Luigi Speranza --
Grice e Gracco: la ragione conversazionale e il concetto di stato -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Abstract. At
Oxford, a distinction was clearly made between those who were entitled to teach
Plato and Aristotle – as Austin, himself, and Hare were – from those who would
teach the minor schools, such as Il Portico! Keywords: il portico romano. Filosofo
italiano. A Roman statesman and reformer, a friend of Blossio di Cuma. He may
have followed the Porch himself. He was killed by a mob. He was influenced by
Blossio di Cuma. Console, combatte vittoriosamente contro
i Liguri; occupa inoltre la Sardegna. Suo figlio, magister equitum dopo la
battaglia di Canne, console, difende Cuma da un assalto d’Annibale. Prorogatogli
il comando, sconfisse Annone presso Benevento. Fu console; morì in un'imboscata
ordita da Magone. Padre dei famosi tribuni; partecipa con gli Scipioni alla
spedizione contro Antioco III; tribuno della plebe pose il veto all'arresto di
Lucio Scipione. Sposa Cornelia, figlia di Scipione l'Africano. Pretore, conduce
a termine la campagna contro i Celtiberi e celebra il trionfo. Console nel 177,
sbarcò con due legioni in Sardegna dov'era scoppiata una ribellione che egli
sedò spietatamente. Fu censore nel 169 e console per la seconda volta nel 163.
4. Tribuno della plebe (162-133 a. C.), figlio dell'omonimo console del 177 e
del 163, fratello maggiore di Gaio. Fu presente con il cognato Scipione
Emiliano alla caduta di Cartagine e si distinse nell'attacco finale. Fu
questore del console Ostilio Mancino nella guerra numantina, e quando
l'esercito cadde nelle mani del nemico si dovette a G. se si giunse alla
liberazione con un trattato che fu però rinnegato dal senato. Quando fu eletto
tribuno della plebe, egli aveva un preciso programma politico, mirante a
risolvere la crisi di cui soffriva lo stato romano dopo la sua rapida
espansione mediterranea. G. propose, con alcune attenuazioni, il rinnovamento
di una delle leggi attribuite dalla tradizione a Gaio Licinio Stolone e L.
Sestio (aggiornata), per cui le parti di ager publicus in possesso di privati
eccedenti i 500 iugeri (750 per chi avesse un figlio, 1000 per chi ne avesse
due o più) venivano rivendicate dallo stato (che ne era il proprietario) e di
stribuite in lotti ai cittadini poveri. L'aristocrazia si servì del collega di G.,
Ottavio, per porre il veto alla discussione della proposta. G., dopo aver
inutilmente cercato di venire a un accordo, propose ai comizî tributi la
destituzione del collega, accusandolo di abusare della carica. Destituito
Ottavio, fu votata la legge agraria e l'esecuzione fu affidata ai triumviri
agris iudicandis adsignandis (Tiberio e Caio Gracco, e il suocero Appio
Claudio): G. propone che con le ricchezze lasciate da Attalo III di Pergamo in
eredità al popolo romano si finanziasse l'attuazione della legge. Quando egli,
per assicurare tale attuazione, aspira al tribunato per l'anno seguente, ne
nacque l'accusa che volesse stabilire un regime tirannico. Alle elezioni, G.,
ostacolato in più modi dagli impedimenti giuridici sollevatigli contro dagli
avversarî, finì con lo scatenare i suoi seguaci. Rimane padrone dell'area del
tempio di Giove Capitolino, ma i senatori adunati in quello di Fides,
accusandolo di aspirare alla corona, guidati da Publio Scipione Nasica, seguiti
da cavalieri, schiavi e clienti, piombarono nel Foro e sgominarono i partigiani
di G.. Questi fu ucciso a bastonate e gettato nel Tevere. Tiberio
Sempronio G.Tribuno della plebe della Repubblica romana Nome originale Tiberius
Sempronius Gracchus Nascita 163 a.C. Roma Morte 132 a.C. Roma Gens Sempronia
Padre Tiberio Sempronio Gracco Madre Cornelia Questura 137 a.C. Tribunato della
plebe 133 a.C. Tiberio Sempronio Gracco (in latino Tiberius Sempronius Gracchus
pronuncia classica o restituta: [tɪˈbɛ.ri.ʊs sɛmˈproː.ni.ʊs ˈɡrak.kʰʊs]; Roma,
163 a.C. – Roma, 132 a.C.) è stato un politico romano della fazione dei
Populares, tribuno della plebe nel 133 a.C.. Durante il suo mandato fece
approvare una legge agraria che prevedeva il trasferimento della terra dai
ricchi patrizi al resto della popolazione. La forte opposizione del Senato,
della fazione degli Optimates e dei grandi proprietari terrieri, le cui
proprietà erano minacciate dalla riforma, sfocerà nel suo assassinio.
Biografia Figlio maggiore dell'omonimo Tiberio Sempronio Gracco di origine
plebea e di Cornelia, figlia di Publio Cornelio Scipione Africano, di antica
famiglia aristocratica, appartenne quindi all'oligarchia patrizio-plebea. Il
legame genealogico paterno con la gens plebea permette a Tiberio prima, a Gaio
poi, l'ascesa al tribunato (133 e 123 a.C.), quindi il primo contatto con
l'attività politica del senato. Poco più che fanciullo fece parte dei sacerdoti
auguri grazie anche all'approvazione dell'influente senatore Appio Claudio
Pulcro che poco più tardi gli diede in moglie la figlia Claudia, da cui non
ebbe nessun figlio. Nel 146 a.C. all'età di diciassette anni militò in Libia
sotto il comando del cognato Scipione Emiliano. Nove anni dopo, al suo ritorno
a Roma venne eletto questore e dovette partire per la guerra contro i Numantini
sotto il comando del console Gaio Ostilio Mancino. L'esito della guerra fu
disastroso e, una volta messi in fuga i Romani, i nemici si dichiararono
disposti a trattare soltanto con Tiberio, memori delle gesta del padre che in
passato era stato loro alleato. Accettò di trattare con i Numantini anche per
recuperare il diario e le tavole del suo ufficio di questore che erano state
rubate nel saccheggio successivo alla fuga romana. Tornato a Roma fu accusato e
biasimato per il suo gesto, ma il popolo e le famiglie dei soldati (20.000 vite
furono risparmiate) scampati al massacro lo acclamarono come un salvatore. La
reazione ostile venne proprio dalla compagine dei senatori per il fatto che i
romani uscirono piegati dalla presa di Numanzia e patteggiarono la pace. Il
senato rimandò a Numanzia Gaio Ostilio Mancino come prigioniero per causa di
disonore, in secondo luogo non ratificò la pace che Tiberio aveva formulato;
infine Scipione Emiliano fu inviato in terra numantina e nel 133 a.C. ottenne
il dominio della città[1]. Tribunato della plebe Lo stesso
argomento in dettaglio: Lex Sempronia e Lex Sempronia Agraria. Fu eletto
tribuno della plebe nel 133 a.C. e la sua prima vera iniziativa fu quella di
compilare una legge, la lex agraria, con l'aiuto del pontefice massimo Crasso e
del console Publio Muzio Scevola, per la redistribuzione delle terre del suolo
italico, usurpate dai ricchi ai più poveri e offerte ai forestieri per la
lavorazione (legge agraria). La legge limita l'occupazione delle terre dello
stato a 500 iugeri (125 ettari) e riassegnava le terre eccedenti ai contadini
in rovina. Una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per
ogni figlio, ma non più di 1 000; i terreni confiscati furono distribuiti in
modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5
ettari). Il provvedimento era sostenuto dal popolo anche attraverso
scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di Roma ma fu
ricusato sdegnosamente dai ricchi che tentarono inutilmente di incitare una
rivolta contro Tiberio. La legge fu approvata ma incontrò gravi difficoltà ad
esempio, molti italici, che erano rimasti sui terreni come affittuari, temevano
di perdere tutto con la legge di Tiberio, così come alcune comunità alleate di
Roma. Il dibattito sull'assegnazione delle terre era collegato alla questione
del diritto di cittadinanza: gli abitanti alleati avevano interessi a ottenere
gli stessi diritti dei cittadini romani. I possidenti si appoggiarono
allora ad un altro tribuno della plebe, il giovane Marco Ottavio, che accettò
di porre il veto alla legge agraria, così Tiberio minacciò di far revocare dai
comizi la nomina del suo collega, sostenendo che poteva essere deposto chi non
agiva nell'interesse della plebe. Tiberio, in risposta al veto, scrisse una
legge ancora più restrittiva per i possidenti terrieri e iniziò così una sfida
tra i due tribuni che quotidianamente si cimentavano in senato in dure sfide
oratorie. Tiberio pose a sua volta il veto a diverse proposte dei patrizi per
spingerli con l'ostruzionismo ad accettare la revoca. Con un nuovo editto
proibì ai magistrati di intraprendere affari sino alla votazione della legge e
questi come risposta si dimisero dalle loro cariche arrivando anche ad assoldare
sicari per far uccidere Tiberio. Eugène Guillaume, I Gracchi (Museo
d'Orsay) Il giorno nel quale il popolo fu chiamato a votare, i nemici di
Tiberio asportarono le urne creando gran tumulto, ma lo scontro fu evitato
anche grazie alla mediazione dei consolari Manlio e Fulvio che lo convinsero a
rimettersi al senato. La discussione in assemblea fu però infruttuosa e così
Tiberio fu costretto a proporre ufficialmente la destituzione di Ottavio che il
giorno dopo fu approvata dal concilio della plebe portando così anche
all'approvazione della legge; ma il clima era sempre infuocato e nonostante i
gesti distensivi di Tiberio nei confronti dell'avversario, Ottavio fu a fatica
sottratto dalle grinfie della folla inferocita. I comizi approvarono infine la legge
agraria. Sorvegliare l'equità della divisione spettò, oltre allo stesso
Tiberio, al suocero Claudio Pulcro (princeps del senato) e al fratello Gaio
Sempronio Gracco. Intanto l'opposizione dei più ricchi si faceva sempre più
estenuante e andava dal rifiuto di costruire un edificio pubblico preposto alla
causa della legge agraria fino all'avvelenamento di un amico di Tiberio.
