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Monday, February 3, 2025

LUIGI SPERANZA -- "GRICE E GALVANO"

 

Luigi Speranza -- Grice e Galvano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’arte naturale – filosofia torinese – scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo Italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Galvano; he has philosophised on aesthetics, on ‘spirit and blood,’ and on polytheism, citing Sallust!” Frequenta la scuola a via Galliari, animata da Casorati.  Fonda L'Unione Culturale di Torino. Promuove il “Movimento Arte Concreta” – cf. Arte Astratta Insegna all’Accademia Albertina. Dizionario Biografico degl’Italiani.  FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA LEVI  Mantovani Motto  G. Fare, pensare, vivere la pittura"i Pmm gr s m dz de 2zpA—A_t} PA "o Saggi di MANTOVANI MOTTO BOTTA OLIVIERI G. Fare, pensare, vivere la pittura Aver puntato il senso della propria vita sui segni e sui colori sarà stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non insincera  G.]  FONDAZIONE AMENDOLA AssociaziIoNE LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI MOSTRA D'ARTE DI G.   Torino presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Levi e della Fondazione Amendola   Con il Patrocinio di Con la collaborazione di REGIONE CONSIGLIO wc I GALLERIA TORINO olii  MIN FEONIE DEL PIEMONTE att Sen DEL PIEMONTE  Quello è stato un biennio segnato dalle notevoli difficoltà imposte dalla pandemia da  Covid-19. Alla luce delle molte restrizioni, la Fondazione Amendola ha cercato, nel limite  del possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e promozione culturale adattando spazi e metodologie alle esigenze del periodo, rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative dinamiche e creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di restare a casa,  come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei contenuti culturali. Sotto questa prospettiva e, nonostante le molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare l'artista torinese G. è stato importante. La Fondazione Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di Torino e non solo, la  possibilità di accedere gratuitamente all'incontro con l’opera artistica e intellettuale di una delle figure  di spicco del panorama artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di rilievo  nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di tutta Italia che hanno collaborato con  G. e che tuttora ricoprono un ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese. Cerabona  Presidente della Fondazione Amendola Studi, Convegni, Ricerche  della Fondazione Amendola e  dell’Associazione Lucana Levi Presidente Fotografie delle opere  PROSPERO CERABONA CORONGI Curatore mostra e catalogo Direttore Responsabile MANTOVANI CERABONA  Scritti di Redazione MANTOVANI, MOTTO, BOTTA, ADRIANO OLIVIERI DOMENICO CERABONA, FERRARI Progetto ed allestimento MANTOVANI MOTTO, IL RINNOVAMENTO Fotocomposizione EDITRICE IL RINNOVAMENTO Ente promotore Fondazione Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E IMMAGINI Associazione Lucana in Piemonte Levi VIA TOLLEGNO TORINO Si ringraziano per il prestito delle opere e la collaborazione: Galleria del Ponte (Torino), Civica Galleria d'Arte Contemporanea Filippo Scroppo  (Torre Pellice), Stefania e Testa, Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti gli altri prestatori che hanno preferito restare anonimi. Si ringrazia Barzan per la realizzazione delle docu-interviste. G. e la pittura Mantovani  G.: la fedeltà alla pittura Motto  Da discepolo a interprete. G. e Casorati Botta Gli occhi fervidi e il sapore di cenere. G.: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Olivieri Opere esposte ARTE DI VENEZIA GATMAZH TEAOZ GANATOZ  XXVI: ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D  G.  BIENNALE  Foto Giacomelli - Venezia    FOTOTECA ASA.  G. e la pittura. Mantovani    Da pittore, G. pone tre livelli d’indagine; come qualsiasi artista intelligente, se non fosse  che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si  presentano specialmente complessi e coltivati con consapevole separatezza e problematica interconnessione:   Il primo livello comporta chiedersi che pittore  G. sia stato e, ovviamente, interrogarsi sulla  specie e sulla qualità della pittura (delle pitture) che  ha messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuoso, che lo ha impegnato pressoché ininterrottamente.  Il secondo livello comporta mettere a fuoco la  concezione (le concezioni) ch'egli ha elaborato della  pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella sua  scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è  occupato dell’arte, in particolare della pittura, conuna  intensità, una pervicacia, una curiosità sempre sveglia,  direi aggressiva, in un'epoca provocatoria e insieme  minacciata dalla condiscendente banalizzazione.   Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere è  quale rapporto ci sia tra il praticante pittura (è questa l’arte scrive di sé  della quale ab-  biamo, bene o male, una qualche esperienza vissuta  e non crediamo se non ai discorsi che nascono  da questa esperienza”, dove si radica anche la militanza del critico) e il teorico che usa gli strumenti  del filosofo, dell’antropologo, dello psicanalista, dello storico (da competente, eppure mai imprigionato  dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza) Si può daffermare che ogni suo scritto è occasione per una autoanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai cronaca contingente, invece occasione per andare oltre la cosiddetta  evidenza dei fatti, per indagarne radici e proiezioni. G., La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza” Torino, in G., La pittura, lo spirito e il sangue,  a cura di Mantovani, Il Quadrante, Torino; G.,  Diagnosi del moderno, a cura di Ruffino, Aragno editore Torino. Gallino, in AG., Atti del  Convegno, Torino a cura di Pinottini. Bulzoni editore,  Roma: "Se l’eclettismo diventa una condizio-  ne dell'esercizio dell’arte, è anche la qualificazione dello status  dell’intellettuale, che, in ogni specifico ambito d'indagine, è sollecitato a non perdere di vista la visione d'insieme dei problemi.  La polemica di G. contro la specializzazione, quale esclusiva  procedura del sapere, risponde a tale regola metodologica. In-  dubbiamente, in ogni attività culturale, è necessaria una partico-  lare competenza, ma, al di là del suo confine, s'impone l'esigenza  del controllo unitario dei suoi esiti e delle sue interpretazioni”. Ruffino, (Com)plessi galvanici, introduzione a Diagnosi del moderno, cit.,: “Contro lo specialismo, ... G. sferra una controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul piano pratico, opponendo al tecnicismo la tèchne (nel suo caso quella  pittorica); sul piano morale, opponendo alla provvisorietà della  posa il rigore della presa di posizione (ma mai irrigidita in partito  preso); sul piano estetico, opponendo ai miraggi di progresso illi-  mitato espressi dal Funzionale le ragioni dell’Organico, capace di  suscitare creazioni vive. Interessato “da una parte all'eredità del tardo romantici- A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani, Racconigi per affrontare la pittura, alla quale riconosce una  singolare centralità.   Tutti questi temi mi hanno per decenni accompagnato e sollecitato. I miei primi interventi su  G. pittore risalgono, la presentazione  ad una personale presso la Maggiorotto  di Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi-  cata ai protagonisti del MAC torinese; ma già nel  marzo dello stesso anno avevo tracciato, con la  collaborazione dei miei allievi in Accademia, un  quadro della pittura degli anni Cinquanta a Torino  nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo’, sulla  falsariga delle indicazioni che Galvano aveva for-  nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale  dell’arte italiana nel Dopoguerra; e sul  catalogo della mostra Arte a Torino, nel smo e del decadentismo: Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi e filosofi  della vita’, psicanalisi ed esistenzialismo, dall'altra alla severità  dello storicismo crociano e all'esempio del rigoroso metodo critico negli studi di storia dell’arte Lettore di Klages, di Jung o  di Guénon, ma anche studioso di Kant e di Hegel (G.,  Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero. Attento a Freud come a Jung. Curioso delle storie, nel tempo e nello  spazio, pronto a coglierne, nella comune umanità, le differenze e  le istruttive potenzialità.   5 Pittura a Torino, a cura di G. Mantovani, catalogo della mostra, Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo. Sauvage (pseudonimo di Schwarz) Pittura italiana del  Dopoguerra; Ed. Schwarz, Milano, il testo fu ripubblicato con  integrazioni e il titolo La pittura a Torino in “Letteratura”, Torino, successivamente in A. G., La  pittura; e G., Diagnosi. Arte a Torino, a cura di Bandini, Mantovani,  Poli, catalogo della mostra, Torino  salone d’onore dell’Accademia Albertina, dedicavo  a G. l’intervento, anche oltre gli anni  definiti nel titolo. Mi trovo, pertanto, a incrociare in queste pagine scritti pubblicati in un arco  di tempo di circa quarant'anni, con il proposito,  spero non solo narcisistico, di organizzare in di-  scorso unitario contributi sparpagliati e spesso di  non facile reperimento. Proprio dalla presentazione Maggiorotto poi  variamente elaborata per occasioni ulteriori dedicate  appunto al MAC, come il catalogo per la esposizione  del MAC torinese sempre curata dalla Maggiorotto alla Expo Arte Fiera Internazionale di Arte  Contemporanea di Bari, la presentazione del  catalogo Albino Galvano, Proferio Grossi, Luiso Sturla,  Artecentro, Milano, fino al saggio sul movimen-  to torinese nel volume per la mostra MAC/ESPACE TORINO È VIa S. GIULIA TORINO  Pre. PARISOT  |F. SCROPPO  Bollettino «Arte Concreta.    all’Acquario di Roma—mi parlogico cominciare,  non tanto perché uno dei primi approcci al tema  allora potevo anche contare sul rapporto diretto con  Galvano, ma devo dire che la sua disponibilità non  era invasiva e tanto meno arcigna rispetto alle inter-  pretazioni che venissero proposte del suo impegno quanto perché vi si pongono i fondamenti del mio  interesse per l'artista /critico / filosofo. L'incipit che  sceglievo allora mi pare sia ancora il migliore possibile;  non mio, intendiamoci, invece proprio di Albino che    Il saggio e rielaborato come prefazione a G., La  pittura, lo spirito e il sangue, cit.  Mantovani, Pittori concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte  concreta in Italia e in Francia, a cura di Canani e Genova, catalogo della mostra, l'Acquario Romano, Roma,  ed Bora, Bologna. così aveva concluso un asterisco sul Bollettino “Arte  Concreta;   “E scopriremo che è un programma [quello del  MAC le cui premesse erano già nei romanzi dei tempi  della nonna? Tanto meglio, almeno avremo evitato  l'equivoco più antipatico che grava sull'arte astratta:  che si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia.  Una fulminante risposta al nemico Borgese  che sul Corriere della Sera, aveva definito A’ rebours  di Huysmans, un romanzo, fonte  peraltro di tuttele velleità estetiste dell'avanguardia:  fornendo unovvio spunto polemico non saprei quanto consapevole, nel caso addirittura masochistico a  chi da anni si occupava del rapporto tra le cosiddette  “avanguardie” ela linea dal Romanticismo al Simboli-  smo; ma anche agli amici di Milano che si riconoscevano  nel programma di Sintesi delle Arti pubblicato nello    H  |  FIL    sintesi allo studio b 24 dal 21-2 al i:  se  ?  i    fi  5  5!  È    s7   A. G. riproduzione di Verso Occidente, Biennale di Venezia stesso Bollettino, che prevedeva “il diretto concorso  di tecnici e artisti, sul piano della stretta collabora-  zione, per il raggiungimento finale d’un concreto il  quale aderisca alla funzione in armonia di colleganza  fra il mondo della forma, lo spazio e l'applicazione  pratica dell’opera collettiva”! viva il design, la grafica  e l'estetico diffuso, dunque. Come non bastasse, G. conclude l'asterisco citato rigettando qualsiasi  attualismo:” Che bel giorno quello in cui potremo  lavorare in pace al compito che la storia ci ha affidato,  certi che nonè sulla misura della contingente attualità L'asterisco, cioè l'osservazione, la messa a punto marginale  è il contributo che Galvano sceglie per intervenire criticamente  liberamente sui Bollettini del MAC (e altrove).   11 E Passoni, Le arti e la tecnica, Arte Concreta,  ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna. che il nostro lavoro verrà giudicato! Il fatto è che  G. non intende escludere tutta la complessità  di rimandi e proiezioni, soggettivi ed oggettivi, che i  linguaggi dell'immagine specialmente quando non  siano troppo condizionati da tecniche o ideologiche  motivazioni si portano dietro e dentro, e che, del  resto, la cultura moderna indaga con particolare  impegno e analizza con rinnovata strumentazione,  mentre altri linguaggi dell’immaginario—la poesia, la  narrativa, lamusica stanno sperimentando a tentoni  forme “nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere originarie. Neppure, d'altra parte, egli intende  abbandonare la pittura come linguaggio specifico,  proprio quella tradizionale (tela, carta o qualunque  supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a formar  figure); per quanto metta in conto uno spostamento  dall’iconico all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo,  dall’allusivo all’emblematico, dal geometrico al rit-  mico al gestuale; ciò che non precluderebbe peraltro  “la possibilità di uno scambio e di una penetrazione  sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa  per elementi, segno, colore, movimento, materia ecc. Confessiamo di essere segretamente d'accordo con Borgese [quando invita a rileggere A’ rebours]. Perché l'essere agli  antipodi [delle scelte di Huysmans e delle preferenze in pittura  del suo eroe Des Esseintes] è troppo vitalmente legato a ciò che  rifiuta per non riprenderlo su di un piano meno esterno: e le citazioni dalla Blavatzky e da Steiner del Kandinsky della ‘Geistige’,  l'appartenenza a circoli teosofici di Mondrian giovane, il fatto che  uno dei primi scritti italiani sull'arte astratta sia di J. Evola sono  ben significativi di un rapporto ambivalente — di rifiuto per la ca-  rica letteraria, moralistica o immoralistica, del simbolismo speso  alla spicciola nell’allusività delle immagini e della messa in scena,  e insieme di accettazione di quel gusto di allusioni e suggestioni,  di segrete corrispondenze tra immagini e speculazioni che nelle sue due facce: sensualmente umbratile l'una, simbolicamente  intellettuale l’altra hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia pure affidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di resa  alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di G. in “Arte concreta”. Azzardo un'ipotesi (certo suggestionato dal recente catalogo  della mostra La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini, Elec-  ta, Milano, in particolare dal saggio di Bracalente, Licini  oltre la geometria: una primordiale genesi del mondo): che Galvano non  abbia ignorato “Valori primordiali”, e in particolare l’opera di F.  Celiberti, anche lui proveniente da studi di storia delle religioni,  tanto importante per Licini proiettato dalla fine degli anni Trenta  oltre la geometria, specialmente nell’incrocio tra teosofia, esisten-  zialismo e fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi per  Spengler, Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica.  Dipingere con colori e pennelli ... è stata una costante del  mio lavoro nei suoi vari cicli, anche quando come spettatore ho  pregiato e difeso esperienze varie e opposte. Ma è certo che, se  è venuto via via recuperando alla mia pittura  quell’attaccamento alle gidiane nourritures terrestres che confessa-  vo in un altro mio scritto, nei quadri qui presentati esse hanno  perso ogni ghiottoneria che non sia quella dell'occhio contemplan-  te: in bocca è solo sapore di cenere. Ciottoli, fossili: l'eco della vita  in ciò che non ha vita o non l’ha più. G., Autopresenta-  zione della Personale, Piemonte Artistico Culturale, Torino).  Libretto di iscrizione a magistero. non diversi da quelli che consentono la valutazione  di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni”  concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di  un gioco alquanto provocatorio, portando il discorso  dal livello tecnico a quello culturale ed etico, di una  eticità sempre esposta, in un certo senso negativa  (“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice  inevitabilmente cristiana anche nella più spinta laicità). Firmando  con Biglione, Parisot e Scroppo quello che a ragione  o a torto è considerato il manifesto del movimento  torinese, G. aggira gli ottimistici programmi dei  milanesi, espressi nei manifesti dell’ Arte Organica, del  Macchinismo, del Disintegrismo, dell'Arte Totale!’  che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara che  carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la  “responsabilità liberamente assunta sul limite più  impegnativo ... di lotta contro ogni conformismo e  pigrizia intellettuale” nel campo della pittura come  in diversa applicazione estetica e pratica, senza compromessi e “senza pudore”. Il fatto è che G. (e   G., presentazione della collettiva, Bordoni, G., Jarema, Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano Cfr. “Arte Concreta L'unico atteggiamento ragionevole è quello di lavorare attendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito ama le posizioni  estreme ed attive, non i compromessi”. (G., L'evasione, in  “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in G., Diagnosi del moderno (cur. Ruffino). con lui Parisot, Scroppo, Montalcini, Biglione e Carol Rama, per nominare tutti i torinesi  che aderiscono più o meno convinti al MAC)ha dietro  le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non  ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare  alla frequenza orgogliosamente esibita fino all'ultimo  della scuola di Casorati (sul quale elabora un importante saggio che punta non poco  sulla stagione simbolista sull'argomento si rimanda  all'intervento in questo catalogo di Botta),  al rapporto con il neoimpressionismo dei Sei, in va-  riante espressionista; al fatto che egli medita, continua  a meditare sul significato e sul valore della scelta moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica  nelle ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha  una formazione teorica e storica — aggiungerei una  struttura psicologica ed una educazione — che non  gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia  del manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le  dichiarazioni programmatiche!8: una questione di  carattere e di stile oltre che di metodo e di cultura.  Del resto, G. affronta il  tema in testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno  in particolare: La pittura, lo spirito e il sangue”, che  uscì nel 1946 sul primo ed unico numero della rivista  “Tendenza”, nell’ambiziosa prospettiva dei direttori  responsabili — lo stesso G. ed Oriani — Rivista mensile di Arti figurative. Certo esistono di  G. saggi più importanti come quelli che elenco  innota?°, dove il tema è affrontato con argomentazioni  analitiche e storicamente complesse, ma continuo a  trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il  brevesaggio citato. Anche la data è importante, a guer- Il dubbio, lo scetticismo, l'ambiguità come tensione fra op-  posti sono fondamenti del suo metodo, che non è irrazionale, invece di un razionalismo critico che mai cede allo schema ideolo-  gico o alla rigida consequenzialità. Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come titolo per la  citata Antologia di G., edita dal Quadrante, Torino. Diversi saggi di grande respiro, G. pubblica negli anni  immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Elenco in ordine cronologico quelli ripubblicati sull’Antologia citata,  consenziente l’autore: Aspetti del problema estetico dell’esistenzialismo, Atti del Congresso internazionale di Filosofia, Castellani e C  ed.,  Roma; L'esistenzialismo, a cur. Castelli ZUBIENA (si veda), Milano; Storicità e significato dell’arte “astratta”, in Archivio di  filosofia”,  Milano, “Galleria di Lettere ed Arti; Medioevo e Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma  in alcune ricerche di estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In-  ternazionale di Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti-  ca”, Torino 1957; Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo  figurativo, Studi in onore di L. Venturi, Roma. All'elenco  si aggiungono i saggi pubblicati in successive occasioni: in partico-  lare sul catalogo della Antologica postuma: Omaggio a G., a cura di Fossati, Garimoldi, M. C. Mundici, catalogo della  mostra, Circolo degli Artisti, Torino e, con scelta assai più ampia ma ancora lontana dalla completezza, sulla recente antologia:  A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit. ra appena finita; come significative le collaborazioni,  che elenco per segnalare la ricchezza e la varietà dei  contributi, intesi a coprire in tutta la loro estensione  le cosiddette Arti figurative: C. Mollino e U. Mastro-  ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione d'Italia;  R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et nous  suit; I. Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dragone, Disegni, acqueforti e acquerelli di Bozzetti; Oriani, Costa; Mollino, Gusto dell’Architettura  organica; O. Navarro Il messaggio della cultura; ancora   G., Woyzeck di Biùchner, Oriani, Breve  discorso su due films di Cocteau. Aggiungo e non è un  dato secondario—dopo una pagina redazionale, quindi  d’Oriani che proviene dall'esperienza futurista” e dello stesso Albino “che proviene dal purismo  casoratiano e dal neoimpressionismo venturiano”,  dove si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma  l’inconciliabilità è segno di forza, di utile tensione)  la gratuità dell'atto creativo rispetto alla riflessione  critica, e l'autonomia del giudizio critico rispetto alle  generalizzazioni dell'estetica, in un tempo storico che  minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine del  regime politico e culturale comportasse il recupero  pieno della libertà e la sua pratica esplosiva.  L'avvio del saggio è forte, al solito compromesso,  e ancora una volta lo propongo. L'appello della pit-  LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE  L'appello della pittura risuona dal profondu del  nostro sangue  ancora con quell’urgenza — come  nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti  impegnati sino alle estreme ragioni della possibile  azione, gli slanci religiosi o i presentimenti sessuuli.  Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano lo  sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al-  l’innocenza d'allora, che vi riscatti la sin troppv  chiara coscienza del carattere composito e compro.  messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia:  il peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni  l'estetica crociana, non per nulla irritata coll’uomo  pascoliano troppo chiaramente  preanunciante le scoperte freudiane {e contro  Freud i erociani si armeranno della più ipocrita in-  comprensione) cerca di riprendere e di legittimare,  con la sterilizzata convinzione del carattere « teore.  tico» dell’arte, il troppo scoperto alibi kantiano del « bello come simbolo del bene morale.  Credo siu venuto il momento di confessare schiettamente che il bello, proprio questo bello artistico  che ci brucia sin dalla giovinezza ogni possibilità di  rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il simbolo del male morale. Tanto, anche eticamente.  dla questa franchezza non perderemo nulla.  Soltanto Nietsche ha insistito con sufficiente chiarezza su questo carattere, profondamente vitale e perciò profondamente « immorale » dell'attività  artistica: contro il quale assai poco mi paiono va-  lere le due obiezioni che implicitamente o esplici-  tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiritualisti. Se per i crociani ma credo che in GENTILE (si veda) l'implicita ammissione, inevitabile data l’identificazione di arte e sentimento e l’inseparabilità  dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto, fosse  più che sospettata dall'autore anche se la reto.  rica di cui sempre fu ammalato gli impedì di ammetterlo in termini chiari; che tuttavia non mancano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari-  seguaci: dal primissimo ABBAGNANO (si veda) disciogliente  tatto il reale in irrazionalità, appunto con una reductio ad absurdum dell’attualismo, ad EVOLA (si veda), a SPIRITO (si veda) se per i crociani, si diceva,  la scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza,  giocando sul doppio ruolo confuso insieme del-  l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso problema, i recenti spiritualisti ma anche fra di.  loro Stefanini, ad esempio, ammettendo una insufficienza dell’arte alla vita pur nella auto-  ì enza in ordine al proprio valore peculiare,  finisce collo svalutare moralmente l’arte candidamente invece sermoneggiano sulle comuni radici  del bello e del buono (nel secolo scorso queste  niaiseries di solito avvenivano su di uno sfondo  ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseologismo idealistico generalmente è rispettato anche  dagli spiritualisti che dell’idealismo dovrebbero esser avversari) e ci avvertono che il tormento dell'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il fan-  tasma che sempre gli sfugge è profondamente morale! ;   Dio volesse che fosse veramente così. E che si  potesse sul serio sperare che all'artista, dopo la  conquista su cui ha tutto giocato, della propria  immagine, fosse anche riservato per soprappiù il  paradiso delle religioni e delle etiche!   