Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Tuesday, July 29, 2025

GRICE E BARIÉ

  \ i |  LAI tag » x alla si e, °°°  4 e pa °° ° PS ® 9  j "el po ° î-  p_S A  è  = * ° = e 000,°, 0, frrceminti, —___e  ve è © è AR e    NI a  Sy  CI ”  — <  3 ri è  * SS  Z SH  Lo) eli    ini eee ratti IMAA ER =  L NV LO | a f|f'*1 . VILLA | li    POSI FÀ De \E  GNOSESIOGICA    «—_ ——_ DEA    MAIEMAIICA    et    N° 512    EN-  MODERNE  Fu BOCCA    LA POSIZIONE GNOSEOLOGICA    DELLA    MATEMATICA    A Ri ca e crei ite E I eric ni ciliairriiri Sor bin d    i deo birra rai ri A    i    G. E. BARIÉ  ì\ Lg    —— cent    LA POSIZIONE GNOSEOLOGICA    DELLA    MATEMATICA    TORINO (2)  ‘ FRATELLI BOCCA, EDITORI    Librai di S. M. il Re d'Italia    1925    (|  eid'o  f  Pi  ‘  .  *e  ore  é  e  .  Uu'1s 6  dclo  a (oe  3)  2  pre  o    2 si  È . x  e . Id 0° 0° Pa Co) °  = - t e è. x .  - ver n 3» . . “  e, 0 90° * . è * n  e: o _0. bi » © 0. “+  id ° »* ti a e | 06 £ ® ».  ia É  è    PROPRIETÀ LETTERARIA    Tipografia OLIvERO e C. — Piasza Carlo Emanuele II - Torino, 2.  Printedin Italy.    VAR N    « Sans les mathématiques, on ne penètre point  au fond de la philosophie; sans la philosophie, on  ne penétre point au fond des mathématiques; sans  les deux on ne penètre au fond de rien ».    LEIBNIZ.    600956    CapPITOLO I.    Preliminari metafisici.    $ 1. L’astrazione. — La posizione che la mate-  matica è andata assumendo in quest’ultimo cin-  quantennio è degna del più attento esame per il  filosofo. Forse non è questa l’ultima ragione per  la quale fra i matematici odierni non troviamo  una netta comprensione del come l’ idealismo —  o almeno una corrente di esso — può porsi il pro-  blema della matematica (1). Hanno essi matema-  tici una specie di disposizione aprioristicamente  contraria alla filosofia che porta come a naturale  conseguenza o a grossolani errori d’ interpreta-  zione di non pochi pensieri fondamentali dei mae-  stri della filosofia moderna, oppure, e ciò è peggio,  ad una specie di affettazione di passare sotto si-  lenzio o quasi le loro dottrine sull'argomento, che  non serve certo a favorire quell’intima ripresa di  rapporti cordiali che già esistevano fra la filosofia  e le scienze particolari in genere e la matematica  in ispecie (2).    (4) Cfr. Appendice, p. 175.   (2) Bene inteso s’intende qui la filosofia non naturalistica  perchè con questa il contatto non fu mai perduto. In ogni  modo filosofia naturalistica in senso stretto sarebbe oggi un  non senso.    .  si . n PI n» 0 è. hi . A Li   £ Ed " x ld »  e e - 5 "o. . ® è  . 352 n    8 °%" La'poùtzione gnoseologica della matematica    Noi non tratteremo qui di tali rapporti nè dal.  punto di vista logico nè da quello storico: il loro  posto è altrove, in trattati introduttivi allo studio  della filosofia e sopra tutto della teoria della cono-  scenza; ma tali rapporti sarà bene che il lettore  ricordi onde più rapidamente e meglio entrare nel-  l'essenza di quanto andremo svolgendo.   Principalmente dopo Kant (1) l’empirismo scien-  tifico non avrebbe più dovuto rimproverare alla  metafisica di essere un’arbitraria divagazione del  nostro spirito, basandosi sul solito e tanto abu-  sato luogo comune di essere ciò connaturato con  la stessa sua intima ragione di essere in quanto  la metafisica — lo dice la parola stessa — non  può avere nello studio diretto ed esclusivo del  mondo esterno la fonte di ogni sua conclusione.  Kant ponendo da parte, o per lo meno credendo  di poter porre da parte tutte le precedenti conce-  zioni metafisiche (2) impostandone ad ovo il pro-  blema, dopo aver osservato come essa non sia  progredita come le scienze particolari ed aver po-  lemizzato sul suo carattere scientifico o non — in  quanto il suo campo d’azione è oggi quello che  era tremila anni fa — viene ad esaminare se,    (4) Mi si potrà obbiettare — e validamente — che proprio in  causa dell’idealismo postkantiano, il divario fra filosofia e scienza  ha il suo significato. Su questo siamo, in linea di massima e  con le debite precauzioni, d’accordo. Per «dopo Kant» non in-  tendo qui l’idealismo postkantiano, ma mi fermo alla filosofia  dello stesso Kant, non sospetto, voglio sperare, di non tenere  nella dovuta considerazione le scienze particolari.   (2) Sensibilissima invece rimase nello svolgimento del suo  pensiero la metafisica leibniziana nel campo teoretico e il mondo  platonico nella trascendenza morale sopra tutto nei riguardi  dell’intelligenza divina,    Cap. I. - Preliminari metafisici 9    eventualmente, la ragione di ciò debba cercarsi  nella sua stessa natura di non avere una base    sperimentale, base incondizionatamente attribuita.    allora alle scienze per l’influenza — è noto — di  Locke e di Hume. Ma è vero questo? È vero che  le scienze particolari hanno un'origine essenzial-  mente empirica? Vediamo un po’, sembra ci dica  Kant, esaminiamo la scienza tipica per eccellenza,  quella che non può essere seriamente posta in  dubbio da alcuno, la matematica.   È troppo noto l’ulteriore svolgimento del pen-  siero kantiano sull’argomento perchè la sua espo-  sizione si renda qui necessaria : rimandiamo alla  « Critica » e ai « Prolegomeni ». Possiamo però  osservare che non è senza ragione che Kant abbia  proprio scelto la matematica come prima prova,  diremo, che non era il campo non sperimentale  della metafisica che venisse ad infirmarne il ca-  rattere scientifico, perchè la stessa origine, lo  stesso substrato non sperimentale poteva trovarsi  anche nelle scienze considerate nella loro « pura »  espressione. La matematica e per il suo carattere  rigidamente scientifico di cui sopra si è fatto  cenno, e per la sua stessa rappresentazione sim-  ‘bolica — numero e figura — meglio di ogni altra  doveva presentarsi alla sua attenzione in quanto  non solo relativamente all’origine poteva in essa  trovare un carattere aprioristico, chè ciò è comune  a tutte le scienze, ma altresì nel suo ulteriore  svolgimento. L’insufficienza della speculazione me-  tafisica attraverso.i secoli — alludo alla « meta-  fisica dogmatica » in senso kantiano — doveva  quindi essere ricercata altrove, e precisamente nel  compito impossibile che la metafisica si era fino  a lui, Kant, proposto, cioè di pretendere di darci    ®    10 La posizione gnoseologica della matematica    la conoscenza assoluta della realtà noumenica e non  limitarsi soltanto alla realtà fenomenica.   Onde non mi si fraintenda, vediamo di chiarire  meglio il punto particolare del significato della  matematica nella dottrina gnoseologica di Kant.  Sappiamo tutti che tanto la matematica quanto la  fisica non sono altro che due esempi portati da  Kant con lo Stesso intendimento, dimostrare cioè  come qualunque processo conoscitivo possa es-  sere determinato soltanto in virtù di un elemento  « a priori » che è in noi, che preesiste al dato em-  pirico e che viene anche a travisare, per la sua  azione puramente formale, l’intima essenza di esso  dato - (l’oggetto): conseguenza ultima di tale tra-  visamento, l’impossibilità di conoscere la cosa in  sè. Ciò vale, è vero, incondizionatamente tanto per  la matematica pura quanto per la fisica pura, ecc.  Soltanto, mentre nel suo successivo svolgimento  la fisica, come scienza della natura, non può ba-  sarsi soltanto su forme intuitive « a priori », ma  deve ricorrere anche a concetti intellettivi «a priori»,  che determineranno la possibilità di quell’ espe-  rienza, dalla quale esclusivamente essa fisica dovrà  poi attingere le sue scoperte, la matematica invece  . trae le sue scoperte dall’intuizione e le sviluppa  in base al processo logico della deduzione. Solo  in questo senso ho creduto di notare una diffe-  renza fra la matematica pura e la fisica pura in  senso kantiano (1).   Lasciamo Kant e specifichiamo meglio i termini    (4) Questa è anche la spiegazione che si può addurre per  avere Kant portato l’argomentazione dell’ «a priori » nella fisica  pura: ciò malgrado non reputo del tutto errate le critiche esposte  a tale sua concezione (Cfr. questo volume, $ 13, pag. 131 segg.).    Cap. I. - Preliminari metafisici 11    nel loro preciso significato. Nell’allusione impli-  citamente fatta sopra al campo d’indagine essen-  zialmente astratto della metafisica, la parola astra-  zione non figura nel suo preciso significato: l’astra-  zione non è un «a priori ». L’astrazione è una  rappresentazione simbolica di un concreto risultato  ottenuto per cui ad esso se ne sostituisce un altro di  carattere più generale: reciprocamente qualunque  astrazione può avere infinite rappresentazioni con-  crete. Si vedrà meglio in seguito (1) il valore lo-  gico o non di tali generalizzazioni: c’importa ora  di porre in luce come essa sia universalmente ap-  plicata nella più rigorosa delle scienze, la mate-  matica.   La generalizzazione astratta non fu certo adot-  tata senza contestazioni: è degna di nota la defi-  nizione data dal Russel (2) della matematica, se-  condo la quale essa sarebbe «la scienza in cui non  sappiamo mai di cosa parliamo, nè se quello che  diciamo è vero» (3). In tale paradosso vi è un    (1) Cfr. questo libro, Cap. II, $$ 6, 9.   (2) Recent work on the principles of mathematics (in The  International Monthly, N.1, pag. 84, 1901). È risaputo che il  Russell si compiace del paradosso. Possiamo fra l’altro ricor-  -dare la sua definizione della negazione: «la negazione di una  proposizione P significa che P implica tutto ». (Cfr. The Prin-  ciples of mathematics, $ 9, Cambridge, University Press, 1903),  paradosso acutamente spiegato dal Couturat (Principes.....):  « Cette definition paradoxale s’explique par le fait que le zero  logique implique tout et que nier une proposition c'est l’égaler  à zero ».   (3) Ampie considerazioni critiche riguardo a questa defini-  zione del Russell troverai in YOUNG, I concetti fondamentali  dell'algebra e della geometria, tr. it., Napoli, 1919, pag. 1,  nota 3). In tali considerazioni si dovrà però tener conto sol-  tanto degli argomenti strettamente matematici, non di quelli...    19 La posizione gnoseologica della matematica    substrato profondo di verità che non potrà sfug-  gire allo studioso sereno e spregiudicato. Che cosa  rappresentano infatti le astratte generalizzazioni  dell’algebra? Qual’ è il loro preciso significato ?  Nessuno. Possiamo anzi osservare come tali astra-  zioni acquistano un’ importanza sempre maggiore  quanto più le sostituzioni astratte perdono un si-  gnificato proprio : nell’algebra si sostituisce la let-  ‘ tera al numero per togliere appunto al calcolo ogni  caratteristica particolare : si sono scelte le lettere  dell’alfabeto perchè sembra esse rappresentino dei  simboli comodi e, diremo, inoffensivi (1).    filosofici. Così pure nella stessa opera a pag. 8 (nota 2). In tale  nota anzi il commentatore suppone che da qualche filosofo la  definizione stessa ha potuto essere presa alla lettera! Di ben  diversa concretezza il commento del Couturat (Principes...):  « En effet, on ne sait pas de quoi l’on parle, puisque la ma-  tiere des implications est indéterminée; et l’on ne sait pas si  ce qu’on dit est vrai, puisque la vérité des propositions dépend  de la vérité des hypothèses, la quelle dépend à son tour du con-  “ tenu qu’on leur donne» (Revue de méthaphysique, 1904,  pag. 21-22).   (1) Una breve e succosa corsa storico-critica sull’affacciarsi  alla mente del matematico della sostituzione algebrica troverai  in P. BouTROUx, L’Idéal scientifique des mathématiciens,  pag. 84-92 (Paris, 1920). V. anche un articolo di E. KARPINSKI,  Origine et développement de l’algébre pubbl. in Scientia,  Bologna, 1919, 8). Il lettore che desiderasse approfondire questo  particolare argomento potrà consultare (cfr. nota di V. G. Mitchell  in appendice al libro cit. di Young, tr. it.): FazzarI, Breve  storia della matematica (Palermo, Sandron); GamBIOLI, Breve  sommario della storia delle matematiche (Bologna, Zanichelli);  MILLER, Historical Introduction to math. literature (New York,  Macruillen) ; Rouse Barr, Breve compendio di storia delle ma-  tematiche (Bologna, Zanichelli); Ip., Récréations mathématiques  (Be partie), Paris, Hermann et fils; Cantor, Vorlesungen  ueber Geschichte der Mathematik (1894); Fink, A Brief Hi-  story of Mathematics (Chicago, 1903), dove figurano cenni    Cap. I. - Preliminari metafisici 13    D'altra parte se nella generalizzazione sostitu-  trice della lettera al numero, noi possiamo spa-  ziare in un campo ancora meno delimitato, ancora  più simbolico di quello numerico, ciò non ostante  non possiamo concludere che anche senza aver  creduto di trovare — nell’algebra sopra tutto —  una spiegazione all’espressione paradossale del  Russel, questa avrebbe già trovato — indipenden- ©  temente dall’algebra — la sua ragione di essere  nella stessa impossibilità di dirci che cosa inten-  diamo in geometria per punto, per linea, ecc., e  in aritmetica dell’elemento primo di essa, del nu-  mero.   Sono difficoltà in ogni modo che tutti sanno e  che tutti ammettono, primi gli stessi matematici:  soltanto trattando delle definizioni date di questi  primi elementi e delle critiche opposte, vi sarebbe  da riempire diversi volumi; il tutto, bene inteso,  senza nulla aggiungere al concetto della posizione  della matematica nella teoria della conoscenza.  L’accenno invece alla generalizzazione algebrica  ci ha posto in luce come l’astrazione sia elemento  di capitale importanza per passare dallo studio  dei dati a quello dei concetti, considerando per  concetto quell’elemento generico cui siamo arrivati  dopo numerose, successive esperienze. Il concetto  di una cosa noi lo possiamo avere attraverso una  rappresentazione nelle sue linee essenziali della    generici. Per maggiore ampiezza di particolari cfr. invece:  Loria, Le Scienze esatte nell’ Antica Grecia; Gow, History  of Greek Mathematics (Cambridge, 1884); G. H. F. NESs-  SELMANN, Die Algebra der Griechen (Berlin, 1842); e parti»  colarissima l’opera di HeATH, Diophantos of Alexandrie (Cam-  bridge, 1885).    14 La posizione gnoseologica della matematica    cosa stessa più volte percepita. Non sarà cioè un’im-  magine specifica di quella tal cosa o della tal’altra,  ma unicamente di quelle qualità essenziali proprie  degli oggetti di quella classe: noi avremo ad es. il  concetto di albero non già ricordandoci un albero  singolo effettivamente già percepito (1), ma sol-  tanto un estratto delle qualità fondamentali del-  l'albero, una specie di risultato intermedio fra  tutte quelle diverse specie di alberi che ci sarà  stato dato di vedere in passato.   Questo e null’altro il concetto propriamente detto.  Origine sperimentale ? Senza dubbio; ma un’ori-  gine sperimentale che significa pur sempre un’ela-  borazione essenzialmente intellettiva del dato. Per  non uscire da quel campo sperimentale partico-  larmente caro alle scienze positive, possiamo pren-  dere a nostra testimonianza la scienza tipicamente  empirica, la psicologia sperimentale. Essa ci pre-  munisce contro eventuali obbiezioni al riguardo  in quanto i risultati di essa ci permettono di poter  . affermare che — tanto per adoperare una espres-  sione molto dotta in fisiologia, ma che non dice  gran che ad un idealista — la « sede » dell’ im-  magine è sicuramente nel cervello (2).   Il concetto è il primo passo del processo di astra-  zione, passo comunissimo come ognun vede e  proprio della vita dell’uomo adulto in un’infinità di    (1) Tale rappresentazione specifica sarebbe propriamente la  immagine. |   (2) Gli studi recentissimi della neurofisiologia hanno atte-  nuata, se non eliminata, la tendenza a fissare una localizza-  zione specifica ai centri nervosi. Degna di nota in Italia la scuola  del Patrizi. (Vedi ad es. l’opera recentissimamente pubblicata  di R. Brucia, La irrealtà dei centri nervosi, Bologna, 1923,  L. Cappelli ed.).    Cap. I. - Preliminari metafisici 15    manifestazioni dell’attività quotidiana. Ma l’astra-  zione non finisce qui: nella raffigurazione dianzi  accennata della matematica, noi abbiamo un’espres-  sione ben più complessa e profonda della nostra  attività spirituale (1) che non nella semplice rap-  presentazione concettuale. Per meglio indicare  questa ultima fase di evoluzione del processo  astrattivo, non ci bastano i vocaboli fin qui ado-  perati : se prima abbiamo potuto in modo un po’  grossolano è vero, ma sufficiente, cavarcela con  l’espressione di « rappresentazione generica » at-  tribuita al concetto, non così potremmo fare nel-  l’astrazione algebrica. A vero dire — si è già os-  servato — saremmo già imbarazzati se dovessimo  dire che cosa significa il numero se non stando  molto sulle generali e considerarlo come una epres-  sione simbolica indicante la quantità. Descartes  stesso, pertanto non sospetto di temporaggiamenti  e di tentativi di accomodamento per quanto ri-  guarda la scienza (2), evita al possibile di adope-  rare la parola numero, sostituendovi bene spesso  appunto la parola quantità.   Ma tale nostro imbarazzo diverrebbe addirittura  perplessità se dovessimo ad esempio giustificare  di fronte a un uomo ipotetico qualsiasi, atto a  ricavare le proprie nozioni esclusivamente dalla  esperienza, il processo sostitutivo dell’ algebra.    (1) No® è e non potrebbe essere nostro compito approfon-  dire qui. il significato di questa attività spirituale, condizione  sine qua non di qualunque idealismo e "SORA MIAO imperitura  di Kant l’aver posto in luce.   (2) Non si potrebbe estendere la stessa considerazione alle  conclusioni ultime della sua metafisica, ad es. nei riguardi della  dimostrazione dell’esistenza di Dio e, in generale, alla sua pre-  occupazione di non perdere il contatto con la religione ufficiale.    16 La posizione gnoseologica della matematica    Essa ci si presenta « come una tecnica avente per  oggetto il calcolo e che si lusinga di procurarci  molteplici preziosi vantaggi » ci dice il Bou-  troux (1). Noi non neghiamo i vantaggi; anzi  abbiamo accennato come siamo i primi a ricono-  scere l’importanza, la necessità anzi dell’astrazione  onde progredire nel campo scientifico ; non sol-  tanto, come la tendenza all’astrazione sia una na-  turale disposizione del nostro spirito: ad essa non  potremmo in ogni caso sottrarci anche se non ne  riconoscessimo l’ utilità, o per lo meno non po-  tremmo, dopo un certo tempo, sottrarci almeno a  quella forma naturale e quasi istintiva di astra-  zione che abbiamo chiamato concetto.   Alludendo a un individuo ipotetico atto a basare  le proprie nozioni esclusivamente sull’esperienza  ho voluto cioè alludere al sistema in molti casi  dalla scienza adottato : usare la generalizzazione  astratta e nello stesso tempo pretendere di consi-  derare come divagazione cervellotica tutto quanto  non ha esclusivamente sull’esperienza la sua base  fondamentale ed esclusiva. Questo individuo ipo-  tetico non comprenderebbe evidentemente nulla  della frase del Boutroux; più ancora non potrebbe  considerare che arbitrio qualunque generalizza-  zione astratta (2).    (1) Op. cit., pag. 82.   (2) In senso inverso da un essere essenzialmente logico la  sostituzione stessa non può essere accettata da un punto di vista  dimostrativo. (Cfr. questo lavoro, Cap. II, $$ 6, 9). La legitti-  mità della sostituzione fu infatti ammessa con infinite precau-  zioni dai Greci.    ! Cap. I. - Preliminari metafisici . 17    - $ 2. La definizione e l’idea. — L’astrazione è così  posta in chiaro in modo che non possano più sor-  gere dubbi intorno alla sua interpretazione : com-  pito questo — il chiaramente intendersi sul signi-  ficato delle parole — non molto brillante, diremo,  ma quanto mai utile onde stabilire una netta  comprensione fra chi legge e chi scrive. Nel corso  di questo studio ci sarà dato osservare come l’equi-  voco 0, comunque, la non precisa esposizione del  significato di una parola usata in preciso senso  scientifico, possa portare a conseguenze spiacevoli.   Stabilito in tal modo il significato del processo  astratto, ci sarà facile accorgerci che esso non figura  . soltanto nell’algebra. Per non uscire dalle matema-  tiche, visto che di esse dobbiamo trattare, l’astra-  zione è propria della geometria come dell’aritme-  tica (1). Anche in geometria noi parliamo infatti  indifferentemente di concetto di triangolo o d’altro  senza aver piena conoscenza nemmeno dei primi  elementi costitutivi di esso — non si dimentichi il  paradosso di Russell—e prima di tutto del punto.   Girate la questione in tutti i sensi il punto è  indefinibile, « n’est qu’ une sorte de fiction » (2).    (1) D'altronde le relazioni fra algebra e geometria formano  uno dei capitoli più interessanti degli studi matematici. Descartes  svolge principalmente la sua algebra in un libro avente per  titolo Geometria (Amsterdam, 1659, nell’edizione latina curata  da Erasmo Bartholin).   Uno studio recente — d’altra parte essenzialmente tecnico e  particolare — è quello dei proff. ENRIQUES-CHISINI, Teoria geo-  metrica delle equazioni (Bologna, 1915). Numerosi sono d’al-  tronde i punti di vista nel considerare questa particolare que-  stione che Descartes vide sopra tutto nell’applicazione dell’algebra  alla geometria,   (2) J. RicHarDp, Sur la philosophie des mathématiques,  pag. 54 (Paris, 1903).    G. E. BARTÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 2.    18 La posizione gnoseologica della matematica    Tutti i geometri si sono sbizzarriti a cercarne una  definizione che non fosse già di per se stessa una  contraddizione in termini, dove l’ inconcepibilità  di qualche cosa d’ inesteso e -la necessità logica  d’ipostasizzare la cosa stessa come inestesa, ren-  dessero meno stridente il loro insanabile dissidio.  Tutti giuochi di parole; sfoggi eruditi di virtuo-  sità dialettiche. Essi non poterono ahimè, che ri-  battere la strada di Euclide e per eliminare il  dissidio o per lo meno renderlo apparentemente  meno aspro, stare molto, troppo sulle generali. Il  maestro greco ci aveva già definito il punto come  « ciò che non ha parti », ma la definizione è abile,  non esauriente (1).   Oppure, seconda corrente, i geometri più mode-  stamente e più onestamente, hanno rinunciato al  compito impossibile e sono venuti nella determi-  nazione che alcuni concetti che noi indifferente-  mente adoperiamo nella geometria sono simboli  di entità non esistenti. Siano questi il punto, la  retta, il piano (Hilbert) (2) o sia che questi si pos-  sano ridurre al punto e alla « sovrapposizione »  (Padoa), a noi importa solo constatare come, non  soltanto in geometria, si sia sentita la necessità di  ricorrere a un processo astratto per meglio com-  prendersi e per poter proseguire; ma si è sentita  la necessità d’ipostasizzare come esistenti — tanto  . per adoperare una parola positiva — delle entità  | esclusivamente create dal nostro pensiero.   Ci affacciamo così alle soglie di un altro pro-    (1) Cfr. sull’argomento: G. VERONESE, Fondamenti di geo-  metria, I, 209-210 (Padova, 1891); VECCHIETTI, L’ Infinito,  pag. 28.   (2) Grundlagen der Geometrie, 3* ed., Lipsia, 1909.    Cap. I. - Preliminari metafisici 19    blema; non più cioè l’astrazione, espressione ul-  tima di un processo intellettivo che parte da un  risultato positivo per arrivare ad una rappresen-  tazione concettuale, ma di qualche cosa che pree-  siste ad ogni risultato positivo. Ci basti per ora  questa semplice osservazione : là riprenderemo  fra poco: ho voluto però fare subito l’osservazione  stessa perchè essa è di capitale importanza per  tutto lo svolgimento di questo studio.   Ciò detto, continuiamo nella nostra esposizione.  Il Richard (1) si affretta a rassicurare in certo qual  modo tutti coloro (op. cit., pag. 54) che potessero  obbiettare che se « al posto di un corpo piccolis-  simo noi mettiamo un punto, al posto di un corpo  sottile e lungo una linea, al posto di un corpo  infinitamente piatto una superficie » noi non  avremmo più allora dei risulati « conformi alla  realtà sensibile », si affretta a rassicurarli, dice-  vamo, che tale divario può essere reso « straordi-  nariamente debole ». L'assicurazione non può pre-  sentare per il filosofo il benchè minimo interesse.  Indebolito quanto si vuole il divario stesso resterà  pur sempre incolmabile e se l’ indebolimento del  medesimo può rendere soddisfatto il matematico  o il fisico, presenterà sempre lo stesso ostacolo  per il filosofo. Non solo; ma per l’idealista la  questione sì presenta sotto un aspetto opposto a  quello sotto il quale lo considera il Richard : ben.    (1) Da un punto di vista essenzialmente matematico cfr. al  riguardo: M. PAscH, Vorlesungen ueber neure Geometrie  (Leipzig, 1882), nonchè secondo lo stesso indirizzo: PEANO, /  principii di geometria logicamente esposti (Torino, 1889). Indi-  pendentemente da tale indirizzo e limitatamente all’essenza della  definizione cfr. anche: GERGONNE, Essai sur la théorie des  définitions (in Annales des mathématiques, IX, pag. 1 segg.).    20 La posizione gnoseologica della matematica    eni    lungi dal rassicurare a favore di un risultato con-  forme alla realtà sensibile, sarà tale divario per  il filosofo idealista una nuova conferma — senza  grande bisogno di essa d’altra parte — che la sen-  sibilità nostra solo in parte ci può sorreggere nel-  l’affermazione prima e nel successivo sviluppo di  qualunque scienza.   Importa molto invece a noi il constatare che  siamo così tenuti implicitamente ad ammettere la  necessità di entità non soltanto non sensibili, ma  altresì che prescindano da ogni sensibilità : ciò  per lo meno nei riguardi di quella scienza che  stiamo studiando : la matematica. Di queste ipo-  stasizzazioni alcune sono — quelle citate — inde-  finite ed indefinibili : altre sono, in matematica,  definite. Entra in campo ciò che ci sembra tanto  semplice e comune e che invece da millenni agita  e sconvolge il pensiero : la definizione.   Abbiamo veduto come l’algebra sia l’espressione  tipica dell’astrazione; ma l’algebra può agire con  tanta sicurezza e tranquillità esclusivamente se  potrà appoggiarsi su regole e principii generali  che alla loro volta trovano la loro giustificazione  nelle definizioni. Lo stesso concetto di definizione  contiene in se medesimo la conferma dell’impos-  sibilità di tutto definire: per due o tre entità al-  meno si dovrà ammettere, onde non compiere un  giro vizioso di parole, l’impossibilità di dirci che  cosa sono. Abbiamo accennato quali possono es-  sere quegli elementi primi, che, per essere neces-  — sarii in qualunque definizione vengono forzata-  mente a precedere anche le più semplici di esse. .  Sono idee che preesistono al fatto, come fu notato  dagli stessi matematici (Camescasse) (1) e sarebbe    (1) Gfr. YOUNG, op. cit., pag. 6 (nota).    Cap. I. - Preliminari metafisici DI.    perciò del tutto assurdo cercare di ricavarle da un  fatto. « Ce qu’on ne peut définir, on le montre »  ci dice il Richard, ma non sempre naturalmente  si può in tal modo semplicistico risolvere la que-  stione (1) ed anche ove lo potessimo, si ricadrebbe  pur sempre in quell’appello alla nostra conoscenza  sensibile, che già. abbiamo veduto essere insuffi-  ciente a tutto rivelarci.   Nello stesso tempo, genericamente considerata  — ossia indipendentemente dall’ipotesi del mate-  matico — la definizione non significa gran che  per chi si affacci ad una tale determinata scienza:  essa può esprimere il vero concetto di una scienza  soltanto per l’intelligenza di chi tale scienza co-  nosca già. In altre parole la definizione è una pro-  posizione che avrebbe il suo posto più alla fine  dello studio intrapreso che non al principio.   Questo per quanto riguarda il concelto appunto  « generico » di definizione; ma essa assume un  aspetto tutto particolare nella matematica. Qui si  manifesta la mecessità che la definizione preceda  lo svolgimento: questo precedere non è cioè come  nelle altre discipline semplice effetto di un’abitu-  dine metodologica di esposizione, di una tradizione  più o meno giusta: ma ciò diventa indispensabile  in quanto tutte le intuizioni e le deduzioni dei  matematici hanno ragione di essere solo se rico-  nosciamo ed accettiamo le definizioni preliminari.    (1) Acute osservazioni — da un punto di vista puramente  matematico — sulla « definizione » troverai in ENRIQUES, Pro-  blemi della Scienza (critica della definizione), Bologna, Zani-  chelli, 1906. Cfr. pure un articolo di Gergonne pubblicato negli  Annales des mathématiques, IX, 1, avente per titolo: « Essai  sur la théorie des définitions ».    ZI La posizione gnoseologica della matematica    Il passaggio dall’astrazione alla definizione (in  senso matematico) ha posto in luce un elemento  non soltanto non essenzialmente empirico — chè  tali già più non sono, come si è veduto, il concetto  e l’astrazione algebrica, ecc. — cioè un’espressione  che risulta in certo qual modo da una fusione di  esperienza e di sintesi intellettiva; ma anche di  elementi esclusivamente determinati dal pensiero,  indipendentemente da qualsiasi esperienza. Tali  elementi ci danno l’idea di « «& priori »: essi sono  appunto, in matematica, le definizioni, i postulati  e gli assiomi (1).  _ Ricapitolando brevissimamente: l’esperienza sem-   plice non ci dà che il dato (2); una fusione sintetica  di esperienza e di attività intellettiva ci dà l’astra-  zionee dalla sua forma primitiva e semplice del  concetto fino alla sua manifestazione più evoluta  della rappresentazione algebrica. Ma perchè tali  processi siano logicamente possibili è necessario  che noi ammettiamo degli altri elementi che sono  — tanto per intenderci — l'opposto del dato : mentre  questo è puramente empirico, questi nuovi ele-  menti sono puramente intellettivi : tali elementi  chiameremo idee.   Da questa esposizione risulta che l’astrazione è    (1) Distingueremo in seguito gli assiomi dagli altri principii  a priori, mostrando come essi siano proprii di qualunque nostra  attività spirituale, mentre i postulati riguardano soltanto le ma-  tematiche (cfr. questo lavoro, cap. III, $ 12).   (2) Onde non mi si fraintenda, non credo dire con questo  che possiamo ammettere qualche cosa — semplice quanto si  vuole — che non richieda per essere conosciuta la nostra atti-  vità intellettiva sintetizzatrice; ma, mentre il dato viene ad  essere conosciuto dalla nostra sensibilità, l’ elaborazione con-  cettuale di esso è diretto effetto della nostra intelligenza.    Cap. I. - Preliminari metafisici 23    un processo intermedio fra il dato empirico e l’idea:  questa, come elemento che preesiste a qualunque  esperienza sensibile, non potrà essere che elemento  formale (1). In tale mondo formale potremo riscon-  trare due gradi : un primo grado, più semplice in  quanto più vicino allo stato attuale della nostra  coscienza, il quale, pure preesistendo ad ogni em-  pirismo, tuttavia informa tutta la nostra conoscenza  sensibile, e sarà la forma intuizionistica «a priori »..  Un secondo grado infine che ci sarà dato dal pen-  siero razionale puro: sarà questo il mondo essen-  zialmente logico della conoscenza assoluta, esclu-  | sivamente inquadrato dalle categorie di contrad-  dizione e d’identità (2).   L’attribuire un campo puramente ideale a questo  secondo, ultimo grado di attività formale del pen-  siero, non esclude naturalmente che esso secondo  grado possa essere vantaggiosamente adottato anche  nel campo della conoscenza sensibile. Non soltanto;  ma tutte le proposizioni scientifiche aspirano ad es-  sere controllate da esso. Tale controllo formale  chiameremo il controllo logico (in senso rigoroso).  Mentre la forma intuizionistica riguarda tutte le  nostre conoscenze, quella puramente logica non    (1) Non si dimentichi il $ 9 dei Prolegomeni di KANT, in  risposta alla specifica domanda formulata nel paragrafo prece-  dente: « Ma come può l'intuizione dell’oggetto antecedere  l'oggetto? ». |   (2) Altre due categorie si potrebbero ammettere senza uscire  dal complesso logico di tali distinzioni e cioè l’incompatibilità  e la causalità; ma si può fare rientrare la prima nella cate-  goria più generica della contraddizione, e risolvendo il prin-  cipio di causalità si arriva all’identità, Lo svolgimento di tali  categorie è compito esclusivo della metafisica e non riguarda  questo studio. Ci basti accennare che è quel procedimento per  il quale si arriva ‘all’identità fra causa ed effetto.    24 La posizione gnoseologica della matematica    riguarda che una parte minima di esse, soltanto  cioè quelle che possiamo considerare come incon-  dizionatamente vere, che prescindono totalmente  anche dalle forme intuizionistico-sensibili di tempo  e di spazio e saranno gli assiomi (non i postulati  e non le definizioni) (1) e le proposizioni diretta-  mente derivati esclusivamente da tali assiomi.    $ 3. L’intuizione pura. — Non credo di aver  dato con questo il preciso significato d’ intuizione  e d’idea. Mentre le sopra esposte considerazioni  intorno all’essenza del concetto e dell’astrazione  non offrono punti per i quali non possano essere  da tutti accettate, il significato adottato d'’ intui-  zione «a priori » e d’idea presenta senza dubbio  ‘ il fianco a critiche e rimproveri.   In primo luogo non tutti accetteranno di buon  grado la distinzione implicita in conoscenza sen-  sibile e conoscenza razionale. In secondo luogo,  anche accettando la distinzione stessa, è passibile  di discussione il significato delle parole. Alla prima  eventuale obbiezione non ho nulla da rispondere:  tale distinzione gnoseologico-metafisica è qui pre-  supposta ‘ed ammessa come nota. Se essa dovesse  qui svolgersi cambierebbe totalmente il carattere  del nostro studio che avrebbe dovuto allora chia-  marsi « introduzione all’idealismo » o in altro  modo similare e non avere lo scopo particolare  dello studio della posizione della matematica nella  teoria della conoscenza. |   Alla seconda di tali eventuali obbiezioni rispondo  con il dichiarare che il significato delle parole in-  tuizione a priori e idea è qui soltanto « adottato » ;    (1) V. nota 1 pag. 22,    Cap. I. - Preliminari metafisici 25    ha cioè una funzione semplificativa che farà sì  ° che ci si intenda più speditamente. Faccio in ogni  modo osservare che quell’ intuizione a priori, che,  in quanto essa pure formale, abbiamo posto nel  mondo delle idee, non deve confondersi con l’ in-  tuizione in genere, di natura prevalentemente ipo-  tetica, la quale parte da un risultato positivo  cercando di stabilire fra questo una specie di cor-.  relazione con altri risultati che 1’ inspirazione può  suggerire come eventualmente conseguibili, par-  tendo da quello. L’ intuizione sotto tale aspetto con-  siderata sarà da me tratlata nei paragrafi 6, 7 e 8  di questo saggio. Neppure questa intuizione però  — possiamo dirlo fin d’ora — è di natura sensi-  bile. Ma, mentre l’intuizione cui si è accennato  è essenzialmente ideale e perciò preesiste a qua-  lunque dato positivo, questo secondo aspetto del-  l'intuizione ci ricorda piuttosto la divinazione di  una verità ignota suggeritaci da una verità nota. La  prima è l’intuizione ideale di Platone, l’a priori di  Kant e così via. I matematici non s’ impressionino.  Anche nei pensatori loro cari tale forma d'’ intui-  zione figura : è quella di Descartes nella sua « V  meditazione » (1), come fra i moderni la troviamo  affermata esplicitamente e non, in Carlo Hermite..   La seconda specie d’intuizione è ad es. quella  di Newton. Si procede in essa in questo modo :  la conoscenza cui siamo arrivati mi pare mi au-  torizzi a passare a questo e a quest'altro; lo posso  io fare? Proviamo. È il « Cimento » del ’600, molto  meno sperimentale di quello che molti pretendano:  è desso il procedimento intuizionistico del genio  nelle scienze positive.    (1) Pag. 108 segg. dell’ed. Flammarion.    36 La posizione gnoseologica della matematica    Per l’importanza che l’ipotesi viene ad assu-  mere in tale processo del pensiero, chiameremo  tale intuizione ipotetica. |   Molti vorrebbero ammettere un’altra specie d’ in-  tuizione, la sensibile. Anzi, normalmente l’ intui-  zione viene distinta in supersensibile e sensibile,  senza alcun’altra suddistinzione: per conto mio  ritengo sia indispensabile quella sopra esposta in  ideale propriamente detta ed ipotetica. Non vedo  invece la necessità dell’intuizione sensibile che  sarebbe per noi una terza specie d’intuizione: il  rispetto che porto ad alcuni degli assertori della  sua importanza (non fosse altro, per Kant!) non  mi permette di porla senz’altro in disparte: essa  mi sembra però priva di un significato suo proprio  in quanto o potrà confondersi con la percezione  o non essere altro che un momento del processo  psicologico della riviviscenza di essa percezione  sotto forma rappresentativa e in tal caso non  presenterà differenze sostanziali con l’ immagine.  Inoltre sotto questo secondo aspetto esaminata  l'intuizione sensibile oltre al non essere più in-  tuizione, non sarà più nemmeno sensibile, come  già si è incidentalmente osservato (pag. 14). In  ogni modo avremo su ciò a ritornare fra poco sul  significato appunto di tali parole nel Mach.   Certo l’ intuizione sensibile non figura nelle  scienze matematiche: la vera e propria specie  dell’ intuizione della matematica è quella da noi  chiamata ipotetica. Quella più specificatamente  « ideale » figura nella matematica come in qual-  siasi altra scienza: essa ne è il presupposto. Quella  ipotetica invece è necessaria non già per darci gli.  elementi fondamentali, originari del sapere, ma  per poter proseguire. È in matematica la condi-    Cap. I. - Preliminari metafisici 27    zione sine qua non per passare da una verità  nota ad una verità non ancora nota. Anche in  fisica, mi si obietterà, avviene lo stesso: noi stessi  abbiamo considerato in tal modo l’ intuizione ipo-  tetica e si è portato l’esempio di Newton. Perfet-  tamente, ma, mentre in fisica l’ intuizione ipotetica  è divinazione di genio, in matematica è normalità.  Non voglio qui alludere ad alcuna graduatoria  nei valori delle singole scienze: in filosofia ad  es. essa non ha che importanza relativa: ha un  compito ausiliario (1).   Per meglio fissare le idee, visto che siamo in  matematica, permettiamoci anche noi il lusso di  una rappresentazione abbreviata dei risultati ot-  tenuti: I    ideale A pile a qual-  siasi dato sperimentale  [Platone, Cartesio a    5 supersensibile (2) priori kantiano, ecc.]).  Intuizione de ipotetica (correlazione fra    verità nota ed altra di-  vinata come possibile).    sensibile (?) (o percezione o immagine).    Così delineati, molto per sommi capi — sono il  primo a riconoscerlo — i punti essenziali della  nostra possibilità di conoscere, quale posto dob-  biamo, nel problema gnoseologico, fissare alla ma-  tematica? È questo appunto lo scopo del nostro  studio. Uno storico avrebbe naturalmente in modo  ben diverso impostata la questione: anche senza  attenersi ad un’ esposizione del concetto della    (1) Cfr. questo lavoro, cap. II, $$ 6, 8.  (2) Nel senso di non empirico: non per questo cioè deve  significare pensiero puro, ragione.    28 La posizione gnoseologica della matematica    matematica nelle diverse civiltà, avrebbe per lo  meno posto in luce le diverse interpretazioni che  della matematica si sono avute e si hanno dagli  studiosi della materia (1). Sia essa matematica  quasi un metodo formale atto a plasmare le suc-  cessive indagini della fisica e in genere delle  scienze positive (2); sia la matematica paragona-  bile, in omaggio all’estetismo greco (3), ad una    (1) Interessanti sotto questo secondo aspetto le osservazioni  storico-critiche del Boutroux (op. cit., pag. 247 segg.).   (2) Cfr. specificatamente Bovasse, De la Meéthode dans les  Sciences, pag. 76 segg. (Paris, 1909). i   (3) Il Boutroux (op. cit., pag. 45 segg.) nota differenze essen-  ziali fra la concezione estetica che della matematica si erano fatta  i Greci con la concezione estetica dell’indirizzo moderno. Questa  si riconnette alla soddisfazione tutta propria del « costruttore »  di nuove teorie o del carattere elegante di nuove dimo;trazioni :  « Voila, dit-on souvent, un « beau travail mathématique », in-  diquant par là qu’autant ou plus que la valeur intrinsèque des  questions étudiées on entend louer l’ingéniosité et la brillante  victoire de l’Auteur ». Per i Greci invece la bellezza è da ri-  cercarsi nell’idea prima «et non dans ce que l’homme ajoute  aux idées», in altre parole le costruzioni delle figure, le dimo-  strazioni dei teoremi e così via.   La distinzione è profonda e sottile; ma di essa noi non pos-  siamo tener ‘conto nella semplice allusione sopra fatta che ha  precisamente lo scopo di porre in luce che, qualunque pos-  sano essere le particolari interpretazioni della matematica, tutte  queste interpretazioni hanno per il filosofo un’importanza sol-  tanto generica.   Il lettore potrà consultare: P. TANNERY, La géométrie grecque   e l’articolo pubblicato sulla Revue de méthaphysique et de  morale (marzo 19413) dal Rivaup; L. BrunscHVICG, Les étapes  de la philosophie mathématique (Paris, 1912); G. MiLHaAUuD,  Lecons sur les origines de la science grecque (Paris, 1893);  Ip., Les philosophes géométre de la Gréce (Paris, Alcan, 1900);  Ip., Etudes sur la pensée scientifique chez les Grecs et chez les  modernes (Paris, Alcan, 1906); Ip., Nouvelles Etudes sur l’his-  toire de la pensée scientifique (Paris, Alcan, 1911),    Cap. I. - Preliminari metafisici 29    imperitura opera d’arte; sia infine essa una scienza  con un diretto scopo di ricerca come qualsiasi  altra, tutti questi ed altri punti di vista possono  essere accettati dal filosofo. |   Indubbiamente in ciascuno di essi vi sono molti  lati pienamente accettabili; inoltre i punti di vista  medesimi .per quanto fra loro differenti non sol-  tanto come punto di partenza, ma anche come  campo d’azione, non sono fra loro affatto incom-  patibili. Essi rappresentano indubbiamente un in-  teresse maggiore per uno storico delle matematiche  o per un matematico che per un filosofo cui in  ultima analisi mediocremente importa sapere che  nel secolo tale si sia seguito prevalentemente  questo o quell’indirizzo. Il filosofo esplica nei  riguardi delle scienze in sommo grado quell’atti-  vità sintetica che gli scienziati alla loro volta  esplicano consciamente — anche se non sempre  vogliono riconoscerlo — nel loro campo partico-  lare, come il volgare inconsciamente nella sua  attività quotidiana. Sintesi in questo caso significa  proprio fare un estratto di tutte queste diverse  interpretazioni — fra loro incompatibili, ripeto —  e svolgere tranquillamente la propria teoria : in  questa il matematico interessato potrà eventual-  mente trovare questo o quel lato favorevole o  contrario alla sua interpretazione e, se lo crederà  opportuno, tenerne conto. Nello stesso modo il  filosofo deve tenere conto dello svolgimento del-  l'indagine matematica presa nel suo complesso:  qualunque specializzazione in filosofia può essere  dannosa. |   Ogni esame critico non può vertere che sugli  elementi essenziali di una disciplina. Già Descartes    nel proporsi di combattere tutti i pregiudizi che    30 La posizione gnoseologica della matematica    sono radicati in noi ed ostacolano il nostro pro-  gresso nella conoscenza, riteneva non doversi  perciò ritenere necessario passare alla disamina  di ciascuno di tali pregiudizi od opinioni comuni,  operazione fra l’altro che sarebbe andata all’ infi-  nito, « ma, poichè la rovina delle fondamenta  trascina necessariamente con sè tutto il resto del-  l’edificio, io prenderò innanzi tutto in esame quei  | principii sui quali poggiavano tutte le mie antiche  opinioni » (1).   