\ i | LAI tag » x alla si e, °°° 4 e pa °° ° PS ® 9 j "el po ° î- p_S A è = * ° = e 000,°, 0, frrceminti, —___e ve è © è AR e NI a Sy CI ” — < 3 ri è * SS Z SH Lo) eli ini eee ratti IMAA ER = L NV LO | a f|f'*1 . VILLA | li POSI FÀ De \E GNOSESIOGICA «—_ ——_ DEA MAIEMAIICA et N° 512 EN- MODERNE Fu BOCCA LA POSIZIONE GNOSEOLOGICA DELLA MATEMATICA A Ri ca e crei ite E I eric ni ciliairriiri Sor bin d i deo birra rai ri A i G. E. BARIÉ ì\ Lg —— cent LA POSIZIONE GNOSEOLOGICA DELLA MATEMATICA TORINO (2) ‘ FRATELLI BOCCA, EDITORI Librai di S. M. il Re d'Italia 1925 (| eid'o f Pi ‘ . *e ore é e . Uu'1s 6 dclo a (oe 3) 2 pre o 2 si È . x e . Id 0° 0° Pa Co) ° = - t e è. x . - ver n 3» . . “ e, 0 90° * . è * n e: o _0. bi » © 0. “+ id ° »* ti a e | 06 £ ® ». ia É è PROPRIETÀ LETTERARIA Tipografia OLIvERO e C. — Piasza Carlo Emanuele II - Torino, 2. Printedin Italy. VAR N « Sans les mathématiques, on ne penètre point au fond de la philosophie; sans la philosophie, on ne penétre point au fond des mathématiques; sans les deux on ne penètre au fond de rien ». LEIBNIZ. 600956 CapPITOLO I. Preliminari metafisici. $ 1. L’astrazione. — La posizione che la mate- matica è andata assumendo in quest’ultimo cin- quantennio è degna del più attento esame per il filosofo. Forse non è questa l’ultima ragione per la quale fra i matematici odierni non troviamo una netta comprensione del come l’ idealismo — o almeno una corrente di esso — può porsi il pro- blema della matematica (1). Hanno essi matema- tici una specie di disposizione aprioristicamente contraria alla filosofia che porta come a naturale conseguenza o a grossolani errori d’ interpreta- zione di non pochi pensieri fondamentali dei mae- stri della filosofia moderna, oppure, e ciò è peggio, ad una specie di affettazione di passare sotto si- lenzio o quasi le loro dottrine sull'argomento, che non serve certo a favorire quell’intima ripresa di rapporti cordiali che già esistevano fra la filosofia e le scienze particolari in genere e la matematica in ispecie (2). (4) Cfr. Appendice, p. 175. (2) Bene inteso s’intende qui la filosofia non naturalistica perchè con questa il contatto non fu mai perduto. In ogni modo filosofia naturalistica in senso stretto sarebbe oggi un non senso. . si . n PI n» 0 è. hi . A Li £ Ed " x ld » e e - 5 "o. . ® è . 352 n 8 °%" La'poùtzione gnoseologica della matematica Noi non tratteremo qui di tali rapporti nè dal. punto di vista logico nè da quello storico: il loro posto è altrove, in trattati introduttivi allo studio della filosofia e sopra tutto della teoria della cono- scenza; ma tali rapporti sarà bene che il lettore ricordi onde più rapidamente e meglio entrare nel- l'essenza di quanto andremo svolgendo. Principalmente dopo Kant (1) l’empirismo scien- tifico non avrebbe più dovuto rimproverare alla metafisica di essere un’arbitraria divagazione del nostro spirito, basandosi sul solito e tanto abu- sato luogo comune di essere ciò connaturato con la stessa sua intima ragione di essere in quanto la metafisica — lo dice la parola stessa — non può avere nello studio diretto ed esclusivo del mondo esterno la fonte di ogni sua conclusione. Kant ponendo da parte, o per lo meno credendo di poter porre da parte tutte le precedenti conce- zioni metafisiche (2) impostandone ad ovo il pro- blema, dopo aver osservato come essa non sia progredita come le scienze particolari ed aver po- lemizzato sul suo carattere scientifico o non — in quanto il suo campo d’azione è oggi quello che era tremila anni fa — viene ad esaminare se, (4) Mi si potrà obbiettare — e validamente — che proprio in causa dell’idealismo postkantiano, il divario fra filosofia e scienza ha il suo significato. Su questo siamo, in linea di massima e con le debite precauzioni, d’accordo. Per «dopo Kant» non in- tendo qui l’idealismo postkantiano, ma mi fermo alla filosofia dello stesso Kant, non sospetto, voglio sperare, di non tenere nella dovuta considerazione le scienze particolari. (2) Sensibilissima invece rimase nello svolgimento del suo pensiero la metafisica leibniziana nel campo teoretico e il mondo platonico nella trascendenza morale sopra tutto nei riguardi dell’intelligenza divina, Cap. I. - Preliminari metafisici 9 eventualmente, la ragione di ciò debba cercarsi nella sua stessa natura di non avere una base sperimentale, base incondizionatamente attribuita. allora alle scienze per l’influenza — è noto — di Locke e di Hume. Ma è vero questo? È vero che le scienze particolari hanno un'origine essenzial- mente empirica? Vediamo un po’, sembra ci dica Kant, esaminiamo la scienza tipica per eccellenza, quella che non può essere seriamente posta in dubbio da alcuno, la matematica. È troppo noto l’ulteriore svolgimento del pen- siero kantiano sull’argomento perchè la sua espo- sizione si renda qui necessaria : rimandiamo alla « Critica » e ai « Prolegomeni ». Possiamo però osservare che non è senza ragione che Kant abbia proprio scelto la matematica come prima prova, diremo, che non era il campo non sperimentale della metafisica che venisse ad infirmarne il ca- rattere scientifico, perchè la stessa origine, lo stesso substrato non sperimentale poteva trovarsi anche nelle scienze considerate nella loro « pura » espressione. La matematica e per il suo carattere rigidamente scientifico di cui sopra si è fatto cenno, e per la sua stessa rappresentazione sim- ‘bolica — numero e figura — meglio di ogni altra doveva presentarsi alla sua attenzione in quanto non solo relativamente all’origine poteva in essa trovare un carattere aprioristico, chè ciò è comune a tutte le scienze, ma altresì nel suo ulteriore svolgimento. L’insufficienza della speculazione me- tafisica attraverso.i secoli — alludo alla « meta- fisica dogmatica » in senso kantiano — doveva quindi essere ricercata altrove, e precisamente nel compito impossibile che la metafisica si era fino a lui, Kant, proposto, cioè di pretendere di darci ® 10 La posizione gnoseologica della matematica la conoscenza assoluta della realtà noumenica e non limitarsi soltanto alla realtà fenomenica. Onde non mi si fraintenda, vediamo di chiarire meglio il punto particolare del significato della matematica nella dottrina gnoseologica di Kant. Sappiamo tutti che tanto la matematica quanto la fisica non sono altro che due esempi portati da Kant con lo Stesso intendimento, dimostrare cioè come qualunque processo conoscitivo possa es- sere determinato soltanto in virtù di un elemento « a priori » che è in noi, che preesiste al dato em- pirico e che viene anche a travisare, per la sua azione puramente formale, l’intima essenza di esso dato - (l’oggetto): conseguenza ultima di tale tra- visamento, l’impossibilità di conoscere la cosa in sè. Ciò vale, è vero, incondizionatamente tanto per la matematica pura quanto per la fisica pura, ecc. Soltanto, mentre nel suo successivo svolgimento la fisica, come scienza della natura, non può ba- sarsi soltanto su forme intuitive « a priori », ma deve ricorrere anche a concetti intellettivi «a priori», che determineranno la possibilità di quell’ espe- rienza, dalla quale esclusivamente essa fisica dovrà poi attingere le sue scoperte, la matematica invece . trae le sue scoperte dall’intuizione e le sviluppa in base al processo logico della deduzione. Solo in questo senso ho creduto di notare una diffe- renza fra la matematica pura e la fisica pura in senso kantiano (1). Lasciamo Kant e specifichiamo meglio i termini (4) Questa è anche la spiegazione che si può addurre per avere Kant portato l’argomentazione dell’ «a priori » nella fisica pura: ciò malgrado non reputo del tutto errate le critiche esposte a tale sua concezione (Cfr. questo volume, $ 13, pag. 131 segg.). Cap. I. - Preliminari metafisici 11 nel loro preciso significato. Nell’allusione impli- citamente fatta sopra al campo d’indagine essen- zialmente astratto della metafisica, la parola astra- zione non figura nel suo preciso significato: l’astra- zione non è un «a priori ». L’astrazione è una rappresentazione simbolica di un concreto risultato ottenuto per cui ad esso se ne sostituisce un altro di carattere più generale: reciprocamente qualunque astrazione può avere infinite rappresentazioni con- crete. Si vedrà meglio in seguito (1) il valore lo- gico o non di tali generalizzazioni: c’importa ora di porre in luce come essa sia universalmente ap- plicata nella più rigorosa delle scienze, la mate- matica. La generalizzazione astratta non fu certo adot- tata senza contestazioni: è degna di nota la defi- nizione data dal Russel (2) della matematica, se- condo la quale essa sarebbe «la scienza in cui non sappiamo mai di cosa parliamo, nè se quello che diciamo è vero» (3). In tale paradosso vi è un (1) Cfr. questo libro, Cap. II, $$ 6, 9. (2) Recent work on the principles of mathematics (in The International Monthly, N.1, pag. 84, 1901). È risaputo che il Russell si compiace del paradosso. Possiamo fra l’altro ricor- -dare la sua definizione della negazione: «la negazione di una proposizione P significa che P implica tutto ». (Cfr. The Prin- ciples of mathematics, $ 9, Cambridge, University Press, 1903), paradosso acutamente spiegato dal Couturat (Principes.....): « Cette definition paradoxale s’explique par le fait que le zero logique implique tout et que nier une proposition c'est l’égaler à zero ». (3) Ampie considerazioni critiche riguardo a questa defini- zione del Russell troverai in YOUNG, I concetti fondamentali dell'algebra e della geometria, tr. it., Napoli, 1919, pag. 1, nota 3). In tali considerazioni si dovrà però tener conto sol- tanto degli argomenti strettamente matematici, non di quelli... 19 La posizione gnoseologica della matematica substrato profondo di verità che non potrà sfug- gire allo studioso sereno e spregiudicato. Che cosa rappresentano infatti le astratte generalizzazioni dell’algebra? Qual’ è il loro preciso significato ? Nessuno. Possiamo anzi osservare come tali astra- zioni acquistano un’ importanza sempre maggiore quanto più le sostituzioni astratte perdono un si- gnificato proprio : nell’algebra si sostituisce la let- ‘ tera al numero per togliere appunto al calcolo ogni caratteristica particolare : si sono scelte le lettere dell’alfabeto perchè sembra esse rappresentino dei simboli comodi e, diremo, inoffensivi (1). filosofici. Così pure nella stessa opera a pag. 8 (nota 2). In tale nota anzi il commentatore suppone che da qualche filosofo la definizione stessa ha potuto essere presa alla lettera! Di ben diversa concretezza il commento del Couturat (Principes...): « En effet, on ne sait pas de quoi l’on parle, puisque la ma- tiere des implications est indéterminée; et l’on ne sait pas si ce qu’on dit est vrai, puisque la vérité des propositions dépend de la vérité des hypothèses, la quelle dépend à son tour du con- “ tenu qu’on leur donne» (Revue de méthaphysique, 1904, pag. 21-22). (1) Una breve e succosa corsa storico-critica sull’affacciarsi alla mente del matematico della sostituzione algebrica troverai in P. BouTROUx, L’Idéal scientifique des mathématiciens, pag. 84-92 (Paris, 1920). V. anche un articolo di E. KARPINSKI, Origine et développement de l’algébre pubbl. in Scientia, Bologna, 1919, 8). Il lettore che desiderasse approfondire questo particolare argomento potrà consultare (cfr. nota di V. G. Mitchell in appendice al libro cit. di Young, tr. it.): FazzarI, Breve storia della matematica (Palermo, Sandron); GamBIOLI, Breve sommario della storia delle matematiche (Bologna, Zanichelli); MILLER, Historical Introduction to math. literature (New York, Macruillen) ; Rouse Barr, Breve compendio di storia delle ma- tematiche (Bologna, Zanichelli); Ip., Récréations mathématiques (Be partie), Paris, Hermann et fils; Cantor, Vorlesungen ueber Geschichte der Mathematik (1894); Fink, A Brief Hi- story of Mathematics (Chicago, 1903), dove figurano cenni Cap. I. - Preliminari metafisici 13 D'altra parte se nella generalizzazione sostitu- trice della lettera al numero, noi possiamo spa- ziare in un campo ancora meno delimitato, ancora più simbolico di quello numerico, ciò non ostante non possiamo concludere che anche senza aver creduto di trovare — nell’algebra sopra tutto — una spiegazione all’espressione paradossale del Russel, questa avrebbe già trovato — indipenden- © temente dall’algebra — la sua ragione di essere nella stessa impossibilità di dirci che cosa inten- diamo in geometria per punto, per linea, ecc., e in aritmetica dell’elemento primo di essa, del nu- mero. Sono difficoltà in ogni modo che tutti sanno e che tutti ammettono, primi gli stessi matematici: soltanto trattando delle definizioni date di questi primi elementi e delle critiche opposte, vi sarebbe da riempire diversi volumi; il tutto, bene inteso, senza nulla aggiungere al concetto della posizione della matematica nella teoria della conoscenza. L’accenno invece alla generalizzazione algebrica ci ha posto in luce come l’astrazione sia elemento di capitale importanza per passare dallo studio dei dati a quello dei concetti, considerando per concetto quell’elemento generico cui siamo arrivati dopo numerose, successive esperienze. Il concetto di una cosa noi lo possiamo avere attraverso una rappresentazione nelle sue linee essenziali della generici. Per maggiore ampiezza di particolari cfr. invece: Loria, Le Scienze esatte nell’ Antica Grecia; Gow, History of Greek Mathematics (Cambridge, 1884); G. H. F. NESs- SELMANN, Die Algebra der Griechen (Berlin, 1842); e parti» colarissima l’opera di HeATH, Diophantos of Alexandrie (Cam- bridge, 1885). 14 La posizione gnoseologica della matematica cosa stessa più volte percepita. Non sarà cioè un’im- magine specifica di quella tal cosa o della tal’altra, ma unicamente di quelle qualità essenziali proprie degli oggetti di quella classe: noi avremo ad es. il concetto di albero non già ricordandoci un albero singolo effettivamente già percepito (1), ma sol- tanto un estratto delle qualità fondamentali del- l'albero, una specie di risultato intermedio fra tutte quelle diverse specie di alberi che ci sarà stato dato di vedere in passato. Questo e null’altro il concetto propriamente detto. Origine sperimentale ? Senza dubbio; ma un’ori- gine sperimentale che significa pur sempre un’ela- borazione essenzialmente intellettiva del dato. Per non uscire da quel campo sperimentale partico- larmente caro alle scienze positive, possiamo pren- dere a nostra testimonianza la scienza tipicamente empirica, la psicologia sperimentale. Essa ci pre- munisce contro eventuali obbiezioni al riguardo in quanto i risultati di essa ci permettono di poter . affermare che — tanto per adoperare una espres- sione molto dotta in fisiologia, ma che non dice gran che ad un idealista — la « sede » dell’ im- magine è sicuramente nel cervello (2). Il concetto è il primo passo del processo di astra- zione, passo comunissimo come ognun vede e proprio della vita dell’uomo adulto in un’infinità di (1) Tale rappresentazione specifica sarebbe propriamente la immagine. | (2) Gli studi recentissimi della neurofisiologia hanno atte- nuata, se non eliminata, la tendenza a fissare una localizza- zione specifica ai centri nervosi. Degna di nota in Italia la scuola del Patrizi. (Vedi ad es. l’opera recentissimamente pubblicata di R. Brucia, La irrealtà dei centri nervosi, Bologna, 1923, L. Cappelli ed.). Cap. I. - Preliminari metafisici 15 manifestazioni dell’attività quotidiana. Ma l’astra- zione non finisce qui: nella raffigurazione dianzi accennata della matematica, noi abbiamo un’espres- sione ben più complessa e profonda della nostra attività spirituale (1) che non nella semplice rap- presentazione concettuale. Per meglio indicare questa ultima fase di evoluzione del processo astrattivo, non ci bastano i vocaboli fin qui ado- perati : se prima abbiamo potuto in modo un po’ grossolano è vero, ma sufficiente, cavarcela con l’espressione di « rappresentazione generica » at- tribuita al concetto, non così potremmo fare nel- l’astrazione algebrica. A vero dire — si è già os- servato — saremmo già imbarazzati se dovessimo dire che cosa significa il numero se non stando molto sulle generali e considerarlo come una epres- sione simbolica indicante la quantità. Descartes stesso, pertanto non sospetto di temporaggiamenti e di tentativi di accomodamento per quanto ri- guarda la scienza (2), evita al possibile di adope- rare la parola numero, sostituendovi bene spesso appunto la parola quantità. Ma tale nostro imbarazzo diverrebbe addirittura perplessità se dovessimo ad esempio giustificare di fronte a un uomo ipotetico qualsiasi, atto a ricavare le proprie nozioni esclusivamente dalla esperienza, il processo sostitutivo dell’ algebra. (1) No® è e non potrebbe essere nostro compito approfon- dire qui. il significato di questa attività spirituale, condizione sine qua non di qualunque idealismo e "SORA MIAO imperitura di Kant l’aver posto in luce. (2) Non si potrebbe estendere la stessa considerazione alle conclusioni ultime della sua metafisica, ad es. nei riguardi della dimostrazione dell’esistenza di Dio e, in generale, alla sua pre- occupazione di non perdere il contatto con la religione ufficiale. 16 La posizione gnoseologica della matematica Essa ci si presenta « come una tecnica avente per oggetto il calcolo e che si lusinga di procurarci molteplici preziosi vantaggi » ci dice il Bou- troux (1). Noi non neghiamo i vantaggi; anzi abbiamo accennato come siamo i primi a ricono- scere l’importanza, la necessità anzi dell’astrazione onde progredire nel campo scientifico ; non sol- tanto, come la tendenza all’astrazione sia una na- turale disposizione del nostro spirito: ad essa non potremmo in ogni caso sottrarci anche se non ne riconoscessimo l’ utilità, o per lo meno non po- tremmo, dopo un certo tempo, sottrarci almeno a quella forma naturale e quasi istintiva di astra- zione che abbiamo chiamato concetto. Alludendo a un individuo ipotetico atto a basare le proprie nozioni esclusivamente sull’esperienza ho voluto cioè alludere al sistema in molti casi dalla scienza adottato : usare la generalizzazione astratta e nello stesso tempo pretendere di consi- derare come divagazione cervellotica tutto quanto non ha esclusivamente sull’esperienza la sua base fondamentale ed esclusiva. Questo individuo ipo- tetico non comprenderebbe evidentemente nulla della frase del Boutroux; più ancora non potrebbe considerare che arbitrio qualunque generalizza- zione astratta (2). (1) Op. cit., pag. 82. (2) In senso inverso da un essere essenzialmente logico la sostituzione stessa non può essere accettata da un punto di vista dimostrativo. (Cfr. questo lavoro, Cap. II, $$ 6, 9). La legitti- mità della sostituzione fu infatti ammessa con infinite precau- zioni dai Greci. ! Cap. I. - Preliminari metafisici . 17 - $ 2. La definizione e l’idea. — L’astrazione è così posta in chiaro in modo che non possano più sor- gere dubbi intorno alla sua interpretazione : com- pito questo — il chiaramente intendersi sul signi- ficato delle parole — non molto brillante, diremo, ma quanto mai utile onde stabilire una netta comprensione fra chi legge e chi scrive. Nel corso di questo studio ci sarà dato osservare come l’equi- voco 0, comunque, la non precisa esposizione del significato di una parola usata in preciso senso scientifico, possa portare a conseguenze spiacevoli. Stabilito in tal modo il significato del processo astratto, ci sarà facile accorgerci che esso non figura . soltanto nell’algebra. Per non uscire dalle matema- tiche, visto che di esse dobbiamo trattare, l’astra- zione è propria della geometria come dell’aritme- tica (1). Anche in geometria noi parliamo infatti indifferentemente di concetto di triangolo o d’altro senza aver piena conoscenza nemmeno dei primi elementi costitutivi di esso — non si dimentichi il paradosso di Russell—e prima di tutto del punto. Girate la questione in tutti i sensi il punto è indefinibile, « n’est qu’ une sorte de fiction » (2). (1) D'altronde le relazioni fra algebra e geometria formano uno dei capitoli più interessanti degli studi matematici. Descartes svolge principalmente la sua algebra in un libro avente per titolo Geometria (Amsterdam, 1659, nell’edizione latina curata da Erasmo Bartholin). Uno studio recente — d’altra parte essenzialmente tecnico e particolare — è quello dei proff. ENRIQUES-CHISINI, Teoria geo- metrica delle equazioni (Bologna, 1915). Numerosi sono d’al- tronde i punti di vista nel considerare questa particolare que- stione che Descartes vide sopra tutto nell’applicazione dell’algebra alla geometria, (2) J. RicHarDp, Sur la philosophie des mathématiques, pag. 54 (Paris, 1903). G. E. BARTÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 2. 18 La posizione gnoseologica della matematica Tutti i geometri si sono sbizzarriti a cercarne una definizione che non fosse già di per se stessa una contraddizione in termini, dove l’ inconcepibilità di qualche cosa d’ inesteso e -la necessità logica d’ipostasizzare la cosa stessa come inestesa, ren- dessero meno stridente il loro insanabile dissidio. Tutti giuochi di parole; sfoggi eruditi di virtuo- sità dialettiche. Essi non poterono ahimè, che ri- battere la strada di Euclide e per eliminare il dissidio o per lo meno renderlo apparentemente meno aspro, stare molto, troppo sulle generali. Il maestro greco ci aveva già definito il punto come « ciò che non ha parti », ma la definizione è abile, non esauriente (1). Oppure, seconda corrente, i geometri più mode- stamente e più onestamente, hanno rinunciato al compito impossibile e sono venuti nella determi- nazione che alcuni concetti che noi indifferente- mente adoperiamo nella geometria sono simboli di entità non esistenti. Siano questi il punto, la retta, il piano (Hilbert) (2) o sia che questi si pos- sano ridurre al punto e alla « sovrapposizione » (Padoa), a noi importa solo constatare come, non soltanto in geometria, si sia sentita la necessità di ricorrere a un processo astratto per meglio com- prendersi e per poter proseguire; ma si è sentita la necessità d’ipostasizzare come esistenti — tanto . per adoperare una parola positiva — delle entità | esclusivamente create dal nostro pensiero. Ci affacciamo così alle soglie di un altro pro- (1) Cfr. sull’argomento: G. VERONESE, Fondamenti di geo- metria, I, 209-210 (Padova, 1891); VECCHIETTI, L’ Infinito, pag. 28. (2) Grundlagen der Geometrie, 3* ed., Lipsia, 1909. Cap. I. - Preliminari metafisici 19 blema; non più cioè l’astrazione, espressione ul- tima di un processo intellettivo che parte da un risultato positivo per arrivare ad una rappresen- tazione concettuale, ma di qualche cosa che pree- siste ad ogni risultato positivo. Ci basti per ora questa semplice osservazione : là riprenderemo fra poco: ho voluto però fare subito l’osservazione stessa perchè essa è di capitale importanza per tutto lo svolgimento di questo studio. Ciò detto, continuiamo nella nostra esposizione. Il Richard (1) si affretta a rassicurare in certo qual modo tutti coloro (op. cit., pag. 54) che potessero obbiettare che se « al posto di un corpo piccolis- simo noi mettiamo un punto, al posto di un corpo sottile e lungo una linea, al posto di un corpo infinitamente piatto una superficie » noi non avremmo più allora dei risulati « conformi alla realtà sensibile », si affretta a rassicurarli, dice- vamo, che tale divario può essere reso « straordi- nariamente debole ». L'assicurazione non può pre- sentare per il filosofo il benchè minimo interesse. Indebolito quanto si vuole il divario stesso resterà pur sempre incolmabile e se l’ indebolimento del medesimo può rendere soddisfatto il matematico o il fisico, presenterà sempre lo stesso ostacolo per il filosofo. Non solo; ma per l’idealista la questione sì presenta sotto un aspetto opposto a quello sotto il quale lo considera il Richard : ben. (1) Da un punto di vista essenzialmente matematico cfr. al riguardo: M. PAscH, Vorlesungen ueber neure Geometrie (Leipzig, 1882), nonchè secondo lo stesso indirizzo: PEANO, / principii di geometria logicamente esposti (Torino, 1889). Indi- pendentemente da tale indirizzo e limitatamente all’essenza della definizione cfr. anche: GERGONNE, Essai sur la théorie des définitions (in Annales des mathématiques, IX, pag. 1 segg.). 20 La posizione gnoseologica della matematica eni lungi dal rassicurare a favore di un risultato con- forme alla realtà sensibile, sarà tale divario per il filosofo idealista una nuova conferma — senza grande bisogno di essa d’altra parte — che la sen- sibilità nostra solo in parte ci può sorreggere nel- l’affermazione prima e nel successivo sviluppo di qualunque scienza. Importa molto invece a noi il constatare che siamo così tenuti implicitamente ad ammettere la necessità di entità non soltanto non sensibili, ma altresì che prescindano da ogni sensibilità : ciò per lo meno nei riguardi di quella scienza che stiamo studiando : la matematica. Di queste ipo- stasizzazioni alcune sono — quelle citate — inde- finite ed indefinibili : altre sono, in matematica, definite. Entra in campo ciò che ci sembra tanto semplice e comune e che invece da millenni agita e sconvolge il pensiero : la definizione. Abbiamo veduto come l’algebra sia l’espressione tipica dell’astrazione; ma l’algebra può agire con tanta sicurezza e tranquillità esclusivamente se potrà appoggiarsi su regole e principii generali che alla loro volta trovano la loro giustificazione nelle definizioni. Lo stesso concetto di definizione contiene in se medesimo la conferma dell’impos- sibilità di tutto definire: per due o tre entità al- meno si dovrà ammettere, onde non compiere un giro vizioso di parole, l’impossibilità di dirci che cosa sono. Abbiamo accennato quali possono es- sere quegli elementi primi, che, per essere neces- — sarii in qualunque definizione vengono forzata- mente a precedere anche le più semplici di esse. . Sono idee che preesistono al fatto, come fu notato dagli stessi matematici (Camescasse) (1) e sarebbe (1) Gfr. YOUNG, op. cit., pag. 6 (nota). Cap. I. - Preliminari metafisici DI. perciò del tutto assurdo cercare di ricavarle da un fatto. « Ce qu’on ne peut définir, on le montre » ci dice il Richard, ma non sempre naturalmente si può in tal modo semplicistico risolvere la que- stione (1) ed anche ove lo potessimo, si ricadrebbe pur sempre in quell’appello alla nostra conoscenza sensibile, che già. abbiamo veduto essere insuffi- ciente a tutto rivelarci. Nello stesso tempo, genericamente considerata — ossia indipendentemente dall’ipotesi del mate- matico — la definizione non significa gran che per chi si affacci ad una tale determinata scienza: essa può esprimere il vero concetto di una scienza soltanto per l’intelligenza di chi tale scienza co- nosca già. In altre parole la definizione è una pro- posizione che avrebbe il suo posto più alla fine dello studio intrapreso che non al principio. Questo per quanto riguarda il concelto appunto « generico » di definizione; ma essa assume un aspetto tutto particolare nella matematica. Qui si manifesta la mecessità che la definizione preceda lo svolgimento: questo precedere non è cioè come nelle altre discipline semplice effetto di un’abitu- dine metodologica di esposizione, di una tradizione più o meno giusta: ma ciò diventa indispensabile in quanto tutte le intuizioni e le deduzioni dei matematici hanno ragione di essere solo se rico- nosciamo ed accettiamo le definizioni preliminari. (1) Acute osservazioni — da un punto di vista puramente matematico — sulla « definizione » troverai in ENRIQUES, Pro- blemi della Scienza (critica della definizione), Bologna, Zani- chelli, 1906. Cfr. pure un articolo di Gergonne pubblicato negli Annales des mathématiques, IX, 1, avente per titolo: « Essai sur la théorie des définitions ». ZI La posizione gnoseologica della matematica Il passaggio dall’astrazione alla definizione (in senso matematico) ha posto in luce un elemento non soltanto non essenzialmente empirico — chè tali già più non sono, come si è veduto, il concetto e l’astrazione algebrica, ecc. — cioè un’espressione che risulta in certo qual modo da una fusione di esperienza e di sintesi intellettiva; ma anche di elementi esclusivamente determinati dal pensiero, indipendentemente da qualsiasi esperienza. Tali elementi ci danno l’idea di « «& priori »: essi sono appunto, in matematica, le definizioni, i postulati e gli assiomi (1). _ Ricapitolando brevissimamente: l’esperienza sem- plice non ci dà che il dato (2); una fusione sintetica di esperienza e di attività intellettiva ci dà l’astra- zionee dalla sua forma primitiva e semplice del concetto fino alla sua manifestazione più evoluta della rappresentazione algebrica. Ma perchè tali processi siano logicamente possibili è necessario che noi ammettiamo degli altri elementi che sono — tanto per intenderci — l'opposto del dato : mentre questo è puramente empirico, questi nuovi ele- menti sono puramente intellettivi : tali elementi chiameremo idee. Da questa esposizione risulta che l’astrazione è (1) Distingueremo in seguito gli assiomi dagli altri principii a priori, mostrando come essi siano proprii di qualunque nostra attività spirituale, mentre i postulati riguardano soltanto le ma- tematiche (cfr. questo lavoro, cap. III, $ 12). (2) Onde non mi si fraintenda, non credo dire con questo che possiamo ammettere qualche cosa — semplice quanto si vuole — che non richieda per essere conosciuta la nostra atti- vità intellettiva sintetizzatrice; ma, mentre il dato viene ad essere conosciuto dalla nostra sensibilità, l’ elaborazione con- cettuale di esso è diretto effetto della nostra intelligenza. Cap. I. - Preliminari metafisici 23 un processo intermedio fra il dato empirico e l’idea: questa, come elemento che preesiste a qualunque esperienza sensibile, non potrà essere che elemento formale (1). In tale mondo formale potremo riscon- trare due gradi : un primo grado, più semplice in quanto più vicino allo stato attuale della nostra coscienza, il quale, pure preesistendo ad ogni em- pirismo, tuttavia informa tutta la nostra conoscenza sensibile, e sarà la forma intuizionistica «a priori ».. Un secondo grado infine che ci sarà dato dal pen- siero razionale puro: sarà questo il mondo essen- zialmente logico della conoscenza assoluta, esclu- | sivamente inquadrato dalle categorie di contrad- dizione e d’identità (2). L’attribuire un campo puramente ideale a questo secondo, ultimo grado di attività formale del pen- siero, non esclude naturalmente che esso secondo grado possa essere vantaggiosamente adottato anche nel campo della conoscenza sensibile. Non soltanto; ma tutte le proposizioni scientifiche aspirano ad es- sere controllate da esso. Tale controllo formale chiameremo il controllo logico (in senso rigoroso). Mentre la forma intuizionistica riguarda tutte le nostre conoscenze, quella puramente logica non (1) Non si dimentichi il $ 9 dei Prolegomeni di KANT, in risposta alla specifica domanda formulata nel paragrafo prece- dente: « Ma come può l'intuizione dell’oggetto antecedere l'oggetto? ». | (2) Altre due categorie si potrebbero ammettere senza uscire dal complesso logico di tali distinzioni e cioè l’incompatibilità e la causalità; ma si può fare rientrare la prima nella cate- goria più generica della contraddizione, e risolvendo il prin- cipio di causalità si arriva all’identità, Lo svolgimento di tali categorie è compito esclusivo della metafisica e non riguarda questo studio. Ci basti accennare che è quel procedimento per il quale si arriva ‘all’identità fra causa ed effetto. 24 La posizione gnoseologica della matematica riguarda che una parte minima di esse, soltanto cioè quelle che possiamo considerare come incon- dizionatamente vere, che prescindono totalmente anche dalle forme intuizionistico-sensibili di tempo e di spazio e saranno gli assiomi (non i postulati e non le definizioni) (1) e le proposizioni diretta- mente derivati esclusivamente da tali assiomi. $ 3. L’intuizione pura. — Non credo di aver dato con questo il preciso significato d’ intuizione e d’idea. Mentre le sopra esposte considerazioni intorno all’essenza del concetto e dell’astrazione non offrono punti per i quali non possano essere da tutti accettate, il significato adottato d'’ intui- zione «a priori » e d’idea presenta senza dubbio ‘ il fianco a critiche e rimproveri. In primo luogo non tutti accetteranno di buon grado la distinzione implicita in conoscenza sen- sibile e conoscenza razionale. In secondo luogo, anche accettando la distinzione stessa, è passibile di discussione il significato delle parole. Alla prima eventuale obbiezione non ho nulla da rispondere: tale distinzione gnoseologico-metafisica è qui pre- supposta ‘ed ammessa come nota. Se essa dovesse qui svolgersi cambierebbe totalmente il carattere del nostro studio che avrebbe dovuto allora chia- marsi « introduzione all’idealismo » o in altro modo similare e non avere lo scopo particolare dello studio della posizione della matematica nella teoria della conoscenza. | Alla seconda di tali eventuali obbiezioni rispondo con il dichiarare che il significato delle parole in- tuizione a priori e idea è qui soltanto « adottato » ; (1) V. nota 1 pag. 22, Cap. I. - Preliminari metafisici 25 ha cioè una funzione semplificativa che farà sì ° che ci si intenda più speditamente. Faccio in ogni modo osservare che quell’ intuizione a priori, che, in quanto essa pure formale, abbiamo posto nel mondo delle idee, non deve confondersi con l’ in- tuizione in genere, di natura prevalentemente ipo- tetica, la quale parte da un risultato positivo cercando di stabilire fra questo una specie di cor-. relazione con altri risultati che 1’ inspirazione può suggerire come eventualmente conseguibili, par- tendo da quello. L’ intuizione sotto tale aspetto con- siderata sarà da me tratlata nei paragrafi 6, 7 e 8 di questo saggio. Neppure questa intuizione però — possiamo dirlo fin d’ora — è di natura sensi- bile. Ma, mentre l’intuizione cui si è accennato è essenzialmente ideale e perciò preesiste a qua- lunque dato positivo, questo secondo aspetto del- l'intuizione ci ricorda piuttosto la divinazione di una verità ignota suggeritaci da una verità nota. La prima è l’intuizione ideale di Platone, l’a priori di Kant e così via. I matematici non s’ impressionino. Anche nei pensatori loro cari tale forma d'’ intui- zione figura : è quella di Descartes nella sua « V meditazione » (1), come fra i moderni la troviamo affermata esplicitamente e non, in Carlo Hermite.. La seconda specie d’intuizione è ad es. quella di Newton. Si procede in essa in questo modo : la conoscenza cui siamo arrivati mi pare mi au- torizzi a passare a questo e a quest'altro; lo posso io fare? Proviamo. È il « Cimento » del ’600, molto meno sperimentale di quello che molti pretendano: è desso il procedimento intuizionistico del genio nelle scienze positive. (1) Pag. 108 segg. dell’ed. Flammarion. 36 La posizione gnoseologica della matematica Per l’importanza che l’ipotesi viene ad assu- mere in tale processo del pensiero, chiameremo tale intuizione ipotetica. | Molti vorrebbero ammettere un’altra specie d’ in- tuizione, la sensibile. Anzi, normalmente l’ intui- zione viene distinta in supersensibile e sensibile, senza alcun’altra suddistinzione: per conto mio ritengo sia indispensabile quella sopra esposta in ideale propriamente detta ed ipotetica. Non vedo invece la necessità dell’intuizione sensibile che sarebbe per noi una terza specie d’intuizione: il rispetto che porto ad alcuni degli assertori della sua importanza (non fosse altro, per Kant!) non mi permette di porla senz’altro in disparte: essa mi sembra però priva di un significato suo proprio in quanto o potrà confondersi con la percezione o non essere altro che un momento del processo psicologico della riviviscenza di essa percezione sotto forma rappresentativa e in tal caso non presenterà differenze sostanziali con l’ immagine. Inoltre sotto questo secondo aspetto esaminata l'intuizione sensibile oltre al non essere più in- tuizione, non sarà più nemmeno sensibile, come già si è incidentalmente osservato (pag. 14). In ogni modo avremo su ciò a ritornare fra poco sul significato appunto di tali parole nel Mach. Certo l’ intuizione sensibile non figura nelle scienze matematiche: la vera e propria specie dell’ intuizione della matematica è quella da noi chiamata ipotetica. Quella più specificatamente « ideale » figura nella matematica come in qual- siasi altra scienza: essa ne è il presupposto. Quella ipotetica invece è necessaria non già per darci gli. elementi fondamentali, originari del sapere, ma per poter proseguire. È in matematica la condi- Cap. I. - Preliminari metafisici 27 zione sine qua non per passare da una verità nota ad una verità non ancora nota. Anche in fisica, mi si obietterà, avviene lo stesso: noi stessi abbiamo considerato in tal modo l’ intuizione ipo- tetica e si è portato l’esempio di Newton. Perfet- tamente, ma, mentre in fisica l’ intuizione ipotetica è divinazione di genio, in matematica è normalità. Non voglio qui alludere ad alcuna graduatoria nei valori delle singole scienze: in filosofia ad es. essa non ha che importanza relativa: ha un compito ausiliario (1). Per meglio fissare le idee, visto che siamo in matematica, permettiamoci anche noi il lusso di una rappresentazione abbreviata dei risultati ot- tenuti: I ideale A pile a qual- siasi dato sperimentale [Platone, Cartesio a 5 supersensibile (2) priori kantiano, ecc.]). Intuizione de ipotetica (correlazione fra verità nota ed altra di- vinata come possibile). sensibile (?) (o percezione o immagine). Così delineati, molto per sommi capi — sono il primo a riconoscerlo — i punti essenziali della nostra possibilità di conoscere, quale posto dob- biamo, nel problema gnoseologico, fissare alla ma- tematica? È questo appunto lo scopo del nostro studio. Uno storico avrebbe naturalmente in modo ben diverso impostata la questione: anche senza attenersi ad un’ esposizione del concetto della (1) Cfr. questo lavoro, cap. II, $$ 6, 8. (2) Nel senso di non empirico: non per questo cioè deve significare pensiero puro, ragione. 