna vennero inoltre affermati i principi
basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della
lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su
quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale
delle corporazioni sindacali, una nuova formazione antisocialista ed
anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque
Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno piu
tardi) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo
rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività
professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica
con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione". La nazione,
sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di
sopra degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi
sono gli strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie
condizioni. Gli interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a
condizione che si realizzino nell'ambito dei superiori interessi
nazionali.» (Articolo 4 della Carta dei principi delle corporazioni)
Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli ambienti del
sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale, in sede di
Organizzazione Internazionale del Lavoro, contesta il titolo alla
rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la possibilità di
partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata, e l'ILO
permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni nel
rinnovo del mandato. In sede congressuale Rossoni dichiarò l'esistenza di una
linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo
fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo
era legato al primo sia per il comune intendimento del concetto di rivoluzione
che, al di là dell'aspetto della rivolta popolare, in ambito lavorativo
ritenevano rivestisse il significato di sopravvento di superiori capacità
produttive; inoltre, ugualmente, avevano l'obbiettivo di innalzare il
proletario (nell'accezione negativa del termine) al rango di lavoratore inserito
a pieno titolo nella vita nazionale. Il sindacalismo deve essere nazionale ma
non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e
sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro,
di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale, più grande. Rossoni,
Congresso dei Sindacati intellettuali fascisti) Nei mesi successivi, in
concomitanza con il termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva
militare del fascismo imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo
sfondamento politico in campo sindacale, con il passaggio di interi settori
operai dalle strutture del Partito Socialista Italiano e della CGdL al
fascismo. Tanto che la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali
contava 800.000 iscritti. Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni,
che aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed
affidabile che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo,
dall'altra di fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato
fascista. Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu
quasi definitiva e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una
relativa tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine
degli scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo
culturale e la propria evoluzione politica. Rossoni così ne spiega definizione
e scopo principale: la salvaguardia della salute spirituale del popolo. Sindacato
vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve
disciplinare e tutelare gli interessi omogenei. Noi rivendichiamo la concezione
italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor
prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.» (Edmondo Rossoni,
La Marcia su Roma e il compito dei sindacati, Napoli) Caratteristiche
principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto
a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e
perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un
determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare,
ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27] Questo clima
non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che
gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Rossoni, Lanzillo, Panunzio e
Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro. In tutti
però un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato
propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità
organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori -
dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando
il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che
"la nazione è il più grande sindacato. Le prime forti tensioni con i
conservatori ed il padronato Farinacci. Renato Ricci con la sua squadra
d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del
forte di Falconara. Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese
però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello
Stato. Avvennero alcuni episodi chiave: la creazione dei gruppi di
competenza, da parte di Rocca, limitanti lo spazio sindacale della
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali; il tentativo di bloccare
il corporativismo da parte di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti
alla minaccia di Rossoni di assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da
parte dei lavoratori fascisti; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da
parte di tutta la sinistra fascista nazionale, compresi Bianchi e Farinacci; il
lancio del sindacalismo integrale da parte di Rossoni, che puntava ad inglobare
nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le rappresentanze
sindacali dei datori di lavoro); la creazione della Federazione italiana dei
sindacati agricoltori e della Corporazione dell'Industria e del Commercio da
parte di Rossoni; i primi tentativi di trasformare le organizzazioni sindacali
da associazioni di fatto in organi di diritto pubblico da parte di Casalini; il
patto siglato tra Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e
Confindustria a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di classe.
Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito
all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista
è per la collaborazione ma con gli industriali che si impuntano e dicono
comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto
degno nella vita della nazione» (Edmondo Rossoni, adunata al Teatro Regio
di Torino) In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti,
difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal
fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo
fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di
Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino.
Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto
gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza
antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono
con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un
fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la
grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora
posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di
infondere risolutezza in molti sindacalisti di periferia. La seconda fase del
sindacalismo fascista Monumento a Razza. Corradini. Si entra quindi
in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista,
durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista
tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Panunzio
ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del
fascismo e del recupero del programma, esprimendosi per la creazione di una
Camera sindacale e del lavoro e di un Senato politico. Cadde la
Confagricoltura, inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati
agricoli, riunendo in un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli
proprietari agricoli. Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento
fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un
conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni
reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la
ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista,
dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più
infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo
sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio
Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito
Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del
PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini. Al termine dello sciopero si
ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori
per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato. Si
tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa
momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per
riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e
dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a
gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti,
soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario
Racheli. Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri
l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di
creare discipline contrattuali garantite dalla legge.» (Edmondo Rossoni,
intervento al II Congresso nazionale delle corporazioni) In questo quadro ha
luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti
dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale,
legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo
all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il
concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei
leader sindacali e dell'ala movimentista e la messa in evidenza della natura
anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello
cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa
natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese
organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In
tale frangente lo sciopero fascista portò ad una radicalizzazione estrema dello
scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare
all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di
lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e
propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una
corrente di dissidenti all'interno del fascismo ufficiale. Ha luogo il discorso
alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica
della vicenda Matteotti. Il Direttorio delle corporazioni e quello del
Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di
problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il
loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine
del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla
"lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di "colpevole
incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e nazionale del
fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per l'intransigenza insita nel
discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima da "seconda
ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e
accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista. Avviene quindi
l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M.
di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie
di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta,
abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di
Farinacci, in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto,
gli appelli alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per
non ripetere le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi. Le
agitazioni dei metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove
gli operai socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di
contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri
argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il
sindacalfascista Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia
e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di
combinazioni politiche unitarie impreviste. Dopo lunghe trattative le
agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali,
che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i
sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati
si spostarono in massa nelle Corporazioni. Per ben tre anni l'esistenza di un
sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e
orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per
dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo
sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in
pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua
forza e delle sue possibilità di azione.» (Benito Mussolini, Fascismo e
sindacalismo, a seguito degli scioperi metallurgici organizzati dai sindacati
fascisti in Nord Italia) Altro commento che rivela il momento infuocato fu
quello di Corradini, sindacalista nazionale: «Il superamento del
socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista.
Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti. Vi
è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione
storica. Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti
dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale
opera continua. Corradini, Il Popolo d'Italia. La trasformazione in organi di
diritto pubblicoModifica Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma)
annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro. Spirito. La conseguenza
principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni, in
cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori
e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse
nazionale. Va però evidenziata soprattutto la legge: con questa legge vennero
infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei sindacati fascisti
e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori con la
nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a significare
che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico dell'amministrazione
statale, con "funzioni di conciliazione, di coordinamento ed
organizzazione della produzione". All'interno di questa legge era inoltre
presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune tra le associazioni
di categoria delle due parti, contenendo in nuce il progetto corporativo a
sindacato misto che verrà realizzato piu tardi. Dopo questa vittoria, per
Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro, testo fondamentale della
politica sociale fascista in ottica di eliminazione della dicotomia tra le
classi sociali ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più alla segreteria
nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza nazionale delle
corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli conservatori,
capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle corporazioni)
ed Augusto Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate confederazioni
di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo,
disperdendolo in strutture più piccole e limitate. Il secondo Convegno di Studi
sindacali e corporativi Nel periodo che intercorse da questo momento alla
legge, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale dell'azione nel
settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II Convegno di Studi
sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara, nel quale emerse il concetto di
corporazione proprietaria proposta da Spirito, nei confronti della quale il
sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un
arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio
dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari
del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il
progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto
reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno
scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali. L'incapacità di
accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma
anche i "nuovi" come Razza e Capoferri, fu dovuta quindi
essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi
nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la
corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato
sindacale. L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle CorporazioniModifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Corporativismo. Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Viene approvata la
creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle
cariche elettive e l'abolizione del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra
l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai
rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati
nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro. In ogni
caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del
lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista
aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:
ferie pagate; indennità di licenziamento; conservazione del posto in caso di
malattia; divieto di licenziamento in caso di maternità; assegni familiari;
diffusione delle casse mutue aziendali; assistenza sociale dell'Opera Nazionale
Dopolavoro(ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico,
manifestazioni teatrali, etc). È Mussolini stesso a rivendicare alle
corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo
fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel
solco della Rivoluzione continua: «È nella corporazione che il sindacalismo
fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un
decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con
l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione
dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica;
si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista,
per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a
programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa
individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe,
sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e
armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale,
rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia
della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce
nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella
corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi:
capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso
la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità
del sindacalismo è assicurata. Mussolini, discorso inaugurale del Consiglio
Nazionale delle corporazioni) Maggiori esponenti ed ispiratori Corridoni
Corradini Ambris Panunzio Olivetti Dinale Lanzillo Grandi Fontanelli, G., Bianchi Baroncini Cianetti Rossoni Razza
Racheli Bagnasco Bramante Cucini Capoferri Landi Aimi Riviste La Stirpe Il
Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il
Lavoro d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il
Lavoro I Problemi del Lavoro NoteModifica Perfetti, Il sindacalismo fascista.
Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma, Breve storia
dell'Usi di Fedeli Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di
Milano, De Donato, Bari, Malaparte e Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle
Grazie, operante e senza legami con la UIL attuale. Cordova, Le origini dei
sindacati fascisti, Roma e Bari, ristampa Firenze, La Nuova Italia, Nel cui sottotitolo
cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista in quotidiano
dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Bonacci, Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino,
Einaudi, Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti
ancora - gli scritti, Milano, Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino,
Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini
il fascista, I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Sacco, Storia del
sindacalismo, Torino, Olivetti Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo,
Roma, Bonacci, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, Anche per via del
cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il fascista,
I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Haider, Capital and Labour under
Fascism, Columbia University Press, New York, Allio, La polemica Joubaux-Rossoni
e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia
contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,
Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, Feltrinelli, Milano"Il
Giornale d'Italia", Il Mondo", Felice, Mussolini il rivoluzionario,
Torino, Einaudi, Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, Ancora
forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti soprattutto tra
metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno fino allo sciopero
fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord Italia. In Luca
Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma, Le idee
della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista, Bemporad, Firenze,
Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. Parlato, Il
sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato corporativo,
Bonacci, Roma, Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò pericolosamente a
portare avanti idee liberiste anche durante il regime. Olivetti, Bolscevismo, comunismo
e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale, Milano, Deliberazione congiunta del
PNF e del Gruppo parlamentare del partito Cordova, Le origini dei sindacati
fascisti, Laterza, Espressosi esplicitamente, in particolare, nella seduta del
Gran Consiglio del Fascismo occupatasi dell'analisi dei problemi sindacali. In
questo ambito Michele Bianchi definì "dittatoriale" la
"procedura introdotta dal sindacalismo fascista", mentre il
sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la doppia organizzazione, cioè
quella dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, allontana ogni pericolo
che anche il Fascismo, per le pressioni e l'influenza delle organizzazioni
sindacali, possa diventare un partito di classe". In Claudio
Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Tacchi, Storia
illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo
Sigillo, Roma, Corriere della Sera, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma,
contrassegnata da un parziale ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto
di classe", in Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo
Laterza, Bari, Il fascismo è una dottrina, una fede, una civiltà nuova.
Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo. Il Fascismo deve
immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità storica, al
programma L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il Sindacalismo
Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima, prima di Vittorio
Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo d'Italia,
Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Schwarzenberg, Il
sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Il Mondo, Rossoni sta, nel suo
intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista sui
contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati
fascisti, Laterza, In questo periodo continuarono ad affiorare, in seno al
sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la
cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La
politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il
regime fascista, Il Mulino, Bologna, Che rientrò poi in breve tempo nell'alveo
della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato Ricci: dallo
squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Uva, La nascita
dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma Gerarchia
Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Arata,
Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su
"L'Italia", Milano, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione
dello Stato fascista Einaudi, Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi,
Milano Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito,
Firenze, in Belfagor Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, Il pensiero
di Spirito, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Roma, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma,
Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
BibliografiaModifica Testi in lingua italiana Uomini e volti del fascismo,
Bulzoni, Roma, Critica Fascista, antologia a cura di De Rosa e Malgeri, Landi,
San Giovanni Valdarno, Aquarone, La politica sindacale del fascismo. Alberto
Aquarone e Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna,
Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Allio, La
polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle Corporazioni fasciste
nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale
Feltrinelli, Milano, Bocca, Mussolini socialfascista, Garzanti, Milano,
Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze. Ferdinando
Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari; ristampa Firenze, La
Nuova Italia, Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere, Torino,
Einaudi, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione dello Stato fascista,
Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice,
Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti, Bergamo, Minerva
italica, Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. Granata,
La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La
dottrina corporativa di Spirito, Firenze, in Belfagor, Lyttelton, La conquista
del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Parlato, La sinistra fascista: storia di
un progetto mancato, Il Mulino, Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, in
AA. VV., Il pensiero di Spirito, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Roma, Parlato, Il sindacalismo fascista.
Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il
sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo
Bonacci, Roma, 1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Bonacci, Roma, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino,
Salvemini, Scritti sul fascismo, Feltrinelli, Schwarzenberg, Il sindacalismo
fascista, Mursia, Milano, Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica
sociale italiana, Il Mulino, Susmel, Opera Omnia di Mussolini, La Fenice,
Firenze. Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze,
Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Zamponi, Lo spettacolo del
fascismo, Rubbettino, Roma, Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia
University Press, New York, Lowell Field, The Syndacal and Corporative
Institutions of Italian Fascism, Columbia University Press, New York, Roberts,
The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North Carolina
Press, Chapel Hill, Camera dei fasci e delle corporazioni Carta del Lavoro
Corporativismo Corporazione proprietaria Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali Collaborazione di classe Fasci Italiani di Combattimento
Interventismo Leggi fascistissime Politica economica fascista Politica sociale
(fascismo) Dalmine Rivoluzione fascista Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario
Sindacato fascista dei giornalisti Portale Fascismo Portale
Politica Portale Storia d'Italia Edmondo Rossoni sindacalista,
giornalista e politico italiano Oliviero Olivetti politico, politologo e
giornalista italiano Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali. Riccardo Del Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di Telesio, Telesio,
polemica con Spirito su la distinzione tra sindacato e corporazione, le
corporazione nell aroma papale, I diritti dello stato pontificio, il diritto
della navegazione, contratto, gentile, la scuola al lavoro – ‘dottrina e prassi
corporativa” -- – la tesi di telesio – consiglio
nazionale delle corporazioni. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The
Swimming-Pool Library.
Grice e Giudice: all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON
ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- corpi
ed espressioni – filosofia messinese – scuola di Messina – la scuola d’Antillo
-- filosofia siciliana – filosofa italiana -- Luigi Speranza (Antillo). Filosofo messinese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Antillo, Messina, Sicilia. Grice:
“Giudice has written an essay that poses a conceptual query for Austin’s
conceptual query. It’s “Sull
pudore” – “But do we have that in ordinary language?”” – Grice: “Giudice has
also written on more standard forms of philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo aver espletato studi classici si laurea con la
tesi “Ideologia e Sociologia” -- Ricercatore all'Istituto di Filosofia di
Messina. Direttore della collana "Filosofia Teoretica". Altre saggi:
“La Nuova Filosofia, Messina, Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi del
corpo” Verona,Paniere, “Il lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana.
Esercizi di lettura, Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle
cose più alte, Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza,
Pellegrini, “Stare insieme” Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito,
Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza, Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione,
Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni
e cognitività: Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul
pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova
filosofia", Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza,
Pellegrini, Su Messina e altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi
fidarti di te, Milano, Mondadori, Battaglia, Storia e cultura in Popper,
Cosenza, Pellegrino, Battaglia, Guicciardini tra scienza etica e politica,
Cosenza, L. Pellegrino,, varie Giovanni
Coglitore, Kant: cristianesimo come impegno morale, in Il contributo, L'Espresso, Studi etno-antropologici e
sociologici,. Fisiologia branca della biologia che studia il
funzionamento degli organismi viventi disambigua.svg Disambiguazione –
"Fisiologo" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo trattato antico,
vedi Il Fisiologo. La fisiologia (da φύσις, natura', e λόγος, 'discorso',
quindi 'studio dei fenomeni naturali') è la branca della biologia che studia il
funzionamento degli organismi viventi, analizzando i principi chimico-fisici
del funzionamento degli esseri viventi, siano essi mono o pluricellulari,
animali o vegetali. L'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, un'importante
prima tappa nello studio della fisiologia. È detta "condizione
fisiologica" lo stato in cui si verificano le normali funzioni corporee,
mentre una condizione patologica è caratterizzata da anomalie che si traducono
in malattie. Data l'estensione del campo di studi, la fisiologia si divide, fra
gli altri, in fisiologia animale, fisiologia vegetale, fisiologia cellulare,
fisiologia microbica, batterica e virale. Il Premio Nobel per la Fisiologia o
la Medicina è assegnato dall'Accademia reale svedese delle scienzea coloro che
raggiungono risultati significativi in questa disciplina.
StoriaModifica Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio su tela di
Leon-Augus Wellcome. I primi studi fisiologici risalgono alle antiche civiltà
dell'India e all'Egitto, dove venivano condotti insieme agli studi anatomici,
senza l'utilizzo della dissezione o della vivisezione. Lo studio della
fisiologia umana come campo medico risale almeno ai tempi di Ippocrate, noto
come il padre della medicina. Ippocrate incorpora questa scienza alla sua
teoria degli umori, che si basa su quattro sostanze fondamentali: terra, acqua,
aria e fuoco; associate ad un corrispondente humor (bile nera, flegma, sangue e
bile gialla, rispettivamente). Ippocrate nota alcune connessioni emotive ai
quattro umori, che Galeno avrebbe poi ripreso nei suoi studi. Il pensiero
criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione tra struttura e
funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia nella Grecia antica.
Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che per lui consisteva
in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco. Galeno è stato il
primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del corpo. A
differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri umorali siano
situati in organi specifici, o nell'intero corpo. Galeno ha poi introdotto la
nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il flemmatico è
legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la bile nera
corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è composto da tre
sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei pensieri e
sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato con le vene,
che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è anche il
fondatore della fisiologia sperimentale. Per i successivi 1.400 anni, la
fisiologia galenica influenza l'intera medicina. Fernel, un medico francese, ha
introdotto per primo il termine "fisiologia". Il fisiologo francese
Milne-Edwards introduce il concetto di divisione fisiologica del lavoro, che ha
permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se fossero
macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di Adam
Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri viventi,
animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi,
paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni
che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più
differenziati, il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi
(chiamati da lui appareils). Lister studia le cause della coagulazione del
sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano all'implemento di antisettici
in sala operatoria, con conseguente diminuzione del tasso di mortalità degli
interventi chirurgici. La conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un
ritmo rapido, in particolare grazie alla teoria cellulare di Schleiden e
Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli organismi sono
costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Bernard hanno portato al
concetto di milieu interieur (ambiente interno), che sarà poi ripreso e
definito "omeostasi" dal fisiologo americano Walter B. Cannonnel. Con
omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento di stati stazionari nel corpo
e i processi fisiologici con cui sono regolati. In altre parole, la capacità
dell'organismo di regolare l'ambiente interno. Va notato che, William Beaumont
è stato il primo americano ad utilizzare l'applicazione pratica della
fisiologia. I fisiologi del XIX secolo come Michael Foster, Max Verworn,
e Alfred Binet, sulla base delle idee di Haeckel, elaborano il concetto di
fisiologia generale, una scienza unificata che studia le cellule, ribattezzata
biologia cellulare nel 900. Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi
agli organismi diversi dagli esseri umani, e nascono i campi della fisiologia
comparata ed ecofisiologia. Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata
un sotto-disciplina distinta. La fisiologia opera su diversi livelli,
occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare sia di funzioni di
cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni d'organo negli
organismi complessi. A seconda dell'ambito specialistico, la
fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline, oltre alle già
citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali: biochimica,
biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce anche la base
fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia, la
farmacologia e la tossicologia. Esistono diversi metodi per classificare
la fisiologia In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale: studia i
fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali. Fisiologia umana:
studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli esseri umani
Fisiologia microbica e virale. In base al livello di organizzazione: Fisiologia
cellulare: studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le
loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia molecolare: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni delle molecole Neurofisiologia: studia il funzionamento
del sistema nervoso sia a livello cellulare che sistemico Fisiologia sistemica
Fisiologia ecologica Fisiologia integrativa In base ai processi che causano
variazioni fisiologiche: Fisiologia ambientale: studia le reazioni e
l'adattamento dell'organismo sottoposto a differenti ambienti (temperatura,
altitudine, inquinamento, ecc..). Fisiologia patologica: studia le
modificazioni delle funzioni in seguito ad una patologia. Fisiologia dello
sviluppo: studia i meccanismi e le fasi che conducono un organismo alla
maturità riproduttiva. In base agli obiettivi finali della ricerca: Fisiologia
applicata: studia la capacità umana d'interagire con l'ambiente esterno.
Fisiologia comparata: studia le somiglianze e le differenze delle diverse
specie animali. Fisiologia dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano
l'attività motoria e sportiva e come migliorare le prestazioni con
l'allenamento. Prosser, C. Ladd
Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental and Metabolic Animal
Physiology Hoboken, NJ: Wiley Introduction to Physiology: History And Scope,
in Medical News Today Hall Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica Philadelphia,
Pa .: Saunders / Elsevier. Burma; Maharani Chakravorty. From Physiology and
Chemistry to Biochemistry. Pearson Education. Zimmermann. The Jungle and the
Aroma of Meats: An Ecological Theme in Hindu Medicine. Motilal Banarsidass
publications. Selin, Medicine Across Cultures: History and Practice of Medicine
in Non-Western Cultures, Springer Science et Business Media, Physiology -
humans, body, used, Earth, life, plants, chemical, methods, su
scienceclarified. URL Boeree, Early Medicine and Physiology, su
webspace.ship.edu. URL Galen of Pergamum | Greek physician, in Encyclopedia
Britannica. Stanley C. Fell e F. Griffith Pearson, Historical Perspectives of
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Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale Biologia: Biologia scienza che
studia la vita Storia della biologia Equilibrio idro-salino. Santi Lo
Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione, pudore,
osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia,
fisiologico, natura -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giulia: la ragione
conversazioanle e l’implicatura conversazionale – la scuola d’Acri -- filosofia
calabra – scuola d’Acri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acri). Filosofo calabro. Filosofo italiano. Acri, Cosenza,
Calabria. Grice: “Julia was more of a poet than a philosopher; but then for
Heidegger, philosophy IS poetry and vice versa!” -- essential Italian
philosopher. Studia a Cosenza sotto FOCARACCI (si
veda). Direttore di Telesio, periodico. Stringe grande amicizia PADULA (si
veda). La temperie culturale in ambito locale vede la difficoltà della Calabria
a integrarsi nella nuova entità politica. Area essenzialmente contadina, la
regione ha una classe dirigente che preferisce assoggettarla al clientelismo e
alla sua arretratezza piuttosto che metterla al passo con zone del paese più
avanzate e progredite; perciò il mondo intellettuale d'avanguardia, deluso
dalle speranze e conscio del sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il
socialismo. Vive tra il tardo romanticismo e l'affermarsi delle innovative
correnti costituite dal naturalismo e dal verismo, nella scia di CARDUCCI (si
veda) e VERGA (si veda). Le contraddizioni della sua epoca lo formano come un
intellettuale spiritualista che rifiutail materialismo e in parte il mondo
contemporaneo, e d'altra parte un sostenitore degli ideali socialisti, del
riscatto delle masse disagiate e della glorificazione del passato della
Calabria a partire dall'assedio degl’Aragonesi e dei suoi conterranei coevi
illustri, fra i quali Miraglia, Padula, Quattromani, Tocco, oltre a CAMPANELLA.
Accostatosi in un primo tempo al misticismo di Gioberti, si converte al
verismo, alla ricerca del pragmatismo e di un modello di poesia di alto civismo
che lo stesso G. proclama nei suoi Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e
dalle ballate della tradizione romantica per marcare orgogliosamente la storia
della sua terra. Considerato il padre della letteratura calabrese, si interessa
alle origini della cultura letteraria della regione analizzando anche alcune
opere a lui precedenti. Il suo impegno regionalistico si concretizza in uno
studio su Selvaggi, nel quale si individua un collegamento fra Galeazzo di
Tarsia e le produzioni romantiche. Vi fu poi un saggio su Padula e un esame
delle liriche riferibili all'Accademia Cosentina. Sa però spaziare oltre i
confini delle sue terre, fino a richiamare Milton nel suo scritto dedicato a
Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce dei lavori anche su Mazzini,
Poerio, Correnti, legati dall'attenzione alle tematiche relative al
Risorgimento e perciò in convergenza con il proprio pensiero, che dal punto di
vista della poetica si richiama ai modelli che il letterato individua in
Leopardi, Berchet e Giusti, oltre che in Prati.
Piromalli, La letteratura calabrese, Pellegrini, Cosenza; Monografia su
calabria o, su calabria. Digital Storytelling su G. a cura degli studenti del
Liceo G. di Acri, CS. Ovvero delle famiglie nobili e titolate del Napolitano,
ascritte ai Sedili di Napoli, al libro d'oro Napolitano, appartenenti alle
Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale
Napolitano o che gioccano un ruolo nelle vicende del Sud Italia. Famiglia G. A
cura di Dodaro Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina, Arma:
d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da un destrocherio di
carnagione tenente un uccello di nero e in punta da un albero radicato al
naturale. Titolo: Nobile d’Acri. Arma Famiglia La famiglia G., in
origine nota come de “Giulia”, figura fra le antiche e nobili casate d’Acri,
Cosenza. I G. godettero sempre nella locale società di un buon livello di
prestigio sociale come testimoniato dalle alleanze matrimoniali contratte con
diverse famiglie patrizie fra le quali ricordiamo le seguenti: Benincasa,
Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone, Fusari. Simbolo della condizione
privilegiata della famiglia è il grande palazzo sito tra il rione Casalicchio
ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al cui interno si conserva la ricca
biblioteca di famiglia, è abbellito da un portale lapideo sul quale spicca un
mascherone sormontato da un’antica riproduzione in pietra dello stemma del
casato. Il suddetto blasone è timbrato dalla classica corona a cinque punte che
identifica i Julia come nobili. Acri, Palazzo Julia, portale con
atto del notaio Gaudinieri, il sacerdote Nicola Maria J. fonda una cappella
privata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione all’interno della chiesa di
San Nicola di Bari in Acri situata nel rione Casalicchio. Fabrizio J. vende a
Sanseverino un terreno dove e edificato l’imponente complesso del palazzo
acrese dei principi di Bisignano, permutandolo con la casa e il fondo Macchia.