Alla sua morte il re di Pergamo Attalo III Filopatore (133 a.C.) lasciò in
eredità le sue terre e le sue ricchezze al popolo romano. Tiberio propose che
il suo patrimonio fosse destinato all'acquisto di sementi e attrezzi agricoli
per i nuovi proprietari e che le nuove terre fossero anch'esse divise tra la
plebe. Intanto i suoi amici pensarono di farlo candidare nuovamente al tribunato
(andando contro la Lex Villia del 180 a.C.) e perciò doveva in tutti i modi
accattivarsi in maniera esponenziale i favori della plebe. Propose leggi
sull'abrogazione del servizio militare per lungo tempo, sulla concessione del
diritto all'appello contro tutti i magistrati e sull'ingresso in senato di un
maggior numero di cavalieri. Il giorno della votazione non disponeva però
della maggioranza ed i suoi alleati fecero ostruzionismo fino al rinvio
dell'assemblea al giorno dopo: Tiberio scoppiò a piangere per paura di
possibili attentati alla sua persona suscitando commozione nel popolo che si
offrì di sorvegliare la sua casa durante la notte. Assassinio La mattina
seguente al Campidoglio, dove era radunato il popolo per votare, c'era un tale
rumore che non si riusciva a parlare. Tiberio fu informato che i suoi nemici
avevano un piano per uccidere il console Muzio Scevola e negli sviluppi
dell'assemblea cominciò a diffondersi il panico, con i sostenitori di Tiberio
che impugnarono le lance per difendersi. L'omicidio di Tiberio
Gracco I nemici di Tiberio corsero al Senato e denunciarono il fatto,
accusandolo di voler essere re: il pontefice massimo, Publio Cornelio Scipione
Nasica Serapione, cugino per parte materna di Tiberio e capo degli Ottimati,
esortò i suoi a far rispettare la legge di Publicola e le XII tavole in maniera
sommaria, cioè mediante la formula del tumultus, e i suoi partigiani marciarono
armati fino al Campidoglio. Ne seguì una carneficina nella quale persero la
vita oltre trecento cittadini romani e tra loro lo stesso Tiberio, ucciso a
bastonate, forse per mano di Nasica stesso.[2] Il suo cadavere fu gettato nel
Tevere e i suoi amici condannati a morte o esiliati senza processo. Il
senato non si oppose però alla spartizione delle terre ed elesse come nuovo
esecutore il suo parente Publio Licinio Crasso Dive Muciano. Nasica fu
ripetutamente offeso e minacciato ed il senato decise di mandarlo in Asia per
precauzione. L'opera di Tiberio venne poi portata avanti dal fratello Gaio, che
realizzò molte leggi in favore della plebe, prima di cadere anche lui vittima
dei nemici politici. Gaio, memore della morte impunita del fratello, fece però
anche votare la Lex de provocatione, che vietava la condanna capitale di un
cittadino senza regolare processo ed eventuale ricorso alla provocatio ad
populum. Note ^ Nicolet, I Gracchi o Crisi Agraria e Rivoluzione Rumena,
1967 ^ Dizionario di storia, Treccani Bibliografia Plutarco, La vita di Tiberio
Gracco. Voci correlate Gaio Sempronio Gracco Gracchi Altri progetti Collabora a
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su Tiberio Sempronio Gracco Collegamenti esterni Gracco, Tiberio Sempronio, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Giuseppe Cardinali, GRACCO, Tiberio Sempronio, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1933. Modifica su
Wikidata Giuseppe Cardinali, GRACCO, Tiberio Sempronio, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1933. Modifica su Wikidata
Gracco, Tiberio Sempronio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Tiberius Sempronius Gracchus, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
(EN) Tiberio Sempronio Gracco, su comicvine.gamespot.com, GameSpot. Modifica su
Wikidata V · D · M Gens Cornelia Scipio V · D · M Plutarco Controllo di
autorità VIAF (EN) 27455503 · ISNI (EN) 0000 0000 8023 2354 · BAV 495/133333 ·
CERL cnp01259931 · LCCN (EN) n50037049 · GND (DE) 118541161 · BNE (ES)
XX1201377 (data) · J9U (EN, HE) 987007272209605171 Portale Antica
Roma Portale Biografie Portale Politica Categorie:
Politici romani del II secolo a.C.Nati nel 163 a.C.Morti nel 132 a.C.Nati a
Roma (città antica)Morti a Roma (città antica)SemproniiTribuni della
plebeAuguriPersone morte per linciaggioPolitici figli d'artePolitici
assassinatiNome compiuto: Tiberio Sempronio Gracco.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!: ossia, Grice e Gramsci:
FILOSOFO ALBANO, E ALBANESE -- NON
ITALIANO – FILOSOFO SARDO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale contro
Croce – partito socialista italiano – il comune – l’élite – Mosca -- filosofia
italiana – filosofia sardegna -- Luigi Speranza (Ales). Abstract. Grice never cared for ‘language’ much, as he
should! His concern was with that very English verb, ‘mean’. He later used it
against his pupil, Strawson, who would not distinguish between what Strawson
MEANT from other stuff – such as what Strawson SAID! Keywords: lingua. Filosofo
italiano. Filosofo sardo. Ales, Oristano,
Sardegna. Grice: “Some Italians don’t consider Gramsci Italian on account of
the fact that Gramsci is not an Italian last name!” Fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia,
divenendone esponente di primo piano e segretario, ma venne ristretto dal
regime fascista nel carcere di Turi. In seguito al grave deterioramento delle
sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in
clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Considerato uno dei più
importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della
tradizione filosofica marxista, analizza la struttura culturale e politica di
Italia. Elaborò in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le
classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a
tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un
senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle
subalterne. Gli antenati paterni derano originari della città di Gramshi
in Albania, e potrebbero essere giunti in Italia durante la diaspora albanese
causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento
il trisavolo G., sposato con Blajotta, possedeva a Plataci, comunità
‘’arbëreshë’’ del distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da G.. Questi
sposa Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci G., che intraprese
la carriera militare nella gendarmeria del Regno di Napoli e, quando era di
stanza a Gaeta, sposa Gonzales, figlia di un avvocato napoletano. Il loro
secondo figlio fu Francesco, il padre di G. Le origini albanesi sono conosciute
dallo stesso G., che tuttavia le immagina più recenti, come scrive alla cognata
Schucht dal carcere di Turi: «o stesso non ho alcuna razza; mio padre è di
origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra, ma si
italianizza rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente
questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due
mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco perché anche Crispi è
albanese, educato in un collegio albanese.” Ghilarza: casa museo Antonio
Gramsci Francesco era studente in legge quando morì il padre; dovendo trovare
subito un lavoro, partì per la Sardegna per impiegarsi nell'Ufficio del
registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava circa 2.200 abitanti,
conobbe Marcias, figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune
terre. La sposò malgrado l'opposizione dei familiari, rimasti in Campania, che
consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria dal punto
di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva studiato fino alla terza
elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro e, dopo che Francesco G. fu
trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta ed Emma. G. nasce secondo il registro
delle nascite dello stato civile del comune e registrato con i nomi di Antonio,
Francesco. Scondo il registro dei battesimi della parrocchia di San Pietro nasce
il giorno dopo, e viene registrato con i
nomi di Antonio, Sebastiano, Francesco. Il padre fu trasferito, come
gerente dell'Ufficio del Registro, a Sorgono e qui nacquero gli altri figli,
Mario, Teresina, e Carlo. Antonio si ammala del morbo di Pott, una tubercolosi
ossea che in pochi anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale
crescita: adulto, non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano
che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase
convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicate. Soffrendo di
emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre
comprò la bara e il vestito per la sepoltura. Il padre Francesco fu
arrestato, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e venne
condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8
mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta. Priva del sostegno dello
stipendio del padre, la famiglia trascorse anni di estrema miseria, che la
madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il
veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie. Proprio
per le sue delicate condizioni di salute G. comincia a frequentare la scuola
elementare soltanto a sette anni: la concluse ncon il massimo dei voti, ma la
situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate
precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica
lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al
mese l'equivalente di un chilo di pane al giornos muovendo «registri che
pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il
corpo». Grazie a un'amnistia, il padre anticipò di tre mesi la fine della
sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in un'assicurazione
agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu
riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove lavorò per il
resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali sacrifici, i genitori
poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio cdi Santu Lussurgiu, «un
piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia
tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi». Con tale preparazione
un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza ginnasiale a
Oristano e a iscriversi al Liceo classico Dettori di Cagliari, stando a
pensione, prima in un appartamento in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo,
in corso Vittorio Emanuele 149, insieme con il fratello Gennaro, il quale,
terminato il servizio di leva a Torino, lavorava per cento lire al mese in una
fabbrica di ghiaccio del capoluogo sardo. La modesta preparazione
ricevuta nel ginnasio si fece sentire, perché inizialmente G. nelle diverse
materie ottenne appena la sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del
resto, leggere e studiare erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva
distrazioni, non soltanto perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi
sacrifici, ma anche perché l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non
lo incoraggiava a frequentare né gli amici, né i locali pubblici. A scuola,
mostrò uno spiccato interesse per le discipline umanistiche e per lo studio
della storia, anche perché il cattivo insegnamento ricevuto in matematica gli
fece perdere l'interesse per la materia. Nel frattempo, il giovane G.,
iniziò a seguire le vicende politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in
Sardegna militante socialista, divenne cassiere della Camera del lavoro e
segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità di
materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che
il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di
pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali». Leggeva
anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Barrili e quelli di Deledda,
ma questi ultimi non li apprezzava, considerando folkloristica la visione che
della Sardegna aveva la scrittrice sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Prezzolini, Papini, Cecchi «ma in cima alle
sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di
custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e Salvemini». Alla fine
della seconda classe liceale, alla cattedra di lettere italiane del Liceo salì Garzia,
radicale e anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle
istanze sarde, rappresentate, in Parlamento da Cocco-Ortu, allora impegnato in
una dura opposizione al ministero di Luzzatti. G. instaurò con Garzia un buon
rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato ogni tanto a
visitare la redazione del giornale, ricevette la tessera di giornalista, con
l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico interesse. Ebbe la
soddisfazione di vedersi stampato il suo primo scritto pubblico, venticinque
righe di cronaca ironica su un fatto avvenuto nel paese di Aidomaggiore.
In un tema dell'ultimo anno di liceo, che ci è conservato, G. scriveva, tra
l'altro, che «Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà la
Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi;
ma non ha fatto che sostituire una classe all'altra nel dominio. Però ha
lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali,
essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate».
La sua concezione socialista, qui chiaramente espressa, va unita, in questo
periodo, all'adesione all'indipendentismo sardo, nel quale egli esprimeva, insieme
con la denuncia delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle
disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le classi privilegiate del continente,
fra le quali venivano compresi, secondo una polemica mentalità di origine
contadina, gli stessi operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i
lavoratori salariati. Poco dopo G. conoscerà da vicino la realtà operaia
di una grande città del Nord: il
conseguimento della licenza liceale con una buona votazione tutti otto e un
nove in italianogli prospetta la possibilità di continuare gli studi all'Università.
Il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli
studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio,
ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare Torino.
Fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a
Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo
55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100
avute da casa». Conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo
posto è uno studente genovese venuto da Sassari, Palmiro Togliatti. Si
iscrive alla Facoltà di Lettere, ma le settanta lire al mese non bastano
nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve
pagare venticinque lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora
Firenze 57, nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della luce,
della pulizia della biancheria, della carta e dell'inchiostro, e ci sono i
pasti«non meno di due lire alla più modesta trattoria»e la legna e il carbone
per il riscaldamento: privo anche di un cappotto, «la preoccupazione del freddo
non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i
piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima
gelata». Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte
sua, non se la passava di certo molto meglio. L'Università degli Studi di
Torino vantava professori di alto livello e di diversa formazione: Einaudi, Ruffini,
Manzini, Toesca, Loria, Solari e poi Bartoli, che si legò di amicizia con G.,
come fece anche l'incaricato di letteratura italiana Cosmo, contro il quale indirizzò però un
articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura esperienza in
carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia«serbo del Cosmo un ricordo
pieno di affetto e direi di venerazione era e credo sia tuttora di una grande
sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che
è propria dei grandi eruditi e studiosi»ricordando anche che, con questi e con
molti altri intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado
divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in
tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in
Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno
può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altro
si vuol dire. Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla
cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani. Si
ritrovò a casa per le elezioni politiche, dopo la fine della guerra italo-turca
contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia; votavano per la prima
volta anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni erano le stesse
delle elezioni precedenti. In Sardegna, il timore che l'allargamento della base
elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature di tutte le
forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il comune nemico
da battere. In quest'obiettivo, "sardisti" e "non-sardisti"
si trovarono d'accordo e deposero le vecchie polemiche. G. scrive di
quest'esperienza elettorale al compagno di studi Tasca, dirigente socialista
torinese, il quale affermò che G. «era stato molto colpito dalla trasformazione
prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle
elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro
della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece
definitivamente di G. un socialista». Tornò a Torino, andando ad
affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi
Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al
Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il rischio di
perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma di anemia
cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa
impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando,
né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un
furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu concesso di
recuperare gli esami nella sessione di primavera. Prese anche lezioni di filosofia
da Pastore, il quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente
crociano ma già mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi voleva
rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della
rivoluzione come fa il pensare a far agire come le idee diventano forze
pratiche». G. stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare
un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un
sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare
non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella
classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla
di piombo come il Sud Italia e generalmente considerato nel Nord che aveva le
sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento
socialista». L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte un lungo
periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito, fra i
quali erano Tasca, Togliatti, Terracini. “Uscivamo spesso dalle riunioni di
partito mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci continuavamo
le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti
risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno». Nell'Italia che
ha dichiarato la propria neutralità nella Prima guerra mondiale in
corsoneutralità affermata anche dal Partito socialistascrive per la prima volta
sul settimanale socialista torinese Il Grido del Popolo l'articolo Neutralità
attiva e operante in risposta a quello apparso il 18 ottobre sull'Avanti! di
Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante, senza
però poter comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora
importante e popolare esponente socialista. Sostenne quello che sarà, senza che lo sapesse ancora,
il suo ultimo esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente
con l'entrata in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione
torinese dell'Avanti!. Trascorse gran parte delle sue giornate all'ultimo
piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso
Siccardi (oggi Galileo Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la sezione
giovanile del partito socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo e del
foglio piemontese dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca
torinese, Sotto la Mole; in entrambi i giornali G. pubblicava di tutto, dai
commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di
partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle
recensioni dei libri alla critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto in
dieci anni di giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti
volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano
morire dopo la giornata» e di aver contribuito «molto prima di Tilgher» a
rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul Pirandello tanto da
mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le mie affermazioni
erano originali e senza esempio: Pirandello era o sopportato amabilmente o
apertamente deriso». Della commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse
che «è tutto uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii
discorsivi. I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di
fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella
loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro essere morale. È
questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie
della vita la smorfia, più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che
osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio
simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è
l'abitudine professionale più che visione sincera e spontanea», mentre
considerò Liolà «il prodotto migliore
dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a
spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per
partito preso troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a
sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria,
e di molta verbosità inutile». Il fu Mattia Pascal, secondo G., è una
sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica della
vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che si
riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo
corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare è una vita ingenua, rudemente sincera una
efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita
è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da
tutta la materia organica». Severo fu invece il giudizio sul Così è (se
vi pare): dalla tesi pseudo-logistica che la verità in sé non esista,
Pirandello «non ha saputo trarre dramma e neppure motivo a rappresentazione
viva e artistica di caratteri, di persone vive che abbiano un significato
fantastico, se non logico. I tre atti di Pirandello sono un semplice fatto di
letteratura [puro e semplice aggregato di parole che non creano né una verità
né un'immagine il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è
nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima
necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine
della dimostrazione logica». Rivolgendosi ai giovani, scrisse da solo il
numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città future. Qui mostra la
sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti
riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua
formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce,
superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo»scriverà«il concetto
di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e
io ero tendenzialmente crociano». Lo zar di Russia Nicola II è facilmente
rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee,
che chiedono pane e la fine dell'autocrazia: viene instaurato un moderato
governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i Soviet, forme di
rappresentanza su base popolare già creati nella precedente Rivoluzione russa
del 1905; le notizie giungono in Italia parziali e confuse: i quotidiani
«borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo di
democratizzazione in Russia, sull'esempio della grande Rivoluzione francese,
mentre G. è convinto che «la rivoluzione russa è un atto proletario ed essa
naturalmente deve sfociare nel regime socialista i rivoluzionari socialisti non possono essere
giacobini: essi in Russia hanno solo attualmente il compito di controllare che
gli organismi borghesi non facciano essi del giacobinismo». Con il ritorno in
Russia di Lenin, che pone subito il problema della pace immediata e della
consegna del potere ai Soviet, la lotta politica si radicalizza. G. è convinto
che Lenin abbia «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni
bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il
socialismo». G. nega esplicitamente la necessità dell'esistenza di condizioni
obiettive affinché una rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi
«sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il
pensiero rivoluzionario nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte
le esperienze intermedie tra la concezione del socialismo e la sua
realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e
integrale». È l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito
dopo la notizia del successo della Rivoluzione d'ottobre. Anche in Italia
la guerra interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di
mutilati, la penuria dei generi alimentari, la sconfitta di Caporetto e la
stessa eco provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a
Torino sfociarono in un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal
governo: oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città dichiarata zona di
guerra con la conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena
che colpirono non solo i diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche
gli elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della
sezione socialista, con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In
conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione
socialista torinese venne assunta da un comitato di dodici persone, del quale
fece parte anche G., il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del Popolo
che cesserà le pubblicazioni. I bolscevichi avevano preso il potere in Russia ma
per settimane in Europa giunsero solo notizie deformate, confuse e censurate,
finché l'edizione nazionale dell'Avanti! uscì con un editoriale dal titolo La
rivoluzione contro il Capitale, firmato da G.: «La rivoluzione dei bolscevichi
è materiata di ideologia più che di fatti essa è la rivoluzione contro il
Capitale di Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi,
più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che
in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si
instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse
neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua
rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare
gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto
svolgersi secondo i canoni del materialismo storico se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni
del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non
sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una
dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il
pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del
pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di
incrostazioni positivistiche e naturalistiche». In realtà Marx, almeno negli
ultimi anni, non aveva escluso che un Paese arretrato potesse giungere al
socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico: ma qui interessa rilevare
tanto la visione di G. ancora idealistica, volontaristica, dell'azione
politica, quanto la critica che di fatto G. rivolgeva ai dirigenti socialisti
europei, e italiani in particolare, di concepire lo sviluppo storico in modo
meccanicistico. Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti
torinesi del partito, G. lavora unicamente all'edizione piemontese
dell'Avanti!, che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni
giovani colleghi: Amoretti, Leonetti, Montagnana, Platone; ma egli e altri
giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e Terracini, intendevano
ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione russa, esigenze nuove
nell'attività politica, che non sentivano rappresentate dalla Direzione
nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre
riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura
proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un
orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando
pareva immediato il cataclisma della società italiana». Uscì il primo numero
dell'Ordine nuovo con G. segretario di redazione e animatore della
rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il programma fu
l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga aspirazione ai problemi
concreti nessuna idea centrale, nessuna organizzazione intima del materiale
letterario pubblicato» Tasca intendeva farne una pubblicazione culturale: «per
"cultura" intendeva "ricordare", non intendeva
"pensare", e intendeva "ricordare" cose fruste, cose
logore, la paccottiglia del pensiero operaio fu una rassegna di cultura
astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline
orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei
suoi primi numeri». G. intende invece definirlo su posizioni nettamente
operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle
fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica,
sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato
redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente
nel n. 7 della rassegna il problema dello sviluppo della commissione interna
divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso posto
come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema della
"libertà" proletaria. L'Ordine nuovo divenne, per noi e per quanti ci
seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono
l'Ordine nuovo perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se
stessi, la parte migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli
dell'Ordine nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore:
"Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?".
Perché gli articoli dell'Ordine nuovo non erano fredde architetture
intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori,
elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali». Diversamente dalle
Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano
elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano
essere eletti indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel progetto
degli ordinovisti, non tanto occuparsi dei consueti problemi sindacali, ma
porsi problemi politici, fino al problema della stessa organizzazione, della
gestione operaia della fabbrica, sostituendosi al capitalista: nel s, alla FIAT
furono eletti i primi Consigli. La Confindustria, nella sua Conferenza
nazionale, espresse chiaramente «la necessità che la borghesia del lavoro
attinga in se stessa il mezzo per un'energica azione contro deviazioni e
illusioni» e il 20 marzo i tre maggiori industriali torinesi, Olivetti, De
Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei la loro volontà di ricorrere
all'arma della serrata delle fabbriche contro «l'indisciplina e le continue
esorbitanti pretese degli operai». Così quando in occasione di una controversia
sindacale nelle Industrie Metallurgiche tre membri delle commissioni interne
furono licenziati e gli operai protestarono con lo sciopero, l'Associazione
degli industriali metalmeccanici rispose con la serrata di tutte le fabbriche
torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero generale proclamato a Torino e in alcune province piemontesi, mentre il
governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi degli
ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno nei
maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli operai
furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto nulla. Lo
sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma anche per l'isolamento in
cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti riformisti, contrari alla
costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito socialista lasciarono i
lavoratori torinesi; l'8 maggio G. pubblicò sull'Ordine Nuovo una sua
relazione, approvata dalla Federazione torinese, che denunciava l'inefficienza
e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che era matura la trasformazione
dell'«ordine attuale di produzione e di distribuzione» in un nuovo ordine che
desse «alla classe degli operai industriali e agricoli il potere di iniziativa
nella produzione», alla quale si opponevano gli industriali e i proprietari
terrieri, appoggiati dallo Stato, G. rilevava che «le forze operaie e contadine
mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli
organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non comprendere
assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e
internazionale attraversa nell'attuale periodo il Partito socialista assiste da
spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere
non lancia parole d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un
indirizzo generale, unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria il Partito
socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna, un mero partito
parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia
borghese». Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la mancanza di
omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere
presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III
Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non
ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà
nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono
fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito
per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali se il Partito non
realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un
mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia
istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze
anarchiche ». Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di
educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale,
dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni
dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!.
Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste:
«valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto,
secondo G., che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e
distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito
del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società
comunista i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito ogni
avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente
commentata per trarne argomenti di propaganda comunista e di educazione delle
coscienze rivoluzionarie le sezioni devono promuovere in tutte le fabbriche,
nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la costituzione di gruppi
comunisti l'esistenza di un Partito comunista coeso e fortemente disciplinato
[.è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi
esperimento di Soviet il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la
conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito ». La
risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti
l'allontanamento dei riformisti, venne disattesa dal Partito Socialista
Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli
ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale, alla
quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna, i vecchi dirigenti del
partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi
nel dopoguerra. In Italia, le rivendicazioni salariali, rese necessarie
dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso gli
industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito della serrata dell'Alfa
Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la FIOM appoggiò l'iniziativa,
ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche d'Italia, con la
speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse l'intervento del governo a
favore di una soluzione delle trattative. All'inizio di settembre tutte le
maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo milione di operai, parte
dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla FIAT di Torino, tuttavia,
ci fu una novità: dell'ufficio di Agnelli prese possesso l'operaio comunista
Giovanni Parodi e i Consigli di fabbrica decisero di continuare la produzione,
per dimostrare che una grande fabbrica poteva funzionare anche in assenza del
proprietario. Giolitti Di fronte alla neutralità del governo
Giolitti e alla decisione della Confindustria di non cedere, il 10 settembre,
nell'assemblea milanese che vide riuniti i dirigenti del Partito socialista e
della Camera del Lavoro, questi ultimi si dimisero lasciando la gestione della
difficile situazione al Partito, che tuttavia non aveva alcuna intenzione di
prolungare l'agitazione: la proposta estrema dell'allargamento delle
occupazioni a tutte le fabbriche del paese e alle campagne fu respinta dalla
maggioranza dei rappresentanti. Un accordo salariale raggiunto con la
mediazione di Giolitti pose termine, alla fine di settembre, alle occupazioni
delle fabbriche. Quell'esperienza dimostrò tanto la mancanza di una
strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione degli stessi operai
a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano organizzazione e
disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del Partito socialista, G.
scrisse che «la costituzione del Partito comunista crea le condizioni per
intensificare e approfondire l'opera nostra: liberati dal peso morto degli
scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili, liberati dall'assillo di
dover continuamente, nel seno del Partito, lottare contro i riformisti e gli
opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di dover analizzare e
criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro fraseologia pseudo-rivoluzionaria,
noi potremo dedicarci interamente al lavoro positivo, all'espansione del nostro
programma di rinnovamento, di organizzazione, di risveglio delle coscienze e
delle volontà». NSi riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione
di un partito comunista e Bordiga, Repossi, Fortichiari, G., Bombacci, Misiano e Terracini costituirono il Comitato
provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista. La
fondazione del Partito comunista Il congresso di Livorno La scissione si
realizzò, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del «Partito
Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale». Il comitato centrale
fu composto dagli astensionisti (Bordiga, Grieco, Parodi, Sessa, Tarsia e
Fortichiari), dagli ex-massimalisti (Bombacci, Belloni, Gennari, Misiano,
Marabini, Repossi e Polano) e dagli ordinovisti G. e Terracini. Diresse
l'Ordine nuovo, divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il
Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti.