28 La posizione gnoseologica della matematica matematica nelle diverse civiltà, avrebbe per lo meno posto in luce le diverse interpretazioni che della matematica si sono avute e si hanno dagli studiosi della materia (1). Sia essa matematica quasi un metodo formale atto a plasmare le suc- cessive indagini della fisica e in genere delle scienze positive (2); sia la matematica paragona- bile, in omaggio all’estetismo greco (3), ad una (1) Interessanti sotto questo secondo aspetto le osservazioni storico-critiche del Boutroux (op. cit., pag. 247 segg.). (2) Cfr. specificatamente Bovasse, De la Meéthode dans les Sciences, pag. 76 segg. (Paris, 1909). i (3) Il Boutroux (op. cit., pag. 45 segg.) nota differenze essen- ziali fra la concezione estetica che della matematica si erano fatta i Greci con la concezione estetica dell’indirizzo moderno. Questa si riconnette alla soddisfazione tutta propria del « costruttore » di nuove teorie o del carattere elegante di nuove dimo;trazioni : « Voila, dit-on souvent, un « beau travail mathématique », in- diquant par là qu’autant ou plus que la valeur intrinsèque des questions étudiées on entend louer l’ingéniosité et la brillante victoire de l’Auteur ». Per i Greci invece la bellezza è da ri- cercarsi nell’idea prima «et non dans ce que l’homme ajoute aux idées», in altre parole le costruzioni delle figure, le dimo- strazioni dei teoremi e così via. La distinzione è profonda e sottile; ma di essa noi non pos- siamo tener ‘conto nella semplice allusione sopra fatta che ha precisamente lo scopo di porre in luce che, qualunque pos- sano essere le particolari interpretazioni della matematica, tutte queste interpretazioni hanno per il filosofo un’importanza sol- tanto generica. Il lettore potrà consultare: P. TANNERY, La géométrie grecque e l’articolo pubblicato sulla Revue de méthaphysique et de morale (marzo 19413) dal Rivaup; L. BrunscHVICG, Les étapes de la philosophie mathématique (Paris, 1912); G. MiLHaAUuD, Lecons sur les origines de la science grecque (Paris, 1893); Ip., Les philosophes géométre de la Gréce (Paris, Alcan, 1900); Ip., Etudes sur la pensée scientifique chez les Grecs et chez les modernes (Paris, Alcan, 1906); Ip., Nouvelles Etudes sur l’his- toire de la pensée scientifique (Paris, Alcan, 1911), Cap. I. - Preliminari metafisici 29 imperitura opera d’arte; sia infine essa una scienza con un diretto scopo di ricerca come qualsiasi altra, tutti questi ed altri punti di vista possono essere accettati dal filosofo. | Indubbiamente in ciascuno di essi vi sono molti lati pienamente accettabili; inoltre i punti di vista medesimi .per quanto fra loro differenti non sol- tanto come punto di partenza, ma anche come campo d’azione, non sono fra loro affatto incom- patibili. Essi rappresentano indubbiamente un in- teresse maggiore per uno storico delle matematiche o per un matematico che per un filosofo cui in ultima analisi mediocremente importa sapere che nel secolo tale si sia seguito prevalentemente questo o quell’indirizzo. Il filosofo esplica nei riguardi delle scienze in sommo grado quell’atti- vità sintetica che gli scienziati alla loro volta esplicano consciamente — anche se non sempre vogliono riconoscerlo — nel loro campo partico- lare, come il volgare inconsciamente nella sua attività quotidiana. Sintesi in questo caso significa proprio fare un estratto di tutte queste diverse interpretazioni — fra loro incompatibili, ripeto — e svolgere tranquillamente la propria teoria : in questa il matematico interessato potrà eventual- mente trovare questo o quel lato favorevole o contrario alla sua interpretazione e, se lo crederà opportuno, tenerne conto. Nello stesso modo il filosofo deve tenere conto dello svolgimento del- l'indagine matematica presa nel suo complesso: qualunque specializzazione in filosofia può essere dannosa. | Ogni esame critico non può vertere che sugli elementi essenziali di una disciplina. Già Descartes nel proporsi di combattere tutti i pregiudizi che 30 La posizione gnoseologica della matematica sono radicati in noi ed ostacolano il nostro pro- gresso nella conoscenza, riteneva non doversi perciò ritenere necessario passare alla disamina di ciascuno di tali pregiudizi od opinioni comuni, operazione fra l’altro che sarebbe andata all’ infi- nito, « ma, poichè la rovina delle fondamenta trascina necessariamente con sè tutto il resto del- l’edificio, io prenderò innanzi tutto in esame quei | principii sui quali poggiavano tutte le mie antiche opinioni » (1). Da quanto si è detto fino ad ora si comprenderà facilmente che in una teoria della conoscenza, com'è qui intesa, il punto essenziale è quello di stabilire i rapporti fra le proposizioni matematiche — e prevalentemente geometriche sulle quali pare maggiormente verta, oggi sopra tutto, l’attenzione degli scienziati — e quelle verità assolute, incon- dizionatamente vere, cui aspira non soltanto ogni forma d’idealismo, ma senza confessarselo, forse senza saperlo, lo stesso buon senso dell’uomo comune che inconsciamente chiede di essere si- curo su quanto afferma o nega. $ 4. L’ipotesi nelle scienze. — Mentre le scienze particolari rimproverano alla filosofia la sua ecces- siva astrazione, noi possiamo quindi a buon di- ritto osservare come esse stesse, anche le più positive, non possano fare a meno di ricorrere all’astrazione medesima quando vogliano arrivare alla formulazione di leggi aventi carattere rigida- mente scientifico. Lo stesso procedimento cono- scitivo prevalentemente seguito dalle scienze posi- tive (1’ induttivo) porta alla considerazione generale (1) Meditations méthaphysiques (1er), Cap. I. - Preliminari metafisici 31 di quel fenomeno particolare che lo studioso aveva dapprima isolatamente esaminato. In queste parole è già implicito il concetto di astrazione: per esso possiamo intendere qualunque processo intellettivo per il quale il pensiero dopo aver osservato sperimentalmente il verificarsi e il costante ripetersi dei momenti della ininterrotta successione causale (momenti pertanto razional- mente non distinguibili, ma ciò ora non importa) fissa tali sue osservazioni in un principio o in una legge, che gli permetterà, eventualmente, di passare per analogia all’ipostasizzazione di altra legge o principio, di cui avrà invece a cercare la conferma sperimentale: questa sarà più propria- mente l’ipotesi intuitiva o intuizione ipotetica, come si è veduto. Di questa soltanto s’ intenderà parlare in questo studio, quando non verrà espres- samente indicato trattarsi dell’altra specie d’ in- tuizione: l’ ideale. Tale processo ci permetterà di lavorare sul dato senza avere il bisogno di ripetere ogni volta la stessa indagine in quanto appunto potremo pre- scindere dall'esame dei particolari di questo o quel fenomeno singolo: è quanto abbiamo veduto più nettamente e più universalmente applicato nel calcolo algebrico. L’algebra, sostituendo la lettera al numero, compie precisamente il processo tipico dell’astrazione significando che le sue ve- rità che abbiamo sperimentato sul numero tale o tal’altro possono estendersi a tutti i numeri, a tutte le quantità. Ben lungi quindi da semplice divagazione arbi- traria che ci allontana dalla constatazione speri- mentale, possiamo considerare il processo intel- lettivo come di estrema efficacia anche nella fisica, 38 La posizione gnoseologica della matematica non già soltanto come semplice astrazione, per la quale prescindendo dalle qualità particolari di un determinato fenomeno singolo, noi cerchiamo di elevarci alla sua espressione. generica, perchè il suo valore come tale — esempio l’algebra — può, dopo quanto si è detto considerarsi come fuori discussione; ma anche di vero e proprio ispiratore e determinatore di nuove scoperte, il che forma precisamente quel secondo carattere cui abbiamo accennato e che abbiamo chiamato intuizione ipo- tetica. Cercherò di spiegarmi più chiaramente (1): le scienze fisiche non possono nell’enunciazione di qualsiasi loro principio fare a meno di basarsi su verità matematiche come quelle che, rimanendo inalterati i presupposti temporali e spaziali su cui poggiano, non possono seriamente essere posti in dubbio da alcuno: è per tale sicurezza che Kant ha creduto di poter arrivare a stabilire — contro Hume — il valore universale e necessario delle (1) Interessanti, da un punto di vista puramente positivo, le — dottrine sui rapporti fra matematica e fisica in particolare e con le altre scienze in generale. Si potrà consultare con pro- fitto: P. DuHEM, La théorie physique, son objet et sa structure (Paris, Chevelier et Rivière, 1909); Bovasse, De la méthode dans les sciences (Paris, Alcan, 1909) (già citato, pag. 28); ARRIGHI, La storia della matematica in relazione con lo svi- luppo del pensiero (Torino, Paravia); G. MiLHaun, Etudes sur la pensée scientifique ; A. PASTORE, Sopra la teoria della scienza. — Logica, matematica e fisica (Torino, Bocca); E. PicarD, La science moderne ; E. Boury, La vérité scientifique; A. Rev, La théorie de la physique; R. BRunscHvicG, La relation entre le mathématique et le physique (adresse lue au meeting des So- ciétés philosophiques d’Angleterre et d’ Ecosse, Durham, le. 44 juillet 1923), pubblicato poi in Revue de métaphysique, 1923, pag. 323 segg.; CAPELLI, La matematica nella sintesi delle scienze (Discorso inaugurale tenuto alla R. Università di Napoli, 1881). - Cap. I. - Preliminari metafisici 33 verità matematiche. Quando le scienze fisiche non possono appoggiare le loro affermazioni su verità matematiche, noi possiamo a buon diritto consi- derarle come del tutto insufficienti per la formu- lazione coerente della legge scientifica e attribuire loro un valore semplicemente empirico. Hume ha già parlato troppo chiaramente sul nessun valore logico di proposizioni basate esclusivamente sul- l’esperienza per doverci tornare sopra: la debo- lezza della sua dottrina dipende piuttosto dall’aver troppo generalizzato tale affermazione, estenden- dola anche a quelle nozioni che si basano su principii non ricavati dall'esperienza. « Davide Hume — dice Kant (1) — riconobbe che, per avere il diritto-di andare al di là dell’esperienza, biso- .gnava accordare a questi concetti (2) un’origine a priori. Ma egli non potè spiegarsi in qual modo sia possibile che l’ intelligenza concepisca come necessariamente collegati nell’oggetto concetti che non lo sono affatto tra di essi nell’intelletto e non gli venne fatto di pensare che forse l’intelletto era per mezzo di questi stessi concetti l’artefice che gli fornì gli oggetti medesimi ». Questo è precisamente il primo punto di vista che abbiamo sopra considerato come evidente, cioè il controllo logico della generalizzazione astratta. (1) Critica ragione pura (tr. fr.), $ 14, pag. 134-135. (2) Ossia i «concetti puri dell’intelletto », che noi abbiamo chiamato specificatamente idee. Non vi è incompatibilità in ogni modo anche mantenendo il termine un concetto, che Kant d’altra parte confonde spesso con quello d’idea;. si è infatti accennato che il mondo delle idee informa nel suo primo grado — l’intuizionistico — tutta la conoscenza sensibile, non fosse altro attraverso le più universali manifestazioni di essa: il tempo e lo spazio. | ‘ G. E. Barit, La posizione gnosealogica della matematica. 3. 34 La posizione gnoseologica della matematica Ma possiamo andare oltre e osservare come il processo inverso può in molti casi aver luogo, e con pieno valore logico e non di semplice cono- scenza empirica, quando, formulata astrattamente un’ ipotesi, noi, per vincere ogni dubbio eventuale, ne cerchiamo sperimentalmente la conferma. Ove la conferma sperimentale abbia luogo ecco l’idea originaria aver determinato una nuova scoperta. È questo anzi il procedimento più normale del- l'intuizione geniale; l’armonia perfetta del subbiet- tivo e dell’obbiettivo che troppo unilateralmente lo Schelling aveva creduto di trovare nell’ incon- dizionata prevalenza dell’elemento soggettivo della serie ideale sull’ obbiettivismo della serie reale. È il processo di Newton (1) nella scoperta delle leggi del movimento; di Galileo nella legge della ca- duta dei gravi, anche se posteriore e più com- plessa sia stata la determinazione dell’ « uniforme- mente accelerato » della legge stessa; di Franklin nel divinare l’analogia di natura della scintilla elettrica con il fulmine. Quando Francesco Bacone cominciò a esprimere concettualmente l’esperienza non più limitandola alla semplice osservazione del caso singolo per cui ne venne a questa maggiore importanza nel campo del sapere, il procedimento ipotetico fu a torto dagli immediati successori trascurato come arbitrario nelle scienze particolari e ciò a scapito non lieve di queste sopra tutto dal punto di vista della celerità dei risultati, senza per questo nulla aggiungere alla loro sicurezza. Leibniz osserva come le grandi menti penetranti di Descartes e di Spinoza si fossero subito accorte della lentezza (1) Cfr. pag. 25. Cap. I. - Preliminari metafisici 35 e degli inciampi che tale metodo puramente spe- rimentale spinto alle sue ultime conseguenze po- teva portare e come ciò Descartes e Spinoza avessero espresso nettamente riguardo al fisico Boyle. Descartes in una delle sue lettere a propo- sito del metodo di Francesco Bacone; lo Spinoza, che il Leibniz bene inteso cita con le dovute ri- serve (1), in una lettera a Oldenbourg, segretario della « Società Reale d’ Inghilterra ». In tale lettera egli osserva appunto come il Boyle s’arresti più del bisogno su numerose e belle esperienze senza indurne altra conclusione « di quella ch’ egli avrebbe potuto prendere come principio, ossia che tutto si fa meccanicamente nella natura, prin- cipio che la sola ragione può darci come sicuro e non mai le esperienze, qualunque sia il loro numero ». $ 5. L’ipotesi nella filosofia. — Certo, in tali considerazioni sull’ importanza dell’ipotesi nella conoscenza, la logica in senso stretto non ha nulla a che vedere. Tali ipotesi non possono infatti farsi rientrare nè nel metodo deduttivo nè nel- l’induttivo: se l’ipotesi in un certo senso, e nel campo fisico specialmente, può trovarsi più vicina all’induzione che alla deduzione — in quanto (1) È noto come lo Spinoza sia stato perseguitato e respinto in vita e disprezzato per molti anni dopo la sua morte non già soltanto dalla massa incolta e superstiziosa e dagli antichi cor- religionari, ma anche da pensatori illuminati — basterebbe ri- cordare la violenza di Malebranche contro «l’ateo ebreo » — non esclusi coloro che non poco attinsero alla sua dottrina. Il Leibniz in tal punto (Nouveaua Essais, IV, cap. XII) crede indubbiamente di compiere un atto di franchezza coraggiosa, scrivendo: ‘a ...et Spinoza, que je ne fais point de difficultés de citer quand il dit de bonnes choses... n. 36 La posizione gnoseologica della matematica rispecchia normalmente un processo che va dal particolare al generale — non per questo incor- reremo nell’errore di alcuni di non aver saputo sufficientemente disgiungere la rigorosità logica dell’ induzione dall’analogia intuizionale dell’ipo- tesi (1). Tale procedimento analogico è, sotto un certo aspetto, ben superiore al rigido ragiona- mento (2): esso è la diretta conseguenza di quel- l'eccezionale « sviluppo delle associazioni per simi- | larità » che è acutamente considerato dal James (3) come la caratteristica precipua del genio. Anzi nel campo strettamente filosofico l’ ipotesi astratta del punto di partenza è propria partico- larmente nei deduttivi per eccellenza. La citazione di Descartes e Spinoza nelle considerazioni ripor- tate del Leibniz, non fu qui fatta a caso: essi cercano nella realtà la conferma della loro ipotesi. Il famoso dubbio cartesiano non è che il punto di partenza di quello che si potrebbe chiamare la seconda fase del suo pensiero (bene inteso non in senso cronologico); la fase più propriamente. riflessa, non già della visione complessiva della realtà, la quale deve necessariamente essergli ba- . lenata in precedenza sotto forma appunto di sem- plice ipotesi, d’intuizione geniale. Ha tale mia (1) Il lettore potrà consultare i due lavori del WHEWELL: The Philosophy of scientific Ideas (London, 1840) e History of scientific Ideas (London, 1858). Sono essi studi più di carat- ‘ tere storico-scientifico che propriamente filosofico, malgrado l'inquadramento sia generale e non riguardi particolarmente questa o quella scienza. Filosoficamente il Whewell risente alquanto dell’influenza kantiana, malgrado abbia troppo accen- tuato l’opposizione dell’idea al fatto. (2) Cfr. specificatamente sull’argomento: R. BENZONI, L’In- duzione, I, pag. 93 segg. (Genova, 1894). (3) W. James, Psicologia (tr. it)., Cap. XI, XII. Cap. I. - Preliminari metafisici 37 opinione valore maggiore di semplice supposizione arbitraria? Certo nessuno, forse nemmeno chi crea, | può seguire l’ evoluzione del proprio pensiero, evoluzione che sarebbe della più grande utilità conoscere per la scienza e che non ci è che molto raramente, e quasi mai con decisa sincerità, rive- lata dai battitori di nuove strade; ma certo a tale convinzione si può (non dico sî deve) arrivare nell’ambito della filosofia pura, ove si rifletta che il fatto, come si è veduto, avrebbe riscontro in quelle scienze che, per essere il loro campo d’azione più ristretto e per trattare una materia molto più accessibile, in quanto può rigorosamente essere controllata dall’esperienza, sono più organiche, più concretamente delimitate e costituite che non la filosofia idealistica. Inoltre a tale convinzione fui portato dalla constatazione che Descartes, senza una precedente intuizione geniale del complesso, formulato il suo « cogito ergo sum », non avrebbe potuto, in modo rigorosamente logico, andare oltre. Al « cogito » cartesiano possiamo infatti dare, se ben guardiamo, non più di tre interpretazioni: 1°) Cartesio arrestandosi nel suo processo du- bitativo alla indubitabile certezza del pensiero (non fosse altro per il suo stesso poter dubitare: «...ideoque scis quia te dubitare scis ») ne de- duce la realtà dell’essere: se io posso pensare, vuol dire che qualche cosa sono. L’essere in questo primo senso verrebbe ad acquistare un valore em- pirico: si potrebbe vedere nell’ergo sum la neces- saria conseguenza che, poichè il pensiero è l’asso- luta certezza, questo ha la necessità di manifestarsi nelle azioni di cui esso pensiero è la causa : questa rivelazione concreta del pensiero io non la posso vedere immediatamente se non nel mio io. Tutto 38 La posizione gnoseologica della matematica il resto non potrà essere ricavato che dall’aver posto il mio io, che come contrapposto, cioè quando mi sarò accorto che il porre il mio io è afferma- zione vuota di senso se non contrappongo all’ io un non io. Solo in tal modo l’io può essere de- terminato, come solo ponendo ciò che non è uno io posso afferrare l’essenza dell’unità. Constata- zione questa semplice a farsi e antica quanto la filosofia: la troviamo in Platone ad es. quando nei suoi tardi anni tentò di darci una soluzione logica e non soltanto teleologica del dualismo netto e preciso cui l’aveva portato la dottrina delle idee: il monismo raggiunto attraverso la funzione teleologica dell'idea del Bene non poteva in' fondo risolvere soddisfacentemente la necessità logica che la sua dialettica era venuta a porre (e cioè il rapporto fra l’idea e il dato sensibile) ed ecco allora l’influenza pitagorica affacciarsi nuovamente allo spirito platonico e manifestarsi attraverso la famosa dottrina dei rapporti numerici (1). In ogni modo questo non è, a mio modo di vedere, il significato del « cogito ergo sum ». Il « sum » assumerebbe qui il valore di una constatazione empirica che mal si potrebbe inquadrare nell’idea- lismo cartesiano. In fondo questo pensiero che ha bisogno di una manifestazione empirica per affermarsi ha un certo sapore naturalistico dal quale non va spoglio l’indirizzo immanentistico dominante oggi nella filosofia in Italia, nè l’allu- sione alla dialettica trascendentale di Platone, deve attenuare il sapore naturalistico medesimo. (1) Senza avere nulla a che vedere con quanto qui è esposto, è notevole sull’argomento lo studio particolare del TRENDE- LENBURG, Platonis de ideis et numeris doctrina (Lipsia, 1826). Cap. I. - Preliminari metafisici 39 2°) Un'altra interpretazione del « cogito » ci pone il problema sotto un aspetto che nulla ha a che vedere con il precedente. In senso netta- mente idealistico l’ergo perderebbe il suo signifi- cato di deduzione logica per non significare altro che un’identificazione intuitiva: il sum non è più la manifestazione concreta del pensaré, non è qualche cosa di derivato dal pensare, ma è la Stessa cosa : essere = essere cosciente. Quindi se io penso vuol dire che sono in quanto coscienza (1), perciò l’affermazione della coscieriza come prima verità sulla quale senza alcun dubbio oramai pos- siamo basarci, sicurezza specifica questa che non incontriamo per la prima volta in filosofia: è già ad es. in Agostino. Questo è, credo, il vero signifi- cato della frase cartesiana. Ma questo «io sono » in quanto essere cosciente, mantenuto in questi limiti, non mi porta avanti di un passo nella conoscenza, perchè mi resta pur sempre il com- pito di dover affrontare in qual modo può essere questa realtà sensibile che mi circonda della quale la sicurezza espressa nell’ergo sum non dice nulla. Mi si riaffaccia in tutta la sua intensità il pro- blema della dialettica platonica, il rapporto fra l’idea e la manifestazione sensibile, fra il pen- siero e l’essere empirico. Questo secondo significato è anche quello più generalmente accettato. In tal modo interpreta in fondo lo Spinoza in quegli studi giovanili sulla filosofia di Descartes che poi completò (1663) con un'appendice metafisica originale, nonchè lo stesso Kant nella « Critica » (2), perchè, malgrado l’ îo (4) La res cogitans cartesiana. (2) Tr. fr., ed. cit., pag. 345-346 (nota). 400 La posizione gnoseologica della matematica di cui si tratta è pur sempre « una rappresenta- zione puramente intellettiva » perchè se è vero che « senza una rappresentazione empirica che fornisce al pensiero la materia, l’atto « io penso » non avrebbe luogo » è anche vero che « l’ele- mento empirico non è che la condizione dell’ap- plicazione o dell’uso della facoltà intellettiva pura ». 3°) Vi può essere infine un altro modo d'’ in- terpretazione che non è, a vero dire, che un com- plemento del precedente, ma che va ben oltre esso nelle conseguenze metafisiche e ben oltre le stesse intenzioni di Descartes. E cioè la constatazione del « cogito » mi dà l'immediata certezza dell’es- sere in quanto pensare ed essere sono identificabili, in quanto cioè, come nel caso precedente, se penso vuol dire di per se stesso che sono come coscienza; ma dalla constatazione del pensare questo o quello come elementi di una molteplicità, arriva alla formulazione della coscienza come espressione di un processo di unificazione che è già accennato in ogni atto particolare del mio pensare. Tutta la molteplicità disordinata la quale io penso trova cioè la sua unificazione nell’atto del mio pensiero e la sua espressione unitaria nella mia coscienza, che viene così a rappresentare un grado più ele- vato nello stesso mio processo del pensare. La quale coscienza — tanto per intenderci chia- miamola individuale — troverà poi nella molte- plicità delle altre coscienze individuali la ragione non tanto del suo essere quanto del suo rivelarsi: le quali coscienze saranno esse pure naturalmente infinite sintesi d’infiniti processi di unificazione simili al mio che troveranno la loro espressione ultima nella totalità della Coscienza, nell’ Io asso- luto, in Dio. Cap. I. - Preliminari metafisici 4 Inutile qui continuare per questa strada che ci porterebbe troppo lontano dal seminato. Ho già detto che se questo terzo indirizzo costruttivo si può ricavare dalla constatazione cartesiana noi non lo troviamo nella sua filosofia: l’ ho prospet- tato soltanto come possibilità creatrice basantesi sul « cogito ergo sum » preso come punto di par- tenza. | Quello che c’ importa di porre in luce è che in nessuna di queste interpretazioni Descartes avrebbe potuto proseguire attenendosi ad uno svolgimento puramente logico. I procedimenti della logica come considereremo più ampiamente fra poco, sono rigorosamente due soli, l’ induttivo e il deduttivo. Esaminate l’espres- sione cartesiana in tutti i sensi senza dipartirvi rigidamente da tali metodi, e vedrete che per ricavarne qualche cosa, per fondare quella mo- derna teoria della conoscenza che comunemente si fa datare da Descartes, dovrete presupporre un’ intuizione creatrice di cui il « cogito ergo sum » non è già il punto di partenza, ma il punto d’ar- rivo, la naturale conseguenza del suo pensiero, che, ritornando su se stesso, esamina il cammino . percorso e lo fissa nel modo noto. È una specie di processo similare, condizionato all’ individuo, a quello dell’Immaginazione produttrice e della Riflessione nel pensiero di Fichte, naturalmente fatte le debite proporzioni fra coscienza assoluta e coscienza individuale e senza che vi sia incluso il subiettivismo trascendentale del filosofo tedesco. D'altronde, che l’intuizione possa avere la più grande importanza nella filosofia è cosa notoria. Kant la definisce la « rappresentazione che può 49 La posizione gnoseologica della matematica essere data a ogni pensiero » (1), e per quanto la filosofia non possa derivare dall’ intuizione i suoi concetti, certo può chiarirli a mezzo di essa (2). Nel panlogismo spinozistico quanto siamo an- dati constatando in Descartes, si vede forse in modo più deciso. Oltre al valere per lo Spinoza le due considerazioni dianzi esposte per Descartes, non può qui sfuggire come lo Spinoza dia alcune volte l'impressione di compiere sforzi per imbri- gliare il proprio pensiero nei limiti dell’osserva- zione di fenomeni anche fra i più semplici o che per lo meno tali potrebbero sembrare a chiunque i fenomeni stessi non debba forzatamente far rien- trare in un ordine precedentemente fissato. ln altre parole si ha alcune volte l’impressione che il pensiero di Spinoza si trovi dinnanzi a una constatazione qualsiasi della realtà come di fronte ad un ostacolo non intravveduto nella precedente intuizione ideale. Allora il filosofo incatena il fatto stesso nella concezione prefissata; ma ciò evidentemente non si verifica in modo naturale. Non è cioè il fatto sensibile che viene conseguentemente dato come esempio confermativo a quanto precede; ma si vuole a forza farlo rientrare nell’ordine logico da cui si è partiti come da fondamento generale della realtà, quasi scopo della .dottrina stessa fosse una tesi che si vuol dimostrare e non una verità, qualsiasi verità essa sia, che si vuole scoprire. (1) Critica (tr. fr., ed. cit.), pag.138 (analitica trascendentale). In modo meno chiaro, riguardo a questo punto particolare, nella trattazione della prova ontologica dell’esistenza di Dio e nel $ 49 dei « Prolegomeni ». l (2) Segnatamente nei Prolegomeni, $ 7. ’ Cap. I. - Preliminari metafisici 43 Non so se rendo l’idea; ma dell’eventuale poca chiarezza di queste mie parole mi si vorrà tener venia, considerando che, per quanto il concetto in esse insito sia in me limpido e preciso, è tut- tavia di ben difficile formulazione, in quanto tale mia opinione non è già effetto della ragione, ma è una specie di malessere, di impressione sola- mente « sentita » nel preciso significato che lo Schopenhauer attribuisce a tale parola, appunto contrapponendo il sapere, il sapere logico, al sen- timento, come a qualcosa « di attualmente presente nella coscienza, ma che non è un « concetto », non è una conoscenza astratta della ragione » (1). Nello stesso significato, a maggior chiarezza esem- plificativa tolgo l’allusione contenuta nello stesso paragrafo del libro dello Schopenhauer: la parola « sentito » è qui adoperata nello stesso modo in cui è adoperata dal Tennemann nella sua « Storia della filosofia » quando ci dice che « si sentiva che i sofismi erano falsi, ma non se ne poteva scoprire l’errore ». In ogni modo tale stato di malessere del pensiero spinozistico possiamo ri- scontrare nei due indirizzi estremi delle molteplici interpretazioni dei suoi commentatori, e nei critici che ce lo hanno rappresentato come pretto natu- ralismo (es. K. Fischer e più ancora il Whale, l'esponente tipico del realismo scettico), oppure come quello del panlogismo idealistico più rigo- roso, anzi come il vero fondatore del panlogismo prekantiano, che possiamo differenziare da quello posteriore sia per il suo carattere rigidamente geometrico che lo porterà ad un dualismo irridu- (1) Il mondo come V. e R., I, $ 11 (tr. it. B. Varisco-N. Pa- langa), Perugia, 1913. 44 Là posizione gnoseologica della matematica cibile, sia per la naturale influenza che la Critica kantiana ha avuto su tutto il pensiero filosofico seguente, precipuamente con l’aver posto in luce che l’esperienza è possibile solo per l’attività sin- tetica dell’intelligenza che il Martinetti (1) netta- mente e il Franchi (2) pure, per quanto forse in modo meno esplicito, considerano come il valore fondamentale della dottrina di Kant (3). Certo le considerazioni che si possono fare in merito alle cause per cui derivano al pensiero spinozistico così gravi difficoltà, vanno bene al di là di questi semplici accenni, privi, l’abbiamo veduto, di qualunque esplicito fondamento razio- nale. Il Martinetti vede perfettamente ciò e ne attribuisce la causa in primo luogo « alla posi- zione assoluta dell’estensione ed al conseguente parallelismo dei due attributi e' dei rispettivi. modi » (4); in secondo luogo « al modo con cui egli deriva, o almeno dovrebbe derivare logica- mente il mondo dal suo principio ». Questi i due punti fondamentali su cui avrebbero dovuto ver- tere le nostre considerazioni per fare una disamina razionale della dottrina spinozistica; la spiega- zione teoretica cioè di quello che io non ho ac- (1) Introduzione alla metafisica,I, pag. 240. Dice testualmente l’A.: « In questa dimostrazione che le forme d’unità, per mezzo di cui noi ordiniamo logicamente il contenuto sensibile, non ci | pervengono dall’esterno, ma sono funzioni della coscienza, sin- tesi operate dal pensiero per una specie di virtù propria, sta il vero merito di Kant». (2) Teorica del Giudizio, I, pag. 155. (3) Interessante al riguardo l’ultima lettera, riportata dal Paulsen nel suo studio su Kant, diretta dallo Schiller a Gu- glielmo Humholdt (2 aprile 1805). In essa si dice fra l’ altro «...alla fine noi due siamo pur idealisti e ci vergogneremmo se i posteri dicessero di noi che furono le cose a formar noi e non che fummo noi a formare le cose». (4) P. MARTINETTI, op. ctt., II, pag. 360 segg. .Cap. I. - Preliminari metafisici 45 cennato che come impressione, forse non del tutto soggettiva, ma in ogni modo spoglia pur sempre di qualunque valore razionale. La limitatezza medesima delle mie osservazioni, se presenta l’in- conveniente gravissimo di non essere convincente in quanto non dimostrativa, presenta però il van- taggio di poterne fare una questione più generale, in un certo senso quasi psicologica, e osservare che quanto si è rimproverato allo Spinoza sia in certo modo la conseguenza naturale dello stato di pensiero di tutti quei filosofi, i quali, partiti da un presupposto determinato della visione della realtà nel suo complesso, si trovano poi, costretti come sono a dover esporre logicamente la loro geniale visione del mondo, dinnanzi a piccoli inciampi particolari, che minacciano di far cadere tutto l’edificio faticosamente costruito; di tutti quei filosofi che, in poche parole, credono di poter dedurre il mondo da un presupposto ipotetico. Nello Spinoza, e per questo mi sono soffermato un po’ a lungo su di lui, ciò si vede più chiara- mente che in qualsiasi altro filosofo di tale ten- denza, perchè egli si attiene, più di qualsiasi altro filosofo di tale tendenza, rigorosamente al suo principio (non importa qui il dualismo iniziale) ‘ e perchè in lui possiamo trovare in modo emi- nente quel temperamento filosofico, che si ha come disposizione innata allo stesso modo come si nasce poeti. Quanto si è andato osservando si riscontra perciò più palesemente in lui: è lui stesso il primo che avverte l’ostacolo; il suo pensiero ha ripu- gnanza a far rientrare in un ambito voluto che non è il suo il tal determinato fatto particolare. Per questo ho parlato di stato di malessere (espres- sione non certo indicata ove le mie osservazioni 46 La posizione gnoseologica della matematica riguardassero esclusivamente la sua dottrina) che qua e là si sente nella sua «Etica » e che sotto tale forma si comunica allo studioso. Ma riguardo a molti altri filosofi avremmo po- tuto fare le stesse considerazioni inerenti agli in- convenienti che tale sistema di costruire la realtà comporta. Fichte è costretto a ricorrere alla fede per spiegarci in qualche modo il suo processo dall’ Io assoluto al non io. Schelling nulla ci dice del mondo sensibile, malgrado la sua filosofia della natura, se non rinunciando al suo idealismo, non troppo bene sorretto sulle sue basi dalla teo- gonia trascendentale originaria, e il suo pensiero oscilla continuamente fra Spirito e Natura, ren- dendo impossibile al critico una schematizzazione della sua dottrina. Hegel, il fortunato artefice mo- derno del panlogismo, manca al suo compito fonda- mentale che è quello di darci una visione logica della realtà, se non ricorrendo a passaggi dispotici. Nello Spinoza inoltre — e ciò sia detto natural- mente anche per Descartes — vi è la difficoltà di doversi attenere ad argomentazioni prettamente geometriche. Ora, le scienze matematiche se sono indicate come il naturale controllo delle scienze fisiche, non lo possono essere ‘di quella disciplina che ha per iscopo di andare al di là di tutte le scienze particolari, al di là di ogni esperienza e avente la sua funzione particolare nella concate- nazione ed esclusione di concetti e non già di semplici dati, cioè della metafisica, intesa come quella conoscenza essenzialmente razionale cui non può fare a meno di tendere ogni nostra aspi- razione gnoseologica. Se è vero che la chiarezza dimostrativa è la prima preoccupazione che deve avere un filosofo, ‘Cap. I. - Preliminari metafisici 47 ° essa non è però sufficiente per giustificare una concezione metafisica specialmente se la dimostra- zione medesima significa sopra tutto analisi e analisi, si noti, che ha il suo campo d’azione in proposizioni dedotte da altre proposizioni e così ‘ via, risalendo così gradatamente a principii in gran parte da niente determinati se non dall’ in- dispensabilità..... di avere un principio onde poter cominciare. Questi inconvenienti sono palesi sopra tutto nei discepoli di Descartes: in essi certo ben più che nel maestro; ma essi formano l’ inconve- niente di tutta la filosofia del secolo XVII: esempio tipico la scuola di Porto Reale. Pascal, è vero, si accorse nettamente di questa insufficienza del metodo dominante nel tempo per arrivare con sicurezza a sapere; ma non volendo o non potendo, dato il suo temperamento di mate- matico nato, attribuire specificatamente l’ insuffi- cienza medesima al metodo matematico — in quanto credeva di riconoscere in essa la massima poten- zialità gnoseologica dell’uomo — ritenne di poter arrivare alla conclusione dell’ impossibilità del nostro conoscere inteso in senso razionale asso- luto. Per non cadere nello scetticismo eccolo cer- care la via di salvezza nel misticismo: ecco la fede compensare in lui quello che la ragione non be teva dargli. Ma le cause dell’insufficienza speculativa di questa scuola in particolare e del metodo mate- matico in generale non hanno nulla di comune con un'insufficienza generica della possibilità d’in- dagine del nostro pensiero. Il concetto di ciò che esiste realmente in natura è continuamente passibile di variazioni, mentre il concetto matematico è rigidissimo, non può n nnnn_ 48 La posizione gnoseologica della matematica ammettere la più piccola modificazione. Come si vedrà meglio più innanzi la perennità dell’ar- monia delle sue proposizioni dipende principal- mente dall’astrazione del suo campo d’ indagine, dall’esistenza dirò immaginaria delle sue costru- zioni, che non si riscontrano già nella realtà e possono perciò resistere indifferenti e immutabili a tutte le modificazioni che il pensiero nostro va introducendo nelle « cose », aggiungendo conti- nuamente nuove scoperte a quelle già ricche del passato: per es. il concetto di un albero, di un animale, di un minerale diventerà sempre più complesso man mano che la ricerca scientifica sarà venuta .modificando, sempre più completan- dolo, il concetto medesimo. | Ciò non può avvenire in alcun modo nella ma- tematica in cui il concetto di ciascuno dei suoi elementi è già di per se stesso immutabile per definizione, la quale unicamente nelle scienze ma- tematiche viene ad essere posta in modo insinda- cabile. Qualunque possa essere il valore di questo presupposto, su cui avremo a ritornare, esso sarà pur sempre ugnale a se stesso, qualsivoglia perfe- zionamenti possano venire introdotti col tempo e con successivi studi nelle scienze matematiche medesime. Anche in Platone noi possiamo trovare qualche traccia di questo metodo della « definizione ipote- tica che aveva lo scopo di provare l’utilità e la precisione di un concetto speculativo in base alla esattezza delle conclusioni che se ne possono trarre » (1), ma ciò è in lui determinato non già da una netta esigenza logica quanto dalla parti- sele (1) Cfr. WinpeLBanD, Platone (tr. it.), pag. 77. Cap. I. - Preliminari metafisici 49. colare necessità di uscire dai viluppi della sua stessa dialettica. Vi si può notare inoltre una specie di movimento di reazione contro gli Eleati, i quali, attenendosi allo stesso criterio della posi- zione di due tesi contraddittorie, avevano creduto di poter dimostrarne l’assurdità per le conclusioni | opposte che ne sarebbero derivate. Ma l’intendimento che anima anche qui la dia- lettica platonica è del tutto diverso da quello della matematica: nettamente trascendente e assoluto in quella; immanente e relativo in questa, per ammissione degli stessi matematici. L’errore inevitabile di tutti questi pensatori — e segnatamente dello Spinoza, che più rigorosa- mente di ogni altro volle esporci una concezione: logico-matematica del mondo — consiste precisa- mente nel supporre possibile di trattare alla stessa stregua dei concetti della matematica, per defini- zione immutabili (1), concetti forzatamente mutabili come sono quelli di tutte le altre scienze in gene- rale e particolarmente della fisica e della psico- logia, le due scienze particolari che ci danno i due punti di vista opposti su cui possiamo costruire ogni sistema filosofico: quella fornendoci la base del ‘ naturalismo (il non io), questa dell’ idealismo (l’ î0). (1) Questa immutabilità della matematica si deve intendere qui non già nel senso preciso che Kant credette ravvisare in essa, ossia per l’innatezza dei suoi principii; ma in quanto lo svolgersi della nostra matematica o di qualsiasi eventuale ma- tematica possibile futura, dovrà pur sempre basarsi su presup- posti presi come ipotesi-postulati e perciò non possibili di varia- zioni se non per volontà indipendente dal controllo della esperienza. (Cfr. in ogni modo questo studio, Cap. III, $$ 10, 14, 12). G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 4. ‘ Digitized by Google IG DRITTO ITER IRR CAPITOLO II. I rapporti fra la logica e la matematica. (1) $ 6. Il procedimento logico nella matematica. — La matematica è invece vegeta e rigogliosa in quanto essa ha ben più modesta funzione. Già Kant, pure riconoscendo il carattere di ve- rità universali e necessarie alle verità matematiche, . aveva ripetutamente affermato che la matematica non può trascendere la conoscenza della realtà sensibile: essa non ci può essere cioè di nessuna utilità per la conoscenza della cosa in sè. Un più rigido idealismo ispirantesi alla « Critica » non può modificare tale insegnamento kantiano. Elimi- . nando il concetto realistico della cosa in sè, esso ha mantennto inalterato il valore della matema- tica come scienza intuitiva e perciò superiore alla esperienza, e perciò, come si è osservato sopra, di potente indiscutibile appoggio per le scienze (1) Cenni bibliografici: A. DE MoRGAN, Formal Logikor the cal- culus of inference necessary and probable (1847); W.S.JEvons, Pure logik... (1864); Ib., The Principles of science. A trea- tise on logic and scientific method (1873); DuHAMEL, Des mé- thodes dans les sciences de raisonnement (Il ed., 1875); WINTER, La méthode dans la philosophie des mathématiques (Paris, Alcan). 52 La posizione gnoseologica della matematica empiriche. Come si vede c’è già, in questo sem- plice riconoscimento dell'importanza della mate- matica come controllo delle scienze esperimentali, un implicito riconoscimento di tali scienze espe- rimentali verso il concetto fondamentale dell’ idea- lismo che subordina la nozione proveniente dalla esperienza a una di natura più elevata qualitati- vamente superiore, proveniente dall’ idea. Ma ciò non pertanto la matematica non può che parzial- mente soddisfare il pensiero umano (Kant direbbe ‘ la Ragione), che tende alla conoscenza dell’Asso- luto, oggetto propriamente del sapere logico, che non può essere immedesimato con l’ intuizione ma- tematica. Mentre dalla matematica discende una infinità di nozioni, dalla logica considerata in senso stretto d’induzione e di deduzione, non di- scende alcuna nozione. La logica non ha altra funzione che quella di potere formale, di sistema- zione dell’attività della nostra intelligenza: il ma- teriale da elaborarsi è già fornito totalmente ad essa quando possiamo stabilire fra le diverse leggi o concetti un’analogia, o, spronati dal dubbio, ri- cercare il perchè della contraddizione. Quale nuova nozione possiamo noi ricavare dal sillogismo? Nessuna: eppure il sillogismo è l’espressione ti- pica della deduzione. Nè maggior fortuna avremmo ove esaminassimo una qualsiasi induzione. Sotto tale punto di vista anzi (quello dell’acquisizione di nuove cognizioni) la logica e la matematica, ben lungi dal rivelare fra loro sintomatici punti di contatto, offrono una palese incompatibilità. Ma, ove si sia tutti di accordo che il procedi- mento rigorosamente logico nulla aggiunge alla nostra conoscenza immediata, non avendo che una < Cap. II. - Irapporti fra la logica e la matematica —53 funzione mediata di controllo su di essa, vien fatto di domandarci dove le matematiche attingano il ricco corredo di nozioni che esse ci danno. Nella stessa impostazione del problema possiamo frat- tanto osservare come ne discenda la naturale con- seguenza della non logicità del procedimento ma- tematico. Tale illogicità, sia pure relativa, dovrebbe essere ammessa, ove conseguenti si voglia essere, da tutti coloro — e molti matematici sono fra di essi (1) — che sostengono nulla potersi apprendere di nuovo nè dalla deduzione nè dalla induzione. Tuttavia alla conclusione stessa difficilmente si rassegnano, non tanto perchè essa non sia con- vincente in quanto è a tutti palese il valore di questo ragionamento: « Le forme della logica sono due sole — deduzione e induzione — queste forme però non ci danno alcuna nuova nozione essendo la loro attività puramente formale; nello stesso tempo noi sappiamo che la matematica ci apprende nuove nozioni, dunque la matematica non può essere logica »; quanto perchè la conclusione può ‘ spaventare anche le menti più abituate alla inda- gine spregiudicata e rigorosamente obbiettiva. Ma i matematici non hanno disarmato nel vo- lere avere in certo qual modo il monopolio della logica: cacciati dalla porta essi vi sono rientrati dalla finestra. Non potendo cioè ritonoscere nella matematica un procedimento soltanto logico, pen- sarono non già di logicizzare la matematica, ma di riformare la logica, mummificata secondo loro da secoli intorno alle stesse leggi. Questo il nucleo del dissidio fra la logica tradizionale aristotelico- (1) Basterebbe citare in fisica il Mach, in matematica il Poincaré. 54 La posizione gnoseologica della matematica scolastica e la logica matematica odierna o, tanto per chiamarla con parola suggerita da uno dei suoi maggiori esponenti — il Couturat —, logi- stica (1). (1) G. PEANO, I principii di geometria logicamente esposti (Torino, 1889); In., Formulario matematico (1894-1906, 5 edi- zioni); Ip., Aritmetices principia, novo methodo exposita (To- rino, 1889); G. VAILATI, Scritti, pag. 229 segg., 659 segg., 689 segg.; M. PIERI, numerosi scritti conservati negli Atti del- l'Accademia delle Scienze di Torino; C. BuraLi FORTI, Logica matematica (Milano, Manuali Hoepli, I ed. 1894, II ed. 1919); In., Sulla teoria generale delle grandezze e dei numeri (Atti della R. Acc. di Torino, vol. XXXIX, 1904); J. VENN, Symbolic Logik (London, I ed. 1881, II ed. London, Macmillan, 1894) (con ampia bibliografia e cenni, non geniali in verità, sui pre- cursori matematici di Kant). Questi fra i numerosi rappresen- tanti della logistica in Italia. Al Peano s’inchinano però osse- quienti come a maestro anche i logistici degli altri paesi. I suoi studi di logica matematica (intesa come riduzione della logica formale a un calcolo simbolico) hanno avuto naturalmente dei precursori (lo stesso Leibniz si vuol fare rientrare fra questi) degno di nota fra tutti; G. BooLE (The Mathematical Analysis of Logic, Cambridge, 1847), nonchè G. P£ACcOCK, D. GREGORY e A. pe Morgan, TH. SPENCER BAYNES, W. STANLEY JEvoNS. Per maggiori informazioni su tali ed altri precursori il lettore può consultare : E. SCHRODER, Der Operationskreis des Logikkalkulus (1877); In., Vorlesungen tiber die Algebra der Logik (1895); L. LiARD, Les logiciens anglais contemporains (Paris, 1878) ; Ip., Des definitions géometriques et des définitions empiriques (Paris, Alcan). I logici matematici sono però concordi nell'affermare che a Peano spetta il merito di averne per primo tentato l’applica- zione della logica matematica (cfr. lo studio del Peano: « Cal- colo geometrico secondo l’ Ausdehnungslehre di Grassmann 1). I capi scuola della logistica contemporanea all’estero sono: FREGE, Begriffsschrift. Eine der arithmetischen nachgebil- dete Formelsprache des reinen Deukens (Halle, 1879); Ip., Grundlagen der Arithmetik, eine logisch-mathematische Unstersuchung iùber den Begriff der Zahl (Breslau, 1884); Ip., Grundgesetze der Arithmetik begriffsschriftlich abgeleitet Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —55 Per conto mio, pure riconoscendo la giustezza degli elogi che questo indirizzo ha saputo meri- tarsi nel campo strettamente scientifico, credo esso non ne abbia alcuno in filosofia. I pregi scienti- fici della logistica consistono sopra tutto — e non è poco — nella estrema rapidità e concisione della sua rappresentazione simbolica, non solo senza nulla perdere, ma anzi guadagnando in rigore espositivo ed eliminando non pochi equivoci della tradizione. Da un punto di vista gnoseologico la logistica è però mancata al suo compito fondamen- tale, quello appunto di riformare la logica: la lo- gistica non ne ha colpa, se non in quanto Si è accinta a un compito impossibile: riformare cioè quelle leggi del pensiero che sono in noi, consi- derandole invece come modi introdotti artificiosa- mente da un criterio utilitario — convenzionali stico per registrare, catalogare, ecc., le nostre co- noscenze. Questo errore fondamentale del punto di partenza spiega e in certo qual modo giustifica l’entusiasmo più sentimentale che razionale che i logistici hanno per la loro teoria. Essi stessi sono i primi ad es- sere meravigliati che proprio fino al secolo XIX si sia aspettato per accorgersi che si era erronea- mente ragionato per millenni e millenni, non già da Aristotele cioè, ma dal primo formarsi di una coscienza. Non esiste una logica di Tizio e una lo- gica di Caio; esiste soltanto la Logica. Tizio o Caio possono tutto al più aver dato alla Logica una data particolare struttura a seconda che il (Iena, 1893); B. Russe, The principles of mathematics (Cambridge, University Press, 1903); L. COUTURAT, Les prin- cipes des mathématiques (Paris, 1905). 