Dal matrimonio fra il dott. Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero
Salvatore ed Antonio dei quali il primo è rinomato avvocato mentre Antonio
viene ricordato come “Medico illustre” che “in età provetta, in pochi mesi,
studiò leggi presso il Focaracci e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde
s’incentrarono in lui il medico e l’avvocato. Fra i personaggi celebri di
questa famiglia ricordiamo il citato Raffaele, Governatore di S. Giorgio e
Vaccarizzo. La figura cui si lega maggiormente la fama del casato è quella di G.,
FILOSOFO. Allo stesso è intitolato il liceo – LIZIO -- d’Acri. Svolge gli studi
presso l’istituto Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano.
Frequenta il seminario di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico
acrese Francesco Saverio Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché
teologo, filosofo e parroco maggiore di Santa Maria in Acri. Intraprese gli studi giuridici e per alcuni
anni esercita la professione di avvocato poi accantonata a favore
dell’insegnamento di materie filosofiche. Quanto alla sua produzione filosofica
questa e quella del poligrafo (letteratura, filosofia, storia, cultura
calabrese) inoltre. Nei suoi studi predilesse la valorizzazione e la riscoperta
di figure regionali poiché gli pareva che la Calabria fosse dimenticata e poco
apprezzata dopo la raggiunta Unità. Fra le sue opere ricordiamo: Saggio sulla
vita e le opere di Gravina, Saggio di studi critici su Selvaggi e la Calabra
poesia, ROVERE e i suoi dialoghi di scienza prima, FIORENTINO filosofo, Lettere
al figlio Antonio su Cesare, SANCTIS in Calabria, Monti. Muore in
Acri. Telesio, rivista codiretta da J. Antonio J. figlio di Vincenzo,
avvocato e raffinato poeta sposa, in prime nozze, Mariantonia Dodaro, figlia
dell’avv. Giovanbattista e di Cristina Benvenuto. Il loro è un matrimonio
felice e allietato dalla nascita di Maria Gabriella, Vincenzo e
Antonietta. Antonio G. e sua moglie Mariantonia Dodaro Antonio G. è
legato da sincero amore a sua moglie e quando questa prematuramente scomparve,
riversò il suo dolore in alcuni toccanti componimenti poetici che rappresentano
una struggente testimonianza del suo dramma interiore e assieme della sua
spiccata sensibilità d’animo. AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue
lucenti Pupille a te si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze
echeggerà la sua preghiera. O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo
mio letto, volgi le luci ognora sovra i miei figli e sul paterno
tetto! Dimmi che ancor le rose Olezzano per te, vigile Iddio, le parole
amorose che a te rivolse, ne l’estremo addio. Dimmi che ancor tu senti La voce
sua, ne l’ombre de la sera, e che, in soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una
preghiera! Gli smalti dello stemma J. sono noti grazie ad una raffigurazione
del blasone in oggetto riportata dallo storico acrese Capalbo in un suo lavoro
inedito sull’araldica delle famiglie nobili d’Acri. Nella riproduzione del
blasone dei G., visibile ancora oggi sul portale del loro palazzo in Acri, il
destrocherio appare vestito. (2) - Per approfondimenti si rimanda a CHIODO,
L’Archivio Privato della famiglia G. di Acri - Inventario sommario, in
“Archivio Storico per le Province Napoletane. Per un elenco completo delle
famiglie patrizie di Acri si vedaCAPALBO, Memorie storiche di Acri, S. Giovanni
in Persiceto (BO), Edizioni Brenner, CAPALBO. Quest’ultima, appartenente a una
famiglia originaria di Rogiano Gravina, sorella di Balsan, letterato e deputato del regno d’Italia
nonché preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso figura tra i maestri del
nipote PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, Cosenza, Pellegrini. Per
approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la famiglia Fusari
si rimanda a CAPALBO,- G. vincenzo. atavist. Alcuni anni dopo il decesso della
prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice Antonietta Romano di
Acri. Poi sposatasi con Carlo Giannice Andata successivamente in sposa a
Giuseppe dell’Armi A. G., Momenti, S. Maria Capua a Vetere, Casa ed. Della
Gioventù, Si veda anche il componimento intitolato “Alla Vergine della Sua
Stanza”. Questo egregio, su cui fondiamo, a buon dritto, non pic cola speranza,
per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci, coltiva con forte,
inteso amore le filosofiche discipline, tutto solo rannicchiato in piccol
paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è sembrato, predilige la
filosofia di quel sommo torinese filosofo, che col suo primato Civile e Mormale
D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla autonomia del loro paese,
Libertà ed Indipendenza; e con l'Introduzione allo studio della Filosofia, la
Protologica ed altre opere speculative ispira nei cultori di questa no
bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. J. a dunque è un
giobertiano, un ontologo, e per lui quindi sta che l’ente, il primo essere,
Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non diffondendosi, nè
emanandole dal suo seno, come il ragno il ragnatelo; ma liberamente creandole;
per lui dico sta, che l'Ente, l'ASSOLUTO reale, non astratto, quale il pose, il
proclama Hegel, è il Primo Filosofico, cioè a dire è non solo il primo essere o
primo ontologico; ma anche la Prima Idea o Primo Psicologico. Sicchè non solo
anno le cose tutte da Dio l'essere loro, ma anche la loro intelligibilità.
Verità già insegnata dal fondatore dell'Accademia, il divino Platone, il quale
dice che l'idea del DIIVINO è pel mondo intelligibile quello che il sole è pel
mondo visibi le, e che l'essere assoluto dà alle menti nostre l'esistenza e
spande su loro e sugli obbietti della scienza illume della verità« detí v
8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías» come il sole, che non solamente rende
visibili le cose, ma dona loro eziandio il nascimento, l'accrescimento e la
maturita -- τον ήλιον τοϊς ορωμένοις ου μόνον, οίμαι τήν του οράσθαι δυναμιν
παρέχειν φήσεις, αλλά και την γένεσιν αυτών όντα. Quindi per J. sta quel metodo
detto deduttivo, o sillogistico, che dai principii va alle conseguenze, ma non
come pretende il fondatore del Peripato del LIZIO, il qua le fa il sillogismo
posteriore all'induzione, ed il cui scopo non consiste in altro che in
applicare i principii alle cose particolari a meglio rifermarle. J. ha capito
bene che l'induzione non può darci punto tanto i principii proprii a ciascuna
scienza, quanto i principii comuni ed assolutamente universali. I principii
sono ontologici ed originalmente presenti alla intelligenza, secondo dice il
divino Platone, e non già puramente logici ed astratti, secondo dice
Aristotele, che li vuole prodotti la merce dell'intelligenza con gl’elementi
fornitici della sensazione. Nè debbe dirsi che J. neghi l'induzione. Ei
l'ammette, e nel senso di venir essa provocata, sostenuta e guidata in noi dal
lume di certe idee generali sempre presenti all'anima nostra, essendo un
impossibile elevarsi da qualche fatto individuale e variabile all'idea della
legge generale e permanente, senza averci di già nella mente, almeno in una
maniera vaga e confusa, l'idea di ordine, di generalità e di stabilità. Laonde
dice Laforet nella sua storia della filosofia antica, in parlando del LIZIO. Comment s'élever de la
perception de faet contingents et relatif à l'idée de principes nécessaires et
absolus, si le necessaire et l'absolu sont entieremant étrangers à
l'intelligence? Dunque pel J., come per ogni giobertiano,
si deve partire di Dio per costruire la scienza filosofica ossia dalla idea
somma ed improdotta, perché è quel principio supremo che illumina e rende
conoscibili gli altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe aversi
quella sintesi obbiettiva, che argumenta di necessità nel suo moto organico la
gerarchia dei principii scientifici; e deve radicarsi in un principio assoluto,
supremo, universale, immutabile, il quale, reggendo colla sua virtù ogni
singolar passo del procedimento razionale, accorda ed unifica tutti imomenti
del discorso ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde dice
saviamente nel suo dotto di scorso intorno al Panteismo Attanasio, nella La
Carità di Napoli. Sintesi senza gerarchia di principii io non intendo
nell'ordine dell'idee, come non vedo nell'ordine umano sociale e nell'ordine
fisico di natura. E ingradamento di gerarchie che ponga in atto una sintesi
universale torna impossibile a concepire pur col pensiero senza un principio
supremo, essenzialmente uno ed immutabile, che sia il centro immoto che governi
i moti del multiplo e del diverso e tragga a sè ed accordi il multiplo e dil
diverso». Laonde, lasciando chel'induzione non conduca ai principii, a ciò che
è universale, sia che dessa fosse positivista o come la intende il positivismo,
siache fosse anche nel senso di Aristotsle, ci facciamo a lodare J. per avere
ei scelto quel sistema, che parte dall'idea dell’ASSOLUTO reale per costruire
la scienza, non sipotendo, per tante e tante ragioni dette e ri-dette, porsi
per primo conoscibile ciò che non è prima cosa; per chè sarebbe, seguendo
questa via, un turbare l'armonia della scienza filosofica; giusta che vien
fatto dai psicologi, i quali partono dal contingente, ed oșano spiegare
l'assioma degl’assiomi, la verità prima con la verità seconda, e separare
l'ordine di esistenza da quel lodi conoscenza, il primo psicologico dal primo
ontologico, dando questo per primo filosofico. Di qui non potremmo esserer
improverati che atorto, se dicessimo che iseguaci del PSICOLOGISMO di
Aristotele -- non però di quelle d’AQUINO (si veda) ch'è ben altro -- siam
lontani da una vera scienza; perché la scienza è con la sintesi, e la sintesi
co'principii, e la gerarchia dei principii scienziali nel principio sommo, Dio,
radicata. Siechè scienza sull'ANALISI è scienza effimera, è scienza di nome,
essendo disgregazione, e tale è la filosofia di Aristotele, siccome è conto da
quei due principii ammessi da lui. Nihilest in intellectu,quod prius non fuerit
in sensu -- e che l'anima nostra si
rassomiglia ed una tavolarasa -- Δείδ'ούτως ώσπερεν γραμματειωώ μηθένυ πάρχει
εντελεχεία γεγραμένον. È quantunque fosse vero che il LIZIO ammettesse
l'intelletto attivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello
che opera 83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per tirarne od
indurne avec lemonde intelligible; sun intervention n'apportedo nerien de now
eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des 0C sens,
il ne peut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu dans
l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer, redans la formation de la
connaessance,un rôle exactement samblable à 1021"celui que joue la
reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent ta rien à l'objet fourni par
la sensation, toute leur action seborné à éla:) doaborer cet objet Dunque
nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret. J. e la scuola giobertiana l'apprensione diretta ed
immediata, din cioè l'intuito dell'assoluto, e ritenere essere questi la prima
idea, la l'oprima conoscenza, che, per la via di un primo guardare, viene al.
into: l'intelletto umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in
poi, la quale èun secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il
primo intuito, chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in
forza del raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per
la via dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo
ben dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore,
credendo ed insegnando, che Dio siccome ve fosesrità assiomatica, essendo
universale, necersaria ed immutabile, debba 18 essere astratta,e che vi bisogna
di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per ascendere, mediante essa
verità astratta, al vero primo buik ed assoluto, mentre, siccome facemmo notare
in proposito di Milone. Insomma, senza menarla piùinlungo, della insignescuola
on anda tologica è J., siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar
veratgomento filosofico e conquello, veramente stupendo, Discorsointorno alla
vita ed alle opera di Balsano, in cui, prendendoa consi ost: der ar e questo
disgraziato dotto Calabrese, divenuto vittima del pugnale di un assino, e,
considerandolo non solo quale oratore egregio ed acuto critico,ma anche
qualeillustre cultore delle scienze filosofi cincche, e forte amatore del
sistema ontologico, palesa a chiare note i suoi O. pensamenti in fatto di
filosofia, che sono indubitatamente quelli del Pladiotonismo, cristianizzato
d’Agostino, ammirato d’AQUINO (si veda) e d’ALIGHIERI (si veda), divulgato da
Gioberti, ed abbracciato dalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. La
FILOSOFIA di J. che ci avemmo in dono da lui medesi i mo, palesa ad evidenza
non solo la scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle
idee, ond'è corredata sua mente; e non solo l'affetto per la patria grandezza
quanto a politica, governo e civile, scienze, lettere ed arti; ma dàanche prova
della perizia che l'universale ed elevarci sino alla concezione dei principii;
pure non to bisogna dimenticarci che nella teoria dello Stagirita è desso
affatto et vuoto, senza alcun rapporto diretto col mondo intelligibile, da
potersi pelo dire che nella conoscenza eserciti l'ufficio nè più nè meno della
riostruflessione di Locke. E dice bene Laforet. Dans la theorie du Stagirite
l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct Profilo
Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N. 11, nonci
ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è obbiettiva
in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di universalità,
necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne 84 ha ei nell'idioma
nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni studi, dell'amore delle
nazionali dottrine dell'eccellenza del sistema che ha adottato nelle scienze
speculative, anteponendo (fra i due sistemi che veramente possono dirsi i più
perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire razionalo-empirici od
empirico-razionali) l'ontologismo al psicologismo, e, fuggendo, quelloche è
più, gl’eccessi del razionalismo e dell'empirismo, e quei tali sistemi erronei,
idealismo e positivismo, pei quali delirano i filosofi, da cui camminando si di
questo passo, non ci possiamo attendere, se non un ar venire sventurato.
Prosegue J. i suoi studii filosofici, e ci offra lavori speculativi di maggior
lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e rallegrarcene con lui. Delle
dottrine filosofiche e civili di Gravina per Balsano, con saggio sulla vita e
sulle opere del Gravina per J. Cosenza, Mgliaccio. Gravina è considerato dai
più come poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione
poetica,e come insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortu et progressu
juris civilis. Ma eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi
considerato come filosofo e per le dottrine speculative che professava e per
quei sommi principii a cui s'informano i suoi SAGGI DI FILOSOFIA, dovendo le
scienze particolari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline giuri
diche e pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa più
alta ed universale, cioè dalla Filosofia propriamente detta. A nostri giorni il
calabrese Balsano si pro pose di far meglio conoscere le dottrine filosofiche e
civili di Gravina, studiando accuratamente e con intelletto d'amore le opere
del suo grande concittadino. Ma Balsano, non che pubblicarlo, non potè compiere
il suo lavoro, perchè trafitto dal pugnale dell'assassino! J. ha raccolto la
sacra eredità del suo venerato maestro, dettando un'eru dita ed ampia
monografia sulla vita di Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito
del Balsano. In questa vita e troviamo uno specchio breve ma
fedele dei tempi di Gravina, specie riguardo agli studii; la pittura del
carattere morale del pensatore rogianese, un cenno de'suoi numerosi scritti e
de'suoi meriti letterarii. L'opera del Balsano, dettata in una forma quanto
castigata altrettanto elegante ed elevata, contiene una larga esposizione dei
pensamenti di Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di
filosofia speculativa e di morale, di religione e di diritto, di estetica e
d'insegnamento, di politica edi civiltà. È divisa in due libri. Nel primo si
ragiona delle dottrine civili. Quanto alla filosofia, da Balsamo si cerca dimo
strare che Gravina, studioso della TRADIZIONE DELL’ANTICA FILOSOFIA ITALICA,si
attenne specialmente alla dottrine platoniche (come apparisce anche
dall'Orazione sua De instauratione studiorum), armoneggiandole col progresso
della civiltà cristiana, delle scienze particolari e massime del Diritto, egli
che aveva meditato le opere dei sommi giure consulti romani, e che aveva piena
la mente ed il petto della grandezza di ROMA antica. Le dottrine platoniche da
lui professate gli fecero innalzare la mente ai principii sommi del Diritto, a
meditare la riforma delle dottrine civili, ed a comprendere la sintesi
el'armonia delle parti principalidel sapere. Difatti, Gravina vedeva la scienza
umana come un'armonia e ricordava la piramide in cui egli dice espressamente
avere gli antichi savi simboleggiato la scienza umana e la natura delle cose:
il che significa che per lui l'ordine della scienza risponde a quello della
natura, l'idealità alla realità; e come il primo vero è l'idea divina nota da
principio all'intelletto creato, così il primo essere è Dio creatore della
scienza e della natura. Tutto l'ordine dei contingenti reali ha sua causa
efficiente nell'ASSOLUTO che licrea; tutto l'ordine delle cono scenze empiriche
ha sua origine nell'idea eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o
tipo a cui si riscon trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile. E
sotto questo aspetto può dirsi che Gravina precorresse a Gioberti, che in cima
del sapere e dell'essere doveva porre Dio creatore. Adunque il contemporaneo di
VICO (si veda) non segui le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di
Pla- [Disp.] tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre giusto
verso il LIZIO. Ma se a Gravina non può negarsi un certo valore filosofico, i
suoi veri meriti risguardano, più che la FILOSOFIA ela Letteratura, la
Giurisprudenza. Preceduto da Gentile, da Bacone e da Grozio, Gravina non solo
ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu
juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi
del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto, specie, di
quello romano che insegna in Roma stessa, e la FILOSOFIA. Gravina, esaminando
l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla Morale come oggi fanno
taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono tutti i doveri umani,
trova pure il suo primo e vero fon damento il diritto. Egli precorse al Savigny
da un lato, al VICO e Montesquieu dall'altro, interpretando con larghezza di
veduta la storia civile e giuridica di ROMA. Balsano si è proposto di ritarrre
ilGravina non solo qual eminente giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile,
mostrando com'egli additasse le norme eterne d'ogni società umana (che
ammetteva come un portato della natura) nella vita privata e pubblica,
nell'ordine privato e politico. Ma ripetiamo, Balsano non potè compiere l'opera
sua; la quale del resto, merita di essere conosciuta e studiatadai cultori
della Filosofia, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso il
proprio concittadino risguardato come filosofo. DISCORSO Recitato nella sala
dell'Accademia Cosentina). Piansi,o Signori, nella mia pensosa solitudine, la
morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello!; vengo ora a
glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del vecchio
TELESIO, al cospetto di dotti Accademici, di fervidi giovani, dieletti ingegni,
di distinti Professori, che meglio di m e, nato e cresciuto nelle montagne,
potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò con
franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi; dinanzi ad
uomini gravi ed austeri le apoteosi e la rettorica sono un fuordopera. La
parola mendace è un insulto alle ceneri di Fiorentino, uomo sovero ed aperto,
che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, sa dire con schiettezza di
calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace demolitore del vecchio
mondo; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani. Nella rioca personalità del
Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensatore; lascio,per ora,ad altri di
me più competenti, esami nare il letterato, lo scrittore, ed il cittadino; io
vi parlerò soltanto dell'Autore di BRUNO;del Saggio Storico sulla Filosofia; di
POMPONAZZI e di TELESIO; quat tro titoli di gloria, che basteranno a rendere
immortale il nome di Francesco Fiorentino. [Vedi il saggio su Fiorentino da J.
pubblicato nell'Avanguardi, riprodotto dalla Gazzetta Calabrese e dal Calabro
in Catanzaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo, in Napoli. L'Italia,
o Signori, fu scossa nei principi del secolo, dopo la grande Rivoluzione
dell'ottantanove, dalla parola del nostro GALLUPPI, che il Gioberti chiama il
Nestore della sapienza italiana. Senza mistiche intemperanze, senza voli
metafisici, ei richiamò, nuovo Socrate, la mente degl’italiani ad indagare il
me e la coscienza; a scrutare profondamente ilsubbietto umano; e, rigettando
lequiddità scolastiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy, contribui à
rinnovare presso di noi il metodo naturale, e fu salutare reazione
all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo, Conscio dell’esigenza
storioa del secolo decimonono, Galluppi inizia presso di noi lo studio della
storia della filosofia; indovino, pur combattendola fieramente, l'importanza
speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto; e, benchè avesse
trascurata la Rinascenza, Telesio, Bruno, Campanella, può dirsi, IL VERO
EDUCATORE DELLO SPIRITO FILOSOFICO IN ITALIA. La Calabria, terra delle grandi
iniziative e delle magnanime audacie, si elevò con Galluppi all'altezza del
pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon tana di CAMPANELLA,
che risveglia in Italia il pensiero laicale ed umano, il pensiero puro ed
universale. FIORENTINO studia Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli
piacque la nuova e socratica spe culazione, che un modesto filosofo inizia
nella estrema Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle
armonie pitagoriche. Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non
bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno di Fiorentino, aquila delle
montagne, che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della speculazione
galluppiana. In mezzo a queste ansie intellettive sopravvenne Gioberti a
scuotere le menti dei meridionali con la magica parola; ed Fiorentino, assetato
di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di Calabria, accettò
anch'egli la mistica speculazione giobertiana, o è idealista platonico ed
ortodosso. E chi potea, pria del sessanta, resistere al fascino di Gioberti?
Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò nelle pagine immortali del
Primato? Guerrazzi chiama Gioberti scintilla piovuta dal Vesuvio sulla cima
delle Alpi: veramente ci è in lui l'audacia, la fiamma profetica, la
divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è VICO e Campanella, AQUINO o Bruno; ci
è la fede dei credenti, lo spirito ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia
di Platone, l'austero sillogismo di Aristotile. Nei dolori dell'esilio, egli
scrive la Teorica del Sopranna turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia
; riassunge nella Introduzione tutto il passato teologico e tradizionale,
rinnovò il realismo del Medio-Evo, sposandolo al pensiero moderno; risuscitò
nel Primato, con l'entusiasmo del pro feta, i titoli della nostra grandezza, e
lanciandosi col volo dell'Aquila alpigiana nel grembo dell'essere, credette di
averne interrogate le profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica,
e sciolti tutti i problemi con la formola ideale e con l'ente creatore.
Gioberti non arrestossi a metà; e, ringagliardito da nuovi studî, ingegno
audace e progressivo, com'era, accettò gran parte della speculazione moder na,
e, spastoiandosi dal vecchio teologismo, dalle utopie del Primato, inaugura la
nuova Italia col Rinnovamento; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova chiesa
con la riforma cattolica, e con la filosofia della rivelazione; sebbene non
interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che Gioberti pubblica
il Rinnovamento, ed Massari le Opere postume del suo grande amico, le Calabrie
erano chiuse dalla muraglia cinese, ed ilnuovo pen siero laicale di Gioberti
non potè penetrare nei nostri boschi. È ancora innamorato del misticismo e
della formola ideale; gl’eroi della Rinascenza non sono ancora conosciuti tra
noi; o SPAVENTA, esule a Torino, dove pubblica i suoi stupendi Saggi Critici su
Bruno e Campanella, e quasi ignorato in Calabria. Fiorentino, non bisogna
nasconderlo, avea subito an. Scrisse allora a Napoli Bruno, un Saggio, come
schiettamente confessa l'Autore; composto in tutta fretta nelle vacanze, e disteso
in soli ventotto giorni. Quel Saggio, benchè imperfetto, segna il primo momento
della critica evoluzione del nostro in filosofia, il passaggio, cioè, dal
dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi moderni.