Da quanto si è detto fino ad ora si comprenderà  facilmente che in una teoria della conoscenza,  com'è qui intesa, il punto essenziale è quello di  stabilire i rapporti fra le proposizioni matematiche  — e prevalentemente geometriche sulle quali pare  maggiormente verta, oggi sopra tutto, l’attenzione  degli scienziati — e quelle verità assolute, incon-  dizionatamente vere, cui aspira non soltanto ogni  forma d’idealismo, ma senza confessarselo, forse  senza saperlo, lo stesso buon senso dell’uomo  comune che inconsciamente chiede di essere si-  curo su quanto afferma o nega.    $ 4. L’ipotesi nelle scienze. — Mentre le scienze  particolari rimproverano alla filosofia la sua ecces-  siva astrazione, noi possiamo quindi a buon di-  ritto osservare come esse stesse, anche le più  positive, non possano fare a meno di ricorrere  all’astrazione medesima quando vogliano arrivare  alla formulazione di leggi aventi carattere rigida-  mente scientifico. Lo stesso procedimento cono-  scitivo prevalentemente seguito dalle scienze posi-  tive (1’ induttivo) porta alla considerazione generale    (1) Meditations méthaphysiques (1er),    Cap. I. - Preliminari metafisici 31    di quel fenomeno particolare che lo studioso aveva  dapprima isolatamente esaminato.   In queste parole è già implicito il concetto di  astrazione: per esso possiamo intendere qualunque  processo intellettivo per il quale il pensiero dopo  aver osservato sperimentalmente il verificarsi e il  costante ripetersi dei momenti della ininterrotta  successione causale (momenti pertanto razional-  mente non distinguibili, ma ciò ora non importa)  fissa tali sue osservazioni in un principio o in  una legge, che gli permetterà, eventualmente, di  passare per analogia all’ipostasizzazione di altra  legge o principio, di cui avrà invece a cercare la  conferma sperimentale: questa sarà più propria-  mente l’ipotesi intuitiva o intuizione ipotetica,  come si è veduto. Di questa soltanto s’ intenderà  parlare in questo studio, quando non verrà espres-  samente indicato trattarsi dell’altra specie d’ in-  tuizione: l’ ideale.   Tale processo ci permetterà di lavorare sul dato  senza avere il bisogno di ripetere ogni volta la  stessa indagine in quanto appunto potremo pre-  scindere dall'esame dei particolari di questo o  quel fenomeno singolo: è quanto abbiamo veduto  più nettamente e più universalmente applicato  nel calcolo algebrico. L’algebra, sostituendo la  lettera al numero, compie precisamente il processo  tipico dell’astrazione significando che le sue ve-  rità che abbiamo sperimentato sul numero tale o  tal’altro possono estendersi a tutti i numeri, a  tutte le quantità.   Ben lungi quindi da semplice divagazione arbi-  traria che ci allontana dalla constatazione speri-  mentale, possiamo considerare il processo intel-  lettivo come di estrema efficacia anche nella fisica,    38 La posizione gnoseologica della matematica    non già soltanto come semplice astrazione, per la  quale prescindendo dalle qualità particolari di un  determinato fenomeno singolo, noi cerchiamo di  elevarci alla sua espressione. generica, perchè il  suo valore come tale — esempio l’algebra — può,  dopo quanto si è detto considerarsi come fuori  discussione; ma anche di vero e proprio ispiratore  e determinatore di nuove scoperte, il che forma  precisamente quel secondo carattere cui abbiamo  accennato e che abbiamo chiamato intuizione ipo-  tetica. Cercherò di spiegarmi più chiaramente (1):  le scienze fisiche non possono nell’enunciazione  di qualsiasi loro principio fare a meno di basarsi  su verità matematiche come quelle che, rimanendo  inalterati i presupposti temporali e spaziali su cui  poggiano, non possono seriamente essere posti in  dubbio da alcuno: è per tale sicurezza che Kant  ha creduto di poter arrivare a stabilire — contro  Hume — il valore universale e necessario delle    (1) Interessanti, da un punto di vista puramente positivo, le —  dottrine sui rapporti fra matematica e fisica in particolare e  con le altre scienze in generale. Si potrà consultare con pro-  fitto: P. DuHEM, La théorie physique, son objet et sa structure  (Paris, Chevelier et Rivière, 1909); Bovasse, De la méthode  dans les sciences (Paris, Alcan, 1909) (già citato, pag. 28);  ARRIGHI, La storia della matematica in relazione con lo svi-  luppo del pensiero (Torino, Paravia); G. MiLHaun, Etudes sur  la pensée scientifique ; A. PASTORE, Sopra la teoria della scienza.  — Logica, matematica e fisica (Torino, Bocca); E. PicarD, La  science moderne ; E. Boury, La vérité scientifique; A. Rev, La  théorie de la physique; R. BRunscHvicG, La relation entre le  mathématique et le physique (adresse lue au meeting des So-  ciétés philosophiques d’Angleterre et d’ Ecosse, Durham, le.  44 juillet 1923), pubblicato poi in Revue de métaphysique,  1923, pag. 323 segg.; CAPELLI, La matematica nella sintesi  delle scienze (Discorso inaugurale tenuto alla R. Università di  Napoli, 1881). -    Cap. I. - Preliminari metafisici 33    verità matematiche. Quando le scienze fisiche non  possono appoggiare le loro affermazioni su verità  matematiche, noi possiamo a buon diritto consi-  derarle come del tutto insufficienti per la formu-  lazione coerente della legge scientifica e attribuire  loro un valore semplicemente empirico. Hume ha  già parlato troppo chiaramente sul nessun valore  logico di proposizioni basate esclusivamente sul-  l’esperienza per doverci tornare sopra: la debo-  lezza della sua dottrina dipende piuttosto dall’aver  troppo generalizzato tale affermazione, estenden-  dola anche a quelle nozioni che si basano su  principii non ricavati dall'esperienza. « Davide  Hume — dice Kant (1) — riconobbe che, per avere  il diritto-di andare al di là dell’esperienza, biso-  .gnava accordare a questi concetti (2) un’origine  a priori. Ma egli non potè spiegarsi in qual modo  sia possibile che l’ intelligenza concepisca come  necessariamente collegati nell’oggetto concetti che  non lo sono affatto tra di essi nell’intelletto e non  gli venne fatto di pensare che forse l’intelletto  era per mezzo di questi stessi concetti l’artefice  che gli fornì gli oggetti medesimi ».   Questo è precisamente il primo punto di vista  che abbiamo sopra considerato come evidente, cioè  il controllo logico della generalizzazione astratta.    (1) Critica ragione pura (tr. fr.), $ 14, pag. 134-135.   (2) Ossia i «concetti puri dell’intelletto », che noi abbiamo  chiamato specificatamente idee. Non vi è incompatibilità in ogni  modo anche mantenendo il termine un concetto, che Kant  d’altra parte confonde spesso con quello d’idea;. si è infatti  accennato che il mondo delle idee informa nel suo primo grado  — l’intuizionistico — tutta la conoscenza sensibile, non fosse  altro attraverso le più universali manifestazioni di essa: il  tempo e lo spazio. |    ‘ G. E. Barit, La posizione gnosealogica della matematica. 3.    34 La posizione gnoseologica della matematica    Ma possiamo andare oltre e osservare come il  processo inverso può in molti casi aver luogo, e  con pieno valore logico e non di semplice cono-  scenza empirica, quando, formulata astrattamente  un’ ipotesi, noi, per vincere ogni dubbio eventuale,  ne cerchiamo sperimentalmente la conferma. Ove  la conferma sperimentale abbia luogo ecco l’idea  originaria aver determinato una nuova scoperta.  È questo anzi il procedimento più normale del-  l'intuizione geniale; l’armonia perfetta del subbiet-  tivo e dell’obbiettivo che troppo unilateralmente  lo Schelling aveva creduto di trovare nell’ incon-  dizionata prevalenza dell’elemento soggettivo della  serie ideale sull’ obbiettivismo della serie reale.  È il processo di Newton (1) nella scoperta delle leggi  del movimento; di Galileo nella legge della ca-  duta dei gravi, anche se posteriore e più com-  plessa sia stata la determinazione dell’ « uniforme-  mente accelerato » della legge stessa; di Franklin  nel divinare l’analogia di natura della scintilla  elettrica con il fulmine.   Quando Francesco Bacone cominciò a esprimere  concettualmente l’esperienza non più limitandola  alla semplice osservazione del caso singolo per  cui ne venne a questa maggiore importanza nel  campo del sapere, il procedimento ipotetico fu a  torto dagli immediati successori trascurato come  arbitrario nelle scienze particolari e ciò a scapito  non lieve di queste sopra tutto dal punto di vista  della celerità dei risultati, senza per questo nulla  aggiungere alla loro sicurezza. Leibniz osserva  come le grandi menti penetranti di Descartes e  di Spinoza si fossero subito accorte della lentezza    (1) Cfr. pag. 25.    Cap. I. - Preliminari metafisici 35    e degli inciampi che tale metodo puramente spe-  rimentale spinto alle sue ultime conseguenze po-  teva portare e come ciò Descartes e Spinoza  avessero espresso nettamente riguardo al fisico  Boyle. Descartes in una delle sue lettere a propo-  sito del metodo di Francesco Bacone; lo Spinoza,  che il Leibniz bene inteso cita con le dovute ri-  serve (1), in una lettera a Oldenbourg, segretario  della « Società Reale d’ Inghilterra ». In tale lettera  egli osserva appunto come il Boyle s’arresti più  del bisogno su numerose e belle esperienze senza  indurne altra conclusione « di quella ch’ egli  avrebbe potuto prendere come principio, ossia  che tutto si fa meccanicamente nella natura, prin-  cipio che la sola ragione può darci come sicuro  e non mai le esperienze, qualunque sia il loro  numero ».    $ 5. L’ipotesi nella filosofia. — Certo, in tali  considerazioni sull’ importanza dell’ipotesi nella  conoscenza, la logica in senso stretto non ha nulla  a che vedere. Tali ipotesi non possono infatti  farsi rientrare nè nel metodo deduttivo nè nel-  l’induttivo: se l’ipotesi in un certo senso, e nel  campo fisico specialmente, può trovarsi più vicina  all’induzione che alla deduzione — in quanto    (1) È noto come lo Spinoza sia stato perseguitato e respinto  in vita e disprezzato per molti anni dopo la sua morte non già  soltanto dalla massa incolta e superstiziosa e dagli antichi cor-  religionari, ma anche da pensatori illuminati — basterebbe ri-  cordare la violenza di Malebranche contro «l’ateo ebreo » —  non esclusi coloro che non poco attinsero alla sua dottrina. Il  Leibniz in tal punto (Nouveaua Essais, IV, cap. XII) crede  indubbiamente di compiere un atto di franchezza coraggiosa,  scrivendo: ‘a ...et Spinoza, que je ne fais point de difficultés de  citer quand il dit de bonnes choses... n.    36 La posizione gnoseologica della matematica    rispecchia normalmente un processo che va dal  particolare al generale — non per questo incor-  reremo nell’errore di alcuni di non aver saputo  sufficientemente disgiungere la rigorosità logica  dell’ induzione dall’analogia intuizionale dell’ipo-  tesi (1). Tale procedimento analogico è, sotto un  certo aspetto, ben superiore al rigido ragiona-  mento (2): esso è la diretta conseguenza di quel-  l'eccezionale « sviluppo delle associazioni per simi-  | larità » che è acutamente considerato dal James (3)  come la caratteristica precipua del genio.  Anzi nel campo strettamente filosofico l’ ipotesi  astratta del punto di partenza è propria  partico-  larmente nei deduttivi per eccellenza. La citazione  di Descartes e Spinoza nelle considerazioni ripor-  tate del Leibniz, non fu qui fatta a caso: essi  cercano nella realtà la conferma della loro ipotesi.  Il famoso dubbio cartesiano non è che il punto  di partenza di quello che si potrebbe chiamare  la seconda fase del suo pensiero (bene inteso non  in senso cronologico); la fase più propriamente.  riflessa, non già della visione complessiva della  realtà, la quale deve necessariamente essergli ba-  . lenata in precedenza sotto forma appunto di sem-  plice ipotesi, d’intuizione geniale. Ha tale mia    (1) Il lettore potrà consultare i due lavori del WHEWELL:  The Philosophy of scientific Ideas (London, 1840) e History  of scientific Ideas (London, 1858). Sono essi studi più di carat-  ‘ tere storico-scientifico che propriamente filosofico, malgrado  l'inquadramento sia generale e non riguardi particolarmente  questa o quella scienza. Filosoficamente il Whewell risente  alquanto dell’influenza kantiana, malgrado abbia troppo accen-  tuato l’opposizione dell’idea al fatto.   (2) Cfr. specificatamente sull’argomento: R. BENZONI, L’In-  duzione, I, pag. 93 segg. (Genova, 1894).   (3) W. James, Psicologia (tr. it)., Cap. XI, XII.    Cap. I. - Preliminari metafisici 37    opinione valore maggiore di semplice supposizione  arbitraria? Certo nessuno, forse nemmeno chi crea,  | può seguire l’ evoluzione del proprio pensiero,  evoluzione che sarebbe della più grande utilità  conoscere per la scienza e che non ci è che molto  raramente, e quasi mai con decisa sincerità, rive-  lata dai battitori di nuove strade; ma certo a tale  convinzione si può (non dico sî deve) arrivare  nell’ambito della filosofia pura, ove si rifletta che  il fatto, come si è veduto, avrebbe riscontro in  quelle scienze che, per essere il loro campo d’azione  più ristretto e per trattare una materia molto più  accessibile, in quanto può rigorosamente essere  controllata dall’esperienza, sono più organiche,  più concretamente delimitate e costituite che non  la filosofia idealistica. Inoltre a tale convinzione  fui portato dalla constatazione che Descartes, senza  una precedente intuizione geniale del complesso,  formulato il suo « cogito ergo sum », non avrebbe  potuto, in modo rigorosamente logico, andare oltre.  Al « cogito » cartesiano possiamo infatti dare,  se ben guardiamo, non più di tre interpretazioni:  1°) Cartesio arrestandosi nel suo processo du-  bitativo alla indubitabile certezza del pensiero  (non fosse altro per il suo stesso poter dubitare:  «...ideoque scis quia te dubitare scis ») ne de-  duce la realtà dell’essere: se io posso pensare,  vuol dire che qualche cosa sono. L’essere in questo  primo senso verrebbe ad acquistare un valore em-  pirico: si potrebbe vedere nell’ergo sum la neces-  saria conseguenza che, poichè il pensiero è l’asso-  luta certezza, questo ha la necessità di manifestarsi  nelle azioni di cui esso pensiero è la causa : questa  rivelazione concreta del pensiero io non la posso  vedere immediatamente se non nel mio io. Tutto    38 La posizione gnoseologica della matematica    il resto non potrà essere ricavato che dall’aver  posto il mio io, che come contrapposto, cioè quando  mi sarò accorto che il porre il mio io è afferma-  zione vuota di senso se non contrappongo all’ io  un non io. Solo in tal modo l’io può essere de-  terminato, come solo ponendo ciò che non è uno  io posso afferrare l’essenza dell’unità. Constata-  zione questa semplice a farsi e antica quanto la  filosofia: la troviamo in Platone ad es. quando  nei suoi tardi anni tentò di darci una soluzione  logica e non soltanto teleologica del dualismo netto  e preciso cui l’aveva portato la dottrina delle  idee: il monismo raggiunto attraverso la funzione  teleologica dell'idea del Bene non poteva in' fondo  risolvere soddisfacentemente la necessità logica  che la sua dialettica era venuta a porre (e cioè  il rapporto fra l’idea e il dato sensibile) ed ecco  allora l’influenza pitagorica affacciarsi nuovamente  allo spirito platonico e manifestarsi attraverso la  famosa dottrina dei rapporti numerici (1). In ogni  modo questo non è, a mio modo di vedere, il  significato del « cogito ergo sum ». Il « sum »  assumerebbe qui il valore di una constatazione  empirica che mal si potrebbe inquadrare nell’idea-  lismo cartesiano. In fondo questo pensiero che  ha bisogno di una manifestazione empirica per  affermarsi ha un certo sapore naturalistico dal  quale non va spoglio l’indirizzo immanentistico  dominante oggi nella filosofia in Italia, nè l’allu-  sione alla dialettica trascendentale di Platone,  deve attenuare il sapore naturalistico medesimo.    (1) Senza avere nulla a che vedere con quanto qui è esposto,  è notevole sull’argomento lo studio particolare del TRENDE-  LENBURG, Platonis de ideis et numeris doctrina (Lipsia, 1826).    Cap. I. - Preliminari metafisici 39    2°) Un'altra interpretazione del « cogito » ci  pone il problema sotto un aspetto che nulla ha  a che vedere con il precedente. In senso netta-  mente idealistico l’ergo perderebbe il suo signifi-  cato di deduzione logica per non significare altro  che un’identificazione intuitiva: il sum non è più  la manifestazione concreta del pensaré, non è  qualche cosa di derivato dal pensare, ma è la  Stessa cosa : essere = essere cosciente. Quindi se  io penso vuol dire che sono in quanto coscienza (1),  perciò l’affermazione della coscieriza come prima  verità sulla quale senza alcun dubbio oramai pos-  siamo basarci, sicurezza specifica questa che non  incontriamo per la prima volta in filosofia: è già  ad es. in Agostino. Questo è, credo, il vero signifi-  cato della frase cartesiana. Ma questo «io sono »  in quanto essere cosciente, mantenuto in questi  limiti, non mi porta avanti di un passo nella  conoscenza, perchè mi resta pur sempre il com-  pito di dover affrontare in qual modo può essere  questa realtà sensibile che mi circonda della quale  la sicurezza espressa nell’ergo sum non dice nulla.  Mi si riaffaccia in tutta la sua intensità il pro-  blema della dialettica platonica, il rapporto fra  l’idea e la manifestazione sensibile, fra il pen-  siero e l’essere empirico.   Questo secondo significato è anche quello più  generalmente accettato. In tal modo interpreta in  fondo lo Spinoza in quegli studi giovanili sulla  filosofia di Descartes che poi completò (1663) con  un'appendice metafisica originale, nonchè lo stesso  Kant nella « Critica » (2), perchè, malgrado l’ îo    (4) La res cogitans cartesiana.  (2) Tr. fr., ed. cit., pag. 345-346 (nota).    400 La posizione gnoseologica della matematica    di cui si tratta è pur sempre « una rappresenta-  zione puramente intellettiva » perchè se è vero  che « senza una rappresentazione empirica che  fornisce al pensiero la materia, l’atto « io penso »  non avrebbe luogo » è anche vero che « l’ele-  mento empirico non è che la condizione dell’ap-  plicazione o dell’uso della facoltà intellettiva pura ».   3°) Vi può essere infine un altro modo d'’ in-  terpretazione che non è, a vero dire, che un com-  plemento del precedente, ma che va ben oltre esso  nelle conseguenze metafisiche e ben oltre le stesse  intenzioni di Descartes. E cioè la constatazione  del « cogito » mi dà l'immediata certezza dell’es-  sere in quanto pensare ed essere sono identificabili,  in quanto cioè, come nel caso precedente, se penso  vuol dire di per se stesso che sono come coscienza;  ma dalla constatazione del pensare questo o quello  come elementi di una molteplicità, arriva alla  formulazione della coscienza come espressione di  un processo di unificazione che è già accennato  in ogni atto particolare del mio pensare. Tutta la  molteplicità disordinata la quale io penso trova  cioè la sua unificazione nell’atto del mio pensiero  e la sua espressione unitaria nella mia coscienza,  che viene così a rappresentare un grado più ele-  vato nello stesso mio processo del pensare.   La quale coscienza — tanto per intenderci chia-  miamola individuale — troverà poi nella molte-  plicità delle altre coscienze individuali la ragione  non tanto del suo essere quanto del suo rivelarsi:  le quali coscienze saranno esse pure naturalmente  infinite sintesi d’infiniti processi di unificazione  simili al mio che troveranno la loro espressione  ultima nella totalità della Coscienza, nell’ Io asso-  luto, in Dio.    Cap. I. - Preliminari metafisici 4    Inutile qui continuare per questa strada che ci  porterebbe troppo lontano dal seminato. Ho già  detto che se questo terzo indirizzo costruttivo si  può ricavare dalla constatazione cartesiana noi  non lo troviamo nella sua filosofia: l’ ho prospet-  tato soltanto come possibilità creatrice basantesi  sul « cogito ergo sum » preso come punto di par-  tenza. |   Quello che c’ importa di porre in luce è che in  nessuna di queste interpretazioni Descartes avrebbe  potuto proseguire attenendosi ad uno svolgimento  puramente logico.   I procedimenti della logica come considereremo  più ampiamente fra poco, sono rigorosamente due  soli, l’ induttivo e il deduttivo. Esaminate l’espres-  sione cartesiana in tutti i sensi senza dipartirvi  rigidamente da tali metodi, e vedrete che per  ricavarne qualche cosa, per fondare quella mo-  derna teoria della conoscenza che comunemente  si fa datare da Descartes, dovrete presupporre  un’ intuizione creatrice di cui il « cogito ergo sum »  non è già il punto di partenza, ma il punto d’ar-  rivo, la naturale conseguenza del suo pensiero,  che, ritornando su se stesso, esamina il cammino  . percorso e lo fissa nel modo noto. È una specie  di processo similare, condizionato all’ individuo,  a quello dell’Immaginazione produttrice e della  Riflessione nel pensiero di Fichte, naturalmente  fatte le debite proporzioni fra coscienza assoluta  e coscienza individuale e senza che vi sia incluso  il subiettivismo trascendentale del filosofo tedesco.   D'altronde, che l’intuizione possa avere la più  grande importanza nella filosofia è cosa notoria.  Kant la definisce la « rappresentazione che può    49 La posizione gnoseologica della matematica    essere data a ogni pensiero » (1), e per quanto la  filosofia non possa derivare dall’ intuizione i suoi  concetti, certo può chiarirli a mezzo di essa (2).   Nel panlogismo spinozistico quanto siamo an-  dati constatando in Descartes, si vede forse in  modo più deciso. Oltre al valere per lo Spinoza  le due considerazioni dianzi esposte per Descartes,  non può qui sfuggire come lo Spinoza dia alcune  volte l'impressione di compiere sforzi per imbri-  gliare il proprio pensiero nei limiti dell’osserva-  zione di fenomeni anche fra i più semplici o che  per lo meno tali potrebbero sembrare a chiunque  i fenomeni stessi non debba forzatamente far rien-  trare in un ordine precedentemente fissato. ln  altre parole si ha alcune volte l’impressione che  il pensiero di Spinoza si trovi dinnanzi a una  constatazione qualsiasi della realtà come di fronte  ad un ostacolo non intravveduto nella precedente  intuizione ideale.   Allora il filosofo incatena il fatto stesso nella  concezione prefissata; ma ciò evidentemente non  si verifica in modo naturale. Non è cioè il fatto  sensibile che viene conseguentemente dato come  esempio confermativo a quanto precede; ma si  vuole a forza farlo rientrare nell’ordine logico  da cui si è partiti come da fondamento generale  della realtà, quasi scopo della .dottrina stessa  fosse una tesi che si vuol dimostrare e non una  verità, qualsiasi verità essa sia, che si vuole  scoprire.    (1) Critica (tr. fr., ed. cit.), pag.138 (analitica trascendentale).  In modo meno chiaro, riguardo a questo punto particolare, nella  trattazione della prova ontologica dell’esistenza di Dio e nel $ 49  dei « Prolegomeni ». l   (2) Segnatamente nei Prolegomeni, $ 7.    ’    Cap. I. - Preliminari metafisici 43    Non so se rendo l’idea; ma dell’eventuale poca  chiarezza di queste mie parole mi si vorrà tener  venia, considerando che, per quanto il concetto  in esse insito sia in me limpido e preciso, è tut-  tavia di ben difficile formulazione, in quanto tale  mia opinione non è già effetto della ragione, ma  è una specie di malessere, di impressione sola-  mente « sentita » nel preciso significato che lo  Schopenhauer attribuisce a tale parola, appunto  contrapponendo il sapere, il sapere logico, al sen-  timento, come a qualcosa « di attualmente presente  nella coscienza, ma che non è un « concetto »,  non è una conoscenza astratta della ragione » (1).  Nello stesso significato, a maggior chiarezza esem-  plificativa tolgo l’allusione contenuta nello stesso  paragrafo del libro dello Schopenhauer: la parola  « sentito » è qui adoperata nello stesso modo in  cui è adoperata dal Tennemann nella sua « Storia  della filosofia » quando ci dice che « si sentiva  che i sofismi erano falsi, ma non se ne poteva  scoprire l’errore ». In ogni modo tale stato di  malessere del pensiero spinozistico possiamo ri-  scontrare nei due indirizzi estremi delle molteplici  interpretazioni dei suoi commentatori, e nei critici  che ce lo hanno rappresentato come pretto natu-  ralismo (es. K. Fischer e più ancora il Whale,  l'esponente tipico del realismo scettico), oppure  come quello del panlogismo idealistico più rigo-  roso, anzi come il vero fondatore del panlogismo  prekantiano, che possiamo differenziare da quello  posteriore sia per il suo carattere rigidamente  geometrico che lo porterà ad un dualismo irridu-    (1) Il mondo come V. e R., I, $ 11 (tr. it. B. Varisco-N. Pa-  langa), Perugia, 1913.    44 Là posizione gnoseologica della matematica    cibile, sia per la naturale influenza che la Critica  kantiana ha avuto su tutto il pensiero filosofico  seguente, precipuamente con l’aver posto in luce  che l’esperienza è possibile solo per l’attività sin-  tetica dell’intelligenza che il Martinetti (1) netta-  mente e il Franchi (2) pure, per quanto forse in  modo meno esplicito, considerano come il valore  fondamentale della dottrina di Kant (3).   Certo le considerazioni che si possono fare in  merito alle cause per cui derivano al pensiero  spinozistico così gravi difficoltà, vanno bene al di  là di questi semplici accenni, privi, l’abbiamo  veduto, di qualunque esplicito fondamento razio-  nale. Il Martinetti vede perfettamente ciò e ne  attribuisce la causa in primo luogo « alla posi-  zione assoluta dell’estensione ed al conseguente    parallelismo dei due attributi e' dei rispettivi.    modi » (4); in secondo luogo « al modo con cui  egli deriva, o almeno dovrebbe derivare logica-  mente il mondo dal suo principio ». Questi i due  punti fondamentali su cui avrebbero dovuto ver-  tere le nostre considerazioni per fare una disamina  razionale della dottrina spinozistica; la spiega-  zione teoretica cioè di quello che io non ho ac-    (1) Introduzione alla metafisica,I, pag. 240. Dice testualmente  l’A.: « In questa dimostrazione che le forme d’unità, per mezzo  di cui noi ordiniamo logicamente il contenuto sensibile, non ci  | pervengono dall’esterno, ma sono funzioni della coscienza, sin-  tesi operate dal pensiero per una specie di virtù propria, sta il  vero merito di Kant».   (2) Teorica del Giudizio, I, pag. 155.   (3) Interessante al riguardo l’ultima lettera, riportata dal    Paulsen nel suo studio su Kant, diretta dallo Schiller a Gu-    glielmo Humholdt (2 aprile 1805). In essa si dice fra l’ altro  «...alla fine noi due siamo pur idealisti e ci vergogneremmo  se i posteri dicessero di noi che furono le cose a formar noi  e non che fummo noi a formare le cose».   (4) P. MARTINETTI, op. ctt., II, pag. 360 segg.    .Cap. I. - Preliminari metafisici 45    cennato che come impressione, forse non del tutto  soggettiva, ma in ogni modo spoglia pur sempre  di qualunque valore razionale. La limitatezza  medesima delle mie osservazioni, se presenta l’in-  conveniente gravissimo di non essere convincente  in quanto non dimostrativa, presenta però il van-  taggio di poterne fare una questione più generale,  in un certo senso quasi psicologica, e osservare  che quanto si è rimproverato allo Spinoza sia in  certo modo la conseguenza naturale dello stato  di pensiero di tutti quei filosofi, i quali, partiti  da un presupposto determinato della visione della  realtà nel suo complesso, si trovano poi, costretti  come sono a dover esporre logicamente la loro  geniale visione del mondo, dinnanzi a piccoli  inciampi particolari, che minacciano di far cadere  tutto l’edificio faticosamente costruito; di tutti  quei filosofi che, in poche parole, credono di poter  dedurre il mondo da un presupposto ipotetico.  Nello Spinoza, e per questo mi sono soffermato  un po’ a lungo su di lui, ciò si vede più chiara-  mente che in qualsiasi altro filosofo di tale ten-  denza, perchè egli si attiene, più di qualsiasi altro  filosofo di tale tendenza, rigorosamente al suo  principio (non importa qui il dualismo iniziale) ‘  e perchè in lui possiamo trovare in modo emi-  nente quel temperamento filosofico, che si ha come  disposizione innata allo stesso modo come si nasce  poeti. Quanto si è andato osservando si riscontra  perciò più palesemente in lui: è lui stesso il primo  che avverte l’ostacolo; il suo pensiero ha ripu-  gnanza a far rientrare in un ambito voluto che  non è il suo il tal determinato fatto particolare.  Per questo ho parlato di stato di malessere (espres-  sione non certo indicata ove le mie osservazioni    46 La posizione gnoseologica della matematica    riguardassero esclusivamente la sua dottrina) che  qua e là si sente nella sua «Etica » e che sotto  tale forma si comunica allo studioso.   Ma riguardo a molti altri filosofi avremmo po-  tuto fare le stesse considerazioni inerenti agli in-  convenienti che tale sistema di costruire la realtà  comporta. Fichte è costretto a ricorrere alla fede  per spiegarci in qualche modo il suo processo  dall’ Io assoluto al non io. Schelling nulla ci dice  del mondo sensibile, malgrado la sua filosofia  della natura, se non rinunciando al suo idealismo,  non troppo bene sorretto sulle sue basi dalla teo-  gonia trascendentale originaria, e il suo pensiero  oscilla continuamente fra Spirito e Natura, ren-  dendo impossibile al critico una schematizzazione  della sua dottrina. Hegel, il fortunato artefice mo-  derno del panlogismo, manca al suo compito fonda-  mentale che è quello di darci una visione logica  della realtà, se non ricorrendo a passaggi dispotici.   Nello Spinoza inoltre — e ciò sia detto natural-  mente anche per Descartes — vi è la difficoltà di  doversi attenere ad argomentazioni prettamente  geometriche. Ora, le scienze matematiche se sono  indicate come il naturale controllo delle scienze  fisiche, non lo possono essere ‘di quella disciplina  che ha per iscopo di andare al di là di tutte le  scienze particolari, al di là di ogni esperienza e  avente la sua funzione particolare nella concate-  nazione ed esclusione di concetti e non già di  semplici dati, cioè della metafisica, intesa come  quella conoscenza essenzialmente razionale cui  non può fare a meno di tendere ogni nostra aspi-  razione gnoseologica.   Se è vero che la chiarezza dimostrativa è la  prima preoccupazione che deve avere un filosofo,    ‘Cap. I. - Preliminari metafisici 47    °    essa non è però sufficiente per giustificare una  concezione metafisica specialmente se la dimostra-  zione medesima significa sopra tutto analisi e  analisi, si noti, che ha il suo campo d’azione in  proposizioni dedotte da altre proposizioni e così  ‘ via, risalendo così gradatamente a principii in  gran parte da niente determinati se non dall’ in-  dispensabilità..... di avere un principio onde poter  cominciare. Questi inconvenienti sono palesi sopra  tutto nei discepoli di Descartes: in essi certo ben  più che nel maestro; ma essi formano l’ inconve-  niente di tutta la filosofia del secolo XVII: esempio  tipico la scuola di Porto Reale.   Pascal, è vero, si accorse nettamente di questa  insufficienza del metodo dominante nel tempo per  arrivare con sicurezza a sapere; ma non volendo  o non potendo, dato il suo temperamento di mate-  matico nato, attribuire specificatamente l’ insuffi-  cienza medesima al metodo matematico — in quanto  credeva di riconoscere in essa la massima poten-  zialità gnoseologica dell’uomo — ritenne di poter  arrivare alla conclusione dell’ impossibilità del  nostro conoscere inteso in senso razionale asso-  luto. Per non cadere nello scetticismo eccolo cer-  care la via di salvezza nel misticismo: ecco la fede  compensare in lui quello che la ragione non be  teva dargli.   Ma le cause dell’insufficienza speculativa di  questa scuola in particolare e del metodo mate-  matico in generale non hanno nulla di comune  con un'insufficienza generica della possibilità d’in-  dagine del nostro pensiero.   Il concetto di ciò che esiste realmente in natura  è continuamente passibile di variazioni, mentre  il concetto matematico è rigidissimo, non può    n nnnn_    48 La posizione gnoseologica della matematica    ammettere la più piccola modificazione. Come si  vedrà meglio più innanzi la perennità dell’ar-  monia delle sue proposizioni dipende principal-  mente dall’astrazione del suo campo d’ indagine,  dall’esistenza dirò immaginaria delle sue costru-  zioni, che non si riscontrano già nella realtà e  possono perciò resistere indifferenti e immutabili  a tutte le modificazioni che il pensiero nostro va  introducendo nelle « cose », aggiungendo conti-  nuamente nuove scoperte a quelle già ricche del  passato: per es. il concetto di un albero, di un  animale, di un minerale diventerà sempre più  complesso man mano che la ricerca scientifica  sarà venuta .modificando, sempre più completan-  dolo, il concetto medesimo. |   Ciò non può avvenire in alcun modo nella ma-  tematica in cui il concetto di ciascuno dei suoi  elementi è già di per se stesso immutabile per  definizione, la quale unicamente nelle scienze ma-  tematiche viene ad essere posta in modo insinda-  cabile. Qualunque possa essere il valore di questo  presupposto, su cui avremo a ritornare, esso sarà  pur sempre ugnale a se stesso, qualsivoglia perfe-  zionamenti possano venire introdotti col tempo e  con successivi studi nelle scienze matematiche  medesime.   Anche in Platone noi possiamo trovare qualche  traccia di questo metodo della « definizione ipote-  tica che aveva lo scopo di provare l’utilità e la  precisione di un concetto speculativo in base alla  esattezza delle conclusioni che se ne possono  trarre » (1), ma ciò è in lui determinato non già  da una netta esigenza logica quanto dalla parti-  sele    (1) Cfr. WinpeLBanD, Platone (tr. it.), pag. 77.    Cap. I. - Preliminari metafisici 49.    colare necessità di uscire dai viluppi della sua  stessa dialettica. Vi si può notare inoltre una  specie di movimento di reazione contro gli Eleati,  i quali, attenendosi allo stesso criterio della posi-  zione di due tesi contraddittorie, avevano creduto  di poter dimostrarne l’assurdità per le conclusioni  | opposte che ne sarebbero derivate.   Ma l’intendimento che anima anche qui la dia-  lettica platonica è del tutto diverso da quello della  matematica: nettamente trascendente e assoluto  in quella; immanente e relativo in questa, per  ammissione degli stessi matematici.   L’errore inevitabile di tutti questi pensatori —  e segnatamente dello Spinoza, che più rigorosa-  mente di ogni altro volle esporci una concezione:  logico-matematica del mondo — consiste precisa-  mente nel supporre possibile di trattare alla stessa  stregua dei concetti della matematica, per defini-  zione immutabili (1), concetti forzatamente mutabili  come sono quelli di tutte le altre scienze in gene-  rale e particolarmente della fisica e della psico-  logia, le due scienze particolari che ci danno i due  punti di vista opposti su cui possiamo costruire ogni  sistema filosofico: quella fornendoci la base del  ‘ naturalismo (il non io), questa dell’ idealismo (l’ î0).    (1) Questa immutabilità della matematica si deve intendere  qui non già nel senso preciso che Kant credette ravvisare in  essa, ossia per l’innatezza dei suoi principii; ma in quanto lo  svolgersi della nostra matematica o di qualsiasi eventuale ma-  tematica possibile futura, dovrà pur sempre basarsi su presup-  posti presi come ipotesi-postulati e perciò non possibili di varia-  zioni se non per volontà indipendente dal controllo della  esperienza. (Cfr. in ogni modo questo studio, Cap. III, $$ 10,  14, 12).    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 4.    ‘    Digitized by Google    IG DRITTO ITER IRR    CAPITOLO II.    I rapporti fra la logica e la matematica. (1)    $ 6. Il procedimento logico nella matematica.  — La matematica è invece vegeta e rigogliosa in  quanto essa ha ben più modesta funzione.   Già Kant, pure riconoscendo il carattere di ve-  rità universali e necessarie alle verità matematiche, .  aveva ripetutamente affermato che la matematica  non può trascendere la conoscenza della realtà  sensibile: essa non ci può essere cioè di nessuna  utilità per la conoscenza della cosa in sè. Un più  rigido idealismo ispirantesi alla « Critica » non  può modificare tale insegnamento kantiano. Elimi-  . nando il concetto realistico della cosa in sè, esso  ha mantennto inalterato il valore della matema-  tica come scienza intuitiva e perciò superiore alla  esperienza, e perciò, come si è osservato sopra,  di potente indiscutibile appoggio per le scienze    (1) Cenni bibliografici: A. DE MoRGAN, Formal Logikor the cal-  culus of inference necessary and probable (1847); W.S.JEvons,  Pure logik... (1864); Ib., The Principles of science. A trea-  tise on logic and scientific method (1873); DuHAMEL, Des mé-  thodes dans les sciences de raisonnement (Il ed., 1875);  WINTER, La méthode dans la philosophie des mathématiques  (Paris, Alcan).    52 La posizione gnoseologica della matematica    empiriche. Come si vede c’è già, in questo sem-  plice riconoscimento dell'importanza della mate-  matica come controllo delle scienze esperimentali,  un implicito riconoscimento di tali scienze espe-  rimentali verso il concetto fondamentale dell’ idea-  lismo che subordina la nozione proveniente dalla  esperienza a una di natura più elevata qualitati-  vamente superiore, proveniente dall’ idea. Ma ciò  non pertanto la matematica non può che parzial-  mente soddisfare il pensiero umano (Kant direbbe  ‘ la Ragione), che tende alla conoscenza dell’Asso-  luto, oggetto propriamente del sapere logico, che  non può essere immedesimato con l’ intuizione ma-  tematica. Mentre dalla matematica discende una  infinità di nozioni, dalla logica considerata in  senso stretto d’induzione e di deduzione, non di-  scende alcuna nozione. La logica non ha altra  funzione che quella di potere formale, di sistema-  zione dell’attività della nostra intelligenza: il ma-  teriale da elaborarsi è già fornito totalmente ad  essa quando possiamo stabilire fra le diverse leggi  o concetti un’analogia, o, spronati dal dubbio, ri-  cercare il perchè della contraddizione. Quale nuova  nozione possiamo noi ricavare dal sillogismo?  Nessuna: eppure il sillogismo è l’espressione ti-  pica della deduzione.   Nè maggior fortuna avremmo ove esaminassimo  una qualsiasi induzione. Sotto tale punto di vista  anzi (quello dell’acquisizione di nuove cognizioni)  la logica e la matematica, ben lungi dal rivelare  fra loro sintomatici punti di contatto, offrono una  palese incompatibilità.   Ma, ove si sia tutti di accordo che il procedi-  mento rigorosamente logico nulla aggiunge alla  nostra conoscenza immediata, non avendo che una    <    Cap. II. - Irapporti fra la logica e la matematica —53    funzione mediata di controllo su di essa, vien fatto  di domandarci dove le matematiche attingano il  ricco corredo di nozioni che esse ci danno. Nella  stessa impostazione del problema possiamo frat-  tanto osservare come ne discenda la naturale con-  seguenza della non logicità del procedimento ma-  tematico. Tale illogicità, sia pure relativa, dovrebbe  essere ammessa, ove conseguenti si voglia essere,  da tutti coloro — e molti matematici sono fra di  essi (1) — che sostengono nulla potersi apprendere  di nuovo nè dalla deduzione nè dalla induzione.  Tuttavia alla conclusione stessa difficilmente si  rassegnano, non tanto perchè essa non sia con-  vincente in quanto è a tutti palese il valore di  questo ragionamento: « Le forme della logica sono  due sole — deduzione e induzione — queste forme  però non ci danno alcuna nuova nozione essendo  la loro attività puramente formale; nello stesso  tempo noi sappiamo che la matematica ci apprende  nuove nozioni, dunque la matematica non può  essere logica »; quanto perchè la conclusione può    ‘ spaventare anche le menti più abituate alla inda-    gine spregiudicata e rigorosamente obbiettiva.  Ma i matematici non hanno disarmato nel vo-  lere avere in certo qual modo il monopolio della  logica: cacciati dalla porta essi vi sono rientrati  dalla finestra. Non potendo cioè ritonoscere nella  matematica un procedimento soltanto logico, pen-  sarono non già di logicizzare la matematica, ma  di riformare la logica, mummificata secondo loro  da secoli intorno alle stesse leggi. Questo il nucleo  del dissidio fra la logica tradizionale aristotelico-    (1) Basterebbe citare in fisica il Mach, in matematica il  Poincaré.    54 La posizione gnoseologica della matematica    scolastica e la logica matematica odierna o, tanto  per chiamarla con parola suggerita da uno dei  suoi maggiori esponenti — il Couturat —, logi-  stica (1).    (1) G. PEANO, I principii di geometria logicamente esposti  (Torino, 1889); In., Formulario matematico (1894-1906, 5 edi-  zioni); Ip., Aritmetices principia, novo methodo exposita (To-  rino, 1889); G. VAILATI, Scritti, pag. 229 segg., 659 segg.,  689 segg.; M. PIERI, numerosi scritti conservati negli Atti del-  l'Accademia delle Scienze di Torino; C. BuraLi FORTI, Logica  matematica (Milano, Manuali Hoepli, I ed. 1894, II ed. 1919);  In., Sulla teoria generale delle grandezze e dei numeri (Atti  della R. Acc. di Torino, vol. XXXIX, 1904); J. VENN, Symbolic  Logik (London, I ed. 1881, II ed. London, Macmillan, 1894)  (con ampia bibliografia e cenni, non geniali in verità, sui pre-  cursori matematici di Kant). Questi fra i numerosi rappresen-  tanti della logistica in Italia. Al Peano s’inchinano però osse-  quienti come a maestro anche i logistici degli altri paesi. I suoi  studi di logica matematica (intesa come riduzione della logica  formale a un calcolo simbolico) hanno avuto naturalmente dei  precursori (lo stesso Leibniz si vuol fare rientrare fra questi)  degno di nota fra tutti; G. BooLE (The Mathematical Analysis  of Logic, Cambridge, 1847), nonchè G. P£ACcOCK, D. GREGORY e  A. pe Morgan, TH. SPENCER BAYNES, W. STANLEY JEvoNS. Per  maggiori informazioni su tali ed altri precursori il lettore può  consultare : E. SCHRODER, Der Operationskreis des Logikkalkulus  (1877); In., Vorlesungen tiber die Algebra der Logik (1895);  L. LiARD, Les logiciens anglais contemporains (Paris, 1878) ;  Ip., Des definitions géometriques et des définitions empiriques  (Paris, Alcan).   I logici matematici sono però concordi nell'affermare che a  Peano spetta il merito di averne per primo tentato l’applica-  zione della logica matematica (cfr. lo studio del Peano: « Cal-  colo geometrico secondo l’ Ausdehnungslehre di Grassmann 1).   