Sarà meglio invece guardarci chiaramente in faccia e chiederci se veramente per il puradiso provvi.  sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della  nostra anima  ammesso che «questa espressione  abbia un senso: quello cristiano, + quello di una  etica laica ma generalmente è cripto-cristiana  anch'essa riconoscere per che cosa abbiamo  scommesso; chè le conseguenze del nostro pari  atiche se lo avremo perduto non diventerunno duv-  vero peggiori per quest’atto di franchezza.   Rimane inteso che su questa rivista, che non è  dedicata a studi filosofici, non potremo farlo che  sotto l'angolo della pittura; ma poichè è questa  arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual  che esperienza vissuta e poichè d'altra parte non  crediamo se non ai discorsi che nascono da questa  specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori posto.   La coscienza rimane inquieta. E poichè sente  che tutto nel problema implica la discussione delle  RAMA Disegno Da «Tendenza, disegno di Rama. tura risuona dal profondo del nostro sangue ancora  con quell’urgenza  come nei quindici anni quando  sostituiva in camuffamenti impegnati sino alle estre-  me ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi  o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega  direttamente, intimamente la pittura (ma in genere  i linguaggi creativi) alla natura, al sangue appunto,  affermando “il carattere profondamente immorale  dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche,  negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e  Spiritualisti; e insistendo sulla presenza di una  volontà non risolta nella pura contemplazione, né  risolvibile, dato ilsuo orientamento verso l’immagine. La cosaè particolarmente evidente nelle arti figu-  rative e la multiforme e aperta a direzioni divergenti  attività ne è il paradigma. Ed è appunto ciò  che è sfuggito all’idealismo, a causa della artificiosa  distinzione di teoretico e di pratico, come al confusionismo attualistico che confinando l’arte nella sfera dell’immediato sentimento cade di fatto in un troppo  semplicistico naturalismo. La distinzione fra teoretica  e pratica è certo valida, ma all’interno di ogni singolo  atto spirituale nella sua integrità, ché la vita spirituale  presenta questi due aspetti come facce sempre distinte,  sì, ma sempre inseparabili.   Conclude G. (e in questa direzione trova  sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne “L'Immaculée Conception” dei surrealisti e in Breton, più che  nella poetica di Valery, almeno quando troppo insiste  sul pieno controllo cosciente dell'artista nell’elabora-  zione dell’opera): ‘Qui bisogna pensare ad  una volontà tutta inconscia, individuante e non ancora  individuata (come Schopenhauer presente) e ad  unopposto momento rappresentativo che solo giustifi-  ca il valore estetico dell'immagine raggiunta negando  nel sogno l’ebbrezza del movimento fisiologico.   Con un salto di parecchi anni, de La  pittura, lo spirito e il sangue ad una autopresentazione Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno saggio inedito di G., riportata da Garimoldi G.: progetto di una nuova cultura, in Omaggio a G. In Alain ovvero Chartier] l'accento cade molto più  che nell’estetica idealistica, sul momento del fare che su quello  del conoscere, e sulla resistenza del mezzo sentita come condizio-  ne positiva ed essenziale al sorgere del fantasma artistico, fanta-  sma che non sarà più un'immagine al tutto congiunta a priori ad  una materiale estensione che la traduce, ma che sorgerà insieme  all'atto di esecuzione e che soltanto a posteriori rispetto a que-  sto avrà la sua concretezza. L'opera non nasce nella testa o  nel cuore, nell’intelletto o nel sentimento, per poi essere realizzata  nella pietra o sulla tela, ma, direi, nel vivo pulsare del sangue al  polso quando questo gioca le resistenze e le tensioni, gli scatti e  le flessioni del pollice e della mano nell’urto con il resistente ma-  teriale. La scultura e la pittura sono meno la realizzazione visiva  di un'immagine mentale che la materiale traccia lasciata da un  gioco di ritmi fisiologici. È in particolare Merleau-Ponty (AUSTIN HATED HIM – GRICE – after Royamount_ a  sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a Cézanne.    lino Vieeate  colla (o crlize pus (olenda,  cuni (aza sr net&uk' a fr suina  und la gut rin % NAM (dA  Pene più 0 me0 Ara la rr tn he Ut    forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA Les    al caso TU fi  e fa dii  Lo val poco comi pila est;  ua dn AA    Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano Villata.  — scritta a mano “quasi si trattasse di una  lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”,  gallerista], nella quale ci si può confidare e divagare  come l'umore o la nostalgia suggeriscono” —, G/  ritorna sul rapporto fra il concepire e il fare, tra il fare e  il decodificare il senso in più o meno risolutive lettere;  ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza alcuna  intenzione di assumere valore esemplare o chiedere  scusa 0 simpatia, esponendosi in tutto lo spessore  di sensibilità e intelligenza, di impossibilità (a meno  che non si scelga o si accetti la rinuncia) di sottrarsi  all'impulso profondo. E anche senza compiacimento  narcisistico: ci si esprime non per coltivare l'emozione  ma per darne testimonianza e, per quanto possibile,  esporla a sé e ad una analisi non priva di crudeltà,  comunque oggettiva. È interessante seguire il filo  del discorso, che nella scelta del tono dimesso non è  meno teso del solito.  Prima motivazione del movimento pendolare tra  pittura e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia  dei colleghi dell'una e dell'altra banda: l'appartenenza  “ad una generazione [quella di Cremona, di Maccari,  di Mollino, per restare tra amici] e ad un ambiente Ripubblicata in G., La pittura, lo spirito e il sangue.; e in  G., Diagnosi del moderno, cit.,  All'inaugurazione di una sua personale.    in cui questo male, se male, era quasi una ragione d’orgoglio. Era la generazione dei nati all’inizio del  secolo, che raccoglieva dai protagonisti del rinnovamento dell’arte (secessionista o avanguardistico,  rappresentato per Albino, in primo luogo e per sempre,  dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non  meno di esperienza materiale che di elaborazione  intellettuale, un atteggiamento aperto, anzi tentato  da molteplici contraddittorie curiosità e linguaggi  espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di qual-  che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai  predecessori, forse anche per il confronto inevitabile  con una generazione successiva che tornerà a proporre  arroccamenti specialistici).   Seconda motivazione. Tutto quantohai odiato  o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà  peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial. I nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati  in parole, in segni e colori, in note, in spettacolo, il  loro repertorio non muta, non lo hai scelto, ma ne  sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno fatto,  la tua libertà non può consistere che nell'essere loro  fedele sino alla fine, libertà di adesione non di ripudio,  e libertà nella misura in cui con il tuo ripensamento e  il tuo scavo li trasformi da passivo esser fatto in attivo  assecondamento della sorte che essi ti hanno assegnato,  in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la loro  inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno  formato e consegnato all'oggetto che ti rivela agli  altri e in cui assumi responsabilità di confessione e di    10    proposta”. Insomma, è proprio il rilancio dal fare al  pensare e dal pensare al fare che definisce una identità  intuita come destino e accettata come scelta.   Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri-  menti terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è  anche vero che “una immagine retrospettiva di sé  è sempre un’interpretazione che porta il peso della  mutata identità dell’interrogante, del penoso carico  di nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi e ogni  interpretazione, specialmente nell'impegno auto-biografico, è anche una falsificazione”, per quanto  cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto  la “disgustosa e mimetica” confessione personale. Giusto nel mezzo, fra le due citazioni  (è il caso di ricordare che è il  tempo della svolta neodada e pop che mette in crisi  e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più convinti), G. mostra d’avere di questo destino  ironica e malinconica ma anche dura consapevolezza.  Del fallimento egli tesse un sistema, secondo i miti  di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal  Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae?  Il punto si identifica con questo estremo di  coscienza contraddetta e irritata: la certezza che la  via senza uscita dell’arte oggi non ha nemmeno  l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma  soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un  impegno individuale, quasi di una scommessa con la  propria intelligenza e con la possibilità e i limiti del  nostro stesso temperamento!”.   Diventano così esemplari l’ultima e penultima  produzione di G. pittore, alla quale viene dedi-  cata in questa mostra una intera sezione con i ciottoli le foglie i frutti, i relitti,  proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi, le  macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di  archetipi, congelati inluoghi comuni della pittura, tipi,  generi e maniere (il fascino baudeleriano dei luoghi  comuni! Ma già muovevano nella stessa direzione  ireos e cespugli d'iniziotracce che regrediscono  attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare e prima i segni asemantici, prima ancora (siamo nella  seconda metà dei ‘60) le bandiere, i nastri, i nodi e così  via: tutte figure emblematiche, primarie e coltissime,  che niente hanno a che fare con la semplificazione, la  banalizzazione pop. La pittura ivi coincide con la costruzione delle im-  magininominabili (nona caso varianti dell'icona della  cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi contesto,  su un fondo bianco che è il segno di una definitiva  separazione dallo scorrere fenomenico), e insieme la  pittura è automatismo oggettivo, registrazione fredda  della emozione costruttiva (se non creativa): infatti  presentata tipicamente come nodo, descrizione dell’a- G., La pittura a Torino, cit.    »m®)  da cor. 4 È  ut me rematori E  ua Br su :  Pa ù  LE  a   Con Gorza a Palazzo Te, Mantova   zione dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0  dello sciogliere e liberare (vedi la bellissima immagine  scattata, credo, alla galleria Martano).   Ma è tutta la vicenda di G. pittore e critico  che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per  cenni e con discutibili tagli.   Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento casora-  tiano: del maestro, G. non assume passivamente  il platonismo, consapevole che il rapporto di Felice  con la pittura è dal principio e resta nel tempo un  rapporto decadente, che diventa eticamente sano e formalmente classico solo per un atto di volontà  tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire  critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la  scelta di G.. Che il travestimentosia storicamente  giustificato su un modello rispettabilissimo come quello  gobettiano, non vuol dire che la sua sostanza più vera  non debba essere riconosciuta nonostante, attraverso  la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo  profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale.   Di G. è da  approfondire l’espressionismo che del resto condivi-  de con altri della sua generazione: Nella Marchesini,  Montalcini, Martina, Cremona, Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che  peso abbia avuto, localmente, Spazzapan che esaltava  l'ispirazione e deprecava l'istinto (viene in mente la  teoria di Klages, che insiste sulla attrazione magnetica  traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima ispirata  e creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla  volontà decidente e dotata di facoltà riflessiva che è  dello spirito”); e anche Levi, l’unico dei Sei che  partecipi intimamente all’espressionismo europeo, e,  fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale  Albino dedicò una bellissima recensione, che  è lo stesso anno della prima edizione del Casorati.   In un saggio intitolato Perché non possiamo non  dirci crociani, in “Numero G.  sottolinea che la sua generazione “decadente” deve  a Croce specialmente questo: d'essere stata messa  nella condizione di “accettare senza malafede e senza  rimorsi i dati di quella cultura di tardo romanticismo  che, così feconda quanto a ricchezza e sottile sensibi-  lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata incapace di una sistemazione totale... [insomma di poter  essere] decadente malgrado Croce, grazie proprio  al riscatto che il metodo crociano offriva”. Che è un  modo ottimo anche per comprendere come coerenza  di sistema e incoerenza pragmatica siano in G.  strettamente congiunte in dialettica tensione: la coerenza consistendo nella allarmata coscienza critica,  nella responsabilità che non può consentirsi “nessuna  comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni  scelta un esito che, per quanto imperfetto, è sempre  compromesso e rappresentativo. Come a dire che la  vitalità della ricerca costituisce un valore, non meno  che l'aspirazione ad una sistemazione che finalmente  rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà  di essere identici al proprio destino”. Perciò G.  non intende, tanto meno come pittore, tagliare i ponti  col passato (il suo passato, oltre che la storia); invece  semina il cammino di tracce, di residui, vorrei quasi  dire fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento  il cammino sia ripercorribile o almeno riconoscibile,  ma anche sostituibile. Egli, in effetti, sa che nulla  va distrutto e non consuma sacrifici liberatori. Per lui in particolare (adatto il titolo di un importante  saggio), La sublimazione astrattista non liquida  l'erotismo del Liberty, semmai ne prende le distanze,  per poterlo rimettere in circolo, come in un processo  alchemico in perenne rinnovamento.   Così G. passa necessariamente da un con-  cretismo geometrizzante, che di fatto ironizza ma  non banalizza - la geometria come privilegiata ma-  G., Per un'armatura, Lattes, Torino  nifestazione della razionalità e della chiarezza, ad  un concretismo informale che libera la possibilità  di una pittura scritta usando il campo come tabula  rasa 0 pagina intonsa, dove il gesto può scorrere ed  intricarsi, e/o come dimensione praticabile in tutto il  suo spessore magmatico, a sua volta ironizzato dalla  scoperta di una ritmica, di una metrica essenziale.  Come adire che è nella pittura nell'arte chesi realizza,  assumendo evidenza di mito visivo, feticcio laico, l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste  e moralismi ideologici.   Un momento certamente fondamentale, sarei  tentato di dire il perno sul quale ruota il resto è quello: quando la natura del gesto s'incontra  felicemente conlo schema, generando una concrezione  araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono-  sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante  della tradizione dell’ornato, raccolta e riavviata dal  Liberty: insieme puro gesto e automatismo assolutamente impuro. In questa mostra, il momento avrà  adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano  si guarda bene dal protrarre artificiosamente quel  momento (diciamolo pure, straordinario, quasi senza  confronto in Italia), tanto che si prenderà negli anni  immediatamente successivi una  pausa di riflessione che produrrà anziché pittura saggi  teorici che culminano in Artemis Efesia, per riprendere  il filo (la matassa) della pittura con proposte (in apparenza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1 padiglioni,  gli anelli di Moebius. Che cos'è la pittura per G., allora? Scrive di lui l’amico / avversario Argan, che ha scommesso sul progetto ideologico, vincente almeno per un certo periodo storico:  “Egli non risponde una volta per sempre, con una  definizione filosofica: infatti ciò che vuol sapere è  che cosa sia la pittura in questa precisa condizione  della cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale  sia il suo grado di vitalità, quali le sue possibilità di  sopravvivere in uno spazio ogni giorno più ristretto.   Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse che  proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto  critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e  anche la sua testimonianza sapienziale, che trascrivo  da una autopresentazione: Dunque la pittura, una meditazione sulla morte  imminente o il recupero della gioia ottica nello  spazio ripercorso in termini di colore e di luce, sia  pure della luce irreale della memoria e del sogno? O  la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio?  Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le  domande. Forse anche soltanto la monotona iterazione Argan, in catalogo della personale, Galleria Unimedia,  Genova G., Autopresentazione, in catalogo della mostra,  Piemonte Artistico Culturale, Torino di una passione per il dipingere, che ripercorre con  insistenza sigle che non è più capace di vivificare colla  curiosità e il gusto avventuroso della giovinezza”.  Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere  presenza di pittura e non illustrazione di concetti.  Pittore concettoso, a volte, mai concettuale nel senso di  illustratore di concetti: aggiungo, nel segno di una ineludibile, per quanto mascherata vocazione poetica.”  Si deve citare, almeno una volta, Sanguineti, allievo e amico, grande estimatore di G. Mi trovo forzato a pensare che, alle radici del  lavoro di G., come artista e come studioso,  stia un'immagine è la parola giusta che accenna  all'uomo come animale che è capace di immagine.  E dunque un’antropologia fondata sopra la facoltà  della visione,   In formula perfetta, a conclusione di Storicità e  significato dell’arte astratta, G. precisa. L'opposizione affermata da Mallarmé tra  la concretezza della vue e l’allusività delle visions,  l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del  visionario perché sa di non vedere sino a che la mano  non abbia realmente costruito nello spazio l'oggetto  che la passione progettava, sono divenute nella co-  scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta  tra il peso della memoria e la libertà pericolosa di una  iniziativa tutta affidata al risultato”. Garimoldi,  nel saggio più volte citato, sottolinea che G.  pone come centro dell’arte l’insoluto rapporto fra  espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente  collocato sulla linea romanticismo-simbolismo come  la vede Albino?), citando una autopresentazione del  La seconda parte di questo scritto elabora liberamente tre testi: in ordine cronologico, Témoignage de notre dignité, in Figure d'Arte, artisti a Torino, cur. Balzola, Cavallo, Ghinassi, Mantovani, Alberti ed., Pescara; A  proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il Novecento. G.  a cura di Pinottini, Bulzoni ed., Roma; G. pittore, catalogo della mostra, Galleria del  Ponte, Torino Sanguineti, Contro la ragione, “La Stampa Un saggio singolare, dove Sanguineti è figura nodale nella messa in  circolo della linea liberty; linea che Casorati, Cremona, Mollino e G. avevano mantenu-  ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è L'altra  faccia della luna Origini del neoliberty a Torino di Elvio Manganaro,  Libria ed., Melfi. Al saggio citato si deve la conoscenza di un testo di G.: Processo alla pittura in “Il Selvaggio, che dà originale contributo alla interpretazione della vicenda  artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio che  separa le Uova da quelle, o tra l’”Icaro senza ali e  le ali senza volo del Sogno, di Casorati naturalmente, perché  proprio Casorati è appartenuto paradigmaticamente ai due  mondi quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque. Manganaro, L'altra faccia della luna. G., Storicità Garimoldi, G Progetto di una nuova cultura, in Omaggio. Si dà arte solo quando il non differente operare  a fini strumentali o di puro edonismo è impedito e  stravolto dai sedimenti di una vicenda individuale che  s'insinuano e dominano dove pretendeva condurre il  gioco la razionalità del progetto decisionale. A questa condizione in ogni tempo si è cercato di opporre  la dignità dell’autocontrollo, certo vanamente,  ma anche proficuamente perché la possibilità di  coinvolgere gli altri non consiste se non nel pun-  tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale  traccia di segno o di tocco quel gioco d’insidie; l'istante  in cui l’inspiegata vicenda interiore si fa immagine ed  EMBLEMA Con Bartoli a Palazzo Te, Mantova, La discutibile scelta di privilegiare la pittura  come via di accesso alle molteplici attività di G. obbliga a segnalare gli autori che affrontano il caso con particolare intelligenza e puntuale  CULTURA FILOSOFICA. Sanguineti, in catalogo Antologica; Tessari, nello stesso catalogo, e G. e il mito, in  Figure d'Arte, Carchia, Prefazione a Artemis Efesia, nella riedizione, cit.;  Fossati, Autopresentazione, mostra personale, Galleria Weber, Torino Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di), catalogo della  mostra al Circolo degli Artisti; A. Balzola,  G. e D'Adda: l'immagine matrice, in Figure d'Arte; Gallino, e Salza, G. e Jung, in G. Ruffino, Introduzione in G. Diagnosi  del moderno, A parte, segnalo il “ritratto” che ne fa Fossati, presentando Omaggio a G.;  e le memorie che in circa trent'anni di colloqui non  di rado centrati su Casorati, Cremona e G. si puo raccogliere da Gorza, l'unico artista di  generazione successiva che per cultura e gusto potesse  essere accostato a G.. È proprio Gino a volere una  mostra comune con il significativo titolo di Sincronie  a Mantova in Palazzo Te; riannodando il  filo della presentazione che Albino gli aveva dedicato  dieci anni prima, per l’Antologica nello stesso luogo. Si ricorda all’inaugurazionela presenza di  Bartoli, documentata anchein una fotografia  dove il geniale interprete di Licini sembra inchinarsi al  geniale interprete di Artaud. Più recentemente, sempre  al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è stata  anche l'occasione per rievocare la figura di G.  con Tessari. Anche Tessari è mancato.  Prova di ritratto  e un Uomo riservatissimo, comea volte chi non si neghi  alla mondanità, anzi se la imponga come esercizio.  La leggendaria disponibilità, senza ombra di  debolezza, realizza una delle forme più aristocratiche  dell'etica, per discrezione in maschera di rigore professionale. Essenziale un fondo di malinconia, come  misura di una perdita irreparabile, e di nostalgia per  una totalità irreversibilmente frantumata. Tra distacco soggettivo e oggettiva commozione  scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive in  tracce stenografiche il diario di un sedotto e di un  seduttore per forza di un gentiluomo piemontese.   Sensualissimo lettore; scrittore capace di costruire  macchine logiche come trebbie di tortura, e di avvolgere  in sontuose inestricabili ragnatele (costante una specie  di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi):  trascurabile vi è l'inganno, perché la circonvenzione è  ignobile, specialmente d'incapace.   Come un dovere coltiva il diletto: su questo piano  potrebbe essere magistrale se non fosse troppo fine e  pericoloso un tal modello. Nel suo sistema, la pittura  rappresenta il concreto. Distratto semmai da irridu-  cibile curiosità, non è mai astratto. Ireos, sassi e conchiglie sigillano una storia sostanzialmente coerente, perché osano confronto con il  principio e la fine: così su una pietra tombale si posano  cose e il tempo vissuto, relitti nudi, epifanie senza velo. Omaggio a G. Catalogo mostra antologica, Palazzo Chiablese, Torino Catalogo mostra antologica, Circolo degli Artisti, Torino.  