Nello studio del passato Fiorentino trova la spiegazione dei posteriori
sistemi; e, poichè non poteva valutare le teoriche di Bruno, senza risalire
alle origini, guarda la dialettica nelle scuole di CROTONE e VELIA, e ne rilevò
con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del greco
pensiero. Si occupa, egli il primo, presso di noi, della stupenda Dialettica
del cardinale di Cusa, e ne indaga i le gami col sistema del Nolano, dove causa
e principio sono una medesima cosa, e la esteriorità della causa e la inte 1
Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto; e ne pubblica
alcuni saggi a Messina, voltandole in italiano. Cusani; Aiello; Re; Salvetti;
Gatti; Spaventa e Spaventa; Imbriani; Meis; Tari; Savarese; Perez; Mancini;
Sanctis; Marselli; Trinchera; Turchiarulo; Zio; Quercia ed altri. pensiero
germanico, diffuso nel mezzogiorno dai più forti ingegni del Napolitano;
indovina la grandezza speculativa della Rinascenza, e si sentì attratto
dall'eroica figura del Nolano ch'egli l'influsso dei Santi Padri, e,
principalmente, come dicemmo, del filosofo torinese, che da lui studiato profon
damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura, in mezzo ai più
splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con le sue titaniche
audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare Fiorentino dalla sua
fede dommatica e dal suo sonno ortodosso; e, benchè non ancora emancipato da Gioberti,
si volse a studiare il riorità del principio si ricongiungono nell'Uno, ch'è
insie me causa e principio. L’uno nel sistema del Nolano, è totalità assoluta;
vale a dire che come principio della forma zione dello cose è minimo,come
totalità perfetta ó massimo; come identità del principio e della fine piglia il
nome di uno, ove tutto si assorbe, come in vasto ricettacolo; ove il pensiero e
la realtà si confonde in una identità suprema. In ciò consiste il panteismo di
Bruno, che Fiorentino rigetta, soggiogato da Gioberti, confutando l'eccletismo
poco omogeneo, gli ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano, che fonde
insieme la Causa dei Pitagorici, l'Uno di VELIA, ed il Principio
degl’alessandrini. E pure, ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane,
Fiorentino non disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del
Bruno; la maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto
divino, mondano, partico lare,ed ilconcetto direlazione, ch'è tanta parte della
Protologia del Gioberti, e costituisce il verace assoluto; l'assoluto, cioè,
della moderna speculazione. Dallo oscillare di Bruno tra la Scolastica e la
Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà;
ed il Nolano ondeggia tra Eraclito e Parmenide di VELIA, tra il flusso c o n
tinuo e la rigida immobilità. Fiorentino mette Bruno in relazione con Spinoza e
Schelling, ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze, o conclude
che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del sistema,
hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e d'immedesimarla col
mondo; cercano fuori del pensiero il centro della loro unità, e costituiscono
quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi; l'Uno, la Sostanza, l'Assoluto
sono tre creazioni parallele. Fiorentino analizza del pari la dialettica di
Hegel e di Gioberti, monumenti immortali della moderna speculazione, e nota che
in Hegel e Gioberti contrastano due tradizioni, due filosofie, e due nazioni;
la filosofia della creazione e la filosofia della identità, il
cattolicismo ed il razionalismo, l’Italia, patria d’AQUINO o d’ALIGHIERI, e la
Germania, patria di Lutero e di Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la
importanza della filosofia tedesca, glorifica la vecchia formola giobertiana,
il cattolicismo e la rivelazione; rigetta quasi il pensiero moderno, desidera
il rinnovamento della antica filosofia italiana, e, collocando sugl ialtari il Gioberti
della Teorica e della Introduzione, chiude il Saggio con queste parole. Sogna
che il nome di GIOBERTI suonerebbe terribile sui campi di battaglia, e venerando
tra le arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è avverato in gran
parte e la indipendenza e l'unità della « mia patria,propugnata da quel grande
statista, è presso a compiersi; mi sarebbe ora assai dolce il vedere una «
scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi, giganteggiare in quel nome si
caro ad ogni italiano, con quella « formola,che assomma la scienza e la fede
dei nostri padri. Da esse soltanto noi potremo sperare, compagni di quelli che
combatterono a Curtatone, e cacciarono gli’austriaci da Varese e da Como. Bruno
porta Fiorentino ad uno studio più accurato della greca filosofia, di cui è
anche specchio e ri produzione, in buona parte, la Rinascenza italiana, della
quale il Nolano è l'eroe ed il martire. Professore straordinario di Storia di
filosofia a BOLOGNA, Fiorentino si da a studiare alacremente e con tenacità di
calabrese Aristotile e Platone. Si fatti studii, come racconta egli stesso, gli
apreno nuovi orizzonti, gli allargano la vista intellettiva, o gli fanno
scorgere il difetto fondamentale della filosofia giobertiana. Fiorentino si
allontano da Gioberti, non col cuore, si bene con la mente, ch: i forti amori
non possono dimenticarsi. Rude e franco calabrese, intelletto austero,
Fiorentino si emancipa dalla scuola filosofica ortodossa, quando si convince
che il mito e la leggenda prevalevano sulla pura speculazione, sul pensiero
libero o laicale. La critica, che Aristotile fa di Platone, a cui GIOBERTI si
rassomiglia, fece schivo il Nostro dal mescolare immagini ad idee, e lo inimicò
con le metafore filosofiche la severa, m a ineluttabile critica di Aristotile;
non i tedeschi lo convertirono alla nuova filosofia, degna dei tempi moderni,
si bene il rigido, inesorabile Aristotile Fiorentino scese, CALABRO ATLETA,
nella arena della greca filosofia, e ardente è trasportato lungo le sponde
dell' Ilisso, tra gl’alberi fragranti, che ne ombreggiano il margine; sotto il
bel cielo d’Omero, tra le dispute di Socrate, i simposî platonici, e le austere
meditazioni dell'Accademia. Sa egli fondere ed accordare insieme l'idea greca
all'idea calabra, rappresentata nei tempi antichi da Pitagora, e tutte e due al
nuovo pensiero laicale del Rinascimento, rappresentato presso di noi da Telesio
e Campanella. Ringiovani così il pensiero, irrigidito nelle ferree strette
della Scolastica e di Gioberti; e farfalla, ch'esce a poco a poco dal suo
involucro; montanaro calabrese, che si trasfigura man mano sotto il soffio dei nuovi
tempi, si sentì umano ed universale nei Dialoghi di Platone e nella Metafisica
di Aristotile. La Grecia è infatti la terra dove sboccia il fiore dell'Arte, e
germoglia il seme dell'umana ragione; è la patria del pensioro speculativo,
della Dialettica, e della Categoria, a cui metton capo ipiù vasti sistemi
dell'antica e della moderna filosofia. Fu lapatria di Platone, che per
genialità e divinazione speculativa, per universalità di pensa menti, per
movimento drammatico, per colorito artistico e finezza di dialogo, grandeggia
su tutti i filosofi; egli fonde in sè l'eloquio facile e maraviglioso d’Omero e
l'attica bellezza di Sofocle. La vecchia Grecia s'idealizza e si trasfigura nel
gran discepolo di Socrate; la speculazione diviene arte e dramma, ed il
pensiero, chiuso nei c ancelli di Talete e di Eraclito, abbraccia ilmondo, si
fa universale ed umano, an- [Vedi Filosofia Contemporanea in Italia, Napoli]
ticipa il Cristianesimo e preludia all'età moderna. Egli fonde, come disse bene
FERRAI FERRARI (si veda), in una grande unità isofisti e i politici, gli artefici
e i guerrieri; uomini, donne, vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo
mondo in azione ti si fa duca e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando
le tue facoltà, spesso spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono,
per il vero; quell'entusiasmo, aggiungo io, che crea i grandi fatti della
storia, e quei capolavori del l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove
si specchia tutto il sorriso dell'Ionio mare, l'apollinea bellezza dei Greci,
il fascino di Diotima e di Aspasia; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta
ironia di Socrate ; divina bellezza, m u . sica arcana, che rende unica la
Grecia tra le nazioni più civili e più artistiche del mondo. Non volendo
abusare della vostra bontà io m i restringo per ora a Platone; che ci
porterebbe assai lungi il voler discorrere completamente del Saggio Storico
sulla filosofia Greca ; discutere ed esaminare Aristotele e quanto altro
riguarda le Categorie ed i problemi della filosofia moderna, di cui si occupa
il nostro nel suo stupendo lavoro. Fiorentino scrutò con animo libero e
spassionato la vec chia speculazione ellenica; la Grecia anteriore a
Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di Talete, di Senofane, di
Eraclito, di Parmenide, d’Anassagora; o dove si elabora a poco a poco l'idea
platonica e la categoria aristotelica. È un quadro ricco di pensiero, ed anche
di poesia,che con vivi colori ci tratteggia Fiorentino con quella sua ge
nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g giunge ai suoi
lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi Soli diffusi
sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone CROTONE. Il Saggio Storico sulla
filosofia sarà sempre, secondo il nostro debole parere, l'opera più bella, più
geniale del Fiorentino; ci è il profumo e l'entusiasmo, ci è la vita artistica,
anche in mezzo alle severe meditazioni del pensatore; quella vita, che solo può
dare la Giorn.Napoli] gioventù, nella sua più rigogliosa fioritura ed
espansione. Ciò nonostante, spassionati estimatori dell'ingegno del nostro
amico, riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che l'autore
medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi sulla
lingua, sulla filosofia, sulla letteratura greca; dotto nel tedesco e
conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile.
Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica di Fiorentino
sono le idee platoniche e le categorie aristoteliche, che sono e saranno sempre
le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La critica platonica
(come nota Chiappelli nel dottissimo studio sulla interpetrazione panteistica
della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri fatta da capo; e la quistione
si aggira sui fondamenti di tutto il platonismo, valeadire, sul genuino valore
della dottrina delle idee, che forma il centro del sistema dell’ACCADEMIA.
Dalla interpetrazione di codesta dottrina dipende quella di tutto il resto del
sistema; è il presupposto, da cui, come tanti corollarii, scendono tutte le
altre parti di questo monumento immortale del genio greco, che scosso dalla
potente critica dal LIZIO d’Aristotile, travisato dal Neo-platonismo, rivive
anche oggi, dopo le vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni
tempo sono le interpetrazioni delle idee platoniche. Sono scambiate, ora con
gl’ideali estetici, che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e
concetti intellettivi, ed ora come gl’eterni paradimmi del divino artefice, modelli
esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė; la quale interpetrazione, che
si trova diffusa tra i neo-platonici, tra i padri della chiesa, ed in tutto il medio-evo,
anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone
sono trascendenti, immobili e separate dalla materia, e che carattere principale
del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra
l'intelligibile ed il sensibile: Le più ingegnose interpetrazioni dei critici moderni,
e massime di Teicmuller, che fa dell’ACCADEMIA un Panteista, non han potuto
colmare l'abisso, che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento
intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo
inaccessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè
sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose medesime.
Anche la relazione delle idee col divino, osserva Fiorentino, rimane indefinita.
Le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve trovarsi accanto a
loro, o concorrere con loro alla formazione dei mondo. L’ACCADEMIA non tenta
neppure di conciliare il divino con le idee; perciò accanto alla speculazione
tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento, ma come elemento
integrale del sistema. Solo è certo che l'altissima idea è per Platone quella
del bene; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora è quella, a cui
guardando il demiurgo dà forma al mondo; se non che non si può risolutamente
affermare che il bene s’immedesimi col divino, ch'è un dato della tradizione
piuttosto che della filosofia, ed in Piatone non essendo chiara quella
immedesimazione, non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la mente
divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente, e sempre ondeggiante ed
incerto. Fiorentino nel Saggio storico rigetta la interpetrazione delle idee
dell’ACCADEMIA come riminiscenze di una vita anteriore, come modelli e
paradimmi del mondo, come pensieri divini; e ritenne che Platone non è sempre
lo stesso ne'suoi dialoghi; filosofo da poeta, senti bisogno di spiegare la
scienza, e ricorre alle idee; negli ultimi anni adotta il linguaggio pitagorico
a proposito delle idee, e le considera come numeri. La dottrina delle idee
platoniche, trattata davvero scientificamente, consiste per Fiorentino nei
Dialoghi il Teeteto, il Sofista, ed il Parmenide. Il Sofista prepara il
Parmenide, a cui dà il fondamento ed il principio; ed il Parmenide sostituisce
alla me- [Manuale di Storia della Filosofia, Napoli] tessi ed ai simulacri la
relazione, ch'è la vera natura e la vera condizione di tutte le idee; è la loro
vita e fecondità. Fiorentino, austero intelletto e libero pensatore, prefere
alla lirica del Fedro e del SIMPOSIO, alla epica narrazione del Timeo ildramma
ideale del Parmenide. Fiorentino scruta profondamente i tre dialoghi platonici,
o ne rileva il vero significato. La scienza, egli dice, non è sola sensazione e
sola opinione, come vogliono i Jonici, ed ecco il significato del Teeteto; la
scienza non è la sola cognizione dell'uno, come pretende Parmenide di VELIA, e
ne anco dell'essenze immobili ed irrelative dei megarici; ed ecco il significato
del Sofista. La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di
entrambe; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide da VELIA; tanto vero che, senza la relatività
delle idee, il Parmenide da VELIA rimarra sempre un enimma, il sistema di
Platone un leggiadro tessuto di favole, di reminiscenze oltre-mondane ed
assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Parmenide
di VELIA, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel
Sofista, ossia l'ente, e quello da cui muove nel Parmenide, ossia l'uno,
sonolostesso principio; se non che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e
l'Uno è determinato, e produce i molti. L'uno è il medesimo e dil diverso del
Molti; come viceversa il molti si può dire medesimo ed altro dell'uno; tanto
che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenide esplicito il diverso e
l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa della estrinsecazione
della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse la vera natura
dell'altro, che non può essere nè un'essenza, nė un'idea; sì bene una
relazione; egli perciò oscilla dall'uno all'altro di questi due termini, per
trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza, ed
un'altra idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni di
Fiorentino entrasse un po il sistema e la critica moderna dell’Hegel, sempre
caro al nostro, come quegli che è la sintesi più stupenda del pensiero laicale
tedesco, da Lutero a Kant. TOCCO (si veda), di cui tanto si onorano le
Calabrie, nelle sue dotte Ricerche Platoniche, esplicitamente osserva che
Fiorentino interpetra il Parmenide di Platone alla maniera di Hegel, e che, ad
onta delle argute considerazioni sulle stonature della Dialettica platonica, non
tenne in conto il fare negativo di tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica
della metessi e degl’influssi a quello della dialettica assoluta, è un salto così
smisurato, che difficilmente puo farsi da un uomo, per vastissimo ingegno
ch'egli ha, sopra tutto nel tempo, in cui la speculazione è ancora sul nascere,
ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati. E ingiusto per ciò, conchiude
Tocco, il raccostamento della dialettica platonica all’egheliana, e non bisogna
interpetrare con Hegel Platone, e trasportare il mondo antico nel mondo
moderno! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la DIALETTICA
dell’accademia. Essa non è altro, se non che la legge dell'intreccio ideale, il
modo come si forma il Logo, o la Ragione universale ed assoluta. Il ritmo della
dialettica vera dell’ACCADEMIA, secondo la interpetrazione di Fiorentino, è nel
Parmenide; il contenuto del quale si risolve in una trilogia, di cui la prima
parte presenta la idea solitaria dell'uno, e l'annulla. La medesima idea
appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione; la risolve la
con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e divenire, che sono
mutuati dalla dialettica hegeliana, e rendono infide e soverchiamente moderne
le interpetrazioni di Fiorentino. Egli è convinto, quando scrive il saggio
storico, che la dialettica hegeliana è modellata sulla platonica, e che le
prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere, il non essere, ed il divenire
ricordano l'uno, l'ente, ed il momento del Parmenide da VELIA. La Dialettica
platonica, monumento grandioso dell'umano pensiero, ispira in ogni tempo gl’Artisti
ed i Filosofi; e Fiorentino conchiude che Goethe v'im [Catanzaro. Lo
studio della filosofia greca fa rientrare Fiorentino nel mondo moderno, ch'egli
avea sfiorato col lavoro di Bruno; il greco pensiero, che più degli altri è
pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla Rinascenza, la quale,
se inizia l'epoca moderna con le ribellioni speculative di Bruno, di Telesio e
di Pomponazzi, usufrutta con TELESIO e con BRUNO la parte viva ed immortale
della greca filosofia, il concetto della natura, autonoma od assoluta, e l'idea
dell'infinito generante. FIORENTINO, ingegno fecondo e progressivo, accetta i
pronunziati, gl’ardimenti, o, le ribellioni della rinascenza. Nelle fresche
correnti della natura ei sente ringiovanirsi, ed il suo pensiero divenne più
ampio ed umano. L'epoca della rinascenza è, o Signori, un'epoca gloriosa,
battagliera, o titanica. La scolastica è assottigliata. La cavalleria ed il
feudalismo se ne vanno. La teocrazia perde il suo prestigio, e la sua
universalità. La poesia si emancipa dai terrori mistici. Alle fosche pitture
succedono i freschi colori del Tiziano e del Correggio. Nasce lo stato laicale,
e Machiavelli crea la storia moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran
dramma una parte gloriosa, e specialmente il mantovano POMPONAZZI, che per
audacia speculativa, per energia di carattere è uno degli eroi più spiccati del
rinascimento italiano. FIORENTINO, che come fiero calabrese e libero pensatore,
è naturalmente attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mette a
studiarlo con coscienza di filosofo e pazienza di critico; sgobba sui polverosi
volumi in folio, si chiuse come un anacoreta nella sua cella di BOLOGNA; ed
affronta con leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti, le
beffe dei gaudenti, che senza forti stupara la movenza del Dialogo; Hegel il
severo ragionamento; VICO vi attinse lo schema della Scienza Nuova; SERBATI il
principio del nuovo saggio; ed a quell'opera immortale bisogna ricorrere ogni
volta, che si vorranno scandagliare davvero le origini dell'umano pensiero
senza accurato lavoro vogliono, con la veduta corta di una spanna, giudicare gl’uomini
serî ed austeri, gl’uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della
scienza ; indomiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei, che muoiono e non
si arrendono. POMPONAZZI insorse fieramente contro la scolastica, e contro la
greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'anima, ed il processo del
conoscere non ha esitato punto, nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze
del LIZIO. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si libera
dall'intelletto separato di Averroè, dell'intelletto agente dello Afrodisio,
senza però emanciparsi del tutto dagl’influssi e dalle intelligenze superiori;
ondeggiante ancora, come tutti gl’uomini della rinascenza, tra la scolastica ed
il mondo moderno; tra AQUINO (si veda) e BRUNO (si veda). Strema, è vero,
POMPONAZZI (si veda) la trascendenza in filosofia; considera l'intelletto umano
come sviluppato dalla potenza della materia. Ma non volle attribuire
all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale; e disconobbe la vera
mediazione, che l'uomo fa tra le cose eterne e caduche. Egli scruta insistente
i più ardui problemi metafisici, religiosi e morali, la provvidenza, il fato,
la libertà, la predestinazione e la grazia; e porta in tutte queste discussioni
la novità e l'audacia, proprie dei filosofi del rinascimento; piega più dalla
parte della determinazione fatale del PORTICO ROMANO che da quella della vuota
determinabilità dell’Afrodisio; che l'arbitrio non può essere primo movente; e
l'aver compreso il difetto della dottrina della libertà, come è in Alessandro
ed in LIZIO; l'aver intravveduto nel fato del PORTICO ROMANO maggior ragione
volezza costituisce uno dei massimi pregi della critica di POMPONAZZI (si veda)
Disconosce inoltre il valore assoluto delle Religioni; ne spiega con ragioni
naturali l'origine, il fiorire, la decadenza; le riconosce portato dello
spirito, eterno ed irrequieto viaggiatore, che tutto rinnova e distrugge. Con
questa divinazione Pomponazzi è anche precursore dei nuovi tempi, e della
scuola moderna; se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine, e non
si solleva al concetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni.
L'ingegno di POMPONAZZI (si veda), benchè novatore e ribelle, non si era
completamente spastoiato dal vecchio mondo scolastico ed del LIZIO aristotelico;
ei non puo ai suoi tempi cancellare del tutto il divino di Agostino e d’AOSTA
(si veda); non puo scartare intieramente la provvidenza oltre-mondana, non puo
combattere a viso aperto le tradizioni della fede ortodossa. Ei però intravvede
che al divino estra-mondano, collocato fuori la coscienza, dovea fra poco
succedere il divino intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa dovea
ringiovanirsi e al motore immobile di LIZIO dovea succedere l'infinito di BRUNO
(si veda). È questo il merito precipuo di POMPONAZZI (si veda), che a buon
dritto deve chiamarsi il precursore della riforma e del mondo laicale moderno;
e l'averlo saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria
di FIORENTINO (si veda). Ciò segna un altro momento importante nella evoluzione
critica e speculativa del nostro; la quale ha il suo compimento ed il suo
massimo splendore in Telesio, e negli studii sulla idea della natura nel
risorgimento italiano. TELESIO (si veda) infatti costituisce l'ultimo e più
splendido momento speculativo e storico di FIORENTINO (si veda), il quale
rappresenta perciò in Calabria il più alto grado, la più alta manifestazione
della critica storica, ed il completo svegliarsi presso di noi della coscienza
laicale ed umana; rappresenta la continuazione della rinascenza, ingrandita,
però, trasformata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici
di SPAVENTA (si veda). È primo SPAVENTA (si veda) in Italia a dare la debita
importanza a BRUNO (si veda) ed a CAMPANELLA (si veda), ed a tutta la filosofia
del rinascimento, rivendicando gl’eroi della nostra filosofia, ed i martiri
obbliati della ragione. L’Italia, dice Spaventa, apre le porte della civiltà
moderna con una falange d’eroi della filosofia. Pomponazzi, Telesio, Bruno,
VANINI, Campanella, CESALPINO (si veda) paiono figli di più nazioni. Essi
preludiano più o meno a tutti gl'indirizzi posteriori, che costituiscono il
periodo della filosofia da Cartesio a Kant. VICO (si veda) è il vero precursore
di tutta l'Alemagna -- Prolusione alle Lez.di fil. nap. Le austere parole e i
forti ragionamenti del filosofo abruzzese eccitarono il potente ingegno di
FIORENTINO, e come il nostro schiettamente confessa, lo fa orientare in quell'
arruffio, ch'è la speculazione della rinascenza, e lo innamorarono di quel
periodo filosofico, che prima si contenta di ammirare, senza averne perfetta e
matura cono scenza, piuttosto, perseguire i facili lodatori che per vederne
realmente l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e
poderosa di Spaventa, Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo
glorioso della rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante. Gli uomini
nuovi od audaci; i martiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino, ed ei s'immedesimò
loro, aspirandone l'immortale profumo, ed il soffio. La Calabria, che, senza
conoscersi, spesso si vilipende e si schernisce, non è per lui barbara c
selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; è invece terra di filosofi,
di critici, di poeti; culla di martiri e di eroi, terra artistica ed originale,
a cui, ultimo tra gl’ingegni calabresi, consacrai tutto me stesso, e per la
quale non cessa di combattere, finché avrò forze, finchè in Italia vi saranno
uomini senza coscienza storica e senza carità di patria. La Calabria (e
perdonate questo amore indomabile alla mia patria nativa, alle mie care
montagne) sa anch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi, uscire dal fondo
de'suoi burroni, e mettersi a paro coi più grandi eroi della Rinascenza italiana.
La Calabria sa anch'essa combattere con la sua selvaggia vigoria lo impero, la
scuola, ed il potere teocratico. Il calabro pensiero, che ancora si accusa di
angustia e municipalità, è, com’io dimostrai, un pensie ro, non solo nuovo ed
originale, ma eziandio italiano, europeo ed umano. Universale in
filosofia, inizid con Telesio lo studio dellanatura, sconosciuta ai padri
nostri, velata per tanto tempo dalle ombre del Medio-Evo; nel tetro carcere
della Vicaria crea col SERRA la scienza economica; con GALEAZZO usci dal
cerchio della poesia provinciale, e fuse nel calabro Sonetto la vigoria d’ALIGHIERI
e la musica di Petrarca; pre corse con Campanella a Descartes; e con GRAVINA
anticipa Vico e Montesquieu, o crea la nuova critica italiana. Fiorentino, che,
com'egli stesso canto, avea Saldo il voler ne le virili imprese, E indomita la
tempra calabrese, innamorato della vecchia Calabria, fa rivivere con magiche
tinte le belle ed eroiche figure dei padri nostri, PARRASIO, Telesio, il
Martirano, il Quattromani, il Tarsia, Cornelio, Severino, Schettini ecc.;
filologi, poeti e critici precursori, che usciti dal fondo dei nostri boschi
illustrarono le prime università, e danno un potente i m pulso al rinascimento
italiano, col fondare e promuovere quella stupenda accademia dei cosentini,
segno in tutti i tempi di odio inestinguibile e di amore indomato, la quale è
tanta parte del dramma grandioso della rinascenza; da all'Italia grandi
latinisti da emulare Poliziano, Sannazaro, Fracastoro, e sorpassarne altri con
Coriolano Martirano; porta scolpito il fatidico motto: Donec totum impleat
orbem; decrescit numquam, nec fulmine læditur; e servi di modello a tutta
Europa con Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo
doppio aspetto la vide l'occhio sagace di Fiorentino, e stupendamente la
illustra, sollevandola a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le
tradizioni del pensiero laicale ed umano rimarranno vive in Calabria, e ne
trasformeranno la vita, l'arte, e la speculazione; finchè vi saranno uomini
insigni come il Presidente Scaglione,ed il Segretario Greco, che ne
accresceranno le glorie e l'importanza, continuando l'esempio dei loro illustri
a n tenati, che noi, gaudenti e borghesi, abbiamo dimenticati, sconosciuti, e
fino scherniti. Fiorentino, che il dotto canonico Scaglione avea precorso
con lo studio su Telesio, pubblicato negli atti dell'Accademia, studiando a
fondo, al lume della nuova critica, le opere del filosofo cosentino, proclama
che Telesio inaugura i tempi moderni, ritiene la natura, come il principio
universale delle cose, il ricettacolo di tutte le forme, e, come schietto
naturalista, rigetta il LIZIO d’Aristotile e la Scolastica, la Teosofia, e la
Magia. Telesio, evitando la contraddizione del Lizio aristotelica, che rompe
l'unità della natura, parte da una materia primitiva ed unica, e da una
contrarietà universalissima, il caldo ed il freddo, nature agenti, dalla cui
azione sulla materia nasce la generazione e la corruzione. Telesio, pur
ritenendo la necessità di un'opposizione universale e di un'unica materia, il
che è anche ammesso dal LIZIO d’Aristotile, ne ha profondamente modificato il
valore. La forma del LIZIO aristotelica, ch'èsempre assoluta ed estra-naturale,
non gli parve principio naturale, e la sbandì, e la rigetta dalla sua
filosofia, con la rude franchezza del calabrese. In una parola, la natura non
ha mestieri per essere spiegata di principi, che non siano naturali. E così è
vinto e sor passato il medio-evo, e la filosofia delle scuole. Il soffio fresco
delle nostre montagne spazza lo nebbie scolastiche, e Telesio, meditando gl’arcani
della natura nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume
Coraci, è veramente il precursore di Bruno e di Galilei, l'uomo nuovo ed
audace, che scrolla il vecchio mondo medievale, ed inaugura l'epoca moderna.
Telesio, rigettando l'entelechia del LIZIO aristotelica, vi sostitui una
sostanza sottile, mobile, lucida, che per lui costituisce il principio della
vita; semplifica inoltre il sistema del naturalismo, tolge il dissidio immenso,
che è nel medio-evo tra la natura esterna e l'organismo vitale, e fuse insieme
nel suo novello sistema la fisica e la biologia. Fiero ed inesorabilo
calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere al LIZIO d’Aristotile ed alla scolastica,
o combattė senza ipocrisia, ed a fronte scoverta; da una nuova teorica
dell'anima, sorpassando il Fedone dell’Accademia, e l'intelletto universale del
Lizio d’Aristotile; FONDA SUL SENSO LA CONOSCENZA, ed ammise il mondo etico
come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che
Fiorentino stupendamente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola,
il quale, ebbro del nuovo divino, dell'Infinito generante, e della Natura, allarga
e feconda i concetti del filosofo cosentino, ed accetta pienamente il
naturalismo. Il vero assoluto rimane però in lui un punto oscuro, dove i
contrarii si affondano e spariscono; il nolano, più che cogliere con l'atto
intellettivo l'assoluto, vuole trasformarsi in lui, e divenire il divino. E l’eroico
furore, che lo trasporta in grembo dell'infinito, non il sillogismo
speculativo, e la serena meditazione; l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura
in grembo alla divina Anfitrite. Bruno, uomo del Mezzogiorno, nato presso il
Vesuvio, ha scosso in ogni tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti.