I capi scuola della logistica contemporanea all’estero sono:  FREGE, Begriffsschrift. Eine der arithmetischen nachgebil-  dete Formelsprache des reinen Deukens (Halle, 1879); Ip.,  Grundlagen der Arithmetik, eine logisch-mathematische  Unstersuchung iùber den Begriff der Zahl (Breslau, 1884);  Ip., Grundgesetze der Arithmetik begriffsschriftlich abgeleitet    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —55    Per conto mio, pure riconoscendo la giustezza  degli elogi che questo indirizzo ha saputo meri-  tarsi nel campo strettamente scientifico, credo esso  non ne abbia alcuno in filosofia. I pregi scienti-  fici della logistica consistono sopra tutto — e non  è poco — nella estrema rapidità e concisione della  sua rappresentazione simbolica, non solo senza  nulla perdere, ma anzi guadagnando in rigore  espositivo ed eliminando non pochi equivoci della  tradizione. Da un punto di vista gnoseologico la  logistica è però mancata al suo compito fondamen-  tale, quello appunto di riformare la logica: la lo-  gistica non ne ha colpa, se non in quanto Si è  accinta a un compito impossibile: riformare cioè  quelle leggi del pensiero che sono in noi, consi-  derandole invece come modi introdotti artificiosa-  mente da un criterio utilitario — convenzionali  stico per registrare, catalogare, ecc., le nostre co-  noscenze.   Questo errore fondamentale del punto di partenza  spiega e in certo qual modo giustifica l’entusiasmo  più sentimentale che razionale che i logistici hanno  per la loro teoria. Essi stessi sono i primi ad es-  sere meravigliati che proprio fino al secolo XIX  si sia aspettato per accorgersi che si era erronea-  mente ragionato per millenni e millenni, non già  da Aristotele cioè, ma dal primo formarsi di una  coscienza. Non esiste una logica di Tizio e una lo-  gica di Caio; esiste soltanto la Logica. Tizio o  Caio possono tutto al più aver dato alla Logica  una data particolare struttura a seconda che il    (Iena, 1893); B. Russe, The principles of mathematics  (Cambridge, University Press, 1903); L. COUTURAT, Les prin-  cipes des mathématiques (Paris, 1905).    56 La posizione gnoseologica della matematica    loro temperamento, il loro tempo e il loro grado  di coltura potevano suggerire. La stessa grandio-  sità della scoperta avrebbe dovuto rendere parti-  colarmente guardinghi e circospetti i logistici, e  infatti alcuni fra questi, più o meno esplicitamente,  ammettono che più che di scoperta si tratta di un  ritorno a Leibniz negando nei suoi punti essen-  ziali la dottrina matematica di Kant (1). Nella  concezione leibniziana troviamo già, per quanto  non categoricamente espresso, un carattere con-  venzionalistico nei principii matematici che è da  Kant totalmente escluso e dalla logistica incondi-  zionatamente ammesso; troviamo già la deduzione  — fondamento essenziale del procedimento mate-  matico secondo la logistica — ma credo che lo  stesso Leibniz sarebbe stato molto perplesso se,  . malgrado tutte le attuali argomentazioni della lo-  gistica, avesse potuto vedere nella meravigliosa  abilità costruttrice di questa la tomba dell’intui-  zione per quanto riguarda specificatamente il proce-  dimento matematico e la soppressione della logica  «tradizionale » secondo i paradossi del Russel.  Questi — si è già notato (2) — si compiace in-  dubbiamente del paradosso e in esso vi è sempre  la forte personalità scientifica del matematico  inglese; ma se ammettiamo la genialità del pa-  radosso buttato qua e là quasi a titolo di sfida,  ci stanchiamo a lungo andare di una esposi-  zione scientifica che sia tutta quanta un para-    (1) Questo punto particolare fu da me svolto al V Congresso  Internazionale di Filosofia (Napoli, 5-9 maggio 1924) e per  maggior comodità del lettore riportato alla fine del presente  volume (Appendice).   (2) Cfr. questo libro, cap. I, $ 1.    Cap. II. - Irapporti fra la logica e la matematica —57    dosso: ci stanchiamo non già ci scandaliZziamo.  Il pensiero moderno è troppo allenato a tutte le  possibili interpretazioni di un problema perchè  l’antica sofistica 0 comunque, un rinnovamento  parziale o totale dell’antica sofistica lo scuotano  eccessivamente; ma appunto in causa di quest’al-  lenamento il pensiero moderno non tollera gli si  ammanniscano come novità genialmente parados-  sali, atteggiamenti di pensiero ormai decrepiti e  « superati » — mi si passi la brutta parola — da  un pezzo. Queste mie ultime espressioni non ri-  guardano affatto la: logistica presa nel suo com-  plesso, ma soltanto il Russel e il Russel non in  quanto matematico, non il Russel cioè dei « Prin-  cipii », quanto il Russel del Congresso di Parigi  del 1900 (1), il Russel di alcuni articoli ecc. in. cui  si compiace di affrontare il problema della verità,  il problema della ricerca filosofica nello stesso  modo nel quale i sofisti avevano saziato la società  antica, con in meno forse l’abilità dialettica e la  esposizione brillante di quelli. Mi si interpreti ad  esempio una frase come questa: « Ciò che è vero,  è vero; ciò che è falso è falso, e non c’è altro da  dire ». L’aforisma è pieno di arcane profondità,  indubbiamente, ma vien fatto allora di doman-  darsi se è proprio conveniente di spendere tempo  e fatica per afferrarne l’intima essenza quando  potremmo giurare di essere già sicuri «a priori »  — proprio «a priori» — di aver già incontrato  molte, troppe volte questa stessa intima essenza.   Tutto questo però — lo ripeto — non riguarda    (1) B. RusseL, L’Idée d’ordre et la position absolue dans  l'espace et dans le temps (Congrès international de philosophie,  Paris, 1900).    08 La posizione gnoseologica della matematica    n    affatto la logistica presa nel suo complesso. Se in  questa la convinzione innovatrice ha potuto por-  tare alcuni suoi esponenti a conseguenze estreme  non per questo il relativismo proprio di ogni  nostra conoscenza è prospettato dai logistici come  una vera e propria rivoluzione introdotta nel  campo del sapere. Non soltanto, ma nemmeno li-  mitatamente alla matematica lo stesso Russel e il  Couturat, strenuo difensore e ampliatore in Francia  della sua dottrina, misconoscono quanto essi deb-  bono a Leibniz (1). In ogni modo nel campo stret-  tamente matematico rivoluzione c’è stata: il sim-  bolismo rappresentativo e l’esclusione dell’intui-  zione. Non parlo del convenzionalismo dei principii  . fondamentali e in complesso del procedimento ipo-  tetico deduttivo, perchè in tal caso la questione  sarebbe stata vecchia quanto il mondo (2).   Come si vede questa scuola fondata in Italia dal  Peano con i suoi principali collaboratori nel Pieri,  Vailati, Burali-Forti, Vacca, ecc., in Germania dal  Frege, rappresentata in Inghilterra dal Russel e  in Francia dal Couturat, non è affatto, fondamen-  talmente, un’argomentazione a sfavore di quanto  si è detto sin qui sul procedimento matematico se  non nei riguardi dell’intuizione. La logistica in-    (1) B. RusseL, La philosophie de Leibniz, Exposé critique  (tr. fr., Paris, 1903, sull’originale di Cambridge, 1900); L. Cou-  TURAT, La logique de Leibniz, d’aprés des documents inedite  (Paris, 1901); In., Opuscules et fragments inédits de Leibniz  (Paris, 1903). | |   (2) Da un punto di vista filosofico interessante lo studio pub-  blicato sulla Revue de métaphysique, 1911, pag. 280, avente  appunto per titolo: L’importance philosophique de la logis-  tique. Sotto questo aspetto cfr. pure in Perla storia della  logica di EnRIQUES il $ 29 (pag. 196 segg.).    Cap. 1I. - I rapporti fra la logica e la matematica 59    fatti esclude l’elemento sperimentale come origine  delle verità matematiche e l’induzione nel prose-  guire. L’origine dei principii fondamentali della  ‘ matematica è — sècondo la logistica, pura e sem-  plice convenzione, ipotesi, non è un «a priori »  nel vero senso; ma qui non è da me ammesso (1) -  l’a priori in senso kantiano se non limitatamente  ad alcuni principii fondamentali da cercarsi pre-  valentemente negli assiomi — non nei postulati —  secondo l’antico criterio euclideo. Bene inteso però  nei riguardi della logistica tale distinzione rispetto  al carattere ipotetico o non della loro origine, non  ha alcun senso: unico criterio di scelta sarà per  essa non già l’antica e vieta evidenza — cui io  credo si debba, malgrado tutto, ancora rigidamente  uniformarsi (2) — ma soltanto la maggiore como-  dità — e anche questo criterio non è, si potrebbe  osservare, nuovo di zecca — che le proposizioni  generali medesime avranno rispetto allo svolgi-  mento, essenzialmente deduttivo, per collegare in  un tutto: organico ed omogeneo queste sparse ve-  rità matematiche onde dirigerle più conveniente-    (1) Per non equivocare: se per «a priori» s'intende qualche  cosa che non ci è dato empiricamente, allora tutte le proposi-  zioni matematiche sono basate su di un «a priori». Ma se per  «a priori » s'intende qualche cosa che ci porta al necessario  ed all’universale, sia pure limitatamente alla realtà fenomenica  — e questo è il senso dell’« a priori» kantiano — allora credo  soltanto un piccolissimo numero di verità matematiche (pro-  priamente gli assiomi) possono essere considerate come deter-  minate esclusivamente « a priori ». Mi limito qui ad accennare  questo criterio differenziale tanto per immediatamente inten-  derci sulle linee essenziali dell'interpretazione della parola « a  priori »: esso sarà in seguito più ampiamente svolto.   (2) Proprio nel suo senso comune di inconcepibilità del  contrario.    60 La posizione gnoscologica della matematica    mente e più rapidamente verso lo scopo che ci  preme di raggiungere.   Trascurando i particolari di quello che io credo  si possa chiamare — limitatamente al problema  gnoseologico — l’illusione insita, volere o no,  nella logistica per quanto si riconnette alla riforma  della logica, i quali particolari solo indirettamente  potrebbero rientrare in quanto andiamo svolgendo,  è bene fermiamo l’attenzione nostra sul problema  .già accennato prima di trattare della logistica,  ossia quello intuitivo. Tale incompatibilità non  significa per altro illogicità assoluta — il che non  sarebbe d’altronde concepibile in nessuna espres-  sione cosciente — ma soltanto l’intervento di un  altro elemento non prettamente logico e che con  tutta la buona volontà mal si potrebbe costringere  nella deduzione, cioè, l’intuizione.   Questa esclusione della pura razionalità dalla  matematica non deve però portarci a stabilire in  essa una fonte empirica e un procedimento indut-  tivo, di basarci cioè esclusivamente su quell’espe-  rienza che la logica pura non considera nella  sua diretta espressione, in quanto essa logica in-  terviene soltanto quando il pensiero è passato ad  esaminare il substrato essenziale di quell’ indisso-  lubile fusione di soggetto-oggetto che è già nella  percezione, substrato normalmente chiamato con-  cetto (1). |   A tale convinzione — empirismo matematico —  saremmo costretti di addivenire soltanto se le fonti  del sapere fossero due: il dato sensibile e l’idea (2),  e si dovesse per forza schierarci con l’una o con    (1) Cfr. però questo libro, cap. I, $ 1.  (2) Cfr. questo libro cap. I, $ 2.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 61    —____—_———————_—€€—&    l’altra; ma la questione non ha affatto tale aspetto.  dilemmatico. Il dilemma sarebbe già fondamental-  mente errato anche se soltanto all’esperienza o alla  ragione si dovesse ricorrere per sapere, in quanto  si è accennato sopra come il divario fra di esse non  abbia ragione di essere dato che appunto in qua-  .lunque sensazione vi è già un elemento intellet-  tivo (1); ma il dilemma medesimo ci sembrerà mag-  giormente insostenibile osservando che vi è una  terza fonte di conoscenza: l’intuizione.   Di essa già abbiamo trattato nella sua più alta  espressione analogica nelle scienze fisiche e abbiamo  mostrato come, contrariamente a quanto la scienza  sembra credere, mentre è fonte apportatrice di ri-  sultati che hanno alcune volte del meraviglioso  nelle discipline particolari e segnatamente forse  nell’astronomia, essa sia insufficiente in filosofia.  Andremo ora man mano svolgendo quanto sino ad  ora è stato implicitamente ammesso, ma non svolto :  avere cioè il procedimento intuitivo la sua massima  espressione scientifica nella matematica.   Senza dubbio il naturalismo, in tutte le sue gra-  dazioni, si guarda bene dall’ammettere ciò dato che  il problema dell’intuizione in se stesso considerato,  è alquanto difficile ad essere trattato con mezzi che  pretendono di essere essenzialmente positivi, di de-  rivare qualunque attività esclusivamente dall’espe-  rienza. Così i fanatici detrattori dello « a _ priori »  originario delle proposizioni matematiche, vogliono  ad ogni costo vedere in esse un elemento speri-    (1) Qui basti tale semplice accenno a questo problema che ‘  è il più importante della teoria della conoscenza e la base ne-  cessaria su cui deve appoggiarsi qualunque idealismo gnoseo-  logico. |    62 La posizione gnoseologica della matematica    mentale, attribuendo alla matematica un procedi-  mento induttivo. Lo Young (1) crede di fornirci un  esempio di procedimento induttivo nella matema-  tica (2): «Sea ed sono due elementi di una succes-  sione discreta C e se a < 5 e s, il successivo im-  mediato di a, ss il successivo immediato di 8,, sg  di se, ecc., l'elemento » apparterrà all’aggregato  81, Se, 83...». La dimostrazione si fa per assurdo.   Dov” è in tal caso il procedimento induttivo? Non  lo so: l’unica induzione è in questa frase dell’A.:  « Il legame fra questo teorema e il principio d’in-  duzione matematica è evidente » (pag. 151). Non so  bene se l’A. abbia voluto con questo sostenere che  nella matematica, se non prevalentemente, figura  tuttavia anche il procedimento induttivo. L’esempio  citato è, come d’altronde quasi tutte le questioni  dall'A. trattate nei suoi « Concetti fondamentali  dell’algebra e della geometria », svolto molto bre-  vemente e sopra tutto isolatamente, per niente  affatto collegato con quanto precede e con quanto  segue: sono note preziose se li consideriamo prese  separatamente ; non ci dicono gran che se cerchiamo  di esaminarle nel loro complesso come un tutto  organico ed omogeneo. Perciò come dobbiamo in-  terpretare questo accenno dell’A. che ha per titolo  « Induzione matematica »? Basandoci appunto sul  titolo sembrerebbe doversi ritenere come un esem-    | (4) È evidentissimo nell’esempio citato dallo Young il rife-  rimento al principio d’induzione completo, di cui avremo  quanto prima a trattare nella sua enunciazione generica. Il  traduttore italiano aggiunge all’esposizione dello Young cenni  bibliografici: degni di nota gli articoli ricordati del Vacca e del  Combeirac.   (2) I concetti fondamentali dell’algebra e della geometria  (ed. cii., pag. 150-151).    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 63    ——T rc    pio, una prova anzi portata a favore dell’ induzione  applicata come metodo nell’indagine matematica.   Non avendo però nulla saputo trovare d’indut-  tivo con le mie sole forze nell’esempio citato, sono  ricorso al diligente studio del Benzoni (1) per ve-  dere se in qualche modo si poteva far rientrare tale  esempio nel procedimento induttivo: i miei tenta-  tivi non sono stati coronati dal successo. E si che  il Benzoni esamina con scrupolo rigoroso l’ indu-  zione sia dal punto di vista storico sia da quello  più rigidamente metodologico.   In ogni modo è certo che induzione non significa  nel caso citato dallo Young partire dal dato empi-  rico per arrivare all’astrazione generica. Lo Young,  posto di fronte al problema del fondamento della  geometria euclidea ad esempio (op. cit., pag. 45),  dichiara troppo esplicitamente di schierarsi a fianco  dei sostenitori di un’origine non sperimentale di  essa per dover insistere oltre sul caso citato. Il  confronto che egli fa, sulle traccie del Poincaré,  fra le proposizioni della geometria euclidea e quelle  del sistema metrico decimale, ci autorizza da solo  a porre lo Young fra quei matematici che negando  l’ a priori in senso stretto, come Kant l’intende,  ammettono però pur sempre un «a priori », con-  venzionale e arbitrario quanto si vuole, ma non  mai un’origine sperimentale che è il punto essen-  ziale di abbattere per una teoria idealistica della  conoscenza.    $ 7. Il procedimento sperimentale nella mate-  matica. — La tesi dell’intuizionismo come base  sine qua non per andare avanti in matematica ha    (1) R. BenzonI, L’induzione (Genova, 1894).    64 La posizione gnoseologica della matematica    i suoi esponenti tanto in filosofia quanto fra gli  stessi matematici, pensatori gli uni e gli altri non  sospetti certo di attribuire alla matematica valore  inferiore a quello che effettivamente le spetta. Il  Martinetti tratta in diversi punti della sua opera fon-  damentale (1) questo problema e in tutti questi punti  mostra la sua precisa convinzione della non asso-  luta logicità del procedimento matematico e sopra  tutto l’ impossibilità di considerarlo come indullivo.  A pag. 426 ci dice: « Le forme possibili dello spazio  sono infinite; quindi infinite le geometrie possibili  in astratto », mentre noi, anche immaginando qual-  siasi modificazione della nostra intuizione temporale  o spaziale, non potremmo concepire alcuna modi-  ficazione nel processo logico. E più specialmente  ancora per quanto ha attinenza col problema par-  ticolare che stiamo trattando, nella medesima opera  (pag. 429) leggiamo: « E per la stessa ragione (2)  riuscirebbe ugualmente impossibile ogni tentativo  di applicazione dei procedimenti logici alla mate-  matica; questa, per quanto sia anch’essa, come  scienza (3), rivestita di forme logiche e fissata in  concetti e giudizi, si forma in virtù di una logica  tutta sua propria senza di cui, anche con l’aiuto  di tutti i principii logici, non sarebbe possibile fare    (1) Introduzione alla metafisica (Torino, 1904).   (2) In quanto appunto « altro è l’evidenza logica, altro l’evi-  denza matematica », S. p.   (3) A commento di tale inciso cfr. nello stesso libro la cri-  tica all’empirismo : inoltre (pag. 225) il passaggio dall’empi-  rismo al criticismo kantiano (idea di sostanza in Locke e Kant).  Senza discutere ora sul principio dell’ « a priori » puoi vedere  come tutta l’estetica trascendentale di Kant e più ancora la sua  « Introduzione » alla Critica (particolarmente polemizzando con  Hume), mirino in fondo a questo, che figura incidentalmente  in tale espressione: ‘come scienza 1.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 65    un passo oltre al primo assioma » (1). Giudizio che  ci ricorda nella sua essenza quello di Kant nella  « Critica » (estetica trascendentale): « Prendete, ad  esempio, queste proposizioni: due linee rette non  possono circoscrivere uno spazio, nè per conse-  guenza formare una figura e tentate di derivarla  dal concetto della linea retta e da quello del nu-  mero due. Prendete ancora, se voi volete, questa.  altra proposizione per la quale con tre rette si può  formare una figura e cercate di ricavarla sempli-  cemente da questi concetti. Tutti i vostri sforzi  saranno vani, e voi vi vedrete costretti di ricorrere  all’intuizione, come d’altronde fa sempre la geo-  metria ». .   Categorico è pure lo Schopenhauer nella sua  conclusione al riguardo : « Dopo tutte queste consi-  derazioni, nessuno, spero, vorrà mettere in dubbio  che l’evidenza della matematica — divenuta mo-  dello e simbolo di ogni evidenza — derivi per sua  essenza non già dalle dimostrazioni, ma dall’intui-  zione immediata. L’intuizione qui, come dapper-  tutto, è il principio supremo e la fonte di ogni  verità; ma quella che è a base della matematica  ha un grande privilegio su di ogui altra e in par-  ticolare sull’intuizione empirica..... » (2).   Nè sarà superfluo riferire in merito l’opinione di  un illustre matematico, il Poincaré, per il quale la    (1) Cfr. KanT, Prolegomeni (tr. it.), $ 2, pag. 33: «Il con-  cetto della « linea più breve » è qualche cosa di nuovo che si  aggiunge e non potrebbe per nessuna scomposizione venir de-  rivato dal concetto di retta ». Nonchéè nella Critica (metodo-  logia trascendentale). Cfr. inoltre LANGE, Hist. du Mat. (tr. fr.),  II, pag. 15 segg.   (2) SCHOPENHAUER, Il mondo come V. e R. (tr. it. Varisco-  Palanga), I, pag. 114.    G. E. BARIÉ, La posizione moseologica della matematica. 5.    66. La posizione gnoseologica della matematica    °    geometria euclidea è la nostra geometria « solo  perchè secondo essa appunto si sono costituite la  nostra intuizione spaziale e la nostra esperienza »;  e la conclusione cui lo stesso Poincaré arriva trat-  tando particolarmente della credenza di un’origine  sperimentale della geometria: « Non si esperimenta  su linee rette o su circonferenze ideali » (1). Il  Poincaré, è vero, sembra che qua e là ammetta  anche l’induzione nel procedimento matematico,  ma ciò dipende appunto in quanto, essendo un ma-  tematico, considera la logica semplicemente come  analisi (2) circoscrivendola in fondo al classico sil-  logismo aristotelico, più ancora all’applicazione  degli scolastici; ma quanto ciò sia incompleto è  superfluo far rilevare in filosofia, in cui la sintesi  è ritenuta rigorosamente logica quanto l’analisi.  Perciò il Poincaré, dovendo le creazioni di tutti i  matematici uniformarsi a un procedimento analogo,  e ritenendo per altro conveniente di distinguerli in  « logici » ed « intuitivi.» (non già per la materia  che trattano che è naturalmente la stessa, ma per  il loro temperamento personale), nè l’analisi pura  e semplice potendo portare a nuove scoperte, trovò  opportuna la denominazione d’induttivo al proce-  dimento seguito da questa classe particolare di mate-  matici da lui chiamati logici. Tale pretesa induzione  però che per i suoi caratteri specifici non potrebbe    (4) H. Poincaré, La Science et l’Hypothése, pag. 64. Altri  punti numerosi in tutte le opere del Poincaré si potranno tro-  vare in appoggio a tali argomentazioni. Vedi ad es. in La  valeur de la Science, pag. 16 (il temperamento logico di  Euclide malgrado la sua vasta costruzione sia dovuta all’intui-  zione) e pag. 17 «l’intuition ne peut nous donner la rigueur,  ni méme la certitude »..., ecc.   (2) Vedi segnatamente in La valeur de la Science, pag. 29.    Cap. II. - 1 rapporti fra la logica e la matematica 67    essere considerata tale da un logico rigoroso, egli  stesso trovò necessario di precisare meglio aggiun-  gendovi la specificazione di « matematica » (1).   Questo riconoscimento non è, bene inteso, am-  messo da lui, ma credo non si possa dubitare di  queste mie considerazioni innanzi tutto perquanto si  è sopra detto della voluta identità — in matematica  — dell’analisi con la logica, mentre invece quella  è soltanto un aspetto di questa (2); in secondo luogo.  per le conclusioni definitive cui il Poincaré arriva,  come possiamo facilmente constatare esaminando  la sua dottrina nel complesso senza troppo a lungo  soffermarci sui particolari, che, presi alla lettera,  possono molto spesso dar luogo ad errate interpre-  tazioni semplicistiche. |   Certo se con lo Stuart Mill noi ci limitiamo a  considerare gli assiomi come generalizzazioni del-  l’esperienza (3), l’induzione sarebbe il cardine su    (1) Ecco il principio fondamentale da cui dovrebbe emergere  l’induzione matematica: « Si un théorème est vrai du nombre 1  et si l’on démontre qu’ il est vrai de n 4-1, pourvu qu’il le  soit de x, il sera vrai de tous les nombres entiers ». ( Valeur  de la Science, pag. 21). Ora, questo «jugement synthétique  a priori, c'est le fondement de l’induction mathématique ri-  goureuse », ma la parola « induzione » non deve essere qui presa  alla lettera, e prova ne sia che alla pagina seguente (pag. 22) il  Poincaré ci dice che tale « axiome » è determinato da quella in-  tuizione suprasensibile che il Poincaré chiama «du nombre pur» .   (2) A tale punto crede il Poincaré di poter ammettere la sola  analisi come metodo logico che il processo sintetico insito in qua-  lunque nostra percezione, processo svolto naturalmente, quasi  inavvertitamente dal nostro pensiero, e che è la conquista più  significativa dell’idealismo moderno l’aver posto in luce, è da  lui considerato quasi come una prerogativa della matematica,  precisamente esaminata sotto il suo aspetto intuitivo e non già  sotto quello logico.   (3) J. Stuart MILL, A System of Logic..., V, VI.    68 La posizione gnoseologica della matematica    cui dovrebbero svolgersi le costruzioni matema-  tiche; ma ove dovessimo ciò accettare alla lettera  si verrebbe quasi ad annullare il valore della « Cri-  tica » kantiana nei riguardi appunto dell’esperienza.  Nessuno nega, e Kant meno che mai, l’importanza  dell’ esperienza per conoscere, ma se dobbiamo  accettare le verità fondamentali (assiomatiche) come  generalizzazioni dell’esperienza, non lo possiamo    fare se non accettando un’esperienza quale Kant.    ce l’offre, ossia un’esperienza che non significa già  il complesso di constatazioni empiriche — chè allora  non si avrebbero giudizi di esperienza ma soltanto  giudizi « percettivi » (1) — ricavate esclusivamente  dal mondo esterno; ma un’esperienza che significa  la possibilità delle constatazioni empiriche mede-  sime soltanto perchè il nostro pensiero ne stabilisce  il collegamento nella « coscienza generica » (2) a  mezzo dei concetti intellettivi puri «a priori ».  Questo è il significato essenziale della tratta-  zione della fisica pura nella dottrina gnoseolo-  gica di Kant. °   Così stando le cose — e non vi è possibilità di  una diversa interpretazione — il punto di partenza  non è più il dato empirico o il complesso di dati  empirici che trovano la loro espressione unificatrice  nel concetto, il che potrebbe significare induzione,  ma il procedimento inverso: e cioè la stessa espe-  rienza che viene ad essere resa possibile soltanto  per questa attività che va — mi si passi l’espres-  sione — dal mondo interno al mondo esterno e che  in tal modo lo rende possibile, informandolo: «l’in-    (41) Cfr. particolarmente i $$ 18, 20 dei Prolegomeni, e in  generale tutta la trattazione della fisica pura.  (2) ùberhaupt.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 69    telletto non attinge le sue leggi (a priori) dalla na-  tura, anzi piuttosto le impone ad essa » (1).   L’empirismo dello Stuart Mill al riguardo non  significa che un passo indietro, non significa che  puro e semplice ritorno a Hume, e questo non è  d’altronde il solo punto nel quale lo Stuart Mill  rivela la sua imperfetta comprensione di Kant.   Ora, se un procedimento logico vogliamo riscon-  trare nel tanto abusato punto di partenza — l’espe-  rienza — dobbiamo ammettere che l’esperienza  stessa, per essere considerata fonte di conoscenza,  non è già più qualche cosa di semplice in se stessa;  ma è già il frutto, è già il derivato di un prece-  dente processo puramente intellettivo che solo lo  determina. Perciò quando diciamo che anche una  forte corrente idealistica ammette che ogni cono-  scenza ha a che fare con l’esperienza, non dobbiamo  dimenticare come alla formazione di questa espe-  rienza si sia arrivati.   Questo, bene inteso, non è il significato corrente  della parola esperienza, ma possiamo noi forse dare  alla parola medesima un significato diverso da  quello sopra esposto quando oggi, dopo Kant, par-  liamo di essa esperienza in sede scientifica come  fonte conoscenza? Nè dobbiamo qui lasciarci even-  tualmente fuorviare dal famoso « principio d’indu-  zione completa » per arrivare appunto a vedere un  procedimento induttivo o, comunque, il riconosci-  mento di un procedimento induttivo nella matema-  tica. Il principio d’induzione completa è esso pure  basato come ogni altro su di un procedimento  intuizionistico-deduttivo. Scoperto nel secolo XVI  da un matematico italiano — Francesco Maurolico    (1) Prolegomeni, $ 38.    70 La posizione gnoseologica della matematica    — esso afferma che se una proprietà è vera di un  numero intero qualunque, è pure vera anche del  numero che segue, ossia, più generalmente, la pro-  prietà medesima è vera per tutti i numeri maggiori  (interi) quando si è constatato che essa vale per  un numero intero dato. Il Poincaré l’anuncia molto  chiaramente e brevemente così: « Se una proprietà  è vera del numero 1, e se si constata ch’essa è  vera per n + 1, purchè essa lo sia di x, essa sarà  vera per tutti i numeri interi » (1).   Non vi è alcun bisogno di un particolare appro-  fondimento del principio d’induzione completa per  comprendere che soltanto un equivoco terminolo-  gico potrebbe riconoscere in esso una base indut-  tiva. Ciò non pertanto si è proprio voluto vedere  in esso un procedimento induttivo in senso stretto,  mentre, nota giustamente il Brunschwicg, « è un  principio di deduzione progressiva, la cui applica-  zione è sicura « a priori » del successo, poichè i  numeri sono i prodotti di questa deduzione pro-  gressiva » (2).   Pure attenendoci al concetto più generale del  procedimento induttivo dove si vede nel principio  d’induzione completa un passaggio dal particolare  al generale, bisognerebbe considerare come parti-  colare il numero dato e come generale il numero  n + 1, ma nonè forse già quello una generalizza-  zione astratta? Non sono già forse 1, 2,3... sim-  boli concettuali nello stesso modo come n +1?  Forse soltanto perchè questo può, in aritmetica,  significare maggiore indeterminatezza — e anche    (4) Cfr. ad es, la Revue de métaphysique (1905, pag. 818),  e in La Valeur de la Science, pag. 21.  (2) Les étapes de la phil. math., Il ed., pag. 483.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 71    questo è molto discutibile — possiamo quello con-  siderare come dato più intuitivamente, più natu-  ralmente di questo? Il numero 1 è una generaliz-  zazione sintetica nello stesso modo che un numero  qualsiasi indicante milioni di milioni: mettiamo n  per significare più rapidamente e più comodamente  questo numero e poichè neppure esso n può costi-   tuire un limite, estendiamo il nostro ragionamento  anche ad n +1 e così di seguito, ricominciando  in tal modo una nuova serie in nulla differente dalla  precedente. Considerazioni, come si vede, che anche  il solo buon senso può suggerire, ma che alcune  volte si rendono necessarie onde non si possa  costruire sull’ equivoco. In tal caso l’equivoco è  terminologico e perciò più facile forse ad essere  eliminato: bisognerebbe però cominciare con il  bandire la infelice espressione di « principio d’in-  duzione completa » (1).   In ogni modo per quanto riguarda il Poincaré,  non credo possa ritenersi che il principio medesimo  sia da lui considerato come una vera induzione.  Esso può nella sua dottrina esser ridotto con la  massima facilità all’ intuizione e precisamente a  quell’intuizione che noi abbiamo chiamata nel  I capitolo « ideale » e che il Poincaré, contrappo-  nendola all’ intuizione sensibile, chiama « intuition  du nombre pur ». Il principio d’ induzione completa  . considerato dal Poincaré in « La Valeur de la  Science» come « il fondamento dell’induzione mate-  matica rigorosa » (pag. 21), viene ad essere consi-    (1) Cenni bibliografici : F. ENRIQUES, De la méthode dans les  sciences (Paris, Alcan); WHEWELL, History of îinductive sciences  (London, 1837); P. BoutRoUXx, Les principes de l’analyse ma-  thématique, Exposé historique et critique (Paris, Hermann).    72 La posizione gnoseologica della matematica    derato dal Poincaré subito dopo (pag. 22) come  sorretto appunto sull’ intuizione del numero puro:  dove la necessità dell’ induzione? Come principio  fondamentale « a priori » assiomatico non ha alcun  bisogno — direi quasi non ha alcuna possibilità —  di essere appoggiato nè alla deduzione, nè all’indu-  zione: nella sua applicazione è essenzialmente de-  duttivo, com’ è deduttivo qualsiasi teorema che si  ricava da un assioma o da un postulato.   Meno esplicito è il Mach. Veramente non mi pare  che questo punto sia stato da lui particolarmente.  trattato. Egli accenna però qua e là implicitamente  alle deduzioni della matematica, ma una sua espo-  sizione di carattere chiaro ed organico del proce-  dimènto di questa scienza, non la conosco. Possiamo  dire anche che la sua, opinione in merito pre-  senta non poche oscillazioni perchè, mentre egli è il  primo a riconoscere e a ripetutamente insistere che  spesso le scienze attingono molto da un fondamento  aprioristico, in ultima analisi mi pare si possa  affermare ch’ egli considera anche tali astrazioni  originarie di natura empirica, in quanto, se non  altro, poggiantesi sopra fatti precedenti di espe-  rienza sia individuale, sia collettiva. Per quanto  riguarda l’argomento che stiamo trattando, è par-  ticolarmente interessante il’ capitolo dedicato alla  psicologia della deduzione e dell’induzione nel suo  libro « La conoscenza e l’errore » (1). In esso, pure  sostenendo con la sua abituale lucidità di esposi-  zione che tanto la deduzione quanto l’induzione  nulla possono aggiungere alla nostra conoscenza,  figura un’espressione che, presa nel suo preciso    (4) MacH, Erkenntnis und Irrtum (Skizzen zur Psychologie  der Forschung), Leipzig, tr. fr., Paris, 1919.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —‘73    significato, ci autorizza quasi a supporre che il Mach   ritenga le verità matematiche basate in ultima ana-   lisi sull’esperienza. Vediamo di chiarire con criterii   nostri tale punto controverso, ricordando che esso   ci è dato dall’opinione espressa dal Mach essere   la base fondamentale di ogni verità ricavata dal   concetto di triangolo « il fatto sperimentale che la   somma degli angoli di tutti i triangoli piani che   noi possiamo misurare, non differisce da due retti ».   Prendiamo l’esempio seguente che è il più sem-   plice che la geometria piana può fornirci per   a” mettere in chiaro l’opinione   dell’A. Supponiamo di avere   un triangolo a dc. Se prolun-   ghiamo il lato ac fino a un   punto qualunque f, noi ot-   e de e; teniamo un angolo esterno   b c f, che sappiamo essere   uguale alla somma degli angoli interni non adia-  centi, ossia avremo:    ZN Z4N /N  bcf= abc + dbac  Da cui possiamo altresì ricavare che, ove nell’ipo-    tesi si fosse ammesso trattarsi di un triangolo  isoscele si avrebbe:    bef= 20; bef=2d   e così via, e ciò appunto abbiamo potuto stabilire  | perchè sappiamo che la somma degli angoli del  triangolo a de è uguale all’angolo piatto a c f, ecc.  Ma non possiamo assolutamente riconoscere che  questa verità geometrica non sia a sua volta basata,  come ogni altra, sull’ intuizione originaria di alcuni  principii fondamentali « a priori »: nel caso parti-  colare sulla stessa definizione di triangolo.    74 La posizione gnoseologica della matematica    Ma ciò dipende forse da una certa imprecisione  dei vocaboli. Egli definisce l’ intuizione « tutto il  sistema di sensazioni coordinate nello spazio e nel  tempo che ci offre il senso della vista a mezzo del  quale noi riconosciamo d’un colpo d’occhio la  distribuzione dei corpi e dei loro movimenti reci-  proci » (1). E, ciò che trovo incomprensibile, ag-  giunge che «il vocabolo porta nettamente la sua  impronta originaria ». Il criterio etimologico del  Mach al riguardo è quanto mai discutibile perchè  questa sua affermazione non ha ragione di essere  se non considerando che in tedesco la parola  Anschauung significa propriamente intuizione (2),  mail vocabolo ha la radice in comune con Anschauen  (riguardare, rimirare) e così via. In ogni modo la  questione etimologica non ci interessa: occupiamoci  piuttosto della definizione riportata e non delle  considerazioni che seguono. Tale definizione mi  sembra del tutto inadatta a dirci che cosa sia l’in-  tuizione, ed è una definizione che caso mai uno  psicologo ad es. avrebbe potuto dare della perce-  zione, che pertanto, rigorosamente parlando, nulla  ha a che vedere con l’intuizione che è procedimento  astratto.di pensiero, formandosi prima della visione  dell’oggetto e non già della conoscenza sensibile  dell’oggetto medesimo. Che poi tanto la percezione  | quanto l’intuizione si debbano basare sull’associa-  zione delle immagini, ciò non equivale certo a sta-  bilirne l’identità. Se consultiamo la psicologia mi  pare che il suo responso non possa dar luogo ad    (4) MACH, op. cit. (tr. fr.), pag. 159-160.   (2) L’intuizione p. d. come è stata qui intesa si renderebbe  forse meglio in tedesco con Einfall nel suo senso particolare  di idea improvvisa, di sprazzo geniale.    Cap. Il. - Irapporti fra la logica e la matematica —75    equivoci. Il Peillaube (1), in cui trovai la più com-  pleta esposizione della formazione psichica della  percezione, definisce questa come « un complesso  di stati psicologici, di sensazioni, d'immagini, di  ricordi, di giudizii e di ragionamenti a proposito  di una impressione attuale » mentre il concetto di  intuizione comporta il principio di un avvenimento  futuro e che perciò non può essere basato princi-  palmente sulla vista come il Mach sembra credere.  Il Vaissière, pure trovando esatta la sopra esposta  definizione del Peillaube la giudica però un po’  imprecisa in quanto forse non sufficientemente  determinata e la vorrebbe completata nel modo  seguente di cui non possiamo non riconoscere la  assoluta chiarezza: « La percezione è una fusione  della sensazione eccitatrice con le immagini asso-  ciate » o più specificatamente « una fusione di  oggetti rappresentati dalla sensazione con gli oggetti  rappresentati dalle immagini associate » (2).   In ogni modo tale imprecisione di linguaggio nel  Mach risulta evidenteanche daaltri punti(pagg. 194,  206-209, 197, 308 dell’op. cit.). Nè di tale fatto dob-  biamo meravigliarci oltremodo, dato che possiamo  osservare di passaggio come non soltanto nel co-  mune linguaggio, nè in quello di studiosi non spe-  cializzati in psicologia troviamo equivoci termino-  logici, ma anche negli stessi psicologhi. L’insuffi-  . cienza del linguaggio è infatti considerata dal  James come la prima fonte di errori nella psicologia,  sia per la frequente mancanza di termini in quanto  « è assai difficile localizzare l’attenzione su di una  cosa senza nome » (3), sia, alcune volte, per l’uso    (1) PEILLAUBE, Les images.  (2) VaissiéRE, Psychologie expérimentale, pax. 145-146.  (3) James, Compendio di Psicologia (tr. it.), pag. 80.    76 La posizione gnoseologica della matematica    errato dei vocabili esistenti che si estende anche  a concetti fondamentali della psicologia, fra cui fra  la stessa sensazione e la percezione, pertanto netta-  mente separate, sopra tutto in una vita primitiva  e nell’infanzia. E in modo più categorico e sopra-  tutto più generale in quanto esteso all’espressione  tutta del pensiero e non alla sola psicologia, si  esprime il Condillac per il quale tutta l’indagine  del pensiero è in fondo — opinione che certo non  possiamo condividere spinta a tale estremo limite  — la conseguenza o no di « une langue bien faite »:  nello stesso modo il Leibniz vede nell’analisi pre-  cisa intorno al significato delle parole il fattore più  importante per la comprensione dei procedimenti  intellettivi (1). Ciò osservato possiamo benissimo  spiegarci come il Mach, fisico, abbia insistito tanto  sulla parte sensibile di quel processo che egli chiama  intuizione, tanto da darci una definizione che nel  complesso, ma sempre con le dovute riserve di cui  sopra, è molto più vicina alla formazione della per-  cezione, non esclusa quella particolare importanza  del senso della vista considerato come superiore a  quella d’ogni altro e non esclusi i movimenti dei  corpi, che ci darebbero quel sesto senso (movi-  mento) normalmente ammesso dalla moderna fisio-    (4) Da un po’ di tempo a questa parte si nota una prege-  vole tendenza ad attribuire alle parole l’importanza loro dovuta  per meglio comprendersi. Interessante al riguardo la comuni-  cazione del CouTUuRAT (D’une application de la logique au pro-  blèeme de la langue internationale) al III Congresso inter. di  filosofia (Heidelberg, 1908).   Cfr. pure la prolusione al corso libero di storia della mec-  canica all’Università di Torino (1898) del VAILATI avente per  titolo Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia  della scienza e della cultura (Torino, Bocca, 1899). Anche in  Scritti, pag. 203-228.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 77    logia. Altri punti di tale definizione del Mach si po-  trebbero qui porre in discussione e primo fra tutti la  disinvoltura con cui egli — anche attribuendo la  sua definizione alla percezione e non all’intui-  zione — sorvola sul « colpo d’occhio », per cui  diverse sensazioni ci appaiono in una sintesi come  una sola cosa. Ora, se nell’adulto civilizzato pos-  siamo considerare ciò come un fenomeno normale  creato dall’abitudine, si può tuttavia con facilità.  mettere in luce che tale sintesi non è nel bambino e  non è nel primitivo (1). L'uno e l’altro prima di  arrivare alla percezione di un oggetto come noi  l'abbiamo qui inteso, passano attraverso ai diversi  stadi in cui si manifestano dapprima separatamente  tutte le diverse sensazioni la cui sintesi formerà  poi la percezione di quell’oggetto ; processo questo  che ha fatto molto riflettere sulla forma ragionativa  (sillogistica) della percezione, filosofi come lo Scho-  penhauer e il Wundt.    (4) Non mi sembra inutile far qui osservare come, essendosi  molto abusato riguardo alle analogie psichiche fra il bambino  e l’uomo selvaggio, l’allusione medesima sia qui da me fatta  unicamente limitantesi a questo caso particolare — il che non  vuole però dire, per contro, che questo sia l’unico punto di  contatto fra le due coscienze. Così, p. es., non si può sostenere  nel caso dell’uomo primitivo quanto ci dice giustamente il Janet  (Eat mental des hystériques, pag. 70 segg.), che il difetto di  intelligenza nel bambino dipende prevalentemente nell’assenza  di ricordi, d'immagini, di tendenze preorganizzate, ecc. Tali  mancanze non sono evidentemente nel selvaggio adulto: esse  possono essere supposte in lui solo in modo parzialissimo e  unicamente per quanto può avere attinenza con il problema  ereditario; soltanto cioè in quanto i suoi progenitori gli avranno  lasciato poca attitudine a ricordare e a compiere quel processo  rapidissimo di associazioni per cui l'adulto civilizzato riconosce  immediatamente un oggetto come noto, sia come simile, sia  come identico a quello già percepito o immaginato in passato,    78 La posizione gnoseologica della matematica    Tutto ciò a esplicazione della poca chiarezza del-  l'atteggiamento del Mach di fronte al carattere  intuitivo dei principi matematici e al loro dubbio  valore logico. E su questo punto dobbiamo ancora  insistere essendo per noi fondamentale, dato che  ci siamo proposti di dimostrare come le stesse  scienze si servano molto spesso di una base essen-  zialmente astratta, com'è l’ipotesi, per poter prose-  guire, mentre tanto volentieri l’astrazione esse  rimproverano ai « castelli in aria della metafisica »..  Possiamo pertanto notare come nel fisico Mach,  mutato il senso della parola «intuizione » in quello  più positivo di « percezione », troviamo ciò non  pertanto l’ intuizione confusa alcune volte con  « l'immaginazione » (pag. 199, op. cît.) che a sua  volta non è bene distinta, nel libro medesimo (1)  dalla « allucinazione »; ma, senza divagare in con-  statazioni non indispensabili sull’ imprecisione dei  vocaboli adoperati, c’ interessa però mettere in luce  qui come quell’intuizione che particolarmente ci  importa di conoscere in quanto è stata da noi con-  siderata come la base fondamentale di qualunque  procedimento matematico, sia dal Mach ammessa  sotto la denominazione suggestiva di « esperimento  mentale » (2).   Ora, scientificamente parlando, noi non possiamo  considerare l’immaginazione come un’associazione  di elementi « che non si sono mai riscontrati negli.  