Atti del convegno, a cura di M. Pinottini, Torino Antologia di scritti di A. G., a cura di A. Ruffino, Aragno Electa Piemonte  G. cur. Pinottini    BIBLIOTECA DI CULTURA BULZONI G.: la fedeltà alla pittura  Motto  Il magistero casoratiano e la prima figurazione  Galvano nacque a Torino l’anno d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon  di Picasso che segnò l’imporsi e il susseguirsi delle  avanguardie: « che nel bene e nel male problematico  doveno caratterizzare, inconcomitanza concrisi  umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo  sino a porre oggi il problema della morte dell’arte qualunque cosa si intenda sottolineare con questo  termine apocalittico. G. pur muovendosi nel  solco della modernità, affondava le sue radici in una  meditata e personalissima assimilazione di riferimenti  pittorici dell'Ottocento e del primo Novecento, ben  lontano dalla reazione e dall’inattualità. Apparteneva  all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il  centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclude, la cosa è molto torinese, rapporti amichevoli o  per lo meno corretti con gl’avversari. Venne segnata la temperie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di  seguito enunciata in pochi assunti utili a comprendere  l’ambiente artistico nel quale G. s'introduce: la comparsa di FCasorati alla Promotrice  come artista rivoluzionario e di rottura; la  breve esistenza di Gobetti e il suo cenacolo  antifascista; le polemiche e la reazione dell'ambiente  cittadino alle scelte di gusto antinovecentiste di  Venturi rivolte all'arte di nuovi primitivi,  gl’impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei  sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e  Venturi) che rinunciarono a Roma madre per Parigi  amica; e la vitalistica apertura culturale europea del  finanziere, collezionista e mecenate Gualino. Dopo un precoce apprendistato con il pittore  Pisano e il maestro di disegno Vannini,  l'educazione di G. all'arte contemporanea si svi-  luppò suriviste di settore (in particolare”“Emporium”  e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione delle  Biennali veneziane. Alla rassegna G.  puo osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati  che rappresentò «la scoperta del mondo nuovo e spre-  giudicato che si apriva alla nostra cultura: l'ingresso  del mondo “moderno. Ai iscrisse alla Scuola Libera di  Pittura di Casorati (sorta a Torino e strutturatasi maggiormente dnella nuova sede di via  Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino. Il suo magistero, lontano da  G., Autobiografia, in Pizzetti e  Givone (cur.), G., catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Regione Piemonte, Torino Galvano, Torino e i «Secondi futuristi», in G., Diagnosi del moderno. Scritti scelti cur. di Ruffino,  Aragno, Torino G. (al centro, seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri)  Scroppo, Maugham, Galvano, Cremona,  Casorati, Rama, Bertolè, Valpellice. Ogni sistematicità d'accademia, non è solamente  estetico ma anche pregno dell'eredità etica e politica  gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro» che  esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto  fondamentale della sua formazione fu il trovarsi par-  tecipe di un ambiente che lo salvò «tanto dal rischio  di un'adesione acritica al regime imperante [...] e da  quello ben più grave [...] di un'immersione o som-  mersione nella Torino di quel tipo di borghesia che  amava in pittura Giacomo Grosso». L'insegnamento  del «platonico» Casorati, pervaso «d’una signorile  severità», verteva su l’«insieme» e il «tono». Dal saggio Casorati di G. (Hoepli, Milano) si legge che il Maestro consigliava  agli allievi di «imparare a vedere il più semplicemente  possibile la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale,  non la forma dell'oggetto. La forma serve qui  a distruggere la linea ed a passare al colore [...]»*.   Il clima della scuola di via Galliari fu efficacemente  narrato da Lalla Romano ne Una giovinezza inventata:  «Verso sera venivano sovente visite: Rossi,  Soldati, Levi. Levi ridacchia con lei sull'indirizzo classicistico della scuola, dove gl’allievi più ambiziosi preparano un bozzetto per il  quadro. Ride ma affettuosamente. C'è UNA BASE CULTURALE COMUNE: IL DISPREZZO PEL FASCISMO. I  nomi citati sono solo una parte delle personalità con  cui G., all’inizio degli anni Trenta, instaurò un  duraturo rapporto amicale sulla via del confronto  artistico, tra gli altri: Montalcini, Bonfantini, Chicco, Cremona, i sei e  Gobetti, Iniziative d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo Casorati, in “Il Mondo”, G., Autobiografia G., Casorati, L. Romano, Un invento, Einaudi, Torino Argan, ma anche Mollino, Mila, Ginzburg ed Antonicelli.   La pittura postimpressionista di G. si orienta in un contraddittorio intento di tenere insieme i valor plastici  di Casorati e quelli dei Sei» il cui risultato «pesante e  impastato» fu autocriticamente espresso dall'artista  stesso. Anche una certa l’arte d'oltralpe praticata da  stranieri fascina G. (Vlaminck, Terechkovitch, Krog), mentre i rimandi  nostrani furono indirizzati alchiarismo lombardo eai  tonalisti romani. Quei loro mezzi misi sfasciano ed intorbidivano tra le mani, rimanendo parentele  d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva  la dispersione e la perdita di tempo. Un repertorio antinovecentista di temi iconografici ricorrenti segnò quel periodo: pesci, molluschi, conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi e  acquasantiere barocchi, nudi tortili come molluschi  e paesaggi incerti tra quegli andamenti sinuosi e un  modesto cezannismo che era nell’aria, G. s’inserì nel circuito espositivo nell’anno in cui le arti si avviavano verso la loro FASCISTIZZAZIONE di forma con l'istituzione del SINDACATO FASCISTA a cui venne affidato il compito di gestire le  manifestazioni espositive periodiche sul territorio  nazionale. Il rapporto con la società artistica di un  Novecento sarfattiano (a un passo dallo smantella-  mento definitivo) e della retorica celebrativa di Stato  era destinato tuttavia a un sostanziale fallimento.   A Torino G. esordì nell'alveo casoratiano  in due mostre della scuola. Sono regolari le sue presenze alle espo-  sizioni annuali della Promotrice di Belle Arti con più  sporadiche puntate alla Società degli Amici dell’arte.  Il filosofo ZANZI (si veda), in una recensione riguardante un'esposizione di vendita torinese del 1934,  sagomava i tratti pittorici di G.: sfuggito anzitempo alla disciplina rigorosa della  scuola di Casorati. Il Galvano in certe composizioni di  nature in silenzio ricorda la chiara e sapiente pittura  del Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto della  pennellatona agile ed abile, cara passione di qualche  post-impressionista»".   Alle rassegne di carattere nazionale Galvano  prese parte alla I e alla Il Quadriennale romana dove vi fu una discreta rappresentanza torine-  se e piemontese: Felice Casorati e il suo discepolato  (Paola Levi Montalcini, Nella Marchesini, Sergio  Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham,  G., Autobiografia G., in catalogo della mostra, Galleria La Giostra,  Asti Zanzi, in “La Gazzetta del popolo G. e Scroppo alla I Mostra Internazionale  dell'Art Club, Palazzo Carignano, Torino.    parte dei sei ( Levi, Menzio, Paulucci), Milano, Mastroianni,  ICremona. Alla Biennale di Venezia G. presenzia con un’opera nella stessa sala di  Casorati e allievi, mentre nell'edizione espose  isolato (a Chessa venne  dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci  comparivano attigui).   In questo periodo sono da indagare infine le par-  tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo. Fuuna manifestazione, insieme al Premio  Cremona, che svelò la dialettica artistica italiana: due  componenti antitetiche dello stesso volto del regime.  Il primo (promosso da Bottai), più elitario,  «si riallacciava a un versante dell’arte italiana colto,  internazionale e post-impressionista»!* suscitando  polemiche nell’ala più intransigente del fascismo; il  secondo (voluto da Roberto Farinacci) era sintonizzato  sull'onda delle mostre hitleriane.   AII Premio Bergamo del 1939 (in giuria Casorati,  Funi, Longhi e Argan) il terzo riconoscimento venne  suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava la  presenza romana di Capogrossi e quella  piemontese con Menzio, Paulucci, G. e Martina (è presente anche Galante, non  premiato). Al secondo Premio Bergamo G. riceve una particolare menzione e il suo  dipinto fu acquistato dal Ministero dell'Educazione  Nazionale. Galvano espose anche alla terza e alla  quarta edizione (vincitore l’intimista Menzio),  la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso,  reinterprete drammatico e rabbioso di un’iconografia  mutuata dal sacro: anticipazione in chiave cubista  della militanza postbellica.   Il ventennio Trenta-Quaranta contrassegnò inol- AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia intorno agli  anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano tre il compimento della formazione intellettuale di  G. che si laurea (con GAMBARO (si veda)  ed ABBAGNANO (si veda) con una tesi sulla pedagogia  della religione: atto dell’approfondito confronto con le tematiche spiritualiste, antropologiche  e filosofiche, in primis l'influenza di CROCE (si veda) e Bergson.   Tra le sue prime prove di critica d’arte si possono  menzionare il saggio su Spadini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio su Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il  periodico milanese “Le arti plastiche e la redazione delle cronache d’arte torinese per Emporium. Si ricordano inoltre i volumi  (per  l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte  dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale;  il saggio Casorati edita da Hoepli (uscirà una seconda edizione) e Tre nature morte:  Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a Torino. È assistente alla Cattedra di pittura di Paulucci  all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino ed insegna storia FILOSOFIA negli istituti liceali. Tra gl’allievi  con i quali mantenne profondi legami si ricorda   Sanguineti.  Dalla fase espressionista verso l'astrattismo, al termine del conflitto bellico per Galvano e gli  artisti della sua generazione s'impose il confronto con  l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna non  è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo,  ma quella che di voler essere moderna ha programmatica intenzione! [ Che assume come categoria  predicativa l'affermazione di novità rispetto ad  una situazione di cultura storicamente conclusa. Il concetto di moderno si chiarisce, così come un  concetto etico  per cui l'avversario non è un  modesto o nullo artista, ma il traditore di una causa  totale, il reazionario che non merita pietà e al quale  non giova la buona fede». Queste lucide affermazioni  di G. aiutano a delineare un settore della sua  linea di pensiero che contribuì ad animare il vivace  dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel  compatto blocco culturale che tentò  una ricostruzione «morale e civile» della società. La  posizione politica di G. dopo la Liberazione è abbastanza distante dall’ideologia estetica del fronte  comunista. L'urto non è tanto fra tradizione e  innovazione, anche meno tra astratto (o concreto)  e figurativo ma tra militanza costruttiva ed  autonomia critica. G., Moderno, in Enciclopedia Universale dell'Arte, vol.  IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia Mantovani, Il malessere dell'arte, in G., La pittura,  lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Quadrante,    E;    Negli anni postbellici il complesso confronto-  scontro con Croce è ineludibile e la posizione di  G. (sviluppata in anni più tardi nel fondamen-  tale scritto Perché non possiamo non dirci crociani)  merita qui qualche breve accenno. L'intuizione pura,  come atto teoretico astorico, non poteva prescindere  dalla soggettività dell’«opera manuale». La polarità  non sussisteva tra il bello crociano, simbolo del bene  morale e il suo opposto, quanto tra lo «spirito» (il  momento razionale - contemplativo) e il sangue (il  principio vitale inconscio che in ultimo concretizza  l’opera con il linguaggio scelto). Scriveva Galvano  nel numero unico del periodico “Tendenza” (coideato con Oriani): Questo bisogno del  sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e  le accuse di naturalismo degl’idealisti o quelle d’immoralità degli spiritualisti è essenziale all'opera  di pittura. Essa cade o sussiste con il sangue non con  lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in quegli  anni anche su quotidiani come La Nuova Stampa e Mondo Nuovo. La pittura di G. si apre  ad una fase espressionista slargandosi e semplifi-  candosi in campiture bidimensionali dai contorni  lineari marcati e attraverso l’uso di un cromatismo  timbrico. In un testo di autopresentazione l'artista esplica. Così quando, Guttuso  guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente”  sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo  alla pittura italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei  coetanei e ai loro discepoli molto più giovani di me, e  con un bilancio piuttosto negativo. Tentavo così  una soluzione in un breve periodo di esasperazione  “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si trasforma in “allusivo” IMPLICATURA COME ALLUSIONE ED ILLUSIONE) a quelle immagini che puo  considerare suoi.   G. puntualizzava inoltre di essere stato  tentato verso «esperienze varie di carattere cultu-  ralistico, fra cui un primo richiamo al liberty che  allora fu aspramente rimproverato da certi critici (Podestà) come incomprensibilmente anacronistico  ma che almeno come recupero critico, rappresentava  un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di  moda un ventennio più tardi.   Nella Torino della Ricostruzione gli spazi espositivi sono esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi  con una libreria come per esempio la Faber,  dove G.  partecipa ad una Antologica  di Maestri contemporanei. Alla personale di G.  presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di  fronte ad un artista dalle varie esperienze», denota Torino G., La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”  G., Galleria la Giostra G., Autobiografia Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce  spesso a lievitare le acquisizioni culturali ed a tradurle  in efficienti risultati creativi». Il molteplice approccio  stilistico, confessato dallo stesso G.  nell’auto-  presentazione, è qui confermato: «leggero  impressionismo, decorativismo un po’ orientale,  motivi che tendono a risolversi in figurazioni quasi  astratte». La fase pittorica più recente, concludeva  Gatto, «pare indirizzarsi verso una pittura dominata  da una volontà ed un’ansia di sintetismo formale»?.   Alla Biennale di Venezia del 1948 (la prima edi-  zione al termine del ventennio fascista nella quale  emersero le linee essenziali degli sviluppi dell’arte  moderna europea) Galvano partecipò su invito con  cinque opere (nudi e nature morte del 1947-48) in sala  con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu parecchio  vasta la partecipazione di artisti torinesi sulla via  dell’astratto: Sandro Cherchi, Mario Davico, Garelli, Gorza, Montalcini, Mastroianni, Moreni, Parisot, Rama, FScroppo. All’edizione, nuovamente su invito, G. è presente con tre opere (in  sala con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Turcato,  Vedova, Zigaina).  Si registrarono nume-  rose partecipazioni dell'artista a rassegne nazionali di  verifica diretta degli sviluppi artistici contemporanei,  tra cui la Quadriennale romana  e la mostra  collettiva Arteastratta e concreta presso la Galleria Nazio-  nale d’arte moderna di Roma (il comitato esecutivo era composto da Joseph Jarema, Palma Bucarelli  e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in catalogo  analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi  verso una direzione lontana dal «formalismo astratto»  insenso stretto e intesa attraverso la «‘“proiezione” nelle  strutture dell'oggetto stesso di una carica emotiva, che  asua volta presuppone la totalità spirituale dell'artista  impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una  prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè  in ultima analisi in un punto di vista etico e metafisico. Non può perciò stupire che anche a Torino siano  proprio gli artisti più responsabili di fronte a un loro  mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo  cercar nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici-  pale” o di gruppo: se mai l’unità “torinese” di questi  pittori è nella condizione di cultura cui lo stesso schivo  etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città in  cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate,  propizia»”!.   Rilevanti furono inoltre le sortite extranazionali. In occasione della mostra nizzarda, Peintres  de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com- Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”.   G., in Arte astratta e concreta, catalogo della mostra,  Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma.  Con Paulucci, G. e Scroppo. Conferenza al Circolo degli Artisti, Torino.    posizioni come «feticci laici», «costanti di sentimenti  e impulsi» che non necessitavano di riportarlo a una  rappresentazione esteriore e imitativa. La topografia  spirituale di questo mondo che non è né meccanica né  architettonica, ma piuttosto organica e determinata  soprattutto dalla tensione tra le forze elementarie vitali  pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o me-  tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle  nello spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle  quali nei miei quadri faccio a volte allusione anche  attraverso i titoli stessi.   Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina  d'Ampezzo) il critico Luigi Carluccio seguita di  rimando: L'artista si è portato sempre su posi-  zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il dialogo  fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni.  Il  temine feticcio laico annota con felice incidenza  che all'origine degli impulsi e dei sentimenti è sempre  vivo lo stesso dibattito tra la pressione vitale di forze  elementari, naturali, e l'aspirazione ad ordinarle in  una ragione metafisica.   Il rivolgersi all'arte d'oltralpe (già a partire dalla  mostra Arte francese d'oggi, Roma e Torino) ebbe  degli echi a Torino con le sei edizioni della rassegna  Pittori d'Oggi Francia- Italia promosse da  Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima e alla terza, così come figurava ai due  Premi Saint Vincent messi in piedi dalla  fronda democristiana capeggiata da Carluccio in re-Carluccio, in Mostra Nazionale del Premio Parigi catalogo della mostra, Cortina d'Ampezzo e Parigi Con Chessa e Matteis.    azione al Premio Torino, troppo polarizzato  a sinistra secondo il critico.   È di vitale importanza ricordare infine il ruolo  di G. come animatore culturale nel clima  di fermento postbellico, dapprima impegnato  attivamente come promotore dell’Unione Culturale  (raccolse intellettuali antifascisti tra cui  Einaudi, Mila, Antonicelli,  Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio,  Levi) e come propugnatore di due rassegne  artistiche: la I Mostra Internazionale dell'Art Club a  Torino e la Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice. La prima con presidente Casorati e segretario  Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art  Club, un'associazione apartitica internazionale —  mirava a presentare le nuove voci artistiche italiane  e di diversi stati esteri. La seconda, aveva sede a  Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie  possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde-  si, una secolare tradizione di cultura che ha i suoi  particolari caratteri di pensiero e di ispirazione. È stata ideata insieme a Scroppo, artista  e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi  dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino)  e da Bertolè notaio e illuminato collezio-  nista di moderno. La Mostra d’arte contemporanea appuntamento estivo annuale protrattosi per un  Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra,  Collegio Valdese, Torre Pellice quarantennio al quale G. espone  assiduamente—trasformòla cittadina della provincia  torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle  ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara  puntata internazionale.    Il Movimento Arte Concreta Il confuso ribollire di tendenze astratteggianti,  che impera anda delineandosi  verso l’elusione dell’astrazione su base mimetica in  favore del concretismo. Una lucida definizione della  corrente venne offerta da Dorfles in un saggio, il così detto manifesto del Movimento Arte  Concreta fondato a Milano insieme  a  Munari, Monnet e Soldati.  Dorfles precisa il concetto di concreto che non cerca di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto  o il pretesto dal mondo esterno e astraendone una  successiva immagine pittorica, ma che anzi andava alla  ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla base  del dipinto senza che la loro possibile analogia con  alcunché di naturale avesse la minima importanza.   L'adesione formale al MAC di G. e un gruppo  di giovani torinesi — Biglione, Parisot,  FScroppo e in seguito Rama e Montalcini — avvenne. A Torino il coagulo del  Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe-  tiche, abbastanza distante dal rigore costruttivista delle  soluzioni compositive lombarde che fondava le sue basi  nell’Astrattismo storico internazionale e locale degli  anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare  la presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle  personalità torinesi e ci si limita al solo caso di G..  1] distacco di G. dal comitato promo-  tore del Premio Torino (la prima manifestazione locale di  arte attuale italiana dopola fine della guerra)non avven-  ne solo per posizioni politiche. Come chiariva Giuliano  Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino, per una parte di artisti si trattava di una scelta  di «lettura in quelle matrici dell'avanguardia europea  quasi in contrapposizione alle matrici trovate allora  in un neonaturalismo e del Fronte nuovo delle arti.   Per G. e il discepolato della scuola di Casorati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra  concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura  altezzosase vogliamo, ma attenta. Aveva purelasciato  ineredità una figurazione latente, una scansione dell’og-  getto che verrà dai torinesi lentamente e sofferentemente  decantata»°. Uno smarcamento, dunque, in totale buona   Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra, edizioni Schwarz, Milano. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino Martano, in Arte concreta a Torino pace del Maestro, che anche G. intraprese: la via  verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare.   La sua poetica, tra i torinesi, era la più distante dal  concretismo «proprio perché non è mai d'origine sperimentale ma la sua avanguardia si pone sempre come  una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma  come contrasto immediato fra una realtà esterna ed una realtà interna quasi avida di controllare im-  mediatamente sul terreno stesso dell’accadimento, la  validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in via  sperimentale»?   Gli aspetti strettamente contenutistici della pittura  di G. sono in diretto contatto con i suoi interessi in quanto  studioso di filosofia e FILOSOFO e storia delle religioni. Griseri nota che gli entusiasmi per  Kandinskij volto all’astratto e per il primo Kupka  giungevano a una presa di posizione nell’ambito  dell’arte non figurativa, chiarita in numerosi saggi, in cui G.lumeggia la derivazione dalla  secessione di Klimt di molta arte contemporanea in  una interpretazione nuova dei rapporti art nouveau-  Liberty e astrattismo. Degli scritti galvaniani degli  anni Cinquanta ai quali Griseri si riferisce citiamo almeno: Storicità e significato dell’arte “astratta,  Dal simbolismo all’astrattismo, Le poetiche del  Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo.  Gl’intendimenti del manifesto del MAC torinese  sono piuttosto netti. Più in generale erano  incontrapposizione con il dibattito dilagante in quegli  anni che scindeva gli artisti tra formalisti e realisti, con-  tro il neopicassismo ed estranei al «pudore» del compromesso dell’astratto-concreto di Venturi. A livello  localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione  dall’orbita casoratiana, dal neoimpressionismo dei Sei  e dal secondo futurismo con il quale condividevano  lo spirito avanguardistico, ma certamente non gli in-  tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo firmarono  il testo programmatico, con la responsabilità di «lotta  contro ogni conformismo pigrizia intellettuale». «Se  il nome stesso di arte concreta sta a significare  il desiderio di rigore di chi ha rotto ogni ponte con  tradizioni storicamente esaurite per sostituire la  loro ricerca d'una diretta presentazione d’oggetti  in cui si vengano obiettivando i bisogni spirituali  dell’uomo, come negli strumenti del suo lavoro quo-  tidiano si proiettano i suoi bisogni materiali. G., pur immerso in una personalissima  ricerca non figurativa, nel periodo che all'incirca si    estende, sviluppò una maggior  Griseri, G., in Dizionario Enciclopedico, Utet,  Torino Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte con-  creta” Caramel, Mac Movimento  Arte Concreta Electa, Milano adesione al MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato  dall'andamento curvilineo delle partiture, si popolò  di forme squadrate dalla linearità spigolosa. Tutta-  via, la freddezza costruttivista e il rigore logico del  concretismo erano solo apparenti; l'artista puntava  al contrario «ad un'arte che preservi il dialogo tra gli  schemi astratto-geometrici e quelli compositivamente  più liberi, moduli grafici e forme archetipiche non  direttamente razionalizzate.   Un precoce avvicinamento ai concretisti lombardi lo si data. G. èpresente a  Milano in due collettive: con Scroppo (presentati da Monnet) presso la Libreria Il  Salto, cenacolo della pittura concreta milanese e  alla mostra di pittura astratta italiana. Astrattisti  milanesi e torinesi allestita alla Bompiani dove esponevano i piemontesi Costa, Davico,  Mastroianni, Parisot, Scroppo, Spazzapan). I maggiori rappresentanti della corrente di entrambe le  regioni figuravano, G. compreso, anche alla  II e III Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice.   L'allineamento al MAC di G. fu palesato  anche dalla sua presenza ad esposizioni promosse  dal gruppo. La sortita d'esordio dei torinesi (Biglione, G., Parisot, Scroppo ai quali si aggiunsero  anche Davico, Merz eGiannattasio)  avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra  Pittori astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu  però la prima presenza organica del concretismo in  città poiché presso Il Grifo  si affacciarono alcuni esponenti milanesi così come  alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove  comparve una nutrita schiera di astrattisti tra cui  anche G.. Commentando la mostra presso  Gissi, sul bollettino Arte concreta G, esibe la profonda sicurezza di una non superficiale  accoglienza nell'ambiente cittadino e rilevava la  sfaccettatura di posizioni della compagine torinese  che collimavano in una base comune di principi. Principi che possono riassumersi in una profonda  fiducia nella capacità dell’uomo ad esprimersi e a  comunicare con gli altri uomini, attraverso il puro  linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la  coerenza ch’esso sa imprimere ad un discorso i cui  vocaboli non hanno bisogno di essere immagini e  finzioni per legarsi a una sintassi espressiva e, nei  casi più felici, poetica.   