Eroe leggendario del pensiere, cavaliere errante della scienza, mistico o
ribelle, inesorabile flagellatore dei cucullati pedanti, egli che veste la
bianca tunica di Domenico, Bruno percorse, si può dire, da un capo all'altro
l'Europa disputando, combattendo, affrontando il vecchio LIZIO d’Aristotile, la
ciarlataneria delle scuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato,
schernito glorificato, ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora sublime; il
tutore tradito a Venezia da Mocenigo, suo pupilo discepolo ed ospite, è
consegnato al Sant'Uffizio, dissacrato e condannato a morte. Quando in Roma gli
è letta la sentenza, Bruno, con calma eroica e tremenda ironia, ha il coraggio
di profferire innanzi ai giudici queste memorande parole. Maggior timore
provate voi nel pronunciar la sentenza contro di me, che non io nel riceverla. L’eroe
della verità, e del pensiero laico è legato come un volgare malfattore ad
un'antenna, e, bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito Bruno non manda nè
un sospiro, nè un lamento. Le fiamme sono la sua apoteosi; e benchè le
sue ceneri fossero state disperse al vento, correno l'Europa come polline
fecondatore, e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della filosofia
moderna. Fiorentino, pensatore e poeta, che dopo più maturi studî avea
accettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza, ritorna su Bruno, e lo vede
nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se lo avea rigettato come pan-teista
ed anti-mistico, ora lo guarda, e lo ammira come il vero eroe del pensiero, l'araldo
e il martire della nuova e libera filosofia; degno, come dice Spaventa, di
avere un posto accanto a Prometeo ed a Socrate. Quel che FIORENTINO scrive di
SPAVENTA, permettete, o signori, che io lo riferisca al nostro fiero
concittadino. Il grande ideale del filosofo per Fiorentino è Bruno; pari forse
avrebbero avuto il fato, se fossero vissuti nella stessa età. FIORENTINO guarda
il rogo con lo stesso coraggio; BRUNO avrebbe disprezzato con la stessa
serenità, non il rogo, ma qualcosa di peggio, quella rete sottilissi. ma di
cabale, onde la turba ignara circonda gli animi alteri; che tentano slacciarsi
da maltesi agguati: non il rogo, ma la calunnia divota: dopo il Torquemada
ilTartufo: siamo ben progrediti noi. Il vecchio divino della Scolastica si
assottiglia in Bruno. In lui si fondono il divino e l'Universo; la creazione è
sviluppo del divino stesso, processo necessario, che rende cono scibile e reale
l'attività del divino. In una parola, il divino del Nolano non vive se non per
la natura, e nella natura. Fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione ed un
fossile. La necessità della creazione, che BRUNO insegna a viso aperto, lo
mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano, e lo fa precursore della
moderna filosofia alemanna. La filosofia del rinascimento, incarnata in TELESIO
ed in Bruno, per avere considerato l'assoluto, come natura, ha preparato il
grande avvenimento dello spirito, la cui speculaziane incomincia con la
coscienza cartesiana. L'infinita natura, iniziata da un sofo di Calabria, è la
gran parola della rinascenza e dei tempi moderni! Telesio e Bruno preparano
inoltre la vasta speculazione di Campanella, indomito frate, che sopporta, con
la fiera costanza del calabrese anni di carcere, ed un giorno intero di
torture. Permettete, o Signori, ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed
al rogo di Bruno; martirio e rogo, che sono LA GLORIA DEL MEZZO GIORNO, e del
libero pensiero; la condanna più eloquente dei feroci persecutori dell'umana
ragione. CAMPANELLA, che sublima alla dignità di principio speculativo la
divinità latente di Bruno, è il vero tipo dell'uomo calabro, ricco d'ingegno e
di cuore, intemperante, battagliero, audace, iniziatore. È uomo originale e
contraddittorio; fa l'apoteosi della teocrazia e della Spagna, della
scolastica, del Medio-Evo, e poi scrive la Città del Sole, e vagheggia la
democrazia ed il socialismo, la sovranità del libero pensiero, e lo stato laico
moderno. Ei fonde in sè due età di verso, la età della fede, e l'età della
ragione; Platone ed Aristotile, Telesio ed il Cusano; l'austero sillogismo del
pensatore, e le vaporosità dell’astrologo; le apocalittiche visioni dell’abate
Gioacchino FIORE (si veda), o la fredda sottigliezza di Machiavelli; l'ossequio
alle somme chiavi, e l'audace ribellione di Lutero. Campanella, stupendamente
tratteggiato da FIORENTINO, ritorna, come metafisico, a Platone, ed al Medio-Evo.
Come sensista e psicologo, anticipa, nella teorica del senso e della cognizione,
Cartesio, ed il mondo moderno. Ei proclama la identità del pensiero e
dell'essere. Se non che sì fatta unità non acquista la forza di vero principio,
e Campanella, ad onta delle sue stupende divinazioni, ondeggia ancora tra lo
schietto naturalismo ed il sistema delle cause finali. Alla filosofia naturale,
che tolse in prestito ed usufruttua dal nostro Telesio, CAMPANELLA aggiunge una
metafisica, che ne rimane staccata; mettendo ogni sforzo per levarsi alle
categorie supreme della natura e dell'essere, non seppe applicarle alla natura,
e con tutta l'energia poderosa d’assurgere all'unità, resta nella opposizione,
ch'è il carattere principale del naturalismo. Il solo naturalismo, chiarendosi
con Campanella impotente a spiegare la genesi della natura, non potė, esso
solo, sciogliere il gran problema del mondo moderno, e conciliare l'universale
col particolar; ricomprendere il senso in una forma di pensiero più larga, dove
l'opposizione riapparisse trasformata ed unificata in una sintesi suprema e dialettica.
Tale è il progresso apportato nel naturalismo, o nella filosofia moderna da GALILEI
(si veda) e Descartes. Tali sono le glorie del nuovo pensiero, anti-mistico e
laicale, iniziato da due filosofi, nati tra i selvaggi burroni delle nostre
Calabrie. Fiorentino, dopo aver richiamato alla memoria degl’taliani. Cornelio,
e Severino, glorie dell'università napoletana, e filosofi telesiani. Dopo aver
valutato la importanza di Galilei e di Bacone, si arresta con Descartes alla
soglia della filosofia moderna, lieto che la speculazione filosofica si stacchi
dalle scienze naturali, preliminare, per altro, necessario nella evoluzione del
pensiero moderno, e si posi nel cogito cartesiano. La natura si emancipa, il
pensiero si scioglie, e diviene più libero e più snello; lo spirito, che tutto
ringiovanisce e trasforma, fondo ed armonizza Telesio e Bruno, Campanella e
Galilei, Bacone e Descartes, e la silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e
coi suoi profeti, co’suoi martiri, e co'suoi precursori nel dramma glorioso del
mondo moderno. Vi rientra sotto l'impulso di Fiorentino, che, nato presso
Stilo, tocca di nuovo la squilla dimenticata di Campanella, annunzia ai
calabresi l'aurora di nuovi giorni, la completa emancipazione dalla scolastica
e dal medio-evo; la risurrezione del pensiero della magna Grecia, fuso,
ingrandito, trasformato nel pensiero moderno. La Calabria e l'Accademia
Cosentina non potranno dimenticarlo. Non potranno disconoscere l'austero
filosofo, che ne illustra stupendamente le glorie, e con magico pennello ne
ritrasse gl’apostoli, e gl’eroi, rivendicando i padri nostri al cospetto
di un secolo banchiere e borghese. La morte lo colge sulla soglia del tempio
del Rinascimento; gloria al virile sacerdote della scienza, che muore,
adempiendo il suo dovere, mentre si folleggia, deridendo gl’eroi del pensiero, i
modesti operai del mondo moderno, e sigitta lo scherno sulle ossa dei grandi
precursori della nuova filosofia e della nuova critica. Io ho fede che i calabresi,
così ricci d'ingegno e di cuore, cosi amanti delle patrie glorie, hanno un
culto per gl’uomini, che muoiono sulla breccia, martiri della scienza e della
patria; per le anime generose, che non curano le amarezze della vita, l'esilio,
la povertà, la carcere, ed accettano, fino le torture di Campanella, fino il
rogo di Bruno. Ho fede che la Calabria si rinnovi nel lavacro della rinascenza
e negli studii virili del passato, e la gentile e dotta Cosenza, riccaperme di
care e dolorose memorie, prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto
contributo d'ingegno alla storia del pensiero italiano, s'ispiri nell'austera
figura del più grande dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli
alberi la gran parola del risorgimento ai calabresi. Ho fede che l'austera
parola del filosofo di Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua tomba, su
cui piansero amici e nemici, è un'ara dove le novelle generazioni attingano i forti
propositi, e, quel che più ci preme, la serietà della vita, l'abnegazione, il
sacrifizio, ed il libero pensiero. Così,o gio vani, non sarò costretto a
ripetere gli amari versi dell’austero poeta di Recanati. Oggi è nefando stile
Di schiatta ignava e finta Virtù viva sprezzar lodare estinta. Vincenzo Julia.
Julia. Keywords: implicatura, filosofia calabrese, Campanella, Telesio,
Sanctis, Leopardi, Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa, Hegel, Aligheri,
Serra, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giulia” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giuliano: la ragione
conversazionale e la filosofia di Giove -- Roma -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “When I
think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio
Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo
sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo, di riformare e di
restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte
alla diffusione del cristianesimo. Sometimes known as ‘the Apostate,’ Giuliano was a
Roman emperor, who died in battle at the early age of 32 exclaiming the
infamous “Galileans, ye won!” as the arrow penetrated in his breast. A
naturally gifted scholar, Giuliano stuied philosophy under Massimo di Efeso and
had many philosophical friends and acquaintances, including Saturnino Secondo
Salutio, Prisco, and Imerio. Although his philosophical outlook was what he
described as ‘generally eclectic,’ he had a special fondness for the Accademia,
and a particular hostily to the Cinargo. Keen to eliminate the Galileans, as he
called the sect originated after the death of Gesu di Nazareth, in fact he left
them rather ‘to their own devices,’ although removing some of their privileges.
His letters and speeches survive – many on deep philosophical issues (‘What is
universal about worshipping a man born in Galilee who claimed to be the son of
God – and born of a virgin?’). Grice: “There are various Griceian problems when
approaching Giuliano from a Griceian perspective. It all reminds me of my
father, a non-Conformist, in a household comprised of my High-Church mother and
Catholic convert aunt! At Oxford, and in fact, before then, at Clifton, I
learned that religion has nothing to do with i. Nobody believes that Giove
raped Ganymede – it’s a tale! Giuliano has been unjustly treated
counterfactually. Historians, seeing that Giuliano’s fight was useless, dismiss
it. But this is a weak argument. I might just as well dismiss Mussolini’s plans
because we English bombed Milano! Giuliano read too much of what the Hebrews
call ‘the Holy Writ’ – but his propositions should be taken separately, one by
one. In a way reminiscent of Arnold (in his Ebraism and Ellenismo), Giuliano
proposes to us an examination of things like ‘Jesus was the son of God, therefore
he was God.’ Aeneas was divinized by Virgil, so the Romans shouldn’t count as
good critics here. A nice story involves Giuliano and Arete, a philosopher to
whom Giamblico di Calcide dedicated one of his books. It seems likely that she
was one of his pupils. Her neighbours (presumably Christians) tried to get her
thrown out of her home, but the emperor Giuliano himself went to Phrygia to
help her. Giuliano. Keywords: pagano, ennico, prima
Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giuliano” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speraza -- Grice
e Giuliano: la ragione conversazionale e
la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Eclano). Filosofo italiano. A follower of (of all people)
Pelagio. As a result he was prompty
deposed from his position as ‘vescovo’ of Eclanum. He appears to have led an
unsettled life thereafter. His works survive in the use made by them by Agostino
in “Against Giuliano, the defender of the Pelgagian heresy, and the so-called
‘Incomplete work against Giuliano’ – left unfinished by Agostino. Giuliano strongly
opposed Agostino’s convoluted doctrine of the original sins (he said there were
many). By contrast, Giuliano entertained a totally positive conception of human
nature. Giuliano.
Luigi Speranza --
Grice e Giulio: la ragione conversazionale e la filosofia sotto Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana – l’anima di
Cesare – il discorso contro la penna di morte a Catilina -- Luigi Speranza. (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo
italiano. Roma, Lazio. Si lo è voluto collocare G. Nel GIARDINO ROMANO perchè, nell’orazione
che, secondo SALLUSTIO (si veda), tenne in senato per opporsi alla condanna a
morte dei complici di Catilina, NEGA l'immortalità dell’anima -- e le pene
dell’oltre-tomba. Però non sappiamo se e fino a qual punto rispecchi la sua
filosofia quell’orazione, che, in ogni modo, mira a impedire l'uccisione dei
catiliniani. La divinazzione di G. La stella raccontata di OVIDIO (si veda). OTTAVIANO
(si veda) interpreta la stella di altro modo. Allorche nella congiura di CATILINA
(si veda) il console pronunzia il primo contro i congiurati l’opinione sua
per la pena di morte, G., il quale desidera ne’ suoi fini di salvare loro la
vita, nell’orazione che recita in senato, riferita estesamente da SALLUSTIO (si
veda), non tratta gia come ingiusta o crudele la pena di morte, ma disse anzi
che per coloro, che condur devono una vita misera ed infelice, la morte NON È
UNA PENA, MA UN BENEFIZIO, che li libera avventurosomente dai mali che
sofirone. Ne CICERONE (si veda), ne CATONE (si veda), ne alcun altro de'
senatori contraddissero punto in questa parte al sentimento di G.. Anzi, Cicerone
ne parla come d'un sentimento vero e giusto. G., dic’egli, considera che la
morte non e stata dagl’iddi immortali stabilita come una pena, ma come il fine
de’ dolori e delle miserie. Le catene, massimamente le catene perpetue, sono, a
parere di lui, la pena che merita l'orrendo attentato, di qui si tratta. Egli
lascia a questi empil uomini la vita, la quale, se venisse loro tolta, liberati
verrebbero ad un tratto da tutte le pene dell'animo e del corpo. Omnis homines, patres
conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque
misericordia vacuos esse decet. Haud facile animus verum providet, ubi
illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. Ubi
intenderis ingenium, valet. Si lubido possidet, ea dominatur, animus
nihil valet. Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quæ reges
atque populi ira aut misericordia inpulsi male consuluerint. Sed ea malo dicere, quæ maiores nostri contra
lubidinem animi sui recte atque ordine fecere. Bello Macedonico, quod cum
rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica, quæ POPVLI ROMANI
opibus creverat, infida et advorsa nobis fuit. Sed postquam bello confecto
de Rhodiis consultum est, maiores nostri, ne quis divitiarum magis quam
iniuriæ causa bellum inceptum diceret, inpunitos eos dimisere. Item
bellis Punicis omnibus, quom saepe Carthaginienses et in pace et per
indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem
talia fecere: magis quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri
posset, quærebant. Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos
valeat P. Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas, neu magis iræ
vostræ quam famæ consulatis. Nam
si digna poena pro factis eorum reperitur, novom consilium adprobo. Sin
magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quæ
legibus conparata sunt. Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt,
conposite atque magnifice casum rei publicæ miserati sunt. Quæ belli
saevitia esset, quae victis adciderent, enumeravere: rapi virgines,
pueros; divelli liberos a parentum conplexu; matres familiarum pati quæ
victoribus conlubuissent. Fana atque domos spoliari. Cædem, incendia
fieri. Postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omnia
conpleri. Sed, per deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos
infestos coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non
permovit, eum oratio adcendet. Non ita est, neque quoiquam mortalium
iniuriæ suæ parvæ videntur, multi eas gravius æquo habuere. Sed alia
aliis licentia est, patres conscripti. Qui demissi in obscuro vitam
habent, si quid iracundia deliquere, pauci sciunt, fama atque fortuna
eorum pares sunt. Qui magno imperio præditi in excelso aetatem agunt,
eorum facta cuncti mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia
est; neque studere neque odisse, sed minume irasci decet; quæ apud alios
iracundia dicitur, ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur.
Equidem ego sic existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam
facinora illorum esse. Sed plerique mortales postrema meminere et in
hominibus inpiis sceleris eorum obliti de pœna disserunt, si ea paulo
severior fuit. D. Silanum, virum fortem atque strenuom, certo scio quæ
dixerit studio rei publicæ dixisse, neque illum in tanta re gratiam aut
inimicitias exercere. Eos mores eamque modestiam viri cognovi. Verum
sententia eius mihi non crudelis – quid enim in talis homines crudele
fieri potest? Sed aliena a re publica nostra videtur. Nam profecto aut
metus aut iniuria te subegit, Silane, consulem designatum genus pœnæ
novom decernere. De timore supervacuaneum est disserere, quom præsertim
diligentia clarissumi viri consulis tanta præsidia sint in armis. De pœna
possum equidem dicere, id quod res habet, in luctu atque miseriis
mortem ærumnarum requiem, non cruciatum esse; eam cuncta mortalium mala
dissolvere; ultra neque curæ neque gaudio locum esse. Sed, per deos
inmortalis, quam ob rem in sententiam non addidisti, uti prius verberibus
in eos animadvorteretur? An quia lex
Porcia vetat? At aliæ leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed
exilium permitti iubent. An quia gravius est verberari quam necari? Quid autem
acerbum aut nimis grave est in homines tanti facinoris convictos? Sin quia levius est, qui convenit in minore
negotio legem timere, quom eam in maiore neglegeris? Maiores nostri, patres
conscripti, neque consili neque audaciæ umquam eguere; neque illis
superbia obstabat quo minus aliena instituta, si modo proba
erant, imitarentur. Arma atque tela militaria ab Samnitibus, insignia
magistratuum ab Tuscis pleraque sumpserunt. Postremo, quod ubique apud socios
aut hostis idoneum videbatur, cum summo studio domi exsequebantur: imitari
quam invidere bonis malebant. Sed eodem illo tempore Græciæ morem imitati
verberibus animadvortebant in civis, de condemnatis summum supplicium
sumebant. Postquam res publica adolevit et multitudine civium factiones
valuere, circumveniri innocentes, alia huiusce modi fieri cœpere, tum lex
Porcia aliæque leges paratæ sunt, quibus legibus exilium damnatis
permissum est. Hanc ego causam, patres conscripti, quo minus novom consilium
capiamus, in primis magnam puto. Profecto virtus atque sapientia maior
illis fuit, qui ex parvis opibus tantum imperium fecere, quam in nobis,
qui ea bene parta vix retinemus. Placet igitur eos dimitti et augeri exercitum
Catilinae? Minume. Sed ita censeo: publicandas eorum pecunias, ipsos in
vinculis habendos per municipia, quæ maxume opibus valent. Neu quis de iis postea ad
senatum referat neve cum populo agat. Qui aliter fecerit, senatum existumare eum contra
rem publicam et salutem omnium facturum. Tutti
gli uomini, o senatori, che deliberano intorno a fatti dubbi, debbono
essere liberi da odio e da amicizia, da ira e da misericordia. L’intelletto non
può discernere facilmente il vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e
nessuno mai può obbedire contemporaneamente alla passione e al proprio
interesse. Se tendi l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda
della passione1, questa domina e la mente non ha più vigore. Potrei, o
senatori, ricordare molti e molti esempi di re e di popoli che spinti
dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma io preferisco
dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni,
fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che
noi combattemmo contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi
ca, che aveva accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano,
ci fu infedele e nemica; ma quando, terminata la guerra, si dovette
deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi, i nostri antenati li lasciarono
impuniti3, affi nché non si dicessse che si era intrapresa la guerra per
impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo
stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli
intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i
nostri non approfi ttarono mai dell’occasione per fare delle
rappresaglie; cercavano di agire sempre secondo la loro dignità piuttosto
che, infi erire contro di quelli, anche se a buon diritto. Così pure voi,
o senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché presso di voi non
possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la
vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra
buona reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male
da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la
grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano
applicare quelle pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte
di coloro che hanno espresso il loro parere prima di me, con un
linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la sventura dello
Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti,
vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,
madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi
spogliati, stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e
lutto Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie
la morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve
tutti i mali umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi
immortali, perché non hai aggiunto alla tua proposta che i congiurati
fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge
Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a
morte non si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse perché è più
duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o troppo aspra per
chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una pena troppo
leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza
dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere
arbìtri di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa
altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. Io, o
senatori, ritengo che questo motivo sia di grandissima importanza perché
non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e
saggezza coloro che costruirono con forze modeste un così vasto impero
che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno
creato. Allora si debbono mettere in libertà costoro e mandarli ad
accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere:
si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai
municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro
non si facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno
trasgredisse, il Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della
salvezza pubblica.Giulio Cesare. Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano
intorno a fatti dubbi, debbono essere liberi da odio e da amicizia, da
ira e da misericordia. 2. L’intelletto non può discernere facilmente il
vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può obbedire
contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. 3. Se tendi
l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della passione1, questa
domina e la mente non ha più vigore. 4. Potrei, o senatori, ricordare
molti e molti esempi di re e di popoli che spinti dall’ira o dalla pietà
presero funeste deliberazioni; ma io preferisco dire ciò che i nostri
antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni, fecero con senso di
rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che noi combattemmo
contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi ca, che aveva
accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano, ci fu infedele e
nemica; ma quando, terminata la guerra, si dovette deliberare intrno alla
sorte dei Rodiesi, i nostri antenati li lasciarono impuniti, affi nché
non si dicessse che si era intrapresa la guerra per impadronirsi delle loro
ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo stesso modo in tutte le
guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli intervalli di pace e le
tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i nostri non approfi
ttarono mai dell’occasione per fare delle rappresaglie; cercavano di
agire sempre secondo la loro dignità piuttosto che, infi erire contro di
quelli, anche se a buon diritto. Così pure voi, o senatori, dovete tener
conto di voi stessi, affi nché presso di voi non possa di più la
scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la vostra dignità, e
non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra buona
reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male da loro
compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la grandezza del
misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano applicare quelle
pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte di coloro che hanno
espresso il loro parere prima di me, con un linguaggio forbito e
brillante, hanno commiserato la sventura dello Stato. Hanno enumerato le
crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti, vergini e fanciulli
rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori, madri di famiglia
costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi spogliati,
stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e lutto. Della
pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie la
morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve tutti i mali
umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi immortali,
perché non hai aggiunto alla tua proposta che i congiurati fossero
sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge Porcia? Ma
ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a morte non
si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse perché è più duro
essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o troppo aspra per chi
risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una pena troppo leggera
fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza
dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere
arbìtri di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa
altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. 41. Io, o
senatori, ritengo che questo motivo sia di grandissima importanza perché
non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e
saggezza coloro che costruirono con forze modeste un così vasto impero
che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno
creato. Allora si debbono mettere in libertà costoro e mandarli ad
accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere:
si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai
municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro
non si facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno
trasgredisse, il Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della
salvezza pubblica. Giulio Cesare. Keywords: l’immortalita dell’anima –
Shropshire e Giulio – Giulio’s intenzione al crosare il Rubicon -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giulio” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giulio: la ragione conversazionale e l’attaco a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma) Filosofo
italiano. A philosopher who
was killed during an attack on the city. Giulio
Giuliano.
Luigi Speranza --
Grice e Giunco: la ragione conversazionale dell’andreia -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. The author of a philosophical dialogue about the three ages of man. The
son-in-law of Tito Vario Ciliano. The models for the three ages of man are his
father in law, himself, and his own son, as models. He argues that the middle
age is the best. Grice: “But he was biased. In fact, in my lectures on
reasoning, I give this as an example of biased reasoning!” – Giunco.
Luigi Speranza --
Grice e Giunio: la ragione conversazionale dell’accademia al portico romano -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Appartene all'Accademia -- cioè effettivamente
all’eclettismo con tendenze stoiche di Antioco d’Ascalona -- che, appunto,
accetta dottrine derivate dal portico. In Atene fa studi di filosofia, e
in questa ha maestro Aristone. Nella guerra civile parteggia per Pompeo e
combatte a Farsaglia. Ottenne di riconciliarsi con GIULIO (si veda) Cesare.
Forma stretti rapporti con CICERONE, che gli dedica varie opere: "Brutus",
"Paradoxa", "Orator", "De finibus",
"Tusculanae", "De natura Deorum." A CICERONE, dedica il
"De virtute" (Andreia). Legato pro-pretore nelle Gallie, pretore
urbano, partecipa alla congiura contro GIULIO (si veda) Cesare e e uno dei suoi
uccisori. Sconfitto a Filippi d’OTTAVIANO, si uccide. Uno dei maggiori
rappresentanti dell’atticismo è oratore insigne. Scrive lettere (VIII a
Cicerone ci restano nella corrispondenza di questo), poesie e tre opere
morali. Nel "De virtute” difende la teoria dell’auto-sufficienza
della virtù. In "Sui doveri" da precetti al fratello sulla sua
condotta. (Grice: “He never followed them!”). Nel "De patientia,"
tratta di questa. Marco Giunio Bruto il Minore. Giunio. The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giunio: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A follower of the Porch, and one of the senators who opposed NERONE. Giunio Maurizio
Luigi Speranza --
Grice e Giuniore: la ragione conversazionale e la geografia filosofica -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A philosopher who wrote, or edited, a short work on geography,
comprising the whole of Rome, and some of the shoreline outskirts, including
Ostia. Giuniore.