avvenimenti della nostra esistenza ». Il processo  immaginario è del tutto differente: è cioè un feno-  meno che pure non accordandosi con una sensa-  zione attuale, è tuttavia il ricordo di una sensazione    (1) Cfr. ad es., la definizione a pag. 163 dell’op. cit.  (2) MACH, op. cit., pag. 209.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 79    passata: in altre parole l’immagine è nella serie  debole quello che è la percezione nella serie forte.  Così stando le cose è evidente come l’immagine,  ben lungi dal poter essere considerata come il pro-  dotto arbitrario — sia pure geniale, qui non im- .  porta — della nostra fantasia, si verifica sempre.  nell’uomo in istato normale. L’anormalità è il con-  trario; quando cioè noi non possiamo per « dimnesia  O per amnesia rappresentarci attualmente quanto  altra volta percepimmo » (1).   Si comprende -benissimo come tutto quanto an-  diamo osservando non abbia per nulla affatto carat-  tere accademico, ma abbia il preciso senso di  mostrare, incidentalmente, come il non esatto signi-  ficato di una parola, possa far travisare tutto il  pensiero di uno scrittore e far restare perplesso e  dubbioso il lettore attento; ma sopra tutto di mo-  strare come il Mach possa affermare che ogni nostra  conoscenza derivi dall’intuizione nelle sue forme  d’ intuizione sensibile e d’intuizione astratta, pur  restando fedele al suo concetto dell’origine sensi-  bile di ogni nostra conoscenza. Tale equivoca fu-  sione di concetti è rappresentata dal suo esperi-  mento mentale. Questo non si distingue, per quanto  egli ne parli ampiamente a parte (Cap. XI), fonda-  mentalmente dall’immaginazione, sempre stando  naturalmente al suo concetto d’immaginazione. È    (1) La dimnesia si riscontra quando congenitalmente o acci-  dentalmente i ricordi non possono essere fissati; l’ammnesia si  riscontra quando il ricordo è stato sì registrato e fissato, ma  sì perde in seguito a traumatismo o emozione violenta o dete-  rioramento progressivo del cervello come ad es. nella paralisi  generale. Il caso anormale opposto ai precedenti ci è dato dal-  l’ipermnesia in cui dei vaghi ricordi riprendono la più grande  intensità. (Per tutto ciò cfr. VAIssiERE, Ps. Ex.).    80 La posizione gnoscologica della matematica    questo ‘esperimento mentale che noi saremmo pro-  clivi a chiamare intuizione. Semplice questione di  nomi? Niente affatto; pure essendo convinti in ogni  modo che anche una semplice questione di nomi  possa in alcuni casi portarci molto lontani nelle  nostre conoscenze, dobbiamo qui osservare come il  fatto sia più complesso. |   Dipende cioè dallo stabilire come, anche per il  Mach, la matematica abbia un’ origine intuitiva, non  già nel suo senso di parola intuizione, ma precisa-  mente nel vero senso di essa, ossia in quel conca-  tenamento di fatti o cose note, che percepiamo  attualmente, o di cui ci rappresentiamo le imma-  gini da cui si possa passare ad intravedere mental-  mente un nuovo fatto o cosa, o serie di fatti o di  cose: procedimento puramente intellettivo questo,  e perciò proprio soltanto di uno sviluppo avanzato  del pensiero, di cui invano si cercherebbe un’ori-  gine empirica, dato che si comprende benissimo  come il fatto o la cosa non sia che un punto di  partenza apparente. Il punto di partenza reale non  ci è dato effettivamente che da quell’ improvvisa  idea per cui ci vien fatto di pensare che la « cosa »  o il « fatto » noto può mettersi in correlazione con  altra verità che non conosciamo ancora, nè che  possiamo affermare basandoci esclusivamente su  questo sprazzo di luce interiore, ma che ci propo-  niamo di dimostrare logicamente o, almeno, pro-  vare sperimentalmente.   Questa è l’ intuizione e ad essa si avvicina molto  l'esperimento mentale del Mach anche se la pa-  rola « esperimento » può trarci a conclusioni errate  sulla sua origine.   Da tale esperimento mentale fa il Mach derivare  le proposizioni matematiche. Nello svolgimento che    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 81    di esso ci dà l’A. resta però sempre connesso un  certo carattere sperimentale sia per mantenersi fe-  dele alla denominazione stessa di tale processo del  pensiero, sia per la trattazione di esso, sia per lo  appellarsi ad Eulero quasi a conferma della sua  esposizione.   Tale mio concetto d’intuizione differisce anche  da quello del Poincaré (1) il quale non distingue  bene l’intuizione dalla rappresentazione. Quella  differisce da questa in quanto il suo processo non  si limita ad essere immaginativo. L’equivoco del  Poincaré dipende qui dal non avere egli veduto  che, mentre la rappresentazione si limita soltanto  a riprodurre mentalmente una figura che noi non  abbiamo fissata sensibilmente (di solito in modo  grafico) l'intuizione va bene al di là di ciò: essa  ci mostra altresì che quella figura deve essere così  e non altrimenti. |   Così, se noi abbiamo una retta AB e su di essa  un punto C qualunque e poi fissiamo un altro  punto qualunque su AC, sappiamo che il punto    A ;C B    medesimo sarà pure su 45. L'associazione delle  immagini può dispensarci dal dover fissare grafi-  camente la retta A4B ecc., ma null’altro. Soltanto  l’intuizione può farci comprendere che il nuovo  punto fissato in AC deve per forza essere pure su  AB. Sono certo due processi immediatamente sus-  seguenti, ma che è bene tuttavia tenere distinti in  quanto appunto l’intuizione non è contemporanea,  ma susseguente alla rappresentazione mentale.    (1) La Valeur de la Science, pag. 21.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. €.    82 La posizione gnoseologica della matematica    In altre parole questa specie d’intuizione del  Poincaré è ciò che Kant chiama molto opportu-  namente «costruzione di concetto », che non si-  gnifica soltanto rappresentazione grafica, ma anche  rappresentazione « a mezzo della semplice imma-  ginazione nell’ intuizione pura (1) ». È desso il solo  campo d’azione nel quale possa esplicarsi l’ atti-  vità del matematico.    $ 8. Il procedimento intuizionistico della mate-  matica. — Ma nemmeno limitato al signîficato  esposto nel paragrafo precedente, possiamo accet-  tare il « fatto di esperienza » del Mach nella ma-  tematica: nè con questo crediamo di togliere, ma  bensì di aggiungere qualche cosa al valore dì essa  rispetto alla sua posizione nella teoria della cono-  scenza. La matematica è precisamente quella di-  sciplina — la logica non essendo che semplice  "controllo formale del sapere e, inoltre, di un sa-  pere, come vedremo, qualitativamente superiore  — che abbia rigoroso carattere scientifico senza  avere bisogno alcuno dell’esperienza.   Come si è veduto il nostro concetto d’intuizione  non è in deciso contrasto con il fattore sensibile  che è sempre implicito in qualunque fatto o cosa: .  non si tratta qui cioè dell’intuizione puramente  intellettiva di Descartes (2), la quale, se si può  ammettere benissimo anche senza accettare incon-  dizionatamente la sua dottrina delle idee innate,  non ha tuttavia nulla a che vedere con l’ipotesi,    (4) Per maggiori ragguagli su questo punto particolare vedi  questo libro, Cap. III, $ 10, pag. 101 segg.   (2) Cfr. questo libro, Cap. I, $ 3. Essa è quell’intuizione da  noi chiamata, tanto per intenderci, ideale.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 83    in quanto preesiste a qualunque possibilità di for-  mularne. Ciò non pertanto il lato sensibile che è  in ogni fatto o in ogni cosa — non fosse altro  l’azione formale sensibile del tempo nel « fatto »  e dello spazio nella «cosa» — non si verifica più  nel processo intuitivo propriamente detto, ma  questo è un processo d’inspirazione astratta e  semplificato al possibile. Certo anche l’ intuizione  ipotetica si appoggia, come qualsiasi altra funzione  psichica, su di uno svolgimento che si opera in  noi attraverso il tempo, ma. tale svolgimento non  è già determinato dal contatto con il mondo esterno,  ma si opera in noi, nella nostra stessa coscienza  alla cui sempre più complessa, sempre superiore  formazione, l’ influenza esterna non fornisce che  le cause apparenti, che fattori incidentali del suo  svolgimento. |   Nè se nella formazione originaria delle cause  determinanti il processo psichico dell’ intuizione  non vedessimo alcun lato sensibile, noi saremmo  coerenti nell’affermare che essa può avere efficacia  soltanto nei riguardi di una conoscenza non asso-.  luta, qualitativamente inferiore a quella cui pos-  siamo arrivare prescindendo da ogni lato sensibile,  come abbiamo incidentalmente notato e come mo-  streremo più esaurientemente fra poco: noi po-  tremmo allora sostenere l'identità del procedi-  mento intuitivo con quello puramente razionale,  cosa che ci guardiamo bene dall’affermare.   Ora, se-noi adottiamo la tripartizione accettata  dal Leibniz, per la quale ogni nostra conoscenza  ha un’origine intuitiva o dimostrativa o, con le de-  bite precauzioni, sensibile (1), noi non possiamo    (4) Cfr. LeignIz, Nouveau Essais, IV, 3.    84 La posizione gnoseologica della matematica    fare a meno di porre le verità matematiche nel  primo ordine per quanto riguarda i principii fon-  damentali, in un ordine intermedio fra il primo  e il secondo per quanto riguarda le verità derivate  (teoremi, corollari, scoli); non mai nel terzo (il  sensibile), se intendiamo per esso la constatazione  empirica.   Tale carattere intuitivo delle verità matematiche  vide perfettamente Kant dicendoci che « la mate-  matica pura è adunque possibile solo in quanto  essa non si riferisce che agli oggetti dei sensi,  alla cui intuizione empirica sta a fondamento una  intuizione pura «a priori » (1) la quale non è  altro che la pura forma della sensibilità, che  preesiste all'apparizione degli oggetti; ed anzi è  quella che sola nel fatto la rende possibile ». È  maggior forza acquisterà la conclusione di Kant  sull’ argomento ricordando che i suoi principii  «a priori » poggiano su altrettante intuizioni.   In tale brano di Kant è evidente l’esclusione  del procedimento logico come di quello sperimen-  tale. Effettivamente se l’intuizione ci è molto co-  moda in qualunque teoria della conoscenza, non  può dare un’esauriente risposta ai nostri dubbi,  che soltanto dalla logica possono essere appagati.  Una conoscenza intuitiva può avere valore soltanto  quando siamo posti di fronte a un caso singolo;  ma da questo non possiamo mai risalire alla ge-  neralizzazione cui si può arrivare soltanto facendo  appello alla ragione e non semplicemente all’in-  telletto (2). Lo Schopenhauer anzi, ben lungi dal    (1) Tempo e spazio.  (2) Ragione e intelletto sono qui usati nello stesso signilicato  dello Schopenhauer (op. cit., ed, cit.), I, 12.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —85    considerare l’ intuizione una forma attinente ‘alla  logica, la oppone a questa da un punto di vista  gnoseologico (1), pure riconoscendo il grande valore  dell’intuizione come il mezzo più rapido (2), se  non più certo, per conoscere, e, in estetica, come  l’unico mezzo che possa essere di fondamento alla  creazione dell’opera d’arte. Nè diversamente in  fondo conclude il Croce, malgrado il suo poco ri-  spetto per lo Schopenhauer, quando fissa le nostre  possibilità di conoscere in intuitive e logiche,  quasi contrapponendo le une alle altre; contrap-  posizione che possiamo già trovare nella stessa  « Critica della Ragion Pura », in cui, distinguendo  fra intuizione e concetto, Kant ci dice che « per  la prima un oggetto ci è dato, per il secondo esso  è pensato nel suo rapporto con questa rappresen-  tazione ».   Che poi su pochi principii presi come punto di  partenza si possano costruire un’ infinità di altre  verità dimostrabili — e che la matematica indub-  biamente dimostra — e che poi tutte queste verità  prese nel loro complesso, ossia tanto quelle aventi  carattere assiomatico — es. il tutto è maggiore di  una sua parte — che quelle aventi carattere di-  mostrativo (teoremi), che tali verità, dicevamo,  possano molto spesso — non sempre in ogni modo  — avere riscontro anche nell’ esperienza, allora  entriamo in tutt’alro ordine d’idee e sul quale    (1) SCHOPENHAUER, op. cit., $ cit..   (2) La « rapidità » è considerata pure dai matematici come  uno dei vantaggi essenziali della generalizzazione algebrica.  (Cfr. Bourroux, L'’Idéal scientifique des mathématiciens,  pag. 82). La «sicurezza » del Boutroux, valida per un matema-  tico, deve naturalmente ritenersi condizionata in filosofia per  quanto si va appunto trattando.    ®    86 La posisione gnoseologica della matematica    siamo tutti d’accordo. Si verifica cioè nel proce-  dimento delle matematiche una specie d’inversione  a quanto di solito si riscontra nella fisica. Questa  parte, normalmente (1), dal lato empirico e perchè  le sue leggi possano avere valore rigorosamente  scientifico è necessario che passino sotto il con-  trollo dell’astrazione logico-matematica: la mate-  matica invece, partendo da principii puramente  astratti, « a priori » (2), può trovare la sua con-  ferma nell’esperienza.   Da quanto detto possiamo rimarcare la posizione  privilegiata che ha la matematica rispetto a qua-  lunque altra attività del pensiero. Essa ha il van-  taggio sulla logica — presa nel suo preciso signi-  ficato di: pura azione formale del sapere concet-  tuale—di poter fornire nozioni al nostro patrimonio  | conoscitivo e di poter ricevere dalla rappresenta-  zione sensibile (3) dei suoi concetti una maggiore  evidenza e una più generale accessibilità. Essa ha  il vantaggio sulle scienze fisiche che le sue verità  presentano quel valore universale e necessario che  queste non possono dare alle proprie se non fa-  cendo appello a entità astratte che trascendono il  loro campo d’azione, e che esse adottano non solo  senza conoscerle, ma pretendendo di negarle (ba-    (1) L’ipotesi come intuizione geniale come noi l’abbiamo  considerata, non è il procedimento normale delle scienze fisiche.  (Cfr. più esplicitamente questo lavoro, pag. 76-79).   (2) Avremo più tardi a trattare dell’inaccettabilità (fisica) dei  principii sintetici « a priori » di Kant della fisica pura.   (3) Cioè la rappresentazione grafica delle figure geometriche.  La necessità di tale genere di rappresentazione verrà più avanti  spiegata. Per ora basti osservare che la consideriamo nello  stesso modo come è in Kant (Critica, tr, fr., ed. cit., pag. 214,  metodologia trascendentale).    Cap. LI. - Irapporti fra la logica e la matematica —87    sterebbe per tutte l’attività stessa del nostro pen-  siero) (1). Essa presenta infine il vantaggio su  entrambe — il sapere logico e le scienze fisiche  — di svolgere il suo campo d’indagine in un  mondo che non può soffrire, per definizione, va-  riazioni di sorta. |   Non crediamo di dover trattare qui la natura e  sopratutto il valore di tali presupposti della ma-  tematica che svolgeremo nella seconda parte: ne  è conveniente di trattare -le particolari questioni  che riguardano l’essenza delle definizioni matema-  tiche. Su di essa i pareri e le distinzioni e suddi-  stinzioni sono molteplici già dai primi albori della  scienza stessa — forse già lo stesso Talete di  Mileto ebbe a trattarne — ininterrottamente fino  ai giorni nostri, con la distinzione in definizioni  «reali » e « nominali » di Aristotele, attraverso i  critici e commentatori medievali e ai grandi filo-  sofi matemateci come Hobbes e Leibniz fino alla  scienza metageometrica dei giorni nostri (2).    (1) La fisiologia in stretto senso si limita a ritenere il pen-  siero un movimento del cervello senza considerare che quando  anche potessimo precisare — ciò che non è — i singoli movi-  menti del cervello (che d’altronde non sappiamo nemmeno se  sia la sede della sensazione) ci resterebbe pur sempre di spie-  gare che cosa sia il pensiero a meno di sostenere l’assurdo  dell’identità pensiero-movimento. I fisici più avveduti non in-  corrono più però in simili incongruenze. Cfr. anche MacH,  Analisi delle sensazioni, e AVENARIUS, Idea degli uomini sul  mondo, di cui il Mach riporta (pag. 33-34, op. cit., nota) testual-  mente: «Il cervello non è... alcuna sede... Il pensiero non è  ‘un inquilino e un padrone, ecc...., e nemmeno una funzione  fisiologica ».   (2) Informazioni riguardo all’essenza della definizione potrai  trovare, corredate da spunti critici, in F. ENRIQUES, Per la  storia della logica, Cap. II, nonchè dello stesso A. la Critica  della definizione in Problemi della Scienza. Per maggiori    r    88 La posizione gnoseologica della matematica    Ma fin d’ora possiamo osservare come la carat-  teristica dell’ immutabilità della matematica è inti-  mamente connessa con la sua prerogativa della  definizione.   Dice la geometria: dalla definizione posta di  cerchio, sappiamo che per esso dobbiamo inten-  dere quella qualsiasi delimitazione spaziale che  presenta la prerogativa di avere tutti i suoi punti  ugualmente distanti da un punto interno detto  « centro ». Noi abbiamo già l’idea di « punto »  — e questa è un’altra definizione e, sotto un certo  punto di vista, contradittoria (1), per quanto ri-  .guarda l’ estensione inestesa di esso su cui il  matematico invano si affanna. — Da questa tale  determinata figura che siamo d’accordo di chiamare  cerchio, noi possiamo andare oltre stabilendo queste  e quest’altre verità, di cui le prime discendono  direttamente dalla stessa definizione di cerchio,  altre verità da queste prime e così via (2).   E tutto ciò, diciamo noi, è — almeno nelle  verità derivate — rigorosamente dimostrato e perciò  i giudizi matematici presentano quel carattere di  universalità e necessità che hanno i giudizi logici e  che non hanno, nè mai potranno avere, quelli delle  . altre scienze per la continua variabilità del mondo    schiarimenti cfr. anche: Prano in Mathesis (giugno 1910) ed  anche su questo il libro classico del BrunscHvICG, Les étapes  de la philosophie mathématique, (Paris, 1912), Ch. IV.   (1) È precisamente contraddittoria sotto ogni punto di vista  la si voglia considerare che non sia quello idealistico dell’azione  sintetizzatrice del nostro pensiero.   (2) Non dimentichiamo l’altra (cfr. questo lavoro, pag. 11)  celebre definizione di B. Russel della matematica: «la classe  «di tutte le proposizioni della forma: P implica Q (P, 0)».  (The Principles of Mathematics).    Cap. II. - Irapporti.fra la logica e la matematica 89    empirico su cui devono basarsi; e tutto ciò aumenta  direttamente la nostra conoscenza e perciò essa  matematica presenta quel carattere che hanno le  scienze e che non ha la logica. Ma questa mera-  vigliosa fusione di risultati dipende pur sempre  dalla sua particolare posizione di poter svolgere  la sua attività in un mondo in gran parte ipote-  tico, in gran parte da' essa stessa creato e non  su entità astratte o su fenomeni già dati alla nostra  osservazione, e. precisamente: lo studio riflesso  sulla nostra stessa attività del pensiero, funzione  della logica, o sui fattori forniti alla nostra sen-  sibilità, com’è nelle scienze empiriche. Se noi non  accettiamo il punto di partenza, cade tutta la  grandiosa conquista matematica da Euclide ai  giorni nostri (1).   Il privilegio della posizione della malemalica  rispetto alle esigenze della nostra intelligenza è  quindi del tutto apparente. Ciò che forma la sua  grande forza rispetto a un sapere relativo, segna  pure la sua definitiva condanna rispetto al sapere  assoluto, che esige sì l’immutabilità formale della  logica e l'universalità e la necessità del giudizio,  ma che pretende di trovare immutabilità di pro-  cedimento e universalità e necessità di conoscenza  direttamente dalla realtà com’essa veramente è, e  non come noi vogliamo che sia.   Ciò non pertanto la matematica ha indubbia-  mente una speciale importanza in ogni teoria della  conoscenza. Pure riservandoci di determinare più    (1) La questione fondamentale al riguardo sta appunto nel  vedere se noi possiamo fare a meno di accettare tali punti di  partenza; questione che svolgeremo trattando del punto di vista  della moderna metageometria e dei PEREp sintetici «a priori »  di Kant.    90 La posizione gnoseologica della matematica    nettamente nella terza parte di questo studio la  sua particolare funzione rispetto al problema co-  noscitivo noi possiamo osservare fin d’ora che la  sua immutabilità concettuale e la necessità e uni-  versalità dei suoi giudizi non è determinata esclu-  sivamente, e forse nemmeno prevalentemente, dalla  parziale convenzionalità che noi abbiamo creduto  di trovare nelle sue definizioni. Tali prerogative  sono proprie, rigorosamente parlando, soltanto  della logica (1), ma esse si possono a buon diritto  estendere alla matematica, anche perchè questa è  la scienza più vicina alla logica, sia pér somi-  glianza (2) di procedimento, sia per essere, come  questa, per nulla affatto influenzata da circostanze  ambientali.  Ove si volesse riassumere le considerazioni fatte   a proposito dei rapporti fra logica e matematica  rispetto alla conoscenza, potremo così concludere:   I) la matematica, come le altre scienze aumenta  il nostro patrimonio conoscitivo: la logica, no;   II) la matematica presenta i caratteri dell’im-  mutabilità del procedimento logico e dell’ univer-  salità e necessità delle conoscenze passate sotto il  controllo formale della logica: le altre scienze, no;   III) il valore della matematica è in parte  relativo perchè fondato su presupposti (definizioni,  assiomi e postulati) che la logica non può sempre  incondizionatamente accettare.   Un quarto carettere di tali relazioni logico-ma-   tematiche rispetto alla conoscenza è quello del    (1) Non già del sapere logico, razionale, ma della logic? for-  male p. d. (contraddizione ed identità), cfr. questo libro, $ 2,  pag. 23 (nota 22).   (2) Semplice somiglianza, come si è veduto.    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica 91    vertere le proposizioni matematiche unicamente  sulla nostra conoscenza sensibile, ma tale osser-  vazione non possiamo qui porre come conclusiva  data la necessità di esaminare prima, il presup-  posto essenziale alle scienze matematiche, vogliamo  dire la forma della conoscenza sensibile, ossia il  tempo (aritmetica) e lo spazio (geometria).   Per quanto riguarda il procedimento cui si  attengono le diverse scienze — e segnatamente la  matematica — rispetto sempre naturalmente alla  sola conoscenza sensibile e la loro attinenza con la  funzione specifica della logica in questo campo,  esso potrebbe essere schematicamente rappresen-  tato nel modo seguente:    principii « a priori »    : definizioni, assiomi  matematica (procede nor- x? ’  malmente dall’ intui- postulati).  zione) dimostrazione  logica (teoremi)    altre scienze (procedono normalmente dall’espe-  rienza : in alcuni casi dalla intuizione geniale  sempre però comprovata da una susseguente  esperienza) |    in cui, per spiegarmi meglio onde non si frain-  tenda, si deve leggere: la logica influenzare tutto  il nostro procedimento conoscitivo sia specificata-  mente nella matematica (sopra tutto nelle verità  derivate per dimostrazione) sia in tutte le altre  indagini della nostra intelligenza, ove le indagini  stesse pretendano di essere «scienze» nel preciso  significato della parola, di rispondere cioè esau-  rientemente ai nostri dubbi sul valore delle loro  affermazioni e negazioni.    92 La posizione gnoseologica della matematica    $ 9. II procedimento ipotetico della matematica.  — Da quanto precede possiamo così dedurre che  quello che. il Leibniz sostiene a proposito della  necessità dei postulati e della natura di questi,  pure essendo, a nostro modo di vedere, profon-  damente vero, non può che parzialmente soddisfare  il nostro bisogno di conoscere. Certo il Leibniz  non considera i principii matematici come arbi-  trarii nè per quanto riguarda le definizioni, nè per  quanto riguarda i postulati. È anzi appunto il  Leibniz stesso che ha posto in luce come, ove la  geometria ci desse la definizione di figure impos-  sibili (1), questa sarebbe incompatibile con il tutto  geometrico e prima o poi ne risulterebbe l’assur-  dità; quindi non si può ammettere l’arbitrio nella  definizione. .   Così è appunto il Leibniz che si preoccupa di.  replicare ripetutamente a Locke che gli assiomi  matematici non sono affatto dei principii imma-  ginarii, delle « supposizioni arbitrarie di cui si sia  misconosciuta la verità » (2).   Ma non possiamo però dimenticare che è lo  stesso Leibniz che sostiene nelle « Primae Veri-  tates » (3) che, le prime verità appunto, sono sol-  tanto quelle « quae idem se ipso enuntiant aut  oppositum de ipso opposito negant. Ut A est A,    (1) L’EnRIQUES (op. cît., II, pag. 90) riporta al riguardo  l'esempio del decaedro regolare, esempio d'altronde addotto  dallo stesso Leibniz. Ragionando attorno a tale figura impos- -  sibile si riuscirebbe certo «a mettere in evidenza le contrad-  dizioni che il suo concetto implicitamente racchiude ».   (2) LeiBNIZ, Nouveaua Essais, IV, pag. 12.   (3) Cfr. L. COUTURAT, Opnactlca et Fragments inédits de  Leibniz, (1903), pag. 518.    Cap. II.- I rapporti fra la logica e la matematica —93    vel A non est non A (1). Si verum est A esse B,  falsum est 4 non esse B vel A esse non B»: nè  possiamo dimenticare che egli vedesse la necessità  di tali assiomi (2) non già nell’ indimostrabilità ed  evidenza di essi come verità insindacabili, bensì  nella loro utilità onde poter proseguire, in un  senso cioè che — sotto questo aspetto particolare  — possiamo riconnettere con il criterio di pratica  utilità e non altro che l’Hobbes riconosceva ai  principii fondamentali della matematica. Dal punto  di vista dell’insoddisfazione della nostra esigenza  conoscitiva le considerazioni introdotte dal Leibniz  sull’utilità di tale procedimento assiomatico, mi  ricordano in certo qual modo come il Mach si  sbriga nei suoi « Preliminari antimetafisici » della  essenza dell’ io (3) che egli considera come pura e  semplice eonvenzione utile a più facilmente inten-  dersi e a tirare innanzi, riconoscendo tutto al più  una maggiore fusione nel gruppo di elementi che  costituiscono l’îo in confronto « con altri gruppi  dello stesso genere ». L’analogia consiste natu-  ralmente — è ovvio — nel solo punto di vista,  dato che il Mach non si limita soltanto a procla-  mare il valore di un’ipotesi, anche se puramente  convenzionale, sotto il solo suo aspetto utilitario,  il che potrebbe rivelarci, caso mai, l’estrema con-  seguenza di volersi a ogni costo mantenere fedele  alla sua dottrina dell’economia del pensiero; ma  incorre nel gravissimo errore di considerare come    (1) Cfr. Kant, Prolegomeni (tr. it.), $ 2, db): «Il principio  fondamentale dei giudizi analitici è il principio di contraddi-  zione » (ogni corpo è esteso = nessun corpo è inesteso).   (2) LeiBnIz, Nouv. Ess., IV, 7, 12.   (3) Maca, Analisi delle sensazioni (tr. it.), cap. I.    94 La posizione gnoseologica della matematica    supposizione ciò che possiamo ritenere per la nostra  più assoluta certezza: l’ io, soltanto perchè essa  non può essere determinata da ricerche semplice-  mente positive.   Ma l’inconveniente razionale dell’ ammissione  utilitaria del presupposto del punto di partenza  onde potere più speditamente, e, sia pure, più  efficacemente proseguire, è simile in entrambi i  casi: ne differisce soltanto d’intensità.   Senza dubbio tale concezione del Mach avrebbe  spaventato il Leibniz, paziente indagatore e ardito  metafisico, e gli avrebbe dato a riflettere come lo  esempio illustre della matematica, potesse esten-  dersi con troppa tranquillità persino alla base es-  senziale di qualunque nostra possibilità di cono-  scere. Ma dalle sue considerazioni del libro IV  dei « Nouveaux Essais» a favore del mondo ipo-  tetico della matematica — sia nel capitolo 7° de-  dicato alle « massime ed assiomi », sia nel capi-  tolo 12° riguardante «i mezzi per aumentare la  nostra conoscenza » — sorge naturale l’osserva-  zione che tutte le sue argomentazioni hanno valore  soltanto di giustificazione esplicativa provvisoria:  e conferma ne sia la sua diligenza a mostrare  come sia opera lodevole il tentare di ridurre a un  minimo indispensabile tali principii fondamentali  «a priori » della matematica, e a ricordarci come  già dai tempi antichissimi molto si sia tentato in  questo campo. Anche se la critica moderna non  può accettare che già con Talete di Mileto, il primo  dei matematici greci, colui che predisse l’eclisse  solare del 28 maggio 585, si sia tentato dimostrare  proposizioni poi supposte da Euclide come evidenti,  come Liebniz sembra credere sulla testimonianza    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —95    di Proclo (1), è certo però che fra gli stessi con-  temporanei di Euclide, figurano già questi tenta-  tivi continuati poi con intensità sempre maggiore  dagli immediati successori (Apollonio) (2) ininter-  rottamente sino a noi. Le argomentazioni del  Leibniz mirano cioè soltanto a convincerci che  tale mondo ipotetico della matematica (ipotetico  non significa arbitrario) (3) è stato della più grande  utilità non soltanto limitatamente all’aritmetica e  alla geometria, ma anche a tutte quelle altre  scienze, che più o meno direttamente su di esse  si appoggiano, in quanto che se Euclide non si  fosse basato su alcune di queste verità intuitive  prese come postulati, se Archimede non ne avesse  introdotte altre e così via, noi non avremmo an-  cora ai giorni nostri una geometria, non avremmo  quel meraviglioso edificio che partendo da pochi  principii arriva « alla scoperta e alla dimostrazione  di verità che sembravano dapprima al di sopra  della capacità umana ».    (1) Commentarii in primum Euclidis elementorum libri  (Leipzig, Teubner, 1873). |   (2) Cfr. il cap. 7° del libro IV dei Nouveaux Essais, nonchè,  per quanto riguarda Apollonio, il libro citato del CouTuRAT,  Op. et Frag. in. de Leibniz, pag. 181-182: « Euclide avoit  raison, mais Apollone en avoit encore davantage n. Così pure  nella « Demonstratio axiomatum Euclidis », pag. 539 dell’opera  medesima.   (3) Anche i matematici dei giorni nostri insistono su tale  distinzione, non esclusa la corrente decisamente convenziona-  lista del Poincaré e seguaci. Cfr. ad es. RougIER, La philo-  sophie géométrique de Henri Poincaré, pag. 129: « Cette con-  vention (il V postulato di Euclide) bien que facultative, n’est  toutefois pas arbitraire ». Nello stesso senso insiste ripetuta-  mente il Brunschwicg (« Les Etapes de la philosophie mathé-  matique » ) in quanto « libero non significa arbitrario» (pag. 541)  e così un’infinità d’altri.    96 La posizione gnoseologica della matematica    Tutto ciò è, almeno a mio modo di vedere, per-  fettamente esatto, ma noi da tali argomentazioni  usciamo solo in parte soddisfatti. Io non guardo  se sia stato più utile che gli antichi sapienti in-  vece di fermarsi alla possibilità o non della dimo-  strazione di un principio preso come postulato,  abbiano proseguito con sicurezza e tranquillità :  dell’ utilità del procedimento medesimo io non mi  curo. Ma mi curo però di osservare come i miei  dubbi sul valore delle proposizioni originarie siano  rimasti intatti malgrado lo sviluppo grandioso che  da tutti è riconosciuto alla matematica, e che  malgrado gli allettamenti di un tale metodo di  sapere, la ragione resterà disperatamente fedele al  suo dubbio metafisico su cui non potrà sorvolare  nemmeno provvisoriamente, supponendolo risolto  onde poter arrivare a un tutto splendidamente or-  ganico ed omogeneo che impressiona, ma non  soddisfa. Lo stesso famoso dubbio cartesiano non  avrebbe avuto alcuna ragione di essere, se De-  scartes, malgrado il suo geniale tentativo geome-  metrico, fosse stato veramente un matematico e  non un metafisico. |   È perciò legittima la questione che il nostro  pensiero non può fare a meno di rivolgersi: posso  io sicuramente credere in verità che abbiano tale  origine? Certo, si potrebbe rispondere, e per due  ragioni: innanzi tutto perchè è necessario che qua-  lunque indagine abbia un punto di partenza su cui  basarsi onde non perdersi in cervellotiche e incon-  cludenti divagazioni all’infinito ; inoltre perchè tali  principii fondamentali sono in noi, in certo qual  modo innati, e alla loro evidenza non possiamo  sottrarci. |   La prima di queste ragioni non può essere in    Ù    Cap. II. - I rapporti fra la logica e la matematica —97.    linea di massima seriamente contestata da alcuno:  sono troppo note le elucubrazioni tanto ingegnose  e sottili quanto vuote e inconsistenti della ricerca  di una causa prima in cui si sono sbizzarriti logici  e metafisici medievali, perchè non si debba rite-  nere necessario il partire da principii nettamente  posti e .su di essì costruire.   Veniamo così ad affacciarci naturalmente alla  seconda eventuale risposta al problema postoci  inerente alla scelta dei principii fondamentali me-  desimi e al loro numero. La scelta dovrà essere  determinata esclusivamente dall’inconcepibilità del  contrario, basandoci ancora proprio sul vieto. cri-  terio dell’evidenza ormai quasi universalmente  ripudiato dai matematici. Conseguentemente il nu-.  mero di essi dovrà essere ridotto al minimo, per  la semplicissima ragione che ben poche sono le  verità il cui contrario è per noi impensabile. D'altra  parte, indipendentemente però dal criterio dell’ evi-  denza, la necessità di ridurre a un minimo indi-  spensabile i principii presi come presupposti è  ammessa dagli stessi matematici.   Il problema inerente al criterio che deve presie-  dere alla formazione dei principii medesimi sarà il  tema delle considerazioni che passiamo a svolgere.  In primo luogo, a maggiore esplicazione di quanto  si è già sino ad ora superficialmente trattato, nel  limitare il valore dei giudizi matematici — qua-  lunque sia per essere il grado di perfezionamento  che essa potrà eventualmente raggiungere in avve-.  nire — al solo campo della conoscenza sensibile,  ossia soltanto relativamente ad una realtà quanti-  tativamente inferiore a quella essenzialmente con-  cettuale del pensiero puro.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 7.    98 La posizione gnosseologica della matematica    In secondo luogo — e questa sarà la funzione  specifica delle considerazioni medesime — a met-  tere in luce se, anche limitatamante a tale campo  conoscitivo, i giudizi matematici abbiano quel va-  lore universale e necessario che Kant attribuisce  loro, e in quali rapporti tale valore sia con la  metageometria contemporanea.    SEGR RI 0 III ELIO    CAPITOLO III.    Il valore del giudizio matematico.    $ 10. Il valore universale e necessario del giu-  dizio matematico. — Ma un’obbiezione al concetto  di un mondo ipotetico della matematica, che Leibniz  implicitamente e parzialmente riconosce ammetten-  done l’utilità, la necessità anzi onde poter prose-  guire, la troviamo nella concezione kantiana dei  principii sintetici a priori, principii sintetici di cui  abbiamo riconosciuta l’estrema importanza, e su  cui ci siamo basati, per dimostrare l’origine non  essenzialmente empirica di ogni nostra conoscenza,  in quanto i principii stessi sono già in noi prece-  denti qualsiasi sensazione, non soltanto, ma in  certo qual modo influendo sulle sensazioni mede-  sime. Abbiamo anzi osservato come questo sia, dal  punto di vista idealistico della. teoria della cono-  scenza, l’argomentazione su cui si deve basarsi per  combattere l’empirismo in tutte le sue forme e per  non cadere nello scetticismo, cui dovrebbe logica-  mente giungere qualunque pensiero che si basi  essenzialmente sul dato empirico per arrivare alla  legge scientifica. L’obbiezione particolare che nel  caso nostro (della matematica-logica) si potrebbe  dedurre dalia constatazione generale dell’esistenza  di tali principii sintetici a priori nella matematica,    100 La posizione gnoseologica della matematica    sarebbe questa: quelle definizioni e quegli assiomi  su cui il matematico costruisce man mano i proprii  teoremi non sono già in noi in virtù di un presup-  posto particolare a detta scienza, ma sono vere e  proprie verità che esisterebbero indipendentemente  dall’esistenza della matematica. Cioè se Euclide  non fosse mai esistito ciò non pertanto non sarebbe  mutata la definizione del triangolo, ciò non per-  tanto non perderebbe di valore l’assioma, ad es., che  aggiungendo uguali quantità a quantità uguali se  ne otterranno di nuovo quantità uguali, e così via.  Possiamo senz’altro osservare che anche ove ciò  sia o non incondizionatamente vero, nulla verrebbe  a risentirne l’affermazione fatta che la matematica  parte da intuizioni e procede per un metodo di  analogia, di sostituzione che molto spesso non ha  il carattere logico, e che appunto perchè tale non  può rispondere alle esigenze del nostro pensiero,  tendente alla conoscenza assoluta. Per ciò potremmo  pur sempre considerare la visione matematica, come  una visione indubbiamente sintetica e concettuale  — per quanto concettuale in modo relativo in  quanto ha pur sempre bisogno di una rappresen-  tazione sensibile determinata — che offre al filosofo  la possibilità di mostrare come seguendo un pro-  cedimento rigorosamente esatto e non empirico  nelle sue linee essenziali, si possa arrivare a mera-  vigliosi risultati; ma risultati che non possono in  alcun modo trascendere la nostra sensibilità.   La matematica in questo modo considerata può  ricordarci, contrariamente a ogni scienza (altra ra-  gione per cui essa deve essere separatamente trat-  tata), la visione estetica dell’opera d’arte (1), ma    (1) Cfr. Cap. 1, 83, pag. 28-29.    Li  e * coco > è [i < dé è    Cap. III. - Il valore del giudizio maiematico 101    ciò non pertanto essa, per la sua necessità di lavo-  rare, non già sul concetto puro, ma su di una rap-  presentazione gradatamente sempre più complessa  di esso (in geometria dal punto al solido), come  l’arte per la preponderanza del lato sensibile, rap-    presenta pur sempre un mondo che da un punto    di vista logico non può rispondere alle esigenze  del metafisico. Pure accettando i principii della ma-  tematica come incondizionatamente veri in quanto  insiti nel nostro pensiero stesso, il suo modo sarebbe  pur sempre, anche ritenendo con il Fouillée che  «le verità metafisiche avendo la loro espressione,  per quanto incompleta, nei fatti attualmente cono-  sciuti dall’esperienza, questa espressione può essere  studiata e interpretata per mezzo di un metodo,  che, come abbiamo veduto, non è senza qualche  analogia con quello del calcolo infinitesimale » (1),  sarebbe pur sempre, dicevamo, un mondo non essen-  zialmente concettuale in quanto agisce su di una  determinata figura specifica, come'si vede molto  chiaramente nella geometria. Questa non costruisce  ‘già sul concetto di triangolo genericamente preso,  ma sul tale determinato triangolo, particolarità  questa che porta all’esigenza della rappresentazione  grafica della figura che si deve esaminare.   Tale necessità di rappresentazione grafica, deve  qui intendersi nello stesso modo nel quale la in-  tende Kant nella « Critica » (2). Se diamo ad un  filosofo il concetto di triangolo e gli diciamo di    (1) A. FOUILLÉE, L’avenir de la méth. fondée sur l’ex. (1889),  pag. 295.   (2) Critica (ed. cit.), vol. II, pag. 214 (Metodologia trascenden-  tale). Metti in relazione tale brano con quello citato nel pre-  sente lavoro a pag. 82.    102 La posizione gnoseologica della matematica    trovare secondo la sua maniera (1) il rapporto della  somma dei suoi angoli con l’angolo retto, egli non  verrà mai a capo di nulla. Potrà esaminare finchè  vuole il concetto di retta, il concetto di angolo, il  concetto del numero tre, « non troverà mai altre  proprietà che non siano contenute in questi con-  cetti ». Ma, provate un po’ a sottoporre a un mate-  matico tale problema, e vedrete quanto differente  sarà il suo modo di trattarlo. « Innanzi tutto egli  comincerà col costruire un triangolo. Poi, sapendo  che la somma degli angoli di un triangolo è uguale  a due angoli retti, prolungherà un lato del suo  triangolo, ecc. », nel modo noto. Ora, noi sappiamo,  pure dalla « Critica » (2), che cosa intenda Kant  per costruzione di una figura geometrica, significa  cioè: «rappresentare l’oggetto corrispondente a  mezzo dell’immaginazione nell’ intuizione pura o  anche in modo conforme a questa, sulla carta, nel-  l’ intuizione empirica », bene inteso in entrambi i  casi in modo del tutto indipendente da qualunque  criterio sperimentale. Oggi infatti non si può più  ritenere seriamente che si possa supporre che sono  le figure che danno la prova nella geometria il cui  errore Leibniz si preoccupavadi mettere in chiaro (3).   Soltanto per un processo non sempre lecito di  sostituzione analogica (4) noi possiamo dal caso    (1) Ossia secondo la maniera rigorosamente razionale.   (2) Ed. cit., vol. II, pag. 212.   (3) Nouveaux Essais, v. alla fine del Cap. I.   (4) Tale processo di sostituzione non figura, è vero, a rigor  di termini nel calcolo infinitesimale, ma questo esula già in  certo qual modo dal rigoroso calcolo aritmetico che non può  essere considerato nella sua purezza che nel numero intero:  e ciò sia detto a meno di considerare lo stesso calcolo infini-  tesimale quasi core aritmetizzato riducendo l’ Infinito a un si-  stema finito di disuguaglianza dei numeri interi.    Cap. II1. - Il valore del giudizio matematico —103    singolo del triangolo che si sta esaminando, risa-  lire all’enunciazione generica da cui siamo partiti  ed estenderlo a tutte quelle figure che rispondono  ai requisiti della definizione di triangolo. Ciò è  nella geometria in modo forse più palese, ma ciò  figura anche nell’aritmetica, nell’operazione più  semplice di essa: nell’addizione.  Sostenendo che:  dLQZ=4Z4 î    noi, prescindendo dalle considerazioni kantiane che  ci dimostrano che questo concetto di 4 non ci è  dato effettivamente che basandoci su di un giudizio  sintetico « a priori », che nel caso che stiamo esa-  minando — processo sostitutivo nella matematica  — non ci interessa, noi possiamo arrivare alla  somma soltanto dimostrando in antecedenza che:  1+1=2; 2+1=3; 3+1=4   in cui c'è d'altronde il processo sostitutivo.   Ma appunto basandoci su tale esempio possiamo  subito osservare che la dimostrazione riportata, da  un punto di vista logico, è da considerarsi come  dubbia: è infatti più un chiarimento, una « verifi-  cation », come nota acutamente il Poincaré in un  caso simile per quanto dettato da altri motivi. Ove  poi noi volessimo generalizzare, compito di ogni  ricerca che voglia avere carattere scientifico e com-  pito precipuo della matematica, sostituendo i nu-  meri con lettere, noi dovremmo per arrivare alla  dimostrazione — o meglio verifica — che:    xtn=y  aver trovato prima, sempre, il valore di:  xt+tn_-1)    ciò che in pratica non si verifica,    i  104 La posizione gnoseologica della matematica    Basta ricordare il teorema sui numeri primi del-  l’ illustre Fermat, quello stesso Fermat che Pascal  considerava come il più gran geometra di Europa.  Egli si era proposto di cercare una formula che  «non contenendo che dei numeri primi, desse di-  rettamente un numero primo maggiore di qualunque  numero assegnabile » (1). Il Fermat credette di poter  stabilire che tale numero primo poteva essere dato  dal 2 elevato a potenza (che doveva essa pure essere  una potenza del 2) più l’unità: e infatti Eulero  mostrò che ciò cessa di aver luogo per la 32* po-  tenza del 2 (4.294.967.297), numero praticamente  più che sufficiente, ma che logicamente non può  affatto autorizzare la sostituzione letterale che do-  vrebbe non conoscere limiti: nello stesso modo si   osserva in Leibniz (2) la più che sufficienza pratica  di fermarsi al nonilione come limite dell’ infinito  numerico. Il Fermat fu inoltre il primo ad ammet-  tere che la sua non era una « dimostrazione » (3).  . Così ad es. ove si sia mostrato che:    5H+7=12  7+5=12 |  (b+7)=(7+5)  in matematica veniamo senz’ altro alla conclu-  sione che    2+y=y+x    agendo puramente per sostituzione. Questa ha in-  dubbiamente incalcolabile efficacia scientifica, nè    (1) P. S. LAPLACE, Essai philosophique sur les probalités, II,  pag. 86 segg. (Paris, 1921).   (2) Nouv. Essais, II, 16, pag. 113 (Flammarion ed.).   (3) Anche degli studi del Fermat fu fatta un’edizione com-  pleta: Oeuvres de Fermat, Tannery-Henry ed.    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 105    da un punto di vista logico può essere considerata  come puro e semplice arbitrio, ma certo non pos-  siamo vedere in essa quello scrupolo che una mente  prettamente logica potrebbe pretendere. Del tutto  arbitrario il procedimento sostitutivo non è, in  quanto negli esempii citati vi è indubbiamente del-  l’analisi nel verificare perchè 2 + 2 —4, e della  sintesi (v. Kant) nel numero 4 da noi introdotto ;  ma certo il lato logico di tale procedimento è in-  dizio di una logica tutta particolare della matema-  tica e che non potrebbe in alcun modo estendersi  al campo dell’ indagine puramente concettuale della  metafisica. o    $ 11. II valore convenzionale e relativo del  giudizio matematico (1). — Ma ciò non basta per  rispondere esaurientemente alla obbiezione che,  basandoci sui principii sintetici « a priori » della  matematica, secondo Kant, si potrebbe rivolgerci,  in quanto che tale mondo della matematica, anche  se non atto a soddisfare la nostra tendenza all’as-  soluto metafisico — e in ciò, come si vede, non ci  si allontanerebbe affatto da Kant, in quanto anche    (1) Cenni bibliografici: RusseLL, Essai sur les fondements  de la géométrie (tr. fr., Paris, Gauthier-Villars, 1901); CHasLESs,  Apergu historique sur l’origine et le développement des mé-  thodes en géométrie (Bruxelles, 1837); BELTRAMI, Saggio di  interpretazione della geometria non euclidea (1865); BaRr-  BARIN, La géomeétrie non euclidienne (Paris, Gauthier-Villars);  D. M. Y. SOMMERVILLE, The Elements of now-euclidean geo-  metrie (London, Bellaud Sons).   Dello stesso A. di somma utilità è la: Bibliography of non-  euclidean geometrie, including the theorie of parallels, the  foundations of geometry and space of n dimensions (London,  Harrison and Sons); Mac-LEoD, Introduction à la géométrie  non euclidienne (Paris, Hermann, 1922).    106 La posizione gnoseologica della matematica    per lui le verità matematiche hanno valore soltanto  per la realtà sensibile e non per la vera realtà, per  la cosa in sè — sarebbe pur sempre un mondo non  ipotetico come viceversa abbiamo più sopra soste-  nuto. Vediamo un po’ da vicino la questione che  è di tale importanza da meritare il più attento esame.  I giudizii sintetici « a priori » di Kant sarebbero  rimasti, nel campo della matematica, incondizio-  natamente dominatori, se non fossero sorti nel seno  ‘stesso della matematica, obbiezioni sulla loro vali-  dità universale e necessaria. Possiamo dire subito  come l’importanza di questo recentissimo indirizzo  matematico — la metageometria — sia stato esa-  gerato non tanto dalla ricerca spassionatamente  scientifica dei suoi principali esponenti, quanto dal  carattere polemico di alcuni studii che senz'altro  credettero di poter ravvisare in essa la tomba della  dottrina kantiana dell’apriorità. Ciò è errato, e su  ciò abbiamo troppo a lungo insistito per tornarci  sopra: l’origine delle verità matematiche non può  essere che aprioristica, nè la metageometria pre-  tende di sostenere il contrario. Nè tutto in essa è  nuovo di zecca. È riconosciuto che lo stesso Kant  già avesse preveduto (1) la possibilità di future  infinite geometrie ammissibili in astratto; forse  nello stesso Aristotele (2) si riscontrano allusioni  che ci potrebbero far credere all’esistenza di pen-  satori che fin d’allora mettessero in dubbio il'va-  lore complessivo dei principii scientifici e logici,  senza esclusione nemmeno di quelli matematici.    (1) Cfr. al riguardo il Commento ai Prolegomeni del Marti-  netti, pag. 240, riferendosi ai Gedanken von der wahren  Scatzung der lebendigen Kréafte, scritto da Kant a 22 anni.   (2) Cfr. F. ENRIQUES, Il concetto della logica dimostrativa  secondo Aristotele, in Riv. di Filosofia, gennaio 1918.    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 107    Malgrado queste numerose e antichissime traccie,  la metageometria soltanto ai giorni nostri è venuta  assumendo la sua piena espressione critica (1). E  ciò non tanto per il naturale progresso proprio di  ogni scienza e quindi anche della matematica, ma  per una particolare evoluzione del nostro pensiero  a tendere sempre più verso la logica più rigorosa.  C° è nella nostra volontà conoscitiva di questi ultimi  tempi una sempre più intensa esigenza che la porta  ad uno scrupolo sempre maggiore nel controllare  qualsiasi nozione prima di essere ammessa : verità  che gli antichi accettavano senz’altro, sembrano  oggi da esaminarsi con riserbo. L’intuizione va  cioè man mano diminuendo d’importanza, non  tanto nell’ acquisizione di nuove nozioni, quanto  nell’accettazione incondizionata di esse.   Non so se lo sviluppo della logica considerata  come scienza a sè stante, sia più manifesto dello  sviluppo di altre discipline, ma credo si possa con  sicurezza affermare che anche se le inutili sotti-  gliezze dei teorici della logica, non hanno raggiunto  un particolare miglioramento d’espressione, questo  può senza dubbio verificarsi nella sempre più ri-  guardosa prudenza che lo studioso è andato acqui-  stando e che lo fa rimanere dubbioso prima di  poter dichiarare: sì questo è vero.   Sotto questo punto di vista sembra che il pen-  siero moderno si differenzi dall’antico in quanto  alla affermazione di « evidenza » di questo, risponde    (1) V. le opere fondamentali dei suoi fondatori: B. RIEMANN,  OQuvres mathématiques (Paris, 1898), tr. fr. de L. Laugel;  LOBATCHEFSKI, Pangéomeétrie ou théorie générale des paralléles  suivie des opinions de D’Alembert sur le méme sujet et d’une  discussion sur la ligne droite entre Fourier et Monge (tr. fr.,  Paris, Gauthier-Villars).    108 La posizione gnoseologica della matematica    con maggior calma: adagio, prima ragioniamo,  vediamo se tutte le strade sono state tentate e se  nulla possiamo aggiungere a quelle già battute;  cerchiamo di vedere, se non altro; se non possiamo  ammettere in alcun caso l’ipotesi contraria.   In questa posizione rispettiva dei due pensieri  il moderno ha naturalmente una grande prevalenza,  non soltanto iniziale, sull’altro. Ciò per due ragioni:  in primo luogo in quanto anche se l’ipotesi contraria  non può essere sostenibile, non per questo possiamo  contare: con sicurezza su quella primiera, tranne  nel caso che l’ipotesi in questione sia veramente  dilemmatica, il che non sempre è: l’ idealismo tra-  scendentale ci offre in filosofia un esempio chiaris-  simo di tale supposizione dilemmatica. Segnata-  mente Fichte e Schelling credettero di poter vedere  soltanto una via alla soluzione della cosa in sè:  far derivare il mondo esterno dal soggetto; ciò che  li portò molto, troppo lontani nelle conseguenze.   In secondo luogo, in quanto il pensiero moderno  può basarsi su quell’esperienza millenaria che ha  potuto sempre maggiormente porre in luce che altre  verità intuitive ritenute per secoli evidenti e indi-  mostrabili, sono state col tempo dimostrate o,  peggio, sono col tempo cadute.   Su tali più solide basi la metageometria è venuta  a formare, oggi, una nuova scienza, che, in quanto  « scienza », possiamo ancora considerare agli inizii  e in cui figurano perciò gravi lacune che non sa-  ranno facili a colmare; ma essa ha pur sempre  portato notevole contributo alla questione. della  apriorità del principio e del valore del giudizio  matematico fornendo a questa nuovi elementi e  fissandone i limiti.   La metageometria si limita soltanto a sostenere    Cap. 1II. - Il valore del giudizio matematico 109    il carattere puramente convenzionale del. mondo  geometrico euclideo: la geometria euclidea è stata  da noi «scelta» unicamente perchè essa è per noi  la più vantaggiosa, ed anche — la metageometria  lo riconosce — la più vicina alla nostra naturale  intuizione spaziale. Il Poincaré sostiene nettamente  che la geometria euclidea è e sarà sempre « la plus  commode », intendendo appunto con tale espres-  sione di stabilire che essa è la più vicina alla  nostra diretta sensibilità spaziale. Essa infatti è la  più semplice non già soltanto in seguito alla nostra  abitudine « ou de je ne sais quelle intuition directe  de l’espace euclidien », ma anche in se stessa con-  siderata, nello stesso modo e per le stesse ragioni  per le quali un polinomio di 1° grado è più sem-  plice di un polinomio di 2° grado, e così via. Inoltre,  continua il Poincaré, la geometria euclidea « si ac-  corda assai bene con le proprietà dei solidi natu-  rali » di cui ci serviamo Der fare i nostri strumenti  di misura (1).   La metageometria si ciarda bene, così stando le  cose, dall’affermare che per questo i giudizii mate-  . matici verrebbero ad avere un’origine sperimentale,  empirica. La indipendenza della matematica dalla  esperienza viene anzi ripetutamente affermata,  esplicitamente o non, da tutti i migliori rappre-  sentanti di tale indirizzo geometrico-critico; ma .  anche ove l’affermazione categorica mancasse, essa  sarebbe pur sempre la conseguenza indispensabile  della tesi metageometrica del non poter essere con-  siderato. lo spazio come fattore sperimentale, come  vedremo trattando della terza dimensione.    (1) H. PoIiNcaRÉ, La Science et l’ Hypothese, pag. 67.    110 La posizione gnoseologica della matematica    — — —r———-_———_ ——__ "——_——————___—_————rm———————————————@——@——@—————t———————————@———@@@t—+——@    La metageometria segna così un nuovo elemento  a favore della dottrina idealistica: più specificata-  mente, per quanto riguarda il punto fondamentale  che interessa all’idealismo in questo argomento,  il punto in cui Kant si solleva decisamente sul-  l’empirismo di Hume, possiamo dire che essa segna  una specie di prova, di controllo a favore di Kant  precisamente contro Hume. Si sa come Kant rim-  proveri a Hume di aver attribuito al giudizio mate-  matico un carattere esclusivamente analitico; ma  ciò — più che da un’errata interpretazione di Kant  al riguardo — dipende dall’aver Kant voluto attri-  buire a Hume la propria terminologia. Hume pone  infatti la matematica nella conoscenza dimostrativa  (copia d’impressioni), in quella conoscenza cioè  che è basata nella filosofia dell’empirico scozzese  sul principio di « somiglianza e contrasto ». Questo  ci dà, sempre secondo Hume, una certa sicurezza  conoscitiva, ma questa sicurezza è quanto mai mo-  desta: si limita in fondo a dirci che noi possiamo  venire a sapere se una cosa è uguale o differente  da un’ altra. Ma tale principio di somiglianza e  contrasto è in fondo il vecchio principio di con-  traddizione: ora, il principio di contraddizione è  da Kant posto a base dei giudizii analitici: esso  figura, è vero, anche nei giudizii sintetici; ma allora  non è più solo; vi si trova con il principio di  causa, ecc. Escluso il principio di causa da Hume,  o meglio ridotto esso ad una pura e semplice suc-  cessione temporale, ne viene che la conoscenza  dimostrativa, e quindi la matematica che è posta  in essa, poggia soltanto sul principio di somiglianza  e contrasto. Quindi secondo la terminologia kan-  tiana i giudizii di essa non potevano essere che    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 111    analitici nella dottrina di Hume (1). Questi in ogni  modo, indipendentemente dal carattere sintetico o  analitico delle proporzioni matematiche, venne im-  plicitamente a porre sull’esperienza, il fondamento  delle proporzioni medesime; concezione che pos-  siamo d’altra parte trovare in diversi altri pensa-  tori, come ad es. in Wolff e discepoli.   Soltanto, viene molto naturale osservare a questo  proposito come, riconoscendo l’apriorità dei prin-  cipii della matematica, ma attribuendo a tale aprio-  rità valore puramente e semplicemente convenzio-  nale, si viene ad ammettere il punto di partenza  della dottrina kantiana, ma a negarne le conse-  guenze, a negare cioè che i principii stessi abbiano  valore universale e necessario. In altre parole la  natura delle scienze matematiche viene ad essere  notevolmente modificata non già nella natura non  sperimentale dei suoi punti di partenza, ma nelle ‘  conclusioni.   Intendiamoci bene: Kant non si è mai stancato  di ripetere, nè diversamente poteva essere dato il  suo realismo gnoseologico, che le verità matema-  tiche non potevano riguardare che la realtà sen-  sibile. Ove a Kant si fosse obbiettato che con    (1) Non sono quindi in tutto del parere di Martinetti che  trova in Kant un’errata interpretazione di Hume al riguardo  (cfr. il suo Commento ai Prolegomeni, pag. 215). Non è che  Kant attribuisca a Hume di avere scritto in qualche parte che  il metodo matematico consiste «in un’analisi pura e semplice  di concetti», ma soltanto per l’identificazione del principio  humiano della «somiglianza e contrasto » con il principio di  contraddizione, e per aver posto esclusivamente questo stesso  principio (escludendone la causalità) a base di quella conoscenza  dimostrativa della quale fa parte, nella dottrina di Hume, la  matematica, la quale veniva così di conseguenza ad esser, in  linguaggio kantiano, analitica.    112 La posizione gnoseologica della matematica    modificazioni adatte del mondo ambiente — in  quelle diverse ipotesi che si potrebbero prospet-  tare in merito e che sono, indubbiamente molto  numerose — il soggetto conoscente sarebbe addi-  venuto ad un'intuizione spaziale in cui la geo-  metria euclidea non sarebbe forse stata concepita  neppure come ipotesi possibile in astratto, Kant  avrebbe con tutta tranquillità potuto rispondere  ch’egli si interessava soltanto di questo nostro  mondo e che sarebbe opera da sognatore l’aspi-  rare alla realtà assoluta; ma, egli avrebbe ag-  giunto, dato questo nostro mondo, i giudizii ma-  tematici sono insindacabili ed hanno valore  universale e necessario : anche se in avvenire  noi potremo arrivare a immaginare non una, ma  mille geometrie diverse dalla euclidea, questa sol-  tanto potrà rispondere alle nostre esigenze col  "darci nozioni tali da permettere la necessità e  l’universalità dei nostri giudizii, perchè soltanto  l’ euclidea può essere la nostra geometria per  l'identità della sua con la nostra naturale intui-  zione dello spazio (1). |   L’idealismo più rigoroso posto di fronte a tale  questione, non modificherebbe gran che la risposta  di Kant. Per conto mio, ove ritenessi di potere  accettare incondizionatamente i principii sintetici  «a priori » della matematica e quindi la necessità  e universalità dei suoi giudizii, credo si potrebbe  osservare che, senza dubbio per ragioni differenti.  da quelle realistiche cui tiene fermo Kant, si do-  vrebbe arrivare alla stessa conclusione che il    (1) Svolgeremo tale argomento particolare più innanzi trat-  tando della III dimensione dello spazio. (Capitolo IV di questo  libro).    Y    Cap. III. -"Il valore del giudizio matematico 113    valore del giudizio matematico (come abbiamo  già accennato nel cap. II) non può andare al di  là della realtà sensibile, in quanto basato su  quelle che sono appunto le forme indispensabili  della conoscenza sensibile — tempo e spazio —  ma che soltanto limitatamente ad essa hanno ra-  gione di essere. Evidentemente qualunque verità  assoluta o che tende all’assoluto non può che  prescindere da tutto quanto può avere attinenza  col senso e quindi essere del tutto indipendente  dal tempo e dallo spazio, risultato che può essere  conseguito soltanto basandosi: sulla pura forma  della razionalità: la logica.   Perciò ove potessi ammettere incondizionata-  mente la validità dei giudizii sintetici «a priori »,  verrei alla conclusione che la matematica corri-  sponde in certo qual modo nella conoscenza sen-  sibile a quello che è la logica nella conoscenza  razionale: il tempo e lo spazio, che sono partico-  larmente proprii della aritmetica e della geometria,  hanno nella conoscenza sensibile la stessa funzione  che hanno nella conoscenza razionale la contrad-  dizione e l’ identità (1), che sono particolarmente  proprie della logica.   La relazione non deve naturalmente esser presa  alla lettera in quanto da quello che precede ab-  biamo veduto (2) che la logica influenza ogni  disciplina e segnatamente la matematica, e che  questa ci dà nuove nozioni, cosa che la logica  non può mai fare; ma la relazione stessa può a  grandi linee essere posta come sopra in modo    (1) Cfr. Cap. I alla fine del 8 2, pag. 23.  (2) Cap. II, pag. 91.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 8.    114 La posizione gnoseologica della matematica    quasi proporzionale, e cioè: la matematica sta  | alla conoscenza sensibile come la logica sta alla  conoscenza razionale.    $ 12. Concezione intermedia del valore del  giudizio matematico. — Tutto ciò però accettando  incondizionatamente i principii sintetici «a priori»  della matematica come fossero parte essenziale,  insita nel nostro intelletto; come essi fossero tutti  e del tutto estranei a qualunque supposizione  provvisoria.   Ora, a tale proposito mi sembra che la via  mediana possa considerarsi quella più rispondente  alla verità.   Escludendo, come abbiamo accennato e come  svolgeremo meglio nel cap. IV, quello che molti  vorrebbero (Helmholtz), e cioè che la metageo-  metria abbia senz’altro annullato il valore della  dottrina kantiana sull’ argomento, non ci pare  possa senz'altro concludersi che la dottrina kan-  tiana esca intatta dall’arduo cimento, per lo meno  per quanto riguarda i particolari. In ogni modo,  indipendentemente dalla metageometria e senza  per nulla diminuire l’ importanza dei principii  matematici, noi abbiamo già veduto come Leibniz  considerasse implicitamente ipotetica la posizione  di detti principii: come anzi plaudesse a tale me-  todo come all’unico che partendo da poche pre-  messe, non certo in contraddizione con la nostra  ragione anche se non del tutto innate in essa, sia  arrivato a quelle mirabili ed efficacissime costru-  zioni che tutti sanno: qualunque possa essere la  nostra opinione sulla matematica dal punto di  vista gnoseologico, noi la consideriamo sempre  — per dirla col Paulsen, che così interpreta il    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 116    pensiero kantiano — « la più sicura e meno oscil-  lante delle scienze » (1).   La metageometria ha portato cioè per il filosofo  una rivoluzione molto meno profonda di quello  che possa sembrare a prima vista. Ora è precisa-  mente da un punto di vista essenzialmente filo-  sofico che mi pare si potrebbe arrivare a conclu-  dere che se è vera l’apriorità del principio e  l’ intuizionismo del procedimento matematico, è  soltanto parzialmente vero che i suoi assiomi  siano già in noi quasi quali principii innati. È  cioè necessario distinguere in tali assiomi: alcuni  sono effettivamente insindacabili, generali e di  essi noi non possiamo nemmeno concepire il con-  trario, ed essi sarebbero sempre, indipendentemente  dall’ambiente e dalle circostanze. Su tali principii,  evidentemente non proprii soltanto dell’apriorità  inatematica, questa scienza ha avuto pur sempre  il merito — e Kant di porlo in rilievo — di ap-  poggiarsi in modo più rigoroso che qualunque  altra. Per questa ragione la matematica non può  essere posta in dubbio da alcuno e per tale ra-  gione mi è sembrato. possibile considerarla come  la più alta espressione della conoscenza sensibile.   Ma è bene specificare che cosa s’ intenda per  evidenza. Per evidente mi sembra non si debba  poter intendere altro che una proposizione il cui  contrario è inconcepibile, non già nel senso che  il Richard (2) vuole attribuire al significato di    (1) F. PauLSEN, Kant (tr. it.), pag. 131.   (2) Op. cit., pag. 91-92. Lo stesso inconveniente trovasi in  CoururaT, Les principes des mathématiques (in Revue de  Math., 1904, pag. 24). Anche per il Couturat la parola «a evi-  dente » ha un campo d'azione puramente soggettivo e psicolo-    116 La posizione gnoseologica della matematica    tale parola in Descartes, in quanto per evidente  non mi sembra affatto possa intendersi mai qualche  cosa di subbiettivo e che si possa comunque inter-  pretare che Descartes in tal modo l’intenda: un  tale non può convincermi che per lui è eviden-  tissimo che A + B sia minore di A. Vi è quindi  un’ evidenza perfettamente obbiettiva anche nei  principii fondamentali. È cioè per tutti noi incon-  cepibile che A + B sia minore di 4; ma anche  qui dobbiamo andare guardinghi. Non dobbiamo  cioè non distinguere, come ci fa osservare il  Masci (1), l’inconcepibilità con « altri stadi men-  tali che potrebbero confondersi con essa, cioè  con l’incredibilità e con l’impossibilità di rap-  | presentarsi una qualche cosa ». L’inconcepibile  è — mi si passi la parola — più che l’incredi-  bile che è soltanto « ciò che è contrario all’espe-  rienza e alle sue leggi ». Così per ripetere l’esempio  del Masci, noi non potremmo oggi credere « che  un. proiettile dall’ Inghilterra vada a cadere in  Giappone » ma la cosa non è affatto inconcepibile.  Aggiungerò per conto mio che da un punto di  vista gnoseologico l’inconcepibilità è assoluta,  mentre l’incredibilità è relativa.    gico e perciò estraneo alla logica. Questa è nel Couturat una  semplice allusione buttata là senza importanza, quasi come ve-  rità ormai fuori discussione ; essa eserciterà invece un’influenza  non trascurabile sul successivo svolgersi dei suoi Principes in  quanto l’evidenza del principio «a priori» — evidenza consi-  derata obbiettivamente — non potrà essergli certo di ostacolo  nel venire a considerare, più o meno esplicitamente, come con-  venzionali quei principii fondamentali della matematica, posti  come indimostrabili, e dai quali dovranno dedursi le altre verità  di tale scienza.   (4) F. Masci, Pensiero e Conoscenza, pag. 83 (Torino, 1922).    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 117    Meno interessante è per il nostro particolare  punto di vista la distinzione fra inconcepibilità e  impossibilità di rappresentare per la quale riman-  diamo il lettore all’opera citata (pag. 33).   Chiarito così il significato della parola inconce-  pibilità ci sarà facile comprendere come l’evidenza  in genere può essere effetto di una dimostrazione e  sarà allora la rigorosa deduzione da una verità  nota di una nuova verità: di tale evidenza non  è questione trattando dei principii fondamentali  « a priori »; oppure potrà essere un’evidenza im-  plicita in una proposizione nel suo stesso enun-  ciarsi ed allora dovrà avere la stessa obbiettività  e la stessa universalità di qualunque proposi-  zione dimostrata. Sono questi gli assiomi propria-  mente detti.   Ma vi sono però altri principii posti come indi-  mostrabili dalla matematica, che non sono insiti  di per se stessi nel nostro intelletto, che non  sono incondizionatamente veri, ma che la mate-  matica ha soltanto ipostasizzato per potere effica-  cemente proseguire. (Questi principii sono stati  dalla matematica stessa soltanto provvisoriamente  posti come indimostrabili, e prova ne sia che in  tutti i tempi si possono riscontrare nobili fatiche  di matematici — sforzi coronati di frequente da  felice risultato — tendenti a dimostrare precedenti  proposizioni assunte come evidenti. Lo stesso po-  stulato famoso di Euclide: « per un punto sì può  far passare una parallela a una retta data e una  soltanto », è stato oggetto di queste indagini, e  malgrado l’ insuccesso di questi tentativi, in questo  caso particolare, è pur sempre degno di nota come  il bisogno del nostro pensiero di una sempre mag-  giore sicurezza conoscitiva si sia spinto fino al    118 La posizione gnoseologica della matematica    presupposto tipico della massima parte delle pro-  posizioni della nostra geometria. È nota la pole-  mica intorno a questo postulato (il quinto) (1) di  Euclide.    (4) Figura in alcune opere come l’XI assioma. Come tale è  considerato ad es. dal Masci, Pensiero e Conoscenza (Torino,  1922) a pag. 184. È però ora ritenuto ‘dalla totalità dei  matematici come il V postulato. La precisa formulazione di  questo postulato non è quella sopra enunciata, ma bensì quella  scritta alla fine di questa nota. L’identificazione del V postu-  lato come fu enunciato da Euclide con quello sopra citato (detto  propriamente postulato « delle parallele ») risulta evidente met-  tendo in relazione il V postulato propriamente detto, con la  definizione di rette parallele (33 degli Elementi).   Interessante è ciò che dice lo ZEUTHEN: Histoire des Mathé-  matiques dans l’antiquité et le moyen age (tr. fr., Paris,  1902), pag. 98: «Les constructions qui doivent servir à com-  poser toutes les autres, d’aprés ces postulats (quelli di Euclide)  sont celles qui on exécute pratiquement avec la règle et le  compas, mais on se tromperait cependant si l’on voulait envi-  sager les postulats à cet unique point de vue: entre autres  faits, les deux derniers postulats ne seraient point alors à leur  vraie place, et c’est la raison méme, qui, de très bonne heure  déjà, fit commettre à des èditeurs la faute qui consiste d ranger  ces postulats parmi les arxiomes 1.   Per meglio intenderci su questo punto e su altri che even-  tualmente potessero in seguito presentarsi al nostro esame, ri-  cordo qui gli assiomi e i postulati di Euclide (I libro) secondo  la classica edizione curata da Heiberg: Euclidis opera omnia,  (J. L. Heiberg, Leipzig, 1883-1905).   Assiomi: I. Le grandezze uguali ad una stessa grandezza  sono uguali fra loro; II. Se a grandezze uguali si aggiungono  grandezze uguali, si hanno risultati uguali; III. Se da grandezze  uguali si sottraggono grandezze uguali si hanno risultati uguali;  IV. Il tutto è maggiore di una sua parte; V. Le grandezze che  coincidono sono uguali.   Postulati: I. Fra due punti si può sempre tirare una retta;  II. Un segmento di retta si può prolungare all'infinito tanto  dall’una quanto dall’altra parte; III. Si può sempre descrivere  una circonferenza che passi per un punto dato e avente per    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 119    È desso la colonna della geometria euclidea (per  lo meno dopo il 29° teorema), ma ne è anche  il suo tallone d’Achille. Proclo ci riferisce degli  sforzi fatti dagli antichi per la dimostrazione di  esso: egli medesimo ce ne dà un saggio perso-  nale giudicato d’altronde dai competenti come  molto modesto. Lo stesso dicasi degli Arabi. Indi-  pendentemente da ogni altra considerazione, è  certo quanto mai significativo il fatto che mai  come intorno al postulato delle parallele si siano  sbizzarriti i più significativi ingegni matematici  di tutti i tempi e che soltanto ai giorni nostri  può considerarsi chiusa la polemica intorno alla  sua dimostrabilità per le recenti affermazioni della  metageometria e per gl’infruttuosi tentativi di  dimostrazioni del Gauss (1811) (1) influenzati alla  loro volta dalle diligenti indagini che quasi un  secolo prima erano state portate a rinnovato lustro  — furono in ogni tempo fatti tentativi al riguardo —  nelle fatiche di Legendre, di Wallis e di Sac-  cheri (2).    centro un punto dato; IV. Tutti gli angoli retti sono uguali fra  loro; V. Se una linea retta, che ne taglia altre due, forma  dallo stesso lato degli angoli interni la cui somma sia minore  di due retti, le due ultime linee citate si taglieranno sui loro  prolungamenti dalla parte nella quale la somma degli angoli è  inferiore a due retti.   (1) G. B. HaLsTED, Gauss and the non euclidean geometry  (in Science, 1900).   (2) La bibliografia sul V postulato basterebbe da sola a riem-  pire un volume: accenno soltanto a qualcuna nel caso il lettore  voglia approfondire questo argomento particolare : I.H. LAMBERT,  Theorie der Parallellinien (in Magaz. f. d. reine u. angew..  Math.), Leipzig, 1786; ENGEL UND STAECKEL, Theorie der Pa-  rallellinien von Euclid his auf Gauss; D. HILBERT, Grund-  lagen der Geometrie (III ed., Leipzig, 1909); LORIA, Il pas-    120 La posizione gnoseologioa della matematica    Per quanto riguarda specificatamente quest’ul-  timo, l’importanza della sua opera di studioso in  merito al postulato delle parallele non potrebbe  essere esagerata. In tali tentativi di dimostrazione  Young, Vailati, Segre, Enriques vedono nettamente  i segni precursori della metageometria moderna.  Lo Young non pecca al riguardo di una soverchia  precisione cronologica, in quanto l’avere lo scritto  più importante del Saccheri veduto la luce il 1733  (l’anno stesso della morte del ‘suo A.) non può  evidentemente significare che il gesuita italiano  ebbe a svolgere la sua attività di studioso intorno  al 1733: a meno che proprio soltanto gli ultimi  mesi di sua vita il nostro matematico si sia messo  a lavorare; ma di tale particolare non parla, ch’ io  sappia, alcuna cronaca del tempo, nè alcuno studio  di poi. Fatto sta ed è che un’altra operetta del Sac-  cheri fu pubblicata a Torino nel 1697 con il titolo  di « Logica demonstrativa » (1).   Più importante ad ogni modo per noi e, credo,  per tutti, è il suo « Euclides ab omni naevo vin-  dicatus » (2). In questo libro il tentativo di dimo-    sato e il presente delle principali teorie geometriche ; R. Bo-  NOLA, La geometria non euclidea, Esposizione storico-critica  del suo sviluppo (Bologna, 1906); RicHaRD, Sur la philosophie  des mathématiques (Chap. III); L. Roucier, La philosophie  géom. de H. Poincaré (Chap. II, II); ZEUTHEN, Hist. d. mante:  matiques (tr. fr.), pag. 110-114.   (1) Una copia di tale edizione esiste tuttora — ci rende noto  I’ Enriques — nella Biblioteca Vittorio Emanuele in Roma. No-  tizie particolari su la Zogica demonstrativa potrai trovare in  un articolo del Vailati (in Rivista di filosofia, 1903, n. 4), ri-  stampata in Scritti, pag. 477 segg.   (2) Tradotto in italiano dal Boccardini con il titolo di: Euclide  emendato (Milano, Hoepli, 1904). Il titolo preciso e completo  dell’opera originaria è : Euclides ab omni naevo vindicatus:    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 191    strazione del V postulato è, per la prima volta,  fatto con quel procedimento — d’altra parte già  adottato dallo stesso Saccheri nella sua « Logica»  — della reductio ad absurdum. Ricordiamo tutti  in che cosa consista: porre in luce che il non  ammettere la proposizione che si deve dimostrare  vera, ci porterebbe ad una contraddizione con una  proposizione precedentemente riconosciuta vera.  È un procedimento come si vede che si riconnette  con il principio di contraddizione e perciò incon-  dizionatamente accettato dai matematici di tutti  i tempi (una traccia di esso troviamo già in Eu-  ‘ clide, IX, 12) e perciò molto spesso adottato dai  filosofi — Socrate ne usava volentieri — ma che,  malgrado tutti i suoi pregi indiscutibili e la sua  azione sicura nel mettere l’ipotetico avversario  con le spalle al muro, lascia nel logico che lo  adopera un senso di relativa soddisfazione. Pro-  cedimento ricco di risultati d'altronde : attenendosi  ad esso il Lobatchefski arrivò alle sue meravi-  gliose costruzioni di geometria non euclidea (1).   È d’altronde risaputo che sempre si sentì il  bisogno di marcare la differenza fra assiomi e po-  stulati: Euclide stesso con il darcene due elenchi  nettamente distinti e separati. Le differenze di  tale distinzione dipendono soltanto dalla diversità  ‘ del punto di vista sotto il quale i principii mede-  simi vengono considerati.    sive conatus geomeiricus quo stabiliantur prima ipsa uni-  versae geometriae principia (Milano, 1733).   (1) N. S. LOBATCHEFSKI, Pangéomeétrie ou Théorie générale  des paralleéles, suivie des opinions de D° Alembert sur le méme  sujet et d’une discussion sur la ligne droite entre Fourier et  Monge (Paris, Gauthier-Villars). Cfr. pure F. EngEL, U. I. Lo-  bachefsky: Zwei geometriche Abhandlungen (Leipzig, 1898).    129 La posizione gnoseologica della matematica    Fra tali caratteri differenziali il più semplice e  il più convincente per noi, per quanto non bene  accetto in generale ai matematici in causa della  sua non precisa determinazione tecnica, è quello  dell’evidenza, maggiore negli assiomi che nei po-  stulati. Si è già accennato come invece l’evidenza  può essere un criterio di per se stesso sufficien-  temente rigoroso. Sotto tale aspetto troviamo già  in Proclo una distinzione fra gli assiomi e i po-  stulati; ma su di essa nori possiamo basarci perchè  altre distinzioni seguono nello stesso storico ma-  tematico per la classificazione dei principii fonda-  mentali in assiomi e postulati. Chi voglia su questo  punto maggiori schiarimenti può consultare l’espo-  sizione del Vailati al III Congresso internazionale  di matematica (Heidelberg, 1904) (1).   Io mi fermo al criterio di maggiore o minore  evidenza perchè esso mi sembra il più rispondente  al nostro punto di vista. Considerando l’evidenza  secondo fu sopra esposto, non possono nascere  equivoci intorno alla sua interpretazione: l’incon-  cepibilità del contrario e il carattere assoluto di  essa è proprio degli assiomi; l’incredibilità del  contrario e il carattere relativo di essa è proprio  dei postulati.    (1) Oppure in Scritti, pag. 547-552 (CXXII. — Intorno al  significato della differenza fra gli assiomi e î postulati nella  geometria greca). Cfr. inoltre: ZEUTHEN, Historie des mathe-  matiques (tr. fr., pag. 92-114); ENRIQUES, Per la storia della  logica(pag.19-30); Loria, Le scienze esatte nell'antica Grecia  (Milano, Hoepli); Guida allo studio d. storia d. mat. (Milano,  1916); CANTON, Geschichte der mathematik, I (Leipzig, 1880);  Simon, Geschichte der mathem. im altertum (Berlin, 1909) ;  MILHAUD, Les philosophes géométres de la Greéce (Paris, 1900);  HouEeLr, Essai critique sur les principes fondamentaux de la  géometrie (Paris, I ed., 1867).    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 193    Appunto il carattere relativo e condizionato di  questi ultimi può permetterci dei dubbii sulla loro  apriorità (in senso kantiano) e spiega quella con-  venzionalità parziale che noi troveremo in essi e  in certo qual modo potrà giustificare quella con-  venzionalità totale che non pochi matematici mo- .  derni — e non certo fra i meno illustri — crede-  ranno di potere incondizionatamente affermare nei  principii fondamentali della matematica.   Come si vede la mia tesi di una parziale con-  . venzionalità di alcuni principii fondamentali è  quanto mai limitata. Essa differisce profondamente  da quella di Locke, al quale a ragione il Leibniz  rimprovera di supporre che gli assiomi stessi siano  stati ammessi così, quasi senz’alcun fondamento,  quasi «gratuitamente ». Certo anche quei principii  che abbiamo considerato come effettivamente in-  nati, non si sono presentati al nostro spirito  originariamente nella loro precisa formulazione  scientifica; ma ciò non toglie nulla alla loro chia-  rezza: è anzi sommamente lodevole che alla pre-  cisa espressione loro si sia addivenuti. Soltanto,  l’obbiezione di Filalete a Teofilo (« Non è forse  dannoso autorizzare supposizioni sotto il pretesto  di assiomi? ») (1) mantiene, malgrado la risposta  di Teofilo, la sua ragione di essere. Una parte di  tali principii conserva la sua ipostasizzazione con-  venzionale, la quale non puf, essere giustificata,  come fa in fondo Leibniz*- «non ricorrendo al  suo carattere utilitario prov $° * ;g: nè i matema-  tici moderni si comportano ‘15° ssrmente.   Per precisare meglio in b®‘& quanto sopra:  fanno parte della prima categéria di tali proposi-    (1) LeIBNIZ, Nouv. Ess., IV, cap. 12.    124 È. La posizione gnoseologica della matematica    zioni (cioè principii spogli di qualunque carattere  ipotetico) verità come queste:    A= A  ra  a <A    e così via. Verità che, come si vede, sono tali da  ricordarci la frase di Platone nel Teeteto: « nem-  meno in sogno hai osato sussurrare a te stesso  che il dispari è pari », e quanto Pascal ebbe a  dirci consigliandoci « di non accingerci nemmeno  a tentare di dimostrare alcuna cosa che sia tal-  mente evidente per. se stessa che nulla vi sia di  più chiaro per poterla dimostrare e provare ».   Fanno parte della seconda categoria (in cui è  insito cioè un carattere ipotetico) alcuni di quei  principii che sono proprii particolarmente della  geometria, come ad esempio:   « Per due punti dello spazio può sempre pas-  sare una retta data e una soltanto »;   « La retta è il più breve spazio fra 2 punti » ;  principio questo ad es. che pare già lo stesso  Archimede non considerasse altro che un’assun-  zione, un’ammissione (\apBavépeva) (1).   Kant stesso si accorse che una differenza fonda-  mentale esisteva fra le due categorie di giudizii  da noi citati. Soltanto, preoccupato di vedere ogni    (4) Archimedis opera smnia cum commentariis Eutocii.  Ed. Heiberg, 19410, Lipsia. (Cfr. in ENRIQUES, Per la storia della  logica, pag. 25, 26). L’egizione inglese sul testo di Heiberg fu  curata da T. L. HEAT, Th thirteen books of Euclid's Elements,  translated from the text of Heiberg with Introduction and  Commentary (3 vols., Cambridge, 1908). Vedi pure a cura  dello stesso Heat: The Works of Archimedis (Cambridge, 1897).    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 195    differenza fondamentale dei giudizii in genere nel  loro carattere sintetico o analitico, venne senz'altro  a fissare la differente natura fra le due categorie  di giudizii da noi accennati, all’essere quelli della .  prima categoria (4= A ecc.) « analitici », venendo  così ad escludere precisamente quei principii che  pur non essendo proprii soltanto della matematica,  ad essi portano indubbiamente grande vantaggio  per quanto ha attinenza alla incondizionata obbiet-  tività dei suoi assiomi. Giudizii simili a quelli da  noi posti nella prima categoria apparterrebbero  infatti, secondo Kant, a quel « piccolo numero di  giudizii supposti dai geometri » che sono contra-  riamente ai noti esempii da lui precedentemente  esaminati, « realmente analitici ed hanno la loro  base sul principio di contraddizione » (1).    $ 13. L’essere e il dover essere della mate-  matica. — Non è qui il caso di discutere l’oppor-  tunità o meno del criterio generale cui Kant si è  attenuto nella divisione dei giudizii in sintetici  ed analitici. Innanzi tutto le nostre considerazioni  in merito non potrebbero che molto indirettamente  aver relazione con quanto andiamo trattando: in  secondo luogo confesso di non essere mai riuscito    (1) Kr. r. Ver. (tr. fr.), Introduzione. Cfr. pure Prolego-  meni (tr. it.), $ 2, nonchè i $$ 36-37 della Logik (Jasche ed.).  Senza alcun riferimento al significato delle parole analitico e  sintetico nella dottrina kantiana, ma interessanti nei riguardi  del carattere analitico o sintetico del giudizio matematico sono  _ 4 due studii seguenti: GERGONNE, De l’analyse et’ de la syn-  thèse dans les sciences mathématiques in Annales des mathé-  matiques, VII, pag. 345 segg.; P. BouTRoux, En quel sens la  recerche scientifique est-elle une analyse ? negli Atti del Con-  gresso di Filosofia di Bologna nel 1911, nonchè cenni nel fa-  moso libro dello ZEUTHEN, Hist. des math. (tr. fr.), pag. 93.    126 La posizione gnoseologica della matematica    a comprendere l’ importanza delle polemiche sol-  levate al riguardo, dato che, in ultima analisi,  qualunque giudizio presuppone pur sempre una  sintesi. |  Possiamo tuttavia con il Franchi osservare come  il primo di questi giudizii che abbiamo creduto di  far rientrare in una prima categoria (A = 4), che  Kant pretende di poter ritenere senz'altro come  analitico, non lo sia affatto, ma sia invece puro  e semplice giudizio d’identità. « Or come mai  c'entra qui l’analisi? » — si domanda il Franchi (1)  — il quale poco appresso conclude: « Quel prin-  cipio è adunque un giudizio identico e non ana-  litico. Nè piglia valore comparativo dalla nozione  di eguaglianza che v’è inclusa, poichè quell’eguale  significa propriamente identico; l’identità assoluta  come relazione proveniente dalla sola replica di  uno stesso concetto, non ha a che fare con la:  relazione che costituisce un giudizio comparativo  e che consiste nel paragonare il grado di conve-  nienza di una proprietà medesima a più subietti,  o di più’ proprietà a un medesimo subietto ».  Nè in modo molto diverso potremmo ragionare  per quanto riguarda il secondo principio esem-  plificativo di questa stessa categoria di giudizii    7 < A, oppure per prendere proprio quello scelto    da Kant: (4'+ B)> A (2). Qui la comparazione    (1) A. FRANCHI, La teorica del giudizio, v. I, lettera VII,  pag. 41 segg. (1870). °   (2) In questo caso l’obbiezione del Couturat, essere tale prin-  cipio vero soltanto nei riguardi dei numeri finiti, ma errato,  come ebbe a dimostrare il Whithehead, per i numeri cardinali  infiniti non ha alcuna ragione di essere, trattandosi qui di un    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 127    indubbiamente esiste, ma non potremmo conclu-  dere però se il giudizio, anche scrupolosamente  attenendoci al criterio kantiano, sia più analitico  che sintetico o viceversa.   E basti questa osservazione incidentale sul ca-  rattere analitico o non di un tale determinato giu-  dizio. A noi importa però mettere in particolare  rilievo come la prima categoria di tali giudizii, che —  abbiamo considerati come effettivamente innati e in-  condizionatamente evidenti, non siano però proprii  esclusivamente della geometria, ma bensì di ogni  nostra attività intellettiva. Essi possono tutto al  più, aggiungiamo noi, avere una più rigorosa  espressione e una più vasta applicazione nella ma-  tematica che in qualsiasi altra scienza particolare,  in quanto appunto essa deve considerarsi come la  scienza omogeneamente costituita ed organica che  abbia la sua sfera d’azione in un campo non em-  pirico, e perciò, come si è veduto, più vicina alla  logica. A tale conclusione ha potuto logicamente  arrivare soltanto l’idealismo, ma ciò è stato, im-  plicitamente od esplicitamente, riconosciuto anche    principio generale, non già applicato specificatamente alla ma-  tematica. Come d’altronde fa anche Kant, che in fondo avrebbe  potuto cavarsela con onore anche senza la benevolenza del Cou-  turat (in Revue de métaphysique, 1904: La philosophie des  mathématiques de Kant, pag. 346), secondo il quale: « on ne  peut reprocher à Kant d’avoir ignoré ces vérités, si élémen-  taires -qu’elles soient aujourd’hui ». Infatti nessun significato  ‘ può avere la constatazione del Whithehead e l’osservazione del  Couturat se non condizionatamente al ristretto campo, dirò,  tecnico della matematica. Il numero cardinale infinito non può  essere in alcun modo afferrabile non soltanto dalla sensibilità  umana, ma nemmeno dal pensiero puro: esso non è che una  artificiosa creazione non altrimenti identificabile che per neces-  sità di calcolo esclusivamente matematico,    188 La posizione gnoseologica della matematica    dal pensiero positivico. Il Comte in fondo deve  ciò ammettere implicitamente, per essere coerente  con la sua convinzione essere la matematica « la  scienza più antica e più perfetta » (1). Anzi il suo  entusiasmo per la matematica è andato tanto oltre  che, per mantenersi, almeno apparentemente, fe-  dele al suo principio positivistico e non intaccare  la validità delle proposizioni matematiche, ha tro-  vato opportuno introdurre in tale disciplina una  divisione in matematica « concreta » (avente carat-  tere sperimentale, fisico) e matematica « astratta »  (di natura essenzialmente logica). Quanto si è detto  fino ad ora ci dispensa dal mostrare come tale di-  stinzione sia del tutto personale e arbitraria e  quanto tutte e due le affermazioni, anche prese a  sè stanti, siano secondo noi fondamentalmente er-  rate, in quanto appunto si è sostenuto non essere  mai la matematica nè direttamente sperimentale,  nè puramente logica.   . Ho creduto opportuno di riportare tali osserva-  zioni del Comte in quanto esse mostrano pur sempre  come in qualunque indirizzo del pensiero filosofico  si sia veduta la necessità di considerare la mate-  matica pura come la scienza più vicina alla lo-  gica. Naturalmente questa affermazione deve es-  sere presa con quella prudenza cui ci dà diritto  di aspirare quanto siamo andati svolgendo nel  cap. II sul carattere prevalentemente intuitivo del  procedimento matematico ; ma l’affermazione stessa  ci allontana alquanto da Kant dato che non pos-  siamo accettare la distinzione ch’egli viene impli-  citamente ad ammettere intorno al valore di questi  giudizii che egli chiama « analitici » per quello che    (1) Philosophie positive, 1, cap. III.    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 129    riguarda la matematica. Kant cioè dicendoci che  queste verità (A = A4ecc.) non servono « come  proposizioni identiche che alla concatenazione del  metodo e non rivestono la funzione di veri prin-  cipii » (1) viene a introdurre una specie di distin-  zione fra quel che possono essere i principii « a  priori » della matematica e quelli della logica, di-  stinzione che soltanto rispetto alla concezione idea-  | listica di una realtà superiore possiamo accettare,  ma ciò non è nella distinzione kantiana. Inoltre  la distinzione medesima, dato il fondamento sin-  .tetico « a priori » di ogni scienza, verrebbe ad  allontanare da una base logica ogni scienza; mentre  i principii fondamentali di qualunque attività del  pensiero non possono effettivamente essere vagliati,  se non basandosi esclusivamente su quel criterio  logico che è comune a tutte le scienze.   Che poi la categoria di giudizii che stiamo esa-  ‘minando e che abbiamo affermato essere la sola  effettivamente assiomatica, in quanto la sola na-  turalmente ed incondizionatamente evidente, non  sia propria soltanto della geometria, come invece  l’altro principio citato per cui per un punto non  può passare che una sola parallela a una retta  data, questo non significa affatto che quei principii  assiomatici. non possono essere considerati come  principii « a priori » non soltanto anche, ma pre-  valentemente della geometria per la posizione par-  ticolare di questa e dell’aritmetica di fronte al  sapere (2). Se i principii medesimi sono poi appli-  cabili anche alle altre scienze, ciò dipende dal fatto  molto naturale che principii effettivamente innati    (1) Critica, ed. cit., pag. 48.  (2) V. cap. I.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 9.    130 La posizione gnoseologica della matematica    non possono essere esclusivamente proprii di questa  o quella disciplina particolare, ma esse li possono  tutto al più considerare e su di essi appoggiarsi  a seconda del proprio punto di vista. Mi sembra  in ogni modo fuori di discussione che i principii  medesimi trovino il loro naturale svolgimento  proprio in quella scienza geometrica dalla quale  Kant vorrebbe bandirli.   Questa tendenza a voler troppo specificare, esem-  plificando dei principii generalissimi come quelli  « a priori » — tendenza pertanto in contrasto con  il significato più profondo della teoria dell’ « a  priori » — ha potuto dar luogo facilmente ad er-  rate interpretazioni.   Povero Kant! Il suo « metodo analitico » con  tanta fiducia adottato nei « Prolegomeni » in con-  trasto con quello « sintetico » che si era rivelato  troppo oscuro per la comprensione della « Critica »  nei suoi primi interpreti, non è stato così ricco di  risultati presso la gran parte dei lettori, come  Kant sì riprometteva. Ci dice Kant, ricordiamo-  celo, che poichè il metodo applicato nella « Cri-  tica » aveva potuto dar luogo ad equivoci inter-  pretativi nel senso che sbalzava di colpo il lettore  nel mondo dell’ indeterminatezza metafisica, egli  intende svolgere nella chiarificazione riassuntiva  nella sua opera fondamentale — e cioè nei « Pro-  legomeni » — il metodo inverso, ossia di portare  gradatamente il lettore al problema della metafisica  affrontando prima quello delle scienze particolari,  le quali, in quanto più organiche, già costituite,  già scientificamente ammesse e riconosciute, po-  tevano facilitare il compito, se non dell’autore,  almeno del lettore. Fra tutte le scienze la mate-  matica e la fisica erano le più rispondenti allo    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 131    scopo, la prima per la sua evidenza, la seconda  per la facilità del controllo sperimentale: nul-  l’altro. |   Vana speranza ! Si è tanto bene compresa questa  intenzione che si è voluto fare della I e II parte  del problema trascendentale, un trattato di filosofia  delle scienze. Si è arrivati a vedere in quella che  è un’indagine puramente gnoseologica per arrivare  alla metafisica in senso stretto — procedimento  pertanto indispensabile — una ricerca particolare  chiusa nell’orizzonte limitato della matematica e  della fisica. E naturalmente e matematici e fisici  non si sono lì dentro riconosciuti! Se Kant avesse  presentato in un ipotetico congresso filosofico dei  suoi tempi, un’eventuale « comunicazione » sugli  argomenti trattati nelle prime due parti dei « Pro-  legomeni », essa sarebbe stata rubricata da questi  eccellenti interpreti nella « sezione » di filosofia  delle scienze, non già della teoria della cono-  scenza ! |   Tanto per darne un esempio ricordiamo che  nella dottrina dei concetti intellettivi la categoria  della sostanza trova la sua espressione nel prin-  cipio fisiologico della «permanenza della sostanza».  Ciò ha potuto dar luogo ad osservazioni come  ‘questa: che il principio medesimo, ben lungi di  essere « a priori » è stato trovato da Lavoisier a  mezzo di successive esperienze. Ma questo, ben  lungi dall’essere in contrasto con la teoria kan-  tiana dell’intelletto, ne è la conferma! Lavoisier  ha trovato l’applicabilità del principio nell’espe-  rienza, ma l’essenza del concetto sostanza era già,  era «a priori », era nell’intelletto. Chissà che ciò  ‘ non sarebbe stato osservato se Kant non l’avesse  fatto figurare, a maggior comprensione e volga-    132 La posizione gnoseologica della matematica    rizzazione dell’analitica trascendentale della « Gri-  tica », nel problema della faca pura nei « Pro-  legomeni »?.   E non si disse forse, e si scrive, che l’esempio  — certo non bene scelto — di « alcuni corpi sono  pesanti » come proposizione sintetica era da Kant  stato fondato perchè egli, ammettendo, appunto in  quanto giudizio sintetico, che il predicato « pe-  sante » non era già implicito nel soggetto corpo  — intendeva alludere all’aria nulla sapenda della  scoperta di Torricelli ?.....   Ciò non pertanto è doveroso riconoscere che gli  esempii non sono nella dottrina kantiana sempre  opportuni. La stessa proposizione testè ricordata  ne è la conferma. Nello stesso modo l’esempio  citato nel $ 12 dei « Prolegomeni » a conferma  che l’ intuizione spaziale è «a priori », esempio  che ricorda la proposizione della geometria eu-  clidea per la quale non si possono tagliare nello  stesso punto ad angolo retto che tre sole rette e  che è su tale verità, fondata appunto sull’ intui-  zione pura «a priori», che possiamo basarci per  affermare che lo spazio perfetto non ha nè più nè  meno di tre dimensioni, avrebbe potuto essere so-  stituito più direttamente e con maggiore efficacia  dal postulato delle parallele. Così pure nel $ 38°  degli stessi « Prolegomeni » in quell’esempio delle  «due linee che taglino se stesse e ad un tempo il cir-  .colo in qualunque modo vengano tirate, si divi-  dono sempre secondo una regola tale che il rettan-  golo avente per lati i due segmenti è uguale (1)  al rettangolo avente per lati i segmenti dell’altro »,  Kant va a perdersi in argomentazioni che vengono    (1) Kant dice «uguale »; avrebbe dovuto dire « equivalente ».    | è  Cap. ITI. - Il valore del giudizio matematico 133    a complicare un teorema pertanto molto semplice  di geometria e che non sono necessarie per rispon-  dere al problema che fondamentalmente c’interessa  per sapere cioè se la « legge » — come la chiama  Kant — dell’uguaglianza del raggio è nel circolo  come figura a sè, indipendentemente dal pensiero,  oppure è il nostro intelletto che la impone ad esso.  E così altre osservazioni del genere si potrebbero  fare.   Sono queste indubbiamente meticolosità che non  nuocciono alla genialità del sistema, ma che ci pre-  sentano l’ inconveniente del particolarismo e of-  frono il fianco a facili critiche. Non nuocciono  alla genialità del complesso perchè non sono certo  degli esempii non bene scelti, che possono intac-  ‘care il compito essenziale della trattazione del-  l’analitica trascendentale nella « Critica » e della  fisica pura nei « Prolegomeni » consistente nel  porre in luce la funzione del concetto intellettivo  puro « a priori » nella formazione dell’esperienza,  come ho già dovuto altrove accennare..   Per questo possiamo notare che nessun fisico  riconoscerebbe della fisica nella materia trattata  da Kant sotto questo nome: è dessa metafisica  vera e propria, uno svolgimento perfettamente  conseguente con la trattazione della matematica  pura (estetica trascendentale); ma meglio com-  prenderemmo il complesso svolgersi di tutta la  teoria chiamando la prima (matematica pura) co-  noscenza intuîtiva, e la seconda (fisica pura) co-  noscenza intellettiva. E con ciò d’altra parte si  entrerebbe nel significato profondo del pensiero  kantiano se lo svolgimento di quello ch’egli chiama  il problema propriamente metafisico si denominasse  conoscenza razionale, adottando la distinzione fra    A  134 La posizione gnoseologica della mateniatica    intelletto e ragione come Rant l’intende ossia l’in-  telletto come attività informatrice della natura e  quindi l’elemento che solo può rendere possibile  la conoscenza della natura — l’esperienza —; la  ragione come attività puramente ideale (nel suo  preciso significato) che nulla può obbiettivamente  darci in quanto pretende di fare a meno dell’espe-  rienza, ripudiando così quell’elemento sensibile al  quale malgrado ogni nostro sforzo noi non pos-    ‘siamo fare a meno di ricorrere quando vogliamo    in certo qual modo rappresentare l’elemento che  è mèta della nostra indagine conoscitiva.   Il carattere metafisico della fisica pura come  Kant l’intende è d’altronde ammesso anche dal  più rigoroso idealismo trascendentale odierno di-  rettamente influenzato dal criticismo kantiano.  Così il Martinetti nel suo « Commento » ai « Pro-  legomeni » (pag. 215) scrive: «i giudizii della fisica  pura ($ 15) sono giudizii metafisici », nonchè (pa-  gina 219 ibid.): « la fisica pura sarebbe quindi la  metafisica immanente della natura esteriore, che  noi possiamo conoscere « a priori » in quanto pro-  cedono dalle forme pure dell’intelletto ».   Ho accennato anche ai principii della fisica pura  secondo Kant perchè essi, più di tutti gli altri, ci  possono mostrare come una dottrina profondissima  e sistematicamente svolta come quella dell’ « a  priori » possa portare a interpretazioni errate vo-  lendo in essa distinguere un « a priori » matematico  da un «a priori » fisico e così via ; ed è naturale  che sia così: l’apriorità è insita nella stessa natura  del nostro processo conoscitivo, del nostro pensiero  medesimo ; la suddivisione del sapere in tante  branche particolari non è effetto invece che di  una specializzazione recentissima dovuta a una    A.    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 135    maggiore comodità di orizzontarsi nel sempre più  vasto campo del sapere. In questo senso pos-  siamo considerare che la dottrina dell’apriorità  non può venire posta in dubbiò dalle precedenti  e dalle susseguenti nostre considerazioni e tanto  meno della metageometria ; resta intatto il gran  merito di Kant di averci dimostrato che qualunque  conoscenza, per essere universale e necessaria, ha  bisogno di un’azione immediata innata del nostro  | pensiero ; ma il merito stesso, non in senso asso-  luto, ma certo in-senso relativo (nel caso nostro,  della matematica, non ha potuto uscire intatto  in causa dell’esclusione o quasi dal campo geo-  metrico proprio di quei giudizii che alla geometria  dànno più valido appoggio per la sua obbiettività.   Concludendo, da quanto precede verrei ad affer-  mare questo : se i principii « a priori » della ma-  tematica fossero esclusivamente della prima ca-  tegoria    (a=a, 7 <a, ecc.),    si potrebbe senz'altro accettare la dottrina di Kant  anche nelle sue estreme conseguenze: basandosi  invece la matematica su altri principii particolari  tutti suoi proprii, e, ciò che più conta, principii  passibili di discussione per ammissione degli stessi  matematici, mi sembra si possa concludere che la  matematica tende a diventare quale Kant la con-  cepisce, ma che tale essa non sia ancora attual-  mente.   Cerchiamo di precisare meglio in che cosa con-  sista questo tendere della matematica a dare ai  suoi giudizii valore universale e necessario e a di-  venire, secondo il nostro modo di vedere, la più  ‘ alta espressione della conoscenza sensibile ; al di-    136 La posizione gnoseologica della matematica    venire cioè il numero l’elemento meglio adatto  nel conoscere il mondo della nostra sensibilità.  Siamo ben lontani evidentemente dall’assolutismo  di alcuni fisici moderni che si riconnettono agli  antichi pitagorici; ma se tale assolutismo non può  in alcun modo essere accettato in filosofia, è però  spiegabile in un fisico. Emilio Borel non si perita  di dichiarare che « spiegare il mondo non può  significare altro per lo scienziato che dare del  mondo una descrizione numericamente esatta ».  Ma egli stesso sente il bisogno d’immediatamente  Soggiungere che per soddisfare i più esigenti sa-  rebbe necessario che « tale descrizione numerica  abbracciasse così il futuro come il passato » (1),  vana aspirazione sempre, ma tanto più irraggiun-  gibile basandoci essenzialmente sul metodo mate-  matico. Quand’anche la metereologia potesse per  un qualsiasi giorno avvenire predirci esattamente  la pressione, la temperatura, ecc., il nostro pen-  siero si domanderebbe pur sempre come siamo  giunti a questo: il nostro pensiero dubiterebbe  pur sempre che nel magnifico risultato ottenuto  non sia da escludersi, sia pure forse in minima  parte, l’effetto favorevole del caso, e quando anche  il risultato favorevole si ottenesse non una, ma  mille volte, entrambe le obbiezioni resterebbero  nella loro intensità dubitativa.    $ 14. La funzione del postulato e il dover  essere della matematica. — La concezione di un  divenire della matematica, più specificatamente di  «un tendere di essa a diventare la più alta espres-    (1) Cfr. E. BoreL, L’espace et le temps, pag. 209 segg.  (Paris, 1922).    Cap. ILI. - Il valore del giudizio matematico 137    sione della realtà sensibile, non ci sembrerà affatto  arbitraria se noi cì rappresentiamo tale scienza  come intenta a una sempre maggiore purificazione  di se stessa. E anche tale rappresentazione non ha  nulla di arbitrario, in quanto, oltre all’essere questa  la naturale tendenza di ogni sapere che aspiri ad  essere rigorosamente scientifico, la possiamo nella  matematica precipuamente riscontrare nell’ammis-  sione degli stessi matematici della necessità di  ridurre a un minimo indispensabile i postulati fon-  damentali : bisogno quindi non soltanto intuito,  ma messo in pratica (1), sia col far derivare al-  cuni giudizii matematici, precedentemente giudicati  assiomatici, da altri postulati a mezzo di un pro-  cesso deduttivo-sostitutivo, come si è veduto nelle  prime pagine di questo capitolo; sia col ridurre i  postulati a teoremi, risolvendoli poi col processo  dimostrativo.   Ove a questa tendenza i matematici si fossero  strettamente attenuti, si avrebbe oggi una scienza  indubbiamente meno sviluppata di quella che ef-  fettivamente si abbia ; ma di questo tendere della  matematica a piegarsi in certo qual modo su se  stessa, lo possiamo oggi osservare nettamente nel-  l’opera dei più notevoli filosofi della matematica.  Secondo essi mèta del matamatico oggi non deve  essere l’ampliamento, dirò, di essa, non la «sco-  perta » di nuove proposizioni, ma un sobrio pe-  riodo di riflessione è per essa più profittevole che  quell’incessante avanzare che soltanto apparente-  mente può significare progresso. Se ben guardiamo,    (1) Degna di nota la constatazione storica de Boutroux : « Le  nombre des postulats indémontrables a été de plus en plus  restreint ». (L’Idéal sc. math., pag. 251).    138 La posizione gnoscologica della matematica    le stesse creazioni della metageometria rappresen-  tano più una fase di riflessione che di creazione.  È quanto avviene anche in discipline che nulla  hanno a che vedere con la matematica : non ve-  diamo forse in economia politica una forte ed ag-  guerrita corrente di sociologi arrestarsi perplessa  dinnanzi alla corsa dell'umanità verso una sempre  maggiore ricchezza e verso una sempre più sensi-  bile miseria? La miseria è diminuita sia.pure;  ma è diminuita soltanto se manteniamo inalterate  le esigenze dell’uomo : e perchè proprio ‘dai pro-  gressisti più convinti non si dovrebbe riconoscere  come del tutto naturale e giusto anche il progresso  nelle esigenze umane? Se noi facciamo progredire  di pari passo queste esigenze con l’aumento glo-  bale della ricchezza del mondo, ecco che ci spie-  gheremo senza troppa fatica come, malgrado tutti  gl’infiniti miglioramenti economici di cui si com-  piace con se stessa la civiltà contemporanea, la  massa è infinitamente più malcontenta oggi che  non un secolo, molti secoli fa: ecco così sorgere  quello che si potrebbe chiamare la fase critica,  di riflessione del problema economico, non più  dell'aumento della ricchezza, ma di quello ben più  complesso e più umano di un’equa distribuzione  di essa. Ecco prorompere il problema teoretico me-  desimo nell’azione pratica che può naturalmente  degenerare in manifestazioni brute e violente.  Per questo credo si possano notare dei segni  — precursori se volete, ma pur sempre non dubbii —  di un periodo di raccoglimento nell’attività intel-  lettiva dell’uomo: è una specie di sosta nella quale  sembra ci domandiamo: « ma è proprio questo folle  avanzare senza mèta, questo ‘‘ progresso ’’ cieco,  ciò che forma la rivelazione più alta della mia    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 139    umanità ? ». O non sarebbe piuttosto doveroso o,  se la parola vi spaventa o la trovate di sapore ar-  caico, più utile, che insieme ci si metta a rimirare  il cammino percorso e che serenamente esaminiamo  se tutto in tale cammino significa effettivamente  progresso; se tutte le tappe che abbiamo percorso  furono effettivamente fatte nella stessa direzione,  per la stessa via, o non ci siamo piuttosto smarriti  in sentieri trasversali dai quali sarà saggio ritor-  nare sulla strada maestra per poi riprendere di  nuovo il cammino fatti più avveduti dalla dolorosa  esperienza provata, più severi di fronte agli allet-  tamenti di un correre verso grandiose conquiste  che più si approfondiscono e più ci rivelano la loro  natura illusoria e, soggiungerebbe uno scettico,  derisoria ed ironica ?   Senza dubbio il procedere della matematica verso  orizzonti sempre più vasti è riguardoso e prudente,  e prova ne sia che quasi sempre i nuovi postulati  introdotti vengono poi in processo di tempo più o  meno lungo, riscontrati esatti; ma questo non basta  per determinarci a credere che la formulazione dei  nuovi postulati, che le necessità sempre maggiori  vanno creando, come quelli antichi presi come  punti di partenza agli albori di tale scienza, siano  del tutto simili con i nostri principii innati.   Il controllo ulteriore dell’esattezza dei postulati  medesimi prova come la convenzionalità del mondo  geometrico sia indubbiamente molto limitata e non  certo da potersi estendere agli estremi limiti cui  hanno creduto di poter arrivare alcuni entusiasti  della nuova metageometria, identificando appunto  la convenzionalità del mondo euclideo con quella  . totale del sistema metrico decimale. Ma non per  questo dobbiamo esagerare l’efficacia del controllo    140 La posizione gnoseologica della matematica    medesimo : non v’è affatto il bisogno di ammet-  tere un’origine insita nel nostro stesso intelletto  perchè dei principii possano essere considerati per  lo meno parzialmente ipotetici, anche se in seguito  vengono riscontrati esatti. È infatti del tutto natu-  rale che intelletti superiori dediti esclusivamente  agli studii matematici, con essi quasi immedesimati  (mi si passi l’espressione), abbiano quasi sempre,  o anche sempre, veduto giusto.   Ciò, lo abbiamo veduto, può riscontrarsi anche  nelle scienze empiriche ed abbiamo accennato a  scoperte di Galileo e di Newton, le quali hanno  la loro lontana origine in ipotesi, poi controllate  valide dal metodo sperimentale.   Ma in ogni modo non è già un errore il supporre,  più ancora, il ritenere indimostrabile una proposi-  zione, che poi si riesce a dimostrare, e, si noti, a  dimostrare alcune volte con un carattere pure in-  dubbiamente più rigorosamente scientifico di quello  che effettivamente questa scienza non abbia. Cioè il  tendere della matematica a divenire la vera espres-  sione apodittica della nostra conoscenza sensibile  se è rivelato da quanto sopra, è però ostacolato dal  miraggio di estendere sempre maggiormente i suoi  confini; di affrontare sempre nuovi problemi per  risolvere i quali necessita molto spesso l’iposta-  sizzazione di una nuova definizione o di un nuovo  postulato che spesso presuppone una definizione.  Ciò non può verificarsi che a detrimento, per lo  meno parziale, della necessità e univesalità dei  suoi giudizii; le quali prerogative non possono  ammettersi che condizionatamente all’accettazione  dei postulati che vengono man mano introdotti.  Questi possono alla lor volta essere concepiti -be-    Cap. III. - Il valore del giudizio matematico 141    nissimo — faccio mia l’immagine del Fouillée (1) —  come anelli provvisoriamente posti come indimo-  strabili onde il tutto matematico non perda quella  continuità e quell’organicità su cui si basa.   E ciò avviene, alcune volte, con gli stessi mezzi  d’indagine con i quali prima si era dichiarato il  contrario. In questo caso la questione non esce dal  campo puramente tecnico del matematico. Se è  vero che questi non deve nemmeno curarsi di sapere  se i suoi postulati rispondano più o meno a delle  reali verità, più ancora se per lui la questione è  vuota di senso — lo si sostiene, ma non ne vedo  il perchè — compito del matematico è però di far  sì che le ipotesi da lui supposte come punti di.  partenza, debbano necessariamente portare alle  deduzioni ch’egli si è proposto di trarne. Inoltre,  nella formulazione delle ipotesi medesime, egli  dovrà non aver nè mancato nè ecceduto: nel corso  delle deduzioni se egli ha formulato un numero  insufficiente d’ipotesi, egli avrà agio di accorger-  sene ed eventualmente di rimediare; ma se il nu-  ‘mero d’ ipotesi da lui ammesse è superiore a quello  che era necessario per dimostrare ciò che voleva,  egli correrà il pericolo, nota lo Zeuthen, di « ve-  dersi provare da altri che alcune delle sue ipotesi  erano contraddittorie, o potevano derivare le une  dalle altre » (2).   Il che significa che anche restringendo al mas-  simo il compito del matematico — nel senso che  egli ha il diritto di prescindere da ogni preoccu-  pazione di natura filosofica — egli non può man-    (1) A. FOVUILLÉEE, L’evenir de la méthaphysique fondée sur  l’expérience.  (2) ZEUTHEN, op. cit., tr. fr., pag. 95.    149 La posizione gnoseologica della matematica    care però di attenersi al conflitto sopra detto, cioè  far sì che le ipotesi adottate non possano nel corso  delle successive dimostrazioni risultare contraddit-  torie — ciò che è evidente per tutti — ma altresì  che esse ipotesi non possano risultare in alcun  modo deducibili da altre proposizioni note.   Ma vi è di più: perchè questo incessante tentativo  di dimostrazione si verifica, se il nostro intelletto  ci ha subito fatto balenare la verità medesima come  di una tale evidenza per cui l’ intelletto stesso non  doveva non solo riuscire, na nemmeno fentare di  completare ciò che esso stesso trovava quasi parte  di se medesimo ?   Tali verità innate dovrebbero imporsi con una  tale violenza al nostro spirito che nessuno pense-  rebbe di ricercarne la spiegazione in modo più  concreto e positivo, precisamente come a nessuno  è mai venuto seriamente in mente di dimostrare  che a = a, o altri giudizii di simil natura di per  se stessi effettivamente evidenti (1).   Eppure la geometria è piena di tali indagini che  .si possano a buon diritto chiamare vittorie su se  stessa. | |   Inoltre, non vi sembra più conseguente che, ove  i postulati fossero in noi verità effettivamente in-  nate, non si sentirebbe il bisogno di aumentarle  in omaggio al sempre più vasto campo d’azione  della matematica ? Tale bisogno non potrebbe veri-  ficarsi. Ma, mi potreste rispondere, ciò si verifica  in quanto i principii medesimi non si presentano  naturalmente nello stesso numero e con la stessa  intensità al pensiero umano in tutte le gradazioni    (1) Si potrebbero qui ricordare di nuovo le frasi, citate al  $ 7, di Platone e di Pascal.    Cap. III. - Il valore" del giudizio matematico 143    del suo sviluppo: i principii innati del primitivo  possono essere ridotti a ben pochi; numerosi in-  ‘vece sono quelli dell’uomo civilizzato odierno. Ciò  dipende da cause molteplici nella ricerca delle  quali nemmeno il più rigido idealismo trascen-  dentale può prescindere dalle considerazioni fisio-  logiche inerenti al più complesso sviluppo dei  nostri organi mentali ; dell’ereditarietà concepita  come esperienza multimillenaria del nostro intel-  letto, e così via. |   Tutte cause-effetti, come si vede, perfettamente  plausibili; ma tuttavia alquanto vaghe a un at-  tento esame, alquanto insufficienti quando ci si  trova di fronte al caso particolare. Leibniz (1), ad  esempio, ci dice come l’assioma per il quale di  due linee curve che abbiano entrambe la loro con-  cavità dalla stessa parte è maggiore quella che è  al di fuori dell’altra, sia stato ammesso (unita-  mente d’altronde a diversi altri) per la prima volta  da Archimede. Ora possiamo noi credere che effet-  tivamente la pura e semplice evoluzione del pen-  siero in sè stante, cioè indipendentemente da ogni  particolare necessità matematica, sia stata tanto  sensibile da Euclide ad Archimede da poter da sè  sola giustificare l’ introduzione della nuova verità  fondamentale ?   Non acquisterebbe ben maggior valore la nostra  spiegazione se invece sostenessimo che è stato il  particolare sviluppo della geometria in tale periodo  di tempo a fare intuire ad Archimede che, ammet-  tendo la proposizione medesima come verità fon-  damentale, egli avrebbe in certo qual modo potuto  dedurre numerose altre proposizioni perfettamente    (1) Nouv. Ess., IV, cap. 7.    144 La posizione gnoseologica della matematica    consone con il principio di contraddizione, perfet-  tamente apodittiche condizionatamente a quel po-  stulato, del quale altri eventualmente avrebbero  potuto in seguito stabilire la certezza ?   Per conto mio non vi può essere dubbio nella  scelta delle due interpretazioni: la seconda mi pare  s’imponga con decisa chiarezza alla nostra ragione.  E ciò affermando sono ben lungi dal negare il valore  apodittico delle verità risultanti, dato che la mi-  nima convenzionalità che nelle verità stesse credo  si debba ammettere ripensando in alcuni casi alla  loro lontana origine, possiamo sperare che in pro-  cesso di tempo possa venire eliminata per quanto  abbiamo sopra esposto riguardo all’ incessante  sforzo della matematica per ridurre a un minimo  indispensabile i suoi postulati. È già gran risul-  tato scientifico il poter contare con sicurezza as-  soluta su proposizioni che richiedono, per essere  universalmente vere, la sola condizione di accet-  tare: come universalmente vero un determinato  principio, che, si noti, già di per se stesso non è  affatto fantastico e arbitrario, ma principio tanto  accettabile dal nostro intelletto da poter essere  preso come base dell’ulteriore costruzione (1).    (1) Da un punto di vista puramente tecnico, e perciò senza  diretta relazione con quanto esposto in quest’ultimo paragrafo,  ma importante per ben comprendere le fondamenta della ma-  tematica, si potranno consultare le opere seguenti: SAUTREAUX,  Essai sur les axiomes mathématiques (Grenoble, Gratier et  Rey); DE ContensOoN, Les fondements mathématiques (Paris,  Gauthier-Villars); MAROGER, Lecons critiques et historiques sur  le fondement des mathématiques (Paris, 1908); C. ELLIOTT,  Models to illustratethefoundations of mathematics (Edimburg,  1914); DELEGUE, Essai sur les principes des sciences mathé-  matiques.    ————————    SUE DO IO I O DI SO IL DÀ    CAPITOLO IV.    La questione precedente  svolta specificatamente nei riguardi  della geometria (1).    $ 15. La II dimensione dello spazio. — La  moderna metageometria però, forse troppo imbal-  danzita dal successo — conseguenza naturale della  sua stessa giovinezza — va ben oltre i limiti critici  in cui noi ci siamo mantenuti nel precedente capi-  tolo. Essa non si perita d’indagare anche nei più  reconditi presupposti dei fondamenti euclidei, con  il negare che la stessa intuizione dello spazio sia  in noi naturalmente identica a quella della geo-  metria euclidea: tale identità è la base sine qua  non dell’innata evidenza dei principii della geo-  metria medesima. Pure riconoscendo l’estrema im-  . portanza di questa ultima questione, faccio subito  osservare che ove tale identità, contrariamente a  quanto si ritiene oggi dalla metageometria e da  non pochi psicologi, venisse in ultima analisi con  l'essere dimostrata, le obbiezioni sopra esposte    (1) Cenni bibliografici: DEL RE, Sulla struttura geometrica  dello spazio (Napoli, 1911); P. STAECKEL, Geometrische Unter-  suchungen (Teubner, 1913); BoREL, Geometrie (Paris, Colin).    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 10.    146 La posizione gnoseologica della matematica.    tendenti a mostrare un procedimento ipotetico —  sia pure limitatamente quanto si vuole — della  matematica e il suo divenire, resterebbero immu-  tate. Abbiamo sostenuto che il valore universale e  necessario del giudizio matematico è il suo dover  essere e non già il suo essere, senza nemmeno  alludere alla necessità di una differenza qualsiasi  fra il nostro spazio e quello della geometria  euclidea.   Così posti i termini del problema aggiungo una.”  seconda osservazione, intimamente connessa con  la precedente, e cioè che non pretendo affatto ri-  solvere in questo capitolo il complesso problema  dello spazio in se stesso considerato, dato che il  problema stesso non è, a mio modo di vedere,  indispensabile, come si è osservato, per arrivare  alle conclusioni cui siamo arrivati; ma l’impor-  tanza di tale questione è estrema piuttosto per  quei filosofi che incondizionatamente ammettono  i principii kantiani anche nelle loro conseguenze  ultime e particolari. Kant stesso per sostenere il  suo punto di vista, ammette tale identità d’intui-  zione spaziale. Per quanto non ce ne dia mai una  esplicita dimostrazione, o per lo meno passi a  svolgere con ampiezza tale sua convinzione, vi è  però un punto nei « Prolegomeni » che non per-  mette si possano avere al riguardo dubbii di sorta.  Alludo alla osservazione III, nella quale, dopo aver  constatato ancora una volta che lo spazio non è  nelle cose, ma è un’ intuizione «a priori » che ci  permette di stabilire un rapporto fra noi e il mondo  esterno, intuizione senza la quale noi non po-  tremmo arrivare alla conoscenza sensibile, Kant  osserva che non per questo si deve ritenersi auto-  rizzati a ritenere che lo spazio medesimo sia    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 147    qualche cosa d’immaginario, dal soggetto arbi-  trariamente creato.   Se così fosse «lo spazio del geometra verrebbe  ad essere considerato come una semplice inven-  zione senza validità obbiettiva ». Ma in che modo  sì potrebbe poi spiegare la strana combinazione  che le cose vengono poi a «concordare con l’im-  magine che noi ce ne* facciamo in antecedenza  da noi? ». |   Che tale d’altra parte sia la sicurezza su cui  Kant si basa è anche l’opinione dei più notevoli  interpreti del suo pensiero. Il Martinetti ne) suo  «Commento ai Prolegomeni » (pag. 224-225), alla  domanda postasi del come può essere il valore  universale e necessario delle proposizioni geome-  triche, così interpreta : « Ciò avviene -— risponde  Kant — in quanto lo spazio del matematico e lo  spazio nel quale si trovano i corpi sono, in fondo,  una cosa sola: lo spazio reale non è un misterioso  recipiente a cui lo spirito sia estraneo, ma è una  costruzione formale dello spirito conoscente in ge-  nere e le leggi che il matematico trova, quando  considera questa funzione dello spirito, astrazion  fatta dal contenuto che in detta costruzione for-  male viene ordinato, valgono necessariamente delle  cose corporee, perchè queste sono appunto il risul-  tato della costruzione stessa ». |   Anche qui, come già nel brano riportato da  Kant, dobbiamo distinguere : quello che partico-  larmente importa all’argomento che stiamo trat-  tando è dato dal primo periodo da cui risulta che  lo spazio nostro intuitivo e quello del geometra  euclideo sono in fondo una cosa sola. Su questa  necessità avrà d’altronde il Martinetti a ritornare  per conto suo, nello stesso « Commento », quando,    148 La posizione gnoseologica della matematica    combattendo le conseguenze estreme (la totale con-  venzionalità del mondo matematico) cui sono ar-  rivati gli esponenti della metageometria (es. Poin-  caré, Rougier, ecc.) e alcuni fisici che andarono  oltre basandosi su di essa (es. Helmholtz) si schie-  rerà risolutamente all’estremo opposto (la nessuna .  convenzionalità del mondo matematico) accettando  senza restrizioni la dottrina kantiana dell’apoditti-  cità dei giudizii matematici, completandola di quelle.  considerazioni che le scoperte della metageometria  hanno ora reso possibile (1). Il Martinetti cioè,  sostenendo la completa indifferenza della dottrina  kantiana di fronte alle indagini della metageo-  metria, si appoggerà prevalentemente al concetto  che qualunque siano per essere le geometrie pos-  sibili, tuttavia « uno spazio a tre dimensioni di-  verso dal nostro, o uno spazio a più di tre dimen-  sioni, non possono venir costruiti che in astratto  o simbolicamente rappresentati per mezzo di ele-  menti tolti al nostro spazio » (2).   Il Paulsen (3) pure interpreta che Kant faccia  risiedere la validità obbiettiva dei giudizii mate-  “matici, anche in quanto « lo spazio in cui la geo-  metria (4) opera la sua costruzione ‘a priori ’’,  cioè lo spazio della nostra rappresentazione è pre-  cisamente lo stesso spazio in cui sono i corpi ».   La relativa chiarezza dell’espressione dipende  qui, come si vedrà meglio naturalmente sull’ori-  ginale, dal non trattare l’A. la questione dal punto  ‘ di vista problematico della metageometria, ma il  significato è lo stesso.    (1) Op. cit., pag. 239-242.   (2) Nel Commento cit., pag. 240.   (3) F. PAULSEN, Kant (tr. it.), pag. 130.  (4) Bene inteso geometria euclidea.    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 149    $ 16. L’intuizione spaziale ‘ a priori ”’ e lo  spazio euclideo. — È d’altra parte indubitale che  Kant così pensasse : soltanto a titolo di definitiva  conferma ho in proposito citato il Martinetti e il  Paulsen.   È qui facilissimo cadere in errore. Per questo  nello svolgimento ulteriore del problema inerente  all’ intuizione spaziale non mi preoccuperò che  di render ben chiaro il mio pensiero, incorrendo  eventualmente anche in prolissità apparenti e  ripetizioni.   Possiamo frattanto osservare subito come la dot-  trina kantiana dello spazio da un punto di vista  generalissimo (1) è in fondo ammessa anche da  coloro che negano l’innatezza e l’invariabilità del-  l'intuizione spaziale medesima. Ma il problema  non ha nemmeno ragione di sussistere nei riguardi  di Kant, come fa ad esempio lo Stefanescu in un  libro (2) pertanto sotto molti aspetti notevole.  Dice lo Stefanescu : « L’idea di spazio quale noi  ce la rappresentiamo abitualmente oggi e quale  la concepisce Kant è un tutto omogeneo, infinito,  continuo, che non ha il suo centro in nessuna  parte, dove si possono costruire a volontà figure  , simili ecc. » (3). E fin qui possiamo anche essere  d’accordo: ciò è indubbiamente molto vago e in-  determinato, ma risponde a verità.   . Ma non ci comprendiamo più quando lo Stefa-  | nescu soggiunge: « È una forma “a priori ’’, in-  variabile, sempre identica a se medesima? No,    (1) Come qualche cosa d’inafferrabile e d’infinito che tutto .  informa.  (2) M. StEFANESCU, Le dualisme logique (Paris, Alcan).    (3) Op. cit., pag. 132.    150 La posizione gnoseologica della matematica    perchè noi sappiamo storicamente ch’essa si è  modificata e che essa è ancora possibile di varia-  zioni; a fianco di una geometria euclidea, noi  abbiamo delle geometrie non euclidee» e così via  di seguito. Prima di tutto noi non possiamo affatto  affermare storicamente che la nostra intuizione  spaziale si sia modificata nel corso del tempo. In  secondo luogo non significa proprio nulla l’esempio  addotto dell’esistenza di geometrie non euctidee :  questo non viene affatto di per sè solo, ad intac-  care l’invariabilità della nostra umana intuizione  dello spazio. Già Kant aveva preveduto ed am-  messo (1).   La questione è ben diversa. Le geometrie non  euclidee già esistenti si appoggiano sopra un’in-  . tuizione spaziale che certamente non è la nostra  fisiologica, ma creazione ipotetica che significa sol-  tanto questo: se noi modificassimo l’ intuizione  spaziale che è a fondamento della geometria eu-  clidea ben diverse verrebbero ad essere le « verità »  ottenute. Questa nuova intuizione dello spazio non  è perciò l’effetto di un processo modificatore storico-  . fisiologico, come lo Stefanescu sembra credere, ma  soltanto di una convenzione ipotetica che verrebbe  in certo modo a coartare la nostra sensibilità.   Ed ecco affacciarsi qui il punto fondamentale  della questione: siamo noi sicuri di quest’ iden-  tità fra la nostra naturale umana intuizione dello  spazio e quello della geometria euclidea che ab-  biamo mostrato nel paragrafo seguente essere il .  fondamento indispensabile per accettare senza ri-  . serve il valore apodittico del giudizio geometrico  come Kant vuole ?    (1) Cfr. questo libro, Cap. III, $ 11, pag. 106,    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 151    L’errore della metageometria al riguardo, anche  degli esponenti più riservati di essa, è stato quello  di affermare senz’ altro la totale convenzionalità  della geometria euclidea in quanto altre geometrie  hanno potuto costruirsi con conclusioni rigorosa-  mente esatte e diverse da quelle della geometria  euclidea. Errore, in quanto a tale affermazione si  sarebbe potuto arrivare soltanto nel caso che le  geometrie diverse dalla geometria euclidea si fon-  dassero sopra un’intuizione dello spazio pure a  tre dimensioni: ciò che, sino ad ora, non è stato  possibile. Gli studi del Lobatchefski e del Riemann  riguardano un mondo diverso da quello della nostra  sensibilità e pure inchinandoci ossequienti alle  loro ipotesi geniali, non possiamo certo basarci su  di esse per intaccare nè l’universalità e necessità  dei giudizii nè l’apriorità dei principii matematici,  apriorità che d’altronde essi non pongono meno-  mamente in dubbio, almeno considerando l’aprio-.  rità soltanto come non empiricità e non come in-  natezza.   La questione della terza dimensione nella nostra  intuizione spaziale si presenta al nostro esame sotto  un aspetto psicologico e sotto un aspetto rigida-  mente geometrico. Sotto il primo aspetto la que-  stione non fornisce veramente all’attenzione dello  studioso elementi tali che ci possano portare a con-  cludere logicamente in un modo o nell’altro: sotto  l’aspetto geometrico, senza potere affermare essere  la questione medesima molto innanzi, possiamo  indubbiamente trovare in esso più solidi punti di  appoggio. |   È evidente che soltanto dalla fusione degli sforzi  concordi di matematici e di psicologi si potrebbe  su tal punto arrivare ad una chiarificazione. Ma    152 La posizione gnoseologica della matematica    ciò si presenta sempre più difficile con la sempre  maggiore specializzazione delle singole scienze, la  quale, se si è resa necessaria per efficacemente pro-  seguire nel campo del conoscere, ha anche portato  disgraziatamente — perchè non confessarlo? —- ad  una specie di diffidenza fra i cultori di questa o  quella disciplina.   Da un punto di vista molto generale, qualche  cosa indubbiamente si è fatto nella seconda metà  del secolo scorso; ma si mirò allora piuttosto a.  indagini atte a trovare un metodo, superiore ad  ogni sospetto per la sua obbiettività assoluta, onde  poter controllare i fenomeni psichici, tanto da poter  arrivare alla formulazione di leggi psichiche con  metodo matematico (1).   Ma questo movimento, oltre all’ essersi mante-  nuto troppo sulle generali, come si è osservato,  per poter avere efficacia diretta sul particolare ar-  gomento della terza dimensione che stiamo trat-  tando, presenta anche l’inconveniente comune a  tutti gli indirizzi filosofici del genere: l’assogget-  tare cioè ogni ricerca, anche di carattere metafi-  sico, a un criterio puramente matematico. Ciò porta  alla necessità prima di postulare su ipotesi e alla  conseguenza inevitabile di dover poi forzatamente  far rientrare il tutto quasi in un piano prestabilito.   Quello che abbiamo già accennato nei riguardi  di Cartesio e di Spinoza (2) si presenta qui in tutta  la sua chiarezza, con l’aggravante della mancanza  della grandiosità unitaria della visione sintetica    (1) Cfr. ad esempio: G. Tu. FEcHNER, Revision der Haupt-  punkte der Psychophysik (Leipzig, 1882); H. MiNnSsrERBERG,  Ueber Aufgabe und Methoden der Psychologie (Leipzig, 1891).   (2) Cap. 1, 85.    