La politica espositiva del gruppo torinese non  Mulatero, in P. Mantovani, I. Mulatero (a cura di), Lucide  inquietudini. Storie singolari dell’astratto-concreto, Civico Museo d’arte Contemporanea di Calasetta, Calasetta G., Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla  Saletta Gissi, in Arte concreta n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac  Movimento Arte Concreta Con un'opera dalla serie i Nastri.    ebbe seguito se non l’anno successivo alla Galleria  5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata da  G. che figurò in svariate mostre organizzate  dal MAC, si ricordano qui le principali: Pitture di  G. in un esperimento di sintesi, presso lo  Studio b24 di Milano (valla pena rimandare  agl’asterischi galvaniani di quel periodo, quasi  privati manifesti sui bollettini Arte concreta che chiariscono la sua posizione all’interno  del movimento) e lo stesso anno a Torino da Gissi  esposero pittori concretisti italiani e francesi (G. presenta collages polimaterici di ascendenza  prampoliniana); sempre al Torino l’anno successivo  G. è presente ad una mostra allestita dallo  Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile.  Si menziona a parte la collettiva presso la Galleria  il Fiore di Milano dove G. espone  insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e Scroppo. Nello  scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti  analisi nei riguardi di un’«arte figurativa che non  ripeta ma continui la natura», invitando il visitatore  a riflettere «che l'apparente chiusura ad una più  ovvia comunicazione di queste opere nulla intende  precludere alla possibilità di uno scambio e di una  penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa per elementi, segno colore, movimento, materia, ecc., non differenti da quelli che  consentono la valutazione di ogni buona pittura.   Non sono da dimenticare infine le presenze alle  Biennali veneziane con la sua  produzione concretista e la ripresa espositiva alle  rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di  Torino.    Dall'Informale al neoliberty floreale, il logico passaggio all’astrattismo di G. culmina  in una fase di tensione tra impaginatura attenta alle squadrature neoplastiche e colore tonale impastato. La  vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta  attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò  a un lento e graduale sfaldamento delle sue strutture geometrico-architettoniche a favore dell’indipendenza dell'immagine e al protagonismo di una  componente espressiva. Sul piano formale il gesto  pittorico si faceva emancipato e l’organicità della  materia riprendeva vigore. Si segnò qui il definitivo passaggio di G.  all’Informale, lontano dall’interpretazione del neona-  turalismo propugnata dal duo Carluccio-Arcangeli  (è proprio che sono presentati a Torino l’artisti informali presso La Bussola  nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che  rivelava la volontà di mantenere una continuità con  il passato e la natura.   L'evoluzione del concretismo impose a G. (e  alla compagine torinese del MAC) un binario doppio  di direzioni che nonsiindirizzò all’antipittura quanto  piuttosto alla scelta di rimanere dentro la pittura  nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà  verso l’Informale. Un Informale, sosteneva G., affine alla declinazione di un LINGUAGGIO ASEMANTICO in cui tuttavia potessero trovare esito quelle ALLUSIONI O IMPLICATURE PRAMMATICHE SIMBOLLISTICHE che hanno un posto ben rivelato  dai titoli dei suoi quadri del periodo astratto-concreto  Rica pe   Una delle prime esposizioni che offrirono un  G. smarcato dall’astrattismo di matrice con-  creta fu la personale alla  Biennale di Venezia mirabilmente introdotta  d’Argan. La radice comune della sua  pittura è la distinzione netta tra i concetti di forma  e immagine. L'idea di forma è inseparabile dall'idea di arte come rappresentazione, implica sempre un  contenuto di nozioni, un riferimento alla natura, un G., in Bordoni, G., Jarema, Parisot e Scroppo,  catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano  G., Autobiografia G., in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo G., Autobiografia processo dioggettivazione. L'idea diimmagine supera  ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività costante  di quod significat e quod significatur; mira a designare  un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap-presentazione un'immediata semantica. Segue  Argan. La sua è la ricerca di un'immagine che non  abbia determinazioni dirette o indirette nel mondo  esterno, che non si manifesti per via di similitudini o  allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e  le sue ragioni esclusivamente umane, che si ponga ad  un tempo come noumeno e come fenomeno. Così  la materia, non la forma, diventa mito ed immagine;  e la materia è il colore, ma anche IL SEGNO, la linea, il  punto. G. venne invitato da Ragghianti per una personale alla Strozzina di Firenze. Nell’autopresentazione l'artista  tenne a ribadire ancora una volta le convinzioni e la  coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano  condotto all’Informale. La formazione spirituale  si ècompiuta, esplica G., attraverso la  sua adesione alle correnti non figurative, a quell'inversione del simbolismo nell’astrattismo che ho  cercato di spiegare storicamente in sede critica. Perciò  a Kandinskij e al Kupka agli americani  Pollock e Tobey, ai polimaterici di Prampolini. L'unico germe di “manifesto” è quello sul feticcio  laico. Feticcio cioè metafisica, ma laico cioè antimetafisica. Crede si possa essere antimetafisici solo  nella misura in cui si è contro le false metafisiche. Nel  caso dell’arte contro la falsa ispirazione, l'evasione  sentimentale. Il mezzo informale di G.  vira verso accezioni neoliberty. La copertura totale  della tela della prima fase si distillò per mezzo di uno  sfondo neutro solcato da grafismi pittorici orientati  sempre meno verso un'immagine quanto in direzione  di archetipi floreali e calligrammidi scrittura gestuale.  Galvano recuperava, seppur allusivamente, attraverso  una nuova definizione di immagini, la figuratività  «trasformando o meglio puntualizzando i feticci  laici in emblemi esplicitati in forme larvali di  iris, i fiori paradigmatici del Simbolismo. Oltre alle regolari presenze alle Promotrici torinesi e  alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la  puntata alla collettiva berlinese presso la Maison de  France, le partecipazioni al Premio Bergamo, ai Premi Arezz e Fiorino.    (Firenze) e alla Quadriennale romana.  Di particolare rilevanza in quel periodo furono Argan, in catalogo della Biennale di Venezia,  Venezia G., in catalogo della mostra, Galleria La Strozzina,  Firenze G., Autobiografia  Due mostre. La personale presso Il  Canale di Venezia presentata da Edoardo Sanguineti  che così ultimava il suo scritto: «I fiori Mallarmé ci  costringono anche a riguardare di nuovo in faccia la  posizione dell'artista las que la vie étiole, portando cosìla  pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto  importante, di smascheramento dell'avanguardia,  nella forma, secondo le possibilità “moderne” di uno estraniamento.  Nella collettiva (G., Scroppo e Montalcini) al Quadrante di Firenze, Dorfles, accogliendo gl’enunciati di Sanguineti, alluse  altresì ad un significato orientaleggiante delle pitture  di G. che avevano: accolto nella loro matrice  compositiva quasi il vuoto il sunyata di certa arte  zenista, purrimanendo lige a una composta scansione  di ritmi dell’Abendland.   Pittore dunque in senso tradizionale si define G. che ricusava le forme antipittoriche, schiuse  alla strada dell’arte-oggetto (della quale si interessò  in sede teorica), per abbracciare una «simulazione  d'avanguardia». Un profondo disagio lo conduce a compiere una pausa dalla pittura  causata probabilmente dal cortocircuito innescato a  causa di intendimenti antitetici perseguiti dal parallelo  mestiere di critico e di artista. Come rimarcava Argan: Sanguineti, in catalogo della mostra, Il Canale,  Venezia, Dorfles, Tre pittori torinesi, in G., Montalcini, Scroppo, catalogo della mostra, Il Quadrante, Firenze, G., Autobiografia Con Scroppo. la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la sua  pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente  sofferte.   Assumono infine un ruolo fondamentale nella  produzione saggistica di Galvano i due volumi  pubblicati in quel periodo: Per un’Armatura (Lattes) e Artemis Efesia. Il significato del politeismo greco  (Adelphi). Sono opere difficilmente classificabili  che attingono alla filosofia, alla storia delle religioni,  alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi affron-  tano il problema dell’interpretazione sia culturale che  psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente  e sono al tempo stesso processo di autoanalisi in merito al rapporto tra una figura-feticcio  un’armatura  tardomedievale e un idolo greco  e l’area psichica  della coscienza.   È certamente per G.  la fase più feconda di collaborazione con periodici e  riviste tra cui le torinesi Sigma, Cratilo”e come  redattore di Questioni(Galleria di Arti e Lettere”) con Ciaffi, Lattese e Navarro  per Lattes. Una menzione a parte merita il Argan, in catalogo della mostra, Unimedia,  Genova Roberto, G., Dizionario biografico degli  italiani, Treccani, Milano contributo Le tigriimpagliate per il primo numero  d’Azimuth fondata da Manzoni e Castellani. Per “Letteratura” nG.  pubblicò La pittura a Torino, un lucidissi-  mosaggio che inquadra, da testimone diretto, l’arte  torinese del dopoguerra. Successivi furono i notevoli  contributi sulla situazione artistica cittadina tra cui:  Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino, Torino e  i “secondi futuristi” e La pittura a  Torino. Bandiere, Nastri, Griffonages e SEGNI ASEMANTICI. Con l'esposizione Erbe e Bandiere, presso  la Galleria Botero di Torino, Galvano sentì «il bisogno  di affiancare e poi sostituire gli emblemi ispirati alla  natura con quelli di carattere artificiale più spogli e  tendenti in qualche modo a una nuova astrazione».  In mostra le forme organiche dai tratti guizzanti  dell'ultimo Informale di G. sono accostate,  in un felice trait d'union, con la nuova produzione  attraverso la serie delle Bandiere. In uno scritto critico  perla suddetta mostra Chepes sottolinea. Le  sue erbe alghe, le sue flammulae, più che bandiere,  sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da sentimenti,  da spasimi da aneliti, da desideri. L'artista perseverò nella coerenza linguistica della  sua ricerca che ancora una volta, nei più nuovi risvolti,  non si collocò in un'immediata e netta inserzione in  correnti o gruppi operativi. Gli estesi panneggiamenti  svolazzanti dai colori accesi che si stagliavano su fon-  di neutri riecheggiavano quasi un'antica tradizione  araldica. I riferimenti pittorici non erano di certo  estranei al linearismo sensuale del Liberty, anche nella  sua declinazione decorativa, rammentando inoltre  suggestioni neobarocche. Un commento di Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante  di Galvano dipinta degli anni Quaranta, potrebbe  restituire puntualmente le atmosfere delle recenti  Bandiere espresse in uno: «scenario di questo tempo  immobile nella chiara decisione di un arabesco che  non si placa che in un ordine senza indulgenza, ma  vivo di un amore disincantato»?   Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel  1968 per una personale a Cremona alla Galleria d’arte  I Portici. Gli stendardi svolazzanti davano la prova di  una profonda conoscenza degli allora attuali linguaggi  pop e forniscono anche un «grave riverbero di anti-  chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme  assente che par scelta e fabbricata per un pubblico Tutti gli scritti qui citati sono reperibili in G., Diagnosi del moderno, G., Autobiografia Chepes, in “Borsa Arte Mollino, in S. Cairola, Arte italiana del nostro tempo, senza tempo e d’ogni tempo Proprio per questo  è significante perché carica di intenzioni contrad-  dittorie e fortemente drammatiche, nella dialettica che  stabiliscono tra l’esperienza passata e l'avvento, e la  necessità del presente. G. si rivolse alla nuova serie pittorica  dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo sviluppo  formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato  geometrico si sostituì con una figurazione elementare  di armonica tridimensionalità sull’estensione della tela.  Le masse sventolanti e libere, nelle quali si evidenzia  una ben nota propensione per l’ellissi e il semicerchio,  proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico.  Giuliano Martano asseriva appunto di un'astrazione  intellettuale, in cui i segni, i ghirigori, sono veri e propri simboli codicillari, incognite d’equazione, libertà  della memoria. Nastri che si dipanano nel quadro  senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese  a brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da  circonlocuzione diventa INTER-LOCUZIONE. Presso la Saletta d'Arte contemporanea di Cu-  neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione  elementare di volute concave e convesse di recente  produzione, che si palesavano, secondo Giorgio Brizio,  «dall’uso parco e strettamente pensato delle timbrici-  tà cromatiche. Basandosi su toni primari, operando  esclusivamente sulla opacità della parte in ombra,  Galvano può, in una suddivisione doraziana dell’in-  fluenza tonale, usare la direttrice cinetica del timbro  per equilibrare il dinamismo globale della partitura  spazio-occupato, spazio-vuoto. La personale alla Galleria Martano di  Torino assunse il significato di una ricapitolazione,  dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi si  erano evoluti, in forme dall’aspetto cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce  realizzate a carboncino, impreziosite da lievi velature  scariche di colore, campeggiavano solitarie sulla tela;  la dimensione gestuale fu affiancata dall'espressione  intellettiva dell'atto primario del dipingere. Questi  moduli nella linea filogenetica della sua pittura non-  figurativa «appaiono anche maggiormente legati  ai dettami grafici di una cultura passata attraverso quell’inversione del simbolismo nell’astrattismo che riaffiora con l’organicità delle sue forme così  tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a  quella logica interiore che resta come la matrice vera  di ogni opera di G. Una sala personale della Mostra d'arte di Torre Pellice venne dedicata a    Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici,  Cremona Martano, G., in “Pianeta Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte, Cuneo Dragone in Stampa sera, G. che vi espone una ventina di opere. L'artista  presentò efficacemente al pubblico la sua recente svolta  pittorica: sente il bisogno di logorare la forma,  di intercettarne la presunzione di organicità, sgranandone il supporto disegnativo in pochi cenni grafici su  cui il colore nonagisse più come elemento qualificante  ma soltanto come sottolineatura allusiva. Come  nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione  di estroversa aggressione della percezione dello spettatore si avvicendava una fase di ripiegamento sulla  discrezione, sulla riserva, sultono contenuto. Coevi  furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto asemantico  lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro  segno e gioco lineare non senza un, fra ironico  e intenerito, strizzar l'occhio al concettualismo. Si ha la personale genovese  alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti imple-  mentò la troppo riduttiva definizione del G.  doppio, critico e pittore, trascendendo anche nella  saggistica e nella FILOSOFIA e invitando a vedere con  totale persuasione la forza della sua lezione rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e  sopra le sue tele». Il discorso si reiterava anche nello  scritto critico di Argan che chiudeva con un interro-  gativo dal quale G. non si discostò mai: Che  cos'è la pittura? Ciò che vuol sapere è che cosa sia  la pittura in questa precisa condizione della cultura,  della coscienza, dell’esistenza, e quale il suo grado  di vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in  uno spazio ogni giorno più ristretto. Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e  si ricordano infine le puntuali presenze a  collettive con cadenza annuale come la Promotrice  delle Belle Arti e le mostre del Piemonte Artistico e  culturale di Torino; le rassegne estive di Torre Pellice e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri  a Bordighera Si reimpose per G. un nuovo  approccio rivolto alle forme naturali: la ripresa  di una figurazione espressionista pervasa d’un  realismo quasi visionario e il fascino recuperato,  come confessò lo stesso artista, per le gidiane nourritures terrestes. G. sembra sentirsi  quasi responsabile d'un tradimento verso la pittura  allorché, per coerenza, operò una sintesi tra l’elemento naturale e il non figurativo che gli consentì  G., Personale di G., in mostra d’arte  contemporanea, catalogo della mostra, Scuole comunali, Torre Pellice G., Autobiografia Sanguineti, in catalogo della mostra, Unimedia, Genova Argan, in catalogo della mostra, Unimedia, SZ Nella bottega dell'antiquario. un'impaginazione astratta servendosi di forme non  inventate, non di natura cerebrale ma veramente  esistenti, Riemerse, con la serie dei Cespugli, la fascinazione per i cespi di iris, tema  dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta  non più giocato con la «gestualità irruente» del  colore spremuto direttamente sulla tela, eredità del  linguaggio informale, ma attraverso un sedimen-  tato approccio di sottili velature di pittura a olio  utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate  tinte dei moduli di qualche anno precedenti. Gli  sfondi bianchi svuotati erano percorsi esplicita-  mente da segni grafici e scritte che sembrarono  dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia  visiva. Fu Galvano stesso, riferendosi a questi la-  vori — esposti in una personale presso la Weber di Torino a parlare d’archetipo  floreale dove il fiore dell’iris scandisce l’intrico dei segni, grafismi di parole o di immagini, altre  volte rigidamente modulari o, almeno non anco-  ra piegati all’allusione significativa. ‘Cespugli Spinardi, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e  Culturale, Torino perciò in contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico  asemantico” e dei griffonages che li avevano preceduti. Segue la serie dei Motivi vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti).  La riappropriazione di una rappresentazione ottica-  mente realistica fu solo apparente; il candore neutro  dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità  attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali  elementi solitari erano estraniati dal loro contesto  naturale e inseriti negli spazi illusori di questa pittura  d’assenza.   Sul cadere diogni riferimento a contenuti simbolici o anche solo sentimentali della pittura di G.,  ne scrive Guasco nel saggio che introduce  lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata  a Torino dalla Regione Piemonte. Tali opere,  per Guasco, non sono più emblemi né simboli che  rimandano a un ulteriore significato. Per essi si può  forse parlare di sospensione di senso”(per usare un  termine di Barthes), di un muto stupore di fronte alla  vita e alla natura. Le foglie morte e i relitti di G.  rifiutano il significato, e quindi ogni commento, o  spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un cespuglio  spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono  les feuilles mortes.  Con avvio del decennio Ottanta ne i Paesaggi  (Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura  cromatica che spesso occupava l’intera tela con un  conseguente recupero dell'effetto tonale. Gli spazi  desolati, le muse inquietanti, che G. propose  in questa fase suggerirono a Fossati richiami alla  pittura metafisica. Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di  allotrie presenze, come è giusto siano le radure vuote  e silenti, per il camminante che vi si ferma a pensare  e meditare. Luoghi di pensiero e di inconsci sofismi:  con i relativi feticci oppure archetipi, teste in gesso  di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque  per G.. L'artista, con le serie di guazzi su  carta di Nudi e Macchie sperimenta infine, una pittura  liquida fatta di segni colantiin un'inversione di «sgor-  bi cromatici di netta matrice informale. Confessa ai lettori del catalogo della Micrò. Ancora una volta ho  voltato gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio,  G., in catalogo della mostra, Weber, Torino, Guasco, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), G. cit., Fossati, Per un omaggio a G., in P. Fossati, F. Garimol-  di e Mundici (cur.), Omaggio a Albino Galvano, catalogo  della mostra, Circolo degl’artisti, Torino, Electa, Milano .G., in catalogo della mostra, Micrò, Torino ma vuole ricordare che vi è stata una sua stagione d’eriffonages che a questi fogli ultimi molto si  apparenta, anche se là il segno prevaleva, monocromo. Perciò dico a mia difesa il diritto di difendersi  è sempre riconosciuto ai colpevoli — versatilità, capricciosità sì, incoerenza no. Molti furono gli spazi espositivi torinesi che accolsero le personali di G. inquadrando la sua  fase pittorica, tra cui: laWeber,  il Piemonte Artistico e Culturale, la Cittadella e la  Micrò.  Occasioni extracittadine rilevanti furono presso la Morone di Milano, la Villata  a Cerrina Monferrato e la bipersonale insieme  a Gorza presso Palazzo Te a Mantova. Si  rammentano poi l’antologica presso la La  Cittadella di Torino;  la vasta esposizione organizzata dalla Regione Piemonte presso Palazzo Chiablese di Torino che  esplora l’intera carriera dell'artista (corredata da  un notevole apparato critico in catalogo) e le mostre  retrospettive all’Accademia  di Torino. Costanti furono inoltre le partecipazioni a collet-  tive come alla Promotrice torinese,  alla Galleria Martano e all'esposizione Torino  tra le due guerre presso la Galleria d’arte moderna di  Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione  perlostoricizzato Movimento Arte Concreta, Galvano  figurò in svariate mostre a: Cavallermaggiore,  Torre Pellice, Gallarate, Aosta. G. muore a Torino. La dichiarazione conclusiva sugli intendimenti  di una pratica pittorica perseguita per l'arco di una  vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di  afferrare almeno un aspetto di questa multiforme e  primaria figura di artista, critico e intellettuale italiano  del Novecento. «Di una sola coerenza credo di poter-  mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo mi  sequestra al di fuori di tanta arte contemporanea: la  fedeltà alla tela, al colore ai pennelli. In parole povere  ho sperimentato molto, forse troppo e troppo disper-  sivamente, ma non mi sono mai sentito vicino alle  ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa ai  mezzi tecnici che poi vuol dire anche espressivi di  una tradizione che va dal Cinquecento agl’impressionisti, ai fauves, agl’espressionisti. Fedeltà o incapacità  di uscire dalla routine? Non sta a me deciderlo. Ne  rivendico la responsabilità o il merito. G., in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova  Alla presentazione del volume "La pittura, lo spirito e il sangue, Da discepolo a interprete. G. e Casorati   Botta   Quando mi presentai alla scuola di  via Galliari, cioè allo studio di Casorati, ha dietro le incerte aspirazioni dettate da una pretesa mia  attitudine al disegno. Poco, ma abbastanza, insieme alla passione per la storia dell’arte, perché seguissi con attenzione sulle riviste (specialmente Emporium) le Biennali veneziane che  mi educarono al gusto per l’arte.  Con queste parole G. apre la sua auto-biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese, definendo sin da subito le proprie origini di  formazione e circostanze di aggiornamento. Nato nell’anno in cui, con le Demoiselles di Picasso, l’arte  occidentale vede chiudersi il ciclo iniziatosi alla fine  del duecento, si iscrive al liceo classico Cavour insie-me ad ARGAN (son vicini di banco), e presto interrompe gli studi per dedicarsi interamente  alla pittura, seguendo inizialmente le indicazioni di artisti intercettati attraverso le conoscenze familiari. Un temperamento vivo e curioso, il suo, che più  che seguire le letture e gli studi che il percorso scolastico gli impongono, preferisce accrescere le proprie  conoscenze con una formazione isolata, fatta di letture  personalissime. Si seppelle cinque-sei ore al giorno  in biblioteca sostiene in un'intervista. Lì incomincia a leggere La Critica. Legge Bergson. Nell’atteggiamento che caratterizza l’artista,  concentrato ad inseguire le proprie passioni piuttosto  che le strade già battute, si può forse leggere una continuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come maestro,  una decisione non così scontata in una Torino dove gl’orientamenti estetici sono ancora influenzati dall’ingombrante figura di Grosso e dall’insegna-  mento della paludata Accademia Albertina.   