56 La posizione gnoseologica della matematica loro temperamento, il loro tempo e il loro grado di coltura potevano suggerire. La stessa grandio- sità della scoperta avrebbe dovuto rendere parti- colarmente guardinghi e circospetti i logistici, e infatti alcuni fra questi, più o meno esplicitamente, ammettono che più che di scoperta si tratta di un ritorno a Leibniz negando nei suoi punti essen- ziali la dottrina matematica di Kant (1). Nella concezione leibniziana troviamo già, per quanto non categoricamente espresso, un carattere con- venzionalistico nei principii matematici che è da Kant totalmente escluso e dalla logistica incondi- zionatamente ammesso; troviamo già la deduzione — fondamento essenziale del procedimento mate- matico secondo la logistica — ma credo che lo stesso Leibniz sarebbe stato molto perplesso se, . malgrado tutte le attuali argomentazioni della lo- gistica, avesse potuto vedere nella meravigliosa abilità costruttrice di questa la tomba dell’intui- zione per quanto riguarda specificatamente il proce- dimento matematico e la soppressione della logica «tradizionale » secondo i paradossi del Russel. Questi — si è già notato (2) — si compiace in- dubbiamente del paradosso e in esso vi è sempre la forte personalità scientifica del matematico inglese; ma se ammettiamo la genialità del pa- radosso buttato qua e là quasi a titolo di sfida, ci stanchiamo a lungo andare di una esposi- zione scientifica che sia tutta quanta un para- (1) Questo punto particolare fu da me svolto al V Congresso Internazionale di Filosofia (Napoli, 5-9 maggio 1924) e per maggior comodità del lettore riportato alla fine del presente volume (Appendice). (2) Cfr. questo libro, cap. I, $ 1. Cap. II. - Irapporti fra la logica e la matematica —57 dosso: ci stanchiamo non già ci scandaliZziamo. Il pensiero moderno è troppo allenato a tutte le possibili interpretazioni di un problema perchè l’antica sofistica 0 comunque, un rinnovamento parziale o totale dell’antica sofistica lo scuotano eccessivamente; ma appunto in causa di quest’al- lenamento il pensiero moderno non tollera gli si ammanniscano come novità genialmente parados- sali, atteggiamenti di pensiero ormai decrepiti e « superati » — mi si passi la brutta parola — da un pezzo. Queste mie ultime espressioni non ri- guardano affatto la: logistica presa nel suo com- plesso, ma soltanto il Russel e il Russel non in quanto matematico, non il Russel cioè dei « Prin- cipii », quanto il Russel del Congresso di Parigi del 1900 (1), il Russel di alcuni articoli ecc. in. cui si compiace di affrontare il problema della verità, il problema della ricerca filosofica nello stesso modo nel quale i sofisti avevano saziato la società antica, con in meno forse l’abilità dialettica e la esposizione brillante di quelli. Mi si interpreti ad esempio una frase come questa: « Ciò che è vero, è vero; ciò che è falso è falso, e non c’è altro da dire ». L’aforisma è pieno di arcane profondità, indubbiamente, ma vien fatto allora di doman- darsi se è proprio conveniente di spendere tempo e fatica per afferrarne l’intima essenza quando potremmo giurare di essere già sicuri «a priori » — proprio «a priori» — di aver già incontrato molte, troppe volte questa stessa intima essenza. Tutto questo però — lo ripeto — non riguarda (1) B. RusseL, L’Idée d’ordre et la position absolue dans l'espace et dans le temps (Congrès international de philosophie, Paris, 1900). 08 La posizione gnoseologica della matematica n affatto la logistica presa nel suo complesso. Se in questa la convinzione innovatrice ha potuto por- tare alcuni suoi esponenti a conseguenze estreme non per questo il relativismo proprio di ogni nostra conoscenza è prospettato dai logistici come una vera e propria rivoluzione introdotta nel campo del sapere. Non soltanto, ma nemmeno li- mitatamente alla matematica lo stesso Russel e il Couturat, strenuo difensore e ampliatore in Francia della sua dottrina, misconoscono quanto essi deb- bono a Leibniz (1). In ogni modo nel campo stret- tamente matematico rivoluzione c’è stata: il sim- bolismo rappresentativo e l’esclusione dell’intui- zione. Non parlo del convenzionalismo dei principii . fondamentali e in complesso del procedimento ipo- tetico deduttivo, perchè in tal caso la questione sarebbe stata vecchia quanto il mondo (2). Come si vede questa scuola fondata in Italia dal Peano con i suoi principali collaboratori nel Pieri, Vailati, Burali-Forti, Vacca, ecc., in Germania dal Frege, rappresentata in Inghilterra dal Russel e in Francia dal Couturat, non è affatto, fondamen- talmente, un’argomentazione a sfavore di quanto si è detto sin qui sul procedimento matematico se non nei riguardi dell’intuizione. La logistica in- (1) B. RusseL, La philosophie de Leibniz, Exposé critique (tr. fr., Paris, 1903, sull’originale di Cambridge, 1900); L. Cou- TURAT, La logique de Leibniz, d’aprés des documents inedite (Paris, 1901); In., Opuscules et fragments inédits de Leibniz (Paris, 1903). | | (2) Da un punto di vista filosofico interessante lo studio pub- blicato sulla Revue de métaphysique, 1911, pag. 280, avente appunto per titolo: L’importance philosophique de la logis- tique. Sotto questo aspetto cfr. pure in Perla storia della logica di EnRIQUES il $ 29 (pag. 196 segg.). Cap. 1I. - I rapporti fra la logica e la matematica 59 fatti esclude l’elemento sperimentale come origine delle verità matematiche e l’induzione nel prose- guire. L’origine dei principii fondamentali della ‘ matematica è — sècondo la logistica, pura e sem- plice convenzione, ipotesi, non è un «a priori » nel vero senso; ma qui non è da me ammesso (1) - l’a priori in senso kantiano se non limitatamente ad alcuni principii fondamentali da cercarsi pre- valentemente negli assiomi — non nei postulati — secondo l’antico criterio euclideo. Bene inteso però nei riguardi della logistica tale distinzione rispetto al carattere ipotetico o non della loro origine, non ha alcun senso: unico criterio di scelta sarà per essa non già l’antica e vieta evidenza — cui io credo si debba, malgrado tutto, ancora rigidamente uniformarsi (2) — ma soltanto la maggiore como- dità — e anche questo criterio non è, si potrebbe osservare, nuovo di zecca — che le proposizioni generali medesime avranno rispetto allo svolgi- mento, essenzialmente deduttivo, per collegare in un tutto: organico ed omogeneo queste sparse ve- rità matematiche onde dirigerle più conveniente- (1) Per non equivocare: se per «a priori» s'intende qualche cosa che non ci è dato empiricamente, allora tutte le proposi- zioni matematiche sono basate su di un «a priori». Ma se per «a priori » s'intende qualche cosa che ci porta al necessario ed all’universale, sia pure limitatamente alla realtà fenomenica — e questo è il senso dell’« a priori» kantiano — allora credo soltanto un piccolissimo numero di verità matematiche (pro- priamente gli assiomi) possono essere considerate come deter- minate esclusivamente « a priori ». Mi limito qui ad accennare questo criterio differenziale tanto per immediatamente inten- derci sulle linee essenziali dell'interpretazione della parola « a priori »: esso sarà in seguito più ampiamente svolto. (2) Proprio nel suo senso comune di inconcepibilità del contrario. 60 La posizione gnoscologica della matematica mente e più rapidamente verso lo scopo che ci preme di raggiungere. Trascurando i particolari di quello che io credo si possa chiamare — limitatamente al problema gnoseologico — l’illusione insita, volere o no, nella logistica per quanto si riconnette alla riforma della logica, i quali particolari solo indirettamente potrebbero rientrare in quanto andiamo svolgendo, è bene fermiamo l’attenzione nostra sul problema .già accennato prima di trattare della logistica, ossia quello intuitivo. Tale incompatibilità non significa per altro illogicità assoluta — il che non sarebbe d’altronde concepibile in nessuna espres- sione cosciente — ma soltanto l’intervento di un altro elemento non prettamente logico e che con tutta la buona volontà mal si potrebbe costringere nella deduzione, cioè, l’intuizione. Questa esclusione della pura razionalità dalla matematica non deve però portarci a stabilire in essa una fonte empirica e un procedimento indut- tivo, di basarci cioè esclusivamente su quell’espe- rienza che la logica pura non considera nella sua diretta espressione, in quanto essa logica in- terviene soltanto quando il pensiero è passato ad esaminare il substrato essenziale di quell’ indisso- lubile fusione di soggetto-oggetto che è già nella percezione, substrato normalmente chiamato con- cetto (1). | A tale convinzione — empirismo matematico — saremmo costretti di addivenire soltanto se le fonti del sapere fossero due: il dato sensibile e l’idea (2), e si dovesse per forza schierarci con l’una o con (1) Cfr. però questo libro, cap. I, $ 1. (2) Cfr. questo libro cap. I, $ 2. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 61 —____—_———————_—€€—& l’altra; ma la questione non ha affatto tale aspetto. dilemmatico. Il dilemma sarebbe già fondamental- mente errato anche se soltanto all’esperienza o alla ragione si dovesse ricorrere per sapere, in quanto si è accennato sopra come il divario fra di esse non abbia ragione di essere dato che appunto in qua- .lunque sensazione vi è già un elemento intellet- tivo (1); ma il dilemma medesimo ci sembrerà mag- giormente insostenibile osservando che vi è una terza fonte di conoscenza: l’intuizione. Di essa già abbiamo trattato nella sua più alta espressione analogica nelle scienze fisiche e abbiamo mostrato come, contrariamente a quanto la scienza sembra credere, mentre è fonte apportatrice di ri- sultati che hanno alcune volte del meraviglioso nelle discipline particolari e segnatamente forse nell’astronomia, essa sia insufficiente in filosofia. Andremo ora man mano svolgendo quanto sino ad ora è stato implicitamente ammesso, ma non svolto : avere cioè il procedimento intuitivo la sua massima espressione scientifica nella matematica. Senza dubbio il naturalismo, in tutte le sue gra- dazioni, si guarda bene dall’ammettere ciò dato che il problema dell’intuizione in se stesso considerato, è alquanto difficile ad essere trattato con mezzi che pretendono di essere essenzialmente positivi, di de- rivare qualunque attività esclusivamente dall’espe- rienza. Così i fanatici detrattori dello « a _ priori » originario delle proposizioni matematiche, vogliono ad ogni costo vedere in esse un elemento speri- (1) Qui basti tale semplice accenno a questo problema che ‘ è il più importante della teoria della conoscenza e la base ne- cessaria su cui deve appoggiarsi qualunque idealismo gnoseo- logico. | 62 La posizione gnoseologica della matematica mentale, attribuendo alla matematica un procedi- mento induttivo. Lo Young (1) crede di fornirci un esempio di procedimento induttivo nella matema- tica (2): «Sea ed sono due elementi di una succes- sione discreta C e se a < 5 e s, il successivo im- mediato di a, ss il successivo immediato di 8,, sg di se, ecc., l'elemento » apparterrà all’aggregato 81, Se, 83...». La dimostrazione si fa per assurdo. Dov” è in tal caso il procedimento induttivo? Non lo so: l’unica induzione è in questa frase dell’A.: « Il legame fra questo teorema e il principio d’in- duzione matematica è evidente » (pag. 151). Non so bene se l’A. abbia voluto con questo sostenere che nella matematica, se non prevalentemente, figura tuttavia anche il procedimento induttivo. L’esempio citato è, come d’altronde quasi tutte le questioni dall'A. trattate nei suoi « Concetti fondamentali dell’algebra e della geometria », svolto molto bre- vemente e sopra tutto isolatamente, per niente affatto collegato con quanto precede e con quanto segue: sono note preziose se li consideriamo prese separatamente ; non ci dicono gran che se cerchiamo di esaminarle nel loro complesso come un tutto organico ed omogeneo. Perciò come dobbiamo in- terpretare questo accenno dell’A. che ha per titolo « Induzione matematica »? Basandoci appunto sul titolo sembrerebbe doversi ritenere come un esem- | (4) È evidentissimo nell’esempio citato dallo Young il rife- rimento al principio d’induzione completo, di cui avremo quanto prima a trattare nella sua enunciazione generica. Il traduttore italiano aggiunge all’esposizione dello Young cenni bibliografici: degni di nota gli articoli ricordati del Vacca e del Combeirac. (2) I concetti fondamentali dell’algebra e della geometria (ed. cii., pag. 150-151). Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 63 ——T rc pio, una prova anzi portata a favore dell’ induzione applicata come metodo nell’indagine matematica. Non avendo però nulla saputo trovare d’indut- tivo con le mie sole forze nell’esempio citato, sono ricorso al diligente studio del Benzoni (1) per ve- dere se in qualche modo si poteva far rientrare tale esempio nel procedimento induttivo: i miei tenta- tivi non sono stati coronati dal successo. E si che il Benzoni esamina con scrupolo rigoroso l’ indu- zione sia dal punto di vista storico sia da quello più rigidamente metodologico. In ogni modo è certo che induzione non significa nel caso citato dallo Young partire dal dato empi- rico per arrivare all’astrazione generica. Lo Young, posto di fronte al problema del fondamento della geometria euclidea ad esempio (op. cit., pag. 45), dichiara troppo esplicitamente di schierarsi a fianco dei sostenitori di un’origine non sperimentale di essa per dover insistere oltre sul caso citato. Il confronto che egli fa, sulle traccie del Poincaré, fra le proposizioni della geometria euclidea e quelle del sistema metrico decimale, ci autorizza da solo a porre lo Young fra quei matematici che negando l’ a priori in senso stretto, come Kant l’intende, ammettono però pur sempre un «a priori », con- venzionale e arbitrario quanto si vuole, ma non mai un’origine sperimentale che è il punto essen- ziale di abbattere per una teoria idealistica della conoscenza. $ 7. Il procedimento sperimentale nella mate- matica. — La tesi dell’intuizionismo come base sine qua non per andare avanti in matematica ha (1) R. BenzonI, L’induzione (Genova, 1894). 64 La posizione gnoseologica della matematica i suoi esponenti tanto in filosofia quanto fra gli stessi matematici, pensatori gli uni e gli altri non sospetti certo di attribuire alla matematica valore inferiore a quello che effettivamente le spetta. Il Martinetti tratta in diversi punti della sua opera fon- damentale (1) questo problema e in tutti questi punti mostra la sua precisa convinzione della non asso- luta logicità del procedimento matematico e sopra tutto l’ impossibilità di considerarlo come indullivo. A pag. 426 ci dice: « Le forme possibili dello spazio sono infinite; quindi infinite le geometrie possibili in astratto », mentre noi, anche immaginando qual- siasi modificazione della nostra intuizione temporale o spaziale, non potremmo concepire alcuna modi- ficazione nel processo logico. E più specialmente ancora per quanto ha attinenza col problema par- ticolare che stiamo trattando, nella medesima opera (pag. 429) leggiamo: « E per la stessa ragione (2) riuscirebbe ugualmente impossibile ogni tentativo di applicazione dei procedimenti logici alla mate- matica; questa, per quanto sia anch’essa, come scienza (3), rivestita di forme logiche e fissata in concetti e giudizi, si forma in virtù di una logica tutta sua propria senza di cui, anche con l’aiuto di tutti i principii logici, non sarebbe possibile fare (1) Introduzione alla metafisica (Torino, 1904). (2) In quanto appunto « altro è l’evidenza logica, altro l’evi- denza matematica », S. p. (3) A commento di tale inciso cfr. nello stesso libro la cri- tica all’empirismo : inoltre (pag. 225) il passaggio dall’empi- rismo al criticismo kantiano (idea di sostanza in Locke e Kant). Senza discutere ora sul principio dell’ « a priori » puoi vedere come tutta l’estetica trascendentale di Kant e più ancora la sua « Introduzione » alla Critica (particolarmente polemizzando con Hume), mirino in fondo a questo, che figura incidentalmente in tale espressione: ‘come scienza 1. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 65 un passo oltre al primo assioma » (1). Giudizio che ci ricorda nella sua essenza quello di Kant nella « Critica » (estetica trascendentale): « Prendete, ad esempio, queste proposizioni: due linee rette non possono circoscrivere uno spazio, nè per conse- guenza formare una figura e tentate di derivarla dal concetto della linea retta e da quello del nu- mero due. Prendete ancora, se voi volete, questa. altra proposizione per la quale con tre rette si può formare una figura e cercate di ricavarla sempli- cemente da questi concetti. Tutti i vostri sforzi saranno vani, e voi vi vedrete costretti di ricorrere all’intuizione, come d’altronde fa sempre la geo- metria ». . Categorico è pure lo Schopenhauer nella sua conclusione al riguardo : « Dopo tutte queste consi- derazioni, nessuno, spero, vorrà mettere in dubbio che l’evidenza della matematica — divenuta mo- dello e simbolo di ogni evidenza — derivi per sua essenza non già dalle dimostrazioni, ma dall’intui- zione immediata. L’intuizione qui, come dapper- tutto, è il principio supremo e la fonte di ogni verità; ma quella che è a base della matematica ha un grande privilegio su di ogui altra e in par- ticolare sull’intuizione empirica..... » (2). Nè sarà superfluo riferire in merito l’opinione di un illustre matematico, il Poincaré, per il quale la (1) Cfr. KanT, Prolegomeni (tr. it.), $ 2, pag. 33: «Il con- cetto della « linea più breve » è qualche cosa di nuovo che si aggiunge e non potrebbe per nessuna scomposizione venir de- rivato dal concetto di retta ». Nonchéè nella Critica (metodo- logia trascendentale). Cfr. inoltre LANGE, Hist. du Mat. (tr. fr.), II, pag. 15 segg. (2) SCHOPENHAUER, Il mondo come V. e R. (tr. it. Varisco- Palanga), I, pag. 114. G. E. BARIÉ, La posizione moseologica della matematica. 5. 66. La posizione gnoseologica della matematica ° geometria euclidea è la nostra geometria « solo perchè secondo essa appunto si sono costituite la nostra intuizione spaziale e la nostra esperienza »; e la conclusione cui lo stesso Poincaré arriva trat- tando particolarmente della credenza di un’origine sperimentale della geometria: « Non si esperimenta su linee rette o su circonferenze ideali » (1). Il Poincaré, è vero, sembra che qua e là ammetta anche l’induzione nel procedimento matematico, ma ciò dipende appunto in quanto, essendo un ma- tematico, considera la logica semplicemente come analisi (2) circoscrivendola in fondo al classico sil- logismo aristotelico, più ancora all’applicazione degli scolastici; ma quanto ciò sia incompleto è superfluo far rilevare in filosofia, in cui la sintesi è ritenuta rigorosamente logica quanto l’analisi. Perciò il Poincaré, dovendo le creazioni di tutti i matematici uniformarsi a un procedimento analogo, e ritenendo per altro conveniente di distinguerli in « logici » ed « intuitivi.» (non già per la materia che trattano che è naturalmente la stessa, ma per il loro temperamento personale), nè l’analisi pura e semplice potendo portare a nuove scoperte, trovò opportuna la denominazione d’induttivo al proce- dimento seguito da questa classe particolare di mate- matici da lui chiamati logici. Tale pretesa induzione però che per i suoi caratteri specifici non potrebbe (4) H. Poincaré, La Science et l’Hypothése, pag. 64. Altri punti numerosi in tutte le opere del Poincaré si potranno tro- vare in appoggio a tali argomentazioni. Vedi ad es. in La valeur de la Science, pag. 16 (il temperamento logico di Euclide malgrado la sua vasta costruzione sia dovuta all’intui- zione) e pag. 17 «l’intuition ne peut nous donner la rigueur, ni méme la certitude »..., ecc. (2) Vedi segnatamente in La valeur de la Science, pag. 29. Cap. II. - 1 rapporti fra la logica e la matematica 67 essere considerata tale da un logico rigoroso, egli stesso trovò necessario di precisare meglio aggiun- gendovi la specificazione di « matematica » (1). Questo riconoscimento non è, bene inteso, am- messo da lui, ma credo non si possa dubitare di queste mie considerazioni innanzi tutto perquanto si è sopra detto della voluta identità — in matematica — dell’analisi con la logica, mentre invece quella è soltanto un aspetto di questa (2); in secondo luogo. per le conclusioni definitive cui il Poincaré arriva, come possiamo facilmente constatare esaminando la sua dottrina nel complesso senza troppo a lungo soffermarci sui particolari, che, presi alla lettera, possono molto spesso dar luogo ad errate interpre- tazioni semplicistiche. | Certo se con lo Stuart Mill noi ci limitiamo a considerare gli assiomi come generalizzazioni del- l’esperienza (3), l’induzione sarebbe il cardine su (1) Ecco il principio fondamentale da cui dovrebbe emergere l’induzione matematica: « Si un théorème est vrai du nombre 1 et si l’on démontre qu’ il est vrai de n 4-1, pourvu qu’il le soit de x, il sera vrai de tous les nombres entiers ». ( Valeur de la Science, pag. 21). Ora, questo «jugement synthétique a priori, c'est le fondement de l’induction mathématique ri- goureuse », ma la parola « induzione » non deve essere qui presa alla lettera, e prova ne sia che alla pagina seguente (pag. 22) il Poincaré ci dice che tale « axiome » è determinato da quella in- tuizione suprasensibile che il Poincaré chiama «du nombre pur» . (2) A tale punto crede il Poincaré di poter ammettere la sola analisi come metodo logico che il processo sintetico insito in qua- lunque nostra percezione, processo svolto naturalmente, quasi inavvertitamente dal nostro pensiero, e che è la conquista più significativa dell’idealismo moderno l’aver posto in luce, è da lui considerato quasi come una prerogativa della matematica, precisamente esaminata sotto il suo aspetto intuitivo e non già sotto quello logico. (3) J. Stuart MILL, A System of Logic..., V, VI. 68 La posizione gnoseologica della matematica cui dovrebbero svolgersi le costruzioni matema- tiche; ma ove dovessimo ciò accettare alla lettera si verrebbe quasi ad annullare il valore della « Cri- tica » kantiana nei riguardi appunto dell’esperienza. Nessuno nega, e Kant meno che mai, l’importanza dell’ esperienza per conoscere, ma se dobbiamo accettare le verità fondamentali (assiomatiche) come generalizzazioni dell’esperienza, non lo possiamo fare se non accettando un’esperienza quale Kant. ce l’offre, ossia un’esperienza che non significa già il complesso di constatazioni empiriche — chè allora non si avrebbero giudizi di esperienza ma soltanto giudizi « percettivi » (1) — ricavate esclusivamente dal mondo esterno; ma un’esperienza che significa la possibilità delle constatazioni empiriche mede- sime soltanto perchè il nostro pensiero ne stabilisce il collegamento nella « coscienza generica » (2) a mezzo dei concetti intellettivi puri «a priori ». Questo è il significato essenziale della tratta- zione della fisica pura nella dottrina gnoseolo- gica di Kant. ° Così stando le cose — e non vi è possibilità di una diversa interpretazione — il punto di partenza non è più il dato empirico o il complesso di dati empirici che trovano la loro espressione unificatrice nel concetto, il che potrebbe significare induzione, ma il procedimento inverso: e cioè la stessa espe- rienza che viene ad essere resa possibile soltanto per questa attività che va — mi si passi l’espres- sione — dal mondo interno al mondo esterno e che in tal modo lo rende possibile, informandolo: «l’in- (41) Cfr. particolarmente i $$ 18, 20 dei Prolegomeni, e in generale tutta la trattazione della fisica pura. (2) ùberhaupt. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 69 telletto non attinge le sue leggi (a priori) dalla na- tura, anzi piuttosto le impone ad essa » (1). L’empirismo dello Stuart Mill al riguardo non significa che un passo indietro, non significa che puro e semplice ritorno a Hume, e questo non è d’altronde il solo punto nel quale lo Stuart Mill rivela la sua imperfetta comprensione di Kant. Ora, se un procedimento logico vogliamo riscon- trare nel tanto abusato punto di partenza — l’espe- rienza — dobbiamo ammettere che l’esperienza stessa, per essere considerata fonte di conoscenza, non è già più qualche cosa di semplice in se stessa; ma è già il frutto, è già il derivato di un prece- dente processo puramente intellettivo che solo lo determina. Perciò quando diciamo che anche una forte corrente idealistica ammette che ogni cono- scenza ha a che fare con l’esperienza, non dobbiamo dimenticare come alla formazione di questa espe- rienza si sia arrivati. Questo, bene inteso, non è il significato corrente della parola esperienza, ma possiamo noi forse dare alla parola medesima un significato diverso da quello sopra esposto quando oggi, dopo Kant, par- liamo di essa esperienza in sede scientifica come fonte conoscenza? Nè dobbiamo qui lasciarci even- tualmente fuorviare dal famoso « principio d’indu- zione completa » per arrivare appunto a vedere un procedimento induttivo o, comunque, il riconosci- mento di un procedimento induttivo nella matema- tica. Il principio d’induzione completa è esso pure basato come ogni altro su di un procedimento intuizionistico-deduttivo. Scoperto nel secolo XVI da un matematico italiano — Francesco Maurolico (1) Prolegomeni, $ 38. 70 La posizione gnoseologica della matematica — esso afferma che se una proprietà è vera di un numero intero qualunque, è pure vera anche del numero che segue, ossia, più generalmente, la pro- prietà medesima è vera per tutti i numeri maggiori (interi) quando si è constatato che essa vale per un numero intero dato. Il Poincaré l’anuncia molto chiaramente e brevemente così: « Se una proprietà è vera del numero 1, e se si constata ch’essa è vera per n + 1, purchè essa lo sia di x, essa sarà vera per tutti i numeri interi » (1). Non vi è alcun bisogno di un particolare appro- fondimento del principio d’induzione completa per comprendere che soltanto un equivoco terminolo- gico potrebbe riconoscere in esso una base indut- tiva. Ciò non pertanto si è proprio voluto vedere in esso un procedimento induttivo in senso stretto, mentre, nota giustamente il Brunschwicg, « è un principio di deduzione progressiva, la cui applica- zione è sicura « a priori » del successo, poichè i numeri sono i prodotti di questa deduzione pro- gressiva » (2). Pure attenendoci al concetto più generale del procedimento induttivo dove si vede nel principio d’induzione completa un passaggio dal particolare al generale, bisognerebbe considerare come parti- colare il numero dato e come generale il numero n + 1, ma nonè forse già quello una generalizza- zione astratta? Non sono già forse 1, 2,3... sim- boli concettuali nello stesso modo come n +1? Forse soltanto perchè questo può, in aritmetica, significare maggiore indeterminatezza — e anche (4) Cfr. ad es, la Revue de métaphysique (1905, pag. 818), e in La Valeur de la Science, pag. 21. (2) Les étapes de la phil. math., Il ed., pag. 483. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 71 questo è molto discutibile — possiamo quello con- siderare come dato più intuitivamente, più natu- ralmente di questo? Il numero 1 è una generaliz- zazione sintetica nello stesso modo che un numero qualsiasi indicante milioni di milioni: mettiamo n per significare più rapidamente e più comodamente questo numero e poichè neppure esso n può costi- tuire un limite, estendiamo il nostro ragionamento anche ad n +1 e così di seguito, ricominciando in tal modo una nuova serie in nulla differente dalla precedente. Considerazioni, come si vede, che anche il solo buon senso può suggerire, ma che alcune volte si rendono necessarie onde non si possa costruire sull’ equivoco. In tal caso l’equivoco è terminologico e perciò più facile forse ad essere eliminato: bisognerebbe però cominciare con il bandire la infelice espressione di « principio d’in- duzione completa » (1). In ogni modo per quanto riguarda il Poincaré, non credo possa ritenersi che il principio medesimo sia da lui considerato come una vera induzione. Esso può nella sua dottrina esser ridotto con la massima facilità all’ intuizione e precisamente a quell’intuizione che noi abbiamo chiamata nel I capitolo « ideale » e che il Poincaré, contrappo- nendola all’ intuizione sensibile, chiama « intuition du nombre pur ». Il principio d’ induzione completa . considerato dal Poincaré in « La Valeur de la Science» come « il fondamento dell’induzione mate- matica rigorosa » (pag. 21), viene ad essere consi- (1) Cenni bibliografici : F. ENRIQUES, De la méthode dans les sciences (Paris, Alcan); WHEWELL, History of îinductive sciences (London, 1837); P. BoutRoUXx, Les principes de l’analyse ma- thématique, Exposé historique et critique (Paris, Hermann). 72 La posizione gnoseologica della matematica derato dal Poincaré subito dopo (pag. 22) come sorretto appunto sull’ intuizione del numero puro: dove la necessità dell’ induzione? Come principio fondamentale « a priori » assiomatico non ha alcun bisogno — direi quasi non ha alcuna possibilità — di essere appoggiato nè alla deduzione, nè all’indu- zione: nella sua applicazione è essenzialmente de- duttivo, com’ è deduttivo qualsiasi teorema che si ricava da un assioma o da un postulato. Meno esplicito è il Mach. Veramente non mi pare che questo punto sia stato da lui particolarmente. trattato. Egli accenna però qua e là implicitamente alle deduzioni della matematica, ma una sua espo- sizione di carattere chiaro ed organico del proce- dimènto di questa scienza, non la conosco. Possiamo dire anche che la sua, opinione in merito pre- senta non poche oscillazioni perchè, mentre egli è il primo a riconoscere e a ripetutamente insistere che spesso le scienze attingono molto da un fondamento aprioristico, in ultima analisi mi pare si possa affermare ch’ egli considera anche tali astrazioni originarie di natura empirica, in quanto, se non altro, poggiantesi sopra fatti precedenti di espe- rienza sia individuale, sia collettiva. Per quanto riguarda l’argomento che stiamo trattando, è par- ticolarmente interessante il’ capitolo dedicato alla psicologia della deduzione e dell’induzione nel suo libro « La conoscenza e l’errore » (1). In esso, pure sostenendo con la sua abituale lucidità di esposi- zione che tanto la deduzione quanto l’induzione nulla possono aggiungere alla nostra conoscenza, figura un’espressione che, presa nel suo preciso (4) MacH, Erkenntnis und Irrtum (Skizzen zur Psychologie der Forschung), Leipzig, tr. fr., Paris, 1919. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —‘73 significato, ci autorizza quasi a supporre che il Mach ritenga le verità matematiche basate in ultima ana- lisi sull’esperienza. Vediamo di chiarire con criterii nostri tale punto controverso, ricordando che esso ci è dato dall’opinione espressa dal Mach essere la base fondamentale di ogni verità ricavata dal concetto di triangolo « il fatto sperimentale che la somma degli angoli di tutti i triangoli piani che noi possiamo misurare, non differisce da due retti ». Prendiamo l’esempio seguente che è il più sem- plice che la geometria piana può fornirci per a” mettere in chiaro l’opinione dell’A. Supponiamo di avere un triangolo a dc. Se prolun- ghiamo il lato ac fino a un punto qualunque f, noi ot- e de e; teniamo un angolo esterno b c f, che sappiamo essere uguale alla somma degli angoli interni non adia- centi, ossia avremo: ZN Z4N /N bcf= abc + dbac Da cui possiamo altresì ricavare che, ove nell’ipo- tesi si fosse ammesso trattarsi di un triangolo isoscele si avrebbe: bef= 20; bef=2d e così via, e ciò appunto abbiamo potuto stabilire | perchè sappiamo che la somma degli angoli del triangolo a de è uguale all’angolo piatto a c f, ecc. Ma non possiamo assolutamente riconoscere che questa verità geometrica non sia a sua volta basata, come ogni altra, sull’ intuizione originaria di alcuni principii fondamentali « a priori »: nel caso parti- colare sulla stessa definizione di triangolo. 74 La posizione gnoseologica della matematica Ma ciò dipende forse da una certa imprecisione dei vocaboli. Egli definisce l’ intuizione « tutto il sistema di sensazioni coordinate nello spazio e nel tempo che ci offre il senso della vista a mezzo del quale noi riconosciamo d’un colpo d’occhio la distribuzione dei corpi e dei loro movimenti reci- proci » (1). E, ciò che trovo incomprensibile, ag- giunge che «il vocabolo porta nettamente la sua impronta originaria ». Il criterio etimologico del Mach al riguardo è quanto mai discutibile perchè questa sua affermazione non ha ragione di essere se non considerando che in tedesco la parola Anschauung significa propriamente intuizione (2), mail vocabolo ha la radice in comune con Anschauen (riguardare, rimirare) e così via. In ogni modo la questione etimologica non ci interessa: occupiamoci piuttosto della definizione riportata e non delle considerazioni che seguono. Tale definizione mi sembra del tutto inadatta a dirci che cosa sia l’in- tuizione, ed è una definizione che caso mai uno psicologo ad es. avrebbe potuto dare della perce- zione, che pertanto, rigorosamente parlando, nulla ha a che vedere con l’intuizione che è procedimento astratto.di pensiero, formandosi prima della visione dell’oggetto e non già della conoscenza sensibile dell’oggetto medesimo. Che poi tanto la percezione | quanto l’intuizione si debbano basare sull’associa- zione delle immagini, ciò non equivale certo a sta- bilirne l’identità. Se consultiamo la psicologia mi pare che il suo responso non possa dar luogo ad (4) MACH, op. cit. (tr. fr.), pag. 159-160. (2) L’intuizione p. d. come è stata qui intesa si renderebbe forse meglio in tedesco con Einfall nel suo senso particolare di idea improvvisa, di sprazzo geniale. Cap. Il. - Irapporti fra la logica e la matematica —75 equivoci. Il Peillaube (1), in cui trovai la più com- pleta esposizione della formazione psichica della percezione, definisce questa come « un complesso di stati psicologici, di sensazioni, d'immagini, di ricordi, di giudizii e di ragionamenti a proposito di una impressione attuale » mentre il concetto di intuizione comporta il principio di un avvenimento futuro e che perciò non può essere basato princi- palmente sulla vista come il Mach sembra credere. Il Vaissière, pure trovando esatta la sopra esposta definizione del Peillaube la giudica però un po’ imprecisa in quanto forse non sufficientemente determinata e la vorrebbe completata nel modo seguente di cui non possiamo non riconoscere la assoluta chiarezza: « La percezione è una fusione della sensazione eccitatrice con le immagini asso- ciate » o più specificatamente « una fusione di oggetti rappresentati dalla sensazione con gli oggetti rappresentati dalle immagini associate » (2). In ogni modo tale imprecisione di linguaggio nel Mach risulta evidenteanche daaltri punti(pagg. 194, 206-209, 197, 308 dell’op. cit.). Nè di tale fatto dob- biamo meravigliarci oltremodo, dato che possiamo osservare di passaggio come non soltanto nel co- mune linguaggio, nè in quello di studiosi non spe- cializzati in psicologia troviamo equivoci termino- logici, ma anche negli stessi psicologhi. L’insuffi- . cienza del linguaggio è infatti considerata dal James come la prima fonte di errori nella psicologia, sia per la frequente mancanza di termini in quanto « è assai difficile localizzare l’attenzione su di una cosa senza nome » (3), sia, alcune volte, per l’uso (1) PEILLAUBE, Les images. (2) VaissiéRE, Psychologie expérimentale, pax. 145-146. (3) James, Compendio di Psicologia (tr. it.), pag. 80. 76 La posizione gnoseologica della matematica errato dei vocabili esistenti che si estende anche a concetti fondamentali della psicologia, fra cui fra la stessa sensazione e la percezione, pertanto netta- mente separate, sopra tutto in una vita primitiva e nell’infanzia. E in modo più categorico e sopra- tutto più generale in quanto esteso all’espressione tutta del pensiero e non alla sola psicologia, si esprime il Condillac per il quale tutta l’indagine del pensiero è in fondo — opinione che certo non possiamo condividere spinta a tale estremo limite — la conseguenza o no di « une langue bien faite »: nello stesso modo il Leibniz vede nell’analisi pre- cisa intorno al significato delle parole il fattore più importante per la comprensione dei procedimenti intellettivi (1). Ciò osservato possiamo benissimo spiegarci come il Mach, fisico, abbia insistito tanto sulla parte sensibile di quel processo che egli chiama intuizione, tanto da darci una definizione che nel complesso, ma sempre con le dovute riserve di cui sopra, è molto più vicina alla formazione della per- cezione, non esclusa quella particolare importanza del senso della vista considerato come superiore a quella d’ogni altro e non esclusi i movimenti dei corpi, che ci darebbero quel sesto senso (movi- mento) normalmente ammesso dalla moderna fisio- (4) Da un po’ di tempo a questa parte si nota una prege- vole tendenza ad attribuire alle parole l’importanza loro dovuta per meglio comprendersi. Interessante al riguardo la comuni- cazione del CouTUuRAT (D’une application de la logique au pro- blèeme de la langue internationale) al III Congresso inter. di filosofia (Heidelberg, 1908). Cfr. pure la prolusione al corso libero di storia della mec- canica all’Università di Torino (1898) del VAILATI avente per titolo Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura (Torino, Bocca, 1899). Anche in Scritti, pag. 203-228. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 77 logia. Altri punti di tale definizione del Mach si po- trebbero qui porre in discussione e primo fra tutti la disinvoltura con cui egli — anche attribuendo la sua definizione alla percezione e non all’intui- zione — sorvola sul « colpo d’occhio », per cui diverse sensazioni ci appaiono in una sintesi come una sola cosa. Ora, se nell’adulto civilizzato pos- siamo considerare ciò come un fenomeno normale creato dall’abitudine, si può tuttavia con facilità. mettere in luce che tale sintesi non è nel bambino e non è nel primitivo (1). L'uno e l’altro prima di arrivare alla percezione di un oggetto come noi l'abbiamo qui inteso, passano attraverso ai diversi stadi in cui si manifestano dapprima separatamente tutte le diverse sensazioni la cui sintesi formerà poi la percezione di quell’oggetto ; processo questo che ha fatto molto riflettere sulla forma ragionativa (sillogistica) della percezione, filosofi come lo Scho- penhauer e il Wundt. (4) Non mi sembra inutile far qui osservare come, essendosi molto abusato riguardo alle analogie psichiche fra il bambino e l’uomo selvaggio, l’allusione medesima sia qui da me fatta unicamente limitantesi a questo caso particolare — il che non vuole però dire, per contro, che questo sia l’unico punto di contatto fra le due coscienze. Così, p. es., non si può sostenere nel caso dell’uomo primitivo quanto ci dice giustamente il Janet (Eat mental des hystériques, pag. 70 segg.), che il difetto di intelligenza nel bambino dipende prevalentemente nell’assenza di ricordi, d'immagini, di tendenze preorganizzate, ecc. Tali mancanze non sono evidentemente nel selvaggio adulto: esse possono essere supposte in lui solo in modo parzialissimo e unicamente per quanto può avere attinenza con il problema ereditario; soltanto cioè in quanto i suoi progenitori gli avranno lasciato poca attitudine a ricordare e a compiere quel processo rapidissimo di associazioni per cui l'adulto civilizzato riconosce immediatamente un oggetto come noto, sia come simile, sia come identico a quello già percepito o immaginato in passato, 78 La posizione gnoseologica della matematica Tutto ciò a esplicazione della poca chiarezza del- l'atteggiamento del Mach di fronte al carattere intuitivo dei principi matematici e al loro dubbio valore logico. E su questo punto dobbiamo ancora insistere essendo per noi fondamentale, dato che ci siamo proposti di dimostrare come le stesse scienze si servano molto spesso di una base essen- zialmente astratta, com'è l’ipotesi, per poter prose- guire, mentre tanto volentieri l’astrazione esse rimproverano ai « castelli in aria della metafisica ».. Possiamo pertanto notare come nel fisico Mach, mutato il senso della parola «intuizione » in quello più positivo di « percezione », troviamo ciò non pertanto l’ intuizione confusa alcune volte con « l'immaginazione » (pag. 199, op. cît.) che a sua volta non è bene distinta, nel libro medesimo (1) dalla « allucinazione »; ma, senza divagare in con- statazioni non indispensabili sull’ imprecisione dei vocaboli adoperati, c’ interessa però mettere in luce qui come quell’intuizione che particolarmente ci importa di conoscere in quanto è stata da noi con- siderata come la base fondamentale di qualunque procedimento matematico, sia dal Mach ammessa sotto la denominazione suggestiva di « esperimento mentale » (2). Ora, scientificamente parlando, noi non possiamo considerare l’immaginazione come un’associazione di elementi « che non si sono mai riscontrati negli. avvenimenti della nostra esistenza ». Il processo immaginario è del tutto differente: è cioè un feno- meno che pure non accordandosi con una sensa- zione attuale, è tuttavia il ricordo di una sensazione (1) Cfr. ad es., la definizione a pag. 163 dell’op. cit. (2) MACH, op. cit., pag. 209. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 79 passata: in altre parole l’immagine è nella serie debole quello che è la percezione nella serie forte. Così stando le cose è evidente come l’immagine, ben lungi dal poter essere considerata come il pro- dotto arbitrario — sia pure geniale, qui non im- . porta — della nostra fantasia, si verifica sempre. nell’uomo in istato normale. L’anormalità è il con- trario; quando cioè noi non possiamo per « dimnesia O per amnesia rappresentarci attualmente quanto altra volta percepimmo » (1). Si comprende -benissimo come tutto quanto an- diamo osservando non abbia per nulla affatto carat- tere accademico, ma abbia il preciso senso di mostrare, incidentalmente, come il non esatto signi- ficato di una parola, possa far travisare tutto il pensiero di uno scrittore e far restare perplesso e dubbioso il lettore attento; ma sopra tutto di mo- strare come il Mach possa affermare che ogni nostra conoscenza derivi dall’intuizione nelle sue forme d’ intuizione sensibile e d’intuizione astratta, pur restando fedele al suo concetto dell’origine sensi- bile di ogni nostra conoscenza. Tale equivoca fu- sione di concetti è rappresentata dal suo esperi- mento mentale. Questo non si distingue, per quanto egli ne parli ampiamente a parte (Cap. XI), fonda- mentalmente dall’immaginazione, sempre stando naturalmente al suo concetto d’immaginazione. È (1) La dimnesia si riscontra quando congenitalmente o acci- dentalmente i ricordi non possono essere fissati; l’ammnesia si riscontra quando il ricordo è stato sì registrato e fissato, ma sì perde in seguito a traumatismo o emozione violenta o dete- rioramento progressivo del cervello come ad es. nella paralisi generale. Il caso anormale opposto ai precedenti ci è dato dal- l’ipermnesia in cui dei vaghi ricordi riprendono la più grande intensità. (Per tutto ciò cfr. VAIssiERE, Ps. Ex.). 80 La posizione gnoscologica della matematica questo ‘esperimento mentale che noi saremmo pro- clivi a chiamare intuizione. Semplice questione di nomi? Niente affatto; pure essendo convinti in ogni modo che anche una semplice questione di nomi possa in alcuni casi portarci molto lontani nelle nostre conoscenze, dobbiamo qui osservare come il fatto sia più complesso. | Dipende cioè dallo stabilire come, anche per il Mach, la matematica abbia un’ origine intuitiva, non già nel suo senso di parola intuizione, ma precisa- mente nel vero senso di essa, ossia in quel conca- tenamento di fatti o cose note, che percepiamo attualmente, o di cui ci rappresentiamo le imma- gini da cui si possa passare ad intravedere mental- mente un nuovo fatto o cosa, o serie di fatti o di cose: procedimento puramente intellettivo questo, e perciò proprio soltanto di uno sviluppo avanzato del pensiero, di cui invano si cercherebbe un’ori- gine empirica, dato che si comprende benissimo come il fatto o la cosa non sia che un punto di partenza apparente. Il punto di partenza reale non ci è dato effettivamente che da quell’ improvvisa idea per cui ci vien fatto di pensare che la « cosa » o il « fatto » noto può mettersi in correlazione con altra verità che non conosciamo ancora, nè che possiamo affermare basandoci esclusivamente su questo sprazzo di luce interiore, ma che ci propo- niamo di dimostrare logicamente o, almeno, pro- vare sperimentalmente. Questa è l’ intuizione e ad essa si avvicina molto l'esperimento mentale del Mach anche se la pa- rola « esperimento » può trarci a conclusioni errate sulla sua origine. Da tale esperimento mentale fa il Mach derivare le proposizioni matematiche. Nello svolgimento che Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 81 di esso ci dà l’A. resta però sempre connesso un certo carattere sperimentale sia per mantenersi fe- dele alla denominazione stessa di tale processo del pensiero, sia per la trattazione di esso, sia per lo appellarsi ad Eulero quasi a conferma della sua esposizione. Tale mio concetto d’intuizione differisce anche da quello del Poincaré (1) il quale non distingue bene l’intuizione dalla rappresentazione. Quella differisce da questa in quanto il suo processo non si limita ad essere immaginativo. L’equivoco del Poincaré dipende qui dal non avere egli veduto che, mentre la rappresentazione si limita soltanto a riprodurre mentalmente una figura che noi non abbiamo fissata sensibilmente (di solito in modo grafico) l'intuizione va bene al di là di ciò: essa ci mostra altresì che quella figura deve essere così e non altrimenti. | Così, se noi abbiamo una retta AB e su di essa un punto C qualunque e poi fissiamo un altro punto qualunque su AC, sappiamo che il punto A ;C B medesimo sarà pure su 45. L'associazione delle immagini può dispensarci dal dover fissare grafi- camente la retta A4B ecc., ma null’altro. Soltanto l’intuizione può farci comprendere che il nuovo punto fissato in AC deve per forza essere pure su AB. Sono certo due processi immediatamente sus- seguenti, ma che è bene tuttavia tenere distinti in quanto appunto l’intuizione non è contemporanea, ma susseguente alla rappresentazione mentale. (1) La Valeur de la Science, pag. 21. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. €. 82 La posizione gnoseologica della matematica In altre parole questa specie d’intuizione del Poincaré è ciò che Kant chiama molto opportu- namente «costruzione di concetto », che non si- gnifica soltanto rappresentazione grafica, ma anche rappresentazione « a mezzo della semplice imma- ginazione nell’ intuizione pura (1) ». È desso il solo campo d’azione nel quale possa esplicarsi l’ atti- vità del matematico. $ 8. Il procedimento intuizionistico della mate- matica. — Ma nemmeno limitato al signîficato esposto nel paragrafo precedente, possiamo accet- tare il « fatto di esperienza » del Mach nella ma- tematica: nè con questo crediamo di togliere, ma bensì di aggiungere qualche cosa al valore dì essa rispetto alla sua posizione nella teoria della cono- scenza. La matematica è precisamente quella di- sciplina — la logica non essendo che semplice "controllo formale del sapere e, inoltre, di un sa- pere, come vedremo, qualitativamente superiore — che abbia rigoroso carattere scientifico senza avere bisogno alcuno dell’esperienza. Come si è veduto il nostro concetto d’intuizione non è in deciso contrasto con il fattore sensibile che è sempre implicito in qualunque fatto o cosa: . non si tratta qui cioè dell’intuizione puramente intellettiva di Descartes (2), la quale, se si può ammettere benissimo anche senza accettare incon- dizionatamente la sua dottrina delle idee innate, non ha tuttavia nulla a che vedere con l’ipotesi, (4) Per maggiori ragguagli su questo punto particolare vedi questo libro, Cap. III, $ 10, pag. 101 segg. (2) Cfr. questo libro, Cap. I, $ 3. Essa è quell’intuizione da noi chiamata, tanto per intenderci, ideale. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 83 in quanto preesiste a qualunque possibilità di for- mularne. Ciò non pertanto il lato sensibile che è in ogni fatto o in ogni cosa — non fosse altro l’azione formale sensibile del tempo nel « fatto » e dello spazio nella «cosa» — non si verifica più nel processo intuitivo propriamente detto, ma questo è un processo d’inspirazione astratta e semplificato al possibile. Certo anche l’ intuizione ipotetica si appoggia, come qualsiasi altra funzione psichica, su di uno svolgimento che si opera in noi attraverso il tempo, ma. tale svolgimento non è già determinato dal contatto con il mondo esterno, ma si opera in noi, nella nostra stessa coscienza alla cui sempre più complessa, sempre superiore formazione, l’ influenza esterna non fornisce che le cause apparenti, che fattori incidentali del suo svolgimento. | Nè se nella formazione originaria delle cause determinanti il processo psichico dell’ intuizione non vedessimo alcun lato sensibile, noi saremmo coerenti nell’affermare che essa può avere efficacia soltanto nei riguardi di una conoscenza non asso-. luta, qualitativamente inferiore a quella cui pos- siamo arrivare prescindendo da ogni lato sensibile, come abbiamo incidentalmente notato e come mo- streremo più esaurientemente fra poco: noi po- tremmo allora sostenere l'identità del procedi- mento intuitivo con quello puramente razionale, cosa che ci guardiamo bene dall’affermare. Ora, se-noi adottiamo la tripartizione accettata dal Leibniz, per la quale ogni nostra conoscenza ha un’origine intuitiva o dimostrativa o, con le de- bite precauzioni, sensibile (1), noi non possiamo (4) Cfr. LeignIz, Nouveau Essais, IV, 3. 84 La posizione gnoseologica della matematica fare a meno di porre le verità matematiche nel primo ordine per quanto riguarda i principii fon- damentali, in un ordine intermedio fra il primo e il secondo per quanto riguarda le verità derivate (teoremi, corollari, scoli); non mai nel terzo (il sensibile), se intendiamo per esso la constatazione empirica. Tale carattere intuitivo delle verità matematiche vide perfettamente Kant dicendoci che « la mate- matica pura è adunque possibile solo in quanto essa non si riferisce che agli oggetti dei sensi, alla cui intuizione empirica sta a fondamento una intuizione pura «a priori » (1) la quale non è altro che la pura forma della sensibilità, che preesiste all'apparizione degli oggetti; ed anzi è quella che sola nel fatto la rende possibile ». È maggior forza acquisterà la conclusione di Kant sull’ argomento ricordando che i suoi principii «a priori » poggiano su altrettante intuizioni. In tale brano di Kant è evidente l’esclusione del procedimento logico come di quello sperimen- tale. Effettivamente se l’intuizione ci è molto co- moda in qualunque teoria della conoscenza, non può dare un’esauriente risposta ai nostri dubbi, che soltanto dalla logica possono essere appagati. Una conoscenza intuitiva può avere valore soltanto quando siamo posti di fronte a un caso singolo; ma da questo non possiamo mai risalire alla ge- neralizzazione cui si può arrivare soltanto facendo appello alla ragione e non semplicemente all’in- telletto (2). Lo Schopenhauer anzi, ben lungi dal (1) Tempo e spazio. (2) Ragione e intelletto sono qui usati nello stesso signilicato dello Schopenhauer (op. cit., ed, cit.), I, 12. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —85 considerare l’ intuizione una forma attinente ‘alla logica, la oppone a questa da un punto di vista gnoseologico (1), pure riconoscendo il grande valore dell’intuizione come il mezzo più rapido (2), se non più certo, per conoscere, e, in estetica, come l’unico mezzo che possa essere di fondamento alla creazione dell’opera d’arte. Nè diversamente in fondo conclude il Croce, malgrado il suo poco ri- spetto per lo Schopenhauer, quando fissa le nostre possibilità di conoscere in intuitive e logiche, quasi contrapponendo le une alle altre; contrap- posizione che possiamo già trovare nella stessa « Critica della Ragion Pura », in cui, distinguendo fra intuizione e concetto, Kant ci dice che « per la prima un oggetto ci è dato, per il secondo esso è pensato nel suo rapporto con questa rappresen- tazione ». Che poi su pochi principii presi come punto di partenza si possano costruire un’ infinità di altre verità dimostrabili — e che la matematica indub- biamente dimostra — e che poi tutte queste verità prese nel loro complesso, ossia tanto quelle aventi carattere assiomatico — es. il tutto è maggiore di una sua parte — che quelle aventi carattere di- mostrativo (teoremi), che tali verità, dicevamo, possano molto spesso — non sempre in ogni modo — avere riscontro anche nell’ esperienza, allora entriamo in tutt’alro ordine d’idee e sul quale (1) SCHOPENHAUER, op. cit., $ cit.. (2) La « rapidità » è considerata pure dai matematici come uno dei vantaggi essenziali della generalizzazione algebrica. (Cfr. Bourroux, L'’Idéal scientifique des mathématiciens, pag. 82). La «sicurezza » del Boutroux, valida per un matema- tico, deve naturalmente ritenersi condizionata in filosofia per quanto si va appunto trattando. ® 86 La posisione gnoseologica della matematica siamo tutti d’accordo. Si verifica cioè nel proce- dimento delle matematiche una specie d’inversione a quanto di solito si riscontra nella fisica. Questa parte, normalmente (1), dal lato empirico e perchè le sue leggi possano avere valore rigorosamente scientifico è necessario che passino sotto il con- trollo dell’astrazione logico-matematica: la mate- matica invece, partendo da principii puramente astratti, « a priori » (2), può trovare la sua con- ferma nell’esperienza. Da quanto detto possiamo rimarcare la posizione privilegiata che ha la matematica rispetto a qua- lunque altra attività del pensiero. Essa ha il van- taggio sulla logica — presa nel suo preciso signi- ficato di: pura azione formale del sapere concet- tuale—di poter fornire nozioni al nostro patrimonio | conoscitivo e di poter ricevere dalla rappresenta- zione sensibile (3) dei suoi concetti una maggiore evidenza e una più generale accessibilità. Essa ha il vantaggio sulle scienze fisiche che le sue verità presentano quel valore universale e necessario che queste non possono dare alle proprie se non fa- cendo appello a entità astratte che trascendono il loro campo d’azione, e che esse adottano non solo senza conoscerle, ma pretendendo di negarle (ba- (1) L’ipotesi come intuizione geniale come noi l’abbiamo considerata, non è il procedimento normale delle scienze fisiche. (Cfr. più esplicitamente questo lavoro, pag. 76-79). (2) Avremo più tardi a trattare dell’inaccettabilità (fisica) dei principii sintetici « a priori » di Kant della fisica pura. (3) Cioè la rappresentazione grafica delle figure geometriche. La necessità di tale genere di rappresentazione verrà più avanti spiegata. Per ora basti osservare che la consideriamo nello stesso modo come è in Kant (Critica, tr, fr., ed. cit., pag. 214, metodologia trascendentale). Cap. LI. - Irapporti fra la logica e la matematica —87 sterebbe per tutte l’attività stessa del nostro pen- siero) (1). Essa presenta infine il vantaggio su entrambe — il sapere logico e le scienze fisiche — di svolgere il suo campo d’indagine in un mondo che non può soffrire, per definizione, va- riazioni di sorta. | Non crediamo di dover trattare qui la natura e sopratutto il valore di tali presupposti della ma- tematica che svolgeremo nella seconda parte: ne è conveniente di trattare -le particolari questioni che riguardano l’essenza delle definizioni matema- tiche. Su di essa i pareri e le distinzioni e suddi- stinzioni sono molteplici già dai primi albori della scienza stessa — forse già lo stesso Talete di Mileto ebbe a trattarne — ininterrottamente fino ai giorni nostri, con la distinzione in definizioni «reali » e « nominali » di Aristotele, attraverso i critici e commentatori medievali e ai grandi filo- sofi matemateci come Hobbes e Leibniz fino alla scienza metageometrica dei giorni nostri (2). (1) La fisiologia in stretto senso si limita a ritenere il pen- siero un movimento del cervello senza considerare che quando anche potessimo precisare — ciò che non è — i singoli movi- menti del cervello (che d’altronde non sappiamo nemmeno se sia la sede della sensazione) ci resterebbe pur sempre di spie- gare che cosa sia il pensiero a meno di sostenere l’assurdo dell’identità pensiero-movimento. I fisici più avveduti non in- corrono più però in simili incongruenze. Cfr. anche MacH, Analisi delle sensazioni, e AVENARIUS, Idea degli uomini sul mondo, di cui il Mach riporta (pag. 33-34, op. cit., nota) testual- mente: «Il cervello non è... alcuna sede... Il pensiero non è ‘un inquilino e un padrone, ecc...., e nemmeno una funzione fisiologica ». (2) Informazioni riguardo all’essenza della definizione potrai trovare, corredate da spunti critici, in F. ENRIQUES, Per la storia della logica, Cap. II, nonchè dello stesso A. la Critica della definizione in Problemi della Scienza. Per maggiori r 88 La posizione gnoseologica della matematica Ma fin d’ora possiamo osservare come la carat- teristica dell’ immutabilità della matematica è inti- mamente connessa con la sua prerogativa della definizione. Dice la geometria: dalla definizione posta di cerchio, sappiamo che per esso dobbiamo inten- dere quella qualsiasi delimitazione spaziale che presenta la prerogativa di avere tutti i suoi punti ugualmente distanti da un punto interno detto « centro ». Noi abbiamo già l’idea di « punto » — e questa è un’altra definizione e, sotto un certo punto di vista, contradittoria (1), per quanto ri- .guarda l’ estensione inestesa di esso su cui il matematico invano si affanna. — Da questa tale determinata figura che siamo d’accordo di chiamare cerchio, noi possiamo andare oltre stabilendo queste e quest’altre verità, di cui le prime discendono direttamente dalla stessa definizione di cerchio, altre verità da queste prime e così via (2). E tutto ciò, diciamo noi, è — almeno nelle verità derivate — rigorosamente dimostrato e perciò i giudizi matematici presentano quel carattere di universalità e necessità che hanno i giudizi logici e che non hanno, nè mai potranno avere, quelli delle . altre scienze per la continua variabilità del mondo schiarimenti cfr. anche: Prano in Mathesis (giugno 1910) ed anche su questo il libro classico del BrunscHvICG, Les étapes de la philosophie mathématique, (Paris, 1912), Ch. IV. (1) È precisamente contraddittoria sotto ogni punto di vista la si voglia considerare che non sia quello idealistico dell’azione sintetizzatrice del nostro pensiero. (2) Non dimentichiamo l’altra (cfr. questo lavoro, pag. 11) celebre definizione di B. Russel della matematica: «la classe «di tutte le proposizioni della forma: P implica Q (P, 0)». (The Principles of Mathematics). Cap. II. - Irapporti.fra la logica e la matematica 89 empirico su cui devono basarsi; e tutto ciò aumenta direttamente la nostra conoscenza e perciò essa matematica presenta quel carattere che hanno le scienze e che non ha la logica. Ma questa mera- vigliosa fusione di risultati dipende pur sempre dalla sua particolare posizione di poter svolgere la sua attività in un mondo in gran parte ipote- tico, in gran parte da' essa stessa creato e non su entità astratte o su fenomeni già dati alla nostra osservazione, e. precisamente: lo studio riflesso sulla nostra stessa attività del pensiero, funzione della logica, o sui fattori forniti alla nostra sen- sibilità, com’è nelle scienze empiriche. Se noi non accettiamo il punto di partenza, cade tutta la grandiosa conquista matematica da Euclide ai giorni nostri (1). Il privilegio della posizione della malemalica rispetto alle esigenze della nostra intelligenza è quindi del tutto apparente. Ciò che forma la sua grande forza rispetto a un sapere relativo, segna pure la sua definitiva condanna rispetto al sapere assoluto, che esige sì l’immutabilità formale della logica e l'universalità e la necessità del giudizio, ma che pretende di trovare immutabilità di pro- cedimento e universalità e necessità di conoscenza direttamente dalla realtà com’essa veramente è, e non come noi vogliamo che sia. Ciò non pertanto la matematica ha indubbia- mente una speciale importanza in ogni teoria della conoscenza. Pure riservandoci di determinare più (1) La questione fondamentale al riguardo sta appunto nel vedere se noi possiamo fare a meno di accettare tali punti di partenza; questione che svolgeremo trattando del punto di vista della moderna metageometria e dei PEREp sintetici «a priori » di Kant. 90 La posizione gnoseologica della matematica nettamente nella terza parte di questo studio la sua particolare funzione rispetto al problema co- noscitivo noi possiamo osservare fin d’ora che la sua immutabilità concettuale e la necessità e uni- versalità dei suoi giudizi non è determinata esclu- sivamente, e forse nemmeno prevalentemente, dalla parziale convenzionalità che noi abbiamo creduto di trovare nelle sue definizioni. Tali prerogative sono proprie, rigorosamente parlando, soltanto della logica (1), ma esse si possono a buon diritto estendere alla matematica, anche perchè questa è la scienza più vicina alla logica, sia pér somi- glianza (2) di procedimento, sia per essere, come questa, per nulla affatto influenzata da circostanze ambientali. Ove si volesse riassumere le considerazioni fatte a proposito dei rapporti fra logica e matematica rispetto alla conoscenza, potremo così concludere: I) la matematica, come le altre scienze aumenta il nostro patrimonio conoscitivo: la logica, no; II) la matematica presenta i caratteri dell’im- mutabilità del procedimento logico e dell’ univer- salità e necessità delle conoscenze passate sotto il controllo formale della logica: le altre scienze, no; III) il valore della matematica è in parte relativo perchè fondato su presupposti (definizioni, assiomi e postulati) che la logica non può sempre incondizionatamente accettare. Un quarto carettere di tali relazioni logico-ma- tematiche rispetto alla conoscenza è quello del (1) Non già del sapere logico, razionale, ma della logic? for- male p. d. (contraddizione ed identità), cfr. questo libro, $ 2, pag. 23 (nota 22). (2) Semplice somiglianza, come si è veduto. Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 91 vertere le proposizioni matematiche unicamente sulla nostra conoscenza sensibile, ma tale osser- vazione non possiamo qui porre come conclusiva data la necessità di esaminare prima, il presup- posto essenziale alle scienze matematiche, vogliamo dire la forma della conoscenza sensibile, ossia il tempo (aritmetica) e lo spazio (geometria). Per quanto riguarda il procedimento cui si attengono le diverse scienze — e segnatamente la matematica — rispetto sempre naturalmente alla sola conoscenza sensibile e la loro attinenza con la funzione specifica della logica in questo campo, esso potrebbe essere schematicamente rappresen- tato nel modo seguente: principii « a priori » : definizioni, assiomi matematica (procede nor- x? ’ malmente dall’ intui- postulati). zione) dimostrazione logica (teoremi) altre scienze (procedono normalmente dall’espe- rienza : in alcuni casi dalla intuizione geniale sempre però comprovata da una susseguente esperienza) | in cui, per spiegarmi meglio onde non si frain- tenda, si deve leggere: la logica influenzare tutto il nostro procedimento conoscitivo sia specificata- mente nella matematica (sopra tutto nelle verità derivate per dimostrazione) sia in tutte le altre indagini della nostra intelligenza, ove le indagini stesse pretendano di essere «scienze» nel preciso significato della parola, di rispondere cioè esau- rientemente ai nostri dubbi sul valore delle loro affermazioni e negazioni. 92 La posizione gnoseologica della matematica $ 9. II procedimento ipotetico della matematica. — Da quanto precede possiamo così dedurre che quello che. il Leibniz sostiene a proposito della necessità dei postulati e della natura di questi, pure essendo, a nostro modo di vedere, profon- damente vero, non può che parzialmente soddisfare il nostro bisogno di conoscere. Certo il Leibniz non considera i principii matematici come arbi- trarii nè per quanto riguarda le definizioni, nè per quanto riguarda i postulati. È anzi appunto il Leibniz stesso che ha posto in luce come, ove la geometria ci desse la definizione di figure impos- sibili (1), questa sarebbe incompatibile con il tutto geometrico e prima o poi ne risulterebbe l’assur- dità; quindi non si può ammettere l’arbitrio nella definizione. . Così è appunto il Leibniz che si preoccupa di. replicare ripetutamente a Locke che gli assiomi matematici non sono affatto dei principii imma- ginarii, delle « supposizioni arbitrarie di cui si sia misconosciuta la verità » (2). Ma non possiamo però dimenticare che è lo stesso Leibniz che sostiene nelle « Primae Veri- tates » (3) che, le prime verità appunto, sono sol- tanto quelle « quae idem se ipso enuntiant aut oppositum de ipso opposito negant. Ut A est A, (1) L’EnRIQUES (op. cît., II, pag. 90) riporta al riguardo l'esempio del decaedro regolare, esempio d'altronde addotto dallo stesso Leibniz. Ragionando attorno a tale figura impos- - sibile si riuscirebbe certo «a mettere in evidenza le contrad- dizioni che il suo concetto implicitamente racchiude ». (2) LeiBNIZ, Nouveaua Essais, IV, pag. 12. (3) Cfr. L. COUTURAT, Opnactlca et Fragments inédits de Leibniz, (1903), pag. 518. Cap. II.- I rapporti fra la logica e la matematica —93 vel A non est non A (1). Si verum est A esse B, falsum est 4 non esse B vel A esse non B»: nè possiamo dimenticare che egli vedesse la necessità di tali assiomi (2) non già nell’ indimostrabilità ed evidenza di essi come verità insindacabili, bensì nella loro utilità onde poter proseguire, in un senso cioè che — sotto questo aspetto particolare — possiamo riconnettere con il criterio di pratica utilità e non altro che l’Hobbes riconosceva ai principii fondamentali della matematica. Dal punto di vista dell’insoddisfazione della nostra esigenza conoscitiva le considerazioni introdotte dal Leibniz sull’utilità di tale procedimento assiomatico, mi ricordano in certo qual modo come il Mach si sbriga nei suoi « Preliminari antimetafisici » della essenza dell’ io (3) che egli considera come pura e semplice eonvenzione utile a più facilmente inten- dersi e a tirare innanzi, riconoscendo tutto al più una maggiore fusione nel gruppo di elementi che costituiscono l’îo in confronto « con altri gruppi dello stesso genere ». L’analogia consiste natu- ralmente — è ovvio — nel solo punto di vista, dato che il Mach non si limita soltanto a procla- mare il valore di un’ipotesi, anche se puramente convenzionale, sotto il solo suo aspetto utilitario, il che potrebbe rivelarci, caso mai, l’estrema con- seguenza di volersi a ogni costo mantenere fedele alla sua dottrina dell’economia del pensiero; ma incorre nel gravissimo errore di considerare come (1) Cfr. Kant, Prolegomeni (tr. it.), $ 2, db): «Il principio fondamentale dei giudizi analitici è il principio di contraddi- zione » (ogni corpo è esteso = nessun corpo è inesteso). (2) LeiBnIz, Nouv. Ess., IV, 7, 12. (3) Maca, Analisi delle sensazioni (tr. it.), cap. I. 94 La posizione gnoseologica della matematica supposizione ciò che possiamo ritenere per la nostra più assoluta certezza: l’ io, soltanto perchè essa non può essere determinata da ricerche semplice- mente positive. Ma l’inconveniente razionale dell’ ammissione utilitaria del presupposto del punto di partenza onde potere più speditamente, e, sia pure, più efficacemente proseguire, è simile in entrambi i casi: ne differisce soltanto d’intensità. Senza dubbio tale concezione del Mach avrebbe spaventato il Leibniz, paziente indagatore e ardito metafisico, e gli avrebbe dato a riflettere come lo esempio illustre della matematica, potesse esten- dersi con troppa tranquillità persino alla base es- senziale di qualunque nostra possibilità di cono- scere. Ma dalle sue considerazioni del libro IV dei « Nouveaux Essais» a favore del mondo ipo- tetico della matematica — sia nel capitolo 7° de- dicato alle « massime ed assiomi », sia nel capi- tolo 12° riguardante «i mezzi per aumentare la nostra conoscenza » — sorge naturale l’osserva- zione che tutte le sue argomentazioni hanno valore soltanto di giustificazione esplicativa provvisoria: e conferma ne sia la sua diligenza a mostrare come sia opera lodevole il tentare di ridurre a un minimo indispensabile tali principii fondamentali «a priori » della matematica, e a ricordarci come già dai tempi antichissimi molto si sia tentato in questo campo. Anche se la critica moderna non può accettare che già con Talete di Mileto, il primo dei matematici greci, colui che predisse l’eclisse solare del 28 maggio 585, si sia tentato dimostrare proposizioni poi supposte da Euclide come evidenti, come Liebniz sembra credere sulla testimonianza Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —95 di Proclo (1), è certo però che fra gli stessi con- temporanei di Euclide, figurano già questi tenta- tivi continuati poi con intensità sempre maggiore dagli immediati successori (Apollonio) (2) ininter- rottamente sino a noi. Le argomentazioni del Leibniz mirano cioè soltanto a convincerci che tale mondo ipotetico della matematica (ipotetico non significa arbitrario) (3) è stato della più grande utilità non soltanto limitatamente all’aritmetica e alla geometria, ma anche a tutte quelle altre scienze, che più o meno direttamente su di esse si appoggiano, in quanto che se Euclide non si fosse basato su alcune di queste verità intuitive prese come postulati, se Archimede non ne avesse introdotte altre e così via, noi non avremmo an- cora ai giorni nostri una geometria, non avremmo quel meraviglioso edificio che partendo da pochi principii arriva « alla scoperta e alla dimostrazione di verità che sembravano dapprima al di sopra della capacità umana ». (1) Commentarii in primum Euclidis elementorum libri (Leipzig, Teubner, 1873). | (2) Cfr. il cap. 7° del libro IV dei Nouveaux Essais, nonchè, per quanto riguarda Apollonio, il libro citato del CouTuRAT, Op. et Frag. in. de Leibniz, pag. 181-182: « Euclide avoit raison, mais Apollone en avoit encore davantage n. Così pure nella « Demonstratio axiomatum Euclidis », pag. 539 dell’opera medesima. (3) Anche i matematici dei giorni nostri insistono su tale distinzione, non esclusa la corrente decisamente convenziona- lista del Poincaré e seguaci. Cfr. ad es. RougIER, La philo- sophie géométrique de Henri Poincaré, pag. 129: « Cette con- vention (il V postulato di Euclide) bien que facultative, n’est toutefois pas arbitraire ». Nello stesso senso insiste ripetuta- mente il Brunschwicg (« Les Etapes de la philosophie mathé- matique » ) in quanto « libero non significa arbitrario» (pag. 541) e così un’infinità d’altri. 96 La posizione gnoseologica della matematica Tutto ciò è, almeno a mio modo di vedere, per- fettamente esatto, ma noi da tali argomentazioni usciamo solo in parte soddisfatti. Io non guardo se sia stato più utile che gli antichi sapienti in- vece di fermarsi alla possibilità o non della dimo- strazione di un principio preso come postulato, abbiano proseguito con sicurezza e tranquillità : dell’ utilità del procedimento medesimo io non mi curo. Ma mi curo però di osservare come i miei dubbi sul valore delle proposizioni originarie siano rimasti intatti malgrado lo sviluppo grandioso che da tutti è riconosciuto alla matematica, e che malgrado gli allettamenti di un tale metodo di sapere, la ragione resterà disperatamente fedele al suo dubbio metafisico su cui non potrà sorvolare nemmeno provvisoriamente, supponendolo risolto onde poter arrivare a un tutto splendidamente or- ganico ed omogeneo che impressiona, ma non soddisfa. Lo stesso famoso dubbio cartesiano non avrebbe avuto alcuna ragione di essere, se De- scartes, malgrado il suo geniale tentativo geome- metrico, fosse stato veramente un matematico e non un metafisico. | È perciò legittima la questione che il nostro pensiero non può fare a meno di rivolgersi: posso io sicuramente credere in verità che abbiano tale origine? Certo, si potrebbe rispondere, e per due ragioni: innanzi tutto perchè è necessario che qua- lunque indagine abbia un punto di partenza su cui basarsi onde non perdersi in cervellotiche e incon- cludenti divagazioni all’infinito ; inoltre perchè tali principii fondamentali sono in noi, in certo qual modo innati, e alla loro evidenza non possiamo sottrarci. | La prima di queste ragioni non può essere in Ù Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —97. linea di massima seriamente contestata da alcuno: sono troppo note le elucubrazioni tanto ingegnose e sottili quanto vuote e inconsistenti della ricerca di una causa prima in cui si sono sbizzarriti logici e metafisici medievali, perchè non si debba rite- nere necessario il partire da principii nettamente posti e .su di essì costruire. Veniamo così ad affacciarci naturalmente alla seconda eventuale risposta al problema postoci inerente alla scelta dei principii fondamentali me- desimi e al loro numero. La scelta dovrà essere determinata esclusivamente dall’inconcepibilità del contrario, basandoci ancora proprio sul vieto. cri- terio dell’evidenza ormai quasi universalmente ripudiato dai matematici. Conseguentemente il nu-. mero di essi dovrà essere ridotto al minimo, per la semplicissima ragione che ben poche sono le verità il cui contrario è per noi impensabile. D'altra parte, indipendentemente però dal criterio dell’ evi- denza, la necessità di ridurre a un minimo indi- spensabile i principii presi come presupposti è ammessa dagli stessi matematici. Il problema inerente al criterio che deve presie- dere alla formazione dei principii medesimi sarà il tema delle considerazioni che passiamo a svolgere. In primo luogo, a maggiore esplicazione di quanto si è già sino ad ora superficialmente trattato, nel limitare il valore dei giudizi matematici — qua- lunque sia per essere il grado di perfezionamento che essa potrà eventualmente raggiungere in avve-. nire — al solo campo della conoscenza sensibile, ossia soltanto relativamente ad una realtà quanti- tativamente inferiore a quella essenzialmente con- cettuale del pensiero puro. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 7. 98 La posizione gnosseologica della matematica In secondo luogo — e questa sarà la funzione specifica delle considerazioni medesime — a met- tere in luce se, anche limitatamante a tale campo conoscitivo, i giudizi matematici abbiano quel va- lore universale e necessario che Kant attribuisce loro, e in quali rapporti tale valore sia con la metageometria contemporanea. SEGR RI 0 III ELIO CAPITOLO III. Il valore del giudizio matematico. $ 10. Il valore universale e necessario del giu- dizio matematico. — Ma un’obbiezione al concetto di un mondo ipotetico della matematica, che Leibniz implicitamente e parzialmente riconosce ammetten- done l’utilità, la necessità anzi onde poter prose- guire, la troviamo nella concezione kantiana dei principii sintetici a priori, principii sintetici di cui abbiamo riconosciuta l’estrema importanza, e su cui ci siamo basati, per dimostrare l’origine non essenzialmente empirica di ogni nostra conoscenza, in quanto i principii stessi sono già in noi prece- denti qualsiasi sensazione, non soltanto, ma in certo qual modo influendo sulle sensazioni mede- sime. Abbiamo anzi osservato come questo sia, dal punto di vista idealistico della. teoria della cono- scenza, l’argomentazione su cui si deve basarsi per combattere l’empirismo in tutte le sue forme e per non cadere nello scetticismo, cui dovrebbe logica- mente giungere qualunque pensiero che si basi essenzialmente sul dato empirico per arrivare alla legge scientifica. L’obbiezione particolare che nel caso nostro (della matematica-logica) si potrebbe dedurre dalia constatazione generale dell’esistenza di tali principii sintetici a priori nella matematica, 100 La posizione gnoseologica della matematica sarebbe questa: quelle definizioni e quegli assiomi su cui il matematico costruisce man mano i proprii teoremi non sono già in noi in virtù di un presup- posto particolare a detta scienza, ma sono vere e proprie verità che esisterebbero indipendentemente dall’esistenza della matematica. Cioè se Euclide non fosse mai esistito ciò non pertanto non sarebbe mutata la definizione del triangolo, ciò non per- tanto non perderebbe di valore l’assioma, ad es., che aggiungendo uguali quantità a quantità uguali se ne otterranno di nuovo quantità uguali, e così via. Possiamo senz’altro osservare che anche ove ciò sia o non incondizionatamente vero, nulla verrebbe a risentirne l’affermazione fatta che la matematica parte da intuizioni e procede per un metodo di analogia, di sostituzione che molto spesso non ha il carattere logico, e che appunto perchè tale non può rispondere alle esigenze del nostro pensiero, tendente alla conoscenza assoluta. Per ciò potremmo pur sempre considerare la visione matematica, come una visione indubbiamente sintetica e concettuale — per quanto concettuale in modo relativo in quanto ha pur sempre bisogno di una rappresen- tazione sensibile determinata — che offre al filosofo la possibilità di mostrare come seguendo un pro- cedimento rigorosamente esatto e non empirico nelle sue linee essenziali, si possa arrivare a mera- vigliosi risultati; ma risultati che non possono in alcun modo trascendere la nostra sensibilità. La matematica in questo modo considerata può ricordarci, contrariamente a ogni scienza (altra ra- gione per cui essa deve essere separatamente trat- tata), la visione estetica dell’opera d’arte (1), ma (1) Cfr. Cap. 1, 83, pag. 28-29. Li e * coco > è [i < dé è Cap. III. - Il valore del giudizio maiematico 101 ciò non pertanto essa, per la sua necessità di lavo- rare, non già sul concetto puro, ma su di una rap- presentazione gradatamente sempre più complessa di esso (in geometria dal punto al solido), come l’arte per la preponderanza del lato sensibile, rap- presenta pur sempre un mondo che da un punto di vista logico non può rispondere alle esigenze del metafisico. Pure accettando i principii della ma- tematica come incondizionatamente veri in quanto insiti nel nostro pensiero stesso, il suo modo sarebbe pur sempre, anche ritenendo con il Fouillée che «le verità metafisiche avendo la loro espressione, per quanto incompleta, nei fatti attualmente cono- sciuti dall’esperienza, questa espressione può essere studiata e interpretata per mezzo di un metodo, che, come abbiamo veduto, non è senza qualche analogia con quello del calcolo infinitesimale » (1), sarebbe pur sempre, dicevamo, un mondo non essen- zialmente concettuale in quanto agisce su di una determinata figura specifica, come'si vede molto chiaramente nella geometria. Questa non costruisce ‘già sul concetto di triangolo genericamente preso, ma sul tale determinato triangolo, particolarità questa che porta all’esigenza della rappresentazione grafica della figura che si deve esaminare. Tale necessità di rappresentazione grafica, deve qui intendersi nello stesso modo nel quale la in- tende Kant nella « Critica » (2). Se diamo ad un filosofo il concetto di triangolo e gli diciamo di (1) A. FOUILLÉE, L’avenir de la méth. fondée sur l’ex. (1889), pag. 295. (2) Critica (ed. cit.), vol. II, pag. 214 (Metodologia trascenden- tale). Metti in relazione tale brano con quello citato nel pre- sente lavoro a pag. 82. 102 La posizione gnoseologica della matematica trovare secondo la sua maniera (1) il rapporto della somma dei suoi angoli con l’angolo retto, egli non verrà mai a capo di nulla. Potrà esaminare finchè vuole il concetto di retta, il concetto di angolo, il concetto del numero tre, « non troverà mai altre proprietà che non siano contenute in questi con- cetti ». Ma, provate un po’ a sottoporre a un mate- matico tale problema, e vedrete quanto differente sarà il suo modo di trattarlo. « Innanzi tutto egli comincerà col costruire un triangolo. Poi, sapendo che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti, prolungherà un lato del suo triangolo, ecc. », nel modo noto. Ora, noi sappiamo, pure dalla « Critica » (2), che cosa intenda Kant per costruzione di una figura geometrica, significa cioè: «rappresentare l’oggetto corrispondente a mezzo dell’immaginazione nell’ intuizione pura o anche in modo conforme a questa, sulla carta, nel- l’ intuizione empirica », bene inteso in entrambi i casi in modo del tutto indipendente da qualunque criterio sperimentale. Oggi infatti non si può più ritenere seriamente che si possa supporre che sono le figure che danno la prova nella geometria il cui errore Leibniz si preoccupavadi mettere in chiaro (3). Soltanto per un processo non sempre lecito di sostituzione analogica (4) noi possiamo dal caso (1) Ossia secondo la maniera rigorosamente razionale. (2) Ed. cit., vol. II, pag. 212. (3) Nouveaux Essais, v. alla fine del Cap. I. (4) Tale processo di sostituzione non figura, è vero, a rigor di termini nel calcolo infinitesimale, ma questo esula già in certo qual modo dal rigoroso calcolo aritmetico che non può essere considerato nella sua purezza che nel numero intero: e ciò sia detto a meno di considerare lo stesso calcolo infini- tesimale quasi core aritmetizzato riducendo l’ Infinito a un si- stema finito di disuguaglianza dei numeri interi. Cap. II1. - Il valore del giudizio matematico —103 singolo del triangolo che si sta esaminando, risa- lire all’enunciazione generica da cui siamo partiti ed estenderlo a tutte quelle figure che rispondono ai requisiti della definizione di triangolo. Ciò è nella geometria in modo forse più palese, ma ciò figura anche nell’aritmetica, nell’operazione più semplice di essa: nell’addizione. Sostenendo che: dLQZ=4Z4 î noi, prescindendo dalle considerazioni kantiane che ci dimostrano che questo concetto di 4 non ci è dato effettivamente che basandoci su di un giudizio sintetico « a priori », che nel caso che stiamo esa- minando — processo sostitutivo nella matematica — non ci interessa, noi possiamo arrivare alla somma soltanto dimostrando in antecedenza che: 1+1=2; 2+1=3; 3+1=4 in cui c'è d'altronde il processo sostitutivo. Ma appunto basandoci su tale esempio possiamo subito osservare che la dimostrazione riportata, da un punto di vista logico, è da considerarsi come dubbia: è infatti più un chiarimento, una « verifi- cation », come nota acutamente il Poincaré in un caso simile per quanto dettato da altri motivi. Ove poi noi volessimo generalizzare, compito di ogni ricerca che voglia avere carattere scientifico e com- pito precipuo della matematica, sostituendo i nu- meri con lettere, noi dovremmo per arrivare alla dimostrazione — o meglio verifica — che: xtn=y aver trovato prima, sempre, il valore di: xt+tn_-1) ciò che in pratica non si verifica, i 104 La posizione gnoseologica della matematica Basta ricordare il teorema sui numeri primi del- l’ illustre Fermat, quello stesso Fermat che Pascal considerava come il più gran geometra di Europa. Egli si era proposto di cercare una formula che «non contenendo che dei numeri primi, desse di- rettamente un numero primo maggiore di qualunque numero assegnabile » (1). Il Fermat credette di poter stabilire che tale numero primo poteva essere dato dal 2 elevato a potenza (che doveva essa pure essere una potenza del 2) più l’unità: e infatti Eulero mostrò che ciò cessa di aver luogo per la 32* po- tenza del 2 (4.294.967.297), numero praticamente più che sufficiente, ma che logicamente non può affatto autorizzare la sostituzione letterale che do- vrebbe non conoscere limiti: nello stesso modo si osserva in Leibniz (2) la più che sufficienza pratica di fermarsi al nonilione come limite dell’ infinito numerico. Il Fermat fu inoltre il primo ad ammet- tere che la sua non era una « dimostrazione » (3). . Così ad es. ove si sia mostrato che: 5H+7=12 7+5=12 | (b+7)=(7+5) in matematica veniamo senz’ altro alla conclu- sione che 2+y=y+x agendo puramente per sostituzione. Questa ha in- dubbiamente incalcolabile efficacia scientifica, nè (1) P. S. LAPLACE, Essai philosophique sur les probalités, II, pag. 86 segg. (Paris, 1921). (2) Nouv. Essais, II, 16, pag. 113 (Flammarion ed.). (3) Anche degli studi del Fermat fu fatta un’edizione com- pleta: Oeuvres de Fermat, Tannery-Henry ed. Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 105 da un punto di vista logico può essere considerata come puro e semplice arbitrio, ma certo non pos- siamo vedere in essa quello scrupolo che una mente prettamente logica potrebbe pretendere. Del tutto arbitrario il procedimento sostitutivo non è, in quanto negli esempii citati vi è indubbiamente del- l’analisi nel verificare perchè 2 + 2 —4, e della sintesi (v. Kant) nel numero 4 da noi introdotto ; ma certo il lato logico di tale procedimento è in- dizio di una logica tutta particolare della matema- tica e che non potrebbe in alcun modo estendersi al campo dell’ indagine puramente concettuale della metafisica. o $ 11. II valore convenzionale e relativo del giudizio matematico (1). — Ma ciò non basta per rispondere esaurientemente alla obbiezione che, basandoci sui principii sintetici « a priori » della matematica, secondo Kant, si potrebbe rivolgerci, in quanto che tale mondo della matematica, anche se non atto a soddisfare la nostra tendenza all’as- soluto metafisico — e in ciò, come si vede, non ci si allontanerebbe affatto da Kant, in quanto anche (1) Cenni bibliografici: RusseLL, Essai sur les fondements de la géométrie (tr. fr., Paris, Gauthier-Villars, 1901); CHasLESs, Apergu historique sur l’origine et le développement des mé- thodes en géométrie (Bruxelles, 1837); BELTRAMI, Saggio di interpretazione della geometria non euclidea (1865); BaRr- BARIN, La géomeétrie non euclidienne (Paris, Gauthier-Villars); D. M. Y. SOMMERVILLE, The Elements of now-euclidean geo- metrie (London, Bellaud Sons). Dello stesso A. di somma utilità è la: Bibliography of non- euclidean geometrie, including the theorie of parallels, the foundations of geometry and space of n dimensions (London, Harrison and Sons); Mac-LEoD, Introduction à la géométrie non euclidienne (Paris, Hermann, 1922). 106 La posizione gnoseologica della matematica per lui le verità matematiche hanno valore soltanto per la realtà sensibile e non per la vera realtà, per la cosa in sè — sarebbe pur sempre un mondo non ipotetico come viceversa abbiamo più sopra soste- nuto. Vediamo un po’ da vicino la questione che è di tale importanza da meritare il più attento esame. I giudizii sintetici « a priori » di Kant sarebbero rimasti, nel campo della matematica, incondizio- natamente dominatori, se non fossero sorti nel seno ‘stesso della matematica, obbiezioni sulla loro vali- dità universale e necessaria. Possiamo dire subito come l’importanza di questo recentissimo indirizzo matematico — la metageometria — sia stato esa- gerato non tanto dalla ricerca spassionatamente scientifica dei suoi principali esponenti, quanto dal carattere polemico di alcuni studii che senz'altro credettero di poter ravvisare in essa la tomba della dottrina kantiana dell’apriorità. Ciò è errato, e su ciò abbiamo troppo a lungo insistito per tornarci sopra: l’origine delle verità matematiche non può essere che aprioristica, nè la metageometria pre- tende di sostenere il contrario. Nè tutto in essa è nuovo di zecca. È riconosciuto che lo stesso Kant già avesse preveduto (1) la possibilità di future infinite geometrie ammissibili in astratto; forse nello stesso Aristotele (2) si riscontrano allusioni che ci potrebbero far credere all’esistenza di pen- satori che fin d’allora mettessero in dubbio il'va- lore complessivo dei principii scientifici e logici, senza esclusione nemmeno di quelli matematici. (1) Cfr. al riguardo il Commento ai Prolegomeni del Marti- netti, pag. 240, riferendosi ai Gedanken von der wahren Scatzung der lebendigen Kréafte, scritto da Kant a 22 anni. (2) Cfr. F. ENRIQUES, Il concetto della logica dimostrativa secondo Aristotele, in Riv. di Filosofia, gennaio 1918. Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 107 Malgrado queste numerose e antichissime traccie, la metageometria soltanto ai giorni nostri è venuta assumendo la sua piena espressione critica (1). E ciò non tanto per il naturale progresso proprio di ogni scienza e quindi anche della matematica, ma per una particolare evoluzione del nostro pensiero a tendere sempre più verso la logica più rigorosa. C° è nella nostra volontà conoscitiva di questi ultimi tempi una sempre più intensa esigenza che la porta ad uno scrupolo sempre maggiore nel controllare qualsiasi nozione prima di essere ammessa : verità che gli antichi accettavano senz’altro, sembrano oggi da esaminarsi con riserbo. L’intuizione va cioè man mano diminuendo d’importanza, non tanto nell’ acquisizione di nuove nozioni, quanto nell’accettazione incondizionata di esse. Non so se lo sviluppo della logica considerata come scienza a sè stante, sia più manifesto dello sviluppo di altre discipline, ma credo si possa con sicurezza affermare che anche se le inutili sotti- gliezze dei teorici della logica, non hanno raggiunto un particolare miglioramento d’espressione, questo può senza dubbio verificarsi nella sempre più ri- guardosa prudenza che lo studioso è andato acqui- stando e che lo fa rimanere dubbioso prima di poter dichiarare: sì questo è vero. Sotto questo punto di vista sembra che il pen- siero moderno si differenzi dall’antico in quanto alla affermazione di « evidenza » di questo, risponde (1) V. le opere fondamentali dei suoi fondatori: B. RIEMANN, OQuvres mathématiques (Paris, 1898), tr. fr. de L. Laugel; LOBATCHEFSKI, Pangéomeétrie ou théorie générale des paralléles suivie des opinions de D’Alembert sur le méme sujet et d’une discussion sur la ligne droite entre Fourier et Monge (tr. fr., Paris, Gauthier-Villars). 108 La posizione gnoseologica della matematica con maggior calma: adagio, prima ragioniamo, vediamo se tutte le strade sono state tentate e se nulla possiamo aggiungere a quelle già battute; cerchiamo di vedere, se non altro; se non possiamo ammettere in alcun caso l’ipotesi contraria. In questa posizione rispettiva dei due pensieri il moderno ha naturalmente una grande prevalenza, non soltanto iniziale, sull’altro. Ciò per due ragioni: in primo luogo in quanto anche se l’ipotesi contraria non può essere sostenibile, non per questo possiamo contare: con sicurezza su quella primiera, tranne nel caso che l’ipotesi in questione sia veramente dilemmatica, il che non sempre è: l’ idealismo tra- scendentale ci offre in filosofia un esempio chiaris- simo di tale supposizione dilemmatica. Segnata- mente Fichte e Schelling credettero di poter vedere soltanto una via alla soluzione della cosa in sè: far derivare il mondo esterno dal soggetto; ciò che li portò molto, troppo lontani nelle conseguenze. In secondo luogo, in quanto il pensiero moderno può basarsi su quell’esperienza millenaria che ha potuto sempre maggiormente porre in luce che altre verità intuitive ritenute per secoli evidenti e indi- mostrabili, sono state col tempo dimostrate o, peggio, sono col tempo cadute. Su tali più solide basi la metageometria è venuta a formare, oggi, una nuova scienza, che, in quanto « scienza », possiamo ancora considerare agli inizii e in cui figurano perciò gravi lacune che non sa- ranno facili a colmare; ma essa ha pur sempre portato notevole contributo alla questione. della apriorità del principio e del valore del giudizio matematico fornendo a questa nuovi elementi e fissandone i limiti. La metageometria si limita soltanto a sostenere Cap. 1II. - Il valore del giudizio matematico 109 il carattere puramente convenzionale del. mondo geometrico euclideo: la geometria euclidea è stata da noi «scelta» unicamente perchè essa è per noi la più vantaggiosa, ed anche — la metageometria lo riconosce — la più vicina alla nostra naturale intuizione spaziale. Il Poincaré sostiene nettamente che la geometria euclidea è e sarà sempre « la plus commode », intendendo appunto con tale espres- sione di stabilire che essa è la più vicina alla nostra diretta sensibilità spaziale. Essa infatti è la più semplice non già soltanto in seguito alla nostra abitudine « ou de je ne sais quelle intuition directe de l’espace euclidien », ma anche in se stessa con- siderata, nello stesso modo e per le stesse ragioni per le quali un polinomio di 1° grado è più sem- plice di un polinomio di 2° grado, e così via. Inoltre, continua il Poincaré, la geometria euclidea « si ac- corda assai bene con le proprietà dei solidi natu- rali » di cui ci serviamo Der fare i nostri strumenti di misura (1). La metageometria si ciarda bene, così stando le cose, dall’affermare che per questo i giudizii mate- . matici verrebbero ad avere un’origine sperimentale, empirica. La indipendenza della matematica dalla esperienza viene anzi ripetutamente affermata, esplicitamente o non, da tutti i migliori rappre- sentanti di tale indirizzo geometrico-critico; ma . anche ove l’affermazione categorica mancasse, essa sarebbe pur sempre la conseguenza indispensabile della tesi metageometrica del non poter essere con- siderato. lo spazio come fattore sperimentale, come vedremo trattando della terza dimensione. (1) H. PoIiNcaRÉ, La Science et l’ Hypothese, pag. 67. 110 La posizione gnoseologica della matematica — — —r———-_———_ ——__ "——_——————___—_————rm———————————————@——@——@—————t———————————@———@@@t—+——@ La metageometria segna così un nuovo elemento a favore della dottrina idealistica: più specificata- mente, per quanto riguarda il punto fondamentale che interessa all’idealismo in questo argomento, il punto in cui Kant si solleva decisamente sul- l’empirismo di Hume, possiamo dire che essa segna una specie di prova, di controllo a favore di Kant precisamente contro Hume. Si sa come Kant rim- proveri a Hume di aver attribuito al giudizio mate- matico un carattere esclusivamente analitico; ma ciò — più che da un’errata interpretazione di Kant al riguardo — dipende dall’aver Kant voluto attri- buire a Hume la propria terminologia. Hume pone infatti la matematica nella conoscenza dimostrativa (copia d’impressioni), in quella conoscenza cioè che è basata nella filosofia dell’empirico scozzese sul principio di « somiglianza e contrasto ». Questo ci dà, sempre secondo Hume, una certa sicurezza conoscitiva, ma questa sicurezza è quanto mai mo- desta: si limita in fondo a dirci che noi possiamo venire a sapere se una cosa è uguale o differente da un’ altra. Ma tale principio di somiglianza e contrasto è in fondo il vecchio principio di con- traddizione: ora, il principio di contraddizione è da Kant posto a base dei giudizii analitici: esso figura, è vero, anche nei giudizii sintetici; ma allora non è più solo; vi si trova con il principio di causa, ecc. Escluso il principio di causa da Hume, o meglio ridotto esso ad una pura e semplice suc- cessione temporale, ne viene che la conoscenza dimostrativa, e quindi la matematica che è posta in essa, poggia soltanto sul principio di somiglianza e contrasto. Quindi secondo la terminologia kan- tiana i giudizii di essa non potevano essere che Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 111 analitici nella dottrina di Hume (1). Questi in ogni modo, indipendentemente dal carattere sintetico o analitico delle proporzioni matematiche, venne im- plicitamente a porre sull’esperienza, il fondamento delle proporzioni medesime; concezione che pos- siamo d’altra parte trovare in diversi altri pensa- tori, come ad es. in Wolff e discepoli. Soltanto, viene molto naturale osservare a questo proposito come, riconoscendo l’apriorità dei prin- cipii della matematica, ma attribuendo a tale aprio- rità valore puramente e semplicemente convenzio- nale, si viene ad ammettere il punto di partenza della dottrina kantiana, ma a negarne le conse- guenze, a negare cioè che i principii stessi abbiano valore universale e necessario. In altre parole la natura delle scienze matematiche viene ad essere notevolmente modificata non già nella natura non sperimentale dei suoi punti di partenza, ma nelle ‘ conclusioni. Intendiamoci bene: Kant non si è mai stancato di ripetere, nè diversamente poteva essere dato il suo realismo gnoseologico, che le verità matema- tiche non potevano riguardare che la realtà sen- sibile. Ove a Kant si fosse obbiettato che con (1) Non sono quindi in tutto del parere di Martinetti che trova in Kant un’errata interpretazione di Hume al riguardo (cfr. il suo Commento ai Prolegomeni, pag. 215). Non è che Kant attribuisca a Hume di avere scritto in qualche parte che il metodo matematico consiste «in un’analisi pura e semplice di concetti», ma soltanto per l’identificazione del principio humiano della «somiglianza e contrasto » con il principio di contraddizione, e per aver posto esclusivamente questo stesso principio (escludendone la causalità) a base di quella conoscenza dimostrativa della quale fa parte, nella dottrina di Hume, la matematica, la quale veniva così di conseguenza ad esser, in linguaggio kantiano, analitica. 112 La posizione gnoseologica della matematica modificazioni adatte del mondo ambiente — in quelle diverse ipotesi che si potrebbero prospet- tare in merito e che sono, indubbiamente molto numerose — il soggetto conoscente sarebbe addi- venuto ad un'intuizione spaziale in cui la geo- metria euclidea non sarebbe forse stata concepita neppure come ipotesi possibile in astratto, Kant avrebbe con tutta tranquillità potuto rispondere ch’egli si interessava soltanto di questo nostro mondo e che sarebbe opera da sognatore l’aspi- rare alla realtà assoluta; ma, egli avrebbe ag- giunto, dato questo nostro mondo, i giudizii ma- tematici sono insindacabili ed hanno valore universale e necessario : anche se in avvenire noi potremo arrivare a immaginare non una, ma mille geometrie diverse dalla euclidea, questa sol- tanto potrà rispondere alle nostre esigenze col "darci nozioni tali da permettere la necessità e l’universalità dei nostri giudizii, perchè soltanto l’ euclidea può essere la nostra geometria per l'identità della sua con la nostra naturale intui- zione dello spazio (1). | L’idealismo più rigoroso posto di fronte a tale questione, non modificherebbe gran che la risposta di Kant. Per conto mio, ove ritenessi di potere accettare incondizionatamente i principii sintetici «a priori » della matematica e quindi la necessità e universalità dei suoi giudizii, credo si potrebbe osservare che, senza dubbio per ragioni differenti. da quelle realistiche cui tiene fermo Kant, si do- vrebbe arrivare alla stessa conclusione che il (1) Svolgeremo tale argomento particolare più innanzi trat- tando della III dimensione dello spazio. (Capitolo IV di questo libro). Y Cap. III. -"Il valore del giudizio matematico 113 valore del giudizio matematico (come abbiamo già accennato nel cap. II) non può andare al di là della realtà sensibile, in quanto basato su quelle che sono appunto le forme indispensabili della conoscenza sensibile — tempo e spazio — ma che soltanto limitatamente ad essa hanno ra- gione di essere. Evidentemente qualunque verità assoluta o che tende all’assoluto non può che prescindere da tutto quanto può avere attinenza col senso e quindi essere del tutto indipendente dal tempo e dallo spazio, risultato che può essere conseguito soltanto basandosi: sulla pura forma della razionalità: la logica. Perciò ove potessi ammettere incondizionata- mente la validità dei giudizii sintetici «a priori », verrei alla conclusione che la matematica corri- sponde in certo qual modo nella conoscenza sen- sibile a quello che è la logica nella conoscenza razionale: il tempo e lo spazio, che sono partico- larmente proprii della aritmetica e della geometria, hanno nella conoscenza sensibile la stessa funzione che hanno nella conoscenza razionale la contrad- dizione e l’ identità (1), che sono particolarmente proprie della logica. La relazione non deve naturalmente esser presa alla lettera in quanto da quello che precede ab- biamo veduto (2) che la logica influenza ogni disciplina e segnatamente la matematica, e che questa ci dà nuove nozioni, cosa che la logica non può mai fare; ma la relazione stessa può a grandi linee essere posta come sopra in modo (1) Cfr. Cap. I alla fine del 8 2, pag. 23. (2) Cap. II, pag. 91. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 8. 114 La posizione gnoseologica della matematica quasi proporzionale, e cioè: la matematica sta | alla conoscenza sensibile come la logica sta alla conoscenza razionale. $ 12. Concezione intermedia del valore del giudizio matematico. — Tutto ciò però accettando incondizionatamente i principii sintetici «a priori» della matematica come fossero parte essenziale, insita nel nostro intelletto; come essi fossero tutti e del tutto estranei a qualunque supposizione provvisoria. Ora, a tale proposito mi sembra che la via mediana possa considerarsi quella più rispondente alla verità. Escludendo, come abbiamo accennato e come svolgeremo meglio nel cap. IV, quello che molti vorrebbero (Helmholtz), e cioè che la metageo- metria abbia senz’altro annullato il valore della dottrina kantiana sull’ argomento, non ci pare possa senz'altro concludersi che la dottrina kan- tiana esca intatta dall’arduo cimento, per lo meno per quanto riguarda i particolari. In ogni modo, indipendentemente dalla metageometria e senza per nulla diminuire l’ importanza dei principii matematici, noi abbiamo già veduto come Leibniz considerasse implicitamente ipotetica la posizione di detti principii: come anzi plaudesse a tale me- todo come all’unico che partendo da poche pre- messe, non certo in contraddizione con la nostra ragione anche se non del tutto innate in essa, sia arrivato a quelle mirabili ed efficacissime costru- zioni che tutti sanno: qualunque possa essere la nostra opinione sulla matematica dal punto di vista gnoseologico, noi la consideriamo sempre — per dirla col Paulsen, che così interpreta il Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 116 pensiero kantiano — « la più sicura e meno oscil- lante delle scienze » (1). La metageometria ha portato cioè per il filosofo una rivoluzione molto meno profonda di quello che possa sembrare a prima vista. Ora è precisa- mente da un punto di vista essenzialmente filo- sofico che mi pare si potrebbe arrivare a conclu- dere che se è vera l’apriorità del principio e l’ intuizionismo del procedimento matematico, è soltanto parzialmente vero che i suoi assiomi siano già in noi quasi quali principii innati. È cioè necessario distinguere in tali assiomi: alcuni sono effettivamente insindacabili, generali e di essi noi non possiamo nemmeno concepire il con- trario, ed essi sarebbero sempre, indipendentemente dall’ambiente e dalle circostanze. Su tali principii, evidentemente non proprii soltanto dell’apriorità inatematica, questa scienza ha avuto pur sempre il merito — e Kant di porlo in rilievo — di ap- poggiarsi in modo più rigoroso che qualunque altra. Per questa ragione la matematica non può essere posta in dubbio da alcuno e per tale ra- gione mi è sembrato. possibile considerarla come la più alta espressione della conoscenza sensibile. Ma è bene specificare che cosa s’ intenda per evidenza. Per evidente mi sembra non si debba poter intendere altro che una proposizione il cui contrario è inconcepibile, non già nel senso che il Richard (2) vuole attribuire al significato di (1) F. PauLSEN, Kant (tr. it.), pag. 131. (2) Op. cit., pag. 91-92. Lo stesso inconveniente trovasi in CoururaT, Les principes des mathématiques (in Revue de Math., 1904, pag. 24). Anche per il Couturat la parola «a evi- dente » ha un campo d'azione puramente soggettivo e psicolo- 116 La posizione gnoseologica della matematica tale parola in Descartes, in quanto per evidente non mi sembra affatto possa intendersi mai qualche cosa di subbiettivo e che si possa comunque inter- pretare che Descartes in tal modo l’intenda: un tale non può convincermi che per lui è eviden- tissimo che A + B sia minore di A. Vi è quindi un’ evidenza perfettamente obbiettiva anche nei principii fondamentali. È cioè per tutti noi incon- cepibile che A + B sia minore di 4; ma anche qui dobbiamo andare guardinghi. Non dobbiamo cioè non distinguere, come ci fa osservare il Masci (1), l’inconcepibilità con « altri stadi men- tali che potrebbero confondersi con essa, cioè con l’incredibilità e con l’impossibilità di rap- | presentarsi una qualche cosa ». L’inconcepibile è — mi si passi la parola — più che l’incredi- bile che è soltanto « ciò che è contrario all’espe- rienza e alle sue leggi ». Così per ripetere l’esempio del Masci, noi non potremmo oggi credere « che un. proiettile dall’ Inghilterra vada a cadere in Giappone » ma la cosa non è affatto inconcepibile. Aggiungerò per conto mio che da un punto di vista gnoseologico l’inconcepibilità è assoluta, mentre l’incredibilità è relativa. gico e perciò estraneo alla logica. Questa è nel Couturat una semplice allusione buttata là senza importanza, quasi come ve- rità ormai fuori discussione ; essa eserciterà invece un’influenza non trascurabile sul successivo svolgersi dei suoi Principes in quanto l’evidenza del principio «a priori» — evidenza consi- derata obbiettivamente — non potrà essergli certo di ostacolo nel venire a considerare, più o meno esplicitamente, come con- venzionali quei principii fondamentali della matematica, posti come indimostrabili, e dai quali dovranno dedursi le altre verità di tale scienza. (4) F. Masci, Pensiero e Conoscenza, pag. 83 (Torino, 1922). Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 117 Meno interessante è per il nostro particolare punto di vista la distinzione fra inconcepibilità e impossibilità di rappresentare per la quale riman- diamo il lettore all’opera citata (pag. 33). Chiarito così il significato della parola inconce- pibilità ci sarà facile comprendere come l’evidenza in genere può essere effetto di una dimostrazione e sarà allora la rigorosa deduzione da una verità nota di una nuova verità: di tale evidenza non è questione trattando dei principii fondamentali « a priori »; oppure potrà essere un’evidenza im- plicita in una proposizione nel suo stesso enun- ciarsi ed allora dovrà avere la stessa obbiettività e la stessa universalità di qualunque proposi- zione dimostrata. Sono questi gli assiomi propria- mente detti. Ma vi sono però altri principii posti come indi- mostrabili dalla matematica, che non sono insiti di per se stessi nel nostro intelletto, che non sono incondizionatamente veri, ma che la mate- matica ha soltanto ipostasizzato per potere effica- cemente proseguire. (Questi principii sono stati dalla matematica stessa soltanto provvisoriamente posti come indimostrabili, e prova ne sia che in tutti i tempi si possono riscontrare nobili fatiche di matematici — sforzi coronati di frequente da felice risultato — tendenti a dimostrare precedenti proposizioni assunte come evidenti. Lo stesso po- stulato famoso di Euclide: « per un punto sì può far passare una parallela a una retta data e una soltanto », è stato oggetto di queste indagini, e malgrado l’ insuccesso di questi tentativi, in questo caso particolare, è pur sempre degno di nota come il bisogno del nostro pensiero di una sempre mag- giore sicurezza conoscitiva si sia spinto fino al 118 La posizione gnoseologica della matematica presupposto tipico della massima parte delle pro- posizioni della nostra geometria. È nota la pole- mica intorno a questo postulato (il quinto) (1) di Euclide. (4) Figura in alcune opere come l’XI assioma. Come tale è considerato ad es. dal Masci, Pensiero e Conoscenza (Torino, 1922) a pag. 184. È però ora ritenuto ‘dalla totalità dei matematici come il V postulato. La precisa formulazione di questo postulato non è quella sopra enunciata, ma bensì quella scritta alla fine di questa nota. L’identificazione del V postu- lato come fu enunciato da Euclide con quello sopra citato (detto propriamente postulato « delle parallele ») risulta evidente met- tendo in relazione il V postulato propriamente detto, con la definizione di rette parallele (33 degli Elementi). Interessante è ciò che dice lo ZEUTHEN: Histoire des Mathé- matiques dans l’antiquité et le moyen age (tr. fr., Paris, 1902), pag. 98: «Les constructions qui doivent servir à com- poser toutes les autres, d’aprés ces postulats (quelli di Euclide) sont celles qui on exécute pratiquement avec la règle et le compas, mais on se tromperait cependant si l’on voulait envi- sager les postulats à cet unique point de vue: entre autres faits, les deux derniers postulats ne seraient point alors à leur vraie place, et c’est la raison méme, qui, de très bonne heure déjà, fit commettre à des èditeurs la faute qui consiste d ranger ces postulats parmi les arxiomes 1. Per meglio intenderci su questo punto e su altri che even- tualmente potessero in seguito presentarsi al nostro esame, ri- cordo qui gli assiomi e i postulati di Euclide (I libro) secondo la classica edizione curata da Heiberg: Euclidis opera omnia, (J. L. Heiberg, Leipzig, 1883-1905). Assiomi: I. Le grandezze uguali ad una stessa grandezza sono uguali fra loro; II. Se a grandezze uguali si aggiungono grandezze uguali, si hanno risultati uguali; III. Se da grandezze uguali si sottraggono grandezze uguali si hanno risultati uguali; IV. Il tutto è maggiore di una sua parte; V. Le grandezze che coincidono sono uguali. Postulati: I. Fra due punti si può sempre tirare una retta; II. Un segmento di retta si può prolungare all'infinito tanto dall’una quanto dall’altra parte; III. Si può sempre descrivere una circonferenza che passi per un punto dato e avente per Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 119 È desso la colonna della geometria euclidea (per lo meno dopo il 29° teorema), ma ne è anche il suo tallone d’Achille. Proclo ci riferisce degli sforzi fatti dagli antichi per la dimostrazione di esso: egli medesimo ce ne dà un saggio perso- nale giudicato d’altronde dai competenti come molto modesto. Lo stesso dicasi degli Arabi. Indi- pendentemente da ogni altra considerazione, è certo quanto mai significativo il fatto che mai come intorno al postulato delle parallele si siano sbizzarriti i più significativi ingegni matematici di tutti i tempi e che soltanto ai giorni nostri può considerarsi chiusa la polemica intorno alla sua dimostrabilità per le recenti affermazioni della metageometria e per gl’infruttuosi tentativi di dimostrazioni del Gauss (1811) (1) influenzati alla loro volta dalle diligenti indagini che quasi un secolo prima erano state portate a rinnovato lustro — furono in ogni tempo fatti tentativi al riguardo — nelle fatiche di Legendre, di Wallis e di Sac- cheri (2). centro un punto dato; IV. Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro; V. Se una linea retta, che ne taglia altre due, forma dallo stesso lato degli angoli interni la cui somma sia minore di due retti, le due ultime linee citate si taglieranno sui loro prolungamenti dalla parte nella quale la somma degli angoli è inferiore a due retti. (1) G. B. HaLsTED, Gauss and the non euclidean geometry (in Science, 1900). (2) La bibliografia sul V postulato basterebbe da sola a riem- pire un volume: accenno soltanto a qualcuna nel caso il lettore voglia approfondire questo argomento particolare : I.H. LAMBERT, Theorie der Parallellinien (in Magaz. f. d. reine u. angew.. Math.), Leipzig, 1786; ENGEL UND STAECKEL, Theorie der Pa- rallellinien von Euclid his auf Gauss; D. HILBERT, Grund- lagen der Geometrie (III ed., Leipzig, 1909); LORIA, Il pas- 120 La posizione gnoseologioa della matematica Per quanto riguarda specificatamente quest’ul- timo, l’importanza della sua opera di studioso in merito al postulato delle parallele non potrebbe essere esagerata. In tali tentativi di dimostrazione Young, Vailati, Segre, Enriques vedono nettamente i segni precursori della metageometria moderna. Lo Young non pecca al riguardo di una soverchia precisione cronologica, in quanto l’avere lo scritto più importante del Saccheri veduto la luce il 1733 (l’anno stesso della morte del ‘suo A.) non può evidentemente significare che il gesuita italiano ebbe a svolgere la sua attività di studioso intorno al 1733: a meno che proprio soltanto gli ultimi mesi di sua vita il nostro matematico si sia messo a lavorare; ma di tale particolare non parla, ch’ io sappia, alcuna cronaca del tempo, nè alcuno studio di poi. Fatto sta ed è che un’altra operetta del Sac- cheri fu pubblicata a Torino nel 1697 con il titolo di « Logica demonstrativa » (1). Più importante ad ogni modo per noi e, credo, per tutti, è il suo « Euclides ab omni naevo vin- dicatus » (2). In questo libro il tentativo di dimo- sato e il presente delle principali teorie geometriche ; R. Bo- NOLA, La geometria non euclidea, Esposizione storico-critica del suo sviluppo (Bologna, 1906); RicHaRD, Sur la philosophie des mathématiques (Chap. III); L. Roucier, La philosophie géom. de H. Poincaré (Chap. II, II); ZEUTHEN, Hist. d. mante: matiques (tr. fr.), pag. 110-114. (1) Una copia di tale edizione esiste tuttora — ci rende noto I’ Enriques — nella Biblioteca Vittorio Emanuele in Roma. No- tizie particolari su la Zogica demonstrativa potrai trovare in un articolo del Vailati (in Rivista di filosofia, 1903, n. 4), ri- stampata in Scritti, pag. 477 segg. (2) Tradotto in italiano dal Boccardini con il titolo di: Euclide emendato (Milano, Hoepli, 1904). Il titolo preciso e completo dell’opera originaria è : Euclides ab omni naevo vindicatus: Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 191 strazione del V postulato è, per la prima volta, fatto con quel procedimento — d’altra parte già adottato dallo stesso Saccheri nella sua « Logica» — della reductio ad absurdum. Ricordiamo tutti in che cosa consista: porre in luce che il non ammettere la proposizione che si deve dimostrare vera, ci porterebbe ad una contraddizione con una proposizione precedentemente riconosciuta vera. È un procedimento come si vede che si riconnette con il principio di contraddizione e perciò incon- dizionatamente accettato dai matematici di tutti i tempi (una traccia di esso troviamo già in Eu- ‘ clide, IX, 12) e perciò molto spesso adottato dai filosofi — Socrate ne usava volentieri — ma che, malgrado tutti i suoi pregi indiscutibili e la sua azione sicura nel mettere l’ipotetico avversario con le spalle al muro, lascia nel logico che lo adopera un senso di relativa soddisfazione. Pro- cedimento ricco di risultati d'altronde : attenendosi ad esso il Lobatchefski arrivò alle sue meravi- gliose costruzioni di geometria non euclidea (1). È d’altronde risaputo che sempre si sentì il bisogno di marcare la differenza fra assiomi e po- stulati: Euclide stesso con il darcene due elenchi nettamente distinti e separati. Le differenze di tale distinzione dipendono soltanto dalla diversità ‘ del punto di vista sotto il quale i principii mede- simi vengono considerati. sive conatus geomeiricus quo stabiliantur prima ipsa uni- versae geometriae principia (Milano, 1733). (1) N. S. LOBATCHEFSKI, Pangéomeétrie ou Théorie générale des paralleéles, suivie des opinions de D° Alembert sur le méme sujet et d’une discussion sur la ligne droite entre Fourier et Monge (Paris, Gauthier-Villars). Cfr. pure F. EngEL, U. I. Lo- bachefsky: Zwei geometriche Abhandlungen (Leipzig, 1898). 129 La posizione gnoseologica della matematica Fra tali caratteri differenziali il più semplice e il più convincente per noi, per quanto non bene accetto in generale ai matematici in causa della sua non precisa determinazione tecnica, è quello dell’evidenza, maggiore negli assiomi che nei po- stulati. Si è già accennato come invece l’evidenza può essere un criterio di per se stesso sufficien- temente rigoroso. Sotto tale aspetto troviamo già in Proclo una distinzione fra gli assiomi e i po- stulati; ma su di essa nori possiamo basarci perchè altre distinzioni seguono nello stesso storico ma- tematico per la classificazione dei principii fonda- mentali in assiomi e postulati. Chi voglia su questo punto maggiori schiarimenti può consultare l’espo- sizione del Vailati al III Congresso internazionale di matematica (Heidelberg, 1904) (1). Io mi fermo al criterio di maggiore o minore evidenza perchè esso mi sembra il più rispondente al nostro punto di vista. Considerando l’evidenza secondo fu sopra esposto, non possono nascere equivoci intorno alla sua interpretazione: l’incon- cepibilità del contrario e il carattere assoluto di essa è proprio degli assiomi; l’incredibilità del contrario e il carattere relativo di essa è proprio dei postulati. (1) Oppure in Scritti, pag. 547-552 (CXXII. — Intorno al significato della differenza fra gli assiomi e î postulati nella geometria greca). Cfr. inoltre: ZEUTHEN, Historie des mathe- matiques (tr. fr., pag. 92-114); ENRIQUES, Per la storia della logica(pag.19-30); Loria, Le scienze esatte nell'antica Grecia (Milano, Hoepli); Guida allo studio d. storia d. mat. (Milano, 1916); CANTON, Geschichte der mathematik, I (Leipzig, 1880); Simon, Geschichte der mathem. im altertum (Berlin, 1909) ; MILHAUD, Les philosophes géométres de la Greéce (Paris, 1900); HouEeLr, Essai critique sur les principes fondamentaux de la géometrie (Paris, I ed., 1867). Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 193 Appunto il carattere relativo e condizionato di questi ultimi può permetterci dei dubbii sulla loro apriorità (in senso kantiano) e spiega quella con- venzionalità parziale che noi troveremo in essi e in certo qual modo potrà giustificare quella con- venzionalità totale che non pochi matematici mo- . derni — e non certo fra i meno illustri — crede- ranno di potere incondizionatamente affermare nei principii fondamentali della matematica. Come si vede la mia tesi di una parziale con- . venzionalità di alcuni principii fondamentali è quanto mai limitata. Essa differisce profondamente da quella di Locke, al quale a ragione il Leibniz rimprovera di supporre che gli assiomi stessi siano stati ammessi così, quasi senz’alcun fondamento, quasi «gratuitamente ». Certo anche quei principii che abbiamo considerato come effettivamente in- nati, non si sono presentati al nostro spirito originariamente nella loro precisa formulazione scientifica; ma ciò non toglie nulla alla loro chia- rezza: è anzi sommamente lodevole che alla pre- cisa espressione loro si sia addivenuti. Soltanto, l’obbiezione di Filalete a Teofilo (« Non è forse dannoso autorizzare supposizioni sotto il pretesto di assiomi? ») (1) mantiene, malgrado la risposta di Teofilo, la sua ragione di essere. Una parte di tali principii conserva la sua ipostasizzazione con- venzionale, la quale non puf, essere giustificata, come fa in fondo Leibniz*- «non ricorrendo al suo carattere utilitario prov $° * ;g: nè i matema- tici moderni si comportano ‘15° ssrmente. Per precisare meglio in b®‘& quanto sopra: fanno parte della prima categéria di tali proposi- (1) LeIBNIZ, Nouv. Ess., IV, cap. 12. 124 È. La posizione gnoseologica della matematica zioni (cioè principii spogli di qualunque carattere ipotetico) verità come queste: A= A ra a <A e così via. Verità che, come si vede, sono tali da ricordarci la frase di Platone nel Teeteto: « nem- meno in sogno hai osato sussurrare a te stesso che il dispari è pari », e quanto Pascal ebbe a dirci consigliandoci « di non accingerci nemmeno a tentare di dimostrare alcuna cosa che sia tal- mente evidente per. se stessa che nulla vi sia di più chiaro per poterla dimostrare e provare ». Fanno parte della seconda categoria (in cui è insito cioè un carattere ipotetico) alcuni di quei principii che sono proprii particolarmente della geometria, come ad esempio: « Per due punti dello spazio può sempre pas- sare una retta data e una soltanto »; « La retta è il più breve spazio fra 2 punti » ; principio questo ad es. che pare già lo stesso Archimede non considerasse altro che un’assun- zione, un’ammissione (\apBavépeva) (1). Kant stesso si accorse che una differenza fonda- mentale esisteva fra le due categorie di giudizii da noi citati. Soltanto, preoccupato di vedere ogni (4) Archimedis opera smnia cum commentariis Eutocii. Ed. Heiberg, 19410, Lipsia. (Cfr. in ENRIQUES, Per la storia della logica, pag. 25, 26). L’egizione inglese sul testo di Heiberg fu curata da T. L. HEAT, Th thirteen books of Euclid's Elements, translated from the text of Heiberg with Introduction and Commentary (3 vols., Cambridge, 1908). Vedi pure a cura dello stesso Heat: The Works of Archimedis (Cambridge, 1897). Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 195 differenza fondamentale dei giudizii in genere nel loro carattere sintetico o analitico, venne senz'altro a fissare la differente natura fra le due categorie di giudizii da noi accennati, all’essere quelli della . prima categoria (4= A ecc.) « analitici », venendo così ad escludere precisamente quei principii che pur non essendo proprii soltanto della matematica, ad essi portano indubbiamente grande vantaggio per quanto ha attinenza alla incondizionata obbiet- tività dei suoi assiomi. Giudizii simili a quelli da noi posti nella prima categoria apparterrebbero infatti, secondo Kant, a quel « piccolo numero di giudizii supposti dai geometri » che sono contra- riamente ai noti esempii da lui precedentemente esaminati, « realmente analitici ed hanno la loro base sul principio di contraddizione » (1). $ 13. L’essere e il dover essere della mate- matica. — Non è qui il caso di discutere l’oppor- tunità o meno del criterio generale cui Kant si è attenuto nella divisione dei giudizii in sintetici ed analitici. Innanzi tutto le nostre considerazioni in merito non potrebbero che molto indirettamente aver relazione con quanto andiamo trattando: in secondo luogo confesso di non essere mai riuscito (1) Kr. r. Ver. (tr. fr.), Introduzione. Cfr. pure Prolego- meni (tr. it.), $ 2, nonchè i $$ 36-37 della Logik (Jasche ed.). Senza alcun riferimento al significato delle parole analitico e sintetico nella dottrina kantiana, ma interessanti nei riguardi del carattere analitico o sintetico del giudizio matematico sono _ 4 due studii seguenti: GERGONNE, De l’analyse et’ de la syn- thèse dans les sciences mathématiques in Annales des mathé- matiques, VII, pag. 345 segg.; P. BouTRoux, En quel sens la recerche scientifique est-elle une analyse ? negli Atti del Con- gresso di Filosofia di Bologna nel 1911, nonchè cenni nel fa- moso libro dello ZEUTHEN, Hist. des math. (tr. fr.), pag. 93. 126 La posizione gnoseologica della matematica a comprendere l’ importanza delle polemiche sol- levate al riguardo, dato che, in ultima analisi, qualunque giudizio presuppone pur sempre una sintesi. | Possiamo tuttavia con il Franchi osservare come il primo di questi giudizii che abbiamo creduto di far rientrare in una prima categoria (A = 4), che Kant pretende di poter ritenere senz'altro come analitico, non lo sia affatto, ma sia invece puro e semplice giudizio d’identità. « Or come mai c'entra qui l’analisi? » — si domanda il Franchi (1) — il quale poco appresso conclude: « Quel prin- cipio è adunque un giudizio identico e non ana- litico. Nè piglia valore comparativo dalla nozione di eguaglianza che v’è inclusa, poichè quell’eguale significa propriamente identico; l’identità assoluta come relazione proveniente dalla sola replica di uno stesso concetto, non ha a che fare con la: relazione che costituisce un giudizio comparativo e che consiste nel paragonare il grado di conve- nienza di una proprietà medesima a più subietti, o di più’ proprietà a un medesimo subietto ». Nè in modo molto diverso potremmo ragionare per quanto riguarda il secondo principio esem- plificativo di questa stessa categoria di giudizii 7 < A, oppure per prendere proprio quello scelto da Kant: (4'+ B)> A (2). Qui la comparazione (1) A. FRANCHI, La teorica del giudizio, v. I, lettera VII, pag. 41 segg. (1870). ° (2) In questo caso l’obbiezione del Couturat, essere tale prin- cipio vero soltanto nei riguardi dei numeri finiti, ma errato, come ebbe a dimostrare il Whithehead, per i numeri cardinali infiniti non ha alcuna ragione di essere, trattandosi qui di un Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 127 indubbiamente esiste, ma non potremmo conclu- dere però se il giudizio, anche scrupolosamente attenendoci al criterio kantiano, sia più analitico che sintetico o viceversa. E basti questa osservazione incidentale sul ca- rattere analitico o non di un tale determinato giu- dizio. A noi importa però mettere in particolare rilievo come la prima categoria di tali giudizii, che — abbiamo considerati come effettivamente innati e in- condizionatamente evidenti, non siano però proprii esclusivamente della geometria, ma bensì di ogni nostra attività intellettiva. Essi possono tutto al più, aggiungiamo noi, avere una più rigorosa espressione e una più vasta applicazione nella ma- tematica che in qualsiasi altra scienza particolare, in quanto appunto essa deve considerarsi come la scienza omogeneamente costituita ed organica che abbia la sua sfera d’azione in un campo non em- pirico, e perciò, come si è veduto, più vicina alla logica. A tale conclusione ha potuto logicamente arrivare soltanto l’idealismo, ma ciò è stato, im- plicitamente od esplicitamente, riconosciuto anche principio generale, non già applicato specificatamente alla ma- tematica. Come d’altronde fa anche Kant, che in fondo avrebbe potuto cavarsela con onore anche senza la benevolenza del Cou- turat (in Revue de métaphysique, 1904: La philosophie des mathématiques de Kant, pag. 346), secondo il quale: « on ne peut reprocher à Kant d’avoir ignoré ces vérités, si élémen- taires -qu’elles soient aujourd’hui ». Infatti nessun significato ‘ può avere la constatazione del Whithehead e l’osservazione del Couturat se non condizionatamente al ristretto campo, dirò, tecnico della matematica. Il numero cardinale infinito non può essere in alcun modo afferrabile non soltanto dalla sensibilità umana, ma nemmeno dal pensiero puro: esso non è che una artificiosa creazione non altrimenti identificabile che per neces- sità di calcolo esclusivamente matematico, 188 La posizione gnoseologica della matematica dal pensiero positivico. Il Comte in fondo deve ciò ammettere implicitamente, per essere coerente con la sua convinzione essere la matematica « la scienza più antica e più perfetta » (1). Anzi il suo entusiasmo per la matematica è andato tanto oltre che, per mantenersi, almeno apparentemente, fe- dele al suo principio positivistico e non intaccare la validità delle proposizioni matematiche, ha tro- vato opportuno introdurre in tale disciplina una divisione in matematica « concreta » (avente carat- tere sperimentale, fisico) e matematica « astratta » (di natura essenzialmente logica). Quanto si è detto fino ad ora ci dispensa dal mostrare come tale di- stinzione sia del tutto personale e arbitraria e quanto tutte e due le affermazioni, anche prese a sè stanti, siano secondo noi fondamentalmente er- rate, in quanto appunto si è sostenuto non essere mai la matematica nè direttamente sperimentale, nè puramente logica. . Ho creduto opportuno di riportare tali osserva- zioni del Comte in quanto esse mostrano pur sempre come in qualunque indirizzo del pensiero filosofico si sia veduta la necessità di considerare la mate- matica pura come la scienza più vicina alla lo- gica. Naturalmente questa affermazione deve es- sere presa con quella prudenza cui ci dà diritto di aspirare quanto siamo andati svolgendo nel cap. II sul carattere prevalentemente intuitivo del procedimento matematico ; ma l’affermazione stessa ci allontana alquanto da Kant dato che non pos- siamo accettare la distinzione ch’egli viene impli- citamente ad ammettere intorno al valore di questi giudizii che egli chiama « analitici » per quello che (1) Philosophie positive, 1, cap. III. Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 129 riguarda la matematica. Kant cioè dicendoci che queste verità (A = A4ecc.) non servono « come proposizioni identiche che alla concatenazione del metodo e non rivestono la funzione di veri prin- cipii » (1) viene a introdurre una specie di distin- zione fra quel che possono essere i principii « a priori » della matematica e quelli della logica, di- stinzione che soltanto rispetto alla concezione idea- | listica di una realtà superiore possiamo accettare, ma ciò non è nella distinzione kantiana. Inoltre la distinzione medesima, dato il fondamento sin- .tetico « a priori » di ogni scienza, verrebbe ad allontanare da una base logica ogni scienza; mentre i principii fondamentali di qualunque attività del pensiero non possono effettivamente essere vagliati, se non basandosi esclusivamente su quel criterio logico che è comune a tutte le scienze. Che poi la categoria di giudizii che stiamo esa- ‘minando e che abbiamo affermato essere la sola effettivamente assiomatica, in quanto la sola na- turalmente ed incondizionatamente evidente, non sia propria soltanto della geometria, come invece l’altro principio citato per cui per un punto non può passare che una sola parallela a una retta data, questo non significa affatto che quei principii assiomatici. non possono essere considerati come principii « a priori » non soltanto anche, ma pre- valentemente della geometria per la posizione par- ticolare di questa e dell’aritmetica di fronte al sapere (2). Se i principii medesimi sono poi appli- cabili anche alle altre scienze, ciò dipende dal fatto molto naturale che principii effettivamente innati (1) Critica, ed. cit., pag. 48. (2) V. cap. I. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 9. 130 La posizione gnoseologica della matematica non possono essere esclusivamente proprii di questa o quella disciplina particolare, ma esse li possono tutto al più considerare e su di essi appoggiarsi a seconda del proprio punto di vista. Mi sembra in ogni modo fuori di discussione che i principii medesimi trovino il loro naturale svolgimento proprio in quella scienza geometrica dalla quale Kant vorrebbe bandirli. Questa tendenza a voler troppo specificare, esem- plificando dei principii generalissimi come quelli « a priori » — tendenza pertanto in contrasto con il significato più profondo della teoria dell’ « a priori » — ha potuto dar luogo facilmente ad er- rate interpretazioni. Povero Kant! Il suo « metodo analitico » con tanta fiducia adottato nei « Prolegomeni » in con- trasto con quello « sintetico » che si era rivelato troppo oscuro per la comprensione della « Critica » nei suoi primi interpreti, non è stato così ricco di risultati presso la gran parte dei lettori, come Kant sì riprometteva. Ci dice Kant, ricordiamo- celo, che poichè il metodo applicato nella « Cri- tica » aveva potuto dar luogo ad equivoci inter- pretativi nel senso che sbalzava di colpo il lettore nel mondo dell’ indeterminatezza metafisica, egli intende svolgere nella chiarificazione riassuntiva nella sua opera fondamentale — e cioè nei « Pro- legomeni » — il metodo inverso, ossia di portare gradatamente il lettore al problema della metafisica affrontando prima quello delle scienze particolari, le quali, in quanto più organiche, già costituite, già scientificamente ammesse e riconosciute, po- tevano facilitare il compito, se non dell’autore, almeno del lettore. Fra tutte le scienze la mate- matica e la fisica erano le più rispondenti allo Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 131 scopo, la prima per la sua evidenza, la seconda per la facilità del controllo sperimentale: nul- l’altro. | Vana speranza ! Si è tanto bene compresa questa intenzione che si è voluto fare della I e II parte del problema trascendentale, un trattato di filosofia delle scienze. Si è arrivati a vedere in quella che è un’indagine puramente gnoseologica per arrivare alla metafisica in senso stretto — procedimento pertanto indispensabile — una ricerca particolare chiusa nell’orizzonte limitato della matematica e della fisica. E naturalmente e matematici e fisici non si sono lì dentro riconosciuti! Se Kant avesse presentato in un ipotetico congresso filosofico dei suoi tempi, un’eventuale « comunicazione » sugli argomenti trattati nelle prime due parti dei « Pro- legomeni », essa sarebbe stata rubricata da questi eccellenti interpreti nella « sezione » di filosofia delle scienze, non già della teoria della cono- scenza ! | Tanto per darne un esempio ricordiamo che nella dottrina dei concetti intellettivi la categoria della sostanza trova la sua espressione nel prin- cipio fisiologico della «permanenza della sostanza». Ciò ha potuto dar luogo ad osservazioni come ‘questa: che il principio medesimo, ben lungi di essere « a priori » è stato trovato da Lavoisier a mezzo di successive esperienze. Ma questo, ben lungi dall’essere in contrasto con la teoria kan- tiana dell’intelletto, ne è la conferma! Lavoisier ha trovato l’applicabilità del principio nell’espe- rienza, ma l’essenza del concetto sostanza era già, era «a priori », era nell’intelletto. Chissà che ciò ‘ non sarebbe stato osservato se Kant non l’avesse fatto figurare, a maggior comprensione e volga- 132 La posizione gnoseologica della matematica rizzazione dell’analitica trascendentale della « Gri- tica », nel problema della faca pura nei « Pro- legomeni »?. E non si disse forse, e si scrive, che l’esempio — certo non bene scelto — di « alcuni corpi sono pesanti » come proposizione sintetica era da Kant stato fondato perchè egli, ammettendo, appunto in quanto giudizio sintetico, che il predicato « pe- sante » non era già implicito nel soggetto corpo — intendeva alludere all’aria nulla sapenda della scoperta di Torricelli ?..... Ciò non pertanto è doveroso riconoscere che gli esempii non sono nella dottrina kantiana sempre opportuni. La stessa proposizione testè ricordata ne è la conferma. Nello stesso modo l’esempio citato nel $ 12 dei « Prolegomeni » a conferma che l’ intuizione spaziale è «a priori », esempio che ricorda la proposizione della geometria eu- clidea per la quale non si possono tagliare nello stesso punto ad angolo retto che tre sole rette e che è su tale verità, fondata appunto sull’ intui- zione pura «a priori», che possiamo basarci per affermare che lo spazio perfetto non ha nè più nè meno di tre dimensioni, avrebbe potuto essere so- stituito più direttamente e con maggiore efficacia dal postulato delle parallele. Così pure nel $ 38° degli stessi « Prolegomeni » in quell’esempio delle «due linee che taglino se stesse e ad un tempo il cir- .colo in qualunque modo vengano tirate, si divi- dono sempre secondo una regola tale che il rettan- golo avente per lati i due segmenti è uguale (1) al rettangolo avente per lati i segmenti dell’altro », Kant va a perdersi in argomentazioni che vengono (1) Kant dice «uguale »; avrebbe dovuto dire « equivalente ». | è Cap. ITI. - Il valore del giudizio matematico 133 a complicare un teorema pertanto molto semplice di geometria e che non sono necessarie per rispon- dere al problema che fondamentalmente c’interessa per sapere cioè se la « legge » — come la chiama Kant — dell’uguaglianza del raggio è nel circolo come figura a sè, indipendentemente dal pensiero, oppure è il nostro intelletto che la impone ad esso. E così altre osservazioni del genere si potrebbero fare. Sono queste indubbiamente meticolosità che non nuocciono alla genialità del sistema, ma che ci pre- sentano l’ inconveniente del particolarismo e of- frono il fianco a facili critiche. Non nuocciono alla genialità del complesso perchè non sono certo degli esempii non bene scelti, che possono intac- ‘care il compito essenziale della trattazione del- l’analitica trascendentale nella « Critica » e della fisica pura nei « Prolegomeni » consistente nel porre in luce la funzione del concetto intellettivo puro « a priori » nella formazione dell’esperienza, come ho già dovuto altrove accennare.. Per questo possiamo notare che nessun fisico riconoscerebbe della fisica nella materia trattata da Kant sotto questo nome: è dessa metafisica vera e propria, uno svolgimento perfettamente conseguente con la trattazione della matematica pura (estetica trascendentale); ma meglio com- prenderemmo il complesso svolgersi di tutta la teoria chiamando la prima (matematica pura) co- noscenza intuîtiva, e la seconda (fisica pura) co- noscenza intellettiva. E con ciò d’altra parte si entrerebbe nel significato profondo del pensiero kantiano se lo svolgimento di quello ch’egli chiama il problema propriamente metafisico si denominasse conoscenza razionale, adottando la distinzione fra A 134 La posizione gnoseologica della mateniatica intelletto e ragione come Rant l’intende ossia l’in- telletto come attività informatrice della natura e quindi l’elemento che solo può rendere possibile la conoscenza della natura — l’esperienza —; la ragione come attività puramente ideale (nel suo preciso significato) che nulla può obbiettivamente darci in quanto pretende di fare a meno dell’espe- rienza, ripudiando così quell’elemento sensibile al quale malgrado ogni nostro sforzo noi non pos- ‘siamo fare a meno di ricorrere quando vogliamo in certo qual modo rappresentare l’elemento che è mèta della nostra indagine conoscitiva. Il carattere metafisico della fisica pura come Kant l’intende è d’altronde ammesso anche dal più rigoroso idealismo trascendentale odierno di- rettamente influenzato dal criticismo kantiano. Così il Martinetti nel suo « Commento » ai « Pro- legomeni » (pag. 215) scrive: «i giudizii della fisica pura ($ 15) sono giudizii metafisici », nonchè (pa- gina 219 ibid.): « la fisica pura sarebbe quindi la metafisica immanente della natura esteriore, che noi possiamo conoscere « a priori » in quanto pro- cedono dalle forme pure dell’intelletto ». Ho accennato anche ai principii della fisica pura secondo Kant perchè essi, più di tutti gli altri, ci possono mostrare come una dottrina profondissima e sistematicamente svolta come quella dell’ « a priori » possa portare a interpretazioni errate vo- lendo in essa distinguere un « a priori » matematico da un «a priori » fisico e così via ; ed è naturale che sia così: l’apriorità è insita nella stessa natura del nostro processo conoscitivo, del nostro pensiero medesimo ; la suddivisione del sapere in tante branche particolari non è effetto invece che di una specializzazione recentissima dovuta a una A. Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 135 maggiore comodità di orizzontarsi nel sempre più vasto campo del sapere. In questo senso pos- siamo considerare che la dottrina dell’apriorità non può venire posta in dubbiò dalle precedenti e dalle susseguenti nostre considerazioni e tanto meno della metageometria ; resta intatto il gran merito di Kant di averci dimostrato che qualunque conoscenza, per essere universale e necessaria, ha bisogno di un’azione immediata innata del nostro | pensiero ; ma il merito stesso, non in senso asso- luto, ma certo in-senso relativo (nel caso nostro, della matematica, non ha potuto uscire intatto in causa dell’esclusione o quasi dal campo geo- metrico proprio di quei giudizii che alla geometria dànno più valido appoggio per la sua obbiettività. Concludendo, da quanto precede verrei ad affer- mare questo : se i principii « a priori » della ma- tematica fossero esclusivamente della prima ca- tegoria (a=a, 7 <a, ecc.), si potrebbe senz'altro accettare la dottrina di Kant anche nelle sue estreme conseguenze: basandosi invece la matematica su altri principii particolari tutti suoi proprii, e, ciò che più conta, principii passibili di discussione per ammissione degli stessi matematici, mi sembra si possa concludere che la matematica tende a diventare quale Kant la con- cepisce, ma che tale essa non sia ancora attual- mente. Cerchiamo di precisare meglio in che cosa con- sista questo tendere della matematica a dare ai suoi giudizii valore universale e necessario e a di- venire, secondo il nostro modo di vedere, la più ‘ alta espressione della conoscenza sensibile ; al di- 136 La posizione gnoseologica della matematica venire cioè il numero l’elemento meglio adatto nel conoscere il mondo della nostra sensibilità. Siamo ben lontani evidentemente dall’assolutismo di alcuni fisici moderni che si riconnettono agli antichi pitagorici; ma se tale assolutismo non può in alcun modo essere accettato in filosofia, è però spiegabile in un fisico. Emilio Borel non si perita di dichiarare che « spiegare il mondo non può significare altro per lo scienziato che dare del mondo una descrizione numericamente esatta ». Ma egli stesso sente il bisogno d’immediatamente Soggiungere che per soddisfare i più esigenti sa- rebbe necessario che « tale descrizione numerica abbracciasse così il futuro come il passato » (1), vana aspirazione sempre, ma tanto più irraggiun- gibile basandoci essenzialmente sul metodo mate- matico. Quand’anche la metereologia potesse per un qualsiasi giorno avvenire predirci esattamente la pressione, la temperatura, ecc., il nostro pen- siero si domanderebbe pur sempre come siamo giunti a questo: il nostro pensiero dubiterebbe pur sempre che nel magnifico risultato ottenuto non sia da escludersi, sia pure forse in minima parte, l’effetto favorevole del caso, e quando anche il risultato favorevole si ottenesse non una, ma mille volte, entrambe le obbiezioni resterebbero nella loro intensità dubitativa. $ 14. La funzione del postulato e il dover essere della matematica. — La concezione di un divenire della matematica, più specificatamente di «un tendere di essa a diventare la più alta espres- (1) Cfr. E. BoreL, L’espace et le temps, pag. 209 segg. (Paris, 1922). Cap. ILI. - Il valore del giudizio matematico 137 sione della realtà sensibile, non ci sembrerà affatto arbitraria se noi cì rappresentiamo tale scienza come intenta a una sempre maggiore purificazione di se stessa. E anche tale rappresentazione non ha nulla di arbitrario, in quanto, oltre all’essere questa la naturale tendenza di ogni sapere che aspiri ad essere rigorosamente scientifico, la possiamo nella matematica precipuamente riscontrare nell’ammis- sione degli stessi matematici della necessità di ridurre a un minimo indispensabile i postulati fon- damentali : bisogno quindi non soltanto intuito, ma messo in pratica (1), sia col far derivare al- cuni giudizii matematici, precedentemente giudicati assiomatici, da altri postulati a mezzo di un pro- cesso deduttivo-sostitutivo, come si è veduto nelle prime pagine di questo capitolo; sia col ridurre i postulati a teoremi, risolvendoli poi col processo dimostrativo. Ove a questa tendenza i matematici si fossero strettamente attenuti, si avrebbe oggi una scienza indubbiamente meno sviluppata di quella che ef- fettivamente si abbia ; ma di questo tendere della matematica a piegarsi in certo qual modo su se stessa, lo possiamo oggi osservare nettamente nel- l’opera dei più notevoli filosofi della matematica. Secondo essi mèta del matamatico oggi non deve essere l’ampliamento, dirò, di essa, non la «sco- perta » di nuove proposizioni, ma un sobrio pe- riodo di riflessione è per essa più profittevole che quell’incessante avanzare che soltanto apparente- mente può significare progresso. Se ben guardiamo, (1) Degna di nota la constatazione storica de Boutroux : « Le nombre des postulats indémontrables a été de plus en plus restreint ». (L’Idéal sc. math., pag. 251). 138 La posizione gnoscologica della matematica le stesse creazioni della metageometria rappresen- tano più una fase di riflessione che di creazione. È quanto avviene anche in discipline che nulla hanno a che vedere con la matematica : non ve- diamo forse in economia politica una forte ed ag- guerrita corrente di sociologi arrestarsi perplessa dinnanzi alla corsa dell'umanità verso una sempre maggiore ricchezza e verso una sempre più sensi- bile miseria? La miseria è diminuita sia.pure; ma è diminuita soltanto se manteniamo inalterate le esigenze dell’uomo : e perchè proprio ‘dai pro- gressisti più convinti non si dovrebbe riconoscere come del tutto naturale e giusto anche il progresso nelle esigenze umane? Se noi facciamo progredire di pari passo queste esigenze con l’aumento glo- bale della ricchezza del mondo, ecco che ci spie- gheremo senza troppa fatica come, malgrado tutti gl’infiniti miglioramenti economici di cui si com- piace con se stessa la civiltà contemporanea, la massa è infinitamente più malcontenta oggi che non un secolo, molti secoli fa: ecco così sorgere quello che si potrebbe chiamare la fase critica, di riflessione del problema economico, non più dell'aumento della ricchezza, ma di quello ben più complesso e più umano di un’equa distribuzione di essa. Ecco prorompere il problema teoretico me- desimo nell’azione pratica che può naturalmente degenerare in manifestazioni brute e violente. Per questo credo si possano notare dei segni — precursori se volete, ma pur sempre non dubbii — di un periodo di raccoglimento nell’attività intel- lettiva dell’uomo: è una specie di sosta nella quale sembra ci domandiamo: « ma è proprio questo folle avanzare senza mèta, questo ‘‘ progresso ’’ cieco, ciò che forma la rivelazione più alta della mia Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 139 umanità ? ». O non sarebbe piuttosto doveroso o, se la parola vi spaventa o la trovate di sapore ar- caico, più utile, che insieme ci si metta a rimirare il cammino percorso e che serenamente esaminiamo se tutto in tale cammino significa effettivamente progresso; se tutte le tappe che abbiamo percorso furono effettivamente fatte nella stessa direzione, per la stessa via, o non ci siamo piuttosto smarriti in sentieri trasversali dai quali sarà saggio ritor- nare sulla strada maestra per poi riprendere di nuovo il cammino fatti più avveduti dalla dolorosa esperienza provata, più severi di fronte agli allet- tamenti di un correre verso grandiose conquiste che più si approfondiscono e più ci rivelano la loro natura illusoria e, soggiungerebbe uno scettico, derisoria ed ironica ? Senza dubbio il procedere della matematica verso orizzonti sempre più vasti è riguardoso e prudente, e prova ne sia che quasi sempre i nuovi postulati introdotti vengono poi in processo di tempo più o meno lungo, riscontrati esatti; ma questo non basta per determinarci a credere che la formulazione dei nuovi postulati, che le necessità sempre maggiori vanno creando, come quelli antichi presi come punti di partenza agli albori di tale scienza, siano del tutto simili con i nostri principii innati. Il controllo ulteriore dell’esattezza dei postulati medesimi prova come la convenzionalità del mondo geometrico sia indubbiamente molto limitata e non certo da potersi estendere agli estremi limiti cui hanno creduto di poter arrivare alcuni entusiasti della nuova metageometria, identificando appunto la convenzionalità del mondo euclideo con quella . totale del sistema metrico decimale. Ma non per questo dobbiamo esagerare l’efficacia del controllo 140 La posizione gnoseologica della matematica medesimo : non v’è affatto il bisogno di ammet- tere un’origine insita nel nostro stesso intelletto perchè dei principii possano essere considerati per lo meno parzialmente ipotetici, anche se in seguito vengono riscontrati esatti. È infatti del tutto natu- rale che intelletti superiori dediti esclusivamente agli studii matematici, con essi quasi immedesimati (mi si passi l’espressione), abbiano quasi sempre, o anche sempre, veduto giusto. Ciò, lo abbiamo veduto, può riscontrarsi anche nelle scienze empiriche ed abbiamo accennato a scoperte di Galileo e di Newton, le quali hanno la loro lontana origine in ipotesi, poi controllate valide dal metodo sperimentale. Ma in ogni modo non è già un errore il supporre, più ancora, il ritenere indimostrabile una proposi- zione, che poi si riesce a dimostrare, e, si noti, a dimostrare alcune volte con un carattere pure in- dubbiamente più rigorosamente scientifico di quello che effettivamente questa scienza non abbia. Cioè il tendere della matematica a divenire la vera espres- sione apodittica della nostra conoscenza sensibile se è rivelato da quanto sopra, è però ostacolato dal miraggio di estendere sempre maggiormente i suoi confini; di affrontare sempre nuovi problemi per risolvere i quali necessita molto spesso l’iposta- sizzazione di una nuova definizione o di un nuovo postulato che spesso presuppone una definizione. Ciò non può verificarsi che a detrimento, per lo meno parziale, della necessità e univesalità dei suoi giudizii; le quali prerogative non possono ammettersi che condizionatamente all’accettazione dei postulati che vengono man mano introdotti. Questi possono alla lor volta essere concepiti -be- Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 141 nissimo — faccio mia l’immagine del Fouillée (1) — come anelli provvisoriamente posti come indimo- strabili onde il tutto matematico non perda quella continuità e quell’organicità su cui si basa. E ciò avviene, alcune volte, con gli stessi mezzi d’indagine con i quali prima si era dichiarato il contrario. In questo caso la questione non esce dal campo puramente tecnico del matematico. Se è vero che questi non deve nemmeno curarsi di sapere se i suoi postulati rispondano più o meno a delle reali verità, più ancora se per lui la questione è vuota di senso — lo si sostiene, ma non ne vedo il perchè — compito del matematico è però di far sì che le ipotesi da lui supposte come punti di. partenza, debbano necessariamente portare alle deduzioni ch’egli si è proposto di trarne. Inoltre, nella formulazione delle ipotesi medesime, egli dovrà non aver nè mancato nè ecceduto: nel corso delle deduzioni se egli ha formulato un numero insufficiente d’ipotesi, egli avrà agio di accorger- sene ed eventualmente di rimediare; ma se il nu- ‘mero d’ ipotesi da lui ammesse è superiore a quello che era necessario per dimostrare ciò che voleva, egli correrà il pericolo, nota lo Zeuthen, di « ve- dersi provare da altri che alcune delle sue ipotesi erano contraddittorie, o potevano derivare le une dalle altre » (2). Il che significa che anche restringendo al mas- simo il compito del matematico — nel senso che egli ha il diritto di prescindere da ogni preoccu- pazione di natura filosofica — egli non può man- (1) A. FOVUILLÉEE, L’evenir de la méthaphysique fondée sur l’expérience. (2) ZEUTHEN, op. cit., tr. fr., pag. 95. 149 La posizione gnoseologica della matematica care però di attenersi al conflitto sopra detto, cioè far sì che le ipotesi adottate non possano nel corso delle successive dimostrazioni risultare contraddit- torie — ciò che è evidente per tutti — ma altresì che esse ipotesi non possano risultare in alcun modo deducibili da altre proposizioni note. Ma vi è di più: perchè questo incessante tentativo di dimostrazione si verifica, se il nostro intelletto ci ha subito fatto balenare la verità medesima come di una tale evidenza per cui l’ intelletto stesso non doveva non solo riuscire, na nemmeno fentare di completare ciò che esso stesso trovava quasi parte di se medesimo ? Tali verità innate dovrebbero imporsi con una tale violenza al nostro spirito che nessuno pense- rebbe di ricercarne la spiegazione in modo più concreto e positivo, precisamente come a nessuno è mai venuto seriamente in mente di dimostrare che a = a, o altri giudizii di simil natura di per se stessi effettivamente evidenti (1). Eppure la geometria è piena di tali indagini che .si possano a buon diritto chiamare vittorie su se stessa. | | Inoltre, non vi sembra più conseguente che, ove i postulati fossero in noi verità effettivamente in- nate, non si sentirebbe il bisogno di aumentarle in omaggio al sempre più vasto campo d’azione della matematica ? Tale bisogno non potrebbe veri- ficarsi. Ma, mi potreste rispondere, ciò si verifica in quanto i principii medesimi non si presentano naturalmente nello stesso numero e con la stessa intensità al pensiero umano in tutte le gradazioni (1) Si potrebbero qui ricordare di nuovo le frasi, citate al $ 7, di Platone e di Pascal. Cap. III. - Il valore" del giudizio matematico 143 del suo sviluppo: i principii innati del primitivo possono essere ridotti a ben pochi; numerosi in- ‘vece sono quelli dell’uomo civilizzato odierno. Ciò dipende da cause molteplici nella ricerca delle quali nemmeno il più rigido idealismo trascen- dentale può prescindere dalle considerazioni fisio- logiche inerenti al più complesso sviluppo dei nostri organi mentali ; dell’ereditarietà concepita come esperienza multimillenaria del nostro intel- letto, e così via. | Tutte cause-effetti, come si vede, perfettamente plausibili; ma tuttavia alquanto vaghe a un at- tento esame, alquanto insufficienti quando ci si trova di fronte al caso particolare. Leibniz (1), ad esempio, ci dice come l’assioma per il quale di due linee curve che abbiano entrambe la loro con- cavità dalla stessa parte è maggiore quella che è al di fuori dell’altra, sia stato ammesso (unita- mente d’altronde a diversi altri) per la prima volta da Archimede. Ora possiamo noi credere che effet- tivamente la pura e semplice evoluzione del pen- siero in sè stante, cioè indipendentemente da ogni particolare necessità matematica, sia stata tanto sensibile da Euclide ad Archimede da poter da sè sola giustificare l’ introduzione della nuova verità fondamentale ? Non acquisterebbe ben maggior valore la nostra spiegazione se invece sostenessimo che è stato il particolare sviluppo della geometria in tale periodo di tempo a fare intuire ad Archimede che, ammet- tendo la proposizione medesima come verità fon- damentale, egli avrebbe in certo qual modo potuto dedurre numerose altre proposizioni perfettamente (1) Nouv. Ess., IV, cap. 7. 144 La posizione gnoseologica della matematica consone con il principio di contraddizione, perfet- tamente apodittiche condizionatamente a quel po- stulato, del quale altri eventualmente avrebbero potuto in seguito stabilire la certezza ? Per conto mio non vi può essere dubbio nella scelta delle due interpretazioni: la seconda mi pare s’imponga con decisa chiarezza alla nostra ragione. E ciò affermando sono ben lungi dal negare il valore apodittico delle verità risultanti, dato che la mi- nima convenzionalità che nelle verità stesse credo si debba ammettere ripensando in alcuni casi alla loro lontana origine, possiamo sperare che in pro- cesso di tempo possa venire eliminata per quanto abbiamo sopra esposto riguardo all’ incessante sforzo della matematica per ridurre a un minimo indispensabile i suoi postulati. È già gran risul- tato scientifico il poter contare con sicurezza as- soluta su proposizioni che richiedono, per essere universalmente vere, la sola condizione di accet- tare: come universalmente vero un determinato principio, che, si noti, già di per se stesso non è affatto fantastico e arbitrario, ma principio tanto accettabile dal nostro intelletto da poter essere preso come base dell’ulteriore costruzione (1). (1) Da un punto di vista puramente tecnico, e perciò senza diretta relazione con quanto esposto in quest’ultimo paragrafo, ma importante per ben comprendere le fondamenta della ma- tematica, si potranno consultare le opere seguenti: SAUTREAUX, Essai sur les axiomes mathématiques (Grenoble, Gratier et Rey); DE ContensOoN, Les fondements mathématiques (Paris, Gauthier-Villars); MAROGER, Lecons critiques et historiques sur le fondement des mathématiques (Paris, 1908); C. ELLIOTT, Models to illustratethefoundations of mathematics (Edimburg, 1914); DELEGUE, Essai sur les principes des sciences mathé- matiques. ———————— SUE DO IO I O DI SO IL DÀ CAPITOLO IV. La questione precedente svolta specificatamente nei riguardi della geometria (1). $ 15. La II dimensione dello spazio. — La moderna metageometria però, forse troppo imbal- danzita dal successo — conseguenza naturale della sua stessa giovinezza — va ben oltre i limiti critici in cui noi ci siamo mantenuti nel precedente capi- tolo. Essa non si perita d’indagare anche nei più reconditi presupposti dei fondamenti euclidei, con il negare che la stessa intuizione dello spazio sia in noi naturalmente identica a quella della geo- metria euclidea: tale identità è la base sine qua non dell’innata evidenza dei principii della geo- metria medesima. Pure riconoscendo l’estrema im- . portanza di questa ultima questione, faccio subito osservare che ove tale identità, contrariamente a quanto si ritiene oggi dalla metageometria e da non pochi psicologi, venisse in ultima analisi con l'essere dimostrata, le obbiezioni sopra esposte (1) Cenni bibliografici: DEL RE, Sulla struttura geometrica dello spazio (Napoli, 1911); P. STAECKEL, Geometrische Unter- suchungen (Teubner, 1913); BoREL, Geometrie (Paris, Colin). G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 10. 146 La posizione gnoseologica della matematica. tendenti a mostrare un procedimento ipotetico — sia pure limitatamente quanto si vuole — della matematica e il suo divenire, resterebbero immu- tate. Abbiamo sostenuto che il valore universale e necessario del giudizio matematico è il suo dover essere e non già il suo essere, senza nemmeno alludere alla necessità di una differenza qualsiasi fra il nostro spazio e quello della geometria euclidea. Così posti i termini del problema aggiungo una.” seconda osservazione, intimamente connessa con la precedente, e cioè che non pretendo affatto ri- solvere in questo capitolo il complesso problema dello spazio in se stesso considerato, dato che il problema stesso non è, a mio modo di vedere, indispensabile, come si è osservato, per arrivare alle conclusioni cui siamo arrivati; ma l’impor- tanza di tale questione è estrema piuttosto per quei filosofi che incondizionatamente ammettono i principii kantiani anche nelle loro conseguenze ultime e particolari. Kant stesso per sostenere il suo punto di vista, ammette tale identità d’intui- zione spaziale. Per quanto non ce ne dia mai una esplicita dimostrazione, o per lo meno passi a svolgere con ampiezza tale sua convinzione, vi è però un punto nei « Prolegomeni » che non per- mette si possano avere al riguardo dubbii di sorta. Alludo alla osservazione III, nella quale, dopo aver constatato ancora una volta che lo spazio non è nelle cose, ma è un’ intuizione «a priori » che ci permette di stabilire un rapporto fra noi e il mondo esterno, intuizione senza la quale noi non po- tremmo arrivare alla conoscenza sensibile, Kant osserva che non per questo si deve ritenersi auto- rizzati a ritenere che lo spazio medesimo sia Cap. IV. - La questione precedente ecc. 147 qualche cosa d’immaginario, dal soggetto arbi- trariamente creato. Se così fosse «lo spazio del geometra verrebbe ad essere considerato come una semplice inven- zione senza validità obbiettiva ». Ma in che modo sì potrebbe poi spiegare la strana combinazione che le cose vengono poi a «concordare con l’im- magine che noi ce ne* facciamo in antecedenza da noi? ». | Che tale d’altra parte sia la sicurezza su cui Kant si basa è anche l’opinione dei più notevoli interpreti del suo pensiero. Il Martinetti ne) suo «Commento ai Prolegomeni » (pag. 224-225), alla domanda postasi del come può essere il valore universale e necessario delle proposizioni geome- triche, così interpreta : « Ciò avviene -— risponde Kant — in quanto lo spazio del matematico e lo spazio nel quale si trovano i corpi sono, in fondo, una cosa sola: lo spazio reale non è un misterioso recipiente a cui lo spirito sia estraneo, ma è una costruzione formale dello spirito conoscente in ge- nere e le leggi che il matematico trova, quando considera questa funzione dello spirito, astrazion fatta dal contenuto che in detta costruzione for- male viene ordinato, valgono necessariamente delle cose corporee, perchè queste sono appunto il risul- tato della costruzione stessa ». | Anche qui, come già nel brano riportato da Kant, dobbiamo distinguere : quello che partico- larmente importa all’argomento che stiamo trat- tando è dato dal primo periodo da cui risulta che lo spazio nostro intuitivo e quello del geometra euclideo sono in fondo una cosa sola. Su questa necessità avrà d’altronde il Martinetti a ritornare per conto suo, nello stesso « Commento », quando, 148 La posizione gnoseologica della matematica combattendo le conseguenze estreme (la totale con- venzionalità del mondo matematico) cui sono ar- rivati gli esponenti della metageometria (es. Poin- caré, Rougier, ecc.) e alcuni fisici che andarono oltre basandosi su di essa (es. Helmholtz) si schie- rerà risolutamente all’estremo opposto (la nessuna . convenzionalità del mondo matematico) accettando senza restrizioni la dottrina kantiana dell’apoditti- cità dei giudizii matematici, completandola di quelle. considerazioni che le scoperte della metageometria hanno ora reso possibile (1). Il Martinetti cioè, sostenendo la completa indifferenza della dottrina kantiana di fronte alle indagini della metageo- metria, si appoggerà prevalentemente al concetto che qualunque siano per essere le geometrie pos- sibili, tuttavia « uno spazio a tre dimensioni di- verso dal nostro, o uno spazio a più di tre dimen- sioni, non possono venir costruiti che in astratto o simbolicamente rappresentati per mezzo di ele- menti tolti al nostro spazio » (2). Il Paulsen (3) pure interpreta che Kant faccia risiedere la validità obbiettiva dei giudizii mate- “matici, anche in quanto « lo spazio in cui la geo- metria (4) opera la sua costruzione ‘a priori ’’, cioè lo spazio della nostra rappresentazione è pre- cisamente lo stesso spazio in cui sono i corpi ». La relativa chiarezza dell’espressione dipende qui, come si vedrà meglio naturalmente sull’ori- ginale, dal non trattare l’A. la questione dal punto ‘ di vista problematico della metageometria, ma il significato è lo stesso. (1) Op. cit., pag. 239-242. (2) Nel Commento cit., pag. 240. (3) F. PAULSEN, Kant (tr. it.), pag. 130. (4) Bene inteso geometria euclidea. Cap. IV. - La questione precedente ecc. 149 $ 16. L’intuizione spaziale ‘ a priori ”’ e lo spazio euclideo. — È d’altra parte indubitale che Kant così pensasse : soltanto a titolo di definitiva conferma ho in proposito citato il Martinetti e il Paulsen. È qui facilissimo cadere in errore. Per questo nello svolgimento ulteriore del problema inerente all’ intuizione spaziale non mi preoccuperò che di render ben chiaro il mio pensiero, incorrendo eventualmente anche in prolissità apparenti e ripetizioni. Possiamo frattanto osservare subito come la dot- trina kantiana dello spazio da un punto di vista generalissimo (1) è in fondo ammessa anche da coloro che negano l’innatezza e l’invariabilità del- l'intuizione spaziale medesima. Ma il problema non ha nemmeno ragione di sussistere nei riguardi di Kant, come fa ad esempio lo Stefanescu in un libro (2) pertanto sotto molti aspetti notevole. Dice lo Stefanescu : « L’idea di spazio quale noi ce la rappresentiamo abitualmente oggi e quale la concepisce Kant è un tutto omogeneo, infinito, continuo, che non ha il suo centro in nessuna parte, dove si possono costruire a volontà figure , simili ecc. » (3). E fin qui possiamo anche essere d’accordo: ciò è indubbiamente molto vago e in- determinato, ma risponde a verità. . Ma non ci comprendiamo più quando lo Stefa- | nescu soggiunge: « È una forma “a priori ’’, in- variabile, sempre identica a se medesima? No, (1) Come qualche cosa d’inafferrabile e d’infinito che tutto . informa. (2) M. StEFANESCU, Le dualisme logique (Paris, Alcan). (3) Op. cit., pag. 132. 