Luigi Speranza -- Grice e Giussani: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amicizia – il comune, fraternità, liberazione – la scuola di Desio
-- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Desio). Filosofo lombardo.. Filosofo italiano. Desio, Monza,
Lombardia. Grice: “I like Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no,
being a Catholic; but he understands the pragmatics of conversation!” Ricevette la prima introduzione dalla madre Angelina
Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un
socialista. Entra nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso
dove frequenta i primi quattro anni di ginnasio. Si trasfere a Venegono
Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequenta l'ultimo anno di
ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolge i successivi studi di filosofia.
Ha come docenti, fra gli altri, Colombo, Corti, Carlo, e Figini. In quella sede
conosce i compagni di studio Manfredini e Biffi. Si interessa di Leopardi e
delle chiese ortodosse. Riceve l'ordinazione da Schuster. Dopo
l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si
specializzò nello studio della teologia orientale, specie sugli slavofili,
della teologia protestante e della motivazione razionale dell'adesione alla
Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole
superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle scuole a Milano dove e
suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di
Gioventù Studentesca, che fonda insieme a Ricci e che fa parte dell'Azione
Cattolica. Inizia anche un'attività pubblicistica volta a porre
attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione"
per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto Colombo continua gli studi di teologia
protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la
cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano. Lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la
bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione
che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. G.
s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità
e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei
desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto
della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese
il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il
consiglio generale. Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la
Fraternità di Comunione e Liberazione e G. ne guidò la Diaconia
Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare.
Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire
dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta
al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in
successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso
religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed
occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani,
l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una
critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale
strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo
di conoscenza sono le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza
religiosa. Dopo la morte, sono stati dedicati a G.: Desio: nel
paese natale di G., la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di
Cristina Mariani a Milano: parco G., in predenza parco Solari Trivolzio: il
piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa
parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure:
l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di
Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione,
che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la
rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola
primaria e dell'infanzia "G.". Portofino: la piazzetta del faro Kampala
(Uganda): la scuola secondaria G. Pozzolengo: il parco comunale adiacente al
castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Ceccarellia,
sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la rotonda davanti al
Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le
prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari: un tratto del
lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento Cinisello
Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo
della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don G. a
Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. La maggior parte delle
opere deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in
pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali. I suoi libri sono stati
pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi
di G. in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e
di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche
pubblicato le opere inedited e volumi antologici di conversazioni
precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di
redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di testi sono poi usciti anche per altri editori,
tra i quali Marietti, San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni
di conversazioni e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di
Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti
ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o
allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come
CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni
nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato
in volumi antologici. -- è iniziata la catalogazione sistematica dei
testi e degli scritti di Giussani. G. Scritti, curato dalla Fraternità di
Comunione e Liberazione, inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei
testi. Ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la
Biblioteca Universale Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga
iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli
scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di G. e di Comunione e
Liberazione. Ha diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di
«introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota
introduttiva di G., una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una
guida all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa
cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold
Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno
del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo
cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il
rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione
per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori,
BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano,
Jaca Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La
coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca, Il senso religioso, Per Corso, Jaca Rizzoli, All'origine
della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un
avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano,
BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?,
BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca, Il tempo e il tempio, BUR
Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è
un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere
così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San
Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella
storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino,
Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la
terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?,
San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La
Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità,
Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La
libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità
con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil,
BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana
Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella
carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo,
BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR
Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia
alla presenza BUR Rizzoli, Certi di
alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR
Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più
caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino
BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR
Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla
carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli, Interviste Comunione e Liberazione.
Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni
sul presente e sul destino, colloqui con Farina, Milano, Rizzoli. Il fondatore:
Comunione e Liberazione. CamisascaC’altro Sessantotto", da
"L'Osservatore Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia
S.p.A.Area Internet, Il mistero di don G.. Rivelato dai suoi scritti, su
chiesa. espresso.repubblica. Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in
Archivio Il Tirreno. Società Coop. Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce,
Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica »
politica » Milano, i funerali di G., su repubblica Milano, profanata la tomba
di don G., Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di
beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo
avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit.
Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi G., fondatore di CL, nominato monsignore, in
Avvenire, Don G.: vince il premio della cultura cattolica, in Adnkronos, Mia
giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio Isimbardi Città
metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in Tracce, Coop.
Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli longobardi, su
Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento per don
Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino, Il parco Solari sarà dedicato a G., in Il
Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia
Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona News, Castronno, intitolata a Don G. la nuova
rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano intitolata una
scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, G. faro di Portofino, Il Giornale, Uganda.
La G. High School inaugurata a Kampala tra i canti delle donne del Meeting
Point, su AVSI, Pozzolengo, raid vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un
bassorilievo per G. a San Leo, in Rimini
Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a G., in Altarimini, Chiavari,
lungoporto G. per il fondatore di Cl, in Il Secolo XIX, In Borgo Trento
giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona Notte, Melati, Jaca Santa
editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di Repubblica, L'Espresso SpA, Le
opere di Comunione e Liberazione. Chi
siamo, su G. Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione
e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco,
G., Torino, Elledici, Bedouelle; Graziano Borgonovo; Clément; Olinto; Ries, Gli
uomini vivi si incontrano: scritti per G., Milanok, Camisasca, Comunione e
Liberazione: Le origini Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo
Camisasca, Comunione e Liberazione: La ripresa, Cinisello Balsamo, San
Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti D Perillo, Caro G..
Dieci anni di lettere a un padre, Piemme, Camisasca, Comunione e Liberazione:
Il riconoscimento, Appendice, Cinisello Balsamo, San Paolo, Farina, G.. Vita di
un amico, Piemme, Farina, Maestri.
Incontri e dialoghi sul senso della vita, Piemme, Ceglie, G.. Una religione per
l'uomo, 1ª ed., Cantagalli, Gamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Camisasca,
G.. La sua esperienza dell'uomo e di Dio, Cinisello Balsamo, San Paolo, Savorana,
Vita di G., Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che muove, 1ª ed.,
Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, G. e Guardini. Una lettura originale, Milano,
Jaca, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico
dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Studium, Massimo Camisasca,
L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di Elio Ciol, Milano, Mondadori
Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e Tombolini, Giussani. Il percorso
teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli Eupress FTL. Scritti
di G., su G. Scritti, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e Liberazione, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani. Keywords:
dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giusso: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’eroi – filosofia fascista
-- il mistico dell’azione – filosofia
campanese – filosfia napoletana – la scuola di Napoli -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Giusso: he has explored philosophers
from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole ‘tradizione ermetica
nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and especially “Dutch,”
i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio
Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in
un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito
allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, G., uno dei fondatori
del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia a Napoli
sotto ALIOTTA (si veda). Segue con passione l'attualismo gentiliano e proprio
il suo carattere passionale lo porta anche nel campo filosofico ad un tipo di
critica scenografica, così come fu definita. Le sue frizioni con Croce,
inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma
"sotterranea", genericamente orientata contro l'idealism. G. si
richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo
di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che
per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una
severa recensione dello stesso Croce, G. è criticato dall'ambiente crociano. G,
critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori
che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Bruno, Vico
(dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo,
Bacchelli, Barilli, Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto
ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a
Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre,
egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce,
da cui molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli difende e
mostra di apprezzare) assumendo posizioni eretiche e ispirandosi piuttosto a un
ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle
molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler
e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima
di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da
Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso
avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani
icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino, ed
ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa
ed altri ancora. Giornali questi dove fu
autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura
europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori.
Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica,
si riavvicinò alla fede cristiana. Era sua intenzione realizzare una revisione
del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in
particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto
tentativo sincretistico volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e
quello cristiano. In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era
avvicinato anche alla figura di BRUNO (si veda). Di ritorno da un viaggio nella
sua adorata Spagna muore. A Napoli gli venne intitolata una strada. Saggi: “Le dittature democratiche dell'Italia”
(Milano, Alpes); “Leopardi” (Napoli, Guida); “Idealismo e prospettivismo” (Napoli,
Guida); “Leopardi e le sue due ideologie” (Firenze, Sansoni); Spengler, Roma,
società anonima La nuova antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena,
Guanda); “VICO fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo” (Roma, Perrella); “La visione
della vita” (Napoli, R. Ricciardi); “Elegie del torso della saggezza mutilata,
Milano, Corbaccio); “Il viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea,
Roma, Cremonese); “Lo storicismo, Milano, Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti,
L'anima e il cosmo, Milano, Bocca, “La
tradizione ermetica nella filosofia italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul
nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli
Studi Suor Orsola Benincasa,. Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il
fascismo e Croce, "Gerarchia", "La Critica", rist. in Nuove pagine
sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in Bruno,
Napoli Roma, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di
metafisica, F. Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di
oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la ricerca d'un
sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero; Toffanin,
Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico letterario, Diz. della
letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiano. L’Illuminismo oscuro G., autore e studioso
multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata produzione
intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal mondo
accademico contemporaneo. Stefano Chemelli 10 articoli G. è
studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui invece parco
multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Allievo d’Aliotta e BATTAGLIA
(si veda) è critico letterario, si laurea, ottiene la libera docenza in
Filosofia teoretica e morale ma insegna. “Tafferugli a Montecavallo” pubblicato
da Cappelli uno studio sul barocco romano e Bernini, “La tradizione ermetica
nella filosofia italiana”, le straordinarie conversazioni radiofoniche di
“Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a una sterminata produzione
redatta nel breve arco di cinquantasette anni. Sodale di Unamuno e Ortega
con i quali ha condiviso amabili conversari, G. si occupa a fondo di Goethe, LEOPARDI
(si veda), Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij, Freud, Dilthey, Simmel, Bergson,
GIOBERTI (si veda), VICO (si veda), BRUNO (si veda). Inoltre fu di Spengler uno
dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava
anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si
trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per
intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura
che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Dona un’analisi storica
poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, all’ascesa del fascismo,
seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che ne connotano le capacità
di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il ritorno di Faust” è,
“Figure di Capri”, a ruota seguono le pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij, e
soprattutto lo studio su Leopardi. Copia de "La tradizione ermetica
nella filosofia italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella filosofia
italiana” Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico che
troverà sfogo in tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto (“Musica
in piazza”, “Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso della
saggezza mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali”
restituisce in forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso
nel decennio dei trenta che costituisce la decade dell’approfondimento
filosofico più intenso (Dilthey e Ortega tra gli altri) e preparatorio al
grande volume “Filosofia e immagine cosmica” dedicato a GENTILE. Due traduzioni
spagnole coinvolgeranno gli studi di G. rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare
attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che GARIN (si veda)
l’ha sicuramente letta e ripresa molto più tardi. Kulturkritiker
universale lo definì Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando G. strabilia un
manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai
avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater
bolognese, fugacemente ospitati. Un grande romantico della ispecie dei
Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che
trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite
suggestioni, il tono di un G. confidenziale e descrittivo vicino al lettore non
specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce chiara
e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto. Filosofia ed
imagine cosmica; Filosofia ed immagine cosmica; Pubblicati recentemente i
quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite le pagine
tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei quali uomini e
cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e la magnificenza
della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza né l’astrazione,
G. è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo ignorato, noi
italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre l’amatissima Spagna.
Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese, spagnolo, tedesco…), in
VICO e Spengler. Tilgher, Alvaro, Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati
di un uomo al quale era sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a
piene mani una generosa e prodiga liberalità in nome di una poetica propensione
al dialogo di un sapere trasversale, comunicativo e incantato nella magia della
parola libera, circostanziata, esatta. Una studiosa di letteratura
italiana ha affermato che il più bel libro di G. è il quaderno spagnolo, ed ha
pure aggiunto che quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Spaini,
ma pure Buscaroli che con Rispoli di G. sono stati tra i conoscitori più
profondi di G., difficilmente concorderebbero. Le pagine spagnole, tedesche,
austriache servono a entrare nel mondo giussiano, consentono di accedere a una
dimensione della cultura che non conosce omologazioni di sorta, schieramenti,
posizionamenti di rendita. Permettono di sorridere a fronte di un esteta armato
solo di una generosità speciale: cogliendo l’anima dell’umanità in una minuzia
necessaria a ritrovare un sentiero precario, attraverso il quale condurre a una
visione più ampia, senza dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo
del risorgimento – serie: Uomini del risorgimento. “U= IL FASCISMO di Croce”
Gerarchia – “Croce contro Croce” – da CRITICA FASCISTA – “Gentile, mistico
dell’azione, tratto da “Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” .
Nacque a Napoli, in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio e da
Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno
fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo
sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, ne era
stato sindaco). Gli studi di G. a Napoli (dove è allievo, fra gli altri,
di ALIOTTA (si veda)), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si
svilupparono in molteplici direzioni. Pur destinato a diventare
prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi
interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla
filosofia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto
piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed
estesissima nei settori più diversi. Tra le due guerre, egli partecipò
all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui
molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli mostra di
apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a
un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e
dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare, in una fase
iniziale, Spengler e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima di
intraprendere l'insegnamento universitario, che lo avrebbe allontanato da
Napoli, G. avvia una copiosa pubblicazione di saggi, collaborando con numerosi
quotidiani italiani come autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più
diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. L'attività giornalistica si sviluppa
particolarmente quando G. inizia a collaborare con L'Idea nazionale, Il Popolo
d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu poi
autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un diario
critico per Il Resto del Carlino, pubblicando sulla terza pagina di molti
quotidiani italiani (Il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche se il lavoro propriamente
giornalistico rallentò quando prevalse quello universitario. Ottenne la
libera docenza in filosofia a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia
morale; le principali tappe del suo percorso universitario - molteplice anche
per le numerose discipline di cui si occupa - furono: Cagliari, dove insegna come
professore incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e
irregolare, le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e
francese, storia delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come
incaricato, insegnò lingua e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera
universitaria del G. non si limitò, comunque, all'Italia: insegna letteratura
italiana a Monaco, a Nizza, a Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid,
dove è accademico d'onore, e a Barcellona. Proprio al ritorno da un
viaggio in terra spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto
alla morte. G. muore a Roma. Oltre all'attività come giornalista e
saggista, G. pubblica anche alcune raccolte di poesie: Musica in piazza
(Napoli) e Don Giovanni ammalato, una rifusione, accresciuta, del primo volume;
Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena; e, infine, Elegie del torso della
saggezza mutilata, Milano: d'intonazione prossima ai crepuscolari le prime,
percorse dal senso di una discrepanza tra la piattezza della vita quale ci è
data e il desiderio di viverla in modo più libero e pieno; maggiormente legate
all'estetismo dannunziano, e insieme non dimentiche del clima d'avanguardia in
cui era avvenuta la prima formazione di G., le ultime due. Saggista
acuto, ottimo conversatore, spirito brillante e fortemente antiaccademico,
caratterizzato da un sapere enciclopedico, G. non si lega ad alcuna scelta
politica, non appartenne a nessuna scuola di pensiero e non ebbe maestri
diretti né discepoli. Dal suo asistematico sforzo di interpretazione della cultura
moderna non si può trarre una dottrina unitaria ma soltanto il profilo di un
cammino variegato e intenso, che trae origine dalla ricerca di una visione
totale dell'esistenza nel fondamentale intento di realizzare un ideale di vita,
problema con cui G. non smise mai di misurarsi, secondo una prospettiva
antirazionalista (e implicitamente antidealista). Allontanatosi molto
presto, come si è detto, dal crocianesimo imperante nell'ambiente napoletano,
il primo interesse di G. è per i protagonisti dell'irrazionalismo e del
vitalismo eroico, e per il pessimismo cosmico di Leopardi (Il ritorno di Faust,
Napoli; Leopardi, Stendhal, Nietzsche; Tre profili: Dostoevskij, Freud, Ortega
y Gasset; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze); in tempi diversi riunì in
raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che più lo avevano
interessato (Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura contemporanea,
Milano). Nell'ambito di una ricerca più propriamente FILOSOFICA, i
principali autori di riferimento di G. - che costituirono anche l'oggetto dei
suoi studi – sono Dilthey (Dilthey e la filosofia come visione della vita,
Napoli; Dilthey, Simmel, Spengler, Milano); i già ricordati Nietzsche
(Nietzsche, Napoli), Spengler (Spengler e la dottrina degli universali formali,
Napoli), e Gasset. Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il
superamento della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita
sono il tema di fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere
più significative, Filosofia ed imagine cosmica (Roma), in cui, in diretto
riferimento a Vico (si veda anche: Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma;
La filosofia di Vico e l'età barocca), egli delinea una genealogia della
filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle istanze
vitali e concrete dell'uomo. In VICO (si veda), secondo G., non c'è una
filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché
i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del
mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le
tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo
sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non
specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo. Nel dopoguerra,
approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e
dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua
intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal
Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano.
In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche
alla figura di Bruno (Scienza e filosofia in Bruno, Napoli-Roma). Tra le
opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature
democratiche d'Italia, Milano; Idealismo e prospettivismo, Napoli; Lo
storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma; Bergson, Milano; Gioberti; Spagna
e antispagna: saggisti e moralisti spagnoli, Mazara del Vallo; La tradizione
ermetica nella filosofia italiana, Trapani; Tafferugli a Montecavallo, Bologna;
Origene e il Rinascimento, Roma: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini,
Torino; Necr. in Corriere della sera, La Fiera letteraria; Giornale di
metafisica, Bruno, L. G., in Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos; Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; Villaroel, Gente di ieri e di oggi,
Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e
la ricerca d'un sistema, in Sophia; Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero;
Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia; Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in
L'Osservatore politico letterario; Diz. della letteratura mondiale del '900,
sub voce. Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo
(πάν = tutto e θεός = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e
"Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata
da un divino immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio
(Deus sive Natura). Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare
l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò
che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio'
astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo.
Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e
dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi
panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e
pandeiste. Levine, nel suo libro Panteismo, lo definisce «una concezione
non-teistica della divinità». In senso lato, con "panteismo" si
intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il
principio che lo regge. Per l'esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si
presenta in due versioni: quella "cosmistica", la quale afferma
"Dio è nel Tutto", e quella acosmistica (il termine è di Hegel), la
quale afferma "Il Tutto è in Dio". Nel primo caso, come nello
stoicismo, Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte; nel secondo
caso, come nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si
scioglie in Dio, quale Uno-Tutto. Storia del panteismo Modifica Il
termine "panteista" (dal quale la parola "panteismo" è
derivata) è usato propriamente per la prima volta da Toland nella sua opera
Socinianism Truly Stated, by a pantheist. Comunque, il concetto era stato
discusso già al tempo dei filosofi della Grecia antica, da Talete, Parmenide ed
Eraclito. I presupposti ebraici del panteismo possono essere ricercati nella
Torah stessa, nel racconto della Genesi e nei suoi primi materiali profetici,
nei quali chiaramente gli "atti di natura" (come inondazioni,
tempeste, vulcani, etc.) sono tutti identificati come "la mano di
Dio" attraverso idiomi di personificazione, così spiegando gli aperti riferimenti
al concetto, sia nel Nuovo Testamento, che nella letteratura cabalistica.
Sorge una consistente controversia tra Jacobi e Mendelssohn, che infine
coinvolse molte importanti persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo
di Lessing era materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e
Dio come una sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il
risultato della devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe
condotto all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il
panteismo era teistico. Il Panteismo di Eraclito Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un
componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è
in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione
porta a identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi
l'Unità di tutti i contrari, il Fuoco generatore. Il Dio-tutto di
Eraclito ha in sé tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi
alla teoria della cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è
simile a un insieme di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà
sviluppato in seguito dagli Stoici. Il Panteismo del PORTICO ROMANO Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: IL PORTICO ROMANO. Il
panteismo stoico è una delle più compiute espressioni di esso, dove il divino è
la ragione e l'intelligenza che lo determina e lo permea. Il divino del PORTICO
ROMANO, quindi, non si identifica con l'universo, ma lo permea come suo
fondamento e ragion d'essere. Il Panteismo di Plotino Si è parlato spesso
impropriamente di panteismo in Plotino. In realtà, secondo Plotino, Dio non è
solo immanente, ma anche trascendente. Come ha evidenziato anche Reale, l'Uno,
il Dio plotiniano, pur permeando di sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino
dice infatti chiaramente che l'Uno, «in quanto principio di tutto, non è il
tutto. Con questa affermazione egli sembra prendere in contropiede, quasi le
prevedesse, le interpretazioni immanentistiche e panteiste del suo
pensiero. Il Panteismo di BrunoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bruno. La visione di BRUNO (si veda) può essere
considerata un panteismo del divino-Infinità ed ha alcuni caratteri del
panpsichismo. Nella filosofia di Bruno, i cinque dialoghi del De la causa,
principio et uno intendono stabilire i princìpi della realtà naturale.
Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale
facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto, illumina
l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie». La materia è
il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come
nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima che
persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di
trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo, tuttavolta
l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura, variandosi in
infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la
materia». Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della
filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia infinita. Nella sua
concezione, anche la Terra è dotata di anima. Egli in De l'infinito,
universo e mondi scrive: «Io dico Dio tutto infinito, perché da sé
esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio
totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua
parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità dell'universo, la
quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi
all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in
quello. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni Il Panteismo di Spinoza Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Spinoza e Monismo panteistico. La tesi centrale del
pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio,
immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa convergono i
temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, la
teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia neoplatonica-naturalistica
del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il pensiero arabo, ed infine le
sfumature di Thomas Hobbes. Spinoza concepisce un Dio coniugato con
l'unità e la necessità e perciò: «Dio, ossia la sostanza che consta
di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed
infinita, esiste necessariamente. Se lo neghi, concepisci, se è possibile, che
Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la sua essenza non implica l'esistenza. Ma
questo (per la Prop.7) è assurdo: dunque Dio esiste necessariamente.»
(Spinoza, Etica, Roma, Editori Riuniti Ne consegue la dimostrazione di ciò che
Dio è: «Tutto ciò che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa
contingente. Infatti esiste necessariamente, e non in modo contingente. Inoltre,
i modi della divina natura sono seguiti da essa anche necessariamente e non in
modo contingente e ciò o in quanto si considera la divina natura assolutamente
oppure in quanto la si considera determinata ad agire in un certo modo.
Inoltre, di questi modi Dio è causa non soltanto perché semplicemente esistono
in quanto li si considera determinati a fare qualcosa. Poiché se non sono
determinati da Dio, è impossibile e non contingente che determinino se stessi;
e al contrario se sono determinati da Dio, è impossibile, e non contingente,
che rendano se stessi indeterminati. Per cui tutte le cose sono determinate
dalla necessità della divina natura non soltanto ad esistere, ma anche ad
esistere e agire in un certo modo, e non si dà nulla di contingente.» (B.
Spinoza, Etica, Questa concezione fa sì che il Dio di Spinoza (ma non meno
quello del PORTICO ROMANO), per qualche filosofo contemporaneo, risulti
essenzialmente un impersonale Dio-Necessità, contrapponibile al Dio-Volontà
come persona divina tipica dei monoteismi. Descrizione Tipi di
panteismoModifica Si possono distinguere tre gruppi di panteisti:
panteismo classico, che si esprime attraverso l'immanente Dio del Giudaismo,
Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle dottrine New Age, generalmente
considerando Dio come personificazione o manifestazione cosmica; panteismo
biblico, che è espresso negli scritti della Bibbia; panteismo naturalistico,
basato sulle, relativamente recenti, visioni di Baruch Spinoza (che potrebbe
essere stato influenzato dal panteismo biblico) e John Toland (che coniò il
termine "panteismo"), così come sulle influenze contemporanee. La
maggioranza delle persone che possono identificarsi come "panteiste"
appartengono al tipo classico (come gli Indù, i Sufi, gli Unitaristi, i neopagani,
i seguaci della New Age, etc), mentre molte persone che identificano se stesse
come panteiste (non essendo membri di un'altra religione) appartengono al tipo
naturalista. La divisione tra le tre branche del panteismo non sono
completamente chiare in tutte le situazioni, rimanendo dei punti di
controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici generalmente accettano
la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base spirituale per tutta la
realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non concordano, piuttosto
intendendo il mondo in termini più naturalistici. La confusione tra i concetti
di panteismo e ateismo è un problema antico in linguistica. GL’ANTICHI ROMANI si
rifereno ai cristiani come atei e le spiegazioni di questo fenomeno semantico
possono variare. Metodi di spiegazione Una caratteristica spesso citata
del panteismo è che ogni essere umano, essendo parte dell'universo o della
natura, è parte del divino. Uno dei problemi discussi dai panteisti è come
possa esistere il libero arbitrio in un contesto simile. In risposta, qualche
volta è data la seguente analogia (particolarmente dai panteisti classici):
"stai a Dio come una tua singola cellula sta a te". L'analogia
sostiene anche che, sebbene una cellula possa essere cosciente del suo ambiente
e abbia persino qualche scelta (libero arbitrio) tra giusto e sbagliato
(uccidere un batterio, divenire cancerogena o non fare semplicemente niente),
ha presumibilmente una comprensione limitata dell'essere più grande, di cui fa
parte. Un altro modo di comprendere questo tipo di relazione è tramite la frase
indù tat tvam asi - "quello che sei", in cui l'anima/essenza umana o
Ātmanè intesa medesima di Dio o Brahman. Nel contesto indù, si crede che il
singolo debba essere liberato attraverso l'illuminazione (moksha), in modo da
sperimentare e capire pienamente questa relazione: la parte diventa non
dissimile dal tutto. Non tutti i panteisti accettano l'idea del libero
arbitrio, dato che il determinismo è largamente diffuso, particolarmente presso
i panteisti naturalistici. Sebbene le interpretazioni individuali del panteismo
possano suggerire certe implicazioni per la natura e l'esistenza del libero
arbitrio e/o determinismo, il panteismo non implica il requisito di credere in
entrambi. Comunque, il problema è largamente discusso ed è presente in molte
altre religioni e filosofie. Dibattito Alcuni sostengono che il panteismo
è poco più che una ridefinizione della parola il divino per definire esistenza,
vita o realtà. Molti panteisti direbbero che, se fosse così, un tale
cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a creare una
nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza, che di
Dio. Forse il più significativo dibattito all'interno della comunità
panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo classico crede
in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio come unificante
di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede invece in un
Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e meraviglioso, è
visto come un Dio in senso non tradizionale e non personale. I punti di
vista compresi all'interno della comunità panteista sono necessariamente
diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come un'unità onnicomprensiva
e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è comune. Alcuni panteisti
sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo, sebbene altri rifiutino
l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente di per sé. Concetti
panteistici nella religione Induismo È
generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi
conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche. Nella teologia indù,
Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il
Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di
tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è
rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella
più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o
nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman. Upanishad dice
Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all'interno
di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori tranquillamente".