G. ha una fascinazione improvvisa verso  l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di-  G., Autobiografia, PizzETTI, Givone (cur.), G., catalogo della mostra (Torino, Palazzo Chiablese), Regione Piemonte,  Torino ARGAN, G. [presentazione], in XXVIII Bien-  nale di Venezia, catalogo della mostra (Venezia), Alfieri Editore, Venezia. Non sono tra i primi della classe. Troppe cose c'interessano, che non hanno nulla a che fare col programma, e ne discutevamo per interi pomeriggi,  dimenticando le versioni di latino e i problemi di matematica. Forse quell’amicizia di ragazzi ci costa qualche esame ma,  almeno per lui, non è un'esperienza inutile. G. parla d’un apprendistato presso Vannini, maestro di disegno a cui è stato indirizzato dal pittore Pisano amico di famiglia, che ha spesso occasione di  veder al cavalletto G., Autobiografia Intervista di Lanzardo ad G., in Fossati, GarmoLpi, Munpici (cur.), Omaggio a G.,  catalogo della mostra (Torino, Circolo degli Artisti), Electa Piemonte, G. alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino. Archivio Storico della Città di Torino, fondo Gazzetta del Popolo. retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle collezioni del  museo cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene egli  stesso nell’autobiografia gli sono cioè piaciuti piuttosto i bianchi di tempera con il rosso dei coralli o il cielo spugnoso del bozzetto per il ritratto della signora Wolf che il neo-quattrocentismo del Ritratto  della sorella. Indicazioni sintomatiche di un interessamento che si rafforza  man mano e che è destinato a diventare decisivo per il  suo ingresso nella scuola dopo la visita alla Biennale  veneziana, nella quale Casorati espone,” oltre  ad otto dipinti, anche due statue destinate al proscenio  per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in questa occasione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni in  Daphne che le pose ricercate dei nudi. G., [autobiografia], in Albino Galvano, catalogo della mostra (Asti, Galleria La Giostra, 1952), Asti; relativamente ai dipinti di Casorati citati si veda il catalogo generale  dell'artista BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale.  I dipinti Allemandi et C., Torino. Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli G. autobiografia Relativamente alla Biennale scrive: Quella volli visitarla di  persona e vi fui impressionato specialmente da Felice Casorati,  sicché decisi, scoperto che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua  scuola.” (Ip., Autobiografia; in quell’occasione, oltre al Ritratto di Daphne Ber-tolino, Poli, Casorati espone l’opera Ragazze dormenti o Mozart, ricordata da G. nel suo racconto autobiografico.   L'ingresso alla scuola lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, accresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo  fondante di stretto discepolato del suo studio che sta  tra l'accademia e il monastero. La scuola  libera di pittura, inaugurata in via Galliari, è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro  e allievi e li vede impegnati come fronte coeso nelle  esposizioni cittadine e nazionali. La serietà e la dedizione alla pittura sono le caratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla  scuola: lo si rica dalle impressioni che risuonano  con continuità tra i commenti e i ricordi degl’allievi  che in tempi diversi affrontano l’alunnato casoratia-  no.! G. non fa eccezione: “L'accoglienza fu,  come era nel suo stile, di una signorile severità”.!  Ma, al di là delle incertezze iniziali, il maestro sem-  bra essere più colpito dalla spiccata vivacità intel-  lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle sue  capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano  raccontando di se stesso — abbia avuto subito per  l’uomo la simpatia e la stima che poi sempre mi di-  mostrò, forse assai più scarsa la fiducia nelle mie  possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a  intestardirmi e ad impegnarmi a fondo. Lo scolaro “intelligente ma noioso, predicatorio,  secondo il ricordo di Romano, anche lei discepola  di Casorati, presenta le sue opere per la prima volta  con il gruppo di allievi all’Esposizione d’arte allestita nello studio di via Galliari. L'esposizione intima,  alla sua seconda edizione, è aperta al pubblico di interessati (a visitarla, sono perlopiù personalità del milieu  intellettuale ANTI-FASCISTA cittadino) e vuol essere una  raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli allievi  nello scorso anno. La prova generale della scuola  non sembra però garantire a G. l’accesso all’im- G. fissa la sua presenza nella  scuola G., Autobiografia GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino Per uno studio sulla scuola di Casorati e sulle vicende espositive della stessa si veda Cavallaro, La scuola di Casorati, tesi  di laurea, Facoltà di filosofia, Torino, relatore: Rovati; Poi, Cavallaro (cur.),  La scuola di Casorati ed Cefaly, catalogo della mostra  (Catanzaro, Complesso monumentale di San Giovanni), Rubettino, Soveria Mannelli testimonianze e memorie dei suoi discepoli, in Pianciola (cur.),  Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni,  Fano G., Autobiografia Romano, Un invento, Einaudi, Torino, PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le Arti    Plastiche Su questo argomento si veda A. BOTTA, Felice Casorati nelle. minente esposizione alla Galleria Valle di Genova organizzata probabilmente da tempo che vuol essere l’occasio-  ne per riunire una selezione più stretta degli allievi. Dove attendere ancora qualche mese, in primavera,  prima di assistere alla presentazione di un suo dipinto  (accolto per accettazione dalla Giuria) alla Biennale. Riuniti attorno al maestro, gl’allievi di Casorati  occupano la sala 30, attigua alla fortunata e discussa retrospettiva di MODIGLIANI (si veda) ordinata da  Venturi, che non manca di far nascere alcune  corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca-  soratiani.   Da questo momento in poi G. incomincia ad essere presente con continuità alle mostre della  scuola. Una conferma che arriva già a poche settimane di distanza con la partecipazione alla 88° esposizione  della Società Promotrice delle Belle Arti con ben quattro  dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si registra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di  via Galliari,' mentre viene segnalato come uno dei casoratiani che espongono - questa volta senza il maestro alla mostra torinese degl’Amici dell’ Arte. Se fino a questo momento le opere di Galvano  non sembrano sollecitare più di tanto l'interesse della  critica forse perché il modello del maestro è troppo  riconoscibile nella sua pittura, l'occasione della I Quadriennale d'Arte Nazionale di Roma apre ad un interessamento che coinvolgerà da lì in poi  anche il giovane artista torinese, presente con il dipinto  Estate, riprodotto per l'occasione sulla nota rivista milanese La casa bella. G., ancora coeso al gruppo almeno fino al  marzo di quell’anno (la sua presenza è confermata in  una mostra di “scuola” allestita alla galleria Milano,  Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini, Marchesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo della  mostra Genova, Galleria Valle), Genova Sitratta del dipinto Paese con un ponte; cfr. Catalogo XVII Espo-  sizione Biennale Internazionale d'Arte catalogo della mostra  (Venezia) Venezia Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le  arti plastiche ZANZI, Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar-  te Emporium, Torriano, Cronache d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La  casa bella”, marzo 1931, p. 57. Relativamente alla partecipazione  degli artisti piemontesi alla rassegna romana si veda L. IAMURRI,  Levi, Paulucci e gli altri. Presenza torinesi alla Quadriennale, in M.  Cossu, C. MicHELLI (a cura di), Cultura artistica torinese e politiche  nazionali, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d'Arte), Electa,  Milano Cfr. Bay, Bionda, Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona, Donati,  G., Levi, Maugham, Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo del-  la mostra (Milano, Galleria Milano), Milano Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta-  tuto casoratiano e nei confronti della scuola. Un di-  Stacco progressivo che si rende evidente nell'esercizio  Stesso della pittura, che lo vede ricercare una propria  indipendenza e nuove vie di espressione. La Promotrice diventa per lui un terreno di confronto  nel quale presentare le più recenti ricerche, filtrate at-  traverso nuovi modelli nel frattempo subentrati e maturati, chiariti con lucidità — a distanza di anni dallo stesso artista. Mi affascina il tentativo di ricostruzione formale  del mio maestro e, contemporaneamente e contraddittoriamente, gl’esiti dell’impressionismo e postimpressionismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle riprese  locali dei sei e, in genere, la pittura di colore e di tocco,  ovviamente legata a una visione naturalistica. Nel duplice e, in certo senso, contraddittorio intento di tener  Insieme i valori plastici di Casorati e quelli cromatici dei  Sei il risultato diveniva naturalmente pesante, impasta-  to, anche perché subivo fortemente l'influenza di una  certa pittura francese, o meglio di una pittura che  si faceva in Francia spesso da stranieri, che allora  agli inizi degli anni trenta mi affascinava dalle pagine dell’Art Vivant. Assente il maestro, G. è presente con tre opere. La Composizione con figura, in particolare, riprodotta G., Autobiografia sia in catalogo che sulla rivista Emporium, mostra  gli esiti dell'aggiornamento condotto sugli esempi dei  post-impressionisti francesi e sulle proposte figurative  dei sei (sciolti ufficialmente, come gruppo), che si riconosceno nella linea di rinnovamento  dell’arte contemporanea tracciata da  Venturi. Il passaggio, da questo momento in poi, è breve. Complice un disfacimento generalizzato della scuola  stessa, il pittore, alla mostra degl’Amici dell'Arte allestita nell'autunno del medesimo anno, è considerato  già da tutti un ex allievo. Ma la sua fedeltà al maestro  e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare ancora  ad una mostra di scuola, allestita nel teatro di Pavia. Accanto agli ex compagni, G. diventa una presenza eccentrica. Le sue opere, che  spaziano tra i generi (dalla natura morta al paesaggio),  mostrano la sua indecisione circa la strada da intraprendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando  dall’espressionismo all'impressionismo senza un attimo d’esitazione.  La rottura con Casorati o presunta tale, coincide con il suo esordio di critico e con il suo avvicinamento a Venturi, al quale viene introdotto dal  suo compagno di studi Argan G. pubblica un saggio sull’illustre rivista trimestrale L'Arte, che vede Lionello impegnato nella condirezione  accanto al padre Adolfo. La presenza del figlio, professore a Torino, apre il periodico al dibattito sulle arti contemporanee, fino a quel momento  escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio  Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra  l'avvicinamento di G. alla critica venturiana, già  evidente nel titolo del contributo, che riecheggia il più  celebre volume, e che si conferma nei contenuti e nel soggetto stesso dell'articolo. ZANzZI, Cronache torinesi. L'Esposizione Interregionale della Promotrice di B. A., Emporium Rossi sulle pagine dell'Italia letteraria sottolinea  come G. sia ormai “teso a tutt'uomo alla ricerca di costru-  zioni personali Rossi, Una mostra interregionale, in L'Italia  letteraria, mentre Zanzi, sulla Gazzetta del Popolo, rileva come la distanza tra allievo e maestro  sia ormai sensibile sia da un punto di vista cromatico che formale:  G. - fa notare - sta liberandosi dai grigi e dalle  tristezze casoratiane e ora si esperimenta, con accortezza e con  gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz Zanzil],  L'arte al Valentino. Mostra regionale del Sindacato delle Belle  Arti, Gazzetta del Popolo, Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori, scultori, ar-  chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da Balbo, Gazzetta del Popolo Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia Cfr. G., Autobiografia Spadini e il gusto degl’impressionisti, L'Arte VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi  in questo periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi  un poco a casaccio”), G. intraprende gli studi  universitari presso la Facoltà di magistero. Una scelta  che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per  le materie filosofiche o dalla sua curiosità  innata, ma più semplicemente da problemi economici che lo obbligano in fretta e furia a prendere una  laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti. La fine del suo percorso di studi, che si conclude con  una tesi sulla pedagogia della religione discussa con GAMBARO (si vda) ed ABBAGNANO (si veda), coincide con  la ripresa dell'attività di critico ma anche di saggista, che si fa particolarmente intensa e  che lo vede collaborare con le riviste Il Selvaggio ed Emporium. Al di là dell'abbandono della scuola di Via Gal-  liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di  riferimento, non tanto come esempio figurativo o di  pratica pittorica da seguire, ma come rappresentate di  un modello culturale autorevole e indipendente pre-  sente in città. L'amicizia tra i due, avviata e riconfermata in più occasioni, sembra in  questo giro di anni intensificarsi ulteriormente, antici-  pando il sodalizio che porterà alla pubblicazione della  monografia per la collana “Arte Moderna Italiana” di  Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al maestro. Incomincia a collaborare con Emporium occupandosi di curare la  sezione Cronache torinesi del mensile. Questo nascente incarico gli permette di affrontare e commentare l’attività artistica piemontese, confrontandosi con un universo legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa  e discussa. Casorati è sempre presente nei suoi articoli:  viene seguito passo passo da G. sia nelle vesti di  pittore che di organizzatore culturale, offrendo in special modo la propria attenzione all'impresa della galle-   G., autobiografia Intervista di Lanzardo a G. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre volumi di G., apparsi per Nemi  di Firenze (L'arte egiziana antica; L'arte dell'Asia occidentale  e centrale; L'arte dell'Asia orientale), pubblicati nella  collana “Novissima enciclopedia monografica illustrata”. Casorati sa rispettare la personalità dell'allievo  anche quando non era affatto d'accordo sulla visione dell’allievo. Infatti quei pochi che sono venuti fuori tra i molti che ci sono Bonfantini, Chicco, Montalcini, ed io, ci siamo subito  allontanati da Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem-  pre aiutati da lui sul piano pratico per mostre ed esposizioni. [Ma Montalcini ed io siamo passati all’astrattismo, poi all’informale, tutte cose che Casorati ma non ci  ha mai tolto né la sua amicizia né la sua protezione. In questo è veramente un grandissimo signore, Intervista di Lanzardo  a G. G., Casorati, Arte moderna italiana Serie  Pittori Hoepli, Milano ria “La Zecca, avviata dal maestro a Torino insieme a  Paulucci in via Verdi Se appare piuttosto chiaro come G. tenti con i mezzi a sua disposizione di promuovere e sostenere l’amico Casorati nelle sue molteplici attività, il  maestro, dal canto suo, cerca di aiutare il suo ex-allievo  nel suo percorso di pittore. È lo stesso G. a dichiarare apertamente, molti anni più tardi, come la sua  affermazione al premio Bergamo sia in realtà frutto di  un aiuto arrivato dallo stesso maestro: “Casorati è  molto potente mi fa accettare al Premio Bergamo, mi fa sempre dare qualche premio, per cui mi  trovai agganciato. Presente con continuità G. si aggiudica per ben tre anni i premi in denaro del concorso. Solo nella seconda edizione non compare tra i vincitori, ma la sua opera viene  acquistata dal ministero dell'educazione nazionale a  titolo di incoraggiamento. È data alle stampe il saggio “Casorati” scritto da G.,  apparsa per Hoepli di Milano. Il saggio si inserisce all’interno dell’ambiziosa collana Arte Italiana inaugurata e  coordinata da Scheiwiller, immaginata per  raccogliere  uno dopo l’altro gli artisti italiani più  noti del tempo, attraverso piccole monografie illustrate, introdotte da un testo critico che viene di volta in  volta scelto dall'editore o dall'artista protagonista del  volume. In questo caso, è infatti Casorati a suggerire il  nome del giovane critico a Scheiwiller, incaricandolo  di aggiornare radicalmente la precedente edizione di  Giolli, ormai vecchia di quindici anni.  Il saggio di G. non si colloca,  all’epoca, come una novità di genere nella letteratura  artistica del pittore, ma rientra in un panorama già  piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si occupano di fornire uno sguardo complessivo sull'intera  produzione raggiunta sino a quel momento. Il volume   La collezione Della Ragione, in “Emporium, Torino. Maccari alla Zecca, Emporium, Torino.  Mostre alla “Zecca”, in “Emporium, Torino. Mostre alla Zecca, Emporium,  Intervista di Lanzardo a G. G., Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono-  grafia si veda Botta, G. e Casorati. La mongrafia per la collana Arte Italiana di Scheiwiller,  tesi di specializzazione, Università degli Studi di Udine, relatore: Fergonzi. Giotty, Casorati, Arte italiana, Serie  Pittori, Hoepli, Milano. lo studio di Giolli,  infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista. di Gobetti, che si propone come una rico-  struzione cronologica del percorso artistico (nonostan-  te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la  strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi-  namento dell’opera del maestro, non limitati alle pubblicazioni di carattere monografico (il caso successivo  — come si è detto — è quello di Giolli) ma rintracciabili  anche all’interno di contributi meno estesi che, a partire dal saggio di Venturi uscito su  Dedalo, diventano sempre più frequenti nei tempi  a venire, anche sotto forma di presentazioni nei catalo-  ghi delle esposizioni. La critica contemporanea studia la produzione di  Casorati secondo principi e approcci molto differenti che, verso la metà degli anni Venti, tendono a farla  rientrare in quel processo di costituzione di un'arte  nazionale ufficiale: un’annessione ai pittori non pienamente condivisa dall'artista che è esplicitata nel saggio di Sarfatti apparso  sulla Rivista Illustrata del Popolo d’Italia e che contribuirà a determinare una lettura  della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera-  tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo  identificativa del suo lavoro.   Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rientra già nell'ottica di una ricostruzione storica più ampia dell’arte italiana ed internazionale: le pubblicazioni  di Sarfatti, di Guzzi, di Costantini, di Brizio e  di Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva  generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni contraddittorie), ma sono tutte piuttosto concordi a identi- Gost, Casorati pittore, VENTURI, Il pittore Casorati, Dedalo Mostra individuale di Casorati, Esposizione  d'Arte, Venezia, catalogo della mostra, Venezia, Ferrari, Venezia PACCHIONI, Casorati, in Exposition d'’artistes italiens  contemporains, catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath), Foa, Torino, Rossi,  Felice Casorati, in Artistes Italiens, exposition, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie  Moos), Richter, Ginevra BERNARDI,  25 opere di Felice Casorati nel salone de La Stampa, catalogo della  mostra (Torino), La Stampa”, Torino. Per una ricognizione sulla fortuna critica  Casoratiana si veda P. THeA, La critica e Casorati: profilo e antologia,  in LAMBERTI, Fossati, Casorati, catalogo  della mostra (Torino, Accademia Albertina), Fabbri, MilanoSARFATTI, Pittori. Felice Casorati, in Rivista illustrata del Popolo d’Italia In. Storia della pittura moderna, Cremonese,  Roma; Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet-  il, Bestetti et Tumminelli, Treves, Roma-Milano; COSTANTINI, Pittura italiana, Ulri-  co Hoepli, Milano; Brizio, Ottocento Novecento, Utet, Torino NEBBIA, La pittura, Società editrice  libraria, Milano ARTE MODERNA ITALIANA G. CASORATI HOEPLI.  MILANO EDITORE  Casorati, Ulrico Hoepli, Milano ficare nell'opera del medesimo una tendenza interna e  personalissima alla corrente novecentista. Le difficoltà nel rintracciare una linea condivisa  per la sua arte era già stata evidenziata da Debenedetti (filosofo torinese, come Gobetti, prestato anche lui alla critica d’arte) con l'articolo Casorati  e la critica d'arte, nel quale sottolineava come L'arte di Casorati pare fatta apposta per isconcertare gli schemi che la più scientifica critica d'arte s'è  data come sicuri oramai ed incontrovertibili, evidenziando nelle conclusioni tutte le contraddizioni di  una generazione: “Linea, dunque, no: forma plastica,  no: colore, no: o quanto meno né la linea, né la forma,  né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurienti, nell'accezione data dai critici, che di quegli schemi  si sono fatti, non pure gli interpreti, ma i banditori. E  questa è l’involontaria polemica del Casorati contro la  critica d’arte.   Davanti a questo insieme di opinioni e approcci differenti, G. si dimostra sin da subito molto  perplesso verso i suoi predecessori, affermando in  maniera categorica come Ciò che è mancato più ad  una critica concludente su Casorati è appunto una  comprensiva ‘lettura’ delle sue pitture, e sintetizzan- DEBENEDETTI, Casorati e la critica d'arte, L'Italia letteraria G., Casorati do poi, nelle prime pagine della monografia, i termini  di questa fortuna critica che è anche incomprensione sedimentata verso l’artista, almeno fino alla metà  degli anni Venti: Casorati ha goduto di un momento di fortuna quando la  sua pittura, forse proprio perché meno urtante a prima  vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti  i suffragi e specialmente a quelli della critica che voleva  essere alla pagina, ma salvando il rispetto per la tradi-  zione [...] Erano i tempi in cui la pittura del novecento  appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con  l’arte futurista da una parte, con l’aneddotismo elegante  dall'altra, la pittura di Casorati ha una sua  funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli en-  tusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca. Rispetto ai precedenti studi la posizione di G. è fin da subito ben chiara: risiede nell'approccio  preferenziale con cui affronta l’opera di Casorati, total-  mente inedito sino a quel momento, che viene ribadito  in più punti della monografia.   In apertura del volume il critico-pittore sottolinea  come la sua analisi non si circoscriva a una rilettura  analitica e distaccata della produzione casoratiana, ma si sviluppi attraverso una consapevolezza fondata sul  ricordo della propria formazione: Casorati pittore scrive richiamandosi ai suoi rapporti col maestro è  stato per molti della mia generazione una esperienza  di importanza capitale in ordine alla formazione del  gusto e all'orientamento di una cultura non soltanto  limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di di-  scepolato presso di lui e la frequente consuetudine  di Casorati uomo, hanno valso ad alcuni di noi come  un'esperienza fra le più profonde e decisive anche per  quanto riguarda la vita morale. L'insegnamento di Casorati, oltre a fornire una  solida base di rudimenti pittorici insieme agli stru-  menti per uno sviluppo individuale delle personalità  artistiche, è la chiave sempre secondo G. per  la comprensione stessa dell’opera del maestro, chiarita  metaforicamente in un passaggio del testo. Casorati  è uno di quei pochissimi artisti che dopo il rapimento delle muse non rimangono incoscienti di quanto  in loro è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo  agl’altri. Un concetto che viene ribadito, in maniera  ancora più chiara, verso la fine del suo lungo contributo per Scheiwiller. Non molti di noi allievi hanno  saputo da quelle parole imparare a dipingere decentemente, ma certo tutti a leggere i suoi quadri un poco  meglio.   Con queste premesse G. vuole dimostrare come la vicinanza al maestro gli permetta di avere una visione privilegiata, lucida e fedele del suo lavoro,  elevando la lettura delle opere ad un’originalità vicina  alle intenzioni del maestro, più di quanto gli altri possano avere. Al di là degli schieramenti e dei tentativi di categorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il lavoro di Casorati tra assimilazione al gruppo novecentista, ascendenza neoclassica o, ancora, appartenenza  alla poetica metafisica, G. sceglie il sostantivo platonismo per riassumere gli esiti figurativi ottenuti dall'artista, un’indicazione che gli permette di liberarsi da ingombranti etichette sino a quel momento attribuite all'opera del pittore. È un'affermazione di Casorati a suggerire a G. le basi per un'interpretazione platonica delle sue  opere: il critico recupera esplicitamente una dichiarazione del maestro espressa a margine  di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale chiarisce le proprie intenzioni quasi programmatiche di  esercizio pittorico. Dipingere la verità, dimenticando  la realtà superficiale. Un concetto che viene successivamente ribadito da Casorati, spogliato delle sue implicazioni categoriche (rinnegate in un secondo tempo  dallo stesso pittore) in una successiva dichiarazione,  riportata nel catalogo  della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar-  tista sottolinea ancora una volta come il suo distacco  dalla realtà dei soggetti sia prerogativa fondante del  suo lavoro: la mia pittura è staccata dalla vita.  