150 La posizione gnoseologica della matematica perchè noi sappiamo storicamente ch’essa si è modificata e che essa è ancora possibile di varia- zioni; a fianco di una geometria euclidea, noi abbiamo delle geometrie non euclidee» e così via di seguito. Prima di tutto noi non possiamo affatto affermare storicamente che la nostra intuizione spaziale si sia modificata nel corso del tempo. In secondo luogo non significa proprio nulla l’esempio addotto dell’esistenza di geometrie non euctidee : questo non viene affatto di per sè solo, ad intac- care l’invariabilità della nostra umana intuizione dello spazio. Già Kant aveva preveduto ed am- messo (1). La questione è ben diversa. Le geometrie non euclidee già esistenti si appoggiano sopra un’in- . tuizione spaziale che certamente non è la nostra fisiologica, ma creazione ipotetica che significa sol- tanto questo: se noi modificassimo l’ intuizione spaziale che è a fondamento della geometria eu- clidea ben diverse verrebbero ad essere le « verità » ottenute. Questa nuova intuizione dello spazio non è perciò l’effetto di un processo modificatore storico- . fisiologico, come lo Stefanescu sembra credere, ma soltanto di una convenzione ipotetica che verrebbe in certo modo a coartare la nostra sensibilità. Ed ecco affacciarsi qui il punto fondamentale della questione: siamo noi sicuri di quest’ iden- tità fra la nostra naturale umana intuizione dello spazio e quello della geometria euclidea che ab- biamo mostrato nel paragrafo seguente essere il . fondamento indispensabile per accettare senza ri- . serve il valore apodittico del giudizio geometrico come Kant vuole ? (1) Cfr. questo libro, Cap. III, $ 11, pag. 106, Cap. IV. - La questione precedente ecc. 151 L’errore della metageometria al riguardo, anche degli esponenti più riservati di essa, è stato quello di affermare senz’ altro la totale convenzionalità della geometria euclidea in quanto altre geometrie hanno potuto costruirsi con conclusioni rigorosa- mente esatte e diverse da quelle della geometria euclidea. Errore, in quanto a tale affermazione si sarebbe potuto arrivare soltanto nel caso che le geometrie diverse dalla geometria euclidea si fon- dassero sopra un’intuizione dello spazio pure a tre dimensioni: ciò che, sino ad ora, non è stato possibile. Gli studi del Lobatchefski e del Riemann riguardano un mondo diverso da quello della nostra sensibilità e pure inchinandoci ossequienti alle loro ipotesi geniali, non possiamo certo basarci su di esse per intaccare nè l’universalità e necessità dei giudizii nè l’apriorità dei principii matematici, apriorità che d’altronde essi non pongono meno- mamente in dubbio, almeno considerando l’aprio-. rità soltanto come non empiricità e non come in- natezza. La questione della terza dimensione nella nostra intuizione spaziale si presenta al nostro esame sotto un aspetto psicologico e sotto un aspetto rigida- mente geometrico. Sotto il primo aspetto la que- stione non fornisce veramente all’attenzione dello studioso elementi tali che ci possano portare a con- cludere logicamente in un modo o nell’altro: sotto l’aspetto geometrico, senza potere affermare essere la questione medesima molto innanzi, possiamo indubbiamente trovare in esso più solidi punti di appoggio. | È evidente che soltanto dalla fusione degli sforzi concordi di matematici e di psicologi si potrebbe su tal punto arrivare ad una chiarificazione. Ma 152 La posizione gnoseologica della matematica ciò si presenta sempre più difficile con la sempre maggiore specializzazione delle singole scienze, la quale, se si è resa necessaria per efficacemente pro- seguire nel campo del conoscere, ha anche portato disgraziatamente — perchè non confessarlo? —- ad una specie di diffidenza fra i cultori di questa o quella disciplina. Da un punto di vista molto generale, qualche cosa indubbiamente si è fatto nella seconda metà del secolo scorso; ma si mirò allora piuttosto a. indagini atte a trovare un metodo, superiore ad ogni sospetto per la sua obbiettività assoluta, onde poter controllare i fenomeni psichici, tanto da poter arrivare alla formulazione di leggi psichiche con metodo matematico (1). Ma questo movimento, oltre all’ essersi mante- nuto troppo sulle generali, come si è osservato, per poter avere efficacia diretta sul particolare ar- gomento della terza dimensione che stiamo trat- tando, presenta anche l’inconveniente comune a tutti gli indirizzi filosofici del genere: l’assogget- tare cioè ogni ricerca, anche di carattere metafi- sico, a un criterio puramente matematico. Ciò porta alla necessità prima di postulare su ipotesi e alla conseguenza inevitabile di dover poi forzatamente far rientrare il tutto quasi in un piano prestabilito. Quello che abbiamo già accennato nei riguardi di Cartesio e di Spinoza (2) si presenta qui in tutta la sua chiarezza, con l’aggravante della mancanza della grandiosità unitaria della visione sintetica (1) Cfr. ad esempio: G. Tu. FEcHNER, Revision der Haupt- punkte der Psychophysik (Leipzig, 1882); H. MiNnSsrERBERG, Ueber Aufgabe und Methoden der Psychologie (Leipzig, 1891). (2) Cap. 1, 85. Cap. IV. - La questione precedente ecc. 153 dell’universo preso nel suo complesso, e con la pretesa di adottare, quasi caso per caso, l’applica- zione del metodo matematico a ricerche sperimen- talmente impostate, come si tende a fare nella moderna psicologia. Specificatasi come scienza par- ticolare, allontanatasi perciò dalla filosofia, della quale non era stata fino allora che un capitolo, non poteva trovare appoggio che in un criterio positivo di ricerca e diventare sopra tutto speri- mentale. ——. Non quindi una collaborazione simile a quella verificatasi fra psicologia e matematica è da auspi- carsi per poter approfondire il problema della terza dimensione, perchè essa, più che fusione di sforzi significava incondizionata accettazione di metodo ; ma nella collaborazione reciproca dei risultati ot- tenuti, i quali frutti soltanto dal filosofo potranno essere portati alla loro espressione ultima. Ciò non essendosi ancora verificato, la questione che ci preoccupa non può sfuggire del tutto, mal- grado la buona volontà, ad una certa indetermi- natezza. Cerchiamo perciò di precisare con la maggiore chiarezza possibile il problema: è la nostra intui- zione dello spazio identica a quella della geometria euclidea? Sarà in primo luogo necessario stabilire se è in noi la terza dimensione effettivamente in- nata, a priori. Facciamo subito notare come la stessa Landa zione del problema non intacca nemmeno lontana- mente la nostra concezione idealistica della mate- matica: e che anche qui, nel caso particolare della terza dimensione, come dianzi, nel problema del- l’ intuizione spaziale più genericamente esaminato, qualunque possa essere la soluzione di esso pro- 154 La posizione gnoscologica della matematica blema, anche se affermativa, non nuocerebbe alla tesi che siamo venuti svolgendo in merito al ca- rattere parzialmente ipotetico della geometria : ove la soluzione stessa ci portasse poi a una risposta negativa, la incondizionata sicurezza del giudizio matematico non potrebbe in alcun modo sussistere. È evidente che non si possono ammettere come del tutto innati nell’ uomo principii che presuppon- gono un’intuizione spaziale differente da quella insita nell'uomo medesimo. Noi sappiamo, ad es., che il postulato di Euclide ha valore soltanto per uno spazio a tre dimensioni: se il nostro spazio non fosse a tre dimensioni, cadrebbe senz'altro, non già l’apriorità originaria del postulato me- desimo, ma certamente il suo valore universale e necessario, dato che la sua obbiettività non sarebbe se non accettando come punto di partenza insin- dacabile un’ ipotesi, che sapremmo già non rispon- dere a verità, in quanto basata su di uno spazio a tre dimensioni, che non sarebbe già il nostro spazio naturale, ma uno spazio che noi avremmo in certo qual modo preso a prestito. La questione è, come sì vede, di tale natura da avere il suo logico svolgimento in trattati parti- colari di psicologia o di matematica, a seconda del punto di vista sotto cui essa verrebbe svolta; ma essa è di tale importanza per determinare l’esatta posizione della geometria nella teoria della cono- scenza, che qualche delucidazione è qui necessaria. Necessità tanto per i filosofi, onde essi non si chiu- dano in una rigidezza non sempre giustificata din- nanzi alle indagini della scienza moderna e sopra tutto alle indagini svolte in questo campo partico- lare; quanto, e più sensibilmente ancora, per i ma- tematici e i fisici del nuovo indirizzo metageome- Cap. IV. - La questione precedente ecc. 155 trico, i quali, male interpretando la dottrina di Kant, credettero di ravvisare nella sola possibilità di concepire una geometria diversa da quella eu- clidea, il tallone d’ Achille della dottrina medesima, meritandosi così il biasimo di quei filosofi che ve- dono nelle loro argomentazioni e ricerche una specie di circolo vizioso in quanto queste « presuppongono già tutte quella costituzione particolare del mondo- dell’esperienza che se ne vorrebbe derivare» (1). Così non possiamo passare sotto silenzio che un matematico come il Poincaré venga proprio a con- cludere che la nostra intuizione dello spazio dif- ferisce da quella di Euclide, che presuppone una omogeneità ed un’isotropia che non possiamo in alcun modo — reputa almeno il Poincaré — ri- scontrare naturalmente nella nostra (2). Tale con- statazione esce forse dal campo puramente matema- tico per coinvolgere, come si vede, una questione psicologica; ma i due aspetti del problema sono fra loro talmente connessi, che mal si potrebbe trattarli in modo del tutto indipendente l’ uno dal- l’altro. È doveroso inoltre riconoscere che tutti questi (1) V. il Commento di Martinetti ai Prolegomeni, pag. 241. (2) Analogamente L. RouciER, La Philosophie géométrique . de Henri Poincaré, pag. 100. Il Rougier aggiunge a favore della relatività dello spazio (oltre all’omogeneità e all’isotropia) altre due prerogative, e cioè: il non comportare lo spazio al- ‘ cuna grandezza assoluta e l’essere a amorfo-1. Come si vede però questi ultimi due non sono caratteri differenziali o per lo meno ammessi come differenziali fra il nostro spazio e quello della geometria euclidea, ma sono unicamente in appoggio alla relatività generica di ogni intuizione spaziale, concetto che la filosofia ha già fatto suo da un pezzo. La teoria del Poincaré su tale problema più generale troverai in: La relativité de l’espace (L’Année psychologique, XMI, 1907, 1, 17). 156 La posizione gnoseologica della matematica matematici — e ciò sia detto a loro onorè — nelle loro ansiose ricerche, spingono queste al di là della stretta cerchia tecnica in cui potrebbero contenerle e che le complesse e molto spesso vacillanti dot- trine della fisiologia non li spaventano. In tal modo accade ad es. di esprimersi al Poincaré (1), dopo avere affrontato l’aspetto fisiologico del problema: «Se così fosse, se una sensazione muscolare non potesse nascere se non accompagnata da questo sen- timento geometrico della direzione, lo spazio geome- trico sarebbe allora veramente una forma imposta alla nostra sensibilità », parole che ci ricordano quelle del James: « Il senso muscolare non ha un ufficio notevole nella generazione delle nostre sen- sazioni di forma, direzione », ecc. (2). Così non possiamo passare sotto silenzio che uno psicologico come lo stesso James, pure concludendo per conto suo che la terza dimensione « forma un elemento originario di tutte le nostre sensazioni spaziali » (3), riconosca tuttavia notevolissimo va- lore alla posizione opposta assunta dalla maggior parte degli psicologi e che sia costretto a ricono- scere egli stesso che indubbiamente il concetto della terza dimensione non può essere senz’altro accet- tato come quello delle altre due dimensioni (4). Nè sì deve dimenticare come ben prima di tutto ciò, il Berkeley considerasse la distanza come data (1) V. La science et l’hypothese, pag. 73 segg. (2) .W. James, Psicologia (tr. it.), pag. 355. (3) Op. cit., pag. 357. (4) Il Vaissiàre, senza trattare particolarmente la questione, ha un'eccellente espressione per indicare l’insufficienza della vista per determinare, anche soltanto fisiologicamente, la distanza: « Nous nous servons de nos. lignes visuelles comme l’aveugle se serve de son baton ». V. Psychologie Expérimentale, pag. 78. I Cap. IV. - La questione precedente ecc. > 157 in noi puramente in modo tattile, distinguendola così dalle altre sensazioni spaziali, proprie invece sopra tutto dell’organo visivo. Le prove fatte sui ciechi nati, di cui ci parla la psicologia sperimentale, possono indubbiamente far pensare, far dubitare che nel loro complesso le fi- gure geometriche non possono essere concepite — malgrado la pretesa evidenza innata della defini- © zione — da un cieco nato. L’esempio che il James riferisce, a proposito di tutt'altro argomento, del- l’esperienza del dottor Franz è quanto mai signi- ficativo per il problema che stiamo esaminando: un giovane, cui il dottor Franz diede la vista to- gliendogli la cataratta, posto dinnanzi a delle fi- . gure geometriche, ebbe a dichiarare «che queste | non sarebbero state affatto capaci di dargli l’ idea di un quadrato o di un circolo se egli non avesse percepita, sulla punta delle dita, la sensazione di ciò che ora vedeva come se toccasse realmente gli oggetti » (1). Riconosco perfettamente che tali allusioni e tali esempi hanno in fondo un valore puramente rela- tivo, in quanto altri esempi si potrebbero portare contro questi ed esempi forse di non minore va- lore. Così degno di nota, come argomentazione con- traria all'esperienza del dottor Franz, è indubbia- mente il caso di quel matematico Saunderson che riuscì a costruire, ci dice il Mach, un sistema geo- metrico intelligibile anche per chi vede, pure es- sendo nato e rimasto cieco. E su questo come su altri esempii si potrebbero svolgere considerazioni che potrebbero eventualmente portarci a conclu- (1) JAMES, op. cit., pag. 309. Il James lo riporta trattando dell’ immaginazione. | 158 La posizione gnoseologica della matematica sioni opposte a quelle cui sembrerebbe doversi necessariamente arrivare basandoci soltanto sulle prime da noi dianzi esposte (1). $ 17. La teoria del Poincaré sulla III dimen- sione. — Ben diverso risultato possiamo invece conseguire esaminando la questione della terza di- mensione nel pensiero dei matematici; innanzi tutto, per la più precisa impostazione del pro- blema; in secondo luogo perchè il problema me- desimo è da loro direttamente trattato e non sol- tanto incidentalmente com'è nei libri di psicologia e di fisiologia. Le osservazioni dei pensatori ma- tematici al riguardo hanno indubbiamente valore notevole per il rigore del procedimento. Decisive sarebbero, ove dovessimo accettarle senza obbie- zioni, le differenze che il Poincaré — per non pren- dere che l’esponente più insigne di tale corrente (1) Il caso del cieco nato Saunderson dà al Mach l’occasione di uscire in notevoli considerazioni inerenti al senso della vista nella nostra intuizione spaziale, ma esse soltanto molto indi- rettamente potrebbero riguardare il problema particolare che c’ interessa, e precisamente soltanto nei limiti dello spazio fisio- logico, che potrebbe avere attinenza con quanto sopra soltanto per mostrare se la terza dimensione debba in noi ritenersi alla stessa stregua delle altre, oppure se essa sia stata acquisita in seguito o comunque circoscritta soltanto ad alcuni organi di senso. Può in ogni modo interessare quanto la fisica, in senso rigoroso, pensi. sull’argomento. Il Mach ne tratta, per quanto io sappia, segnatamente in: La connaissance et l'erreur (cap. XXII, Le temps et l’espace en physique), Analisi delle sensazioni (cap. VI, Sensazioni spaziali nella vista; nonchè nei cap. IV, VII, X dello stesso libro), e inoltre in uno studio particolare: Sull’effetto fisiologico degli stimoli di luce distri- buiti nello spazio. Si troverà in tali svolgimenti anche una scelta bibliografia, per quanto limitata ai soli autori che il Mach combatte o sui quali si appoggia. Cap. IV. - La questione precedente ecc. 159 - — ha creduto di poter affermare fra la nostra na- turale intuizione spaziale e quella che serve di pre- supposto necessario alla geometria euclidea: e ciò non tanto riguardo alle particolarità dell’ omoge- neità e dell’isotropia che sono in questa e non sarebbero in quella, dato che esse mi sembrano di ben difficile determinazione, quanto nell’affer- mazione che il Poincaré non esita a fare riguardo alla pura e semplice convenzionalità, comodità — per usare la sua precisa parola — delle tre di- mensioni del nostro stesso spazio naturale. Noi abbiamo già con sufficiente ampiezza mo- strato come Kant e i filosofi che direttamente a Kant si riconnettono sull’argomento, ritengono essi medesimi indispensabile che, per il valore incon- dizionato della loro dottrina, la nostra intuizione dello spazio sia, appunto, a tre dimensioni: donde il valore grandissimo di tale teoria del Poincaré. Ma riesce egli nel suo scopo? Non mi pare. Da un punto di vista filosofico (idealistico) le sue acutissime considerazioni sullo spazio non presen- tano il minimo interesse specifico; non presentano cioè che quell’interesse generico che qualunque dottrina scientifica offre allo studioso; ma da tale dottrina esce illesa la teoria kantiana della natura aprioristica della nostra intuizione spaziale e del numero delle sue dimensioni. Precisiamo meglio. La dottrina del Poincaré sullo spazio è una nuova conferma — ove ce ne fosse stato bisogno — della sua mente straordi- nariamente aperta ad afferrare l’intima essenza delle cose e non già soltanto la loro veste appa- rente; dote questa — è dolorosa ma necessaria constatazione — che non è molto frequente negli scienziati, nemmeno fra i più insigni di essi: ma 160 La posizione gnoseologica della matematica essa dottrina ci rivela altresì una mediocrissima conoscenza del pensiero di Kant. Vediamo di esporre tale dottrina almeno nelle sue linee essenziali e sotto il suo aspetto partico- lare, veramente originale questo, del come sia sorta nella geometria euclidea la concezione di uno: spazio a tre dimensioni. Ponendosi nettamente il problema: che cosa in- tendiamo noi dire parlando di dimensioni dello spazio (1), il Poincaré vede la necessità di arrivare prima che al concetto di dimensione al concetto di divisione di un « continuo ». Che cosa si debba intendere per « continuo » fisico l'A. ha già mo- strato in « La Science et l’Hypotèse » e mostra nuovamente in «La Valeur de la Science »: pos- siamo avere l’idea di un continuo fisico tutte le volte che noi siamo capaci di distinguere due im- pressioni l’una dall’altra, senza che queste pos- sano alla loro volta essere distinte da una terza intermedia. Gli esempii sono numerosissimi in ogni nostra sensazione, ma per non uscire dal campo prescelto e per adottare l’esempio dell’A., pos- siamo pensare a due oggetti leggerissimi A, C, di cui il peso di A = 10 grammi, il peso di C = 12 grammi. Una mano un po’ esercitata può distin- guere che A è più leggiero di C; ma se noi pren- diamo un altro oggetto B che pesì 11 grammi, ecco che quella stessa mano non distinguerà B nè da A nè da C. Da cui si verrebbe a ricavare: A=B, B=C, A<C (1) Cfr. anche l’articolo del PoINcARÉ: L’espace et ses trois dimensions (Revue de méthaphysique et de morale, 1903, pag. 281-301, 407-429). Cap. IV. - La questione precedente ecc. 161. conclusione di cui è evidente l’assurdo. Nè miglior risultato noi avremmo se invece di fidarci della mano esercitata, adoperassimo la più perfezionata delle bilance. Si verrebbe pur sempre a conclu- dere in una contraddizione anche se i termini di essa sarebbero infinitamente più vicini che non 4 con B e B con C nell’esempio citato. Tale contraddizione è stata tolta con l’introdu- zione del continuo matematico, ed appunto per intendere questo ci siamo rifatti al continuo fisico : « C'est l’esprit seul » dice giustamente il Poincaré, che può risolvere la contraddizione medesima (1). Ma che cosa ha a che vedere con tutto ciò il numero delle dimensioni dello spazio? Innanzi tutto « che cosa vogliamo dire quando diciamo che un continuo matematico o un continuo fisico ha due o tre dimensioni ? » (2). Continuando nel- l'esempio citato e introdotta una distinzione non soltanto fra (A e C, ma anche fra Ae Be fra B e C contrariamente a quanto ha potuto rivelarci la sola. esperienza bruta, si potrà sempre consi- | derare una serie di elementi E; Fs...... . En, i quali siano fra A e Be tali che ciascuno di essi non sia distinguibile da quello immediatamente prece- dente o susseguente, così : A=H,, E, = Ea. seseo En = B . da cui risulta che l’assurdità della serie precedente non è stata in fondo che differita. Per venirne alla soluzione siamo perciò costretti a introdurre un nuovo elemento, puramente astratto questo e che il Poincaré chiama «la notion de coupure ». Tale (1) La Valeur de la Science, pag. 70. (2) Op. cit., pag. 70. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 11. 162 La posisione gnoseologica della matematica nozione, lo dice il suo stesso nome, ci permetterà di supporre che questa ininterrotta serie d’iden- tità parziali non sia: ciò ci permetterà di pren- dere in esame qualcuno degli elementi di C, cosa che non avremmo potuto fare continuando a ve- dere in C un continuo ininterrotto. Tali elementi che prendiamo ad esaminare potranno essere o tutti distinguibili gli uni dagli altri, o formare essi stessi uno o diversi continui. Tali elementi così arbitrariamente considerati sono appunto le « Coupures » del Poincaré: esaminiamo allora di nuovo con tale criterio arbitrariamente ottenuto il continuo C. La differente situazione creata ci permetterà di distinguere due nuovi casi, i quali passiamo ad esaminare, osservando però che gli elementi della serie E introdotti nel continuo €, continuano come prima a rispondere ai due requi- siti di appartenere tutti a C e che ciascuno di essi non è distinguibile da quello immediatamente sus- seguente o precedente. I due nuovi casi sotto i quali le « coupures » possono presentarcisi sono questi: 1° che esse siano tutte distinguibili da tutti gli elementi della serie Z; 2° che una di esse non sia distinguibile da uno degli elementi E. Nel primo caso C re- sterà sempre un continuo ininterrotto ; nel secondo C sarà diviso. Siamo venuti così a introdurre una nuova no- zione : quella di divisione. Essa, come già la « cou- pure », ci porterà ad esaminare due altri casì: 1° di considerare per divisione di un continuo delle « coupures » date da elementi tutti fra loro differenti e allora il continuo sarà a una.dimen- sione ; 2° di considerare per divisione di un con- tinuo che le « coupures » debbano alla loro volta Cap. IV. - La questione precedente ecc. 1630 formare esse stesse uno o più continui, e allora il continuo base sarà a più dimensioni. E ancora, ultima distinzione, se adottiamo que- st’ultima ipotesi (« coupures » di un continuo che formano altri continui) e i continui che ne risul- tano sono tutti a una dimensione, il continuo € sarà allora a due dimensioni, se invece i continui che ne risultano sono a due dimensioni, il con- tinuo C sarà a tre dimensioni (1). Come si vede tutta la teoria del Poincaré per ar- rivare al concetto di dimensione, è una successione di definizioni. È quindi necessario che, perchè esse siano accettate per lo svolgimento della sua tesi, corrispondano al procedimento per il quale nella geometria euclidea si è venuto introducendo il concetto dello spazio a tre dimensioni. Ed effetti- vamente la concezione è la stessa : le « coupures » in questo caso introdotte per la divisione dello spazio sono la superficie, la linea e il punto (2). Posta così la nozione di spazio, il Poincaré passa ad esaminare il caso specifico della terza dimen- sione in genere, non vedendo perchè mai si do- vrebbe attribuire valore diverso da quello di sem- plice convenzione utilitaria alla intuizione spaziale a tre dimensioni. Noi verremmo così a seguire l’A. in considerazioni e' constatazioni molto dotte, di . natura queste prevalentemente fisiologica, dalle quali si dovrebbe dedurre che, se il processo della (1) Ho cercato di esporre tale teoria del Poincaré il più bre- vemente e chiaramente che mi è stato possibile corredando incidentalmente la stessa (esposta in La Valeur de la Science, cap. III) con altri pensieri e concetti dallo stesso A. svolti in altre sue opere e segnatamente in Sc. Hyp. e in Science et Méthode. (2) Cfr. Porncaré, La Valeur de la Science, pag. 74 segg. ‘164 La posizione gnoseologica della matematica sensazione non si verificasse in noi nel modo noto, ecc. noi non avremmo già uno spazio a tre dimensioni, ma di un altro numero di dimensioni, numero variabile a seconda delle diverse ipotesi. $ 18. Critica della teoria precedente. — Tutte queste considerazioni del Poincaré sia per quello che riguarda la teoria della nozione di spazio, la quale abbiamo ritenuto opportuno di esporre in quanto essa presenta indubbiamente dei lati pro- fondamente originali; sia per quello che riguarda le deduzioni che egli crede di poterne trarre, per le quali rimandiamo alle sue opere ritenendole note nelle loro linee essenziali, cadono di fronte a una sola obbiezione (1) di una semplicità estrema, questa : tali argomentazioni avrebbero valore de- cisivo anche rispetto alla dottrina kantiana ed anche all’ idealismo gnoseologico — sotto questo aspetto convergenti — se l’una e l’altro non aves- sero già detto ciò; non avessero già dimostrato cioè che lo spazio è per essi la pura forma della sensibilità; non riguardare cioè esso in alcun modo la verità assoluta. Il venire a dirci, come fa il Bolis che ove in noi non si verificasse una certa sensazione di (1) L’obbiezione medesima ha naturalmente valore anche per la teoria del matematico francese riguardo alla nozione del tempo, che qui non abbiamo considerato per maggiore brevità e semplicità: la concezione idealistica del valore del giudizio matematico non ha nulla a soffrire di ciò; il tutto potrebbe facilmente essere esteso anche riguardo all’ intuizione tempo- rale, che non-presenta, da un punto di vista gnoseologico, al- cuna differenza essenziale con quella spaziale. In Sc. Hyp. il Poincaré conclude esplicitamente a un errore di Kant: meno esplicitamente, ma tuttavia in modo non dubbio. V. La Valeur de la Science, II. 4 Cap. IV. - La questione precedente eco. 165 convergenza in due sensazioni visive, che dovreb- bero in certo qual modo mantenersi separate e che tali specie di sensazioni di convergenza — l’espres- sione è fisiologicamente alquanto discutibile, ma ciò non conta per quanto andiamo osservando — sia a sua volta sempre accompagnata — l’espe- rienza almeno ce lo conferma — da una stessa sen- sazione di accomodamento, noi avremmo una intui- zione dello spazio non più a tre, ma a quattro di- mensioni (1), non intacca affatto Kant e quello che una corrente idealistica derivata dal criticismo kantiano hanno già posto chiaramente in luce da un pezzo : essere cioè l’intuizione dello spazio uni- camente inerente alla realtà come è in natura (sen- sibile) e non come dovrebbe essere (razionale). Certo un « dover essere » c’è già nella conoscenza sensibile, più ancora in qualunque percezione, e c’è già proprio per la funzione del tempo e dello spazio. Ma tale funzione ben lungi dal poterci dare il dover essere che appaghi la nostra ragione, si limita a far sentire al nostro pensiero il bisogno appunto di una più profonda sintesi verso una più definitiva realtà come Hegel ci ha mostrato. Contrariamente quindi a quanto il Poincaré stesso e molti suoi seguaci — come ad es. Luigi Rougier (2) — e non pochi fisiologi illustri che si | sono occupati direttamente della questione — come ad es. l’Helmholtz (3) —, la teoria del matematico (1) Cfr. La Valeur de la Science, pag. 90 segg. (2) L. Roucier, La Philosophie géométrique de H. Poin- caré, Paris, 1920. V. pure ad opera di diversi matematici di questa scuola (V. Volterra, I. Hadamard, P. Langevin, P. Bou- troux), il notevole volume: Henri Poincaré, LOCUUrE scienti- fique, l’oeuvre philosophique. (3) H. HeLMHOLTZ, Wissenschaftliche ina II, 166 La posizione gnoseologica della matematica francese segna al riguardo la prova che la scienza dà di una precedente speculazione filosofica, com'è d’altra parte logico che sia. Ma ciò non può au- torizzare alcuno a concludere che « tutto ciò che noi possiamo dire è che l’esperienza ci ha ap- preso che è comodo attribuire allo spazio tre di- mensioni ». La conclusione va bene al di là dei risultati ottenuti : basandoci rigorosamente su di essi noi possiamo, oggi, soltanto concludere che l’ intui- zione dello spazio a tre dimensioni è l’unica pos- sibile per l’uomo nel mondo nel quale esso vive. Per questo e nel primo capitolo e nel secondo non mi sono mai stancato di ripetere a sazietà che l’aritmetica e la geometria dovendo basarsi esclu- sivamente sulle forme proprie della conoscenza sensibile (tempo e spazio), non possono e non po- tranno mai assurgere alla ricerca della verità as- soluta, concezione questa che la metageometria contemporanea ha creduto essa di scoprire, mentre invece era già una constatazione da lungo tempo — da Kant — acquisita incrollabilmente. La reale importanza che la metageometria pre- senta per il filosofo, non già in quanto essa abbia originato il problema, ma certo in quanto ai ten- tativi di soluzione di questo ha portato notevole contributo, è unicamente questo : hanno le verità matematiche, condizionatamente alla conoscenza sensibile, valore universale e necessario? Tale problema si è appunto trattato specificatamente nel terzo capitolo: per la soluzione di esso ho creduto di poter prospettare la tesi di un tendere, di un divenire della matematica ad essere tale espressione — che è precisamente il suo « dover essere » — ma che, contrariamente a Kant, penso Cap. IV. - La questione precedente ecc. 167 che la matematica non ha ancora raggiunto e mai potrà raggiungere se non ritornando in certo qual modo sul cammino percorso, compiendo quell’opera di riflessione sull’ampia messe di risultati raccolti, senza preoccuparsi di estendere ancor più il pro- prio campo conoscitivo, il che non potrebbe fare se non introducendo ognor più nuovi postulati. In poche parole : limitando o per lo meno non esten- dendo il proprio dominio e preoccuparsi piuttosto di rafforzarlo, come in parte essa sta già facendo riguardo al calcolo infinitesimale (1). $ 19. La possibilità di più geometrie basantesi su di una stessa intuizione spaziale. — Perciò, anche se dovessimo rispondere affermativamente alla domanda postaci inerente all’essere o non la nostra intuizione « a priori » dello spazio a tre dimensioni, non per questo si dovrebbe dedurre essere la geometria euclidea la sola possibile (come vuole Kant), la sola incondizionatamente vera o, se si vuole, più vera di altre eventuali geometrie future esse pure basate su di uno spazio a tre dimensioni. (1) È quindi in linea di massima accettabilissima (da un punto di vista puramente gnoseologico,. bene inteso) quella teoria fisiologica del De Cyon, che vi siano cioè organismi il cui spazio sia a due od anche ad una dimensione. Ciò indi- pendentemente dalla giustezza dell’affermazione categorica del De Cyon che il numero delle dimensioni dello spazio corri- sponde esattamente al numero dei canali semicircolari dell’orga- nismo; affermazione che il Poincaré si preoccupa di combat- tere appoggiandosi alla teoria Mach-Delage. Ma questi ultimi sono particolari che in nessun modo possono interessare la questione dal punto .di vista gnoseologico: è importantissimo invece per noi porre in luce come il numero delle dimensioni dell’intuizione spaziale — dipenda esso numero da questo o da quello — è problema fisiologico. Modificate l’organismo e potrà essere modificata anche l’intuizione spaziale, quindi relatività in ogni nozione che con lo spazio ha a che fare. 168 La posizione gnoseologica della matematica Formuliamo nettamente il nuovo problema : si possono teoricamente ammettere due geometrie, entrambe a tre dimensioni e che pertanto differi- scono fra loro? Credo di sì. Le geometrie del — Riemann e del Lobatchefski poggiano l’una e l’altra su di un’intuizione spaziale a due dimen- sioni e pertanto differiscono così sensibilmente fra foro che alcune proposizioni della geometria del Riemann arrivano a conclusioni diverse da quelle del Lobachefski: nella geometria del primo ad es. la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di due angoli retti; nella geometria del secondo tale somma è invece minore di due angoli retti. Lo stesso dicasi anche per le verità assiomatiche : valga per tutte il postulato d’Euclide, posto dalla geometria del Riemann in modo tanto diverso da quello della geometria del Lobatchefski. Pertanto, senza andare troppo lontano in con- siderazioni puramente matematiche, noi possiamo a buon diritto affermare che non vediamo per quali ragioni noi non potremmo arrivare, in un avvenire più o meno prossimo, a concepire una geometria diversa dalla euclidea e tuttavia basata su di un presupposto spaziale a tre dimensioni. Che cosa questo ci porterebbe a concludere ? Ci porterebbe a concludere dell’esistenza in con- flitto di due diverse geometrie che si baserebbero entrambe su di uno spazio a tre dimensioni, dello stesso numero di dimensioni cioè su cui la nostra naturale intuizione spaziale è pure basata; ossia che quella ragione fondamentale che si era rico- nosciuta necessaria e non sufficiente per poter so- stenere incondizionata mente la dottrina matematica di Kant, in quanto essa sostiene che l’unica geo- metria possibile è per noi quella di Euclide — e Cap. IV. - La questione precedente ecc. 169 cioè l’identità del nostro spazio con quello euclideo — non ha più la stessa importanza perchè l’iden- tità medesima verrebbe eventualmente a sussistere con un terzo fattore, e — perchè no? — magari ‘con infiniti altri fattori, dato che non è nemmeno da escludersi che non una, ma infinite geometrie non euclidee si possano inventare su di una in- tuizione spaziale a tre dimensioni. Tutti elementi questi che ci porterebbero natu- ralmente ad affermazioni ben diverse, per risol- vere le quali, in omaggio al principio di contrad- dizione, saremmo costretti ad ammettere una differenza essenziale nei punti di partenza, dato che soltanto nelle differenze insite in essi noi po- tremmo trovare la spiegazione della diversità delle conseguenze dedottene. In tal caso quale di queste geometrie corrispon- derebbe a quella che secondo Kant sarebbe in certo qual modo innata in noi? Perchè mai proprio quella euclidea ? Confesso per conto mio di non vederne le ragioni. | Non ne vedo le ragioni appunto perchè i prin- cipii fondamentali sui quali la nostra geometria si basa non sono tutti spogli di ogni carattere ipotetico. Quest'ultima considerazione viene a chia- rire, credo ormai senza possibilità di equivoco, la grande importanza da me attribuita in tutto lo svolgimento di questo saggio, e segnatamente al cap. III, di una distinzione fra l’essere e il dover essere della matematica. Questo dover essere sol- tanto può rappresentare la verità universale e neces- saria del giudizio matematico — sia pure sempre condizionatamente alla conoscenza sensibile non fosse altro per la necessità della matematica di agire nel tempo e nello spazio — che Kant crede in- 170 La posizione gnoseologica della matematica vece si debba senz'altro ravvisare in esso. Questo valore universale e necessario non si deve invece vedere nel giudizio matematico se non quando ogni parvenza d’ipotesi sarà totalmente bandita dai suoi principii fondamentali; quando cioè ba- sandoci sulla terminologia qui adottata, tutte le proposizioni matematiche non saranno costituite che da assiomi o verità FIGOFOSARIONTO dedotte da - tali assiomi. Ma, poichè siamo obbligati a riconoscere un va- lore convenzionalmente ipotetico — e ciò contra- riamente a Kant e conformemente ai matematici. puri — nei postulati, quale ragione sufficiente pos- siamo noi avere per negare la possibilità di altre ipotesi che ci possano portare a conclusioni dif- ferenti, e ciò senza che le ipotesi medesime — chè allora il fatto già si è verificato nelle geo- metrie del Lobatchefski e del Riemann — abbiano bisogno di appoggiarsi su di un’intuizione spa- ziale non a tre dimensioni ? $ 20. Conclusione. — La trattazione del lato pu- ramente tecnico, matematico della questione, non deve peraltro portarci troppo lontani dal nostro punto di vista, che crediamo di poter ora con maggiore autorità di prima riassumere nel modo . seguente : a) Le proposizioni matematiche, comunque si possano considerare, non hanno importanza che per la conoscenza sensibile, ossia per una conoscenza che è qualitativamente inferiore a quella cui mira la nostra ragione. b) Le proposizioni matematiche sono basate su principii «a priori », e procedono prevalente- mente per intuizione. Cap. IV. - La questione precedente ecc. | 171 c) Le proposizioni matematiche tendono ad avere per bd) e condizionatamente per a) valore universale e necessario. Malgrado tale valore esse non abbiano ancora raggiunto, esse si possono pur sempre considerare come la più alta e sicura espressione della nostra conoscenza sensibile. d) La metageometria, ben lungi dal poter es- sere considerata come un ostacolo per l’idealismo gnoseologico, è una nuova conferma (d’altra parte non necessaria) del procedimento astratto della scienza tipica. per eccellenza. Inalterata resterà la posizione della metageometria al riguardo, qua- lunque potranno essere per l’avvenire le scoperte della metageometria medesima. Qualunque infatti possa essere il valore delle nostre considerazioni che ci hanno portati a queste conclusioni; più ancora, qualunque possano . es- sere i risultati che l’avvenire può riserbare alle più coraggiose indagini, l’interpretazione idealistica della matematica non può essere scossa. Restano come verità definitivamente acquisite al pensiero idealistico la necessità della fonte aprio- ristica di ogni cognizione che intenda veramente | esser tale e non subire a volta a volta le mutevoli influenze della fonte empirica. Resta la necessità, maggiormente posta in luce oggi dalla metageo- metria — che tutto sommato ha portato più ele- menti a favore che contro la dottrina dell’apriorità kantiana — che il tempo e lo spazio essendo forme conoscitive puramente condizionate alla nostra sen- sibilità, tutte le scienze particolari, che necessaria- mente su di esse debbono basarsi — le matematiche non escluse —, non possono darci altre verità se non quelle aventi valore relativamente a noi in quel momento ed in quel luogo. 1793 La posizione gnoseologica della matematica Non mi si fraintenda: in quest’ultima espres- sione non deve per nulla affatto figurare alcuna traccia dell’antico soggettivismo kantiano, dallo idealismo moderno definitivamente sepolto. Il re- lativismo della nostra conoscenza scientifica con- dizionata a quel momento e a quel luogo, è tale unicamente rispetto al sapere logico, al pensiero puro: per il soggetto conoscente è, nelle sue par- ticolari condizioni, l’unica verità. possibile, verità per lui sommamente obbiettiva; ma nello stesso modo come noi accettiamo per assoluta verità quanto noi sentiamo nel sogno, nell’illusione e nell’allucinazione: la differenza consiste soltanto nella possibilità o non del controllo sperimentale. Da queste conclusioni delle quali soltanto c) può essere passibile di discussione, possiamo dedurre che la nostra indagine conoscitiva non può limi- tarsi alle scienze, nemmeno alla più pura fra esse, ma sia necessario andare oltre queste nel tendere verso una verità incondizionatamente vera, verso quella verità qualitativamente superiore che Kant, indipendentemente dalla matematica, ci nega nel campo gnoseologico e ci dà nel campo morale. A Kant resta senza dubbio il merito massimo di aver rivolto la nostra attenzione sulla formazione e l’incalcolabile portata dell’attività sintetica della nostra intelligenza in ogni più semplice processo conoscitivo, e di aver additato quasi imperiosa- mente la via da seguire al susseguente idealismo; ma questo, insofferente dei limiti misteriosi ed opprimenti della cosa in sè, guida la ricerta del pensiero, sempre più sicuro di se stesso, sempre più audace, verso la più lontana méèta della cono- scenza razionale. APPENDICE (1) É una Comunicazione che tenni al V Congresso Inter- nazionale di Filosofia (Napoli, 5-9 maggio 1924). Credo oppor- tuno pubblicarla in fine al mio studio, perchè essa potrà forse essere di ausilio nei riguardi dell’interpretazione dei nume- rosi passi in cui accenno alla concezione della matematica nella filosofia di Kant. se Le note dell’ Appendice figurano anche nella Comunicazione: sono state però qui completate con riferimenti a questo volume.. ì Digitized by Google La dottrina matematica di Kant nell' interpretazione dei matematici moderni. Introduzione. — La discussione inerente alla conce- zione della matematica quale si può ricavare segnata- mente dalla « Critica » e dai « Prolegomeni » ha avuto in questi ultimi tempi una recrudescenza particolare: ciò, è doverosa constatazione più per merito dei mate- matici che per merito dei filosofi. Due sono gli aspetti fondamentali che è andata assu- mendo la polemica stessa: il primo, di data più antica, discende direttamente da Gauss e ha incontrato sempre più fortuna con la sicurezza dell’indimostrabilità del V postulato, la quale portata già a rigorosa concretezza nel ’”735 da Gerolamo Saccheri, passa con il Lobatchefski da pura e semplice constatazione negativa ad organica costruzione positiva. Questa corrente, sempre più per- fezionatasi sotto l’aspetto critico attraverso Riemann, Beltrami, Bonola, Poincaré e i suoi numerosi e valo- rosi seguaci, è venuta oggi a costituire, più che un in- dirizzo particolare, una nuova scienza: la metageometria. Un secondo aspetto — recentissimo — è rappresentato dalla riforma della logica matematica iniziatasi in Italia con il Peano (« Formulario matematico »), completata in Inghilterra dal Russel («The Principlesofmathematics»), seguita entusiasticamente in Francia dal Couturat (« Les principes des mathématiques »), ha trovato al suo nascere non pochi oppositori fra gli stessi matematici. Per mag- giore comodità e chiarezza chiamerò questo secondo 176 La posizione gnoseologica della matematica ’ indirizzo con la parola di logistica che il Couturat con- siglia e alla quale contemporaneamente a lui erano addi- venuti Itelson e Lalande, indizio che depone indubbia- mente a favore della bontà del vocabolo prescelto, come il Couturat stesso ebbe a constatare al Congresso di Ginevra (1904). * * * Questi sono i due aspetti fondamentali che ha assunto la polemica contro la concezione matematica nella dot- trina kantiana. Vi sono però matematici — e sono la maggior parte — che senza rientrare direttamente nè nell’una nè nell’altra corrente — in quanto non hanno assunto nei riguardi della metageometria una posizione decisa, e mostrano una certa diffidenza per la logistica — si trovano in ogni modo d’accordo nella critica dei principii kantiani, condizionatamente almeno alla loro disciplina. Per meglio intendersi posso specificare che uno di questi matematici è lo Young. Nella traduzione italiana della sua opera «I concetti fondamentali del- l’algebra e della geometria », per quanto essa sia ricca di osservazioni acute e miniera inesauribile di dati bi- bliografici, a pag. 61-63 si allude alla dottrina matema- tica kantiana in modo che non si può fare diversamente di chiamare ..... ameno. Nè fra gli Italiani è da dimen- ticarsi lo stesso Vailati, studioso pertanto di non dubbia dottrina, che non soltanto — sempre nei riguardi di Kant — peccò nell’interpretazione, ma anche nella forma in quanto uscì pure in espressioni non corrette a riguardo del maestro e dei neo kantiani, ai quali poi — non so proprio con quale fondamento — attribuisce di essere i dominatori nella filosofia ufficiale dei varii paesi, plau- dendo perciò al Couturat che contro tale indirizzo seppe assumere, almeno in Francia, posizione di attacco (1). (1) Scritti, pag. 709, 727, ecc. Appendice 177 Malgrado il Vailati le «oche del Campidoglio kantiano » . non accennano a diminuire sopratutto nei riguardi della sua allusione all’articolo del Couturat su « La Philo- sophie des mathématiques de Kant» pubblicata sulla « Reyue de Métaphysique » nel 1904 a commemorazione del centenario della morte del filosofo tedesco. Un esame un po’ più particolareggiato, breve quanto si vuole, è qui necessario. Metageometria. — Per quanto ha attinenza alla me- tageometria la polemica si appunta fondamentalmente sull’intuizione dello spazio, e, dovendo, per esigenza di tempo, restringere al massimo questi appunti, si può precisare meglio limitando la questione medesima alle tre dimensioni dello spazio, che effettivamente Kant pone come insindacabili, quasi non vi fosse già ai suoi tempi la questione ad esse dimensioni inerente. Un | punto ci rivela esplicitamente il pensiero di Kant al riguardo: lo troviamo nei « Prolegomeni » ($ 12); in quel paragrafo cioè che nelle intenzioni di Kant avrebbe do- vuto avere ben più modesta funzione che non quella che venne ad assumere in seguito con le decisive affer- mazioni della metageometria e col nuovo carattere as- sunto dalla questione delle dimensioni dello spazic. Il $ 12 non era altro infatti, nel conseguente sviluppo della dottrina kantiana, che l’enunciazione di esempi a con- ferma della parte teorica esposta nei paragrafi prece- denti, del carattere « a priori » dell’intuizione dello spazio, nello stesso modo come il $ 13 non ci darà altro che esempi a conferma della funzione puramente for- male dello spazio medesimo. Tale $ 12 può invece essere oggi considerato nei ri- guardi della metageometria come il più controverso: dice Kant « che lo spazio perfetto (quello che non è più sol- tanto il limite di un altro spazio) abbia tre dimensioni e che lo spazio in genere non possa averne di più si fonda sulla proposizione che in un dato punto possono tagliarsi ad angolo retto tre sole rette ». In altre pa- G. E. BaRIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 12. 