Inoltre dice: "Tutto l'Universo è Brahman, da Brahman a una zolla di
terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del mondo. Egli è il vasaio da
cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è fabbricato. Tutto proviene
da Lui, senza perdita o diminuzione della fonte, come la luce irradiata dal
sole. Ogni cosa è unita entro Lui ancora, come le bolle che esplodono si
uniscono all'aria, come i fiumi sfociano negli oceani. Tutto proviene e ritorna
al divino, come la tela di un ragno è fabbricata e ritratta dal ragno stesso, Negli
inni del Rig Veda, una traccia di pensiero panteista può essere riconosciuta
nel libro decimo. Questa concezione di Dio lo vede come l'unità, con gli dei
personali e individuali aspetto dell'Unico, sebbene differenti divinità siano
viste da diversi fedeli come particolarmente adatte alle loro preghiere. Come
il sole emana raggi di luce che provengono dalla stessa fonte, lo stesso
avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati da Brahman, come più colori
dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente l'Advaita, è una branca della
filosofia indù che pone grande accento su questa materia. Molti aderente
vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le molteplici
manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione che è
spesso considerata dai non induisti come politeista. Il panteismo è la
componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta non
sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola
Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu,
laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo. Ebraismo Il
senso radicalmente immanente del divino nella mistica ebraica (Kabbalah) si
ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da parte di Spinoza.
Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita dall'Ebraismo
ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo spinoziano
fosse una conseguenza della lettura di Malebranche da parte del filosofo
olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in Dio stesso. Ciò
equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa di ancor più
oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in Dio, ma Dio
è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere occasionalità
(Ricerca della verità,. E così qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di
Spinoza che pare abbia appreso più da Malebranche che da Descartes.
(Schopenhauer, Parerga e paralipomena, "Schizzo di una storia della teoria
dell'ideale e del reale"). Inoltre, Eliezer, fondatore dello chassidismo,
aveva un senso mistico del divino che può essere definito come
Panenteismo. Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è
basata sulla Torah (legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è
rinvenibile negli scritti di Mosè, bensì nella natura stessa.
"Interpretare" la Torah della natura equivale ad
"interpretare" la Torah della rivelazione e teoricamente alla fin
fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad esempio con la
scoperta del Big Bang. L'ortodossia rabbinica considerando questa posizione
come una discrepanza, allo scopo di porre la Torah scritta al di sopra di
quella data per prima in natura, ha sostenuto che la Torah scritta precedette
la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta che Dio ha parlato nella
creazione. Questa posizione non è accolta dai panteisti biblici.
Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti sulla riconciliazione fra le
sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione dell'equivalenza fra la Torah
della natura e la Torah delle scritture e trovò la sua logica come inevitabile.
Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo per lo sviluppo delle teorie di
Spinoza. Cristianesimo Vi è un certo numero di tradizioni minori
nell'ambito della storia del Cristianesimo secondo le quali le origini del loro
credo panteistico sono da rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre
correlate tradizioni ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è
rintracciabile a partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e
fino ad arrivare alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo
tradizionale e del protestantesimo liberale. Altre fonti includono
la Teologia del processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del
libero spirito, altri ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale
idea ha avuto, per qualche tempo, aderenti in vari segmenti del
Cristianesimo. Alcuni Cristiani considerano la Trinità in questo
significato: lo Spirito Santo tiene insieme l'Universo e personifica se stesso
come il Padre, che a sua volta personifica se stesso come il Figlio dentro
questo Universo (ciò significa che il Padre è al di fuori dell'Universo, del Tempo
e dello Spazio). Secondo altri, lo Spirito Santo è consapevole e utilizzabile e
per questo è usato da Dio per benedire la gente con i Doni dello Spirito Santo.
Tutti i poteri sovrannaturali si ritiene che siano possibili anche dal binomio
Universo/Spirito Santo. I panteisti di religione cristiana asseriscono che
l'origine del loro credo è rintracciabile nelle Sacre Scritture, nel Vecchio
Testamento come nel Nuovo ed attenuano le difficoltà che i teologi della Chiesa
Apostolica Romana hanno sempre cercato di "risolvere" nei concili sul
tema della Trinità e della Natura di Cristo come il Verbo (solo il panteismo
fornisce una formulazione per il Cristo come verbo di Dio e per l'unità del
Monoteismo. Il parificare nella Bibbia Dio agli atti della natura e la
definizione di Dio data nello stesso Nuovo Testamento forniscono un persuasivo
richiamo verso questo sistema di credenze. I panteisti cristiani
sostengono che la definizione cattolica del divino è pesantemente influenzata
da fonti non bibliche, tra queste in particolar modo il neo-Platonismo, che
considerano il divino come qualcosa che esiste fuori dall’esistenza, pertanto
la definizione del divino si riferiva ad un qualcosa che non esiste, cioè, ad
un Dio non-esistente. È proprio questa basilare definizione neo-platonica di
non-esistenza che i panteisti cristiani ritengono biasimevole e contraria alle
scritture. Agostino rigettò il panteismo per i seguenti motivi: Ma
c'è un motivo che, al di là di ogni passione polemica, deve indurre uomini
intelligenti o comunque siano, perché all'occorrenza non si richiede un'alta
intelligenza, a fare una riflessione. Se Dio è la mente del mondo e se il mondo
è come un corpo a questa mente, sicché è un solo vivente composto di mente e di
corpo ed esso è Dio che contiene in se stesso tutte le cose come in un grembo
della natura; se inoltre dalla sua anima, da cui ha vita tutto l'universo
sensibile, vengono derivate la vita e l'anima di tutti i viventi secondo le
varie specie, non rimane nulla che non sia parte di Dio. Ma se questa è la loro
tesi, tutti possono capire l'empietà e la irreligiosità che ne conseguono.
Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una parte di Dio; nell'uccidere
qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio. Non voglio dir tutte le
cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile dirle senza vergogna.
come pure: Riguardo allo stesso animale ragionevole, cioè l'uomo, la cosa
più banale è ritenere che una parte divina prende le botte quando le prende un
fanciullo. E soltanto un pazzo può sopportare che le parti divine divengano
dissolute, ingiuste, empie e in definitiva degne di condanna. Infine perché il
dio si arrabbierebbe con coloro che non lo onorano se sono le sue parti a non
onorarlo?[5] Nel Vangelo secondo Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani),
Gesù disse: Io sono la Luce: quella che sta sopra ogni cosa; io sono il
Tutto: il Tutto è uscito da me e il Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e
io sono là; solleva la pietra e là mi troverai. Tuttavia questa è
un'affermazione dell'onnipresenza di Dio, non in senso panteistico, ma in
armonia con l'insegnamento che ogni apparenza fenomenica è riflesso della luce
divina. informazioni Questa voce o sezione sull'argomento religione non cita le
fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. La maggioranza dei
Musulmani condanna il concetto di panteismo e lo considera come un insegnamento
non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto dai musulmani contenere
insegnamenti panteistici. Il Sufismo può essere suddiviso nelle seguenti
categorie: Sufismo originario - Sincretico: Mescola insieme dottrine e
concetti dell'Islam con credenze e pratiche religiose locali dei paesi
Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi non-Islamici. Sufismo ḥadīth -
Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle forme ortodosse della spiritualità
e del misticismo Islamico. Essenzialmente ortodosso e considerato
prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici. Sunniti o Sciiti.
Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto scritto nel
Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth come
altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come una
forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico. Ha
subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del Protestantesimo.
Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth. Il
concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di
Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto
diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed
individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda
della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente
dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi
Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano
come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata
in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti
è panteista, o per essere più precisi, Panenteista. Gli scritti di Seth e
il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle
credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto
al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come
presentati dalla medium Roberts. Seth, l'"entità" cui da voce la
Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa energia mentale
è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose; la coscienza di
Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio è onnipresente.
Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che è" e diceva che
"Tutte le facce appartengono a Dio". Seth descriveva Dio come una
forma contenente tutti gli individui al suo interno; inoltre aggiungeva che Dio
si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun individuo. Tuttavia, questo
insegnamento ha molto in comune con il correlato concetto di panenteismo, dato
che pone in risalto la personificazione di Dio e quindi si trasforma in un
teismo. Altre religioniModifica Molti elementi panteistici sono presenti
in alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e Teosofiainsieme a molte variabili
denominazioni. Si veda anche la Neopagana Gaia e la Church of All Worlds.
Molti Universalisti si considerano panteisti. Il filosofo Carus si define
un ateista che ama Dio. Egli critica ogni forma di monismo che cerca l'unità
del mondo non nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica
supposizione di idee. Carus define tali concetti come henismo. Il Taoismo
propugna una visione panteistica. Il Tao potrebbe essere paragonato al
Deus-sive-Natura di Spinoza. Concetti connessiModifica
PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma
non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come
parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre
per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è
superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello
spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo). Per alcuni tale
distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di
divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero
essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile
per il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla
sola natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo
si rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e
Shri Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista. CosmismoModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e
World Brain. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento
filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Mentre
questo termine è raramente usato, e molto spesso è solo un sinonimo di
Panteismo, l'insolita filosofia da esso indicata è stata utilizzata in modo
piuttosto differente, ma in ogni caso con essa si vuole esprimere il concetto
che Dio è un qualcosa creato dalla mente umana, forse rappresenta uno stadio
finale della evoluzione dell'uomo, raggiunto attraverso la pianificazione
sociale, l'eugenetica e altre forme di ingegneria genetica. Wells diede
vita a una forma di cosmismo, che denominò World Brain (cervello mondiale),
rifacendosi a un saggio da lui in cui viene tra l'altro descritta la creazione
di una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the
Invisible King, in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un sistema
socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici,
sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere
alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e
anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze
dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste
idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso
tratto nel Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che, sopravvivendo
ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si unisce per dar
vita ad una utopia collettivista. In Israele, il Cosmismo è stato oggetto
di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi ideologi del Movimento
Laburista Israeliano e docente presso l'Università di Beit Berl. Secondo questo
autore Dio è qualcosa che non esisteva prima dell'uomo, ma era una entità
secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ad avere un
ruolo nell'"invenzione" di questa entità. Nel XX secolo, lo
statunitense Pierce, un nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista
Americano e, a sua volta, fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizza
il termine cosmismo. Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il risultato
finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale. Si veda: Nazismo, Galton e
Teosofia. La noosfera descritta da Vernadsky e Chardin puo essere
considerata come la descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la
coscienza collettiva di Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di
Jung. Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo
libro Childhood's End o Le guide del tramonto, riferendosi ad essa come la
"Overmind", una mente alveare interstellare. Il Pandeismo è una
specie di Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo
è identico a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e
senziente ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando
l'Universo, Dio divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione
(e la possibilità che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le
credenze Pandeistiche sono identiche a quelle del Panteismo. Secondo
Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso,
naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe
risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania,
allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi
parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e
più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo
come volontà e rappresentazione, Tuttavia, alcuni panteisti sostengono che il
punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando che ogni danno
arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare danno ad uno è
come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non dipende da
qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci rapportiamo gli uni
con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura di una punizione da
parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti verso tutto.
Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo, comunque, rinviano
ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di ordine etico. Levine, Pantheism: A
Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova,
ECIG, Constance E. Plumptre, General Sketch of the History of Pantheism,
Londra, W. W. Gibbings, Chandogya Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams
^ La Città di Dio, La Città di Dio, Testo del Vangelo secondo Tommaso God the
Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo Deismo Pandeismo
Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo naturalistico
Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Panteismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
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Wikidata ( EN ) Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Appleton Mander,
Pantheism, Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for
the Study of Language and Information, Stanford. Tanzella-Nitti, Panteismo del Dizionario
Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Portale Filosofia
Portale Mitologia Portale Religioni Monismo (religione)
Panenteismo scuola filosofica Panteismo naturalistico. Lorenzo Giusso. Giusso.
Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la tradizione ermetica nella filosofia
italiana, nazionalsocialismo, bruno, panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giusso” – The Swimming-Pool Library. Giusso.
Luigi Speranza --
Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la gnossi a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giustino
is cited by Ippolito di Roma as the originator of what Ippolito describes as a
pagan form of gnosticism in which a wide variety of disparate elements are
brought together.
Luigi Speranza --
Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la setta di Napoli -- Roma – filosofia
campanese – filosofia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – scuola
di Roma -- Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo
campanese. Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania, nella
Palestina. Il padre e romano! He studies various schools of philosophy with his
friend Trifone, but could not decide. He shows his scepticism in a letter to
Antonino Pio. He irates Crescente, who has a mob kill him. Or else he was
beheaded! G. filosofo filosofo e martire cristiano.
Nota disambigua. Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se
stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San G.. San G. Justin
filozof. jpg Icona russa di G. Padre della chiesa e martire. Nascita Flavia
Neapolis, Morte Roma Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei
santi Santuario principale Collegiata di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma
VT) Ricorrenza Attributi palma, libro PATRONO DI FILOSOFI G., conosciuto come G.
martire o G. filosofo Flavia Neapolis, – Roma), è un filosofo italiano -- martire
cristiano, e apologeta di lingua latina, autore del Dialogo con Trifone, della
Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui
dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico. G. philosophi et
martyris Opera. È uno dei primi filosofi cristiani, e venerato come santo e padre
della chiesa dai cattolici e dagl’ortodossi. La memoria si celebra. La chiesa cattolica
lo considera anche santo PATRONO DEI FILOSOFI insieme a Caterina d'Alessandria,
pur non essendo nessuno dei due nel novero dei dottori della chiesa. G.,
che spesso si dichiara in verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo
padre, Bacheio, sembra piuttosto di origini latine. La sua famiglia
probabilmente si stabilisce da poco in Palestina, al seguito degl’eserciti
romani che qualche anno prima avevano sconfitto gl’ebrei e distrutto il tempio
di Gerusalemme. Come riferisce G. stesso nel Dialogo con Trifone, venne
educato nel culto romano elogiato da Cicerone ed ha un'ottima educazione che lo
porta ad approfondire i problemi che gli stanno più a cuore, quelli riguardanti
LA FILOSOFIA. Racconta che la sua smania di verità lo porta a frequentare molte
scuole filosofiche. Presso IL PORTICO non trova giovamento, in quanto il
problema del divino, per questa filosofia, non è essenziale. Poi frequenta IL
LIZIO. Ma anche presso questi filosofi non trova quanto cerca. Si reca presso
un filosofo CROTONESE che lo sollecita dunque ad approfondire le arti della
musica, dell'astronomia, e della geometria. Ma G., troppo concentrato nel voler
raggiungere la verità e la conoscenza del divino, reputa tempo sprecato il
soffermarsi su tali materie. Da ultimo frequenta L’ACCADEMIA. Un maestro
di questa filosofia è da poco giunto nel suo paese. Presso questa corrente
filosofica G. trova quanto crede di cercare. Le conoscenze delle realtà
incorporee e la contemplazione dell’idee eccita la mia mente, dice G. Si convince
che questo lo porta presto alla visione del divino, che considera essere lo
scopo della filosofia. Decide di ritirarsi in solitudine lontano dalla città. Ma
in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del Dialogo con
Trifone, incontra un uomo, con cui inizia un serrato dialogo, incentrato sul
divino e su cosa fare della vita. Dopo aver dichiarato all'uomo la sua idea del
divino, ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di esistenza per
tutte le altre realtà, questo è il divino, l'uomo lo porta a ragionare su d’un
aspetto che forse a G. è sfuggito. Come puo un filosofo elaborare da solo una
filosofia corretta sul divino se non l'ha né visto né udito? E porta G. a
meditare sulle persone considerate gradite al divino e dallo stesso illuminate,
i profeti, che parlano del divino e profetizzano in nome del divino, in
particolare quella venuta del figlio nel mondo e la possibilità attraverso di lui
d’avere una vera conoscenza del divino. Dopo questa esperienza, G. abbandona il
culto romano basato su Giove e si converte al Cristianesimo. Per tutto il resto
della sua vita educa i discepoli, utilizzando GLI STESSI SCHEMMII – “what at
Oxford we would call the syllabus – H. P. Grice -- usati dalle altre scuole filosofiche.
Oltre a questo incontro, che è decisivo per la sua conversione, G. indica anche
un altro fatto che lo rinfranca nella fede. Infatti io stesso, che mi ritengo
soddisfatto delle dottrine dell’ACCADEMIA, sentendo che i cristiani sono
accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti
ritenuti terribili, mi convinco che è impossibile che essi vivenno nel vizio e
nella concupiscenza. G. viaggia molto. Anda a Roma in una visita. Quando
ritorna vi apre una scuola filosofica a impronta cristiana. I suoi insegnamenti
insisteno molto sui fondamenti razionali –cf. H. P. Gricem, PHILOSOPHICAL
GROUNDS OF RATIONALITY -- della fede cristiana. Questo approccio, MOLTO DIVERSO
da quelli tradizionali – “My father, a non-conformist, would have probably attended
the seminars! – H. P. Grice -- , suscita numerose controversie sia con gli
stessi cristiani sia coll’altri filosofi, specialmente con CRESCENZIO (vedasi) IL
CINICO. La sua fede lo porta a subire una morte violenta. È condannato a
morte d’un tipico romano, Giunio Rustico (vedasi), che è prefetto di Roma e
amico dell'imperatore filosofo ANTONINO (si veda), con queste parole. Coloro
che si sono RIFIUTATI DI SACRIFICARE agli dèi e di sottomettersi all'editto
dell'imperatore, sono flagellati e condotti al supplizio della pena capitale,
secondo la vigente legge. Di questo processo esiste ancora il verbale. Martyrium
SS. G. et sociorum VI. G. venne decapitato – “the cause of his death was
decapitation, but we would hardly say Decaptiation willed his death” – H. P.
Grice -- assieme a VI dei suoi discepoli, CARITONE (vedasi) e sua sorella
Carito, EVELPISTO (non romano, ma di Cappadocia), GERACE (non di Roma ma di
Frigia, schiavo della corte imperiale), PEONE (vedasi) e LIBERIANO (vedasi). Le
sue reliquie sono traslate da Roma, e si trovano attualmente sotto l'altare
maggiore della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia
di Viterbo. G. è il primo di una serie di filosofi che intravide in Eraclito,
Socrate, Platone e nel PORTICO dei filosofi precursori del Cristo e d’esso
ispirati. Anche lo spirito santo è identificato col divino stesso. A suo
avviso, la nozione trinitaria è introdotta già dall’ACCADEMIA. A G. si deve la
più antica descrizione della liturgia eucaristica. Egli è il primo ad
utilizzare la TERMINOLOGIA (o GERGA) FILOSOFICA nel pensiero cristiano, ed a
tentare di conciliare RAGIONE fede. Si schiera duramente contro la religione ‘pagana’
di GIOVE, ed i suoi miti, mentre privilegia l'incontro colla filosofia. La
figura di G. attrasce l'attenzione di Tolstojil quale dedica al santo cristiano
una breve agiografia, Vita e passione di G. filosofo martire. Saggi:
Dialogo con Trifone, Paoline, Milano Le due apologie, Paoline, Milano Opere Parisiis,
apud Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis Il Dialogo con
Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei cristiani,
ci sono pervenute in un manoscritto conservato a Parigi. La Prima apologia dei
cristianinIo, G., di PRISCO, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli,
città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica,
in difesa degl’uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io
che sono uno di loro. (Apologia Prima) La Prima apologia dei cristiani è INDIRIZZATA
all'imperatore ANTONINO PIO (vedasi) e al SENATO romano. In essa compare un
tema che è ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica
della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di
appartenere alla religione cristiana è motivo sufficiente di condanna. G.
inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni interne alla
società romana. Per esempio, fa notare come, mentre i cristiani sono condannati
a morte perché ritenuti atei, VARI FILOSOFI latini sostengono apertamente l'a-teismo
senza conseguenze. Interessante, poi, è il fatto che G. citi
abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine
cristiane. Ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i
pagani della verità del Cristianesimo ATTRAVERSO LE CITAZIONE DI FILOSOFI
CLASSICI sia di professionali della filosofia come Socrate e Platone che di
mitologia, come Omero e la Sibilla. che vengono accostati a brani dei vangeli o
dell'Antico Testamento. Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la
distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile. I filosofi
chiamati del PORTICO insegnano che anche il divino stesso si dissolve nel
fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorge. Se dunque
noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati, perché
siamo ingiustamente odiati più di tutti? Quando diciamo che tutto è stato
ordinato e prodotto dal divino, sembreremo sostenere una dottrina dell’ACCADEMIA.
Quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella del PORTICO. Quando diciamo
che le anime degli iniqui sono punite mantenendo la sensibilità anche dopo la
morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo
sostenere LE STESSE TEORIE di poeti e di filosofi. Quando noi diciamo che il
Logos, che è il primogenito del divino, Gesù cristo il nostro maestro, è stato
generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è
salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di
voi, sono chiamati FIGLIO DI GIOVE. Voi sapete infatti di quanti FIGLI DI GIOVE
(IVS-PITER – cf. TUES-DAY) parlino gli scrittori onorati da voi: ERMETE – cf.
ERMENEIA --, il Logos; Asclepio – dell’isola TIBERINA --, che ascende al cielo;
BACCHO, che è dilaniato; ERCOLE, che si getta nel fuoco, e BELLEROFONTE –
citato da H. P. Grice: “He rode Pegasus” (‘Vacuous Names’ --, che di tra gl’uomini
ascende con il cavallo Pegaso. Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi
affermiamo che egli è stato generato dal divino come Logos del divino stesso,
in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune
alla vostra, quando dite che ERMETE (cfr. ERMENEIA) è il logos messaggero di GIOVE. Se
poi qualcuno ci rimprovera il fatto che egli è crocifisso anche questo è comune
ai FIGLI DI GIOVE annoverati prima, i quali, secondo voi, sono soggetti a
sofferenze. Se poi diciamo che è stato GENERATO D’UNA VERGINE, anche questo è
per voi un elemento comune con PERSEO. Quando affermiamo che egli ha ri-sanato
zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che re-suscita dei morti, anche
in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione
attribuisce ad Asclepio, nell’ISOLA TIBERINA (Apologia Prima). Il saggio si
conclude con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore ADRIANO
(vedasi), la quale serve a G. per mostrare come anche un'autorità imperiale è
del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a
dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore ANTONINO (vedasi) e del miracolo
della pioggia durante le guerre marcomanniche. La filosofia in effetti è il più
grande dei beni e il più prezioso agl’occhi del divino, l'unico che a lui ci
conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini del divino coloro che han
volto l'animo alla filosofia. Dialogo con Trifone/ Oltre alle già citate Prima
apologia dei cristiani (Ἀπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ;
Apologia prima pro Christianis AD ANTONINVM PIVM) e Seconda apologia dei
cristiani (Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον,
Apologia secunda pro Christianis AD SENATVM ROMANVM), G. scrive il Dialogo con
Trifone (Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera
dedicata a Marco POMPEO (vedasi). Il tema è il confronto con il giudaismo, con
il quale i galilei hanno in comune l'antico testamento in lingua ebrea antica,
un terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad
Efeso nell'arco di due giorni e vede protagonisti G. e Trifone, nel quale è
stata individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente
esistito. Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo,
rispondendo alle principali obiezioni mosse dagl’ambienti giudaici. In
particolare, G. vuole dimostrare che il culto di Gesù da Nazareth il gaileleo
nella Galilea il cristo non mette in discussione il mono-teismo. Le profezie
descritte nell'Antico Testamento si sono avverate con l'avvento del cristo. Il
dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e NON SI CONCLUDE – H. P.
Grice: “Therefore, as we would say at Oxford, it’s not a PIECE of reasoning!”
-- , com'è consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte
del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se
effettivamente le motivazioni portate avanti da G. in questo dialogo sono
VALIDE a CONVERTIRE no un romano, ma un giudeo. Sembra piuttosto verosimile,
invece, che questo saggio è una risposta di G. ai dubbi che i galilei stessi –
o i simpatizzanti romani -- nutrino verso la loro fede. Il saggio presenta
anche un prologo, in cui G. racconta d’un suo incontro con un saggio che lo
introduce alla teoria galileiana. G., ancora ‘pagano,’ lo interroga tra l'altro
sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime (metempsicosi,
alla CROTONE) anche dentro corpi animali, esposta nel “Timeo,”, testo di
lettura nell’ACCADEMIA, venerato da CICERONE – il sogno di SCIPIIONE.