La posizione platonica di G. pone il lavoro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli  Impressionisti (che godono invece di una notevole for-  tuna, verso gli anni Trenta, a Torino), collocando il movimento francese e il maestro torinese su due fronti opposti sia da un punto di vista lirico che tecnico: un sto di Casorati preferiremmo ad ognuna quella di platonismo. Casorati, [Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea,  catalogo della mostra (Milano, Galleria Pesaro), Alfieri et Lacroix, Milano Scritti interviste lettere, cura di Pontiggia, Abscondita, Milano Scrissi allora nel catalogo alcune parole per spiegazione  del mio lavoro e quasi per contrappormi all'arte di quel tempo:  affermavo di voler dipingere la verità, dimenticando la realtà  apparente; di voler indulgere agli errori che spesso sono la sola  ragione dell’opera d’arte. Queste parole furono definite un’eresia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il carattere di  immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma, in con-  trapposto al più o meno degenere impressionismo di sfarfalleg-  giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del movimento  nel vibrare continuo della luce CASORATI, in G. MascHERPa [a  cura di], Casorati e il religioso, catalogo della mostra [Milano,  Galleria San Fedele, Milano, Milano CASORATI, Presentazione, Arte nazionale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni), Pinci, Roma Scritti interviste  lettere, E infatti se dovessimo trovare una parola per definire il gu- IN  rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle indicazioni già enunciate dall'artista nella citata presentazione: “non ho mai capito il movimento qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme statiche la mia pittura nasce, per così dire, dall'interno e  mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi-  derazioni che vengono caricate di significati filosofici,  anche in questo caso, da G.:  Al protagorico impressionismo per cui misura di tutte le  cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il platonico Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura  dove le cose appaiono reali in quanto hanno la maneg-  giabilità di ciò che dal flusso delle sensazioni è ritagliato  per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste o seni varranno come categoria. Al degenere impressionismo Casorati contrappone, secondo G., i suoi caratteri di immobilità,  di impassibilità, di contorni decisi, di forma. Alle premesse teoriche fanno seguito le prime  verifiche sulle opere che, a differenza dei precedenti  Studi, non seguono uno sviluppo strettamente cronologico ed organico della produzione casoratiana, ma si  Muovono più liberamente, procedendo secondo l’andamento del discorso. Come nelle antecedenti occasioni di studio, l’ini-  z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le  Opere che gli valgono le prime attenzioni da  parte della critica alla Biennale di Venezia ed alla moStra degl’Amatori e Cultori di Roma. Le considerazioni che investono il dipinto Le vecchie e La cugina sottolineano nelle ricerche di Casorati un senso drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico-  logica in cui non manca una punta di sensualità, Ma temperata in una specie di serenità letteraria, Motivi che si pongono in continuità con le formulazioNi espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu-  Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica  ed il senso letterario di queste prime composizioni. Il salto a questo punto si fa subito brusco: l’esclu-  Silone di tutta la produzione degl’anni della guerra, che coincide con il suicidio del padre di Casorati e con  le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due sorelle e la madre, è in linea con le volontà dell'artista,  che sceglie di non conservare le opere di quel periodo, contraddistinte da un simbolismo e sintetismo decorativo piuttosto anomalo. G., Casorati, (Bertolino, Poli G., Felice Casorati, Cfr. Gobetti, Casorati pittore, VENTURI,  Mostra di Casorati,  Esposizione d'Arte della Città di Venezia, cUn passaggio su Le signorine, che libero questa volta da preoccupazioni di ordine realistico  ed orientato verso una completa subordinazione alla  composizione, permette a Galvano di transitare direttamente su Tiro al bersaglio, anticipando i  problemi di annullamento della terza dimensione già evidenti nel dipinto. Per G. Tiro al bersaglio rappresenta un’opera  cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata  dell'artista, quella del periodo immediatamente sucCESSIVO: l’opera significativa Tiro al bersaglio. In essa il  colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza  dimensione assumono per la prima volta una organicità che  è davvero il segno dell’impostarsi nella pittura di Casorati  dei problemi di cui anche oggi essa si nutre. Ridotto il qua-  dro, colla completa scomparsa delle ricerche chiaroscurali  e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad un semplice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come  linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo  a uno stato in cui la visione inquietante del pittore raggiunge uno dei più intensi suoi momenti Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel momento  goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo  nella prima presentazione pubblica è per  Gobetti un’opera dai rapporti formali indecisi ancora legata alla produzione dalla prima metà degli  anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati realizza  come prova per testimoniare a se stesso la fine del  suo estetismo e la sua incapacità di fermarsi ormai  all'episodio. La rivalutazione di Tiro al bersaglio,  nei fatti trova, prima di G., un precedente mol-  to prossimo all'uscita della monografia Scheiwiller:  Cremona (anch’egli vicino a  Casorati, pur non essendo mai stato allievo della sua  scuola), in maniera analoga a G. ragiona sull’importanza del colore e sul principio di astrazione presente nel dipinto, che anticipa le opere più compiute e  celebrate degli anni Venti: sottrarre le cose dai variabili accidenti della luce per penetrare invece il colore secondo un processo di intelli-  gente astrazione. In quella curiosa vetrina di oggetti  vivono infatti quei bianchi spettrali, quei colori —finti-, che sovente ritroveremo nell'aria rarefatta dove respirano le sue figure, anche quelle delle parate familiari  che Casorati ha sovente composto con sincera affettuosità ma che appaiono pur sempre affacciate a una ribalta,  in uno scenario freddamente preordinato, sul mondo  dal quale l’artista le ha volontariamente allontanate. Bertolino, Poli Bertolino, Poli G., Casorati, GOBETTI, Casorati pittore, CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere e arti d’Ita-    La rivalutazione del dipinto si pone verosimil-  mente in linea con le volontà dello stesso Casorati: l’o-pera, che trova collocazione stabile nell’abitazione dell'artista, è ripresentata ad una mostra  degli allievi e riprodotta per volere dello stesso mae-  stro come prima tavola nella monografia Scheiwiller.  Un interessamento che viene letto da G. come un  segno che una pittura senza volume ed una pittura di  colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso  profondo della sua arte. Le opere aprono la discussione sulla funzione e l’importanza del colore per  Casorati, che viene ampiamente discussa nel testo e  che caratterizza da qui in poi tutta la monografia come  lettura univoca del decennio successivo. Accanto ad  una premessa platonica, che si confronta nuovamente con le opere Meriggio, Lo studio e Concerto, allontanandole da facili letture estetiche, G. vede in quegli slarghi formali di pittura un  anticipo d’un’esperienza di tono che è chiarissima. Contrapponendosi alle interpretazioni che vede-  vano nella linea e nella forma plastica le caratteristiche  fondanti dell’opera di Casorati G. valuta la pittura del maestro come una pittura essenzialmente di  colore,” spingendosi a verificare le intenzioni dell’artista e giustificare la scelta di determinati soggetti e forme piuttosto che altre, proprio in funzione del colore: Vi sono dei quadri di Casorati, e talvolta proprio i più  formali a prima vista, come Daphne che non si  afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al colore. Casorati ama le forme semplici perché sono quelle  che permettono al colore di stendersi con la sua migliore ampiezza. È strano come questa semplice verità sia  stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto di  contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha  dato della propria opera”. Una sensibilità tonale che  porta il critico ad accostare come esempio di ‘“straordi- lia”, è quanto mai significativo a questo proposito il fatto che  il pittore abbia tenuto in tempi recenti non lontani ad esporre, ad  introduzione e quasi chiave di sue opere più recenti, quel ‘Tiro  a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle anche ad inizio di  queste riproduzioni G., Casorati, Il nudo e gl’analoghi Concerto, Meriggio, Studio, ci  presentano un mondo che si presta ad essere interpretato in modo  equivoco, come estetistico, da chi non tenga presente che per Casorati quelle platoniche accolte di figure femminili ignude, anche  se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente valore  per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei volumi Cfr. (Bertolino, Poli G., Felice Casorati, La forma serve a distruggere la linea ed a passare al  colore: essa è, se si vuole, il punto di partenza, ma è proprio il  colore è il punto di arrivo Bertolino, Poli. G., Casorati, ARTE MODERNA ITALIANA CASORATI  II ed. del volume Casorati, Ulrico Hoepli, Milano. nario pre-casoratismo” l’opera di Vermeer e diTour piuttosto che quella di Ingres, riferita  dallo stesso pittore come modello di riferimento alla  propria pittura nel “Referendum sul quadro storico. A sostegno di questa sua tesi sul colore G.  recupera ancora una volta i ricordi dell’insegnamento  del maestro, affrontando questioni di metodo e di pratica pittorica vissuta nello studio dell'artista, dove l’osservazione dei modelli veniva condotta non tanto sulla  forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei medesimi: ci limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo di  chi è stato alla scuola di Casorati verta essenzialmente  su due punti: l'insieme e il tono. E soprattutto l’insieme come forma il più sintetica possibile in funzione del  tono. La forma intellettualistica di un oggetto, proprio  ciò che interessa di più al pittore formale o classico, è ciò  che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la for-  ma che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice-  mente possibile è la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non  la forma dell'oggetto. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico Le arti plastiche; Scritti interviste  lettere, .G., Casorati, cit., p. 14. Analoghe impressioni  sì ritrovano in L. RoMAnO, La scuola di Casorati, in L'Arte La discussione sul colore offre a G. il punto  di partenza per affrontare le influenze cézanniane che,  secondo una critica assodata ormai da tempo, avrebbero avuto un ruolo capitale nell'evoluzione del lessico  pittorico casoratiano, soprattutto per il genere della  natura morta. È Venturi a offrire per primo quest'interpretazione, individuando nell'esperienza diretta  di Casorati alla Biennale, dove, su dipinti  di Cézanne presenti, sono ben sette le nature morte,  il passaggio di svolta tra Le uova sul tappeto verde e Le uova sul cassettone: Le uova sono un motivo di bianco su verde, le uova sono un motivo di forma geometrica solida e  chiara sopra un volume scuro. Per G., l'avvicinamento al maestro di Aix  è da intendersi come esperienza più morale che  pittorica, nella quale l'evoluzione delle sue natu-  re morte rappresenta un processo interno alla pittura stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro. Uova sul cassettone non si spiega con un riferimento  al costruire tonale del Provenzale nella sua essenza stilistica, puntualizza G., ma solo col metterlo  In relazione a quello che la pittura di Casorati fu prima  d'allora Secondo il critico, più che un precedente stilistico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove  possibilità espressive; un punto di vista che trova conferma più tardi nelle stesse dichiarazioni del pittore,  che ripercorrono l’incontro con i dipinti alla Biennale: Tutta la grandezza del Maestro di Aix mi si manifesta improvvisa. L'emozione che ne provai fu enorme e non fu  un'emozione di sbalordimento o di stupore, che anzi mi  sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equilibrio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio!  Compresi che nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il  problema posto e sviluppato in un senso dell'Impressioni-  smo e il grande opposto risolto da tutta la tradizione; compresi l'aberrazione di una certa critica che non si staccava  di insistere sui problemi di Cézanne: capii che proprio, che  Specialmente in quei difetti è il germe della sua grandez-  Relativamente a questo genere si vedano Fossati, Nature  morte di Casorati, LamBERTI (a cur.), Casorati. Mostra  antologica, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, Electa, Milano BERTOLINO,  Dal repertorio di oggetti alle prime nature morte PoLI (cur.), La natura morta nella pittura di Casorati, catalogo della mostra (Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, Electa, Milano VENTURI, Il pittore Felice Casorati, Dedalo, Bertolino, Poli; relativamente alle opere si veda  In particolare LAMBERTI, Scherzo: uova (o Le uova sul tappeto  verde) e Le uova sul cassettone, Fossati, Casorati VENTURI, Il pittore Casorati, Dedalo G., Casorati za. Compresi che Cézanne è il pittore della rinuncia e che   la rinuncia è la forza della pittura. Non cambiai  modo di dipingere, ero troppo inconsciamente orgoglioso  per tentare un cambiamento di rotta che non avrei potuto fare in alcun modo. Credetti allora di approfittare della  grande lezione di Cézanne proprio irrigidendomi sulle  mie posizioni e cercando solo in profondità. La monografia Scheiwiller, pensata per aggiornare la precedente di Giolli, in realtà affronta solo marginalmente la più recente produzione del maestro, sostenendo per le opere più prossime la piena attuazione del  proposito coloristico în nuce già nei primi anni Venti.  Ai ricordi della Biennale, e soprattutto a  quella, G. contrappone le opere esposte nei primi anni Trenta: per La lezione, Susanna e Lo straniero pone l'accento su come prevalgano in questi dipinti certe note di rossi improvvisi,  il taglio in controluce, il gusto, almeno nei due primi, di  accostare il nudo ad una figura maschile vestita, un desiderio di atmosfera serena che suggerisce lontananze  chiare e assolate. Motivi pittorici che, spogliati degli  elementi accessori (come la copertina del Selvaggio  nella Lezione o, ancora, le pantofole rosse di Susanna),  trovano un'ulteriore compiutezza in Daphne e  Ragazza in collina” delle collezioni dei Musei Civici di  Torino, soluzioni più aneddoticamente umane dove il motivo del controluce sulla finestra aperta so-  stituisce figure familiari o umilmente umane ai mani-  chini, mentre il paesaggio si fa sereno [...] ricavato da  quei campi di Pavarolo ormai cari all’artista”.  Come già sottolineato da Maria Mimita Lamberti,  l'apporto di G. si dimostra poi piuttosto illuminante nell'individuare nel tema del nudo una possibile linea  di lettura della sua produzione, sino a quel momento trascurata rispetto al genere più discusso della natura morta.  Il passo è riportato in Caruccio, Casorati, quaderni  d'arte del Centro Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del pesce  d'oro, Milano Noi veniamo dall'esperienza della generazione per cui i  quadri rappresentarono lo scandalo che  ancora confonde la classicità coll’accademismo e che scorgeva  in quei quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia deplorante o  pronta al riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna, pur qualche cosa di inquietante e di tentatore che non si poteva dimenticare i quadri della biennale  rappresentarono invece  la scoperta del mondo nuovo e spregiudicato che si apriva alla  nostra cultura G., Casorati, Bertolino, Poli, Erroneamente G. attribuisce il titolo Lo studio al dipinto La lezione esposto alla Biennale. L’opera verrà distrutta nell'incendio del Glaspalast di  Monaco. G., Casorati (Bertolino, Poli). G. indica il secondo dipinto con il titolo Estate. Cfr. A. G., Felice Casorati, LAMBERTI, I nudi nello studio, in (cur.), Casorati. Mostra antologica, G. vi riconosce una traccia di continuità che,  a partire dalle Signorine, opera che, secondo il  critico, non è d’intendersi come gruppo SINTAGMA (cf. I LOTTATORI della TRIBUNA di Firenze) ma come  insieme di figure isolate), arriva sino alla Venere bionda, punto di arrivo e di dissoluzione di quello  che si potrebbe chiamare il tonalismo di Casorati secondo G. il motivo del NUDO in Casorati si  presenta come figura essenziale, come una forma elementare, categorica, simile a quelle delle scodelle, delle  uova, dei libri”, caratteristiche che, alla pari dei semplici oggetti che popolano i suoi dipinti, permettono  quegli slarghi formali di pittura, oltre alla possibilità di un tono uniforme capaci di confermare la sua  sensibilità di colorista. Il saggio di G. su Casorati viene ristampata, aggiornato in alcune sue parti e rivista totalmente per  quanto concerne l'apparato iconografico. Tra la prima uscita e la riedizione, l’interessamento che il discepolo dimostra nei confronti del maestro  è continuo e si attesta con modalità simili a quelle che avevano contraddistinto il suo precedente impegno sulle riviste nazionali. Vi si  affiancano però nuove prospettive lavorative. Accanto alla sua attività di pittore e di critico che in questi anni, oltre alla corrispondenza per Emporium e alla collaborazione per Il Selvaggio, si  amplia con due contributi sulla rivista Le Arti, G. è impegnato nella nuova veste di assistente alla  cattedra di pittura di Paulucci presso l’accademia Albertina di Torino, assegnata contestualmente  anche a Casorati per l'insegnamento di composizione pittorica. Incarichi che vengono entrambi  costituiti ad personam dal ministero dell'istruzione nel  contesto dei provvedimenti avviati da Bottai a favore  dell’accademie artistiche. Sono questi, inoltre, gli  anni nei quali G consolida una sicurezza  economica stabile tanto auspicata grazie all'insegnamento nelle scuole: prima  come professore di figura disegnata nei licei artistici  piemontesi e poi, come docente di FILOSOFIA nei licei classici.   La mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata alla Galleria Cigala di Torino, è l’oc-  casione per tornare a parlare di Casorati sulle pagine di  G., Casorati,  cfr. (Bertolino, Poli). sa: Casorati, Arte moderna italiana, Serie Pittori, Hoepli, Milano. Cfr. Darmasso, Casorati e l'Accademia Albertina, in LAMBERTI, Fossati, Casorati Copertina e pagine del volume Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo Accame, Torino. Emporium”, presente in questa circostanza con due  pittori torinesi protagonisti della scena artistica cittadina (reduci entrambi dall'esperienza del gruppo dei sei, sicuramente vicini a Casorati ma mai allievi diretti del maestro: Menzio  e Paulucci, con il quale  Casorati intraprende da tempo un rapporto di stretta  collaborazione.  Il sodalizio dei tre artisti, che non vuol essere un  principio di ricerca comune ma piuttosto un impegno  di politica culturale condivisa, si ripropone più tardi,  in modo analogo, con una mostra allestita alla Galleria Genova del capoluogo ligure. La  circostanza è anticipata da una pubblicazione autonoma di G., intitolata Tre nature morte e stampata  dalla tipografia Accame di Torino (che pubblica, nello  G., Casorati, Menzio, Paulucci, Emporium”, la monografia su Casorati di Cremona), in un elegante edizione in folio che riporta come  Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi. In questa occasione che si propone di presentare sinteticamente  tre opere dei rispettivi pittori, con tanto di riproduzioni a colori G. sceglie la natura morta come genere esemplificativo della produzione degli stessi. Un'operazione che nell’introduzione viene definita  come didattica e che si pone in aperta polemica nei  confronti della tendenza a considerare questo genere  come motivo poco adatto alla pittura moderna: ad  Ogni esposizione abbiamo sentito deplorare l'eccessiva  presenza di nature morte o esaltare per il loro scomparire di fronte ai quadri di figura. Una difesa per l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non si  risparmia nel chiamare in campo i precedenti noti di Cézanne, Manet ed ancora Renoir. La questione non è nuova, ma prende  le mosse da un pensiero espresso dal maestro anni prima, che rappresenta verosimilmente il  pretesto per il contributo di G., che mostra questo taglio così inaspettato. Sulle pagine del quotidiano  torinese La Stampa, Casorati lamentava nell’artico-  lo La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di  accettazione della natura morta da parte di pubblico  € critica, con presupposti che sembravano essere gli  stessi avanzati ora da G. nella sua introduzione: Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie volte  questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi  aranci, troppi pomodori ecc. poveri oggetti, vo1 siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti  Nei momenti più disperati della mia vita di arti-  Sta, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingendo umilmente una scodella, un uovo, una pera. La scelta della natura morta casoratiana  verosImilmente selezionata da G. ricade su Le pere  verdi, presentata probabilmente per la prima  volta in questa sede: un’opera che gli permette di riba-  dire il principio coloristico sostenuto nella monografia, che viene qui chiarito con un'attenta analisi Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo Accame,  Torino La presentazione di Nature morte, dovute a tre fra i più  autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà anche apparire, ed  essere criticata, come una iniziativa a carattere tendenzioso e polemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha piuttosto  un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico: degli  intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per limitazione  Naturale di possibilità, per passione di parte o per difficoltà di  Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non occorre  Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo-  azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico, peggio, di conventicola, il semplice intento di chiarificazione  Intellettuale e critica” (Ivi, p.n.n.). i CASORATI, La crisi delle arti figurative, La Stampa, Scritti interviste lettere, cit., Bertolino, Poli.  CY della sua pittura (non priva di tecnicismi del mestiere), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi  cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre  secondo G. a problemi ed equilibri di natura  compositiva:    Sul fondo rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e  spento, e le chiazze rugginose e calde della putredine che  intacca i frutti; solo dal colore prende realtà il fascino di  questa natura morta, eppure il colore qui non evocherà a  nessuno la categoria della forma aperta o la scioltezza di  un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il  pittore delle forme assolute e degli elementari geometrici,  ma il colore ne rivela, per distinguersi dei campi continui e  dilatati, la purezza, anzi il purismo, di impaginazione e ce  ne propone la più castigata presenza. i colori si subordinano ad una ragione compositiva  a priori in essa si giustifica quel disporsi graduale di  intensità pittorica che può far apparire persino sordo (e  tale veramente sarebbe se non servisse a concentrare ogni  attenzione sull’interno ordinarsi del gruppo centrale, ma  pretendesse di disporsi sul medesimo piano di bel colore dei toni vicini) il colore locale; necessario a staccare nel  castigato e serrato gioco compositivo della frutta ritagliati  sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono nella  vibrante luminosità, la bruciata profilatura delle foglie. Di respiro ben diverso, invece, è il contributo Casorati e i torinesi apparso sulla rivista Pattuglia di Forlì. Nel numero dedicato interamente alle arti figurative e curato da Testori, G. traccia un bilancio della situazione artistica torinese: accanto a  considerazioni su Casorati in linea con la monografia  Hoepli, abbandona i ricordi della scuola di via  Galliari proponendo una lettura totalmente rinnovata,  alla luce dei più recenti sviluppi espositivi. Menzio e  Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri sei, che però non vengono nominati) i pittori che  si sono stretti intorno a Casorati e che, seppur non  direttamente allievi dell'artista, non rinnegano il  debito contratto col primo ideale maestro, né sono da  lui sconfessati. Anzi la stima, l'amicizia e la valutazione  dei diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del  più anziano rimanevano intatti od accresciuti. Una G,, Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Casorati e i torinesi, Pattuglia. La rivista, mensile del Guf di Forlì, viene  inaugurata e riporta nel sottotitolo la dicitura mensile  di politica, arti e lettere. Il saggio di G. viene pubblicato  nell'ultimo numero della rivista, curato Testori e intitolato “Omaggio alla pittura”, che si proponeva di fornire un  bilancio dell’ARTE ITALIANA. LA RIVISTA VIENE INTERROTTA E SEQUESTRATA DA MUSSOLINI per i suoi contenuti non in linea con le  direttive in campo figurativo imposte dal regime. 