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 153    dell’universo preso nel suo complesso, e con la  pretesa di adottare, quasi caso per caso, l’applica-  zione del metodo matematico a ricerche sperimen-  talmente impostate, come si tende a fare nella  moderna psicologia. Specificatasi come scienza par-  ticolare, allontanatasi perciò dalla filosofia, della  quale non era stata fino allora che un capitolo,  non poteva trovare appoggio che in un criterio  positivo di ricerca e diventare sopra tutto speri-  mentale. ——.   Non quindi una collaborazione simile a quella  verificatasi fra psicologia e matematica è da auspi-  carsi per poter approfondire il problema della terza  dimensione, perchè essa, più che fusione di sforzi  significava incondizionata accettazione di metodo ;  ma nella collaborazione reciproca dei risultati ot-  tenuti, i quali frutti soltanto dal filosofo potranno  essere portati alla loro espressione ultima.   Ciò non essendosi ancora verificato, la questione  che ci preoccupa non può sfuggire del tutto, mal-  grado la buona volontà, ad una certa indetermi-  natezza.   Cerchiamo perciò di precisare con la maggiore  chiarezza possibile il problema: è la nostra intui-  zione dello spazio identica a quella della geometria  euclidea? Sarà in primo luogo necessario stabilire  se è in noi la terza dimensione effettivamente in-  nata, a priori.   Facciamo subito notare come la stessa Landa  zione del problema non intacca nemmeno lontana-  mente la nostra concezione idealistica della mate-  matica: e che anche qui, nel caso particolare della  terza dimensione, come dianzi, nel problema del-  l’ intuizione spaziale più genericamente esaminato,  qualunque possa essere la soluzione di esso pro-    154 La posizione gnoscologica della matematica    blema, anche se affermativa, non nuocerebbe alla  tesi che siamo venuti svolgendo in merito al ca-  rattere parzialmente ipotetico della geometria : ove  la soluzione stessa ci portasse poi a una risposta  negativa, la incondizionata sicurezza del giudizio  matematico non potrebbe in alcun modo sussistere.  È evidente che non si possono ammettere come  del tutto innati nell’ uomo principii che presuppon-  gono un’intuizione spaziale differente da quella  insita nell'uomo medesimo. Noi sappiamo, ad es.,  che il postulato di Euclide ha valore soltanto per  uno spazio a tre dimensioni: se il nostro spazio  non fosse a tre dimensioni, cadrebbe senz'altro,  non già l’apriorità originaria del postulato me-  desimo, ma certamente il suo valore universale e  necessario, dato che la sua obbiettività non sarebbe  se non accettando come punto di partenza insin-  dacabile un’ ipotesi, che sapremmo già non rispon-  dere a verità, in quanto basata su di uno spazio  a tre dimensioni, che non sarebbe già il nostro  spazio naturale, ma uno spazio che noi avremmo  in certo qual modo preso a prestito.   La questione è, come sì vede, di tale natura da  avere il suo logico svolgimento in trattati parti-  colari di psicologia o di matematica, a seconda del  punto di vista sotto cui essa verrebbe svolta; ma  essa è di tale importanza per determinare l’esatta  posizione della geometria nella teoria della cono-  scenza, che qualche delucidazione è qui necessaria.  Necessità tanto per i filosofi, onde essi non si chiu-  dano in una rigidezza non sempre giustificata din-  nanzi alle indagini della scienza moderna e sopra  tutto alle indagini svolte in questo campo partico-  lare; quanto, e più sensibilmente ancora, per i ma-  tematici e i fisici del nuovo indirizzo metageome-    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 155    trico, i quali, male interpretando la dottrina di  Kant, credettero di ravvisare nella sola possibilità  di concepire una geometria diversa da quella eu-  clidea, il tallone d’ Achille della dottrina medesima,  meritandosi così il biasimo di quei filosofi che ve-  dono nelle loro argomentazioni e ricerche una specie  di circolo vizioso in quanto queste « presuppongono  già tutte quella costituzione particolare del mondo-  dell’esperienza che se ne vorrebbe derivare» (1).   Così non possiamo passare sotto silenzio che un  matematico come il Poincaré venga proprio a con-  cludere che la nostra intuizione dello spazio dif-  ferisce da quella di Euclide, che presuppone una  omogeneità ed un’isotropia che non possiamo in  alcun modo — reputa almeno il Poincaré — ri-  scontrare naturalmente nella nostra (2). Tale con-  statazione esce forse dal campo puramente matema-  tico per coinvolgere, come si vede, una questione  psicologica; ma i due aspetti del problema sono  fra loro talmente connessi, che mal si potrebbe  trattarli in modo del tutto indipendente l’ uno dal-  l’altro.   È doveroso inoltre riconoscere che tutti questi    (1) V. il Commento di Martinetti ai Prolegomeni, pag. 241.  (2) Analogamente L. RouciER, La Philosophie géométrique  . de Henri Poincaré, pag. 100. Il Rougier aggiunge a favore  della relatività dello spazio (oltre all’omogeneità e all’isotropia)  altre due prerogative, e cioè: il non comportare lo spazio al-  ‘ cuna grandezza assoluta e l’essere a amorfo-1. Come si vede  però questi ultimi due non sono caratteri differenziali o per lo  meno ammessi come differenziali fra il nostro spazio e quello  della geometria euclidea, ma sono unicamente in appoggio alla  relatività generica di ogni intuizione spaziale, concetto che la  filosofia ha già fatto suo da un pezzo. La teoria del Poincaré su  tale problema più generale troverai in: La relativité de l’espace  (L’Année psychologique, XMI, 1907, 1, 17).    156 La posizione gnoseologica della matematica    matematici — e ciò sia detto a loro onorè — nelle  loro ansiose ricerche, spingono queste al di là della  stretta cerchia tecnica in cui potrebbero contenerle  e che le complesse e molto spesso vacillanti dot-  trine della fisiologia non li spaventano. In tal modo  accade ad es. di esprimersi al Poincaré (1), dopo  avere affrontato l’aspetto fisiologico del problema:  «Se così fosse, se una sensazione muscolare non  potesse nascere se non accompagnata da questo sen-  timento geometrico della direzione, lo spazio geome-  trico sarebbe allora veramente una forma imposta  alla nostra sensibilità », parole che ci ricordano  quelle del James: « Il senso muscolare non ha un  ufficio notevole nella generazione delle nostre sen-  sazioni di forma, direzione », ecc. (2).   Così non possiamo passare sotto silenzio che uno  psicologico come lo stesso James, pure concludendo  per conto suo che la terza dimensione « forma un  elemento originario di tutte le nostre sensazioni  spaziali » (3), riconosca tuttavia notevolissimo va-  lore alla posizione opposta assunta dalla maggior  parte degli psicologi e che sia costretto a ricono-  scere egli stesso che indubbiamente il concetto della  terza dimensione non può essere senz’altro accet-  tato come quello delle altre due dimensioni (4).   Nè sì deve dimenticare come ben prima di tutto  ciò, il Berkeley considerasse la distanza come data    (1) V. La science et l’hypothese, pag. 73 segg.   (2) .W. James, Psicologia (tr. it.), pag. 355.   (3) Op. cit., pag. 357.   (4) Il Vaissiàre, senza trattare particolarmente la questione,  ha un'eccellente espressione per indicare l’insufficienza della vista  per determinare, anche soltanto fisiologicamente, la distanza:  « Nous nous servons de nos. lignes visuelles comme l’aveugle  se serve de son baton ». V. Psychologie Expérimentale, pag. 78.    I    Cap. IV. - La questione precedente ecc. > 157    in noi puramente in modo tattile, distinguendola  così dalle altre sensazioni spaziali, proprie invece  sopra tutto dell’organo visivo.   Le prove fatte sui ciechi nati, di cui ci parla la  psicologia sperimentale, possono indubbiamente far  pensare, far dubitare che nel loro complesso le fi-  gure geometriche non possono essere concepite —  malgrado la pretesa evidenza innata della defini- ©  zione — da un cieco nato. L’esempio che il James  riferisce, a proposito di tutt'altro argomento, del-  l’esperienza del dottor Franz è quanto mai signi-  ficativo per il problema che stiamo esaminando:  un giovane, cui il dottor Franz diede la vista to-  gliendogli la cataratta, posto dinnanzi a delle fi- .  gure geometriche, ebbe a dichiarare «che queste  | non sarebbero state affatto capaci di dargli l’ idea  di un quadrato o di un circolo se egli non avesse  percepita, sulla punta delle dita, la sensazione di  ciò che ora vedeva come se toccasse realmente gli  oggetti » (1).   Riconosco perfettamente che tali allusioni e tali  esempi hanno in fondo un valore puramente rela-  tivo, in quanto altri esempi si potrebbero portare  contro questi ed esempi forse di non minore va-  lore. Così degno di nota, come argomentazione con-  traria all'esperienza del dottor Franz, è indubbia-  mente il caso di quel matematico Saunderson che  riuscì a costruire, ci dice il Mach, un sistema geo-  metrico intelligibile anche per chi vede, pure es-  sendo nato e rimasto cieco. E su questo come su  altri esempii si potrebbero svolgere considerazioni  che potrebbero eventualmente portarci a conclu-    (1) JAMES, op. cit., pag. 309. Il James lo riporta trattando  dell’ immaginazione. |    158 La posizione gnoseologica della matematica    sioni opposte a quelle cui sembrerebbe doversi  necessariamente arrivare basandoci soltanto sulle  prime da noi dianzi esposte (1).    $ 17. La teoria del Poincaré sulla III dimen-  sione. — Ben diverso risultato possiamo invece  conseguire esaminando la questione della terza di-  mensione nel pensiero dei matematici; innanzi  tutto, per la più precisa impostazione del pro-  blema; in secondo luogo perchè il problema me-  desimo è da loro direttamente trattato e non sol-  tanto incidentalmente com'è nei libri di psicologia  e di fisiologia. Le osservazioni dei pensatori ma-  tematici al riguardo hanno indubbiamente valore  notevole per il rigore del procedimento. Decisive  sarebbero, ove dovessimo accettarle senza obbie-  zioni, le differenze che il Poincaré — per non pren-  dere che l’esponente più insigne di tale corrente    (1) Il caso del cieco nato Saunderson dà al Mach l’occasione  di uscire in notevoli considerazioni inerenti al senso della vista  nella nostra intuizione spaziale, ma esse soltanto molto indi-  rettamente potrebbero riguardare il problema particolare che  c’ interessa, e precisamente soltanto nei limiti dello spazio fisio-  logico, che potrebbe avere attinenza con quanto sopra soltanto  per mostrare se la terza dimensione debba in noi ritenersi alla  stessa stregua delle altre, oppure se essa sia stata acquisita in  seguito o comunque circoscritta soltanto ad alcuni organi di  senso. Può in ogni modo interessare quanto la fisica, in senso  rigoroso, pensi. sull’argomento. Il Mach ne tratta, per quanto  io sappia, segnatamente in: La connaissance et l'erreur  (cap. XXII, Le temps et l’espace en physique), Analisi delle  sensazioni (cap. VI, Sensazioni spaziali nella vista; nonchè  nei cap. IV, VII, X dello stesso libro), e inoltre in uno studio  particolare: Sull’effetto fisiologico degli stimoli di luce distri-  buiti nello spazio. Si troverà in tali svolgimenti anche una  scelta bibliografia, per quanto limitata ai soli autori che il Mach  combatte o sui quali si appoggia.    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 159    -    — ha creduto di poter affermare fra la nostra na-  turale intuizione spaziale e quella che serve di pre-  supposto necessario alla geometria euclidea: e ciò  non tanto riguardo alle particolarità dell’ omoge-  neità e dell’isotropia che sono in questa e non  sarebbero in quella, dato che esse mi sembrano  di ben difficile determinazione, quanto nell’affer-  mazione che il Poincaré non esita a fare riguardo  alla pura e semplice convenzionalità, comodità  — per usare la sua precisa parola — delle tre di-  mensioni del nostro stesso spazio naturale.   Noi abbiamo già con sufficiente ampiezza mo-  strato come Kant e i filosofi che direttamente a  Kant si riconnettono sull’argomento, ritengono essi  medesimi indispensabile che, per il valore incon-  dizionato della loro dottrina, la nostra intuizione  dello spazio sia, appunto, a tre dimensioni: donde  il valore grandissimo di tale teoria del Poincaré.   Ma riesce egli nel suo scopo? Non mi pare.   Da un punto di vista filosofico (idealistico) le sue  acutissime considerazioni sullo spazio non presen-  tano il minimo interesse specifico; non presentano  cioè che quell’interesse generico che qualunque  dottrina scientifica offre allo studioso; ma da tale  dottrina esce illesa la teoria kantiana della natura  aprioristica della nostra intuizione spaziale e del  numero delle sue dimensioni.   Precisiamo meglio. La dottrina del Poincaré  sullo spazio è una nuova conferma — ove ce ne  fosse stato bisogno — della sua mente straordi-  nariamente aperta ad afferrare l’intima essenza  delle cose e non già soltanto la loro veste appa-  rente; dote questa — è dolorosa ma necessaria  constatazione — che non è molto frequente negli  scienziati, nemmeno fra i più insigni di essi: ma    160 La posizione gnoseologica della matematica    essa dottrina ci rivela altresì una mediocrissima  conoscenza del pensiero di Kant.   Vediamo di esporre tale dottrina almeno nelle  sue linee essenziali e sotto il suo aspetto partico-  lare, veramente originale questo, del come sia  sorta nella geometria euclidea la concezione di uno:  spazio a tre dimensioni.   Ponendosi nettamente il problema: che cosa in-  tendiamo noi dire parlando di dimensioni dello  spazio (1), il Poincaré vede la necessità di arrivare  prima che al concetto di dimensione al concetto  di divisione di un « continuo ». Che cosa si debba  intendere per « continuo » fisico l'A. ha già mo-  strato in « La Science et l’Hypotèse » e mostra  nuovamente in «La Valeur de la Science »: pos-  siamo avere l’idea di un continuo fisico tutte le  volte che noi siamo capaci di distinguere due im-  pressioni l’una dall’altra, senza che queste pos-  sano alla loro volta essere distinte da una terza  intermedia. Gli esempii sono numerosissimi in ogni  nostra sensazione, ma per non uscire dal campo  prescelto e per adottare l’esempio dell’A., pos-  siamo pensare a due oggetti leggerissimi A, C, di  cui il peso di A = 10 grammi, il peso di C = 12  grammi. Una mano un po’ esercitata può distin-  guere che A è più leggiero di C; ma se noi pren-  diamo un altro oggetto B che pesì 11 grammi,  ecco che quella stessa mano non distinguerà B nè  da A nè da C. Da cui si verrebbe a ricavare:    A=B, B=C, A<C    (1) Cfr. anche l’articolo del PoINcARÉ: L’espace et ses trois  dimensions (Revue de méthaphysique et de morale, 1903,  pag. 281-301, 407-429).    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 161.    conclusione di cui è evidente l’assurdo. Nè miglior  risultato noi avremmo se invece di fidarci della  mano esercitata, adoperassimo la più perfezionata  delle bilance. Si verrebbe pur sempre a conclu-  dere in una contraddizione anche se i termini di  essa sarebbero infinitamente più vicini che non 4  con B e B con C nell’esempio citato.   Tale contraddizione è stata tolta con l’introdu-  zione del continuo matematico, ed appunto per  intendere questo ci siamo rifatti al continuo fisico :  « C'est l’esprit seul » dice giustamente il Poincaré,  che può risolvere la contraddizione medesima (1).   Ma che cosa ha a che vedere con tutto ciò il  numero delle dimensioni dello spazio? Innanzi  tutto « che cosa vogliamo dire quando diciamo  che un continuo matematico o un continuo fisico  ha due o tre dimensioni ? » (2). Continuando nel-  l'esempio citato e introdotta una distinzione non  soltanto fra (A e C, ma anche fra Ae Be fra B  e C contrariamente a quanto ha potuto rivelarci  la sola. esperienza bruta, si potrà sempre consi-  | derare una serie di elementi E; Fs...... . En, i quali  siano fra A e Be tali che ciascuno di essi non  sia distinguibile da quello immediatamente prece-  dente o susseguente, così :    A=H,, E, = Ea. seseo En = B    . da cui risulta che l’assurdità della serie precedente  non è stata in fondo che differita. Per venirne alla  soluzione siamo perciò costretti a introdurre un  nuovo elemento, puramente astratto questo e che  il Poincaré chiama «la notion de coupure ». Tale    (1) La Valeur de la Science, pag. 70.  (2) Op. cit., pag. 70.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 11.    162 La posisione gnoseologica della matematica    nozione, lo dice il suo stesso nome, ci permetterà  di supporre che questa ininterrotta serie d’iden-  tità parziali non sia: ciò ci permetterà di pren-  dere in esame qualcuno degli elementi di C, cosa  che non avremmo potuto fare continuando a ve-  dere in C un continuo ininterrotto. Tali elementi  che prendiamo ad esaminare potranno essere o  tutti distinguibili gli uni dagli altri, o formare  essi stessi uno o diversi continui. Tali elementi  così arbitrariamente considerati sono appunto le  « Coupures » del Poincaré: esaminiamo allora di  nuovo con tale criterio arbitrariamente ottenuto  il continuo C. La differente situazione creata ci  permetterà di distinguere due nuovi casi, i quali  passiamo ad esaminare, osservando però che gli  elementi della serie E introdotti nel continuo €,  continuano come prima a rispondere ai due requi-  siti di appartenere tutti a C e che ciascuno di essi  non è distinguibile da quello immediatamente sus-  seguente o precedente.   I due nuovi casi sotto i quali le « coupures »  possono presentarcisi sono questi: 1° che esse  siano tutte distinguibili da tutti gli elementi della  serie Z; 2° che una di esse non sia distinguibile  da uno degli elementi E. Nel primo caso C re-  sterà sempre un continuo ininterrotto ; nel secondo  C sarà diviso.   Siamo venuti così a introdurre una nuova no-  zione : quella di divisione. Essa, come già la « cou-  pure », ci porterà ad esaminare due altri casì:  1° di considerare per divisione di un continuo  delle « coupures » date da elementi tutti fra loro  differenti e allora il continuo sarà a una.dimen-  sione ; 2° di considerare per divisione di un con-  tinuo che le « coupures » debbano alla loro volta    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 1630    formare esse stesse uno o più continui, e allora  il continuo base sarà a più dimensioni.   E ancora, ultima distinzione, se adottiamo que-  st’ultima ipotesi (« coupures » di un continuo che  formano altri continui) e i continui che ne risul-  tano sono tutti a una dimensione, il continuo €  sarà allora a due dimensioni, se invece i continui  che ne risultano sono a due dimensioni, il con-  tinuo C sarà a tre dimensioni (1).   Come si vede tutta la teoria del Poincaré per ar-  rivare al concetto di dimensione, è una successione  di definizioni. È quindi necessario che, perchè esse  siano accettate per lo svolgimento della sua tesi,  corrispondano al procedimento per il quale nella  geometria euclidea si è venuto introducendo il  concetto dello spazio a tre dimensioni. Ed effetti-  vamente la concezione è la stessa : le « coupures »  in questo caso introdotte per la divisione dello  spazio sono la superficie, la linea e il punto (2).   Posta così la nozione di spazio, il Poincaré passa  ad esaminare il caso specifico della terza dimen-  sione in genere, non vedendo perchè mai si do-  vrebbe attribuire valore diverso da quello di sem-  plice convenzione utilitaria alla intuizione spaziale  a tre dimensioni. Noi verremmo così a seguire l’A.  in considerazioni e' constatazioni molto dotte, di  . natura queste prevalentemente fisiologica, dalle  quali si dovrebbe dedurre che, se il processo della   (1) Ho cercato di esporre tale teoria del Poincaré il più bre-  vemente e chiaramente che mi è stato possibile corredando  incidentalmente la stessa (esposta in La Valeur de la Science,  cap. III) con altri pensieri e concetti dallo stesso A. svolti in  altre sue opere e segnatamente in Sc. Hyp. e in Science et    Méthode.  (2) Cfr. Porncaré, La Valeur de la Science, pag. 74 segg.    ‘164 La posizione gnoseologica della matematica    sensazione non si verificasse in noi nel modo  noto, ecc. noi non avremmo già uno spazio a tre  dimensioni, ma di un altro numero di dimensioni,  numero variabile a seconda delle diverse ipotesi.    $ 18. Critica della teoria precedente. — Tutte  queste considerazioni del Poincaré sia per quello  che riguarda la teoria della nozione di spazio, la  quale abbiamo ritenuto opportuno di esporre in  quanto essa presenta indubbiamente dei lati pro-  fondamente originali; sia per quello che riguarda  le deduzioni che egli crede di poterne trarre, per  le quali rimandiamo alle sue opere ritenendole note  nelle loro linee essenziali, cadono di fronte a una  sola obbiezione (1) di una semplicità estrema,  questa : tali argomentazioni avrebbero valore de-  cisivo anche rispetto alla dottrina kantiana ed  anche all’ idealismo gnoseologico — sotto questo  aspetto convergenti — se l’una e l’altro non aves-  sero già detto ciò; non avessero già dimostrato  cioè che lo spazio è per essi la pura forma della  sensibilità; non riguardare cioè esso in alcun  modo la verità assoluta.   Il venire a dirci, come fa il Bolis che ove  in noi non si verificasse una certa sensazione di    (1) L’obbiezione medesima ha naturalmente valore anche per  la teoria del matematico francese riguardo alla nozione del  tempo, che qui non abbiamo considerato per maggiore brevità  e semplicità: la concezione idealistica del valore del giudizio  matematico non ha nulla a soffrire di ciò; il tutto potrebbe  facilmente essere esteso anche riguardo all’ intuizione tempo-  rale, che non-presenta, da un punto di vista gnoseologico, al-  cuna differenza essenziale con quella spaziale. In Sc. Hyp. il  Poincaré conclude esplicitamente a un errore di Kant: meno  esplicitamente, ma tuttavia in modo non dubbio. V. La Valeur  de la Science, II.    4    Cap. IV. - La questione precedente eco. 165    convergenza in due sensazioni visive, che dovreb-  bero in certo qual modo mantenersi separate e che  tali specie di sensazioni di convergenza — l’espres-  sione è fisiologicamente alquanto discutibile, ma  ciò non conta per quanto andiamo osservando —  sia a sua volta sempre accompagnata — l’espe-  rienza almeno ce lo conferma — da una stessa sen-  sazione di accomodamento, noi avremmo una intui-  zione dello spazio non più a tre, ma a quattro di-  mensioni (1), non intacca affatto Kant e quello che  una corrente idealistica derivata dal criticismo  kantiano hanno già posto chiaramente in luce da  un pezzo : essere cioè l’intuizione dello spazio uni-  camente inerente alla realtà come è in natura (sen-  sibile) e non come dovrebbe essere (razionale).  Certo un « dover essere » c’è già nella conoscenza  sensibile, più ancora in qualunque percezione, e  c’è già proprio per la funzione del tempo e dello  spazio. Ma tale funzione ben lungi dal poterci dare  il dover essere che appaghi la nostra ragione, si  limita a far sentire al nostro pensiero il bisogno  appunto di una più profonda sintesi verso una  più definitiva realtà come Hegel ci ha mostrato.   Contrariamente quindi a quanto il Poincaré  stesso e molti suoi seguaci — come ad es. Luigi  Rougier (2) — e non pochi fisiologi illustri che si  | sono occupati direttamente della questione — come  ad es. l’Helmholtz (3) —, la teoria del matematico    (1) Cfr. La Valeur de la Science, pag. 90 segg.   (2) L. Roucier, La Philosophie géométrique de H. Poin-  caré, Paris, 1920. V. pure ad opera di diversi matematici di  questa scuola (V. Volterra, I. Hadamard, P. Langevin, P. Bou-  troux), il notevole volume: Henri Poincaré, LOCUUrE scienti-  fique, l’oeuvre philosophique.   (3) H. HeLMHOLTZ, Wissenschaftliche ina II,    166 La posizione gnoseologica della matematica    francese segna al riguardo la prova che la scienza  dà di una precedente speculazione filosofica, com'è  d’altra parte logico che sia. Ma ciò non può au-  torizzare alcuno a concludere che « tutto ciò che  noi possiamo dire è che l’esperienza ci ha ap-  preso che è comodo attribuire allo spazio tre di-  mensioni ».   La conclusione va bene al di là dei risultati  ottenuti : basandoci rigorosamente su di essi noi  possiamo, oggi, soltanto concludere che l’ intui-  zione dello spazio a tre dimensioni è l’unica pos-  sibile per l’uomo nel mondo nel quale esso vive.  Per questo e nel primo capitolo e nel secondo non  mi sono mai stancato di ripetere a sazietà che  l’aritmetica e la geometria dovendo basarsi esclu-  sivamente sulle forme proprie della conoscenza  sensibile (tempo e spazio), non possono e non po-  tranno mai assurgere alla ricerca della verità as-  soluta, concezione questa che la metageometria  contemporanea ha creduto essa di scoprire, mentre  invece era già una constatazione da lungo tempo  — da Kant — acquisita incrollabilmente.   La reale importanza che la metageometria pre-  senta per il filosofo, non già in quanto essa abbia  originato il problema, ma certo in quanto ai ten-  tativi di soluzione di questo ha portato notevole  contributo, è unicamente questo : hanno le verità  matematiche, condizionatamente alla conoscenza  sensibile, valore universale e necessario? Tale  problema si è appunto trattato specificatamente  nel terzo capitolo: per la soluzione di esso ho  creduto di poter prospettare la tesi di un tendere,  di un divenire della matematica ad essere tale  espressione — che è precisamente il suo « dover  essere » — ma che, contrariamente a Kant, penso    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 167    che la matematica non ha ancora raggiunto e mai  potrà raggiungere se non ritornando in certo qual  modo sul cammino percorso, compiendo quell’opera  di riflessione sull’ampia messe di risultati raccolti,  senza preoccuparsi di estendere ancor più il pro-  prio campo conoscitivo, il che non potrebbe fare  se non introducendo ognor più nuovi postulati. In  poche parole : limitando o per lo meno non esten-  dendo il proprio dominio e preoccuparsi piuttosto  di rafforzarlo, come in parte essa sta già facendo  riguardo al calcolo infinitesimale (1).    $ 19. La possibilità di più geometrie basantesi  su di una stessa intuizione spaziale. — Perciò,  anche se dovessimo rispondere affermativamente  alla domanda postaci inerente all’essere o non la  nostra intuizione « a priori » dello spazio a tre  dimensioni, non per questo si dovrebbe dedurre  essere la geometria euclidea la sola possibile (come  vuole Kant), la sola incondizionatamente vera o, se  si vuole, più vera di altre eventuali geometrie future  esse pure basate su di uno spazio a tre dimensioni.    (1) È quindi in linea di massima accettabilissima (da un  punto di vista puramente gnoseologico,. bene inteso) quella  teoria fisiologica del De Cyon, che vi siano cioè organismi il  cui spazio sia a due od anche ad una dimensione. Ciò indi-  pendentemente dalla giustezza dell’affermazione categorica del  De Cyon che il numero delle dimensioni dello spazio corri-  sponde esattamente al numero dei canali semicircolari dell’orga-  nismo; affermazione che il Poincaré si preoccupa di combat-  tere appoggiandosi alla teoria Mach-Delage. Ma questi ultimi  sono particolari che in nessun modo possono interessare la  questione dal punto .di vista gnoseologico: è importantissimo  invece per noi porre in luce come il numero delle dimensioni  dell’intuizione spaziale — dipenda esso numero da questo o da  quello — è problema fisiologico. Modificate l’organismo e potrà  essere modificata anche l’intuizione spaziale, quindi relatività  in ogni nozione che con lo spazio ha a che fare.    168 La posizione gnoseologica della matematica    Formuliamo nettamente il nuovo problema : si  possono teoricamente ammettere due geometrie,  entrambe a tre dimensioni e che pertanto differi-  scono fra loro? Credo di sì. Le geometrie del  — Riemann e del Lobatchefski poggiano l’una e  l’altra su di un’intuizione spaziale a due dimen-  sioni e pertanto differiscono così sensibilmente fra  foro che alcune proposizioni della geometria del  Riemann arrivano a conclusioni diverse da quelle  del Lobachefski: nella geometria del primo ad es.  la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di  due angoli retti; nella geometria del secondo tale  somma è invece minore di due angoli retti. Lo  stesso dicasi anche per le verità assiomatiche :  valga per tutte il postulato d’Euclide, posto dalla  geometria del Riemann in modo tanto diverso da  quello della geometria del Lobatchefski.   Pertanto, senza andare troppo lontano in con-  siderazioni puramente matematiche, noi possiamo  a buon diritto affermare che non vediamo per  quali ragioni noi non potremmo arrivare, in un  avvenire più o meno prossimo, a concepire una  geometria diversa dalla euclidea e tuttavia basata  su di un presupposto spaziale a tre dimensioni.  Che cosa questo ci porterebbe a concludere ?   Ci porterebbe a concludere dell’esistenza in con-  flitto di due diverse geometrie che si baserebbero  entrambe su di uno spazio a tre dimensioni, dello  stesso numero di dimensioni cioè su cui la nostra  naturale intuizione spaziale è pure basata; ossia  che quella ragione fondamentale che si era rico-  nosciuta necessaria e non sufficiente per poter so-  stenere incondizionata mente la dottrina matematica  di Kant, in quanto essa sostiene che l’unica geo-  metria possibile è per noi quella di Euclide — e    Cap. IV. - La questione precedente ecc. 169    cioè l’identità del nostro spazio con quello euclideo  — non ha più la stessa importanza perchè l’iden-  tità medesima verrebbe eventualmente a sussistere  con un terzo fattore, e — perchè no? — magari  ‘con infiniti altri fattori, dato che non è nemmeno  da escludersi che non una, ma infinite geometrie  non euclidee si possano inventare su di una in-  tuizione spaziale a tre dimensioni.   Tutti elementi questi che ci porterebbero natu-  ralmente ad affermazioni ben diverse, per risol-  vere le quali, in omaggio al principio di contrad-  dizione, saremmo costretti ad ammettere una  differenza essenziale nei punti di partenza, dato  che soltanto nelle differenze insite in essi noi po-  tremmo trovare la spiegazione della diversità delle  conseguenze dedottene.   In tal caso quale di queste geometrie corrispon-  derebbe a quella che secondo Kant sarebbe in certo  qual modo innata in noi? Perchè mai proprio  quella euclidea ? Confesso per conto mio di non  vederne le ragioni. |   Non ne vedo le ragioni appunto perchè i prin-  cipii fondamentali sui quali la nostra geometria  si basa non sono tutti spogli di ogni carattere  ipotetico. Quest'ultima considerazione viene a chia-  rire, credo ormai senza possibilità di equivoco,  la grande importanza da me attribuita in tutto lo  svolgimento di questo saggio, e segnatamente al  cap. III, di una distinzione fra l’essere e il dover  essere della matematica. Questo dover essere sol-  tanto può rappresentare la verità universale e neces-  saria del giudizio matematico — sia pure sempre  condizionatamente alla conoscenza sensibile non  fosse altro per la necessità della matematica di  agire nel tempo e nello spazio — che Kant crede in-    170 La posizione gnoseologica della matematica    vece si debba senz'altro ravvisare in esso. Questo  valore universale e necessario non si deve invece  vedere nel giudizio matematico se non quando  ogni parvenza d’ipotesi sarà totalmente bandita  dai suoi principii fondamentali; quando cioè ba-  sandoci sulla terminologia qui adottata, tutte le  proposizioni matematiche non saranno costituite  che da assiomi o verità FIGOFOSARIONTO dedotte da -  tali assiomi.   Ma, poichè siamo obbligati a riconoscere un va-  lore convenzionalmente ipotetico — e ciò contra-  riamente a Kant e conformemente ai matematici.  puri — nei postulati, quale ragione sufficiente pos-  siamo noi avere per negare la possibilità di altre  ipotesi che ci possano portare a conclusioni dif-  ferenti, e ciò senza che le ipotesi medesime —  chè allora il fatto già si è verificato nelle geo-  metrie del Lobatchefski e del Riemann — abbiano  bisogno di appoggiarsi su di un’intuizione spa-  ziale non a tre dimensioni ?    $ 20. Conclusione. — La trattazione del lato pu-  ramente tecnico, matematico della questione, non  deve peraltro portarci troppo lontani dal nostro  punto di vista, che crediamo di poter ora con  maggiore autorità di prima riassumere nel modo .  seguente :   a) Le proposizioni matematiche, comunque si  possano considerare, non hanno importanza che per  la conoscenza sensibile, ossia per una conoscenza  che è qualitativamente inferiore a quella cui mira  la nostra ragione.   b) Le proposizioni matematiche sono basate  su principii «a priori », e procedono prevalente-  mente per intuizione.    Cap. IV. - La questione precedente ecc. | 171    c) Le proposizioni matematiche tendono ad  avere per bd) e condizionatamente per a) valore  universale e necessario. Malgrado tale valore esse  non abbiano ancora raggiunto, esse si possono  pur sempre considerare come la più alta e sicura  espressione della nostra conoscenza sensibile.   d) La metageometria, ben lungi dal poter es-  sere considerata come un ostacolo per l’idealismo  gnoseologico, è una nuova conferma (d’altra parte  non necessaria) del procedimento astratto della  scienza tipica. per eccellenza. Inalterata resterà la  posizione della metageometria al riguardo, qua-  lunque potranno essere per l’avvenire le scoperte  della metageometria medesima.   Qualunque infatti possa essere il valore delle  nostre considerazioni che ci hanno portati a queste  conclusioni; più ancora, qualunque possano . es-  sere i risultati che l’avvenire può riserbare alle più  coraggiose indagini, l’interpretazione idealistica  della matematica non può essere scossa.   Restano come verità definitivamente acquisite al  pensiero idealistico la necessità della fonte aprio-  ristica di ogni cognizione che intenda veramente  | esser tale e non subire a volta a volta le mutevoli  influenze della fonte empirica. Resta la necessità,  maggiormente posta in luce oggi dalla metageo-  metria — che tutto sommato ha portato più ele-  menti a favore che contro la dottrina dell’apriorità  kantiana — che il tempo e lo spazio essendo forme  conoscitive puramente condizionate alla nostra sen-  sibilità, tutte le scienze particolari, che necessaria-  mente su di esse debbono basarsi — le matematiche  non escluse —, non possono darci altre verità se  non quelle aventi valore relativamente a noi in  quel momento ed in quel luogo.    1793 La posizione gnoseologica della matematica    Non mi si fraintenda: in quest’ultima espres-  sione non deve per nulla affatto figurare alcuna  traccia dell’antico soggettivismo kantiano, dallo  idealismo moderno definitivamente sepolto. Il re-  lativismo della nostra conoscenza scientifica con-  dizionata a quel momento e a quel luogo, è tale  unicamente rispetto al sapere logico, al pensiero  puro: per il soggetto conoscente è, nelle sue par-  ticolari condizioni, l’unica verità. possibile, verità  per lui sommamente obbiettiva; ma nello stesso  modo come noi accettiamo per assoluta verità  quanto noi sentiamo nel sogno, nell’illusione e  nell’allucinazione: la differenza consiste soltanto  nella possibilità o non del controllo sperimentale.   Da queste conclusioni delle quali soltanto c) può  essere passibile di discussione, possiamo dedurre  che la nostra indagine conoscitiva non può limi-  tarsi alle scienze, nemmeno alla più pura fra esse,  ma sia necessario andare oltre queste nel tendere  verso una verità incondizionatamente vera, verso  quella verità qualitativamente superiore che Kant,  indipendentemente dalla matematica, ci nega nel  campo gnoseologico e ci dà nel campo morale.   A Kant resta senza dubbio il merito massimo di  aver rivolto la nostra attenzione sulla formazione  e l’incalcolabile portata dell’attività sintetica della  nostra intelligenza in ogni più semplice processo  conoscitivo, e di aver additato quasi imperiosa-  mente la via da seguire al susseguente idealismo;  ma questo, insofferente dei limiti misteriosi ed  opprimenti della cosa in sè, guida la ricerta del  pensiero, sempre più sicuro di se stesso, sempre  più audace, verso la più lontana méèta della cono-  scenza razionale.    APPENDICE    (1) É una Comunicazione che tenni al V Congresso Inter-  nazionale di Filosofia (Napoli, 5-9 maggio 1924). Credo oppor-  tuno pubblicarla in fine al mio studio, perchè essa potrà forse  essere di ausilio nei riguardi dell’interpretazione dei nume-  rosi passi in cui accenno alla concezione della matematica nella  filosofia di Kant. se   Le note dell’ Appendice figurano anche nella Comunicazione:  sono state però qui completate con riferimenti a questo volume..   ì    Digitized by Google    La dottrina matematica di Kant  nell' interpretazione dei matematici moderni.    Introduzione. — La discussione inerente alla conce-  zione della matematica quale si può ricavare segnata-  mente dalla « Critica » e dai « Prolegomeni » ha avuto  in questi ultimi tempi una recrudescenza particolare:  ciò, è doverosa constatazione più per merito dei mate-  matici che per merito dei filosofi.   Due sono gli aspetti fondamentali che è andata assu-  mendo la polemica stessa: il primo, di data più antica,  discende direttamente da Gauss e ha incontrato sempre  più fortuna con la sicurezza dell’indimostrabilità del  V postulato, la quale portata già a rigorosa concretezza  nel ’”735 da Gerolamo Saccheri, passa con il Lobatchefski  da pura e semplice constatazione negativa ad organica  costruzione positiva. Questa corrente, sempre più per-  fezionatasi sotto l’aspetto critico attraverso Riemann,  Beltrami, Bonola, Poincaré e i suoi numerosi e valo-  rosi seguaci, è venuta oggi a costituire, più che un in-  dirizzo particolare, una nuova scienza: la metageometria.   Un secondo aspetto — recentissimo — è rappresentato  dalla riforma della logica matematica iniziatasi in Italia  con il Peano (« Formulario matematico »), completata in  Inghilterra dal Russel («The Principlesofmathematics»),  seguita entusiasticamente in Francia dal Couturat (« Les  principes des mathématiques »), ha trovato al suo nascere  non pochi oppositori fra gli stessi matematici. Per mag-  giore comodità e chiarezza chiamerò questo secondo    176 La posizione gnoseologica della matematica ’    indirizzo con la parola di logistica che il Couturat con-  siglia e alla quale contemporaneamente a lui erano addi-  venuti Itelson e Lalande, indizio che depone indubbia-  mente a favore della bontà del vocabolo prescelto, come  il Couturat stesso ebbe a constatare al Congresso di  Ginevra (1904).    *  * *    Questi sono i due aspetti fondamentali che ha assunto  la polemica contro la concezione matematica nella dot-  trina kantiana. Vi sono però matematici — e sono la  maggior parte — che senza rientrare direttamente nè  nell’una nè nell’altra corrente — in quanto non hanno  assunto nei riguardi della metageometria una posizione  decisa, e mostrano una certa diffidenza per la logistica  — si trovano in ogni modo d’accordo nella critica dei  principii kantiani, condizionatamente almeno alla loro  disciplina. Per meglio intendersi posso specificare che  uno di questi matematici è lo Young. Nella traduzione  italiana della sua opera «I concetti fondamentali del-  l’algebra e della geometria », per quanto essa sia ricca  di osservazioni acute e miniera inesauribile di dati bi-  bliografici, a pag. 61-63 si allude alla dottrina matema-  tica kantiana in modo che non si può fare diversamente  di chiamare ..... ameno. Nè fra gli Italiani è da dimen-  ticarsi lo stesso Vailati, studioso pertanto di non dubbia  dottrina, che non soltanto — sempre nei riguardi di Kant  — peccò nell’interpretazione, ma anche nella forma in  quanto uscì pure in espressioni non corrette a riguardo  del maestro e dei neo kantiani, ai quali poi — non so  proprio con quale fondamento — attribuisce di essere i  dominatori nella filosofia ufficiale dei varii paesi, plau-  dendo perciò al Couturat che contro tale indirizzo seppe  assumere, almeno in Francia, posizione di attacco (1).    (1) Scritti, pag. 709, 727, ecc.    Appendice 177    Malgrado il Vailati le «oche del Campidoglio kantiano »  . non accennano a diminuire sopratutto nei riguardi della  sua allusione all’articolo del Couturat su « La Philo-  sophie des mathématiques de Kant» pubblicata sulla  « Reyue de Métaphysique » nel 1904 a commemorazione  del centenario della morte del filosofo tedesco.   Un esame un po’ più particolareggiato, breve quanto  si vuole, è qui necessario.    Metageometria. — Per quanto ha attinenza alla me-  tageometria la polemica si appunta fondamentalmente  sull’intuizione dello spazio, e, dovendo, per esigenza di  tempo, restringere al massimo questi appunti, si può  precisare meglio limitando la questione medesima alle  tre dimensioni dello spazio, che effettivamente Kant  pone come insindacabili, quasi non vi fosse già ai suoi  tempi la questione ad esse dimensioni inerente. Un  | punto ci rivela esplicitamente il pensiero di Kant al  riguardo: lo troviamo nei « Prolegomeni » ($ 12); in quel  paragrafo cioè che nelle intenzioni di Kant avrebbe do-  vuto avere ben più modesta funzione che non quella  che venne ad assumere in seguito con le decisive affer-  mazioni della metageometria e col nuovo carattere as-  sunto dalla questione delle dimensioni dello spazic. Il  $ 12 non era altro infatti, nel conseguente sviluppo della  dottrina kantiana, che l’enunciazione di esempi a con-  ferma della parte teorica esposta nei paragrafi prece-  denti, del carattere « a priori » dell’intuizione dello  spazio, nello stesso modo come il $ 13 non ci darà altro  che esempi a conferma della funzione puramente for-  male dello spazio medesimo.   Tale $ 12 può invece essere oggi considerato nei ri-  guardi della metageometria come il più controverso: dice  Kant « che lo spazio perfetto (quello che non è più sol-  tanto il limite di un altro spazio) abbia tre dimensioni  e che lo spazio in genere non possa averne di più si  fonda sulla proposizione che in un dato punto possono  tagliarsi ad angolo retto tre sole rette ». In altre pa-    G. E. BaRIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. 12.    178 La posizione gnoseologica della matematica    role: lo spazio nostro ha tre dimensioni e tale consta-  tazione noi la possiamo fare soltanto basandoci su di  un principio «a priori ».   L'affermazione è esplicita e non può dar luogo a du-  plice interpretazione : è questo uno dei punti in cui Kant  rivela più palesemente la sua imperfetta conoscenza  delle matematiche, imperfetta conoscenza che si è d’altra  parte a più riprese esagerata, e che in modo molto più  significativo possiamo riscontrare in altri filosofi che si  “sono interessati di matematica senza che pertanto siano  incorsi nelle ire dei tecnici. Certo però non è passibile  di giustificazione che Kant così poco sapesse di Lambert  di non essersi ricordato di lui quando scriveva, con  assoluta tranquillità, le poche righe sopra riportate.   Soltanto, se il punto di partenza delle obiezioni dei  matematici è giusto, sono errate le conseguenze ultime.  Kant si limita a dirci che lo spazio nei suoi rapporti  con la nostra sensibilità ha tre dimensioni, il che non  vuol dire che non si possano artificiosamente costruire  tanti spazi a tante dimensioni quante si vogliono. La  metageometria non ha perciò portato alcun colpo mor-  tale alla dottrina kantiana dello spazio, non già soltanto  nei riguardi della sua apriorità considerata in senso ge-  nerico, ma nemmeno nel punto particolare del numero  delle dimensioni di esso spazio. Un colpo grave sarebbe  stato invece se si fosse dimostrato che è falso che l’in-  tuizione spaziale propria di qualunque processo cono-  scitivo umano non è a tre dimensioni, o, se possibile,  pur essendo a tre dimensioni, queste non sono quelle  della geometria euclidea.   