L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non ha senso, perché non
da nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi neppure la capacità di
pentirsi. In secondo luogo, il saggio passa a CONFUTARE – alla POMPONAZZI
(vedasi) -- la dottrina dell'immortalità dell'anima. Bobichon, Filiation divine du
Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de G. Martyr" P.
de Navascués Benlloch, Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez, Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del
cristianismo, Madrid La reliquia di San G. Martire, su parrocchiafabrica. Gilson,
La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, G. G. Martire: il primo cristiano dell’ACCADEMIA:
con in appendice "Atti del martirio di San G.", Pubblicazioni del
Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, Milano,
Vita e pensiero Tolstoj, Vita e passione di G. filosofo martire. In Tolstòj,
Tutti i racconti, cur. di Sibaldi, Milano: Mondadori, Collana I Meridiani
Bobichon, Œuvres de G. Martyr: Le manuscrit de Londres (Musei Britannici)
apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus), Scriptorium Barbaro,
Apologia seconda di S. G. filosofo e martire in favor de’cristiani al Senato
romano traduzione dal greco nell'ITALIANO pubblicata in occasione che mette
fine alla sua quaresimale predicazione Treviso, Tipografia Trento Essendo
manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben sapeva e confessava
l'equalità del Verbo col Padre. Lettera di Adriano. Lettera di Marco Aurelio al
Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione
generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia Visonà,
introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline Gilson, La filosofia
nel Medioevo, BUR Rizzoli. Saggi, Milano, BUR Rizzoli G., G. Martire: il primo
cristiano dell’ACCADEMIA, Vita e Pensiero, Niccoli, GIUSTINO Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Bellinzoni, The Sayings of
Jesus in the Writings of G. Martyr, Leiden, Brill, Bobichon, Dialogue avec
Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg, Introduction, Texte
grec, Traduction Commentaires, Appendices, Indices Gilson, La Philosophie au
Moyen Âge. Des origines patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris La
filosofia nel Medioevo. La Nuova Italia,
Scandicci Quasten. Patrologia, Marietti, G., santo, su Treccani, Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G.,Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, G., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di G. G. su open MLOL, Horizons Unlimited Opere di G.,
su Open Library, Internet Archive. Audiolibri di G. G. G. su LibriVox. G., su
Goodreads. Giustino, in Catholic Encyclopedia Appleton G., su Santi, beati e
testimoni, santiebeati Apologia Prima, su monastero virtuale Apologia Seconda,
su monasterovirtuale Santi Caritone e compagni, discepoli di san G., in Santi,
beati e testimoni Enciclopedia dei santi, santie beati. Catechesi su vatican di
papa Benedetto su G. tenuta durante l'udienza generale Opera Omnia dal Migne
Patrologia Græeca con indici analitici e traduzioni su documenta catholica omnia.
eu. Biografie Cristianesimo Portale Filosofia Patristica studio
dei Padri della Chiesa Taziano il Siro teologo e filosofo siro
Filosofia cristiana. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giustino.” Giustino.
Luigi Speranza -- Grice e Givone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei fanes – la scuola di
Buronzo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- Givone (Buronzo). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Buronzo,
Vercelli, Piemonte. Grice: “I like Givone, especially his two essays on ‘eros’:
‘eros and ethos’ and the more controversial, ‘eros and knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato a Perugia,
Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e l’estetica
all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua ricerca
sulla “Storia naturale del nulla” -- e
sulle implicazioni sullo tragico. In sua estetica e forte è ancora il richiamo
filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi: “La storia della filosofia secondo
Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia: Studi sulle poetiche del
Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, “Ermeneutica
e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma, Laterza, Storia
dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore,
La questione romantica, Roma, Laterza, Storia
del nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos,
Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi, Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il
bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica
della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi
dell'amore ferito, Firenze, Olschki, Sull'infinito,
il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice:
“I like Givone; he philosophises on ‘eros,’ but fails to notice that for Butler
there’s self-love and other love; instead, Givone prefers to contrast ‘eros’
with ‘ethos’!” “His ramblings on Phanes are fun, though!” – Grice: “Not
satisfied with metaphysics, Givone goes to criticize Marinetti’s hybris, or
superbia, i. e. lack of moderation. His ottimismo notably contrasts with the
decadentismo of the croposcolaristi. Futurismo movimento artistico, culturale, musicale e
letterario italiano Lingua Segui Modifica Nota disambigua. svg Disambiguazione
– Se stai cercando altri significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento arte è priva o carente di
note e riferimenti bibliografici puntuali. Il Futurismo è stato un movimento
letterario, culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo,
nonché una delle prime avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini
che si svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati
Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione:
la pittura, la scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica,
l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La
denominazione del movimento si deve al poeta italiano Marinetti. Boccioni
La città che sale, bozzetto, Museum of Modern Art, New York OriginiIl manifesto
del Futurismo pubblicato su Le Figaro (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo
nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo
dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le
guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e
le nuove scoperte tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili,
la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a
cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo,
"avvicinando" fra loro i continenti, creando nuove connessioni.
Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà:
la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le
biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato per
concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso
ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le
automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci
artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel
tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi
che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Severini
racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se aderire o
meno al Futurismo parlò anche con MODIGLIANI (si veda), che egli avrebbe voluto
nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:
«Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo
fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi
in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre
ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura. Severini, Vita di un
pittore Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante
progresso delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi,
da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri
della radiosa magnificenza del futuro…» (dal Manifesto dei pittori
futuristi) Una scazzottata futurista A seguito di una serie di articoli critici
di Ardengo Sofficisu La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi:
Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono
mentre sedeva al caffè delle "Giubbe Rosse" in compagnia dell'amico
Medardo Rosso. Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi
alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato
dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle
rendere la contropartita. «Fu una vera spedizione punitiva, che mi
fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati
a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici,
Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad
un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e
senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente
smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole
seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al
commissariato. Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce
con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano
far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato. I
futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno,
pressappoco a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce,
malgrado si fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono
in fretta anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe
luogo un altro incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva
restare a piedi futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po'
ammaccati, ma soddisfatti. Severini, Vita di un pittore Nel Manifesto
Futurista, pubblicato inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda
di Napoli, la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena
di Verona) e, definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le
Figaro, Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a
Milano i pittori Boccioni, Carrà, Balla, Severini e Luigi Russolo firmarono il
Manifesto dei pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto
tecnico della pittura futurista. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si
dichiarava una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle
vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di passatismo, tra cui figura anche
il Parsifal di Wagner, che cominciò a essere rappresentato nei teatri
d'Europa). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria, il
militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva definita come "sola
igiene del mondo. Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi
per l'inaugurazione della prima mostra. La prima importante esposizione
futurista si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune.
All'inaugurazione della mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà,
Severini e Russolo. L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane
successive il movimento suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di
attenzioni internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra
anche in altre città europee come Berlino. La riconciliazione con i
futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione dell'amico Palazzeschi. Infatti,
Soffici e Papini uscendo da La Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba
appoggiando così il movimento futurista. Alla morte di Umberto Boccioni,
Carrà e Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura
cubista, di conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del
movimento da Milano a Roma, con la conseguente nascita del secondo
Futurismo. In prima fila Depero, Marinetti e Cangiullo con panciotti
"futuristi" Il secondo Futurismo fu sostanzialmente diviso in due
fasi. La prima andava due anni dopo la morte di Boccioni, e fu caratterizzata
da un forte legame con la cultura post-cubista e costruttivista; la seconda
invece, fu molto più legata alle idee
del surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto
"terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del futurismo stesso -
fecero parte molti pittori fra cui Colombo, Prampolini, Sbardella, Diulgheroff,
Tulli ma anche Sironi, Soffici, Rosai, Testi e la moglie Stagni. Se la prima
fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica
(in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la
seconda stagione ebbe un effettivo legame con IL REGIME FASCISTA, nel senso che
abbraccia gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di
speciali favori. I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel
panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del
futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al
bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi
ritenuti principali è fagocitato dal FASCISMO. Anche se la gerarchia
fascista riserva ai futuristi coevi una sotto-valutazione talvolta sprezzante,
l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del Futurismo
sono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di
questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia
fascista (Carrà, ad esempio, abbraccia la metafisica). Altri ancora, come il
giovane pittore maceratese Tulli, mantennero costantemente un approccio giocoso
e libertario, che poco aveva a che fare con L’ESTETICA FASCISTA, anche nelle
successive esperienze di pittura informale. Goncharova Il ciclista, Museo
russo, San Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era stato pubblicato a
San Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e Gončarova e
Larionov, che in patria verrà definito il padre del Futurismo russo, furono i
concreti iniziatori del movimento in Russia. Il pittore Malevič, il
compositore Matjušin e lo scrittore Kručënych redassero il manifesto del Primo
congresso Futurista russo. Al movimento, conosciuto anche come Cubofuturismo o
Raggismo, aderirono personalità come il poeta e drammaturgo Majakovskij.
Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal movimento d'avanguardia futurista
nacquero negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione due importanti
avanguardie artistiche, il Costruttivismo e il Suprematismo. L'attenzione che i
giornali e il pubblico dedicarono a Marinetti fu enorme, ma non ci fu la stessa
attenzione da parte dei futuristi russi, alcuni dei quali tentarono anche di
ostacolare la visita di Marinetti. Altri invece, come Sersenevič, furono più
ospitali e cordiali. Il temperamento e le declamazioni di Marinetti riscossero
successo ovunque; ma Marinetti tentò invano di chiamare i futuristi russi ad
unire le forze con i futuristi italiani, perché i maggiori poeti russi,
Chlebnikov, Livsič, Majakovskij e anche il regista Larionov criticarono
Marinetti. L'ultima "mostra futurista" si tenne a Pietrogrado.
In Russia il movimento non fu caratterizzato dal bellicismo come quello dei
futuristi italiani, criticato da Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica
idea di pace e libertà, sia individuale dell'artista, sia collettiva del mondo,
che si sarebbe concluso con l'adesione di una parte del gruppo al bolscevismo.
Dopo la rivoluzione d'ottobre molti futuristi confluirono nel cubismo e
nell'astrattismo. Futurismo francese In Francia il Futurismo non si
organizzò mai come movimento, ma ebbe almeno due nomi degni di nota:
Apollinaire e Saint-Point. Apollinaire scrive il manifesto
L'antitradition futuriste, pubblicato su Lacerba solo dopo le aggiunte e le
correzioni di Marinetti. I successivi Calligrammes rivelano la chiara influenza
del paroliberismo futurista sul poeta francese. Valentine de Saint Point,
nipote di Lamartine, scrisse il Manifesto della donna futurista, con il
sottotitolo “Risposta a Marinetti”, in un volantino pubblicato simultaneamente
a Parigi e a Milano. è il Manifesto futurista della lussuria.
Orientamenti artistici Nelle opere futuriste è quasi sempre costante la ricerca
del dinamismo; cioè il soggetto non appare mai fermo, ma in movimento: ad
esempio, per loro un cavallo in movimento non ha quattro gambe, ne ha venti.
Così la simultaneità della visione diventa il tratto principale dei quadri
futuristi; lo spettatore non guarda passivamente l'oggetto statico, ma ne è
come avvolto, testimone di un'azione rappresentata durante il suo
svolgimento. Per rendere l'idea del moto nelle arti visive tradizionali,
immobili per costituzione, il Futurismo si serve, nella pittura e nella
scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce
psicologicamente sull'osservatore con significato direzionale, essa,
collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e
diventa forza centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e piani si
sospingono in una catena di contrasti simultanei, determinando la resa del
“dinamismo universale”. PitturaJoseph Stella Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, Yale. A Milano gl’artisti d'Italia avevano pubblicato i
manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del
dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla
passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla
rappresentazione sintetica del moto. Boccioni, Carrà e Russolo esposero a
Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella
fabbrica Ricordi. Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni
artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere
letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata
capacità espressiva. Le radici del fermento che portò alla declinazione
del Futurismo nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già
nella Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda
metà dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione
dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle
fabbriche. Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare
quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad
adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di
simultaneità: è grazie ad artisti come Segantini e PELLIZZA da Volpedo che,
pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti come La
città che sale. Opera futurista di Emma Marpillero Corradi Dal
punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi
cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di
essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la
superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa
prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende
possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione
esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone
ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione
temporale, il movimento. Altrettanto interessanti sono i rapporti
stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Delaunay.
Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i più importanti
esponenti delle avanguardie russe e tedesche. Equiparare, infine, la ricerca
futurista dell'attimo con quella impressionista, come è stato fatto in passato,
è ormai considerato profondamente errato. Se è vero infatti che gli
impressionisti fecero dell'"attimalità" il nucleo della loro ricerca
- loro scopo era fermare sulla tela un istante luminoso, unico e irripetibile -
la ricerca futurista si muoveva in senso quasi opposto: suo scopo era
rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma il movimento stesso,
nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale. Come
conseguenza dell'"estetica della velocità", nelle opere futuriste a
prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo
spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani
(Aeropittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane
(del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre
sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che
mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere
composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari,
intense e fluide se il moto è più armonioso. Tra gli epigoni più
interessanti del Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e del
costruttivismo. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei due
manifesti sulla pittura. Due tra i principali esponenti del movimento
pittorico, Boccioni e Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura
di Boccioni è stata definita "simbolica": il dipinto La città che
sale, per esempio, è una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e
dalle scene di cantiere edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa
crescita dalla potenza del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si
scompone per piani. Se Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico.
Ancora legato a principi cubisti, non è raro che realizzi sequenze
fotogrammetriche di una scena, per rendere il movimento, piuttosto che
affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è il caso del posato Bambina che
corre al balcone. Scultura Boccioni Forme uniche della continuità nello
spazio, New York, Museum of Modern Art L'artista futurista più attivo nel campo
della scultura è Umberto Boccioni, la cui ricerca pittorica corre sempre
parallela a quella plastica. Lo stesso Boccioni pubblica il Manifesto
tecnico della scultura futurista. Punto di arrivo di questa ricerca può essere
considerato Forme uniche della continuità nello spazio: l'immagine, applicando
le dichiarazioni poetiche di Boccioni stesso, è tutt'uno con lo spazio
circostante, dilatandosi, contraendosi, frammentandosi e accogliendolo in sé
stessa. Anche in L'Antigrazioso o La madre, immediatamente precedente,
sono presenti parametri scultorei simili a Forme uniche nella continuità dello
spazio, ma con ancora non risolti alcuni problemi di plasticità derivanti da
influssi naturalistici. MosaicLa tecnica del mosaico, basata
sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è prestata molto bene a
esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte futurista. Enrico Prampolini
e Fillia eseguono l'importante mosaico dedicato al tema delle
Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle Poste di La
Spezia. Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri mosaici per le
Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua con mosaici
futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato,. ArchitetturaMagnifying
glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura futurista.
«Il problema dell'architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare.
Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre e di
porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane:
ma di creare di sana pianta la casanuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa
della scienza e della tecnica…» (Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a
prefazione della mostra del gruppo Nuove Tendenze) Antonio Sant'Elia, una
veduta prospettica della Città Nuova. Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città
Nuova. Arnaldo Dell'Ira lampada "a grattacielo Pettazzi Stazione di
servizio "Fiat Tagliero", Asmara. Sant'Elia, che divenne l'architetto
più rappresentativo del movimento, era ancora distante dai futuristi ed era
piuttosto legato nel movimento del cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi
anni a Milanoera attivo Giuseppe Sommaruga e questi sembra che avesse
esercitato una grande influenza sulla formazione del Sant'Elia, infatti, per
esempio, molti elementi dinamici del futurista furono anticipati nel Grand
Hotel Campo dei Fiori di Varese. Sant'Elia pubblica il Manifesto
dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al
centro dell'attenzione c'è la città, vista come simbolo della dinamicità e
della modernità. Tutti i progetti creati da Sant'Elia si riferiscono a città
del futuro: in contrapposizione all'architettura tradizionale, vista come
inadeguata, le città idealizzatedagli architetti futuristi hanno come
caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I
futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti
avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di
questo periodo si cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia
futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte,
un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è
impregnata di dinamicità. Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique
simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei
progetti futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa. Le teorie
futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano
espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a
metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni
dell'architettura e della città che saranno proprie del Movimento
Moderno. A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il
movimento futurista in Italia perse il suo slancio. L’originaria proposta
futurista dei primi tempi è raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il
movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città
Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi
privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso
avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario.
Tra i grandi esponenti dell'architettura da ricordare Chiattone, che visse con
Sant'Elia a Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando straordinarie
visioni di città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e abbandonare la
militanza. E infine Marchi, che operò anche come scenografo. Al Secondo
Futurismo appartengono le architetture di Mazzoni, autore di notevoli edifici
postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse città
italiane. CeramicaPer le sue possibilità espressive, anche la ceramica
interessa il movimento futurista. In particolare i ceramisti dell'ISIA
espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Sulla Gazzetta del Popolo
a firma Marinetti ed Albisola viene pubblicato il Manifesto futurista della
Ceramica e Aereoceramica. Il centro propulsore della ceramica futurista
italiana fu Albissola Marina. Musica Modifica In campo musicale gli unici
rappresentanti di rilievo sono Pratella e Russolo, pittore, musicista e
scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori. L'arte dei rumori è considerata
da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti nell'estetica
musicale del XX secolo. A Russolo si deve l'invenzione dell'Intonarumori, uno
strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria del rumorismo, ovvero
di una musica nella quale ai suoni dovevano essere sostituiti i rumori. Essi
erano formati da generatori di suoni acustici che permettevano di controllare
la dinamica e il volume. Letteratura Modifica Da sinistra:
Palazzeschi, Carrà, Papini, Boccioni, Marinetti, Magnifying glass icon mgx2.svg
Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo Tommaso
Marinetti. Marinetti invia il Manifesto del Futurismo ai principali giornali
italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro a garantirgli risonanza europea. Sulla
rivista fiorentina Lacerba, comparve il "Manifesto tecnico della
letteratura futurista. è il volume Zang Tumb Tumb, miglior esempio delle
futuriste Parole in libertà. Poesia. I poeti futuristi si riuniranno
attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima. Nei
componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle sensazioni
forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti, oltre al
Marinetti, sono: Palazzeschi, autore della raccolta poetica L'incendiario (che
include "La fontana malata", "E lasciatemi divertire" e
"La passeggiata"); Soffici, autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità
– Chimismi lirici; Paolo Buzzi, autore di Aeroplani. Canti alati. Anche
Quasimodo aderì, in gioventù, al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera
d'estate. A un successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene l'Aeropoesia.
Teatro Modifica Magnifying glass icon mgx2. svLo stesso argomento in dettaglio:
Teatro futurista. I futuristi perseguirono la rifondazione del concetto stesso
di comunicazione teatrale. Promossero un teatro «sintetico, atecnico, dinamico,
simultaneo, autonomo, alogico e irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al
pregiudizio della teatralità, soddisfare la primitività delle folle, curarsi
della verosimiglianza, voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si
rappresenta, sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e
del massimo effetto alla fine, lasciare imporre alla propria genialità il peso
di una tecnica che tutti possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel
vuoto della creazione totale». I futuristi, infatti, possedettero una
«invincibile ripugnanza» per il lavoro studiato a tavolino, a priori,
sostenendo l'improvvisazione, il teatro come «serbatoio inesauribile di
ispirazioni». «Tutto è teatrale quando ha valore» (Il teatro
futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra) Il teatro futurista
promosse anche la commedia e la farsa, anziché la tragedia, o il dramma
borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era inusuale vedere il pubblico
adirato a causa di spettacoli fatti di azioni deliranti. Le cronache dell'epoca
riportano notizie relative agli attori futuristi che sfuggono all'ira degli
spettatori, spesso provocata ad arte secondo gli intenti espressi nel Manifesto
futurista del teatro di varietà. Cinema Magnifying glass icon mgx2. svg
Lo stesso argomento in dettaglio: Cinema futurista. Venne pubblicato il
Manifesto della Cinematografia futurista, firmato da Marinetti, Corra, Ginna,
Balla, Chiti ed Settimelli, che sosteneva come il cinema fosse "per
natura" arte futurista, grazie alla mancanza di un passato e di
tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema narrativo "passatissimo",
cercando invece un cinema fatto di "viaggi, cacce e guerre",
all'insegna di uno spettacolo "antigrazioso, deformatore, impressionista,
sintetico, dinamico, parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo
verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato dall'estetica tradizionale, che
era percepita come un retaggio vecchio. I futuristi, per allontanare il
cinema dal passato, ripudiavano tutto ciò che era convenzionalmente accettato
come affascinante e bellissimo dalla borghesia, usando quindi come soggetti
figure distorte (che verranno riprese anche dall'espressionismo tedesco come
manifestazione della perdita di speranza della popolazione dopo la prima guerra
mondiale), colori forti ecc. Molte opere cinematografiche futuriste sono andate
perdute durante la guerra, tra cui Vita futurista, pellicola nella quale alcuni
uomini disturbavano e poi scappavano velocemente alcuni turisti nei bar di
Firenze. Tra le opere rinvenute di questo movimento, ci è pervenuta la
tragedia Tahïs di Bargaglia e la romantica Amor pedestre del 1914 del comico
Marcel Fabre, nel quale viene proposta una relazione non corrisposta tutta
raccontata inquadrando i protagonisti dal ginocchio in giù (cortometraggi
rintracciabili su YouTube). Gastronomia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Cucina futurista. Grazie alla completezza di
questo movimento, ne venne influenzata anche la gastronomia. Il cuoco francese
Maincave adere al Futurismo, proponendo quindi l'accostamento di nuovi sapori
ed elementi fino ad allora separati senza serio fondamento. Questo comprende
accostamenti come filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e
assenzio, banana e groviera, aringa e gelatinadi fragola. Marinetti
pubblica il Manifesto della cucina futurista sulla rivista Comoedia. Secondo
Marinetti bisognava eliminare la pastasciutta, così come forchetta e coltello e
condimenti tradizionali, e incoraggiare l'accostamento ai piatti di musiche,
poesie e profumi. Scrive Marinetti: vi annuncio il prossimo
lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema
alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi
sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata
dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi
principi, l'abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita
al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude
sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d'altra
parte patriottico favorire in sostituzione il riso.» Nel suo tempo È
normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di transizione, abbia avuto
molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico e accademico ereditato
dalle "tre corone" della poesia decadente (Carducci, Pascoli ed Annunzio)
i futuristi oppongono la dinamicità, la demolizione all'armonia, e alla
raffinatezza contrappongono il disordine delle parole. Gli elementi suddetti
richiamano alle caratteristiche del Futurismo più importanti: esse rientrano
appieno nello spirito culturale della belle époque che precedette lo scoppio
della Prima Guerra Mondiale. Secondo i futuristi, questi poeti devono
essere completamente rinnegati perché incarnano esattamente i quattro
ingredienti intellettuali che il Futurismo vuole abolire: la poesia
morbosa e nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della lussuria; la
passione per il passato. In contraddizione con il Futurismo è stata anche la
corrente crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante condivida con il
Futurismo l'idea di interartisticità, ha però una concezione della vita
completamente diversa: i futuristi inneggiano alle innovazioni, i
crepuscolari sono avversi a una modernità che aliena l'individuo i futuristi
sono prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi,
pacifici e malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi
città, i crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di pessimo
gusto", gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi sono
sempre protesi verso un domani esaltante, i crepuscolari guardano al passato e
alle piccole cose quotidiane. Scultura futurista esposta a Milano
in Piazzetta Reale per il centenario del movimento Nelle arti figurative invece
si presenta il confronto con le altre avanguardie, Cubismo, Astrattismo, Dada,
Surrealismo, Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata da propri temi e
propri linguaggi espressivi. L'opera futurista è in evidente contrasto per
alcuni temi con molte delle altre avanguardie sebbene condividano tutte
l'intuizione di trasmettere attraverso l'arte un impulso di trasformazione
della società e di rinnovamento. Aspetto specifico del Futurismo è quello di
non limitare la propria azione alle espressioni artistiche (come il Cubismo o
la Metafisica), ma di prospettare la re-invenzione dell'intera vita, in ogni
suo aspetto (e uno dei manifesti maggiormente rilevanti fu infatti
"Ricostruzione futurista dell'universo" di Balla e Depero). Tra
i contemporanei dei futuristi che criticarono il movimento ricordiamo Giandante
X, che a Milano, all'apertura dei festeggiamenti per il ventennale del
Futurismo, contestò apertamente Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che
"l’uomo si deve affrancare dalla macchina ed è un errore lasciare
sussistere lo scombinato movimento artistico"[20]. Nella critica del
dopoguerra Il Futurismo ha influenzato tutta l'arte d'avanguardia del
Novecento. Gli artisti futuristi che sopravvissero alla morte di Marinetti e
alla seconda guerra mondiale caddero in disgrazia come tutto il Futurismo, con
l'accusa di aver fiancheggiato il fascismo. Nel secondo Novecento nuovi
studi di Luciano De Maria, Mario Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi,
Claudia Salaris, Giordano Bruno Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di
collusione fascista, rilanciando l'interesse artistico-sociale verso il
futurismo. Studi sul futurismo di sinistra (i contatti con gli ambienti
anarchici, e persino comunisti) mostravano contemporaneamente che l'avanguardia
futurista italiana era stata troppo sommariamente giudicata. Nel corso
del tempo diverse sono state le esposizioni riguardanti il Futurismo. Di
indubbia rilevanza è stata quella del 2009 presso il Palazzo Reale di Milano
per il centenario del movimento. La mostra si intitolava Futurismo Velocità+Arte+Azione.