07 ee    (E I TORINESI)  E condizioni che determinarono a To- : sei anni dopo l'altra polemica fra  rino l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a proposito del  di quest'ultimo,  di eu- proposito del valore positivo  tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle influenze parigine sull'arte  tica ai pose di per se stessa come po- ita'iana non ha significato diverso. Ora  lemica: © in cui da polemica fu l'one- Gobetti e Venturi sono appunto  stà stessa della critica. La guerra del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca   è terminata. Lo stile libe- sorati. A dispetto danque delle av  ty » in architettura, il neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira  lismo tipo In arte libertas da cui zioni dell'aggiornato, che esalta insie  pure avevano mosso î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati, l'e  tori validi come Modigliani e Spadini figurativa di quest  uveva esaurita ogni pretesa alla forma- —srebbe un significato diverso, e in certo  zione di una coscienza figurativa nella senso opposto, n quello in cui si è  banalità di un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza della più  fermenti di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana? In parte si deve  scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere affermativamente  pEr eg sai 16 gin   lettuale per quello Hgurativo sano  ogni evasione dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la pittura di Casorati  quanto per queste esperienze avveniva anche nelle punte di estrema avanguar-  ordine a le possibilità della linea cur-.ija come in certi distrutti. di-  me di questo è quel complesso frea- —pinti, n quanto si dice. sotto l'influenza F. Casorati: “Ragazza,. diano avveniva, in modo anche più vol- gel gusto di Kandiski, cerca i proprii  gare è fatuo, mancati Sant'Elia e Boocio riferimenti non in un mondo mediterra-  : ma in uno nordico {quasi a fedeltà    i  H  È  È;  i  figurativo di Martino Span-  Torino poi: Thover seguitava a eredere viti e di Defendente Ferrari che guard    Memet o di Bestlovea, a confeadero assai più che quello, volto verso il l'eleganza lineare di MODIGLIANI (si veda) con di Gaudenzio), non in un'umanità  l'imperizia del bambino (e se mai si assertrice di proporzionata statura mul sarebbe dovuto rimproverargli un'ele- rondo det orizzonte, ma nel  panza sin troppo vicina preoccupazio- tormento di sentirai oppressa da È  ni ostetistiche e contenutistiche simili amine mirror  quelle che limitavano fl eritico) inau- ciò di dramma per la propria persona,  guraodo quella tradizione di contenu- in quanto finita, Il sottile linguaggio  tismo ad oltranza e di cauto e garbato, formale, la ricerca d'equilibrio compo- ma fondamentalmente deciso, fin de sitivo, l'astratto rigore della sintesi po-  non recevoie » mel riguardi di una vi- Loveno sì! suggerire, insieme @ certo  conda pittoricamente valide a cui si at- codenze illustrative (i libri aperti, i  tiene con un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli accorgimenti ‘tecnici,  meno 2 merito della consequenzialità come l'uso della tempera verniciata, ri-  quel poco di csi valga la pena di rorimenti al quattrocento, mostro. sn  menzione della critica d'arte del quo- non poteva sfuggire ad ‘una  tidiani oggi ancora a Torino. più accorta l'assoluta continuità spi-  Un panorama, come si vede, sostan- rituale che legava il mondo d'allusioni  rialmente simile a quello del resto crepuscolari è le eleganze cstotizzanti  d'Italia, in cui tuttavia, in quegli delle « Vecchie» o delle Signorine  anni dell'immediato dopoguerra, Tori. attraverso 1 paradossi pseudo-formali  ba ipo ipa delle  Scodelle è delle Uova nella  maniera particolare e gerto senso, doppia redazione, a tappeto ed s vo-  fispetto al resto d'Italia, polemica, su tume. a questo muovo mondo di non  di un doppio piano, intellettuale e figu: 1meno quintessenziate definizioni umane  Rene a pi o spaziali, anche se nel silenzio di  IO) essere esemplificata PO quelle quinte prospettiche ora quei pro-  sizioni reciproche de La Ronda fili proponessero le loro cadenze non  di rivoluzione liberale. Cinscuno più per la via analitica dei compisci  vede quanto diversi gli orientamenti menti particoleristici, ma per quella  umani e culturali. Ma è tipico che pro? delle sintesi ellittiche.  prio fra Cardareti un'occe. Eppure una così diversa afferma-  sione polemica, su Leopardi, porta a zione in ordine a scoperte pittoriche,  una discussione do andava ben una tanto dialettica decisione nel de-  oltre i termini della cortesia. Siamo nel finire il proprio mondo indipendente. Casorati: “ Bambina. Casorati e i torinesi, Pattuglia, lettura della scena artistica cittadina che esclude totalmente i primi discepoli dell'artista che continuano  nel frattempo a dipingere ed esporre, non solo a Torino  preferendo invece soffermarsi poi sull’anomalie figurative intese rispetto al tracciato casoratiano proposte da Spazzapan e  Cremona. Il rapporto tra allievo e maestro, che è innanzitutto di amicizia, rimane solido negli anni a seguire,  nonostante le scelte di G. si avviino, nel frattempo, verso un fronte non figurativo della pittura, che lo  vedono abbracciare l’astrazione ed aderire al “Movimento Arte Concreta”, fondando insieme  ad Biglione, Montalcini, Parisot, Rama e Scroppo la sezione torinese del gruppo. Accanto alla sua attività di critico militante, più  orientata verso le verifiche nel frattempo ottenute con-  testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad interessarsi di Casorati, soprattutto in occasione di letture complessive e bilanci di un'epoca, che sembra ormai  essere lontana nel tempo  Cfr. G., Casorati, CAIROLA (cur.),  ARTE ITALIANA del nostro tempo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,  Bergamo, La pittura a Torino, Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea, La pittura, lo spirito e  mente da ricerche solo per certi riguar- questi sforzi d’uomini della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre riuscito a cogliere il momento di di parallele, grazie all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza  realizzazione figurativa è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del resto questo gli abbia impedito  tezza di linguaggio fantastico da essa Nasce così il gruppo dei sei: tidenza di segno, una predilizione per quell'accorta coscienza teorica della po-  presupposia, s'inseriva nel dialogo della Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta quei profili nettissimi che gli permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi-  italiana di quegli anni con una © Jessie Boswell., Fntro e fuari le vidi dare evidenza allucinante d’inganno gurativo sì determina e del rapporti di  validità di proporzioni che tuttavia man. cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla riproduzione dei i og- esso col movimento surrealista, di  tiene integro il valore dell'esperienza risulta allora e tale si mantiene, come i: distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa e significativa  a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza suggest vicenda gli interessi destati a Torino  memoria 0 più rigorosa- parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia dei col  monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente  pittura. Tutti da  Fanciullo ad- menti delicati, d’edonismo controllato rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano Seleaggio, per brev'ora torinese  dormentato allo Studio  del © schivo, sceglie usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle recenti realizzazioni, al Concerto »ne henno zione in volti di donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si itettoniche, nella sede della società  nti i risultati più vivi. Poi el si bambini. Da questo punto di partenza dà lettura, ma  cl Ippica di Mollino) che tatti 1 suoli  hnocorse che i valori di tono e di ero appena le due esperienze opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori conoscono,  ma erano pur utilizzabili în assai più concordanti nella dissoluzione di ogni e- torici in cui però Cremona è quasi sem- G.  concreto discorso di quanto non si lamento estrinsecamente contenutistico,  facesse dagli epigoni del peggior otto- del rigoriamo formale casoratiano in-  cento. Si afferma che i Macchiaioli tu-, e del fervore cromatico de  rono fra gli artisti autentici della no- gl’impressionisti per-   stra tradizione; si riconobbe che un ar- misero a Menzio di scontare in puro  tista ostile o almeno appartato di fron- sollecitazioni pittoriche quei dati del  te a ricerche futuriste, metafisiche © sentimento, si defini una visione tanto  neoclassiche era un grande pit- personale quanto coerente dove la mu  i si riscopri l'im- sicalità del colore e la freschezza del  pressionismo. Îl necclassiciamo, nel È  È «po  vecento » milanese, che qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa-  definiva nooromantico, sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una confes-  Tosi, in una tradizione di pittura a- sione umana piena di melanconica no-  perta. Soffici non più cubista predica biltà nel reiterato e come ansiosamento  ed esemplificava un ritorno alla natura interrogato indagare intorno alla con-  in cui l'esperienza di Cézaane non eselu- sistenza pittorica di quelle persone di  deva quella di Fattori: a Torino, do- drumma, così sottilmente lirico e di  ve già intorno a Casorati una scuola cosi pausate parole, che si muovona  tendeva a ridurre a grammatica il sua nelle composizioni famigliari di Menzio. figurativo, attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto  guamento universitario, Îl mecenatiamo qutt'altro che paghi o chiusi nell'au  di un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi entrambi sempre  tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei limiti o della  milanese di Persico anch'esso partito contiagenti stanchezze che potessero cc-  in battaglia contro il neoclassicismo, appannare il gelido speo-  la lezione degli impressionisti è at- chio di formalismi eidetici del primo,  tinta direttamente ai grandi modelli: ©  Manet, Renoir, Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che ci spie  senso importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più riscntite ao Paolacei: Piazza Navona l'affermazione che Cèzanne non meno nitide pro- veva reagito all'impressioniamo, ma lo filature lineari di Casorati,  veva continuato e che perciò la tradi- come le | ritorni, e, meno  zione più viva di movimento an-, da monotonia le ripetizioni  dava proprio cercata in quel discorso 1delle cose meno valide di Menzio. ln  rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo assai diverso, ina con accanita tro che occasionale e vedutistico che è commovente dedizione ad un'ideale  stato proprio dei pittori che abbiamo di pura pittura che esclude tanto  citato piuttosto che dei Monet, dei Pis- ogni intrusione intellettualistica  quento surro, di Sisley. Secondo: che quel- ogni dispersione decorativa Pao l'adesione all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon  teva che importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa, Gogh al più libero fsuvinmo, rivivere il gusto degli impros-  che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di questa fase della  ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura torinese, possono essere riat- ivano continuato, Gli strilli dei varii taccati, in senso diverto, Mar-  Ojetti per i salti in lunghezza da tina, temperamento delicato di colorista  Giorgione n Braque naturalmente non eu cui è stata decisiva l'influenza di  si contarono! Ma intanto quello che te nf gie gi  importava fu che la esemplificazione cento personale una trepida, ©  vitale dei frutti di quest'esperienza cul- come smorzata, elaborazione di ogni da- turale fosse data proprio da quei gio- to tonale degli oggetti, e Spazzavani pittori che sì erano stretti intorno pan la cui origine è le cui esperienze  è Casorati, pur non più così ragazzi istriano diedero ad una veramente pro  da diventar suoi allievi nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit-  lastico della parola, © che ora nell'inì-1toricamente, attraverso la rapidità della  ziare un lavoro diversamente orientato, acchia e del segno, ogni dato ogget-  e vano il debito contratto col tivo una truculenza cspressionistica re-  primo ideale macatro, nè sono da Jui mota dal raccoglimento degli altri to-  sconfessati: anzi la stima, l'amicizia rincsi e dalla pacata visione dell'im-  © la valutazione dei diveral ed ugual pressioniamo. È di questo suo pecu- mente validi risultati, da parte del liare atteggiamento ci restano molti mo-  più anziano rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale. desio sforzo d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri  verso divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza i sultato, altrettanto si può dire dell'attenzione a Dittorica inieressantiesima di Italo Cre- Menzio:  Ritratto Alla scomparsa del pittore, G.  traccerà un ricordo del maestro, a margine del catalogo della mostra d'arte contemporanea di Torre Pellice. Non più il colore o il tono, ma quei valori umani  e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni  di via Galliari animeranno, in conclusione, questo suo omaggio di discepolo: poiché è anche la coscienza  di questa libertà, prima ancora morale che estetica, che  da Casorati alcuni di noi ricevettero come l’insegnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo  ad esso questo saluto al maestro. Chè le sue opere parlano, per il rimanente, senza bisogno di commento. il sangue, cur. Mantovani, Quadrante, Torino G., Omaggio a Casorati, mostra d'arte, catalogo della mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese), Tipografia Subalpina, Torre Pellice. Gli occhi fervidi e il sapore di cenere G.: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Olivieri    Approssimarsi all'opera letteraria di un uomo di  cospicua cultura quale è G., significa  penetrare in una eletta densità speculativa sorpren-  dente se commisurata a un intellettuale defilato in vita  e ricorrente oggi nella ferma e attenta riflessione di  pochi storici. Come ebbe a dichiarare G. stesso  In una autopresentazione, non gli si perdona  l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle  stigmate dell’intellettuale, categoria in cui finì suo  malgrado per vocazionale passione  per la cultura. Proprio nell’ambiguità, nel marcare un  confine ideologico sottile, ordinandosi orgogliosamente in disparte insieme alla generazione degli eclettici Cremona, Mollino e Maccari, ci pare che G. trova un eccentrico terreno di appartenenza sul quale  edificare una propria filosofia personale sistematicamente relata all’erudizione antropologica, filosofica,  religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata  agli interessi misteriosofici G. stesso ebbe a  definire le proprie opere evocazioni esoteriche vagamente connessi alla cultura torinese d’inizio  secolo e, in modo maggiormente probante, con lo studio di Casorati in via Galliari dove conosce Daphne Maugham che, dopo avere respirato l’aria mistica della  parigina Académie Ranson, si è trasferita a Torino  dove la sorella con Salice,  e Markman si dilettavano già, oltre che di  danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico,  G. che inizia ad interessarsi a Steiner e Madame Blavatsky batté gl’argomenti  indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un  intellettuale atipico che, come ricorda Sanguineti,  ispira idee ereticali nei propri allievi. Autore di pochi  saggi, che punteggiarono una carriera meno prodiga  di quella del compagno di studi liceali Argan, conosce Venturi che lo accolse come  collaboratore dell’Arte facendogli inoltre pubblicare  alcuni saggi sulle civiltà extra-europee. L'equivocità tra critica militante e pratica pittorica  fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui  rilanci e azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In  questo assiduo riversarsi delle specificità discipli-  nari consiste per G. il senso estremo della sua  Pittura, votata alla vanità dell'atto privato, smagata  d’ogni velleità economica e promozionale ma cro-  S!uolo rovente dal quale estrarre i concentrati succhi di un'urgenza creativa. L'incessante ritorno all'arte. ni n G., La pittura a Torino, Letteratura, La pittura, lo spirito e il sangue, P.MAN-  ia cur., Il Quadrante, Torino, G., Diagnosi del moderno. Scritti scelti, UFFINO (cur.), Aragno, Torino, L'arte egiziana antica, Firenze; L'arte dell'Asia occidentale  centrale, Firenze; L'arte dell'Asia orientale, Firenze è, Al Gioberti di Torino dA EdO a  ad. come artificio, come fare in sé autosufficiente, è per  G. un difettivo rimedio all’insanabile scissura  della natura umana divisa tra spirito e materia, tra  razionalità e intuizione, e un’imperfetta occasione  di confronto tra individui sul piano partecipabile ed  empirico dell'immagine che, pur sempre aderente  alla condizione fabrile, trova la propria natura più  autentica nell'essere essa stessa divisa tra creazione  e imitazione. L'attività poietica, l'agire sulla materia  intesa sui presupposti estetici gettati da Alain (pen-  satore scomunicato da Croce), sottrae il discorso di  G. dall’osservanza teoretica idealistica come  dall'impegno etico esistenzialista e, abrogando di  fatto la condanna platonica dell’arte, accetta il va-  lore estetico come simbolo del male. L'arte trova  allora la propria eretica ragion d'essere nella forma  materiata, così come l’idolo o il feticcio sarebbero la  divinità in presenza e non l’ipostasi divina. Per questo  la pittura per Galvano rappresenta enigmaticamente  il dio visto di spalle. Quando Mosè chiede al Signore di mostrargli la sua gloria il Signore gli risponde:  Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e  proclamerò il mio nome. Soggiunse: Ma tu  non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo  può vedermi e restare vivo. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella  cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò  passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere. L'espediente divino narrato nell’Esodo biblico, fatto laicamente  La Sacra Bibbia Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su carta applicata su tela, 68x125 cm., GAM Torino. reagire con esperienze disposte alle proiezioni, tra  cui l’idea del dio pagano che non tace non parla ma  accenna, sarebbe da intendersi per G.  che si  era laureato presso la facoltà di magistero di Torino  discutendo con Gambaro e ABBAGNANO (si veda) una tesi sulla pedagogia della religione” come metafora  dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale unica possibilità mondana di riconquistare l’unità  primigenia dell’uomo. L'azione esercitata dall'artista  nelle condizioni oggettive della materia è, più di una  tecnica operativa, un’alchimia ai filosofi G.  preferisce Helmont e Della Riviera che permette il verificarsi di un'unione  tra l'esperienza concreta bloccata nell'immagine e  l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale.  Sì tratta in sostanza dell’allontanamento dall'idea  crociana di un'arte che esisterebbe autenticamente  solo nell’intuizione e non nella funzione estrinsecante  della materia. L'arte sfugge così al concetto di rappresentazione candidandosi come opportunità che  contemporaneamente apre allo sguardo rinserrandosi  nell’enigma, nella manifestazione del trascendente.  G. percorre incessantemente questa terra di  frontiera: COME FILOSOFO, come storico, come pittore. Prodromo del percorso pittorico è l’alunnato presso Casorati, scelto peril linguaggio sufficientemente decantato, sintetizzato e affrancato dal dato naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale  capace di conferire un ordine platonico agli oggetti  dispensati dalla polverizzazione cromatica impressionistica. Una lezione estetica essenziale quanto l’austero contesto della scuola. Esemplarità che si concretizza  inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene  in dissolvimento nell'arte moderna con la quale si  conclude un ciclo plurisecolare aprendosene un altro,  tumultuoso nel bene ma anche nel male, dal quale si  sentì definitivamente estraneo. Il mondo del secondo dopoguerra sarebbe  affetto da una crisi di moralità alla quale potrebbe  unicamente fare fronte una presa di responsabilità  politica, artistica, religiosa, speculativamente limpida  ed esente da posizioni compromissorie e accomodanti  come quelle sostenute dagli artisti che vogliono salvare  i valori della tradizione pur dichiarandosi moderni. L'intera modernità e l’idea stessa di progresso tecnico  a G. risultano ree di edificare, intorno a un fulcro di ragioni economiche (Marx) e sessuali (Freud), un  presente depauperato dall’opportunità della variazione imprevista. A una totalità di costruzione legata alla  forma, tipica del Medioevo, si avvicenda insomma  una totalità d'impiego legata allo scopo, decisamente  avvilente come comproverebbe per inverso il moderno carattere apologetico della narrazione tecnica e  scientifica. Giudizio estendibile al fatto estetico per  cui all'arte come atto fabrile, tipico del Medioevo,  si avvicenda l’arte come atto intellettuale, peculiare  del Rinascimento. Segue il periodo reazionario e tradizionalista del romanticismo, caratterizzato dal recupero programmatico degl’archetipi (Jung) medievali ma rivissuti Per un'armatura, Lattes, Torino. Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali si erano formati. La spontaneità medievale diviene  nel Romanticismo programma culturale e come tale è ereditata dal decadentismo e dal simbolismo,  il soggettivismo dei quali impronterà di sé l'espressionismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla pulsione oppositiva alla tradizione elevando a sistema l'efficienza produttiva di un nuovo codificato come  autoreferenziale, programmatico e inintelligibile ma incapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante esaurirsi dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gl’epigoni dell’astrazione storica, i concretisti, sono nvece esonerati da questa soggezione insieme alle retoriche idealistiche riuscendo, in piena ricostruzione  etica e umana, a calarsi completamente nel dato residuale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico. È l’esperienza che G. intraprende con l'adesione alla branca torinese del MAC,  esauritasi per lui nella spontanea affermazione delle  forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e Spigolose dell’astrazione concretistica. In una sorta di personale contropartita agl’intelessi spiritualistici e antropologici, G. pensa a Artemis Efesia, Adelphi, Milano. un'arte come luogo del verificarsi del mito capace di  portare a definitiva decantazione la sua inclinazione espressionistica (rubricata dal Pallucchini) estraendo-  ne la forza panica trasfigurata in una rinnovata spinta  metafisica. Sein ambito artistico risulta evidente come egli ha risolto insé l’apprendistato casoratiano non assorbendone che un clima d'insieme, metabolizzando  l'aspetto decadentistico della pittura del maestro celata  sotto la rigorosa adesione a una norma di cristallina  evidenza estetica ed etica, sul piano dell'esercizio  critico volle incrinare dialetticamente il sapere con-  solidato al fine di cogliere unitariamente il senso più  autentico della modernità. Accostandosi ai testi suoi  maggiori, nei quali dispiega un cospicuo sforzo storico  ma editati in un periodo a loro sfavorevole Per una  armatura e Arthemis Efesia, si ha la  sensazione di essere dinanzi a un affascinate quanto  indefinibile prodotto letterario saggio, DISQUISIZIONE FILOSOFICA, colta divagazione, eccentrico soliloquio, introspezione analitica che, pensando alla continua  permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe a  pensare a una creazione letteraria con statuto indipen-  denteecreativo rifiutato da Galvano incline, viceversa, a una critica intesa come emanazione di un'attività  immanente all'atto creativo. Permane tuttavia l’eco  dell'idea crociana della storiografia e della critica che,  pur non aggiungendo nulla all'opera ma limitandosi  a sancirne la validità poetica secondo l’idea del philo-  sophusadditusartifici- contrapposta all'idea dell’artifex  additus artifici sostenuta da Annunzio e  Conti sulla scorta di Ruskin e Pater, attribuisce facoltà filosofiche e artistiche alla  soggettiva sensibilità intuitiva dello storico.   Coscienza temuta e avversata Croce è, per  G., un'autorità intellettuale che in cambio  di una piattaforma teoretica esige la partecipata  condanna delle opere che, passate al vaglio di un  accurato approccio metodologico, risultino prive  di valore poetico. Nell’acido corrosivo dell'ironia e  dialettizzando gli argomenti con lo storicismo, Croce condanna il decadentismo nell’accezioni mistiche,  estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede  inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in  quel termine tutto ciò che tende a sviluppi formali  astratti e condannando di fatto la fitta rete culturale  e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce ha il merito di avere reso accessibile e ripercorribile questa fitta topografia anche nella declinazione  contraddittoria e fragilmente raffinata del vituperato decadentismo. Accettando la condanna crociana,  G. confessa la propria passione per decadenti, esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi  scientemente in una giurisdizione infernale come  critico e come artista nato dalla linea evolutiva del simbolismo. Identifica anzi quello straordinario momento storico come un estremo malinconico balenio  della civiltà al crepuscolo, un'epoca di transizione  divisa tra spirito e carne, abitata da alcuni tra i più  eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni difformi  ma compiute e che lo sperimentalismo modernista  delle avanguardie esaurirà. In una sorta di ribellione alla figura paterna,  G. trasgredisce la raccomandazione crociana  di non leggere Rimbaud, Mallarmé, Valéry e riscopre, anteriormente a Cremona, il modernismo e la  linfa vitale del decadentismo attraverso il quadro  metodologico del filosofo abruzzese inclusivo di fatti  estetici anche diametralmente opposti alle sue idee. G., come alla sua generazione, fu quindi impossibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità  G., Perché non possiamo non dirci crociani, in Numero Arte e letteratura”, Omaggio a G.”, catalogo della mostra, Circolo degli’artisti, Torino, Fossati, GARIMOLDI, Munpici (cur.), Electa,  G., “Diagnosi del moderno CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze, che quella metodologia offriva nel sistematizzare  l’intera storia. Quello che invece depose fu lo spirito  conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a banalizzarsi nell’idea d’un museo immaginario. Quando ha il proposito di approfondire  l’immagine cultuale e psicologica dell’efesina Arte-  mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui da  un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!”  (1898), opera collocabile allora, quando uscì il libro, e  tuttora, in un filone di gusto piuttosto sospetto. Con  una serie di pubblicazioni’, si renderà così protago-  nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato  interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più  diuna semplice ragione di studio quanto invece, nella  pratica pittorica, una viva permutazione in allusioni  enigmatiche irriducibili a ogni interpretazione, quali  il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore e sim-  boli. Questa continuità formale si chiarisce anche  come continuità semantica quando si consideri come  G. e Cremona abbiano ricondotto l’arte astratta  in un comune svolgimento con il Simbolismo e con il  Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata  sul piano della fabbricazione. Da cui il transitare di  G. dalla fase concretistica a quella informale  e, più in là negli anni, a quella araldica di nastri e  bandiere per giungere appunto agli iris. Trascorrere  stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut-  tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva  assegnata ai reticoli cromatici astratti e la sensibilità  decorativa trasformata in materia fermentata fino alla  disgregazione dalla quale estrarre infine nuovamente  il ritmo danzante delle forme arabescate. Il simbolismo  gli consente di riversare il misticismo nella propria  opera di pensatore e, soprattutto, di pittore. L'arte  assume quindi un valore emersivo di forze morali  (leggi spirito) del bene nel momento crociano,  del male più tardi in modo nietzschiano prima  ancora che estetiche (leggi sangue); diade debitrice al  suo filosofo di riferimento Klages, altro intellettuale trascurato in ITALIA quanto sospettato di avere  incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece  più coerentemente dovrebbe essere pensato come un epigono del romanticismo intuizionista. L'arte tenta  un'indiretta conciliazione tra spiritualità e artificio  consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica-  mente creatrice e non solo la copia di una copia; non  una rappresentazione ma un esserci immanente. La  volontà di accogliere quel male come necessario gli  viene dalla presa coscienza di un'’artisticità, che arde G., Dal simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di  lettere ed arti; Le poetiche del simbolismo e 1‘origine  dell'astrattismo figurativo, Studi in onore di Venturi. Articoli specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la  sublimazione astrattista, Cratilo, Gabetti Isola, Casa di Erasmo, Torino. inlui, radicata proprio nelle opere  Create nelle elaborazioni più  irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta  a fertili risultati lo si comprende appoggiandosi all’in-  terpretazione che Galvano offre delle Artemis: bianca  come simbolo coadiuvante di perfezione conchiusa ma  Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione  e INCompiutezza ma dinamica e che in potenza può  Jenerativamente aprirsi a una riserva di possibilità  eventualmente immanifeste. Per traslato, quindi, la  hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di  risultati. Permane tuttavia il concetto di fondo che la pittura, come prodotto di una volontà impossibilitata  a realizzarsi nell’ideale, sia il risultato di una caduta la  Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità e disviamento. Come s'accennava sopra, G. si smarca  dall'idea di un'arte quale esempio del bello estetico  e del bene morale, per lui non più coincidenti, ma  accetta la disperata affermazione dell'immagine come a l Me. È È n IS  la  t LI  è  ®  î unico possibile risultato dell'impulso proiettivo delle  aspirazioni individuali o sociali. Pittura che in ultima  istanza è anche piacere sensoriale, vocazionale istinto  a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”, vanitas;  pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la  proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma-  gini aderenti al mistero, almeno per quel poco che la  contemporaneità consente, poiché ilmondo nega ogni  giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero bor-  ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette  che in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la  pianificazione, la sterile sistematicità. Per G. la  nostra epoca è irrimediabilmente scissa dal significato più autentifico della vita, dalla sua forza feticistica  poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del divino è costante, una favola bella l'iconografia della  quale non è che una lontana immagine idealizzata  priva, per i moderni, di ogni accenno oracolare. Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse, doveno apparire perlomeno eterodosse all'atto della  loro formulazione, divise tra esistenzialismo e fenomenologia e affacciate all’abisso del mondo preclassico,  alle profondità eraclitee. Scostatosi dall’irrazionalismo  di Klages, G. non intende fare di sé un anti-razionale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come  indica la personale concezione d’arte in equilibrio  tra ragionevolezza e vaticinio, secondo un fare né  pienamente consapevole poiché eroticamente privo  di volontà intellettiva, né tantomeno completamente  incosciente poiché contemplativo. Pertanto l'ipotesi  di G. è più aderente alla poetica di Mallarmé  piuttosto che al pensiero di Valery, perché dove il  primo disidratando e affinando la parola poetica  pone le condizioni per un superamento del modello  simbolistico aprendo di fatto alle avanguardie, il  secondo immagina la creatività come un processo  logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla  consapevolezza dell'atto. Esaltando cartesianamente  l’intelletto e la coscienza, il processo creativo per Valery  è un'attività spiegabile analiticamente senza ricorrere  a misticismo, vitalismo e spiritualismo. Carnalità,  sessualità e sensualità – CROCE (si ved) aveva biasimato la sensualità nell'opera di Mallarmé come priva d’anelito  d’innalzamento sono invece le pulsioni vitali del SIMBOLISMO che interessano G. e che la  razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti-  co, dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse  pregiudiziali. Speculazione intellettuale e artistica che  rivela tutta l’enigmaticità di G. che oscilla tra i termini affermati da Mallarmé, e ripresi da Alain, di “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”,  intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se  da una parte, sull'esempio di Mallarmé — il quale pre-  cipitò le parole nell’assoluta perentorietà delle pure  idee aspirando infine a una “poésie sans les mots”, G. pare decidersi per la “vue” aderendo al  concretismo astratto come pars construens dalla quale  pretendere risposte formali di esito certo, dall'altra,  per mezzo del multiforme divenire della sua pittura,  apre obliquamente alla possibilità allusiva dell’apparire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo  al concetto di “vision”. L'oscillazione dalla vaghezza  creativa all'evidenza intellettuale di forme e colori è  l’unica risposta contingente possibile per G. che  decide di non decidere tra i termini antitetici asseriti,  approfondendolo sguardo nell'oscurità della creazione e della vita. Medesimamente il G. scrittore  affronta il passato eludendo la descrizione analitica  delle epoche storiche portandone bensì all’emersione CROCE, Poesia e non poesia, Laterza, Bari, MALLARMÉ, Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Fasquelle, Parigi i reconditi meccanismi, le contraddittorie spinte pul-  sionali; un’organica prassi opportuna a increspare la  ricerca storica attraverso una molteplicità di punti di  vista culturali posti in reciproco dialogo e liberamente  sollecitati. Il rischio nell’approcciare oggi la figura di G.  è quello di appiattirne il pensiero, come avverte  Sanguineti. L'illustre allievo aveva compreso  come il decadentismo pittorico di un Moreau o letterario di un Huysmans fossero considerati dal maestro  un indispensabile momento storico. G. mostra  insomma un’idiosincrasia per quelle “mortificazioni  crepuscolarmente schifiltose” che impedeno  ai CAMPANA (si veda), agli ONOFRI (si veda), agli UNGARETTI (si veda) e ai MONTALE (si veda) di  superare, senza rifiutarne la carica panica e mitica,  il naturalismo panteistico dell’Alcyone dannunziano.  InItalia, l'assenza del dissolutivo lavacro simbolista si  era in sostanza ripercosso nella crociana deplorazione  categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione di  potere produrre un'opera estetica autenticamente nuo-  vaeludendo il peccato originario del Decadentismo. Il  tentativo di emanciparsi dal prestigio delle autoritates  latine che aveva tentato D'Annunzio richiamandosi  ai romantici tedeschi, apriva gli occhi di G. ai  pre-socratici e alla filosofia moderna (dall’irrazionalismo alla scuola ermeneutica) che del classicismo aveva  assunto il senso vitalistico, indefinibile e misterioso  di una natura come rivelazione del divino. Da cui  l’idea di una suprema ragion d'essere trascendente  alla quale l’arte, per G., dovrebbe aprirsi ma  che invece nelle enunciazioni contemporanee gli  pare, con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera  chiusa. Con un piglio da lettura sociale dell’arte,  G. scrive dell’esaurimento dei rapporti storici  tra committenti e artisti e di come ciò abbia mutato  l'originaria destinazione d'uso delle opere, ridotte  così a gratuite provocazioni. Conseguentemente  proponeva le dimissioni delle categorie di giudizio  elaborate perle arti visive del passato da sostituirsi con  un equivalente delle letture psicanalitiche tentate da  Sartre su Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre  un pittore tradizionalista, G. si dichiara disinteressato a certi sviluppi artistici lasciando intendere  come il problema dell'effimerità dell’arte compreso l'amato astrattismo geometrico sia  anche un problema della storia dell’arte come disciplina. Su come debba essere poi questa storiografia  G. non si pronuncia se non dichiarando che il  problema della storia dell’arte debba essere anche e  SANGUINETI, Contro la ragione, in La Stampa, G., catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Torino, soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono le  parole destinate a grande fortuna critica che scrive Belting nei pamphlet intitolati “La fine  della storia dell’arte o la libertà dell’arte e  nel successivo Das Ende der Kunstgeschichte. Eine  Revision nach zehn Jahren nei quali auspica  la fine della storiografia artistica tradizionale a favore  di proposte olistiche e antropologiche avvedute delle  mutate circostanze sociopolitiche, del rimescolamento  di cultura alta e bassa, della suggestione determinata  dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà culturali  prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzione assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di  musei e gallerie d’arte. La prospettiva delineata da  G. si tinge di accenti acri quando denuncia la  pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti alla  non nocenza di prodotti da supermarket immersi in  una rete di opportunità economiche e di complicità  professionali. Un terreno culturale desolante che  assume una disillusa trasposizione nella sua pittura  ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema  del silenzio creativo come opzione possibile nonché  parzialmente intrapresa. Facendosi anticipatore di  posizioni storiografiche di superamento della canonica divisione tra antico e moderno e concentrando  il periodo rivoluzionario dell’arte d'avanguardia, in una sorta di personale à rebours  G. esprime l'opinione secondo cui i movimenti  artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni di  assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente  Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della  tradizione rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte moderna parallela più complessa e connettiva come  avrebbero potuto scriverla gli artisti ai quali infine  delega idealmente il compito futuro di creare un'ar-  te che, restando nell’ambito non figurativo e senza  Impossibili riflussi, riesca coerentemente a ristorare i  Valori artistici e umani del passato. G. insomma  invoca il diritto anon essere moderno, o peggio ancora  d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza  e rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare,  In senso dichiaratamente anticrociano, la poetica degli  artisti che al lavoro intellettuale uniscono la prassi.  Insieme alla proposta per un rinnovamento della  Storiografia artistica G. ne affianca un’altra di  Natura conservativa consistente nell’idea di salvaguar-  dare le opere minori del modern style, perlomeno gli  Oggetti e gli arredi non ancora distrutti (di Cometti  Per esempio). Immagina la documentazione degli  edifici Liberty finendo per invocare l'allestimento di  Una retrospettiva sull’Art Nouveau internazionale, ma ù G., Cosa nostra, Sigma, Omaggio a G., Diagnosi del moderno”,  avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio,  da allestirsi nella rinata Galleria di Arte Moderna di  Torino. Caduta nel vuoto la proposta sarà proprio G. a scrivere un articolo sull’Art Nouveau  a Torino e poi, insieme a Balmas e Guasco, a curare al foyer del Piccolo Regio  una mostra dedicata alla pittura torinese. Sorta di doveroso omaggio a uno stile di  vita prima ancora che d’arte nel quale confluirono la  vita delle forme collettive e l’individualità creativa.  Dissentendo da CROCE (si veda), l'interesse di G. per gl’oggetti si approssima alle idee espresse da GENTILE (si veda) nella prolusione al corso universitario di storia  della ceramica pronunciato nel Palazzo Comunale  di Faenza nel quale il filosofo, saldando  arte e vita, rivendica la dignità estetica dei prodotti  artigianali e industriali di qualità. Si consuma qui  l'ennesima contraddizione di un crociano affine alle  idee di GENTILE (si veda) che pur biasima per densità retorica. Sensibile alle arti dei periodi di transizione e avveduto della caducità dei giudizi, compresi i propri, per  G. ogni critica obiettiva deve essere sempre  un’autocritica. Augurandosi l'avvento di un esegeta  capace di rileggere l’arte tra i due secoli, così come  Sanguineti seppe fare con la letteratura, G.  rammenta come la sua generazione abbia vergato  parole sferzanti su Bistolfi fino a pochi anni addietro  valutato un artista di statura europea. Ma fu anche  la generazione di quei giovani i quali, raggiunti gl’anni quando  dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono  conle parole di Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans  il cui Des Esseintes sembra essere allora il prototipo  di un esteta come MOLLINO (si veda). Dell’amico, stimato  oltre che come professionista di genio anche come  dilettante d'eccezione, G. ammira la capacità  di governare con la formazione culturale crociana (CROCE (si veda))  e il rigore razionale tipico della sua professione,  gl’umori sensuali, avventurosi e ambigui del suo  animo capace di ri-evocare il ritmo aperto e biologico  del Liberty restituendolo nella voluttà degli interni  arredati, nell'armonia architettonica dei pieni e dei  vuoti, nella eterogenea e immaginosa commistione  di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità  che il termine “surreale” illustra solo parzialmente  e che trova una segreta corrispondenza nelle opere di Cremona come nei molluschi, nelle conchiglie,  negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere  barocche che G. dipinge. L'identità autopoietica generata da Torino  si manifesta nella condivisione spirituale prodotta da G., Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino, Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti] questa generazione d’eccentrici intelletti, nella speci-  fica formazione di un genius loci come G. e nel  progetto della Bottega d’Erasmo che Gabetti e Isola  disegnano in forme intellettualistiche neo-liberty. Proprio in quell’anno, “A Rebours” di Huysmans  diverrà per G. il pretesto per puntualizzare le  proprie posizioni all’interno del Mac e più in generale  nel modo di intendere il Decadentismo! Quando Borgese consiglia agl’astrattisti concreti,  in chiusura della recensione alla mostra di G.  allestita presso lo Studio di Milano, di  rileggersi il celebre romanzo di Huysmans nel quale,  a suo parere, ci sarebbe stato il necessario per decodificare la loro poetica, gl’aderenti al gruppo accolsero  l'esortazione come una blasfemia da respingersi integralmente. G. ritenne legittima la protesta dei  compagni astrattisti apparendogli chiaro come Borgese incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante vita  del protagonista narrato nel romanzo, di esprimere un'epidermica quota d’edonismo e di sensualismo ribelle  ai disvalori della società positivistica industrializzata  e scientifica, votata al profitto, al commercio, al nuovo  capitale borghese. Dopo di che G., confessando  di aderire parzialmente al pensiero del capitano della  brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura  sorprendentemente sincretica aperta al riconoscimento dell’ambivalenza del rapporto tra astrazione  e SIMBOLISMO (SEGNO ASEMANTICO). Al rifiuto delle suggestioni emotive  del SIMBOLISMO, l’astrattismo, secondo G., ne  intellettualizza le allusioni ele corrispondenze, termine apertamente rimontante a Baudelaire, come  strumento oppositivo al dilagare prosastico del realismo. L'astrattismo del dopoguerra ridurrebbe quindi ai  minimi termini la carica letteraria aumentando quella  metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili  dell’astrazione e tesaurizzando nel  contempo (sulla scorta della ricostruzione filogenetica  di Pevsner) la lezione di Toorop, Gauguin, Munch  e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge, Blake, ANTONELLI (si veda), Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei  precursori che evocarono ancora le leggi del mondo fisico consentendo agli evoluti linguaggi non figurativi  di divincolarsi più recisamente dalla mimesi. Tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia  e della psicologia della forma, si assista a un aurorale  revisionismo storiografico dell'Art Nouveau, anche  Persico ha in animo di scriverne una storia! G. (asterisco di) in, Pitture di G. in un  esperimento di sintesi (testo anonimo), Milano Studio,  Arte Concreta, bollettino Poi  in Fossati, “Il movimento arte concreta. Materiali e  documenti”, Martano, Torino, BorcEse, “Corriere della Sera, Pica, Revisione del Liberty, Emporium, ma sarà con gli anni Sessanta e Settanta che diverrà  condivisa acquisizione la carica anticipatoria ricoperta  da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire da  Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume  un ruolo sovversivo nel movimento proponendo ine-  dite e intelligenti aperture di senso che tuttavia non  giungeranno a ispirare un prolifico dibattito all’interno  del gruppo infragilito dalle difformità tra la posizione  intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e  gli arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva  espressi dalla linea torinese. Risalendo alle sorgenti  dell’arte astratta, G. riannoda, in antitesi alle letture formalistiche, le affinità con le fonti spiritualiste di decadentismo e SIMBOLISMO e pensando alla densità mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo  e cattolicesimo con le citazioni della Blavatsky e di  Steiner scritte da Kandinsky, con la prossimità di Mondrian ai circoli teosofici, con il lirismo magico di segni e  colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con uno dei  primi testi dedicati all’astrazione scritto d’EVOLA (si veda). Dandy auto-ironico votato alla marginalità, G. dissemina il proprio percorso di tracce sulle quali  indugiare, trascorrendo liquidamente da una disciplina  all'altra in modo stupefacente per un intellettuale animato da pura vocazione pedagogica ma riottoso alla  metodicità dello studio scolastico. Attribuire un senso  univoco al suo pensiero equivarrebbe a fraintenderne la  filosofia e l’idea stessa di un'arte come autosufficiente e spontaneistico operare nella ferita aperta tra vitalismo e intelletto che l’atto artistico non riesce tuttavia  a cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui alla  fenomenicità delle immagini da essa prodotte che, in  sostanza, aprirebbero al mistero quale autentico evento metafisico. Intendendo come piani dell’emersione  archetipica i segni dell’arte della quale l’idealismo  si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain  quello pratico e l’Esistenzialismo quello etico è  troppo semplicistico archiviare la passione di G.  per decadentismo, SIMBOLISMO e modern style, come  l'infatuazione culturale per un'epoca vesperale. Egli si sente invece custode ed erede di quella lacerante  contraddizione, di quella genesi oppositiva, di quella disperata tensione verso uno spirituale fatalmente arreso alle forme dell’estetismo, di quella magnifica e  perduta sfida, tanto da riversarne la forza vitale nella  personale proteiforme pittura così come nelle progressive illuminazioni della sua letteratura filosofica  e artistica. Opere esposte Lettrice sdraiata olio su tela 63,5x81 cm Autoritratto olio su tela 23,5x18 cm Astrazione olio su tela 50x60 cm et adi  Il giorno olio su tela 100x80 cm Pacato olio su tela 90x110 cm Composizione in nero olio su tela 90x110 cm SENZA TITOLO olio su carta 34x48 cm Ercole ed Anteros olio su tela 85x115 cm Omaggio a Van De Velde olio su tela 80x90 cm 10 Ir1s olio su tela 105x95 cm  10Y1olio su tela 95x110 cm Calligramma olio su tela 100x85 cm  Fiori di lago olio su tela 100x120 cm Le jardin de cet astre olio su tela 132x116 cm Ireos olio su tela 130x115 cm Proposta olio su tela 135x122 cm Pavese olio su tela 120x110 cm Farfarello e Malambruno olio su tela 80x60 cm Gonfaloni olio su tela 95x80 cm Nastro olio su tela 90x80 cm Nastri olio su tela 60x50 cm Nastri colorati olio su tela 110x100 cm Nastri olio su tela 60x50 cm Nastri olio su tela 60x50 cm    MALI  Nastri 60x50 cm  ter» IG  MOFBEE sie  Tre  ir" Saitta SEGNO ASEMANTICO Segni asemantici (dittico) olio su tela 110x90 cm pari #1 =$ Re |a te n ; 26 SEGNO ASEMANTICO Segni asemantici (dittico) olio su tela 110x90 cm Artemis olio su tela120x110 cm Maioresque cadunt olio su tela 90x80 cm   TITO sal olio su tela 70x50 cm SENSA TITOLO olio e carboncino su tela 80x60 cm  Ireos olio su tela 70x60 cm Iris acquarello su carta 40x30 cm  Sa Cespu glio acquarello su carta 40x30 cm Glotre du lon g desir idees acquarello su carta 40x30 cm  Fiori acquarello su carta 40x30 cm  VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO RR pia I I LITIO ODE LIL Fiori acquarello su carta 40x30 cm  Une Fleur olio su tela 70x70 cm Scrittura acquarello su carta 60x50 cm Sassi e foglie olio su tela 80x80 cm Foglie morte olio su tela 80x80 cm Ciottoli acquarello su carta 40x30 cm Labrit, © di DASIO LT R EDLI u DILODIAT Ciottoli e rocce acquarello su carta 48x35 cm Ciottoli acquarello su carta 48x35 cm  hu ro iiriiRRRE Rocce e ciottoli olio su tela 80x80 cm Rocce e sassi olio su tela 80x80 cm Rocce e sassi olio su tela 80x80 cm Rocce e sassi olio su tela 80x80 cm Opere in mostra Lettrice sdraiata olio su tela 63,5x81 cm Autoritratto olio su tela 23,5x18 cm  Astrazione olio su tela 50x60 cm Il giorno olio su tela 100x80 cm Pacato olio su tela 90x110 cm Composizione in nero olio su tela 90x110 cm  s.t. SENSA TITOLO olio su carta 34x48 cm Ercole ed Anteros olio su tela 85x115 cm Omaggio a Van De Velde olio su tela 80x90 cm Iris olio su tela 105x95 cm Fiori  olio su tela 95x110 cm  Calligramma olio su tela 100x85 cm  Fiori di lago olio su tela 100x120 cm Le jardin de cet astre olio su tela 132x116 cm Ireos olio su tela 130x115 cm  Proposta olio su tela 135x122 cm  Pavese olio su tela 120x110 cm  Farfarello e Malambruno olio su tela 80x60 cm  Gonfaloni olio su tela 95x80 cm Nastro olio su tela 90x80 cm Nastriolio su tela 60x50 cm Nastri colorati110x100 cm Nastri olio su tela 60x50 cm Nastri olio su tela 60x50 cm Nastri olio su tela 60x50 cm SEGNO ASEMANTICO Segni asemantici (dittico) olio su tela 110x90 cm Artemis olio su tela 120x110 cm Matoresque cadunt olio su tela 90x80 cm   SENSA TITOLO olio su tela 70x50 cm SENSA TITOLO olio e carboncino su tela 80x60 cm Ireos olio su tela 70x60 cm  Iris acquarello su carta 40x30 cm Cespuglio acquarello su carta 40x30 cm Gloire du long desir idees acquarello su carta 40x30 cm  Fiori acquarello su carta 40x30 cm Fiori acquarello su carta 40x30 cm Une Fleur olio su tela 70x70 cm Scrittura acquarello su carta 60x50 cm Sassi e foglie olio su tela 80x80 cm Foglie morte olio su tela 80x80 cm Ciottoli acquarello su carta 40x30 cm Ciottoli e rocce acquarello su carta 48x35 cm Ciottoli acquarello su carta  48x35 cm Rocce e ciottoli olio su tela 80x80 cm Rocce e sassi olio su tela  80x80 cm Rocce e sassi olio su tela 80x80 cm  Rocce e sassi  olio su tela 80x80 cm GARABELLO ARTEGRAFICA, SAN MAURO TORINESE. Grice: “I don’t see why Italians are obsessed with art, but Speranza is Italian, so let it be. Speranza thinks conceptual artists are the only ones – such as Keith Arnatt – worth analysing. In his more snobbish ways, he thinks to mould the male body was Pliny’s idea of art – bronze statuary of the ‘nudo maschile’ – Painting comes only second or third, and only because of the desegno – i.e . the line of beauty, which is – as shape, where ‘kallon’ resided for the Greeks!” -- Albino Galvano. Galvano. Keywords: arte naturale, Gallupi, Peirce, Grice. By uttering x (gestus), U means that p” gesto, gestus, Grice’s use of gesture. il concreto, l’astratto, Sraffa’s gesture. Il gesto di Sraffa, l’implicatura di Sraffa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galvano: implicatura concreta”– The Swimming-Pool Library. Luigi Speranza, “Grice e Galvano”.

 

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