La questione si presenta sotto due aspetti :   1° psico-fisiologico;  20 geometrico.   Soltanto nell’intima collaborazione di essi credo la  questione stessa possa avviarsi ad una soluzione: fino  ad ora tale collaborazione non solo non si è ottenuta,  ma psicologi e matematici non si sono ben compresi  reciprocamente. Troppo indeterminati i primi (Berkeley,    Appendice 179    James, Mach); più determinati ma troppo categorici ed  esclusivisti i secondi. Uno sforzo notevole al riguardo  lo troviamo nel Poincaré (1), sforzo che avrebbe avuto  più ricchi risultati se il Poincaré stesso non fosse stato  influenzato egli pure dalla convinzione dell’assoluta con-  venzionalità dell’intuizione spaziale nella geometria  euclidea.   Così la dotta esposizione del Poincaré non dice nulla  di nuovo al filosofo, non significa nulla, in questo caso,  alla critica della dottrina di Kant sulle tre dimensioni  della nostra intuizione spaziale, appunto perchè Kanto  non si stanca mai di ripetere che le sue forme intuizio-  nistiche della conoscenza riguardano soltanto il mondo  fenomenico non quello delle cosè in sè.   La questione resta pertanto immutata, resta in tutta  la sua intensità dubitativa: è l’ intuizione spaziale della  sensibilità umana a tre dimensioni? Ciò ammesso, è  dessa identica a quella della geometria euclidea? Que-  | stioni che la metageometria non ha sotto il primo aspetto  nemmeno affrontato, mentre sotto il secondo si è limi-  tata ad accennare vagamente ad alcune prerogative  (omogeneità, ecc.) che figurano nello spazio geometrico  e che non figurano in quello — mi si passi la parola —  reale (2).    (1) La Valeur de la Science, Cap. III, IV, nonchè in Revue  de Méth., 1903, pag. 281-301 e pag. 407-429.   (2) Cfr. ad esempio la critica alla teoria del De Cyon secondo  il quale ciascun organismo avrebbe l’intuizione dello spazio a  tante dimensioni quanti sono i canali semi-circolari. In essa si  palesa — non espressamente ma non per questo meno chiara-  mente — la tendenza del Poincaré a considerare tale tesi come  essenzialmente paradossale. Anche se la teoria del De Cyon è  troppo categorica, nessun filosofo avrebbe a meravigliarsi che,  in senso più generico, l’intuizione spaziale variasse nel numero  delle sue dimensioni a seconda delle diverse strutture orga-  niche. Ove ciò si potesse dimostrare, porterebbe senza dubbio  un colpo rude alla dottrina dall’incondizionato convenzionalismo,  mentre lascerebbe immutato il valore dell’ « a priori » kantiano.  Cfr. questo volume, Cap. IV, $ 19, pag. 167 (nota).    180 La posizione gnoseologica della matematica    Indubbiamente la metageometria è destinata a dire  l’ultima parola al riguardo: per questo essa costituisce  a mio modo di vedere un indirizzo di' capitale impor-  tanza per il filosofo; anche in tal campo può manife-  starsi l’azione unificatrice della filosofia nei riguardi  delle scienze particolari; sarà compito precipuo del filo-  sofo stabilire quella sintesi fra le argomentazioni della  psicologia e quella della geometria, che sola potrà av-  viarci sulla strada della soluzione del problema, fino ad  ora esaminato soltanto sotto il punto di vista partico-  lare di questa o di quella scienza.   Nei riguardi di Kantessa rifletterebbe specificatamente,  come si è accennato, il significato del suo «a priori ».  Fondamento dei principii della geometria verrebbe ad  essere in ogni modo non già l’ esperienza — e quindi  l’empirismo non avrebbe nulla a guadagnarci — ma un  «a priori » convenzionale ben diverso da quello kantiano  che sarebbe il solo « a priori » possibile per la nostra  sensibilità e non soltanto il più comodo: l’innatezza  cioè contrapposta alla convenzionalità.    Logistica. — Un più vasto campo d’azione contro la  dottrina matematica kantiana ci è offerto dalla logistica:  mentre in fondo la metageometria, anche intesa come  da alcuni si vuole, non porterebbe che a scalzare l’aprio-  rità della nostra intuizione spaziale, la logistica mira  anche a intaccare il punto essenziale del procedimento  della conoscenza matematica: l'intuizione.   Gli assertori della logistica sostengono infatti che  ‘ nella matematica figurano soltanto l’ipotesi e il proce-  dimento logico facendo loro l’espressione del più strenuo  collaboratore del Peano, il Pieri, che la matematica  pura è un «sistema ipotetico deduttivo ». Crede di poter  con sicurezza affermare la logistica che per poter am-  mettere un procedimento puramente logico nella mate-  matica è necessario non tanto riformare questa quanto  riformare la logica tradizionale, che siamo abituati a  considerare come qualche cosa di necessariamente sta-    Appendice ” 181    . tico, immutabile nelle sue verità, mentre è invece essa  pure passibile di modificazioni e di perfezionamenti,  come qualunque altra attività del pensiero. Pare impos-  sibile, nota il Couturat, e con lui altri matematici di  opposto indirizzo nei riguardi dell’intuizione (es, P. Bou-  troux), si sia aspettato fino al secolo XIX ad accorgersi  della insufficienza logica dei principii logici universal-  mente ammessi. Ciò constatato la logistica ci fornisce  una serie di principii fondamentali da sostituire a quelli  della logica formale, i quali ultimi si accentrano intorno  al principio di contraddizione, d’identità e del terzo  escluso.   Questi principii fondamentali della tradizione logica  hanno indubbiamente — ammette la logistica — dei pregi  e ciò spiega, se non giustifica, come essi abbiano po-  tuto essere per tanto tempo incondizionati dominatori;  inoltre essi rappresentano al più alto grado il vantaggio  di essere poco numerosi e di offrire l’illusione di poter  essere alla loro volta ridotti, tanto che da alcuni si  obbligò il solo principio di contraddizione a portare  tutto il peso della logica formale.   Soltanto, per la logistica i principii stessì presentano  l'inconveniente fondamentale di non essere... principii.  Lo stesso gran principio di contraddizione — notano il  Russell e il Couturat — presuppone la definizione della  negazione. In questo senso si è resa necessaria la ri-  forma della logica nel secolo XIX e infine l’afferma-  zione della sua espressione più completa nella logistica.   Andrei troppo lontano dal limitatissimo scopo prefis-  somi esponendo qui i principii della logica-matematica  in tal modo intesa, sufficienti di per se stessi a darci  tutto l’edificio matematico, senza ricorrere a nessun  altro elemento che non sia quello della deduzione delle  verità particolari da queste verità generali, e, partico-  larmente per quanto c’interessa, senza ricorrere all’in-  tuizione.   Senza dubbio è vero quanto i matematici rimprove-  rano alla logica di essersi arenata per secoli in quis-    182 La posizione gnoseologica della matematica    quilie, distinzioni e suddistinzioni nell’ interpretazione  di Aristotele, vedendo soltanto nel procedimento logico  da lui adottato la forma di ogni sapere che aspirasse  effettivamente ad essere scienza in senso rigoroso e non  soltanto conoscenza relativa e provvisoria. Mantenuta  in questi limiti l'osservazione è perfettamente giusta,  ma in questi limiti essa è accettata da qualunque uomo  di buon senso. Coloro che trovano perfettamente natu-  rale l'eventuale meraviglia di quelli che sono portati a  constatare che soltanto nel secolo XIX ci si sia accorti  che qualche cosa si poteva riformare nella logica ari-  stotelico-scolastica, rivelano con questo implicitamente  di credere che proprio fino al declinare del 1800 tale  logica aristotelico-scolastica sia rimasta sola e incon-  trastala padrona.   Ma questo non è, e non è precisamente per merito di  quell’indagine filosofica che si cercherebbe di paragonare  in certo qual modo a dell’acqua stagnante: non è per  merito particolare di quel Kant (« Proleg. », $ 39) contro  il quale principalmente sono rivolte le critiche della  logistica. Reputo quindi del tutto arbitrario l’attribuire  quasi esclusivamente — e secondo non pochi, esclusi-  vamente — ai matematici l’onore di aver battuto una  nuova strada nel procedimento logico — chè qui le strade  non possono essere che due, le vecchie due — ma certo  si può riconoscere avere essi aggiunto qualche cosa a  complemento di tali due antiche strade, l’analitica e la  sintetica. Soltanto, queste nuove, recenti modificazioni  — e ciò sia detto non soltanto dell’indirizzo logistico,  ma di tutta la matematica — non sono così determi-  . nanti nei rapporti fra la logica e la matematica come  normalmente si crede dai matematici o per lo meno dai  matematici logici, intendendo alludere con tale espres-  sione a quella scuola che pretende escludere l’intuizione  dal procedimento conoscitivo della matematica. Il pre-  tendere di rivoluzionare la logica equivale al preten-  dere di cambiare il nostro pensiero che si è creato la  logica: esso può andare assumendo nuovi e più com-    Appendice 183    plessi atteggiamenti che richiedono un perfezionamento  dei suoi elementi formali, ma questi non possono essere  sostituiti da altri, i quali, perchè si verifichi vera rivo-  luzione, non potranno che essere incompatibili con i  primi.   Per questo credo non si debba fare altro quando si  parla di riforma della logica — in qualunque caso —  che tenere presente che la riforma stessa non può signi-  ficare se non perfezionamento del metodo sintetico o di  quello analitico o di entrambi; ma non mai intendere  esclusione di uno di tali metodi o aggiunta ad essi di  un qualsiasi altro elemento.   Se si accettano questi punti fondamentali credo che  malgrado la logistica si debba ammettere oggi come ieri  l'intuizione come base essenziale del procedimento ma-  tematico. Ho voluto specificare « malgrado la logistica »  perchè è soltanto questa corrente che tende ad abbat-  tere completamente senza alcuna speranza di appello la  dottrina matematica di Kant: l’intuizione è infatti an-  cora oggi ammessa come condizione indispensabile per  poter proseguire tanto in aritmetica quanto — e più  sensibilmente, direi — in geometria, da matematici non  certo sospetti di superficialità o di « divagazioni meta-  fisiche » a detrimento — la metafisica ha spalle robuste  e può sopportare tutte le accuse — del rigoroso proce-  dimento proprio delle scienze esatte: basterebbe al ri-  guardo citare il Poincaré e Pietro Boutroux.   Specifichiamo bene questo punto: possiamo notare che  tutti i matematici hanno qualche cosa da rimproverare  a Kant. Innanzi tutto egli ha avuto l’ardire di parlare,  e ripetutamente, della matematica senza essere un ma-  tematico, e questo non è facilmente perdonato dai tec-.  nici. In secondo luogo Kant non dimostra sempre di  avere una conoscenza profonda della materia che tratta:  quali possano essere i suoi meriti, è tuttavia necessario  ammettere questo. Era forse troppo filosofo per poter  essere anche qualche cosa d’altro! Egli non ha, è vero,  lasciatoin matematica alcuna traccia; nonè un Descartes    184 La posizione gnoseologica della matematica    o un Leibniz, ma anche le sue pretese sono al riguardo  quanto mai modeste. Egli si limita in fondo a dirci che:  a) i principii fondamentali della matematica sono  « a priori »;  b) i giudizi matematici sono sintetici;  c) la matematica procede per intuizione.   È bene inoltre ricordare che tali modeste pretese non  sono da Kant prospettate volendo trattare specificata-  mente del problema della matematica, ma soltanto indi-  rettamente viene a parlare di essa come avrebbe potuto  fare con qualunque altra scienza particolare: certo, essa  ha una superiorità sulle altre discipline in quanto si  presenta sotto un aspetto rigorosamente organico e le  sue proposizioni significano verità e serietà che non pos-  sono essere poste in dubbio da alcuno contrariamente  di quello che si può constatare nell’indeterminatissima  metafisica. Essa non rappresenta cioè nella teoria kan-  tiana del giudizio sintetico « a priori » che un esempio  — il più efficace se si vuole — ma pur sempre semplice  esempio, come un altro ci vien dato dal problema ine-  rente alla fisica pura.   Ora, mentre i matematici in generale, pure non accet-  tando integralmente questi tre punti essenziali della  dottrina matematica kantiana, tuttavia non li respin-  gono in blocco, possiamo invece notare che questo si  verifica nei riguardi della logistica.   L’azione più fortemente demolitrice di questa rispetto  a Kant verte sul terzo punto fondamentale della dot-  trina matematica di questi, voglio dire sul procedimento  intuizionistico. Per questo fu da me trattato per primo  e per questo possiamo qui concludere che malgrado le  argomentazioni portate dalla logistica medesima, l’in-  tuizione nel processo matematico si mantiene in tutta  la sua importanza proprio per quelle stesse ragioni ac-  campate da Kant. Il vecchio esempio della « Critica »  per il quale se un filosofo si mette ad esaminare il con-  cetto di triangolo, pure avendo lo stesso filosofo già  chiaramente fissato il concetto di punto, di linea, di    Appendice 185    spazio, ecc., non potrà mai venire a capo di nulla ba-  sandosi su tali concetti e da essi argomentando esclu-  sivamente per via rigidamente logica (analisi e sintesi),  | rimane in tutta la sua efficacia: « egli potrà riflettere  fin che vuole su questo concetto (del triangolo) non ne  tirerà fuori niente di nuovo ».   Di conseguenza rimane pure in tutta la sua efficacia  detto esempio esteso al differente contegno che di fronte  al concetto di triangolo assumerà il geometra: questi  comincerà innanzi tutto a « costruire » un triangolo, e  questo sarà il primo punto differenziale (le matematiche  agiscono sempre su « costruzioni di concetti » e non su  concetti). « Proleg. », $ 20.   Inoltre, sapendo che due angoli retti presi insieme  equivalgono... ecc., prolungherà « un lato del suo trian-  golo, ottenendo così due angoli contigui che sono uguali  a due angoli retti » e così di seguito. Egli arriverà così  alla conclusione per una serie di ragionamenti, ma  « sempre sorretto dalla intuizione ».   Soltanto per questa differenza di procedimento, pura-  mente logico nel primo caso, logico-intuizionistico nel  secondo, si potrà arrivare a determinare che la somma  degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti.   Io domando questo soltanto: è vero che si può notare  quesia differenza di procedimento ? Ciò ammesso, è vero  che nel procedimento del geometra figura un elemento  in più che in quello del filosofo ? Ciò ammesso, che cosa  è questo elemento in più ? Non è forse desso l’intuizione,  o se non volete chiamarlo intuizione, chiamatelo pure  come volete purchè non si voglia far rientrare questo  elemento in più, ossia questa nuova attività del pen-  siero che si aggiunge all’altra puramente logica del filo-  sofo e che per questo suo aggiungersi la deforma nella  sua purezza, purchè non si voglia far rientrare anche  questo nuovo elemento — dicevo — nel campo della lo-  gica in senso stretto. È soltanto in virtù di questo in  più deformatore che la scienza può proseguire; la logica  perfeziona una scienza, ma non vi aggiunge nulla di    186 La posizione gnoseologica della matematica    nuovo; la sua azione si limita ad essere puramente for-  male, esempio tipico il sillogismo.    *  * *   Lo stesso -possiamo osservare nei riguardi del carat-  tere sintetico del giudizio matematico, con la constata-  zione però che le critiche alla dottrina di Kant hanno  qui un’estensione maggiore in quanto sono condivise  da non pochi matematici che pure ammettono l’ intui-  zione. Innanzi tutto, adottando la terminologia kantiana  possiamo osservare nei riguardi della logistica che poichè  il giudizio matematico è basato su altri principii e non  soltanto su quello di contraddizione, perciò stesso il  giudizio matematico non può essere che sintetico. È  vero, la terminologia di Kant è in merito alquanto in-  felice; ma ciò avrebbe importanza se egli avesse voluto  darci un dizionario filosofico o porre comunque le basi  di quel linguaggio internazionale psichico-logico da  adottarsi universalmente in tutte le relazioni fra gli  uomini e segnatamente negli scambi di vedute fra gli  studiosi dei diversi paesi per meglio comprendersi, 0,  per lo meno, per non fraintendersi; ma questo non può  avere invece che ben relativa importanza nell’opera  kantiana in quanto egli si limita onestamente a dirci:  per giudizio analitico intendo questo, e per giudizio sin-  tetico quest’altro (1). In ogni modo la non felice scelta  della terminologia kantiana — e non soltanto in questo  caso — è stata già rilevata da tempo e da molti filosofi:    (1) Sono quindi perfettamente del parere del Couturat (La  philosophie des Math. de K. in Revue de Méth., 1904, pag. 347),  che « la distinction des jugements analytiques et synthétiques  était singuliérement vague et flottante dans l’esprit méme de  son auteur », ma credo pure che questo non ha importanza per  togliere valore all’affermazione che i giudizi matematici sono  sintetici, ma tutto al più che gli esempii da Kant portati come  analitici sono essi pure sintetici: Es. (a-+-b) > a. (Cfr. questo  volume, Cap. III, $ 13).    Appendice 187    tanto per citarne uno da Ausonio Franchi in « La teo-  rica del giudizio ». Come è stato pure notato d’altronde,  in tesi ancor più generale, che ogni giudizio non può in  fondo essere altro che sintetico (Martinetti). E anche  questo fu rilevato da filosofi nel senso più rigido della  parola senza che si fosse sentito il bisogno di ricorrere  ai lumi delle scienze particolari.   Ma, indipendentemente da ogni considerazione sul si-  gnificato di « analitico » e di « sintetico » possiamo anche  qui osservare che rimane come nel caso precedente che  il famoso esempio kantiano esprime benissimo la sin-  tesi insita nel giudizio matematico. Se noi abbiamo 7-+-5  non possiamo che per un’operazione sintetizzatrice del  | nostro pensiero determinare il numero 12. La ragione  del carattere sintetico del 12 in questo caso non dob-  biamo ricercarla con argomentazioni rigorosamente  scientifiche, ma unicamente pensando che un individuo  immaginario qualsiasi che nulla sa di aritmetica, che  non è nemmeno del nostro mondo, ove si trovi di fronte  a due categorie di oggetti (7 della prima e 5 della se-  conda) non gli viene fatto certo di pensare a un numero  solo che unisca i singoli componenti delle due categorie:  nello stesso modo se noi parliamo a un altro individuo  della stessa specie degli elementi che compongono un  oggetto qualsiasi, ad es., una sedia, esso potrà sommare  gambe, sedile e spalliera fin che vuole, non gli riuscirà  mai di ricavarne la sedia se non ricorrendo a qualche  cosa che non fa parte degli elementi medesimi e che ne  costituisce precisamente la loro sintesi.    Considerazioni generali. — Aspetto più generico  viene ad assumere il problema dell’« a priori ». Nei tre  punti da me posti come base essenziale della dottrina  matematica di Kant si nota cioè, nell’ordine, una sempre  maggiore estensione della critica: pochi matematici (la    188 La posisione gnoseologioa della matematica    logistica) non ammettono l’intuizione per poter prose-  guire nella matematica; molti non ammettono il carat-  tere esclusivamente sintetico dei suoi giudizii; tutti non  ammettono l’« a priori » dei suoi principii come Kant  l’intende, ossia un « a priori » che significa in altre pa-  rale innatezza e inconcepibilità del contrario (bene in-  teso sempre ricordando che l’inconcepibilità stessa non  è considerata da Kant che condizionatamente alla nostra  sensibilità). Si è già accennato a questo «a priori » nei  riguardi della terza dimensione dello spazio alludendo  alla polemica intorno al V postulato di Euclide e alla  scienza metageometrica derivatane.   Qui non posso fare altro che completare le conside-  razioni medesime estendendole a tutto il complesso del-  l’«a priori » matematico e non già limitandolo soltanto  alla terza dimensione dello spazio. Non credo cioò si  possa qui dare, con tutta la buona volontà possibile,  incondizionatamente ragione a Kant. Se al nostro pen-  siero ripugna di ammettere che i principii fondamentali  della matematica (definizioni, assiomi e postulati) non  ‘ siano altro che frutto di puri e semplici artifici conven-  zionali intervenuti quasi per tacito accordo fra i mate-  matici — cosa che, di qualunque abilità dialettica ed  erudizione sì possa fare sfoggio, non potrebbe portare  che alla negazione della matematica stessa, che non  verrebbe ad essere altro che un’ immensa illusione —  ciò non pertanto non si può ammettere che tutti questi  principii fondamentali siano in noi talmente radicati da  poter essere considerati evidentissimi anche per chi non  è addentro nelle cose di tale scienza. In altre parole  mentre se noi diciamo che A è uguale ad 4 stabiliamo  un principio che non può assolutamente non essere con-  siderato evidente da tutti, non credo si debba ammet-  tere senz'altro come verità di cui debba considerarsi  inconcepibile il contrario, viceversa proposizioni come  quella che una retta può prolungarsi all’infinito (come  sostiene Kant, « Proleg. », $ 12, alludendo evidentemente,  sia pure in modo incompleto, al II postulato di Euclide),    2700, e RISE E    Appendice 189    nè il postulato delle parallele, nè, tanto per brevemente  intenderci, i postulati propriamente detti, intendendo  con ciò distinguerli, come d’altronde aveva intuito Eu-  clide, dagli assiomi.   L’« a priori » kantiano difetta di un tale criterio dif-  ferenziale e la ragione di tale mancanza credo proprio  debba ricercarsi nell’insufficienza della sua coltura tec-  nica dirò, della matematica. Ciò non ne infirma cioè la  dottrina considerata nel suo complesso: si può rimpro-  verare a lui l’esclusione dei principii fondamentali « a  priori » della matematica, ad es. che il tutto è maggiore ©  della sua parte, che è proprio il IV assioma di Euclide;  ma anche questo è un particolare. Kant vide erronea-  mente in tale giudizio un carattere puramente anali-  tico e gli sembrò che ciò potesse infirmare la sua teoria  del giudizio sintetico della matematica, mentre nel giu-  dizio stesso possiamo sì ammettere una comparazione,  ma non saprei proprio come vederci un’analisi, mentre  non sarebbe affatto difficile stabilirne il carattere sin-  tetico proprio con le stesse argomentazioni dell'esempio  del 7+5=12. Più ancora, Kant si preoccupò forse  troppo d’indicare come principii «a priori » della ma-  tematica, principii particolari ad essa esclusivamente  suoi proprii, ciò che lo portò a rifuggire da quei prin-  cipii generalissimi che invece proprio soltanto essi sono  «a priori » in quanto nozioni comuni a tutti gli uomini  e dei quali effettivamente non possiamo concepire il  contrario.   Ma, ripeto, questi sono particolari tecnici che non in-  taccano il gran valore del complesso della dottrina del-  l’« a priori » mirante a dirci che anche in quelle scienze  particolari che noi siamo abituati a considerare come le  più sicure, figura un elemento che è insito nella nostra  stessa coscienza, e che anzi è soltanto in virtù di questo  elemento che noi possiamo conoscere, che noi possiamo  raggiungere quel sapere, non destinato a mutare ad ogni  soffiar di vento, come sarebbe invece se soltanto dal  mondo esterno noi dovessimo ricavare le nostre nozioni.    190. La posizione gnoseologica della matematica    ° n'a   Mi sono forse dilungato un po’ troppo, e non voglio  abusare oltre della pazienza cortese del Congresso. Una  sola osservazione per quanto riguarda i rapporti fra  Kant e i matematici considerati nel loro complesso senza  alcuna distinzione di scuola o d’altro. Nello studio delle  matematiche che ho ripreso da qualche anno, perchè ne  ho veduta l’indispensabilità per il filosofo, ho trovato  un punto sul quale tutti i matematici si trovano d’ac-  cordo: è nel parlare con eccessiva disinvoltura di Kant.  Scusatemi l’espressione, ma non ho saputo trovarne  altra più corretta; forse, la profonda venerazione per  il grande maestro mi ha presa la mano; ma confesso  che alcune volte non ho potuto fare a meno di restare  stupefatto di fronte a giudizii affrettati che non fanno:  altro, molto spesso, che porre nettamente in luce che  esistono divarii molto più sensibili fra questo e quel  matematico, che fra i matematici e Kant. Il Poincaré è  più vicino a Kant che al Vailati: il Boutroux è più vi-  cino a Kant che al Couturat e al Russel. Sembrerà  questo eccessivo semplicismo, ma appunto per consoli-  dare alquanto la mia coltura tecnica della matematica  — troppo recente per poter essere molto robusta — mi  limito a chiudere con una domanda: perchè questa gara  fra i più belli ingegni matematici di tutti i paesi da  Gauss ai giorni nostri, ad assumere posizione d’attacco  contro la filosofia kantiana, proprio contro quella filo-  sofia cioè che ha portato a un così alto grado di nobiltà  la vostra disciplina ?    INDICE DEI NOMI    Agostino, 39.   Apollonio, 95.   Archimede, 95, 124, 143.   Aristotele, 55, 87, 106, 182.   Arrighi, 32.   Avenarius, 87.   Bacone F., 34, 35.   Barbarin, 105.   Bartholin E., 17.   Baynes Th. Spencer, 54.   Beltrami, 105.   Benzoni R., 36, 63.   Berkeley, 156, 178.   Boccardini, 120.   Bonola R., 120, 175.   Boole G., 54.   Borel E., 136, 145.   Bonasse, 32.   Boutroux P., 12, 16, 28, 71, 85,  125, 136, 165, 181.   Bouty E., 32.   Boyle, 35.   Brugia R., 14.   Brunschvicg L., 28, 32, 70, 88,  95.   Burali-Forti C., 54, 58.   Canton, 122.   Cantor, 12.   Capelli, 32.    Chasles, 105.   Chisini, 17.   Combeirac, 62.   Comte, 128.   Condillac, 76.   Croce B., 85.   Couturat, 11, 12, 53; 55, 58, 76,  92, 95, 115-116, 126, 175,  181, 190.   D’Alembert, 107.   De Contenson, 144.   De Cyon, 167, 179.   Delage, 167.   Delègue, 144.   Del Re, 145.   De Morgan E. A., 51, 54.   Descartes, 15, 17, 25, 29-30, 34  segg., 42, 47, 82, 96, 116,  152, 183.   Duhamel, 51.   Duhem, 32.   Elliott C., 144.   Engel F., 119, 121.   Enriques F., 17, 21, 58, 71,87,  92, 106, 120, 122, 124.   Euclide, 18, 89, 94, 95, 100,  117-118, 120 segg., 144, 150,  154, 167 segg., 175, 189.   Eulero, 81, 104.    199 Indice dei nomi    Fazzari, 12.   Fechner G. Th., 152.   Fermat, 104.   Fichte, 41, 46, 108.   Fink, 12.   Fischer K., 43.   Fouillée, 101, 141.   Franchi A., 44, 126.   Franklin, 34.   Franz, 157.   Frege, 54, 58.   Galilei, 34, 140.   Gambioli, 12.   Gauss, 119, 175.   Gergonne, 19, 21, 125.   Gou, 12.   Grassmann, 54.   Gregory D., 54.   Hadamard, 165.   Halsted, 119.   Heath, 13, 124.   Hegel, 46, 165.   Hermite C., 25.   Helmholtz H., 114, 148, 165.   Hilbert, 18, 119.   Hobbes, 87.   Hotel, 122.   Humboldt G., 44.   Hume, 9, 32 segg., 69, 110 segg.   Itelson, 176.   James W., 36, 75, 156-157,179.   Janet P., 77.   Jevons W. Stanley, 51, 54.   Kant, 8 segg., 15, 23, 26, 32  segg., 39, 41-42, 44, 49, 51,  56, 63, 64, 65, 68 segg., 82,  84 segg., 89, 93, 98, 101 segg.,  105, 110 segg., 126 segg., 146  segg., 159, 169, Appendice.   Karpinski, 12.   Lalande, 176.   Lambert, 119, 178.   Lange, 65.    Langevin, 165.   Laplage P. S., 104.   Lavoisier, 131.   Legendre, 119.   Leibniz, 8, 34-36, 54, 56, 58, 76,  82 segg., 87, 92 segg., 99,102,  104, 122, 143, 184.   Liard L., 54.   Lobatchefski, 107, 121, 151, 168  segg., 175.   Locke, 9, 64, 92, 122.   Loria, 13, 119, 122.   Mac-Leod, 105.   Mach, 26, 53, 73 segg., 82, 87,   - 93, 94, 158, 167.   Maroger, 144.   Martinetti, 44, 64,106,111,134,  447-148, 155, 187.   Masci F., 116, 118.   Maurolico Fr., 69-70.   Milhaud G., 28, 32, 122.   Mill J. Stuart, 67 ‘segg.   Miller, 12,   Mitcheli V. G., 12.   Miinsterberg H., 152.   Nesselmann G. H. F., 13.   Newton, 25, 27, 34, 140.   Oldenbourg, 35.   Padoa, 18.   Pascal, 47, 104, 124, 142.   Pasch, 19.   Pastore, 32.   Patrizi, 14.   Paulsen, 44, 115, 148-149.   Peacock G., 54.   Peano, 19, 54, 58, 175, 180.   Peillaube, 75.   Picard, 32.   Pieri M., 54, 58, 180.   Platone, 25, 38, 48, 124, 142.   Poincarg, 53, 63, 65 segg., 70  segg.,81-82,95,109,148,155-  156, 158 segg., 175, 179,190.    Indice dei nomi 193    | ‘Porto Reale (scuola di), 47.  Proclo, 94-95, 119.  Rey A., 32.    Richard J., 17, 19, 115-146,    120.  Riemann, 107, 151, 168 segg.,  175.  Rivaud, 28.  Rougier L., 95, 120, 148, 155,  . 165.  Rouse Ball, 12. #  Russel, 11, 17, 65-58, 88, 105,  175, 181, 190.  Saccheri G., 119 segg., 175.  Saunderson, 157.  Sautreaux, 144,  Schelling, 34, 46, 108.  — Schiller, 44.  Schopenhauer, 43,' 65, 77, 84-  85,  Schréder E., 54.  — Segre, 120.  Simon, 122.  — Socrate, 121.  Sommerville D. M. L., 105.  Spinoza, 34, 35, 36, 39, 42 segg.,  49, 152.    Staekel P., 119, 145.  Stefanescu M., 149-150.  Talete di Mileto, 87, 94.  Tannery P., 28.  Tazzari, 12.    ‘ Tennemann, 43.    Trendelenburg, 38.   Vacca, 58, 62.   Vailati, 54, 76, 120, 122, 176-  177,190.   Vaissière, 75, 79, 156.   Vecchietti, 18.   Venn J., 54.   Veronese, 18.   Volterra V., 165.   Wahle R., 43.   Wallis, 119.   Whewell, 36, 74.   Whithehead, 126.   Windelband W., 48.   Winter, 51.   Wolff Cr., 111.   Wundt, 77.   Young, 11, 12, 20, 62-63, 120,  176.   Zeuchen H. G., 118 segg., 122,  125, 141.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologiea della matematica. 13.    Digitized by Google    -  rr’ ’’—@@——@—@—————— —___@@ct‘‘mi-*—----@t@eIm@RRE  ——pmpRtRpo———______—__—_—TT_——T_—_—T—_——__—_—____________ T_T mr =w=-o"xxcnvrsvescsc—___y—_—    INDICE - SOMMARIO    CAPITOLO I  | Preliminari metafisici.    $1.— L’astrazione . . . . .... . Pag.    L’importanza della matematica per la filosofia. —  Il significato di essa nella dottrina kantiana. —  L’astrazione, l’astrazione in matematica, astrazione  numerica ed astrazione algebrica, l’astrazione e il  concetto.    $ 2. — La definizione e l’idea . . . ... »    L’astrazione in geometria. — L’impossibilità di  definire gli elementi primi della matematica, la  definizione, concetto di definizione. — L’idea, l’idea  come elemento «a priori » che può determinare la  definizione e rendere possibile l’astrazione concet-  tuale. — Carattere particolare della definizione nelle  scienze matematiche, la necessità dell’ « a priori ».  — Distinzione generica in conoscenza sensibile e  conoscenza razionale.    $ 3. — L’intuizione pura . . ...... >»  Osservazione sulla terminologia in genere e su  quella adottata in particolare. — Svolgimento del-    l'elemento puro « a priori ». — L'’ intuizione ideale  e l’intuizione ipotetica. — L’intuizione sensibile.    G. E. BARIÉ, La posizione gnoseologica della matematica. —    =J    196 ladicoimamania    $ 4. — L'ipotesi nelle scienze . . . . . . Pag.    L’astrazione nelle scienze. — Sua duplice fun-  zione: di controllo della validità delle nozioni em-  piriche e, nella sua forma ipotetica, d’ ispiratrice  di nuove conoscenze (Galileo, Newton, Franklin). —  Vantaggi del procedimento ipotetico nelle scienze  particolari.    $ 5. — L'ipotesi nella filosofia . . . ...»   L'ipotesi nelle dottrine di Descartes e Spinoza,   il dubbio cartesiano, il tentativo spinozistico di darci   una visione matematica del mondo. — L' insuffi-   cienza dell’ipotesi come procedimento conoscitivo   nella filosofia (Fichte, Schelling, Hegel). — Tale   insufficienza è particolarmente « sentita » nelle con-  cezioni logico-matematiche. — Ragione di ciò.    CapitoLo II.  I rapporti fra la logica e la matematica.    $ 6. — I procedimento logico nella matematica Pag.    La funzione della matematica nei riguardi della  possibilità del conoscere. — La matematica non è una  scienza rigorosamente logica. — La logistica (Peano,  Russelì, Couturat). — L’induzione in matematica  (Young).    $ 7. — Il procedimento sperimentale nella matema-  HW. cd è de a e    La matematica non è nemmeno una scienza spe-  rimentale (Martinetti, Kant, Schopenhauer, Poin-  caré). — L’empirismo dello Stuart Mill. — Concetto  di ‘esperienza. — Il così detto principio d’induzione  completa, carattere deduttivo di tale preteso prin-  cipio induttivo. — Lo « esperimento mentale » del  Mach, difficoltà d’interpretazione di esso, che cosa  si deve intendere per tale « esperimento mentale»,  carattere intuizionistico di esso. — Concetto d’ in-  tuizione.    $ 8. — Il procedimento intuizionistico della mate-.  matica . . .. .... + +. +» Pag.    Indice-sommario    Tale concetto d’ intuizione non è in decisa anti-  tesi con il fattore sensibile. — L' intuizione matema-  tica. — Posizione privilegiata della matematica nel-    . l'indagine conoscitiva, suoi vantaggi sulla logica,    89.    suoi vantaggi sulle scienze sperimentali. — Tali  vantaggi sono in fondo puramente apparenti, la im-    ‘ mutabilità della matematica è dovuta alla defini-    zione, l’apoditticità dei suoi giudizii è dovuta anche  alla posizione ipotetica di gran parte dei suoi prin-  cipii fondamentali. — Conclusione dei rapporti fra  logica e matematica nella teoria della conoscenza.    — Il procedimento ipotetico della matema-  Meo: è sie e e a    La dottrina di Leibniz sui principii fondamentali  della matematica. — Leibniz nega l’arbitrio nella  scelta di tali principii, ma ammette la natura ipo-  tetica di essi; funzione utilitaria di tali principii    come mezzi per aumentare il nostro patrimonio co- |    noscitivo. — I principii stessi danno luogo però a    proposizioni che non possono soddisfare esaurien-.    temente il nostro bisogno di sapere; essi, come le  verità da essi derivate, non possono vertere che su  di una realtà qualitativamente inferiore. — Legit-  timazione del dubbio conoscitivo del nostro pensiero  rispetto alle proposizioni matematiche. — Tale  dubbio sarà quello più particolarmente svolto nel  capitolo seguente.    CapitoLo III.  Il valore del giudizio matematico.    $ 10. — Il valore universale e necessario del giu-    dizio matematico . . . . . . Pag.    L’obbiezione fondamentale a quanto precede for-  mulata in base alla dottrina kantiana dell’apoditti-  cità del giudizio matematico. — La dottrina kan-  tiana è soltanto in parte in opposizione con quanto    197    198 Indice-sommario    sopra. — Il processo sostitutivo della matematica.  — Ffficacia scientifica di tale processo sostitutivo,  ma sua insufficienza logica.    $ 11. — Il valore convenzionale e relativo del giu-  dizio matematico. . . . . . . Pag. 105    I limiti in cui l’obbiezione basantesi sulla dot-  trina kantiana deve essere posta. — La metageo-  metria, sua importanza attuale, la metageometria  di fronte ai principii sintetici « a priori», la meta-  geometria e l’empirismo, la metageometria ammette  l’origine non sperimentale del principio matema-  tico. — Tale apriorismo è da essa considerato come  puramente convenzionale.    $ 12. — Concezione intermedia del valore del giu-  dizio matematico. . . . ..... >» 114    Saggio di una concezione intermedia fra l’incon-  dizionata universalità kantiana e l’ estremo relati-  vismo della metageometria nei riguardi del valore  del giudizio matematico. — Distinzione dei giudizii  matematici in due categorie: I categoria, verità  effettivamente evidenti e indimostrabili ; II categoria,  verità ipostasizzate come evidenti e indimostrabili.  — Kant intui tale distinzione, ma non ammise i  giudizi della I categoria fra i sintetici «a priori».    $ 13. — L'essere e il dover essere della matema-  tica... +. » 125    Tendenza di Kant a voler troppo specificare in  merito ai principii sintetici «a priori». — Il valore  incondizionatamente universale e necessario dei giu-  dizii matematici potrebbe ammettersi soltanto se i  principii fondamentali fossero tutti simili a quelli  posti qui nella I categoria. — L’incondizionata uni-  versalità e necessità del giudizio matematico come  Kant l’intende è il suo dover essere non il suo essere.    $ 14. — La funzione del postulato e il dover essere  della matematica . . .....» 136   La concezione di tale dover essere della mate-   matica non è arbitraria. — La posizione dei postu-   lati e la loro funzione provvisoriamente ipotetica.    Indice-sommario 199    A    CapitoLO IV.    L:a questione precedente trattata specificatamente  nei riguardi della geometria.    $ 15. — La III dimensione dello spazio. . Pag. 145    La questione dell’ identità fra la nostra naturale  intuizione spaziale e quella che è di base alla geo-  metria euclidea. — Tale identità è un presupposto  indispensabile nella. concezione kantiana della geo-  metria (Martinetti, Paulsen).    $ 16. — L’intuizione spaziale « a priori» e lo spazio  euclideo . . ..... 0... . » 149    Dobbiamo ammettere tale identità di spazio? — .  Aspetto psicologico e aspetto geometrico del pro-  blema. — Questo psicologicamente impostato non ci  dà affidamento di precisa soluzione (Berkeley, James,  Mach).    $ 17. — La teoria del Poincaré sulla III dimen  STONE <- . °°. 600. » 158    Maggior precisione e chiarezza déll’impostazione  geometrica del problema, la III dimensione della  nostra intuizione dello spazio. — La teoria del Poin-  caré riguardo alla III dimensione, che cosa s’in-  tende per III dimensione, continuo fisico e continuo  matematico.    $ 18. — Critica della teoria precedente . . . » 164    Critica della teoria del Poincaré sulla IIl dimen-  sione. — Al filosofo la teoria del Poincaré sulla III di-  mensione non dice nulla di nuovo. — Il criticismo  kantiano e l’idealismo gnoseologico avevano già in-  segnato che la III dimensione non riguarda la realtà  assoluta, ma soltanto una realtà relativa all’ uomo  nel mondo sensibile.    $ 19. — La possibilità di più geometrie basantesi  su di una stessa intuizione spaziale » 167  — L’ammissione della III dimensione nella nostra    200 Indice-sommario    naturale intuizione dello spazio non porta però alla  geometria euclidea come a conseguenza indispensa-  bile. — Importanza dell’osservazione per l’universa-  lità e necessità dei giudizii geometrici. — Ammissibi-  lità della realizzazione di una o più geometrie basate  tutte su di uno spazio a tre dimensioni e diverse  fra loro.    $ 20. — Conclusione . . . . .... . Pag. 170    APPENDICE.    La dottrina matematica di Kant  nell’interpretazione di matematici moderni.    Introduzione . . . ....... . +. Pag. 175    La discussione inerente al concetto che Kant aveva  della matematica. — I due aspetti fondamentali  della polemica, la metageometria, la logistica. —  Un terzo aspetto più generico della polemica me-  desima.    Metageometria . ........... >» 177    Le tre dimensioni dello spazio nella geometria  euclidea e nella dottrina geometrica kantiana; in-  sufficienza kantiana al riguardo, ma errata interpre-  tazione della sua dottrina delle dimensioni dello  spazio. — Come deve essere impostata la questione;  i due aspetti della questione medesima: psicofisio-  logico e geometrico. È l’intuizione spaziale della  sensibitità umana a tre dimensioni? Ciò ammesso:  è dessa identica a quella della geometria euclidea?  — L’innatezza contrapposta alla convenzionalità.    Logistica... .. 0.0. 6... » 180    Un più vasto campo di critica contro la dottrina  matematica di Kant presenta la logistica. — Che  cosa si propone la logistica. — Carattere arbitrario  di alcune affermazioni dei matematici logici. — La  riforma della logica e la riforma della matematica.  — Riforma della logica non può significare altro    Indice-sommario    che perfezionamento del metodo analitico o del  metodo sintetico o di entrambi. — Nessun'altra ri-  forma della logica è possibile.   La necessità dell’intuizione nel procedimento ma-  tematico, necessità negata dalla logistica. — Questo  è il punto in cui la logistica si mostra come l’in-  dirizzo più categorico nel respingere la concezione  che Kant ebbe della matematica.’ Accentrando in-  fatti la dottrina kantiana in questi tre punti essen-  ziali :   a) i principii fondamentali della matematica sono  «a priori»;   b) i giudizii matematici sono sintetici ;   c) la matematica procede per intuizione;  possiamo netare che soltanto la logistica li respinge  tutti e tre. |   Generalmente infatti l’intuizione è ammessa come  necessità di procedimento della grande maggioranza  dei matematici per quanto ha attinenza alla loro  disciplina. — Il diverso procedimento del filosofo  e del matematico dinanzi a un problema matema-  tico. — L'’intuizione resta in tutta la sua efficacia.   Alla stessa conclusione possiamo arrivare nei ri-  guardi dell'altro punto fondamentale della dottrina  matematica di Kant: il giudizio matematico è cioè  un giudizio sintetico. — La terminologia di Kant  non è sempre felice al riguardo.   Aspetto più generico viene ad assumere il pro-  blema intorno al terzo punto fondamentale : il pro-  blema cioè dell’ « a priori ». — Mentre l’intuizione  nel procedimento matematico è giustamente am-  messa da quasi tutti i matematici, il carattere sin-  tetico dei suoi giudizii è ammesso da ben pochi ma-  tematici e infine da nessun matematico moderno è  ammesso l’«a priori » dei principii fondamentali  come Kant l’intende. Già si è veduto nell’accenno  fatto alla metageometria a proposito della terza  dimensione dello spazio come la soluzione di essa  non può essere data che dalla sintesi metafisica della  collaborazione di matematici e psicologi. — Qui il  problema medesimo non è più limitato però alle  dimensioni dello spazio ma si estende anche ai prin-    2 Indice-sommario    cipii fondamentali della matematica : assiomi, postu-  lati, definizione. — Insufficienza tecnica di Kant  nei riguardi degli assiomi e postulati e di una loro  eventuale distinzione. — Tale insufficienza tecnica  non intacca però, in linea generale, il gran valore  della dottrina dell’« a priori » presa in senso più  vasto, ossia della necessità di un elemento non ri-  cavato dall'esperienza per poter conoscere.    Considerazioni generali. . . . . . . . Pag.    187    Torino - Fratelli BOCCA, Editori - Torino  ALPINOLO NATUCCI    IL CONCETTO DI NUMERO  E LE SUE ESTENSIONI    Studî storico-critici intorno ai fondamenti dell’ Aritmetica generale  con oltre 700 indicazioni bibliografiche.    SOMMARIO DELL’INDICE: I. Introduzione Storica. — II. Teorie Sintetiche. —  III. Teorie Analitiche. — IV. Teorie Logico-Formali. — YV. Critica e Meto-  dologia. — Nota bibliografica.    Un volume in-8°. . . .... . L. 40  Legato elegantemente in tela con fregi . L. 45    SCRITTI MATEMATICI  offerti ad ENRICO D’OVIDIO    in occasione del suo LXXV genetliaco    dai Professori: E. Almansi - G. Bernardi - M. Bottasso - F. Castellano - G. Castel-  nuovo - G. Fano - G. Fubini - F. Gerbaldi - G. Giambelli - N. Jadanza -  E. Laura - B. Levi - L. Lombardi - G. Loria : G. Peano - A. Pensa. - G. Sanna  - C. Segre - F. Severi - A. Terracini - E. G. Togliatti.  icati per cura di Francesco Gerbaldi e Gino Loria.    Un volume in-8° . . . ..... +. . L. 89    A. PASTORE    SOPRA LA TEORIA DELLA SCIENZA  (Logica - Matematica - Fisica).  Un volume in-12°. . . .... . L. 8    LOGICA FORMALE  dedotta dalla considerazione di modelli meccanici.  Un volume in-12° con 17 figure e 9 tavole L. 8    SILLOGISMO E PROPORZIONE    Contributo alla Teoria ed alla Storia della logica pura.  Un volume in-89. . . . . . . . L. 9,10    TUNZELMANN    LA TEORIA ELETTRICA  ED IL PROBLEMA DELL’ UNIVERSO    Un volume in-8° con illustrazioni . . L 28    puis HO a)    Prezzo IN Torino L. 12  NELIE ALTRE CITTÀ > 13 

No comments:

Post a Comment