Non venne eletto deputato alle elezioni: G. non ha capacità oratorie, è ancora
giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento
di molti elettori. Alla fine di maggio partì per Mosca, designato a
rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista.
Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per malattie
nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa, Schucht, membro del Partito,
figlia di Apollon Schucht, dirigente del Pcus e amico personale di Lenin, che
aveva vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Julka che, violinista, aveva abitato diversi anni a
Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia. Giulia, ventiseienne, è
bella, alta, ha un aspetto romantico; G. ne è conquistato: ricorderà «il primo
giorno che non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito al
giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada
attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare
tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo
grande e terribile ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi
hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso
cattivo e torbido. E quell'immagine di
lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di
distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco
d'argento ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto
a lungo a vederti allontanare così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi
brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così
pittoresca». Si sposano e avranno due figli, Delio e Giuliano. Il figlio di
quest'ultimo porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica la musica
medievale. Giulia membro della OGPU, il servizio di Sicurezza sovietico. La
moglie di G e i figli Delio e Giuliano A differenza di Bordiga, tutto inteso a
salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò contrario a
qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato, G. guardava
anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando le
contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che potevano
rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale cattolico di
Miglioli e l'intellettualità progressista liberale di cui Piero Gobetti è
allora tra i maggiori rappresentanti. Tuttavia nei suoi scritti fino al 1926
ribadisce che l'obiettivo finale era la eliminazione dello stato borghese e la
dittatura del proletariato e anche nei suoi scritti successivi non si
riscontrano critiche al regime sovietico. Nel III Congresso dell'Internazionale
comunista, di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria rappresentata dalle
sconfitte delle esperienze comuniste in Germania e in Ungheria, si decise la
tattica del fronte unito con la socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei
dirigenti comunisti italiani si oppose, elaborando le Tesi di Roma, base
programmatica del II Congresso del Partito, tenuto a Roma. G. vi adere ma scrive
di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse erano presentate come una
opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale comunista] e non come un
indirizzo di azione. Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al
suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa
concessione senza nuove crisi e nuove minacce di scissione nel seno del nostro
movimento». Nel IV Congresso dell'Internazionale, di fronte all'avvento al
potere di Mussolini, ai delegati comunisti italiani fu posta con ancora maggior
forza la necessità di fondersi con corrente socialista degli internazionalisti,
capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, e di costituire un nuovo Esecutivo,
mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Lo stesso
Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia e, a Milano, furono incarcerati
anche i rappresentanti del nuovo Esecutivo: G. resta così il massimo dirigente
del Partito e si trasferì a Vienna per seguire più da vicino la situazione
italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di
Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci
obbliga a prospettarci il problema di costruire il partito ed il centro di esso
anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non
dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara,
leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza». Uscì
a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo
marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale,
da lui scelto, venne giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la
classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità
del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta
contro il fascismo. Alle elezioni venne eletto deputato al parlamento, potendo
così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare. Quello stesso mese,
nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle
Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di
un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti
e inni a Mussolini, mentre, a parte, discutevano dei problemi del
partito. Nel convegno si affrontò il caso Bordiga, il quale aveva
rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza
dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze
politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre
correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di G. e
Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande
maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il
rivoluzionario napoletano godeva nel Partito. Il 10 giugno un gruppo di
fascisti rapì e uccise il deputato socialista Matteotti; sembrò allora che il
fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni
percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la linea
sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione
dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Monarchia, che non
venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi
ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. G. avanza al «Comitato dei
sedici»il nucleo dirigente dei gruppi aventinianila proposta di proclamare lo
sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal
«Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo G., non aveva alcuna
volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e
quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione». Giacomo Matteotti
Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, G. crede che la caduta del
regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo non è
riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle
classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa crisi
consiste nella rovina della piccola e media azienda il monopolio del credito,
il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola
impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si
è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia. L'apparato
industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un
abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione
dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro. La disgregazione sociale e
politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa
nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza
nella zona industriale. Le elezioni del 6 aprile segnarono l'inizio di quella
ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio
dell'on. Matteotti le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni
un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel
Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista si
ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la
maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le
opposizioni e l'assassinio del deputato unitario”. “Il delitto Matteotti dette
la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un
normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del
dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento
della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare
alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che
nell'ordine dei Cromwell, dei Bolívar, dei Garibaldi». S'ingannava, perché
l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in
cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i
fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una
delle tante viene aggredito anche Gobetti. E quando il militante comunista
Corvi uccide in un tram il DEPUTATO FASCISTA Casalini, per vendicare la morte
di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il 20 ottobre G. propose vanamente
che l'opposizione aventiniana si costituisca in Antiparlamento, in modo da
segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli
fascisti; ipartì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del
partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che
non avrebbe più rivisto. Il deputato comunista Repossi rientrò in Parlamento,
dove sedevano solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare
Matteotti a nome di tutto il suo partito; vi rientrò anche tutto il gruppo
parlamentare comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il quotidiano
di Amendola Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Rossi, già capo ufficio
stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è
successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la
complicità del duce» e MUSSOLINI, in un discorso rimasto famoso, a confermare
quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la
responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il
via a una nuova azione repressiva. In febbraio G. anda a Mosca, per stare
con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia tenne
il suo primoe unicodiscorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito MUSSOLINI,
ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo che «è
divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e
ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero. Conosciamo quel viso: conosciamo
quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro
ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato.
Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia. MUSSOLINI è il tipo
concentrato del PICCOLO BORGHESE ITALIANO, rabbioso, feroce impasto di tutti i
detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli
stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il
dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica».
Con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un
disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti:
continuamente interrotto, G. respinse il pretesto che il governo si era dato,
«perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una
tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di
grandi organizzazioni operaie e contadine». E ironizzando: Qualche
fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri,
di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa
rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere,
senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la parte
migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida perversione
degli insegnamenti marxisti». Conclude: «Voi potete conquistare lo Stato,
potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di
esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere
sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete
che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin
oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire
al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze
rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno
non riuscirà a realizzarsi». Si svolse clandestinamente a Lione il III
Congresso del Partito. Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori
responsabili, Bordiga, G., Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: vi
era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era
stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale,
Humbert-Droz. G. presentò le Tesi congressuali elaborate insieme con Togliatti.
Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in
Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari
fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della
popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata
rispetto alla PICCOLA BORGHESIA URBANA e rurale, che ha interessi
differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come l'unico elemento che per la sua
natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società.» Secondo
G. il fascismo non è, come invece ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la
classe dominante, ma è il frutto politico della piccola borghesia urbana e
della reazione degli agrari che ha consegnato il potere alla grande borghesia,
e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte
delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli
elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia
permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione
rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali
idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i
contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito anda bolscevizzato, ossia
organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una "disciplina di
ferro" negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle
frazioni. Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il
90%) ed elesse il Comitato centrale con G segretario del Partito. Da allora, la
sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel Partito. Le
Tesi di Lione, realizzate da G., ribadirono con una certa durezza le posizioni
del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua base sociale, per
gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua ideologia e la sua
funzione politica cui adempie, deve essere considerata non come un'ala destra
del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della borghesia e come tale deve
essere smascherata». In questa relazione venne sviluppata la cosiddetta
bolscevizzazione del partito: «spetti al partito russo una funzione
predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale communista. La
organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni momento della vita
del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal Comitato centrale
non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di ferro deve
regnare nelle sue file. La centralizzazione e la compattezza del partito
esigono che non esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali assumano
carattere di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo
profondamente dai partiti socialdemocratici».Tornato a Romada via Vesalio si
era trasferito in via Morgagni ebbe il tempo di passare alcuni mesi con la
famigliala moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e
Tatianache abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le
squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto
Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i
familiari in loro possibili aggressioni; a Firenze, era stato ucciso
l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di G. era stata messa a
soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti dell'opposizione
antifascista prendevano la via dell'emigrazione Gobetti, che muore ia Parigi,
in conseguenza delle bastonate squadriste, Amendola, Salveminiun processo farsa
condanna a una pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal
capo-squadrista Roberto Farinacci. La moglie Giulia, che aspettava il
secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia e il mese dopo fu la volta della
cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio Delio: G. non l'avrebbe più
rivisto. Giustino Fortunato Elaborando temi già affrontati nelle
Tesi di Lione, in settembre G. iniziò a scrivere un saggio sulla questione
meridionale, intitolato Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui
analizzò il periodo dello sviluppo politico italiano dai moti dei contadini
siciliani, seguito dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo
Di Rudinì. Secondo G., la borghesia italiana, impersonata politicamente da
Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini
meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze
agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di
bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con
la conseguente scelta del protezionismo doganale, unita a concessione di
libertà sindacali. Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia,
manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un
accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora di
perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza
borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la
classe operaia. La società meridionale, secondo G., è costituita da tre
classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente
inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla
quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come
impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e
fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe,
costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono
alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Croce
e di Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori
della conservazione di questo blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per G., i
reazionari più operosi della penisola, «le chiavi di volta del sistema
meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione
italiana». Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un
ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due
classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il
proletariato urbano. Tuttavia G. non ha un'opinione positiva sui contadini, scrisse:
«Il solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è l'operaio
industriale, rappresentato dal nostro partito» «Non ho mai voluto mutare le mie
opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in
prigione vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo
fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono
dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e
la loro dignità di uomini» (Antonio G., Lettera alla madre) In Unione
Sovietica è in corso la lotta fra la maggioranza di Stalin e Bucharin e la
minoranza di sinistra del Partito comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev e
Kamenev, che critica la politica della NEP, la quale favorisce i contadini
ricchi a svantaggio degli operai, e la rinuncia alla rivoluzione socialista
mondiale attraverso la costruzione del «socialismo in un solo paese» che
porterebbe all'involuzione del movimento rivoluzionario. Il dissidio, che porta
all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era
fatto sempre più aspro con la costituzione in frazione della minoranza e si era
esteso anche all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una
scissione. Il New York Times, forse su ispirazione di Trotsky, pubblicava il
testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul carattere di Stalin e sul
pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di segretario del
Partito gli concedeva. Su incarico dell'Ufficio politico, G. scrisse a metà
ottobre una lettera al Comitato centrale del Partito sovietico. Egli si mostra
preoccupato per l'acutezza delle polemiche che potrebbero portare a una
scissione che «può avere le più gravi ripercussioni, non solo se la minoranza
di opposizione non accetta con la massima lealtà i principi fondamentali della
disciplina rivoluzionaria di Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua
lotta, oltrepassa certi limiti che sono superiori a tutte le democrazie
formali». Riconosciuto ai dirigenti sovietici il merito di essere stati
«l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i
paesi», li rimprovera di star «distruggendo l'opera vostra, voi degradate e
correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il partito comunista
dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin: ci pare che la passione
violenta delle quistioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti
internazionali delle quistioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri
doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro
degli interessi del proletariato internazionale. Nel merito del fondamento del
contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS,
ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata» G. appoggia
la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della demagogia su
questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è stata messa nei
termini dello spirito corporativo e non in quelli del leninismo, della dottrina
dell'egemonia del proletariato è in questo elemento la radice degli errori del
blocco delle opposizioni e l'origine dei pericoli latenti che nella sua
attività sono contenuti. Nella ideologia e nella pratica del blocco delle
opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della socialdemocrazia e del
sindacalismo che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi
in classe dirigente». G, conclude esortando all'unità: «I compagni
Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci per la
rivoluzione sono stati tra i nostri maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo
come ai maggiori responsabili dell'attuale situazione perché vogliamo essere
sicuri che la maggioranza del comitato centrale del partito comunista dell'URSS
non intenda stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure
eccessive. L'untà del nostro partito fratello di Russia è necessaria per lo
sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie mondiali; a questa necessità
ogni comunista e internazionalista deve essere disposto a fare maggiori
sacrifizi. I danni di un errore compiuto dal partito unito sono facilmente
superabili; i danni di una scissione o di una prolungata condizione di
scissione latente possono essere irreparabili e mortali». Togliatti, allora a
Mosca quale rappresentante italiano all'Internazionale, criticò le ultime
considerazioni che ripartivano, seppure in modo diseguale, le responsabilità
delle due fazioni, credendo ancora nella illusoria possibilità di una
compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo avviso, invece, «d'ora in poi
l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente
realizzata in modo continuo». Non ci sarà tempo e occasione per approfondire la
questione: lo stesso giorno in cui il Comitato centrale comunista doveva
riunirsi clandestinamente a Genova, MUSSOLINI subì a Bologna un attentato senza
conseguenze personali, che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire
il convegno. L'attentato Zamboni costituì il pretesto per l'eliminazione degli
ultimi, minimi residui di democrazia. Il governo sciolse i partiti politici di
opposizione e soppresse la libertà di stampa. In violazione dell'immunità
parlamentare, G. venne ARRESTATO NELLA SUA CASA e rinchiuso nel carcere di
Regina Coeli. Il giorno successivo è dichiarato decaduto, insieme agl’altri
deputati aventiniani. Dopo un periodo di confino a Ustica, dove ritrova, tra
gli altri, Bordiga, è detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui riceve la
visita del fratello Mario, le cui scelte politiche sono state opposte alle
suegià federale di Varese, ora si occupa di commercio e, soprattutto, quella
della cognata, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile, in
contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano difficoltà
a montare su di lui accuse credibili: è anche fatto avvicinare da due agenti
provocatori prima un tale Romani e poi un certo Melanima senza successo. Il
processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Terracini, Scoccimarro e
Roveda, inizia finalmente a Roma. MUSSOLINI ha istituito il TRIBUNALE SPECIALE
FASCISTA. Presidente è un generale, Saporiti, giurati sono cinque consoli della
milizia fascista, relatore l'avvocato Buccafurri e accusatore l'avvocato Isgrò,
tutti in uniforme. Intorno all'aula, un doppio cordone di militi in elmetto
nero, il pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna G. è ACCUSATO
D’ATTIVITÀ COSPIRATIVA, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e
incitamento all'odio di classe. Il pubblico ministero Isgrò conclude la sua
requisitoria con una frase rimasta famosa. Bisogna impedire a questo cervello
di funzionare; e infatti G. venne condannato a la reclusione. Raggiunse il
carcere di Turi, in provincia di Bari. Fin da quando si trova in carcere a
Milano, è intenzionato a occuparsi intensamente e sistematicamente di qualche
soggetto che lo assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore. Il detenuto
7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e inizia la stesura dei suoi
quaderni del carcere. Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di
argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora
svolti solo in parte. Caratteristico è il suo modo di lavorare. Quasi tutti i
giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, riflette sulle
frasi da scrivere e poi si china sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un
ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare. A
fare da tramite tra G. e il mondo esterno, e in particolare con SRAFFA e
tramite questi col Pcus e il PCd'I, è la cognata Schucht, essendo la moglie di
G. tornata in Unione Sovietica. Intanto, il Congresso dell'Internazionale
comunista, tenutosi a Mosca aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la
social-democrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso fascismo. Era la tesi
di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di Trockij, eliminava anche
l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la sinistra di Trockij, era
rimasto il suo principale oppositore da destra. Al nuovo orientamento
dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo ndovevano
adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti. Il
Partito comunista d'Italia si adegua alle scelte dell'Internazionale,
espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma con l'accusa di
trotskismo, prima, iBordiga, poi, ifu la volta di Leonetti, Tresso e Ravazzoli.
Teneva, durante l'ora d'aria, dei "colloqui-lezioni" con i compagni
di partito: non esistono dirette testimonianze delle opinioni espresse da G.
riguardo alla «svolta» politica del movimento comunista, ma può costituire un
indiretto riferimento un rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa,
amnistiato, inviò subito al Centro estero comunista. Secondo quella relazione, riferì
la teoria della necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini
meridionali che già stava elaborando nei suoi Quaderni: «L'azione per la
conquista degli alleati diviene per il proletariato cosa estremamente delicata
e difficile. D'altra parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al
proletariato ogni serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il
proletariatola classe operaiadebba allearsi con i contadini e la piccola borghesia:
«Se si tiene conto delle particolari condizioni nei limiti delle quali va visto
il grado di sviluppo politico degli strati contadini e piccoli borghesi in
Italia, è facile comprendere come la conquista di questi strati sociali
comporti per il partito una particolare azione. La lotta per la conquista
diretta del potere è un passo al quale questi strati sociali potranno solo
accedere per gradi il primo passo attraverso il quale bisogna condurre questi
strati sociali è quello che li porti a pronunciarsi sul problema istituzionale
e costituzionale. L'inutilità della Monarchia è ormai compresa da tutti i
lavoratori a questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito senza
tema di apparire poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti
in lotta contro il fascismo la parola d'ordine della Costituente». Ma l'azione
del partito deve essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma
pacifica dimostrando alla classe lavoratrice come la sola soluzione possibile
in Italia risieda nella rivoluzione proletaria». La richiesta di una
Costituente, e dunque di un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi
intermedi, avrebbe comportato necessariamente una convergenza, per quanto
temporanea, con altre forze antifasciste, e se è difficile considerare tale
linea politica come «social-democratica», durante le discussioni nel cortile
del carcere qualche suo compagno arrivò a sostenere che egli era ormai fuori
del Partito comunista. Probabilmente le reazioni di alcuni erano esasperate dal
clima di detenzione» ma certo le posizioni dovevano apparire in contrasto con
la linea politica indicata in quegli anni dal Partito comunista. È in questo
periodo chevenne a contatto con Pertini, esponente del PSI e detenuto anch'egli
alla Casa Penale di Turi. I due, nonostante i pensieri politici differenti,
divennero grandi amici e Pertini, anche dopo la scarcerazione, ricordò spesso
nei suoi discorsi il compagno di prigionia e le tristi condizioni di salute che
lo stroncavano. G., oltre al morbo di Pott di cui soffriva fin dall'infanzia,
fu colpito da arteriosclerosi e poté così ottenere una cella individuale; cerca
di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni
politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute
continuarono a peggiorare e in agosto ha un'improvvisa e grave
emorragia. Anche la moglie, in Russia, è sofferente di una seria forma di
depressione e rare sono le sue lettere al marito che, all'oscuro dei motivi dei
suoi lunghi silenzi, sente crescere intorno a sé il senso di un opprimente isolamento.
Scrive alla cognata: Non credere che il sentimento di essere personalmente
isolato mi getti nella disperazione io non ho mai sentito il bisogno di un
apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita tanto meno
oggi, quando sento che le mie forze volitive hanno acquistato un più alto grado
di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso
di sentirmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la
grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà. Quando la madre muore, i
familiari preferirono non informarlo. Ha una seconda grave crisi, con
allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo
immediato futuro. Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con
l'intelligenza e ottimista con la volontà. Oggi non penso più così. Ciò non
vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non
vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di
forze. Eppure lo stesso codice penale dell'epoca, all'art. 176, prevede la
concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di
salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri,
Rolland e Barbusse, per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici,
ma venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi nella
clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e all'esterno. MUSSOLINI
accolge finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma G. non rimane
libero nei suoi movimenti, tanto che gli è impedito di andare a curarsi
altrove, perché il governo teme una sua fuga all'estero. Solo il poté essere
trasferito nella clinica Quisisana di Roma, dove giunge in gravi condizioni,
poiché oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffre di ipertensione e di
gotta. Passa dalla libertà condizionata alla PIENA LIBERTÀ, ma era ormai
in gravissime condizioni. Muore d’emorragia cerebrale, nella stessa clinica
Quisisana. Il giorno seguente la cremazione si svolsero i funerali, cui
parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana. Le ceneri,
inumate nel cimitero del Verano, sono trasferite nel cimitero acattolico di
Roma, nel campo Cestio. I quaderni del carcere, non destinati da G. alla
pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione.
Sono definitivamente interrotti a causa della gravità delle sue condizioni di
salute. Sono numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata Schucht,
che li affida all'Ambasciata sovietica a Roma da dove sono inviati a Mosca e,
successivamente, consegue Togliatti. Dopo la fine della guerra i quaderni,
curati dal dirigente comunista Platone sotto la supervisione di Togliatti, sono
pubblicati dall'editore Einaudi unitamente alle sue Lettere dal carcere
indirizzate ai familiarii in volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i
titoli “Il materialismo storico e la filosofia di Croce”; “Gli intellettuali e l'organizzazione della
cultura”; “Il Risorgimento”; “Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo
Stato moderno”; “Letteratura e vita nazionale”; “Passato e presente”. I quaderni sono pubblicati Gerratana secondo
l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono stati raccolti in volume
anche tutti i saggi scritti da G. nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne
L'Ordine Nuovo. Conquistare la maggioranza politica di un Paese vuol dire
che le forze sociali, che di tale maggioranza sono espressione, dirigono la
politica di quel determinato paese e dominano le forze sociali che a tale
politica si oppongono: significa ottenere l'egemonia. Vi è distinzione
fra direzione egemonia intellettuale e morale e dominio esercizio della forza
repressive. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a
liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi
affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima
di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali
per la stessa conquista del potere. Dopo, quando esercita il potere ed anche se
lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere
anche dirigente. La crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo
il proprio dominio, le classi sociali politicamente dominanti non riescono più
a essere dirigenti di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i
problemi di tutta la collettività e a imporre la propria concezione del mondo.
A quel punto, la classe sociale sub-alterna, se riesce a indicare concrete
soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare
dirigente e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati
sociali, può creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze
sociali, divenendo “egemone.” Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un
momento rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della sovra-struttura
in senso marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa
nella società nel suo complesso investendo anche la struttura economica, e
dunque tutto il «blocco storico», termine che indica l'insieme della struttura
e della sovra-struttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i loro
riflessi ideologici. Analizzando la storia di Italia e il Risorgimento in
particolare, rileva che la classe popolare non trova un proprio spazio politico
e una propria identità, poiché la politica dei liberali di Cavour concepì l'unità
nazionale come un allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della
dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia. Rritiene
che l'azione della borghesia avrebbe potuto assumere un carattere
rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di vaste masse popolari, in
particolare dei contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione.
Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette nel non essere
capeggiata da un partito giacobino, come in Francia, dove le campagne,
appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta delle forze della
reazione aristocratica. Il partito politico italiano allora più avanzato è
il Partito d'Azione di Mazzini e Garibaldi, che non seppe impostare il problema
dell'alleanza delle forze borghesi progressive con la classe contadina. Garibaldi
in Sicilia distribuì le terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini
repressero le rivolte contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare
l'egemonia contro i moderati guidati dal liberale Cavour, il Partito d'Azione
avrebbe dovuto legarsi alle masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino
specialmente per il contenuto economico-sociale. Il collegamento delle diverse
classi rurali che si realizza in un blocco reazionario attraverso i diversi
ceti intellettuali legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire
ad una nuova formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due
direzioni: sui contadini di base, accettandone le rivendicazione di base e
sugli intellettuali degli strati medi e inferiori». Al contrario, i cavourriani
liberali seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo
tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché
i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che
erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi
rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso
fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud. Il Piemonte assunse
la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe
dirigente favorevoli all'unificazione. Questi nuclei non volevano dirigere
nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli
interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e
ancora. Volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè
volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione,
divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte, che ebbe una funzione
paragonabile a quella di un partito. Questo fatto è della massima importanza
per il concetto di “rivoluzione passive”, che cioè non un gruppo sociale sia il
dirigente di altri gruppi, ma che uno stato, sia pure limitato come potenza,
sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere dirigente e possa porre
a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica. Che uno
Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di
rinnovamento è uno dei casi in cui si ha la funzione di “dominio” e non di
dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia. Il concetto d’egemonia si
distingue da quello di dittatura” La dittatura uesta è solo dominio, quella è
capacità di direzione. Non prese mai posizione contro la “dittatura del proletariato”
né espresse critiche significative al regime sovietico in Russia. Le
classi subalterne Courbet, Lo spaccapietre Le classi subaltern esotto proletariato,
proletariato urbano, rurale e anche parte della piccola borghesianon sono unificate
e la loro unificazione avviene solo quando giungono a dirigere lo stato,
altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia della
società civile dei singoli stati, subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti
anche quando ad essi si ribellano. Il "blocco sociale",
l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in Italia, da
industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia,
non è omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una politica
opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che
quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano
provocando la crisi dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica
dell'intero sistema di potere. In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle
classi dominanti è ed è stata parziale. Tra le forze che contribuiscono alla
conservazione di tale blocco sociale è la Chiesa, che si batte per mantenere
l'unione dottrinale tra fedeli colti e incolti, tra intellettuali e semplici,
tra dominanti e dominati, in modo da evitare fratture irrimediabili che
tuttavia esistono e che essa non è in realtà in grado di sanare, ma solo di
controllare. La Chiesa è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire
che ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella
delle anime semplici, una lotta che ha fatto risaltare la capacità
organizzatrice nella sfera della cultura del clero che ha dato derte
soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo
così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei
semplici, sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e demagogiche agli
"integralisti" ».Anche la dominante cultura d'impronta idealistica,
esercitata dalle scuole filosofiche di Croce e Gentile, non ha «saputo creare
una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali,
tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una mitologia, non
ha nemmeno «entato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione
nell'educazione infantile, e questi pedagogisti, pur essendo non religiosi, non
confessionali e atei, concedono l'insegnamento della religione perché la
religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in ogni infanzia
non metaforica. La cultura laica dominante utilizza la religione proprio perché
non si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle
dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una posizione di sub-alternità.
Le classi dominanti hanno derubricato a “folklore” la cultura della classe sub-alterna.
Annota in un Quaderno, che il folklore non
deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola, una
cosa tutt'al più pittoresca; ma deve essere concepito come una cosa molto seria
e da prendere sul serio, e va studiato in quanto «oncezione del mondo e della
vita di certi strati della società determi tempo e nello spazio, cioè del
popolo inteso come l'insieme della classi strumentale e sub-alterna di ogni
forma di società finora esistita». È dunque necessario mutare lo spirito delle
ricerche folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle. La frattura tra
gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che non
tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune,
ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. L'azione politica
realizzata dalla «filosofia della prassi» così chiama il marxismo, non solo per
l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carceraria opponendosi
alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni
a una superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra
intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per
mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un
blocco intellettuale e morale che renda politicamente possibile un progresso
intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali. La via che
conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una riforma culturale e
morale della società. Tuttavia l'uomo attivo di massa, cioè la classe
operaia, non è, in generale, consapevole né della funzione che può svolgere né
della sua condizione reale di sub-ordinazione, Il proletariat non ha una chiara
coscienza di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo
trasforma. La sua coscienza anzi può essere in contrasto col suo operare. Esso
opera praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza ereditata dal passato,
accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione di sé avviene attraverso
una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo
dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della
propria concezione del reale. La coscienza politica, cioè l'essere parte di una
determinata forza egemonica, è la prima fase per una ulteriore e progressiva auto-coscienza
dove teoria e pratica finalmente si unificano. Ma auto-coscienza significa
creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché per
distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione
senza intellettuali, uno strato di persone specializzate nell'elaborazione concettuale
e filosofica. Già Machiavelli indica nei moderni Stati unitari europei
l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per superare la drammatica
crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola dalla fine del
Quattrocento. Il Principe di Machiavelli non esisteva nella realtà storica, non
si presentava al popolo italiano con caratteri di immediatezza obiettiva. E una
pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo, del condottiero ideale. Ma
gli elementi passionali, mitici si riassumono e diventano vivi nella
conclusione, nell'invocazione di un principe realmente esistente. In Italia non
si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla
dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna economico-corporativa,
politicamente la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno
progressiva e più stagnante. Mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza
giacobina efficiente, la forza appunto che a Francia ha suscitato e organizzato
la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato lo stato moderno. A questa
forza progressiva si oppose in Italia la «borghesia rurale, eredità di
parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come classe, della
borghesia comunale. Forze progressive sono i gruppi sociali urbani con un
determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la formazione di
una volontà collettiva nazionale-popolare, se le grandi masse dei contadini
lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò intende
MACHIAVELLI attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i giacobini nella rivoluzione
francese. In questa comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del
Machiavelli, il germe, più o meno fecondo, della sua concezione della
rivoluzione nazionale. Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non
può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e questo organismo è
già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in
cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire
universali e totali. Il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale
e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica,
divenendo così la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione
di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume. Perché un partito esista, e
diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi
fondamentali. Primo, un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui
partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito
creativo ed altamente organizzativo essi sono una forza in quanto c'è chi li
centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si
sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente. Secondo, L'elemento
coesivo principale dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e
disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva da solo questo
elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo
elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più
facile formare un esercito che formare dei capitani». Terzo, Un elemento medio,
che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo
fisico, ma morale e intellettuale. G. negli scritti compresi ribadì i principi
espressi dalla Terza Internazionale, insistendo sulla disciplina ferrea del
partito e contestando qualsiasi forma di frazionismo. Socialisti e sindacalisti
venivano pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del regime
fascista. Tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che non c'è
attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale. Nn si
può separare l'homo faber dall'homo sapiens, in quanto, indipendentemente della
sua professione specifica, ognuno è a suo modo un filosofo, un artista, un uomo
di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di
condotta morale, ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione dell’
intellettuale. Storicamente si formano
particolari categorie di intellettuali, specialmente in connessione coi gruppi
sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in
connessione col gruppo sociale dominante. Un gruppo sociale che tende
all'egemonia lotta per l'assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali
tradizionali tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora
simultaneamente i propri intellettuali organici. L'intellettuale tradizionale è
il letterato, il filosofo, l'artista e perciò i giornalisti, che ritengono di
essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i veri
intellettuali, mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base
del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore, persuasorema
non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio dell'eloquenza motrice
esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni il quale deve giungere dalla
tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza
la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente. Il gruppo sociale
emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare
alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo,
forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si
misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi
fanno riferimento. Essi operano tanto nella società civilel'insieme degli
organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie
all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi
masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominante quanto nella
società politica, dove si esercita il dominio diretto o di comando che si
esprime nello Stato e nel governo giuridico. Gli intellettuali sono così i
commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni sub-alterne
dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè, primo, del consenso
spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla
vita sociale dal gruppo fondamentale dominante; secondo, dell'apparato di
coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che
non consentono. Come lo stato, nella società politica, tende a unificare gli
intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il
partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello stato, elabora i
propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come
economico, fino a farli diventare intellettuali politici qualificati,
dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti
all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Il compito
della riforma intellettuale e morale non potrà che essere ancora degli
intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e
organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche,
addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito comunista si
pone come sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di
avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l'egemonia. Il partito
comunista, per G., è intellettuale collettivo; e l'intellettuale comunista è
organico alla classe e dunque a questo collettivo perché fa parte del blocco
storico-sociale che deve costruire il nuovo mondo. Pur essendo sempre
stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli
intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre
rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il
popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare
i bisogni culturali. In molte linguein russo, in tedesco, in franceseil
significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il
termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni
caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani
dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati a una tradizione di casta,
che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso:
la tradizione è libresca e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente
più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese
o siciliano. Si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai
romanzi di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai
racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle
opere del Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di
Honoré de Balzac, fino ai capolavori di Dostoevskij e di Tolstoj. Nulla di
tutto questo in Italia. In Italia, la letteratura non si è diffusa e non è
stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale
tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come “più straniero
degli stranieri stessi”. Fa eccezione,
per G., il melodrama verista (“Cavalleria rusticana”, “Pagliacci”), che ha
tenuto in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove
dalla letteratura. Il pubblico icerca la sua letteratura all'estero perché la sente
più sua di quella italiana: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia,
fra pubblico e scrittori. Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli
da un altro popolo può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale
di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze
monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si
costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto
di una egemonia straniera. Così come, mentre si fanno piani imperialistici, in
realtà si è oggetto di altri imperialism.. Hanno fallito nel compito di
elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno
umanesimo. La insufficienza dell’intelletuale è «uno degli indizi più
espressivi dell'intima rottura che esiste tra la religione e il popolo. Questo
si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace
vita spirituale. La religione è rimasta allo stato di superstizione l'Italia
popolare è ancora nelle condizioni create immediatamente dalla Contro-Riforma.
La religione, tutt'al più, si è combinata col folclore pagano ed è rimasta in
questo stadio. Sono rimaste famose le note di G. su MANZONI: lo scrittore più
autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una
dimostrazione del carattere elitista della letteratura italiana. Ecco le parole
dai Quaderni del carcere, confrontandolo con Tolstoj. Il carattere
aristocratico di Manzoni appare dal compatimento scherzoso verso le figure di
uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in
confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa
Lucia i popolani, per Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità
morale profonda; essi sono animali. Manzoni è benevolo verso di loro proprio
della benevolenza di una società di protezione di animali niente dello spirito
popolare di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo.