Il Futurismo italiano, con una grande esposizione retrospettiva fino al 1944 al
Guggenheim Museum di New York a cura di Greene, è tornato alla ribalta
internazionale. Il centenario del Futurismo ha anche contribuito al rilancio
internazionale degli studi sulle artiste del Futurismo e sulla visione della
donna nel Movimento. è stato pubblicato il Manifesto del Fumetto
Futurista redatto da Bonura e uno dei primi, se non il primo, fumetti futuristi
programmatici, cioè seguente esplicitamente uno schema scritto e definito, dal
titolo "Il brutto anatroccolo. Ma che Wow!!" di Gnoffo, a significare
l'importanza che il movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare
nuovi stili d'arte di rottura e sperimentali. Principali esponenti del futurismo
Futuristi italiani Marinetti Allimandi Asinari Asinari Antonio Asturi Azari
Baldessari Balla Benedetto Boccioni Bodini Bonetti Bot, pseudonimo di Barbieri
Bragaglia Bruschetti Buzzi Cangiullo Cappa Carli Carmassi Carta Carrà Carramusa
Caselli Castagnedi Cavacchioli Ciacelli
Chiti Conti Corona Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio Crali
D'Alba, pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici Mino Delle
Site Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba EVOLA (si veda),
Farfa, pseudonimo di Tommasini Fillia, pseudonimo Colombo Folgore Gesualdo
Frontini Funi Gambini Giardina Ginna, pseudonimo di Ginanni Corradini Governato
Govoni Jannelli Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di
Michele Leskovic Licini Lucini Magnelli Mai Mainardi Michetti Marasco Marchesi
Emma Marpillero Masnata Mix Sante Monachesi Marisa Mori Munari MUSSOLINI (si
veda) Mussolini (si veda) Notte Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari
Nello Voltolina Pippo Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Papini Pepe Diaz Peruzzi
Piscopo Prampolini Pratella Preziosi Quasimodo Righetti Romani Rosai Rizzo
Rognoni Ronco Rosso Russolo Sanzin Sartoris Sant'Elia Sbardella Severini
Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni
Stella Sturani Tavolato Tedeschi Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles
Tulli Ungaretti Vann'Antò Ruggero Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Landsmann Vucetich;
Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna Gončarova
Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič Aleksandr
Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr Burljuk
Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Léger Jules
Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková
Futuristi ungheresi Béla Kádár Lajos
Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del
movimento attraverso le riviste Orpheu e Portugal Futurista Guilherme de
Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista Futuristi
spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de Andrade Futuristi
argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali manifesti Manifesto del
futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" Marinetti Uccidiamo il Chiaro
di luna, Marinetti Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910),
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto
tecnico, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista,
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi futuristi,
Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, Pratella La musica
futurista-Manifesto tecnico, Pratella Manifesto della Donna futurista,,
Valentine de Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, Boccioni Manifesto
tecnico della letteratura futurista, Marinetti L'arte dei Rumori, Russolo
Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà,,
Marinetti L'Antitradizione futurista, Apollinaire La pittura dei suoni, rumori
e odori, Carrà Il Teatro di Varietà, Marinetti Il controdolore, Palazzeschi
Pittura e scultura futuriste, Boccioni Manifesto dell'Architettura futurista,
Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra, Settimelli, Marinetti
La ricostruzione futurista dell'universo,, Balla, Depero La Scenografia
futurista, Prampolini Manifesto del cinema futurista, Marinetti, Corra,
Settimelli Manifesto della danza futurista, Marinetti Manifesto
dell'Aeropittura futurista, Manifesto della Fotografia futurista, Tato
(pseudonimo di Sansoni), Marinetti Manifesto della cucina futurista, (1931),
Marinetti. Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica, Filippo Tommaso
Marinetti e Tullio d'Albisola Opere principali Pittura Umberto Boccioni, Tre
donne; Boccioni, La città che sale; Carrà, Notturno a Piazza Beccaria Boccioni,
La risata Boccioni, Stati d'animo, gli addii Carrà, I funerali dell'anarchico
Galli; Umberto Boccioni, Materia; Balla, Ragazza che corre al balcone Balla,
Dinamismo di un cane al guinzaglio Balla, Lampada ad arco; Umberto Boccioni,
Elasticità Severini, La chahuteause Russolo, Dinamismo di un'automobile Carrà,
Cavaliere rosso; Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce Severini,
Ballerina in blu; Fortunato Depero, I Cavalieri. Futurismo, in Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il pensiero futurista si richiama
evidentemente a varie ideologie dell'azione e della violenza: il
"vitalismo" del "superuomo" (oltreuomo) di Friedrich
Nietzsche, l'anarchismo di Max Stirner, la "violenza" di Georges Sorel
(Considerazioni sulla violenza), lo slancio vitale di Henri Bergson(cfr.
"Futurismo" nell'Enciclopedia "Il Sapere", De Agostini
editore). arengario.it, arengario.it/ futurismo specimen-tonini- manifesti.pdf.
Archivi del futurismo regesti raccolti e ordinati da Maria Drudi Gambillo e
Teresa Fiori, Roma Il Futurismo: le Edizioni Elettriche, su InternetCulturale Mauro,
Elapsus - Gino Severini, frammenti di vita parigina, su elapsus.it. di
Forlipedia, TULLO MORGAGNI, su Forlipedia, Futuristi, su windoweb Adams,
Historiographical perspectives on 1940s Futurism, Journal of Modern Italian
Studies, V tandfonline.com/ doi/full Argan electaweb.it, su Futurismo italiano a
confronto con artisti tedeschi e russi. ^ Kenneth Frampton Banham Warner, Cox,
letteratura (Futurismo Italiano) ^ A. Palazzeschi, L'incendiario (Milano,
Edizioni Futuriste di Poesia, pubblicata sulla rivista fiorentina "Italia
Futurista") ^ Marinetti, Settimelli, Corra, Il teatro futurista sintetico,
su futurismo.altervista.org. Napolitano, Le caratteristiche del movimento
futurista al Guggenheim, su marconeapolitanews.altervista L'Iride News, su
www.iridenews.it. Futurismo = Velocità+Arte+Azione, su elapsuswebzine. blogspot.it.
Greene, [1] ^ Massimo Bonura, Il fumetto come Arte e altri saggi, Palermo,
Edizioni Ex Libris, Per il Manifesto del Fumetto Futurista si veda per le
tavole del Fumetto Futurista di Gnoffo Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione ha problemi di struttura e di organizzazione delle informazioni. Giulio
Carlo Argan, L'arte moderna Firenze, Sansoni, Lista e Ada Masoero (a cura di),
Futurismo Velocità+Arte+Azione (Milano, Palazzo Reale, 5 febbraio – 7 giugno
2009), Milano, Skira, Severini, Vita di un pittore, Abscondita, Maria, Laura
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Carlo Carrà Pittore e docente italiano Manifesto dei pittori futuristi
Manifesto futurista pagina di disambiguazione di un progetto, Esaminerò i temi
principali del mio saggio, intitolato “Eros ethos”: la contraddizione, la
violenza, la domanda di salvezza, che è poi la domanda di senso, il silenzio di
Dio. Ma, effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”,
questo nesso su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime
che non le cose ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota
interamente intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era
il senso, era il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma
anche polemico e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco,
cos’ hanno a che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime?
Eros ethos: che cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che
questa? Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è
l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per
alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui
partire è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare
di scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire domanda
sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da dove
veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è la
domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e così
grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il pensiero
contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come se non
la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla domanda ha
già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo figli: siamo
figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate
scientificamente governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del
caos, di quel suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è
un fatto. Certo che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo
orizzonte che non possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi,
sempre di nuovo la evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo
sub umano ci abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo,
come se appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre
pronta ad esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero
che veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?”
Dallo stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la
violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e
l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione
inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali?
Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi
contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il
risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una
situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui
soltanto il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini,
ipotizzare fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè
alla pretesa appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima
di tutte le cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio
non è se non nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza
sapendo di essere quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di
natura provengono e che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo
orizzonte, di estremo confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile.
Da questo punto di vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di
natura), e la parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1
stato di pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto,
i cui contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò
che è dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e
dall’altra Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose
completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non
è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il
regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa.
Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non
possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia
uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel
quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa,
perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo
affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e
guardare al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati
qui?” O nella lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è
possibile. L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo,
quella violenza di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo
anzitutto in noi stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come
qualche cosa che è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che
controllare. Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo
l’uomo deve, se non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di
controllo. Auschwitz non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente sempre
di nuovo accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni
violentissimi, crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul
fatto che Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade
dentro quello stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere.
E’ la parola più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro
strategie di pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono:
l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale
proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte.
Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e
nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe
difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che
veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non
teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei
delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile?
Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita
ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing
tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo
se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in
questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo
stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo
in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di
Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si
elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere
sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece
teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però
questo ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha
mille sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della
intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola
obiezione, ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è
che la violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto,
che lo ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa
violenza è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che
espressione dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che
cos’è? E’ cosa umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente
assimilabile alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone
feroce. La ferocia che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in
un animale 2 è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano
in animale ( questo è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante,
anche se sembra corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa
violenza è altra cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un
segno, una segnatura, quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti
che la vedevano nelle cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli
entrando in contatto con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza
umana: essa ha una segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza
dell’animale, di radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la
violenza dell’uomo non è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza
dell’uomo ha qualcosa come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello
che ci mette l’uomo stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve
farlo, lo fa per difendersi, pensate alla violenza che esplode in una
situazione apparentemente normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso
che l’espressione di una aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto
il quale la stessa violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace,
la pace del leone che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé
stesso e con la natura. La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o
non giustificata, ( ma appunto la parola giustificazione è povera), sempre ha
questo valore aggiunto: e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di
sottolineare questo valore aggiunto, irridendo il nemico. Questo è nell’Iliade,
come nella cronaca di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Nell’Iliade, quando
Achille strazia il cadavere di Ettore, sente il bisogno di straziarlo sotto le
mura di Ilio, sotto gli occhi delle persone care: ecco quel di più, ecco ciò
che fa della violenza umana qualche cosa di radicalmente umano. Nel soldato che
aggredisce e umilia l’aggredito, il vinto, il nemico vinto, stuprando la sua
donna, per esempio, non c’è mai una pura e semplice espressione pulsionale di
qualche cosa, come un bisogno bestiale o animalesco, c’è invece il desiderio di
segnare ( parlavo prima di segnatura, di valore simbolico), c’è il bisogno di
umiliare, c’è, in altre parole, l’impossibilità di ricadere nella quiete della
violenza che ha raggiunto il suo scopo. Allora, se la violenza dell’uomo non è
assimilabile alla violenza della natura, se questo valore aggiunto fa sì che la
violenza dell’uomo riveli una sua irriducibilità all’ordine naturale delle
cose, allora non è vero che lo stato di natura non può essere trasceso, non è
vero che non è possibile affacciarsi sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da
dove vengo io?” Allora non basta dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e
dalla sua brutalità, io vengo da un altrove”. E’ una contraddizione, perché, se
vogliamo dirla con una formula filosofica, la intrascendibilità dello stato di
natura chiede di essere trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono
impastato di quella pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono
forze brutali, bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non
soltanto la mia provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non
so che cosa sia, che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare.
Non mi basta riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento
fa cenno, sia pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io
fossi caduto, come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento
potesse spiegare il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi,
di due grandi filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della
intrascendibilità dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi
filosofi della modernità i quali sostengono quello verso cui sto cercando di
condurvi e cioè che l’intrascendibilità dello stato di natura è
contraddittoria. Certo l’uomo, con le sue categorie, con i suoi concetti, con
ciò di cui dispone, non può uscire dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi,
ma patisce, soffre, vive questo suo trovarsi in un orizzonte che è come un
carcere per lui, appunto come un essere cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io
mi guardo intorno, e tutto è confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio
tace ( il silenzio di Dio), e non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente
silenzioso, e il silenzio degli spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se
voglio in questo orribile 3 caos muovermi e sopravvivere? Che cosa
mi resta da fare? Prendere atto che le cose stanno così, seguire le leggi del
mio paese. Già, ma le leggi del tuo paese sono esattamente l’opposto delle
leggi del paese accanto. Che fare? Questa è appunto la prova del caos in cui
versiamo. Ma il mio sovrano mi ha ordinato di uccidere quello che sta al di là
del fiume. E perché? Perché sta al di là del fiume. Ma è una ragione questa?
Eppure lo devo fare, perché, se non mi attenessi alle leggi del mio paese,
cadrei in un disordine ancora più grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto:
l’unica forma di sopravvivenza è quella garantita dall’accettazione dello
status quo. Dice: “ Ma io mi guardo intorno. Questo è giusto, che cosa è
sbagliato? Nulla è giusto, nulla è sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è
atto, non c’è gesto, non c’è comportamento umano, anche il più abietto, che non
abbia trovato il suo altare. Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è
stato messo l’omicidio, sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un
orribile caos, è quello nel quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi:
intrascendibilità dello stato di natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco
il passo in più che fa Pascal: l’intrascendibilità dello stato di natura è
inaccettabile, l’intrascendibilità dello stato di natura non può essere vissuta
se non come una condanna, e quale maggiore condanna che quella di chi vede che
ogni atto, anche il più nefasto, il più delittuoso, ha trovato il suo altare?
Quale condanna peggiore di chi constata che è costretto a compiere atti
profondamente ingiusti e tuttavia giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?”
“Perché il tuo sovrano te lo ordina”. Ed è giusto così, o meglio giustificato
così, pena un disordine ancora maggiore. Questa è una realtà che non si può non
accettare, una realtà che ci dice il nostro essere vincolati ad essa,
l’intrascendibilità dello stato di natura, ma una realtà nello stesso tempo
vissuta come iniqua, come inaccettabile: non la posso che accettare, ma è
inaccettabile. Ecco la contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente,
dovremmo dire: “l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo
trascendimento”. Da dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così
tanto all’interno di una situazione per la quale non vedo via d’uscita?
L’intrascendibilità chiede di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la
filosofia non può che aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come
vedete, ben diversa da quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce
da Pascal una filosofia religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una
filosofia irreligiosa. Le fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in
questione, ma è profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza
c’è e non resta che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di
là”. E’ una filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza
c’è perché c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che
inquina, con gli apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci
da tutto ciò, e ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo:
filosofia, in entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a
Marcuse, oppure da Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella
dell’intrascendibilità dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente
religiosa quella di un Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava,
attraverso la contraddizione, l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico,
che viene spesso interpretato, e giustamente, come il padre dello storicismo,
ma è anzitutto teologo cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e
la dice attraverso l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia
l’illusione che “ omnia Iovis plena”, che gli alberi siano dei, che tutto gli
parli, che l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva
antiqua e apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non
è vero, è un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una
epifania, e tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può
trascendere. Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e
non è se non cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di
cultura che l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una
menzogna, illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4 sulla
base di questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le
istituzioni, le famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero?
E’ il puro e semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello
stato di natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere
ad una verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione,
l’uomo è costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da
dove? La filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono
ipotesi molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo
moderno. Voi vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?”
C’entra perché c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo
cercare, che dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati
ad un destino umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del
nostro destino impone un trascendimento della condizione nella quale ci
troviamo: dobbiamo cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che
è, per dirla con sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso
di quanto non lo sia io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con
questo movimento, con l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di
quanto io non lo sia a me stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere
precisamente nel nodo di contraddizione che nello stesso tempo lega e separa
eros ethos qualche cosa che può essere definito negli stessi termini. Che eros
ed ethos si contraddicano, o meglio si oppongano( l’opposizione e la
contraddizione sono due cose diverse) lo so bene, che eros ed ethos si
oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa indica eros se non l’immediatezza,
diciamo pure la gioia di vivere, quella gioia di vivere che non ammette
ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di essere espressa? Eros i Greci,
e non soltanto i Greci, lo presentavano come un fanciullo, la divina innocenza,
eros come espansione vitale, o per dirla con Kierkegaard come vita immediata,
vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo oggi ( figli volenti o nolenti,
tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le pulsioni sono le pulsioni, il
bene e il male appartengono ad un altro ordine, ad un’altra dimensione. Ethos è
il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la serietà della vita. Ethos è il
dover rispondere di tutto nei confronti di tutti, o quanto meno di sé nei
confronti di coloro coi quali si è stretto un patto. Quale opposizione maggiore
che quella tra eros ed ethos? Tra l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera
e gioiosa espansione di sé che non dà ragione, perché è quello che è, è vita
immediata, tra la gioia, se vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia
il “Tu devi”, questo sì e questo no, perché tu devi rispondere di te nei
confronti di tutti gli altri? Ma appunto siamo ancora sul piano
dell’opposizione, non ancora della contraddizione. Per scorgere la
contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è dissidio, cioè c’è intima
opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a partire da un’analisi
separata delle due forme di esperienza, esperienza erotica ed esperienza etica,
che capiremo come l’opposizione diventi una vera e propria contraddizione e
capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è “intimior intimo meo”,
così prossimo a noi da costituire davvero la nostra anima, la nostra carne ( e
che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione sia proprio in questa
prossimità. Ma lo scopriremo appunto esaminando separatamente le due forme.
Perché c’è opposizione in eros? L’abbiamo definito come gioioso, libero, come
espressione di una vitalità che non conosce ostacoli. Non è forse vero che eros
è trasgressione? Ma non carichiamo subito questa parola di un significato
morale: no, siamo prima, siamo al di qua della morale. Parliamo dunque di
trasgressione nel senso letterale del termine, nel senso di una spinta, di un
movimento teso a rompere tutti i vincoli. Quindi siamo ancora sul piano di una
fenomenologia che non chiama in causa la morale. Eros è questo transgredior,
questo superare il limite che eros stesso pone a sé stesso per essere quello
che è. Cosa c’entra la morale con eros, se eros è questo? Come è pensabile un
intimo dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno pensato. Quando ci troviamo
di fronte a queste difficoltà, definita filosoficamente la categoria, 5
sembrerebbe non si dovesse più procedere oltre, invece sappiamo che
l’esperienza erotica è molto più complessa, che non è questa pura e semplice,
come qualcuno vorrebbe, espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé,
bensì un’esperienza terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La
filosofia ci dice che è trasgressione, movimento libero verso la liberazione da
tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo la religione, ci dice che è cosa molto,
molto più complessa. E come avevano rappresentato questa complessità i Greci?
Attraverso i miti, come sappiamo. I miti sono questo: servono a dire delle cose
che la filosofia non riesce a dire, o che il linguaggio comune non riesce a
dire. Ci sono tanti miti nella cultura greca che parlano di eros, infiniti, ma
non soltanto nella cultura greca, anche in quella indiana, anche in tante
altre. Ma alcuni in particolare: intanto quello che identifica eros con Fanes
Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes Protogono è qualcuno, qualche cosa che
viene prima della stessa formazione del mondo, e quindi del costituirsi di
figure archetipiche nel mondo che sono gli dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa
accensione originale che fa sì che il mondo, che era, secondo il mito di Fanes
Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile ad un punto ( pensate a quale
profondità di intuizione erano arrivati i Greci), per questa improvvisa
accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta, una forza assolutamente
sorgiva, che non è governata da figure archetipiche, dagli dei, ma che è
assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa, tutta compresa in un
unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta accensione, esplode,
e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò la terra e il cielo,
a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di nuovo cercare di
ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra, originariamente uniti, a
seguito della esplosione cercano di ricongiungersi, grazie a eros, Fanes
Protogono, cioè il principio primo, il principio originariamente generatore,
che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza ricongiungente dei due.
Dentro questo mito che cosa scopriamo? Il carattere assolutamente non morale di
eros. Eros è quello che è, non è neppure un dio, è luce, è manifestazione, è
pura forza esondante, quella pura forza esondante che ciascuno di noi prova in
sé, nelle varie forme in cui eros si manifesta, che, come sapevano i Greci,
sono infinite. Basta leggere il Simposio per capire come Platone sapesse delle
varie forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche cosa di tremendo, il
tremendo che è in eros: accade che nel momento in cui la terra e il cielo si
scindono in due, in una sorta di mattino del mondo nasce Afrodite che è la dea
dell’amore, che è la dea, a seguito di questa vicenda, chiamata a incarnare, a
personificare, la forza originariamente creatrice. Ma chi è Afrodite? E’ la dea
della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno descritta: è la dea della
felicità, della gioia, della gioia di vivere che non dà ragioni di sé, è la dea
al di là del bene e del male, è la dea al di qua del bene e del male. Ma
Afrodite è anche la dea che nasconde il tremendo da cui proviene, tanto è vero
che lo stesso mito greco ci parla di questo mattino del mondo: e cosa c’è di più
bello che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare, che cosa c’è di più
innocente, di più incantevole? E tuttavia quella spuma del mare è memoria di un
atto di sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e anzi sangue- liquido
seminale, stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo stesso figlio. Capite
che cosa dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea di eros l’uomo greco?
Gli opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è l’emergere della vita da sé
stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita che è quello che è, al di là
del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo di sangue. Il fanciullo
innocente è nello stesso tempo colui che ha memoria del tremendum, con buona
pace dei teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a buon mercato:
“Liberatevi dai tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per carità, non voglio
dire che non ci si debba anche liberare dai tabù, però le cose sono un po’ più
complicate: la liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia sta a fronte(
antitesi) di qualche cosa come gli orrori delle origini. Quando ci si interroga
sul fatto, sul rapporto eros e violenza, per esempio, perché chiudere gli occhi
di fronte a 6 questa che è realtà umana, più che umana? Bisogna
pensare come hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli Indiani in modo
forse meno cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto espressivo, con la
figura della donna che volge lo sguardo, dell’amante che raggiunge l’amato (
che è un tema iconografico di molta arte indiana, di molta arte erotica dell’India
), della donna che si butta nel fiume per raggiungere l’amato, ma volge lo
sguardo, e questo sguardo è pieno di malinconia per tutto ciò che lascia: siamo
fatti di una irriducibile doppiezza, ci dice il mito. Certo che è necessario
gettarsi, raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo ( è la dinamica della
trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto ciò che abbiamo perso,
che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del patto. E questo che
cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in modo del tutto
contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la colpa: ecco come
eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per ethos. Ethos è in
sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci che ci dicono
questo. Della profondità del mito greco si era accorto Aristotele, per primo,
che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto che la parola greca ethos
(da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o meglio si dice in un modo
solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco che forse non ha altri
esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la ipsilon, e con la eta,
e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se scritta con la eta vuol dire
un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa, ma un po’ diversa . Se
scritta con la eta, ethos fa riferimento alla dimora, alla casa. E allora che
cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i costumi, le abitudini, da
cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che ci portano a compiere certe
cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci comportiamo in un certo
modo? Perché siamo stati educati, perché abbiamo accolto in noi, essendo stati
accolti da una comunità e cioè dalla casa anzitutto, quelle leggi, quei comportamenti,
quel modo di vedere, che è proprio di ethos con la eta. Qui a essere
privilegiato è il riferimento al sentire comune, alla comunità: ethos come
appartenenza ad una comunità, che mi impone di non pensare tanto a me stesso
quanto agli altri, di riconoscermi all’interno di una tradizione e così via. Ma
se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol dire carattere, che appartiene a
me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è qualche cosa che mi dice: “ Tu devi
fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto da tutti, non è accettabile che tu
non faccia questo, la società ti condanna”. “ Che mi importa, lo devo fare,
perché so, ma in base a quale sapere?” “In base ad un sapere demonico, cioè che
non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi faccio carico, costi quello che
costi”. Guai se ethos fosse solo sapere demonico, se fosse solo carattere,
perché allora l’etica sarebbe una cosa terribile, sarebbe cosa tragica, darebbe
luogo a scontri senza fine, senza un terzo che faccia da medio, se è giusto
quello che io sento giusto. L’io, la coscienza: se ethos fosse solo questo
sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse soltanto quell’altro: abitudine,
tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso che la società alla quale
appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni legalmente e in base a dei
principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio a essere deportato.
Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’ etica della
tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il diritto di
dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di rivolgermi
al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è giusto”. Non
dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto quello che è
accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni erano leggi
dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto nascostamente, bensì di
leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto l’etica, la casa della
comunità di appartenenza, della polis, dello stato, potrebbe non essere
un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già, ma come fanno a
stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la ipsilon? Come far
stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene Antigone, e le leggi
della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce del sole e le leggi
sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione, la contraddizione di
ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con la violenza? E’ lo
stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio alla conclusione, come
la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che è in noi, è uno stato,
tanto è vero che si parla di stato di natura: è quell’emergere di forze oscure,
che ci riportano al luogo da cui proveniamo, che è la selva. E’ la linea
maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e abbiamo visto che non basta
dire questo. Le cose non stanno così, perché qui c’è una contraddizione . La
contraddizione è sollevata dalla affermazione che la violenza dell’uomo
sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia feroce, ma nello stesso
tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente diverso dalla bestia feroce.
La violenza è sì cosa che implica la non trascendibilità dello stato di natura,
ma questa non può che essere vissuta come condanna che implica il
trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che io posso pensare solo come
stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger. Senonché per Heidegger la
gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come gettato in questo mondo, non ha
più né capo né coda, non ha più un da dove sono gettato e un verso dove vado. E
in questo senso Heidegger in fondo resta all’interno della tradizione
tipicamente moderna che ritiene intrascendibile questo stato. Non così là dove
questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo valore simbolico. Lo dice bene
Pascal. Tutto è simbolo, quella natura caotica, così confusa, non fa che
ricordarmi che questo non può essere il mio mondo, è il mio mondo e per viverci
lo devo accettare, e tra questo mondo, e l’infinito, e l’assoluto, un abisso mi
separa: non c’è verso, filosoficamente, di costruire un ponte tra il qui e ora,
il qui di leggi contraddittorie, e l’origine. Tuttavia, in questo mondo io vivo
come uno straniero, come uno che è stato gettato da un altrove, la cui chiave
la possiede non la filosofia ma la religione: la caduta, il peccato originale.”
Lo stesso discorso vale per la contraddizione, il rapporto contraddittorio di
eros ed ethos. Noi vorremmo potere riferirci, così come nel caso della violenza
ci siamo riferiti, a qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di
primo, eros ethos, di prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci,
vorremmo poterlo fare. E che cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a
ethos? E’ esperienza che tutti fanno, se pure in forme molto diverse:
l’esperienza che vorremmo gioiosa di eros e seria di ethos, e lì restare,
restare in questa prossimità, in questa intimità di noi con noi stessi, in
definitiva rassicurante. Eros è la gioia: Abbandonati; ethos è il dovere: “
Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi con noi stessi, è contraddittoria,
ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in cui noi ci troviamo più intimi con
noi stessi, noi siamo per così dire scavalcati, trascesi da un movimento che fa
cenno a qualche cosa che è assolutamente altro rispetto a questa pretesa di
raccoglierci in una certezza, la certezza di eros e la certezza di ethos. Tanto
è vero che non solo eros ed ethos stanno tra loro in opposizione, ma è una
opposizione contraddittoria perché il dissidio è sia nella forma
dell’esperienza erotica, sia nella forma dell’esperienza etica. “Intimior
intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di parafrasare Agostino, e ricordare
che nel momento in cui io sono più prossimo a me stesso in realtà sono
infinitamente lontano, sono per così dire costretto a trascendere, trascendere
me stesso. Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos; phanes
protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla,
unelongated history of negation; Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library.
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