178 La posizione gnoseologica della matematica role: lo spazio nostro ha tre dimensioni e tale consta- tazione noi la possiamo fare soltanto basandoci su di un principio «a priori ». L'affermazione è esplicita e non può dar luogo a du- plice interpretazione : è questo uno dei punti in cui Kant rivela più palesemente la sua imperfetta conoscenza delle matematiche, imperfetta conoscenza che si è d’altra parte a più riprese esagerata, e che in modo molto più significativo possiamo riscontrare in altri filosofi che si “sono interessati di matematica senza che pertanto siano incorsi nelle ire dei tecnici. Certo però non è passibile di giustificazione che Kant così poco sapesse di Lambert di non essersi ricordato di lui quando scriveva, con assoluta tranquillità, le poche righe sopra riportate. Soltanto, se il punto di partenza delle obiezioni dei matematici è giusto, sono errate le conseguenze ultime. Kant si limita a dirci che lo spazio nei suoi rapporti con la nostra sensibilità ha tre dimensioni, il che non vuol dire che non si possano artificiosamente costruire tanti spazi a tante dimensioni quante si vogliono. La metageometria non ha perciò portato alcun colpo mor- tale alla dottrina kantiana dello spazio, non già soltanto nei riguardi della sua apriorità considerata in senso ge- nerico, ma nemmeno nel punto particolare del numero delle dimensioni di esso spazio. Un colpo grave sarebbe stato invece se si fosse dimostrato che è falso che l’in- tuizione spaziale propria di qualunque processo cono- scitivo umano non è a tre dimensioni, o, se possibile, pur essendo a tre dimensioni, queste non sono quelle della geometria euclidea. La questione si presenta sotto due aspetti : 1° psico-fisiologico; 20 geometrico. Soltanto nell’intima collaborazione di essi credo la questione stessa possa avviarsi ad una soluzione: fino ad ora tale collaborazione non solo non si è ottenuta, ma psicologi e matematici non si sono ben compresi reciprocamente. Troppo indeterminati i primi (Berkeley, Appendice 179 James, Mach); più determinati ma troppo categorici ed esclusivisti i secondi. Uno sforzo notevole al riguardo lo troviamo nel Poincaré (1), sforzo che avrebbe avuto più ricchi risultati se il Poincaré stesso non fosse stato influenzato egli pure dalla convinzione dell’assoluta con- venzionalità dell’intuizione spaziale nella geometria euclidea. Così la dotta esposizione del Poincaré non dice nulla di nuovo al filosofo, non significa nulla, in questo caso, alla critica della dottrina di Kant sulle tre dimensioni della nostra intuizione spaziale, appunto perchè Kanto non si stanca mai di ripetere che le sue forme intuizio- nistiche della conoscenza riguardano soltanto il mondo fenomenico non quello delle cosè in sè. La questione resta pertanto immutata, resta in tutta la sua intensità dubitativa: è l’ intuizione spaziale della sensibilità umana a tre dimensioni? Ciò ammesso, è dessa identica a quella della geometria euclidea? Que- | stioni che la metageometria non ha sotto il primo aspetto nemmeno affrontato, mentre sotto il secondo si è limi- tata ad accennare vagamente ad alcune prerogative (omogeneità, ecc.) che figurano nello spazio geometrico e che non figurano in quello — mi si passi la parola — reale (2). (1) La Valeur de la Science, Cap. III, IV, nonchè in Revue de Méth., 1903, pag. 281-301 e pag. 407-429. (2) Cfr. ad esempio la critica alla teoria del De Cyon secondo il quale ciascun organismo avrebbe l’intuizione dello spazio a tante dimensioni quanti sono i canali semi-circolari. In essa si palesa — non espressamente ma non per questo meno chiara- mente — la tendenza del Poincaré a considerare tale tesi come essenzialmente paradossale. Anche se la teoria del De Cyon è troppo categorica, nessun filosofo avrebbe a meravigliarsi che, in senso più generico, l’intuizione spaziale variasse nel numero delle sue dimensioni a seconda delle diverse strutture orga- niche. Ove ciò si potesse dimostrare, porterebbe senza dubbio un colpo rude alla dottrina dall’incondizionato convenzionalismo, mentre lascerebbe immutato il valore dell’ « a priori » kantiano. Cfr. questo volume, Cap. IV, $ 19, pag. 167 (nota). 180 La posizione gnoseologica della matematica Indubbiamente la metageometria è destinata a dire l’ultima parola al riguardo: per questo essa costituisce a mio modo di vedere un indirizzo di' capitale impor- tanza per il filosofo; anche in tal campo può manife- starsi l’azione unificatrice della filosofia nei riguardi delle scienze particolari; sarà compito precipuo del filo- sofo stabilire quella sintesi fra le argomentazioni della psicologia e quella della geometria, che sola potrà av- viarci sulla strada della soluzione del problema, fino ad ora esaminato soltanto sotto il punto di vista partico- lare di questa o di quella scienza. Nei riguardi di Kantessa rifletterebbe specificatamente, come si è accennato, il significato del suo «a priori ». Fondamento dei principii della geometria verrebbe ad essere in ogni modo non già l’ esperienza — e quindi l’empirismo non avrebbe nulla a guadagnarci — ma un «a priori » convenzionale ben diverso da quello kantiano che sarebbe il solo « a priori » possibile per la nostra sensibilità e non soltanto il più comodo: l’innatezza cioè contrapposta alla convenzionalità. Logistica. — Un più vasto campo d’azione contro la dottrina matematica kantiana ci è offerto dalla logistica: mentre in fondo la metageometria, anche intesa come da alcuni si vuole, non porterebbe che a scalzare l’aprio- rità della nostra intuizione spaziale, la logistica mira anche a intaccare il punto essenziale del procedimento della conoscenza matematica: l'intuizione. Gli assertori della logistica sostengono infatti che ‘ nella matematica figurano soltanto l’ipotesi e il proce- dimento logico facendo loro l’espressione del più strenuo collaboratore del Peano, il Pieri, che la matematica pura è un «sistema ipotetico deduttivo ». Crede di poter con sicurezza affermare la logistica che per poter am- mettere un procedimento puramente logico nella mate- matica è necessario non tanto riformare questa quanto riformare la logica tradizionale, che siamo abituati a considerare come qualche cosa di necessariamente sta- Appendice ” 181 . tico, immutabile nelle sue verità, mentre è invece essa pure passibile di modificazioni e di perfezionamenti, come qualunque altra attività del pensiero. Pare impos- sibile, nota il Couturat, e con lui altri matematici di opposto indirizzo nei riguardi dell’intuizione (es, P. Bou- troux), si sia aspettato fino al secolo XIX ad accorgersi della insufficienza logica dei principii logici universal- mente ammessi. Ciò constatato la logistica ci fornisce una serie di principii fondamentali da sostituire a quelli della logica formale, i quali ultimi si accentrano intorno al principio di contraddizione, d’identità e del terzo escluso. Questi principii fondamentali della tradizione logica hanno indubbiamente — ammette la logistica — dei pregi e ciò spiega, se non giustifica, come essi abbiano po- tuto essere per tanto tempo incondizionati dominatori; inoltre essi rappresentano al più alto grado il vantaggio di essere poco numerosi e di offrire l’illusione di poter essere alla loro volta ridotti, tanto che da alcuni si obbligò il solo principio di contraddizione a portare tutto il peso della logica formale. Soltanto, per la logistica i principii stessì presentano l'inconveniente fondamentale di non essere... principii. Lo stesso gran principio di contraddizione — notano il Russell e il Couturat — presuppone la definizione della negazione. In questo senso si è resa necessaria la ri- forma della logica nel secolo XIX e infine l’afferma- zione della sua espressione più completa nella logistica. Andrei troppo lontano dal limitatissimo scopo prefis- somi esponendo qui i principii della logica-matematica in tal modo intesa, sufficienti di per se stessi a darci tutto l’edificio matematico, senza ricorrere a nessun altro elemento che non sia quello della deduzione delle verità particolari da queste verità generali, e, partico- larmente per quanto c’interessa, senza ricorrere all’in- tuizione. Senza dubbio è vero quanto i matematici rimprove- rano alla logica di essersi arenata per secoli in quis- 182 La posizione gnoseologica della matematica quilie, distinzioni e suddistinzioni nell’ interpretazione di Aristotele, vedendo soltanto nel procedimento logico da lui adottato la forma di ogni sapere che aspirasse effettivamente ad essere scienza in senso rigoroso e non soltanto conoscenza relativa e provvisoria. Mantenuta in questi limiti l'osservazione è perfettamente giusta, ma in questi limiti essa è accettata da qualunque uomo di buon senso. Coloro che trovano perfettamente natu- rale l'eventuale meraviglia di quelli che sono portati a constatare che soltanto nel secolo XIX ci si sia accorti che qualche cosa si poteva riformare nella logica ari- stotelico-scolastica, rivelano con questo implicitamente di credere che proprio fino al declinare del 1800 tale logica aristotelico-scolastica sia rimasta sola e incon- trastala padrona. Ma questo non è, e non è precisamente per merito di quell’indagine filosofica che si cercherebbe di paragonare in certo qual modo a dell’acqua stagnante: non è per merito particolare di quel Kant (« Proleg. », $ 39) contro il quale principalmente sono rivolte le critiche della logistica. Reputo quindi del tutto arbitrario l’attribuire quasi esclusivamente — e secondo non pochi, esclusi- vamente — ai matematici l’onore di aver battuto una nuova strada nel procedimento logico — chè qui le strade non possono essere che due, le vecchie due — ma certo si può riconoscere avere essi aggiunto qualche cosa a complemento di tali due antiche strade, l’analitica e la sintetica. Soltanto, queste nuove, recenti modificazioni — e ciò sia detto non soltanto dell’indirizzo logistico, ma di tutta la matematica — non sono così determi- . nanti nei rapporti fra la logica e la matematica come normalmente si crede dai matematici o per lo meno dai matematici logici, intendendo alludere con tale espres- sione a quella scuola che pretende escludere l’intuizione dal procedimento conoscitivo della matematica. Il pre- tendere di rivoluzionare la logica equivale al preten- dere di cambiare il nostro pensiero che si è creato la logica: esso può andare assumendo nuovi e più com- Appendice 183 plessi atteggiamenti che richiedono un perfezionamento dei suoi elementi formali, ma questi non possono essere sostituiti da altri, i quali, perchè si verifichi vera rivo- luzione, non potranno che essere incompatibili con i primi. Per questo credo non si debba fare altro quando si parla di riforma della logica — in qualunque caso — che tenere presente che la riforma stessa non può signi- ficare se non perfezionamento del metodo sintetico o di quello analitico o di entrambi; ma non mai intendere esclusione di uno di tali metodi o aggiunta ad essi di un qualsiasi altro elemento. Se si accettano questi punti fondamentali credo che malgrado la logistica si debba ammettere oggi come ieri l'intuizione come base essenziale del procedimento ma- tematico. Ho voluto specificare « malgrado la logistica » perchè è soltanto questa corrente che tende ad abbat- tere completamente senza alcuna speranza di appello la dottrina matematica di Kant: l’intuizione è infatti an- cora oggi ammessa come condizione indispensabile per poter proseguire tanto in aritmetica quanto — e più sensibilmente, direi — in geometria, da matematici non certo sospetti di superficialità o di « divagazioni meta- fisiche » a detrimento — la metafisica ha spalle robuste e può sopportare tutte le accuse — del rigoroso proce- dimento proprio delle scienze esatte: basterebbe al ri- guardo citare il Poincaré e Pietro Boutroux. Specifichiamo bene questo punto: possiamo notare che tutti i matematici hanno qualche cosa da rimproverare a Kant. Innanzi tutto egli ha avuto l’ardire di parlare, e ripetutamente, della matematica senza essere un ma- tematico, e questo non è facilmente perdonato dai tec-. nici. In secondo luogo Kant non dimostra sempre di avere una conoscenza profonda della materia che tratta: quali possano essere i suoi meriti, è tuttavia necessario ammettere questo. Era forse troppo filosofo per poter essere anche qualche cosa d’altro! Egli non ha, è vero, lasciatoin matematica alcuna traccia; nonè un Descartes 184 La posizione gnoseologica della matematica o un Leibniz, ma anche le sue pretese sono al riguardo quanto mai modeste. Egli si limita in fondo a dirci che: a) i principii fondamentali della matematica sono « a priori »; b) i giudizi matematici sono sintetici; c) la matematica procede per intuizione. È bene inoltre ricordare che tali modeste pretese non sono da Kant prospettate volendo trattare specificata- mente del problema della matematica, ma soltanto indi- rettamente viene a parlare di essa come avrebbe potuto fare con qualunque altra scienza particolare: certo, essa ha una superiorità sulle altre discipline in quanto si presenta sotto un aspetto rigorosamente organico e le sue proposizioni significano verità e serietà che non pos- sono essere poste in dubbio da alcuno contrariamente di quello che si può constatare nell’indeterminatissima metafisica. Essa non rappresenta cioè nella teoria kan- tiana del giudizio sintetico « a priori » che un esempio — il più efficace se si vuole — ma pur sempre semplice esempio, come un altro ci vien dato dal problema ine- rente alla fisica pura. Ora, mentre i matematici in generale, pure non accet- tando integralmente questi tre punti essenziali della dottrina matematica kantiana, tuttavia non li respin- gono in blocco, possiamo invece notare che questo si verifica nei riguardi della logistica. L’azione più fortemente demolitrice di questa rispetto a Kant verte sul terzo punto fondamentale della dot- trina matematica di questi, voglio dire sul procedimento intuizionistico. Per questo fu da me trattato per primo e per questo possiamo qui concludere che malgrado le argomentazioni portate dalla logistica medesima, l’in- tuizione nel processo matematico si mantiene in tutta la sua importanza proprio per quelle stesse ragioni ac- campate da Kant. Il vecchio esempio della « Critica » per il quale se un filosofo si mette ad esaminare il con- cetto di triangolo, pure avendo lo stesso filosofo già chiaramente fissato il concetto di punto, di linea, di Appendice 185 spazio, ecc., non potrà mai venire a capo di nulla ba- sandosi su tali concetti e da essi argomentando esclu- sivamente per via rigidamente logica (analisi e sintesi), | rimane in tutta la sua efficacia: « egli potrà riflettere fin che vuole su questo concetto (del triangolo) non ne tirerà fuori niente di nuovo ». Di conseguenza rimane pure in tutta la sua efficacia detto esempio esteso al differente contegno che di fronte al concetto di triangolo assumerà il geometra: questi comincerà innanzi tutto a « costruire » un triangolo, e questo sarà il primo punto differenziale (le matematiche agiscono sempre su « costruzioni di concetti » e non su concetti). « Proleg. », $ 20. Inoltre, sapendo che due angoli retti presi insieme equivalgono... ecc., prolungherà « un lato del suo trian- golo, ottenendo così due angoli contigui che sono uguali a due angoli retti » e così di seguito. Egli arriverà così alla conclusione per una serie di ragionamenti, ma « sempre sorretto dalla intuizione ». Soltanto per questa differenza di procedimento, pura- mente logico nel primo caso, logico-intuizionistico nel secondo, si potrà arrivare a determinare che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti. Io domando questo soltanto: è vero che si può notare quesia differenza di procedimento ? Ciò ammesso, è vero che nel procedimento del geometra figura un elemento in più che in quello del filosofo ? Ciò ammesso, che cosa è questo elemento in più ? Non è forse desso l’intuizione, o se non volete chiamarlo intuizione, chiamatelo pure come volete purchè non si voglia far rientrare questo elemento in più, ossia questa nuova attività del pen- siero che si aggiunge all’altra puramente logica del filo- sofo e che per questo suo aggiungersi la deforma nella sua purezza, purchè non si voglia far rientrare anche questo nuovo elemento — dicevo — nel campo della lo- gica in senso stretto. È soltanto in virtù di questo in più deformatore che la scienza può proseguire; la logica perfeziona una scienza, ma non vi aggiunge nulla di 186 La posizione gnoseologica della matematica nuovo; la sua azione si limita ad essere puramente for- male, esempio tipico il sillogismo. * * * Lo stesso -possiamo osservare nei riguardi del carat- tere sintetico del giudizio matematico, con la constata- zione però che le critiche alla dottrina di Kant hanno qui un’estensione maggiore in quanto sono condivise da non pochi matematici che pure ammettono l’ intui- zione. Innanzi tutto, adottando la terminologia kantiana possiamo osservare nei riguardi della logistica che poichè il giudizio matematico è basato su altri principii e non soltanto su quello di contraddizione, perciò stesso il giudizio matematico non può essere che sintetico. È vero, la terminologia di Kant è in merito alquanto in- felice; ma ciò avrebbe importanza se egli avesse voluto darci un dizionario filosofico o porre comunque le basi di quel linguaggio internazionale psichico-logico da adottarsi universalmente in tutte le relazioni fra gli uomini e segnatamente negli scambi di vedute fra gli studiosi dei diversi paesi per meglio comprendersi, 0, per lo meno, per non fraintendersi; ma questo non può avere invece che ben relativa importanza nell’opera kantiana in quanto egli si limita onestamente a dirci: per giudizio analitico intendo questo, e per giudizio sin- tetico quest’altro (1). In ogni modo la non felice scelta della terminologia kantiana — e non soltanto in questo caso — è stata già rilevata da tempo e da molti filosofi: (1) Sono quindi perfettamente del parere del Couturat (La philosophie des Math. de K. in Revue de Méth., 1904, pag. 347), che « la distinction des jugements analytiques et synthétiques était singuliérement vague et flottante dans l’esprit méme de son auteur », ma credo pure che questo non ha importanza per togliere valore all’affermazione che i giudizi matematici sono sintetici, ma tutto al più che gli esempii da Kant portati come analitici sono essi pure sintetici: Es. (a-+-b) > a. (Cfr. questo volume, Cap. III, $ 13). Appendice 187 tanto per citarne uno da Ausonio Franchi in « La teo- rica del giudizio ». Come è stato pure notato d’altronde, in tesi ancor più generale, che ogni giudizio non può in fondo essere altro che sintetico (Martinetti). E anche questo fu rilevato da filosofi nel senso più rigido della parola senza che si fosse sentito il bisogno di ricorrere ai lumi delle scienze particolari. Ma, indipendentemente da ogni considerazione sul si- gnificato di « analitico » e di « sintetico » possiamo anche qui osservare che rimane come nel caso precedente che il famoso esempio kantiano esprime benissimo la sin- tesi insita nel giudizio matematico. Se noi abbiamo 7-+-5 non possiamo che per un’operazione sintetizzatrice del | nostro pensiero determinare il numero 12. La ragione del carattere sintetico del 12 in questo caso non dob- biamo ricercarla con argomentazioni rigorosamente scientifiche, ma unicamente pensando che un individuo immaginario qualsiasi che nulla sa di aritmetica, che non è nemmeno del nostro mondo, ove si trovi di fronte a due categorie di oggetti (7 della prima e 5 della se- conda) non gli viene fatto certo di pensare a un numero solo che unisca i singoli componenti delle due categorie: nello stesso modo se noi parliamo a un altro individuo della stessa specie degli elementi che compongono un oggetto qualsiasi, ad es., una sedia, esso potrà sommare gambe, sedile e spalliera fin che vuole, non gli riuscirà mai di ricavarne la sedia se non ricorrendo a qualche cosa che non fa parte degli elementi medesimi e che ne costituisce precisamente la loro sintesi. Considerazioni generali. — Aspetto più generico viene ad assumere il problema dell’« a priori ». Nei tre punti da me posti come base essenziale della dottrina matematica di Kant si nota cioè, nell’ordine, una sempre maggiore estensione della critica: pochi matematici (la 188 La posisione gnoseologioa della matematica logistica) non ammettono l’intuizione per poter prose- guire nella matematica; molti non ammettono il carat- tere esclusivamente sintetico dei suoi giudizii; tutti non ammettono l’« a priori » dei suoi principii come Kant l’intende, ossia un « a priori » che significa in altre pa- rale innatezza e inconcepibilità del contrario (bene in- teso sempre ricordando che l’inconcepibilità stessa non è considerata da Kant che condizionatamente alla nostra sensibilità). Si è già accennato a questo «a priori » nei riguardi della terza dimensione dello spazio alludendo alla polemica intorno al V postulato di Euclide e alla scienza metageometrica derivatane. Qui non posso fare altro che completare le conside- razioni medesime estendendole a tutto il complesso del- l’«a priori » matematico e non già limitandolo soltanto alla terza dimensione dello spazio. Non credo cioò si possa qui dare, con tutta la buona volontà possibile, incondizionatamente ragione a Kant. Se al nostro pen- siero ripugna di ammettere che i principii fondamentali della matematica (definizioni, assiomi e postulati) non ‘ siano altro che frutto di puri e semplici artifici conven- zionali intervenuti quasi per tacito accordo fra i mate- matici — cosa che, di qualunque abilità dialettica ed erudizione sì possa fare sfoggio, non potrebbe portare che alla negazione della matematica stessa, che non verrebbe ad essere altro che un’ immensa illusione — ciò non pertanto non si può ammettere che tutti questi principii fondamentali siano in noi talmente radicati da poter essere considerati evidentissimi anche per chi non è addentro nelle cose di tale scienza. In altre parole mentre se noi diciamo che A è uguale ad 4 stabiliamo un principio che non può assolutamente non essere con- siderato evidente da tutti, non credo si debba ammet- tere senz'altro come verità di cui debba considerarsi inconcepibile il contrario, viceversa proposizioni come quella che una retta può prolungarsi all’infinito (come sostiene Kant, « Proleg. », $ 12, alludendo evidentemente, sia pure in modo incompleto, al II postulato di Euclide), 2700, e RISE E Appendice 189 nè il postulato delle parallele, nè, tanto per brevemente intenderci, i postulati propriamente detti, intendendo con ciò distinguerli, come d’altronde aveva intuito Eu- clide, dagli assiomi. L’« a priori » kantiano difetta di un tale criterio dif- ferenziale e la ragione di tale mancanza credo proprio debba ricercarsi nell’insufficienza della sua coltura tec- nica dirò, della matematica. Ciò non ne infirma cioè la dottrina considerata nel suo complesso: si può rimpro- verare a lui l’esclusione dei principii fondamentali « a priori » della matematica, ad es. che il tutto è maggiore © della sua parte, che è proprio il IV assioma di Euclide; ma anche questo è un particolare. Kant vide erronea- mente in tale giudizio un carattere puramente anali- tico e gli sembrò che ciò potesse infirmare la sua teoria del giudizio sintetico della matematica, mentre nel giu- dizio stesso possiamo sì ammettere una comparazione, ma non saprei proprio come vederci un’analisi, mentre non sarebbe affatto difficile stabilirne il carattere sin- tetico proprio con le stesse argomentazioni dell'esempio del 7+5=12. Più ancora, Kant si preoccupò forse troppo d’indicare come principii «a priori » della ma- tematica, principii particolari ad essa esclusivamente suoi proprii, ciò che lo portò a rifuggire da quei prin- cipii generalissimi che invece proprio soltanto essi sono «a priori » in quanto nozioni comuni a tutti gli uomini e dei quali effettivamente non possiamo concepire il contrario. Ma, ripeto, questi sono particolari tecnici che non in- taccano il gran valore del complesso della dottrina del- l’« a priori » mirante a dirci che anche in quelle scienze particolari che noi siamo abituati a considerare come le più sicure, figura un elemento che è insito nella nostra stessa coscienza, e che anzi è soltanto in virtù di questo elemento che noi possiamo conoscere, che noi possiamo raggiungere quel sapere, non destinato a mutare ad ogni soffiar di vento, come sarebbe invece se soltanto dal mondo esterno noi dovessimo ricavare le nostre nozioni. 190. La posizione gnoseologica della matematica ° n'a Mi sono forse dilungato un po’ troppo, e non voglio abusare oltre della pazienza cortese del Congresso. Una sola osservazione per quanto riguarda i rapporti fra Kant e i matematici considerati nel loro complesso senza alcuna distinzione di scuola o d’altro. Nello studio delle matematiche che ho ripreso da qualche anno, perchè ne ho veduta l’indispensabilità per il filosofo, ho trovato un punto sul quale tutti i matematici si trovano d’ac- cordo: è nel parlare con eccessiva disinvoltura di Kant. Scusatemi l’espressione, ma non ho saputo trovarne altra più corretta; forse, la profonda venerazione per il grande maestro mi ha presa la mano; ma confesso che alcune volte non ho potuto fare a meno di restare stupefatto di fronte a giudizii affrettati che non fanno: altro, molto spesso, che porre nettamente in luce che esistono divarii molto più sensibili fra questo e quel matematico, che fra i matematici e Kant. Il Poincaré è più vicino a Kant che al Vailati: il Boutroux è più vi- cino a Kant che al Couturat e al Russel. Sembrerà questo eccessivo semplicismo, ma appunto per consoli- dare alquanto la mia coltura tecnica della matematica — troppo recente per poter essere molto robusta — mi limito a chiudere con una domanda: perchè questa gara fra i più belli ingegni matematici di tutti i paesi da Gauss ai giorni nostri, ad assumere posizione d’attacco contro la filosofia kantiana, proprio contro quella filo- sofia cioè che ha portato a un così alto grado di nobiltà la vostra disciplina ? INDICE DEI NOMI Agostino, 39. Apollonio, 95. Archimede, 95, 124, 143. Aristotele, 55, 87, 106, 182. Arrighi, 32. Avenarius, 87. Bacone F., 34, 35. Barbarin, 105. Bartholin E., 17. Baynes Th. Spencer, 54. Beltrami, 105. Benzoni R., 36, 63. Berkeley, 156, 178. Boccardini, 120. Bonola R., 120, 175. Boole G., 54. Borel E., 136, 145. Bonasse, 32. Boutroux P., 12, 16, 28, 71, 85, 125, 136, 165, 181. Bouty E., 32. Boyle, 35. Brugia R., 14. Brunschvicg L., 28, 32, 70, 88, 95. Burali-Forti C., 54, 58. Canton, 122. Cantor, 12. Capelli, 32. Chasles, 105. Chisini, 17. Combeirac, 62. Comte, 128. Condillac, 76. Croce B., 85. Couturat, 11, 12, 53; 55, 58, 76, 92, 95, 115-116, 126, 175, 181, 190. D’Alembert, 107. De Contenson, 144. De Cyon, 167, 179. Delage, 167. Delègue, 144. Del Re, 145. De Morgan E. A., 51, 54. Descartes, 15, 17, 25, 29-30, 34 segg., 42, 47, 82, 96, 116, 152, 183. Duhamel, 51. Duhem, 32. Elliott C., 144. Engel F., 119, 121. Enriques F., 17, 21, 58, 71,87, 92, 106, 120, 122, 124. Euclide, 18, 89, 94, 95, 100, 117-118, 120 segg., 144, 150, 154, 167 segg., 175, 189. Eulero, 81, 104. 199 Indice dei nomi Fazzari, 12. Fechner G. Th., 152. Fermat, 104. Fichte, 41, 46, 108. Fink, 12. Fischer K., 43. Fouillée, 101, 141. Franchi A., 44, 126. Franklin, 34. Franz, 157. Frege, 54, 58. Galilei, 34, 140. Gambioli, 12. Gauss, 119, 175. Gergonne, 19, 21, 125. Gou, 12. Grassmann, 54. Gregory D., 54. Hadamard, 165. Halsted, 119. Heath, 13, 124. Hegel, 46, 165. Hermite C., 25. Helmholtz H., 114, 148, 165. Hilbert, 18, 119. Hobbes, 87. Hotel, 122. Humboldt G., 44. Hume, 9, 32 segg., 69, 110 segg. Itelson, 176. James W., 36, 75, 156-157,179. Janet P., 77. Jevons W. Stanley, 51, 54. Kant, 8 segg., 15, 23, 26, 32 segg., 39, 41-42, 44, 49, 51, 56, 63, 64, 65, 68 segg., 82, 84 segg., 89, 93, 98, 101 segg., 105, 110 segg., 126 segg., 146 segg., 159, 169, Appendice. Karpinski, 12. Lalande, 176. Lambert, 119, 178. Lange, 65. Langevin, 165. Laplage P. S., 104. Lavoisier, 131. Legendre, 119. Leibniz, 8, 34-36, 54, 56, 58, 76, 82 segg., 87, 92 segg., 99,102, 104, 122, 143, 184. Liard L., 54. Lobatchefski, 107, 121, 151, 168 segg., 175. Locke, 9, 64, 92, 122. Loria, 13, 119, 122. Mac-Leod, 105. Mach, 26, 53, 73 segg., 82, 87, - 93, 94, 158, 167. Maroger, 144. Martinetti, 44, 64,106,111,134, 447-148, 155, 187. Masci F., 116, 118. Maurolico Fr., 69-70. Milhaud G., 28, 32, 122. Mill J. Stuart, 67 ‘segg. Miller, 12, Mitcheli V. G., 12. Miinsterberg H., 152. Nesselmann G. H. F., 13. Newton, 25, 27, 34, 140. Oldenbourg, 35. Padoa, 18. Pascal, 47, 104, 124, 142. Pasch, 19. Pastore, 32. Patrizi, 14. Paulsen, 44, 115, 148-149. Peacock G., 54. Peano, 19, 54, 58, 175, 180. Peillaube, 75. Picard, 32. Pieri M., 54, 58, 180. Platone, 25, 38, 48, 124, 142. Poincarg, 53, 63, 65 segg., 70 segg.,81-82,95,109,148,155- 156, 158 segg., 175, 179,190. Indice dei nomi 193 | ‘Porto Reale (scuola di), 47. Proclo, 94-95, 119. Rey A., 32. Richard J., 17, 19, 115-146, 120. Riemann, 107, 151, 168 segg., 175. Rivaud, 28. Rougier L., 95, 120, 148, 155, . 165. Rouse Ball, 12. # Russel, 11, 17, 65-58, 88, 105, 175, 181, 190. Saccheri G., 119 segg., 175. Saunderson, 157. Sautreaux, 144, Schelling, 34, 46, 108. — Schiller, 44. Schopenhauer, 43,' 65, 77, 84- 85, Schréder E., 54. — Segre, 120. Simon, 122. — Socrate, 121. Sommerville D. M. L., 105. Spinoza, 34, 35, 36, 39, 42 segg., 49, 152. Staekel P., 119, 145. Stefanescu M., 149-150. Talete di Mileto, 87, 94. Tannery P., 28. Tazzari, 12. ‘ Tennemann, 43. Trendelenburg, 38. Vacca, 58, 62. Vailati, 54, 76, 120, 122, 176- 177,190. Vaissière, 75, 79, 156. Vecchietti, 18. Venn J., 54. Veronese, 18. Volterra V., 165. Wahle R., 43. Wallis, 119. Whewell, 36, 74. Whithehead, 126. Windelband W., 48. Winter, 51. Wolff Cr., 111. Wundt, 77. Young, 11, 12, 20, 62-63, 120, 176. Zeuchen H. G., 118 segg., 122, 125, 141. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologiea della matematica. 13. Digitized by Google - rr’ ’’—@@——@—@—————— —___@@ct‘‘mi-*—----@t@eIm@RRE ——pmpRtRpo———______—__—_—TT_——T_—_—T—_——__—_—____________ T_T mr =w=-o"xxcnvrsvescsc—___y—_— INDICE - SOMMARIO CAPITOLO I | Preliminari metafisici. $1.— L’astrazione . . . . .... . Pag. L’importanza della matematica per la filosofia. — Il significato di essa nella dottrina kantiana. — L’astrazione, l’astrazione in matematica, astrazione numerica ed astrazione algebrica, l’astrazione e il concetto. $ 2. — La definizione e l’idea . . . ... » L’astrazione in geometria. — L’impossibilità di definire gli elementi primi della matematica, la definizione, concetto di definizione. — L’idea, l’idea come elemento «a priori » che può determinare la definizione e rendere possibile l’astrazione concet- tuale. — Carattere particolare della definizione nelle scienze matematiche, la necessità dell’ « a priori ». — Distinzione generica in conoscenza sensibile e conoscenza razionale. $ 3. — L’intuizione pura . . ...... >» Osservazione sulla terminologia in genere e su quella adottata in particolare. — Svolgimento del- l'elemento puro « a priori ». — L'’ intuizione ideale e l’intuizione ipotetica. — L’intuizione sensibile. G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. — =J 196 ladicoimamania $ 4. — L'ipotesi nelle scienze . . . . . . Pag. L’astrazione nelle scienze. — Sua duplice fun- zione: di controllo della validità delle nozioni em- piriche e, nella sua forma ipotetica, d’ ispiratrice di nuove conoscenze (Galileo, Newton, Franklin). — Vantaggi del procedimento ipotetico nelle scienze particolari. $ 5. — L'ipotesi nella filosofia . . . ...» L'ipotesi nelle dottrine di Descartes e Spinoza, il dubbio cartesiano, il tentativo spinozistico di darci una visione matematica del mondo. — L' insuffi- cienza dell’ipotesi come procedimento conoscitivo nella filosofia (Fichte, Schelling, Hegel). — Tale insufficienza è particolarmente « sentita » nelle con- cezioni logico-matematiche. — Ragione di ciò. CapitoLo II. I rapporti fra la logica e la matematica. $ 6. — I procedimento logico nella matematica Pag. La funzione della matematica nei riguardi della possibilità del conoscere. — La matematica non è una scienza rigorosamente logica. — La logistica (Peano, Russelì, Couturat). — L’induzione in matematica (Young). $ 7. — Il procedimento sperimentale nella matema- HW. cd è de a e La matematica non è nemmeno una scienza spe- rimentale (Martinetti, Kant, Schopenhauer, Poin- caré). — L’empirismo dello Stuart Mill. — Concetto di ‘esperienza. — Il così detto principio d’induzione completa, carattere deduttivo di tale preteso prin- cipio induttivo. — Lo « esperimento mentale » del Mach, difficoltà d’interpretazione di esso, che cosa si deve intendere per tale « esperimento mentale», carattere intuizionistico di esso. — Concetto d’ in- tuizione. $ 8. — Il procedimento intuizionistico della mate-. matica . . .. .... + +. +» Pag. Indice-sommario Tale concetto d’ intuizione non è in decisa anti- tesi con il fattore sensibile. — L' intuizione matema- tica. — Posizione privilegiata della matematica nel- . l'indagine conoscitiva, suoi vantaggi sulla logica, 89. suoi vantaggi sulle scienze sperimentali. — Tali vantaggi sono in fondo puramente apparenti, la im- ‘ mutabilità della matematica è dovuta alla defini- zione, l’apoditticità dei suoi giudizii è dovuta anche alla posizione ipotetica di gran parte dei suoi prin- cipii fondamentali. — Conclusione dei rapporti fra logica e matematica nella teoria della conoscenza. — Il procedimento ipotetico della matema- Meo: è sie e e a La dottrina di Leibniz sui principii fondamentali della matematica. — Leibniz nega l’arbitrio nella scelta di tali principii, ma ammette la natura ipo- tetica di essi; funzione utilitaria di tali principii come mezzi per aumentare il nostro patrimonio co- | noscitivo. — I principii stessi danno luogo però a proposizioni che non possono soddisfare esaurien-. temente il nostro bisogno di sapere; essi, come le verità da essi derivate, non possono vertere che su di una realtà qualitativamente inferiore. — Legit- timazione del dubbio conoscitivo del nostro pensiero rispetto alle proposizioni matematiche. — Tale dubbio sarà quello più particolarmente svolto nel capitolo seguente. CapitoLo III. Il valore del giudizio matematico. $ 10. — Il valore universale e necessario del giu- dizio matematico . . . . . . Pag. L’obbiezione fondamentale a quanto precede for- mulata in base alla dottrina kantiana dell’apoditti- cità del giudizio matematico. — La dottrina kan- tiana è soltanto in parte in opposizione con quanto 197 198 Indice-sommario sopra. — Il processo sostitutivo della matematica. — Ffficacia scientifica di tale processo sostitutivo, ma sua insufficienza logica. $ 11. — Il valore convenzionale e relativo del giu- dizio matematico. . . . . . . Pag. 105 I limiti in cui l’obbiezione basantesi sulla dot- trina kantiana deve essere posta. — La metageo- metria, sua importanza attuale, la metageometria di fronte ai principii sintetici « a priori», la meta- geometria e l’empirismo, la metageometria ammette l’origine non sperimentale del principio matema- tico. — Tale apriorismo è da essa considerato come puramente convenzionale. $ 12. — Concezione intermedia del valore del giu- dizio matematico. . . . ..... >» 114 Saggio di una concezione intermedia fra l’incon- dizionata universalità kantiana e l’ estremo relati- vismo della metageometria nei riguardi del valore del giudizio matematico. — Distinzione dei giudizii matematici in due categorie: I categoria, verità effettivamente evidenti e indimostrabili ; II categoria, verità ipostasizzate come evidenti e indimostrabili. — Kant intui tale distinzione, ma non ammise i giudizi della I categoria fra i sintetici «a priori». $ 13. — L'essere e il dover essere della matema- tica... +. » 125 Tendenza di Kant a voler troppo specificare in merito ai principii sintetici «a priori». — Il valore incondizionatamente universale e necessario dei giu- dizii matematici potrebbe ammettersi soltanto se i principii fondamentali fossero tutti simili a quelli posti qui nella I categoria. — L’incondizionata uni- versalità e necessità del giudizio matematico come Kant l’intende è il suo dover essere non il suo essere. $ 14. — La funzione del postulato e il dover essere della matematica . . .....» 136 La concezione di tale dover essere della mate- matica non è arbitraria. — La posizione dei postu- lati e la loro funzione provvisoriamente ipotetica. Indice-sommario 199 A CapitoLO IV. L:a questione precedente trattata specificatamente nei riguardi della geometria. $ 15. — La III dimensione dello spazio. . Pag. 145 La questione dell’ identità fra la nostra naturale intuizione spaziale e quella che è di base alla geo- metria euclidea. — Tale identità è un presupposto indispensabile nella. concezione kantiana della geo- metria (Martinetti, Paulsen). $ 16. — L’intuizione spaziale « a priori» e lo spazio euclideo . . ..... 0... . » 149 Dobbiamo ammettere tale identità di spazio? — . Aspetto psicologico e aspetto geometrico del pro- blema. — Questo psicologicamente impostato non ci dà affidamento di precisa soluzione (Berkeley, James, Mach). $ 17. — La teoria del Poincaré sulla III dimen STONE <- . °°. 600. » 158 Maggior precisione e chiarezza déll’impostazione geometrica del problema, la III dimensione della nostra intuizione dello spazio. — La teoria del Poin- caré riguardo alla III dimensione, che cosa s’in- tende per III dimensione, continuo fisico e continuo matematico. $ 18. — Critica della teoria precedente . . . » 164 Critica della teoria del Poincaré sulla IIl dimen- sione. — Al filosofo la teoria del Poincaré sulla III di- mensione non dice nulla di nuovo. — Il criticismo kantiano e l’idealismo gnoseologico avevano già in- segnato che la III dimensione non riguarda la realtà assoluta, ma soltanto una realtà relativa all’ uomo nel mondo sensibile. $ 19. — La possibilità di più geometrie basantesi su di una stessa intuizione spaziale » 167 — L’ammissione della III dimensione nella nostra 200 Indice-sommario naturale intuizione dello spazio non porta però alla geometria euclidea come a conseguenza indispensa- bile. — Importanza dell’osservazione per l’universa- lità e necessità dei giudizii geometrici. — Ammissibi- lità della realizzazione di una o più geometrie basate tutte su di uno spazio a tre dimensioni e diverse fra loro. $ 20. — Conclusione . . . . .... . Pag. 170 APPENDICE. La dottrina matematica di Kant nell’interpretazione di matematici moderni. Introduzione . . . ....... . +. Pag. 175 La discussione inerente al concetto che Kant aveva della matematica. — I due aspetti fondamentali della polemica, la metageometria, la logistica. — Un terzo aspetto più generico della polemica me- desima. Metageometria . ........... >» 177 Le tre dimensioni dello spazio nella geometria euclidea e nella dottrina geometrica kantiana; in- sufficienza kantiana al riguardo, ma errata interpre- tazione della sua dottrina delle dimensioni dello spazio. — Come deve essere impostata la questione; i due aspetti della questione medesima: psicofisio- logico e geometrico. È l’intuizione spaziale della sensibitità umana a tre dimensioni? Ciò ammesso: è dessa identica a quella della geometria euclidea? — L’innatezza contrapposta alla convenzionalità. Logistica... .. 0.0. 6... » 180 Un più vasto campo di critica contro la dottrina matematica di Kant presenta la logistica. — Che cosa si propone la logistica. — Carattere arbitrario di alcune affermazioni dei matematici logici. — La riforma della logica e la riforma della matematica. — Riforma della logica non può significare altro Indice-sommario che perfezionamento del metodo analitico o del metodo sintetico o di entrambi. — Nessun'altra ri- forma della logica è possibile. La necessità dell’intuizione nel procedimento ma- tematico, necessità negata dalla logistica. — Questo è il punto in cui la logistica si mostra come l’in- dirizzo più categorico nel respingere la concezione che Kant ebbe della matematica.’ Accentrando in- fatti la dottrina kantiana in questi tre punti essen- ziali : a) i principii fondamentali della matematica sono «a priori»; b) i giudizii matematici sono sintetici ; c) la matematica procede per intuizione; possiamo netare che soltanto la logistica li respinge tutti e tre. | Generalmente infatti l’intuizione è ammessa come necessità di procedimento della grande maggioranza dei matematici per quanto ha attinenza alla loro disciplina. — Il diverso procedimento del filosofo e del matematico dinanzi a un problema matema- tico. — L'’intuizione resta in tutta la sua efficacia. Alla stessa conclusione possiamo arrivare nei ri- guardi dell'altro punto fondamentale della dottrina matematica di Kant: il giudizio matematico è cioè un giudizio sintetico. — La terminologia di Kant non è sempre felice al riguardo. Aspetto più generico viene ad assumere il pro- blema intorno al terzo punto fondamentale : il pro- blema cioè dell’ « a priori ». — Mentre l’intuizione nel procedimento matematico è giustamente am- messa da quasi tutti i matematici, il carattere sin- tetico dei suoi giudizii è ammesso da ben pochi ma- tematici e infine da nessun matematico moderno è ammesso l’«a priori » dei principii fondamentali come Kant l’intende. Già si è veduto nell’accenno fatto alla metageometria a proposito della terza dimensione dello spazio come la soluzione di essa non può essere data che dalla sintesi metafisica della collaborazione di matematici e psicologi. — Qui il problema medesimo non è più limitato però alle dimensioni dello spazio ma si estende anche ai prin- 2 Indice-sommario cipii fondamentali della matematica : assiomi, postu- lati, definizione. — Insufficienza tecnica di Kant nei riguardi degli assiomi e postulati e di una loro eventuale distinzione. — Tale insufficienza tecnica non intacca però, in linea generale, il gran valore della dottrina dell’« a priori » presa in senso più vasto, ossia della necessità di un elemento non ri- cavato dall'esperienza per poter conoscere. Considerazioni generali. . . . . . . . Pag. 187 Torino - Fratelli BOCCA, Editori - Torino ALPINOLO NATUCCI IL CONCETTO DI NUMERO E LE SUE ESTENSIONI Studî storico-critici intorno ai fondamenti dell’ Aritmetica generale con oltre 700 indicazioni bibliografiche. SOMMARIO DELL’INDICE: I. Introduzione Storica. — II. Teorie Sintetiche. — III. Teorie Analitiche. — IV. Teorie Logico-Formali. — YV. Critica e Meto- dologia. — Nota bibliografica. Un volume in-8°. . . .... . L. 40 Legato elegantemente in tela con fregi . L. 45 SCRITTI MATEMATICI offerti ad ENRICO D’OVIDIO in occasione del suo LXXV genetliaco dai Professori: E. Almansi - G. Bernardi - M. Bottasso - F. Castellano - G. Castel- nuovo - G. Fano - G. Fubini - F. Gerbaldi - G. Giambelli - N. Jadanza - E. Laura - B. Levi - L. Lombardi - G. Loria : G. Peano - A. Pensa. - G. Sanna - C. Segre - F. Severi - A. Terracini - E. G. Togliatti. icati per cura di Francesco Gerbaldi e Gino Loria. Un volume in-8° . . . ..... +. . L. 89 A. PASTORE SOPRA LA TEORIA DELLA SCIENZA (Logica - Matematica - Fisica). Un volume in-12°. . . .... . L. 8 LOGICA FORMALE dedotta dalla considerazione di modelli meccanici. Un volume in-12° con 17 figure e 9 tavole L. 8 SILLOGISMO E PROPORZIONE Contributo alla Teoria ed alla Storia della logica pura. Un volume in-89. . . . . . . . L. 9,10 TUNZELMANN LA TEORIA ELETTRICA ED IL PROBLEMA DELL’ UNIVERSO Un volume in-8° con illustrazioni . . L 28 puis HO a) Prezzo IN Torino L. 12 NELIE ALTRE CITTÀ > 13
Tuesday, July 29, 2025
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