L'atteggiamento di Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa
Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza
umana vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i
più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri,
grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo non
c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato. Vita interiore hanno solo
i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo il
suo atteggiamento verso il popolo e elitista ed aristocratico. Una classe che
muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è
essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e
rappresentare la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente
artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo
sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una
sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità
che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi
compiutamente. Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la
critica della civiltà letteraria presente, e vede nella critica svolta da Sanctis
un esempio privilegiato. La critica di Sanctis è militante, non frigidamente
estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra
concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica
della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle
masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta
culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo di Sanctis.
Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi
convincimenti morali e politici e non li nasconde. Sanctis opera nel periodo
risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la
differenza con Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel periodo
della loro affermazione, per cui la passione e il fervore romantico si sono
composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia. Quando
poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione, allora
in Croce sub-entra una fase in cui la serenità e l'indulgenza s'incrinano e
affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase difensiva non
aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella di Sanctis. Una
critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal
momento che essa deve fondere, come Sanctis fa, la critica estetica con la
lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie
espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società
in cui quegli scrittori si trovavano a operare. Non a caso, progettava
nei suoi Quaderni un saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani»,
dal nome di Bresciani, tra i fondatori e direttore della rivista La Civiltà
Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta reazionaria; uno di essi,
L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio di Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono gli
intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia
reazionaria con un «carattere tendenzioso e propagandistico apertamente
confessato». Fra i «nipotini»individua, oltre a molti scrittori ormai
dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo Ojetti, la codardia intellettuale dell'uomo
supera ogni misura normale, Panzini, Bellonci, Bontempelli, Fracchia, Baratono
-- l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile --
teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria
coniglieria – Bacchelli -- nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo
politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione di
gesuitismo artistico -- Salvator Gotta --di Salvator Gotta si può dire ciò che
il Carducci scrisse del Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in
sagrestia; tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», Ungaretti.
La vecchia generazione degli intellettuali è fallita (Papini, Prezzolini,
Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale non ha
neanche questa età delle brillanti promesse, Rosa, Angioletti, Malaparte,
ecc.). Asini brutti anche da piccoletti. Croce, il più autorevole intellettuale
dell'epoca, da alla borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati
per delimitare i confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una
parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario
mostrare e combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia
culturale che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio
italiano. Come tale, Croce combatte il marxismo, cercando di negarne validità
nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia. Il Capitale
di Marx sarebbe per Croce un'opera di morale e non di scienza, un tentativo di
dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla
comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non-scientificità
dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del plusvalore. Per
Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di “plusvalore” rispetto
al “valore”, legittimo concetto economico. Questa critica del Croce è in
realtà un semplice sofisma. Il “plusvalore” è esso stesso valore, è la
differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della
forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx
deriva direttamente da quella dell'economista liberale Ricardo la cui teoria
del valore-lavoro non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché
allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una
constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di
educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, dove acquistarla
solo con la Economia critica. La filosofia crociana si qualifica come
storicismo, ossia, seguendo VICO (si veda), la realtà è storia e tutto ciò che
esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica
della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia
speculativa, di astrazionistoria della libertà, della cultura, del progresso non
è la storia concreta delle nazioni e delle classi. La storia speculativa può
essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno
ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in
discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso
Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco
storico, in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si
identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è
niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti,
ma non è storia la storia di Croce rappresenta figure disossate, senza
scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri
letterarie dello scrittore. L'operazione conservatrice di Croce storico fa il
paio con quella di Croce filosofo. Se la dialettica dell'idealista Hegel era
una dialettica dei contrariuno svolgimento della storia che procede per
contraddizioni la dialettica crociana è una dialettica dei distinti: commutare
la contraddizione in distinzione significa operare un'attenuazione, se non un annullamento
dei contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Tale
operazione si manifesta nelle opere storiche di Croce. La sua Storia d'Europa,
iniziando e tagliando fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello
napoleonico, non è altro che un frammento di storia, l'aspetto passivo della
grande rivoluzione che si iniziò in Francia, traboccò nel resto d'Europa con le
armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi
e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione
riformistica. Analoga è l'operazione operata da CROCE nella sua STORIA D’ITALIA
la quale affronta unicamente il periodo del consolidamento del regime
dell'Italia unita e si «prescinde dal momento della lotta, dal momento in cui
si elaborano e radunano e schierano le forze in contrasto in cui un sistema
etico-politico si dissolve e un altro si elabora in cui un sistema di rapporti
sociali si sconnette e decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece
Croce assume placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o
etico-politico. G., fin dagli anni universitari, fu un deciso oppositore di
quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo, presente nel
vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo necessariamente era
destinato a crollare da sé, facendo posto a una società socialista. Questa
concezione mascherava l'impotenza politica del partito della classe subalterna,
incapace di prendere l'iniziativa per la conquista dell'egemonia. Anche
il manuale del bolscevico russo Bucharin, e La teoria del materialismo storico
manuale popolare di sociologia, si colloca nel filone positivistico. La
sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza
storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il positivismo
evoluzionistico è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di
descrivere e classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri
costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un
tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società
umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede
che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla
base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col
passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e
ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico. La
comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile
utilizzando la dialettica marxiana della quale non vi è traccia nel Manuale del
Bucharin perché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro
provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica
che trasforma le società. Le società non si trasformano da sé. Già Marx
aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non
esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se
prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il
rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra
struttura e sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che
operano nella storia di un determinato periodo. L'azione politica rivoluzionaria,
la prassi, è anche catarsi che segna l passaggio dal momento meramente
economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè
l'elaborazione superiore della struttura in super-struttura nella coscienza
degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo al soggettivo e
dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore che schiaccia
l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà,
in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove
iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così il punto di partenza di tutta la filosofia
della prassi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono
risultate dallo svolgimento dialettico. La dialettica è dunque strumento di
indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della
realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è dottrina
della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della
politica e può essere compresa solo concependo il marxismo come una filosofia
integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo
mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali)
sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie
società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata che
subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova
dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime. Il
vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune la realtà oggettiva,
esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma, confortato
dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si
trova già dato di fronte a noi. Ma va rifiutata «la concezione della realtà
oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica dal momento
che «a questa può essere mossa l'obbiezione di misticismo». Se noi conosciamo
la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire storico, anche la
conoscenza e la realtà stessa sono un divenire. Come potrebbe esistere
un'oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di tale oggettività?
La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità
dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze
naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre
alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa
sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente
soggettivo. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per
tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario;
ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle
contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono
la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie. C'è
dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e
fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del
genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza
ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione
concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario». La
formazione linguistica di G. inizia durante gli anni universitari a Torino con
la frequentazione delle lezioni di BARTOLI (si veda). G. apprende che LA LINGUA
è un prodotto sociale e che non può essere studiata senza tenere conto della
storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere i mutamenti di
una lingua senza riflettere sui mutamenti sociali, culturali e politici della
popolazione che la parla. È stato notato che fece aderire le teorie apprese da
Bartoli alle letture filosofiche che lo formarono politicamente; in primo luogo
all'ideologia tedesca di Marx, dove Marx afferma che il tessco, il tedesco, come
la coscienza dei tedesci, appartiene alla sfera degli istituti sovra-strutturali,
cioè al mondo dell'organizzazione politica e giuridica della società. Le più
interessanti riflessioni linguistiche G.ane sono contenute nei Quaderni del
carcere e riguardano da una parte la questione delle lingue in Italia, ovvero
lo studio delle ragioni che hanno reso difficile la diffusione di una LINGUA per
la nazione o tutta la poppolazione, dall'altra il tema dell'insegnamento
linguistico nelle scuole primarie. Soprattutto il secondo tema è di
fondamentale importanza per G., perché riguarda direttamente il riscatto
culturale delle grandi masse popolari e la creazione di uno spirito nazionale
in grado di superare ogni forma di particolarismo regionale. I Quaderni
del carcere sono costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a
problemi di caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria
storia della lingua italiana e racchiudono le riflessioni di G. in merito alla
cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si
riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle
responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito
nazionale unitario. A tal proposito G. scrive: mi pare che, intesa LA LINGUA
come elemento della cultura e quindi della storia generale e come
manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali,
questo studio non sia ozioso e puramente erudito». Nell'affrontare una
ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane G. cerca dei termini
di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia il
volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un documento
ufficiale di carattere politico-istituzionale, IN ITALIA il volgare appare per
la registrazione di documenti privati legati al commercio o a questioni
giuridiche. L’origine della differenziazione storica tra ITALIA e Francia si
può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo, cioè nel fatto che il
popolo partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il
garante dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno. Il
popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia
nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano, presentandosi
come volontà collettiva, come elemento di una democrazia nazionale. Questo
fatto demagogico dei carolingi di appellarsi al popolo nella loro politica
estera è molto significativo per comprendere lo sviluppo della storia francese
e la funzione che vi ha la monarchia come fattore nazionale. IN ITALIA i primi
documenti di volgare sono dei GIURAMENTI INDIVIDUALI per fissare la proprietà
su certe terre dei conventi, o hanno un carattere ANTI-POPOLARE. Traite,
traite, fili de le putte. Quaderni del carcere, Gerratana, Torino, Einaudi. In
Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza del popolo negli
affari di Stato: la demagogia di cui parla G. è da intendere, oltre che come
strumento di propaganda, anche come un nuovo atteggiamento politico in grado di
crearsi una propria civiltà statale integrale, in cui si stabilisce un rapporto
diretto tra governati e governanti. Il popolo diventa testimone di un fatto
storico legittimato dal suo giuramento. Ricorda nei suoi appunti come IN ITALIA
l'uso del volgare si diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la
redazione di DOCUMENTI PRIVATI, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per
la creazione di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, LINGUA
DELLA BORGHESIA, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Firenze
esercita una EGEMONIAculturale, connessa alla sua egemonia commerciale e
finanziaria. Bonifazio dice che i fiorentini sono il quinto elemento del mondo.
C'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone colte,
rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani. Dopo la decadenza di
Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua di una casta chiusa, senza
contatto vivo con una parlata storica.” Da questo momento si verifica una
cristallizzazione della lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti
dalla borghesia, non scrivono più nella lingua della loro classe d'origine
perché con essa non intrattengono più nessun rapporto, nella visione di G. essi
“vengono assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati
borghesi, ma aulici. In questo senso, vede sciupata l'occasione di una
diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione
compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal
carattere “elitario” del ceto intellettuale italianio. Affronta con maggior
vigore la questione delle lingue in relazione al periodo post-unitario. Nella
seconda metà dell'Ottocento, lo stato e per gran parte dialettofono, mentre La
LINGUA DELLA NAZIONE venne usata solo a livello letterario e come lingua dell’istituzioni.
La scarsa diffusione di una lingua per la nazione testimonia la frammentazione
politica e culturale della popolazione italiana. Questo fenomeno venne avvertito
come un problema politico, soprattutto da molti intellettuali di tendenze
democratiche come Manzoni. Nella sua ricostruzione storica G. scrive che
“anche la questione delle lingue posta da MANZONI (si veda) riflette questo
problema, il problema della unità intellettuale e morale della nazione e dello
stato, ricercato nell'unità della lingua. Eppure, sebbene G. riconosca a MANZONI
di aver compreso la questione linguistica italiana come una QUESTIONE POLITICA e
sociale, si distingue da lui nel modo di interpretare la risoluzione del problema. Durante
il suo apprendistato glottologico presso Bartoli a Torino ha modo di
confrontare le posizioni del Manzoni con quelle d’ASCOLI (si veda), dell’Archivio
Glottologico. Mentre Manzoni prevede la diffusione di una lingua per la nazione
sul modello fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di maestri di
scuola di origine toscana, ASCOLI concepiva la nascita di una lingua nazionale
come il frutto di un'unificazione culturale prima ancora che
linguistica. Secondo ASCOLI l'unità culturale e linguistica, prima di
tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui
si concentrano e da cui provengono gli elementi essenziali della vita
nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica,
istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire
un primato politico, economico e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche
a diffondere, per conseguenza, il suo particolare idioma. Per ASCOLI, una LINGUA
NAZIONALE altro non può e non deve essere, se non l'idioma vivo di una data
città. Deve cioè per ogni parte coincidere con l'idioma spontaneamente parlato
dagli abitatori contemporanei di quel dato municipio, che per questo capo viene
a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dell'intiera nazione. Ascoli,
nel suo Proemio, prende la Francia come esempio per avvalorare la sua tesi.
Infatti, l'unità linguistica di Francia corrisponde all'egemonia politico-culturale
di Parigi. La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché
Parigi è il gran crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della
Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni
impulso dell'universa civiltà francese. Viene da Parigi il nome, perché da
Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente
del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo
studia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli
vuole. E quindi è necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di
Parigi. G. ricalca la lezione ascoliana nei suoi Quaderni. Poiché il processo
di formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria
avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere
consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di
intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non
bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno
tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata
lingua unitaria. Si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento
organizzato accelera i tempi del processo già esistente. Quale sia per essere
questa lingua non si può prevedere e stabilire. Alla nota Focolai di
irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale
linguistico nelle grandi masse, compila un elenco di tutti gli strumenti utili
alla diffusione di una lingua unitaria. Primo, La scuola. Secondo, i giornali.
Terzo, gli scrittori d'arte e quelli
popolari. Quarto, il teatro e il cinematografo sonoro. Quinto, la radio. Sesto,
le riunioni pubbliche di ogni genere, comprese quelle religiose. Settimo, I rapporti
di conversazione tra i vari strati della popolazione più colti e meno colti.
Ottavo, i dialetti locali, intesi in sensi diversi, dai dialetti più
localizzati a quelli che abbracciano complessi regionali più o meno vasti: così
il napoletano per l'Italia meridionale, il palermitano o il catanese per la
Sicilia ecc. Al primo posto di questo elenco troviamo la scuola. Per
tradizione, a scuola, gl’insegnanti introducono gli alunni allo studio di una
lingua attraverso la grammatica normativa. G. definisce la GRAMMATICA
MORFO-SINTASSI normativa come una fase esemplare, come la sola degna di
diventare, organicamente e totalitarmente, la lingua comune di una nazione, in
lotta e in concorrenza con le altre fasi e tipi o schemi che esistono già. Le
riflessioni G.ane in materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la
riforma della scuola realizzata da Gentile, di basi griceiana. La riforma, in
linea con l'impianto idealista gentiliano, prevede che l'apprendimento della
lingua della nazione nelle classi elementari si basasse su quello chi Gentile
chiama l’espressione viva o parlata e non sulla grammatical normativa, considerata
questa come una disciplina “astratta” e meccanica. Nell'ottica di G. il metodo
apparentemente liberale di Gentile-Grice, racchiude uno spiccato carattere classista
o elitista, in quanto gli scolari appartenenti alle classi sociali più alte
sono avvantaggiati dal fatto che apprendono l'italiano in famiglia, mentre gli
scolari del basso popolo possono contare su una comunicazione familiare
realizzata esclusivamente in dialetto In questo senso la grammatica normativa si
presenta come uno strumento in grado di livellare le differenze sociali permettendo
a tutti la conoscenza della LINGUA della nazione. Secondo G. la
conoscenza della lingua della nazione presso le classi sub-alterne è
fondamentale per la loro organizzazione politica. Un proletariato dialettofono non
può partecipare alla vita politica di una nazione e non può sperare di crearsi
un ceto intellettuale in grado di competere con i ceti intellettuali
tradizionali. Il dialetto non deve sparire, ma restare funzionali a un tipo di
comunicazione familiare o locale che non può garantire, per cause interne al
suo sistema, la comunicazione di un contenuto culturale universale,
caratteristico della nuova cultura esercitata dal proletariato. G. presta
attenzione anche alla LINGUA DELL’IMPERO ROMANO. Espressa in più occasioni che
lo studio del LATINO è particolarmente utile nella formazione filosofica, in
quanto abituare il filosofo allo studio rigoroso e a pensare storicamente.
Contesta il nazionalismo degli studi e critica ripetutamente gl’intellettuali
che, durante la grande guerra, chiedeno che fossero messe al bando le edizioni
dei testi romani e la grammatica latina compilate DA AUTORI TEDESCHI! Anche nei
Quaderni del carcere si sofferma sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca
della antica lingua romana, osservando che e uno strumento importante nella fase
della formazione filosofica nella quale è necessario un insegnamento
"disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Però,
sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe dovuto
essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma
necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di intellettuale. Scrive
in un Quaderno: Bisogna sostituire IL LATINO e il greco come fulcro della
scuola formativa e lo si sostituirà, ma non è agevole disporre la nuova materia
o la nuova serie di materie in un ordine didattico che da risultati equivalenti
di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo
fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo
studio o la parte maggiore dello studio deve essere (e apparire ai discenti)
disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve
essere formativo, anche se istruttivo, cioè ricco di nozioni concrete. MACHIAVELLI
influenza fortemente la teoria dello stato di G. Marx, filosofo, storico,
critico dell'economia politica e fondatore del materialismo storico Engels
Lenin, Labriola, primo notevole teorico marxista italiano, riteneva che la
principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver creato uno stretto
nesso fra la storia e la filosofia. Sorel — sindacalista che ha respinto il
principio dell'inevitabilità del progresso storico. Pareto — economista e
sociologo italiano (nato a Parigi di madre francese), noto per la sua teoria
sull'interazione fra masse ed élite. CROCE — liberale italiano, filosofo
anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da G. a critica attenta
e approfondita. Pensatori influenzati da G. G.anesimo. Zackie Achmat Eqbal
Ahmad Jalal Al-e-Ahmad, Althusser Perry Anderson, Giulio Angioni Michael Apple
Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Bhabha, Gordon Brown Alberto Burgio, Butler
Alex Callinicos Partha Chatterjee Marilena Chauí, Chomsky Cirese Costa Cox
Benoist Biagio de Giovanni Martino, Eco Fiske, Foucault Paulo Freire, Garin
Eugene D. Genovese Stephen Gill Paul Gottfried Stuart Hall Michael Hardt Chris
Harman David Harvey Hamish Henderson Eric Hobsbawm Samuel Huntington Alfredo
Jaar Bob Jessop, Laclau, Mariátegui, Mouffe, Negri, Nono, Omi, Pasolini,
Pigliaru, Pira, Portantiero, Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward
Saïd Ato Sekyi-Otu Gayatri Chakravorty Spivak, Sraffa Edward Palmer Thompson
Giuseppe Vacca Paolo Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant, Wittgenstein
Eric Wolf Howard Zinn. G. al cinema e in televisione Il delitto Matteotti,
regia di Vancini, G. I giorni del carcere, regia di Fra, G., regia di
Maielloserie TV, G., film in forma di rosa, regia di Gabriele
Morleocortometraggio, G., regia di Emiliano Barbucci, Nel mondo grande e
terribile, regia di Maggioni, Perria e Laura Perini. G. nel teatro Compagno G.,
di Boggio e Cuomo, regia di Boggio, G. nella musica Quello lì (compagno G.),
canzone di Claudio Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di
morte. Canzoni di vita, Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album
Pietre della mia gente Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e
Cenere G., il teatro e la musica È nota la passione di G. per il teatro e per
la musica, che si può leggere nelle lettere scritte a Tania. Egli ha scritto
circa il melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al
pubblico, svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso
generale. Per G. l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi
dove si esercitava parte del conflitto politico. Una frase quasi ironica
di G. da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia:
“siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto
d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”. Nelle
sue lettere si può leggere anche riguardo alla moda europea del jazz; egli
sostiene che questa musica aveva conquistato uno strato dell’Europa colta e
aveva creato un vero fanatismo: Opere: “Alcuni temi della questione
meridionale, in Lo Stato Operaio, Opere, Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, premio Viareggio,
con centodiciannove lettere inedite, I quaderni dal carcere, Il materialismo
storico e la filosofia di Croce (Torino, Einaudi); “Gli intellettuali e l'organizzazione
della cultura” Torino, Einaudi, Il Risorgimento, Torino, Einaudi, Note sul
Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi, Letteratura
e vita nazionale, Torino, Einaudi,Passato e presente, Torino, Einaudi, L'Ordine
Nuovo. Torino, Einaudi, Scritti giovanili. Torino, Einaudi, Sotto la mole.
Torino, Einaudi, Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo, Torino, Einaudi, La
costruzione del Partito comunista. Torino, Einaudi, L'albero del riccio,
Milano, Milano-sera, 1Americanismo e fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro
popolare, Ultimo discorso alla Camera. Padova, R. Guerrini, Antologia popolare
degli scritti e delle lettere di Antonio G., Roma, Editori Riuniti, Il Vaticano
e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, Note sulla situazione italiana, Milano,
Rivista storica del socialismo, 2000 pagine di G. Nel tempo della lotta. Milano,
Il Saggiatore, Lettere edite e inedite. Milano, Il Saggiatore, Elementi di
politica, Roma, Editori Riuniti, La formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia,
Roma, Editori Riuniti, Scritti politici La guerra, la rivoluzione russa e i
nuovi problemi del socialismo italiano, Roma, Editori Riuniti, Il Biennio
rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, Roma,
Editori Riuniti, Il nuovo partito della classe operaia e il suo programma. La
lotta contro il fascismo, Roma, Editori Riuniti, Scritti Milano, I quaderni de
Il corpo, Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La nuova sinistra,Spriano,
Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, L'alternativa pedagogica, Firenze, La
nuova Italia, I consigli e la critica operaia alla produzione, Milano, Servire
il popolo, La lotta per l'edificazione del Partito comunista, Milano, Servire
il popolo, Il pensiero di G., Roma, Editori Riuniti, Il pensiero filosofico e
storiografico di Antonio G., Palermo, Palumbo, Resoconto dei lavori del III
congresso del P.C.D.I. (Lione), Milano, Cooperativa editrice distributrice
proletaria, Scritti sul sindacato, Milano, Sapere, Aul fascismo, Roma, Editori
Riuniti, Quaderni del carcere Quaderni, Torino, Einaudi, Quaderni, Torino,
Einaudi, Quaderni, Torino, Einaudi, Apparato critico, Torino, Einaudi, La
rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton, Arte e folclore, Roma, Newton Compton,
Scritti Inediti da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una antologia da Il
Grido del Popolo, Milano, Moizzi, Ricordi politici e civili, Pavia,Scritti
nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al
Congresso di Lione, Livorno, Edizioni G., Scritti sul sindacato, Roma, Nuove
edizioni operaie, A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano, I consigli di fabbrica, Milano, Amici della
casa G. di Ghilarza, Centro milanese, Favole di libertà, Firenze, Vallecchi, Scritti,
Cronache torinesi. Torino, Einaudi, La città futura. Torino, Einaudi, Il nostro
Marx. Torino, Einaudi, L'Ordine nuovo, Torino, Einaudi, Nuove lettere di
Antonio G.. Con altre lettere di SRAFFA (si veda), Roma, Editori Riuniti, Forse
rimarrai lontana. Lettere a Iulca, Roma, Editori Riuniti, G. al confino di Ustica. Nelle lettere di G.,
di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, Le sue idee nel nostro tempo,
Milano, l'Unità, Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte inedite, Roma,
l'Unità, Il rivoluzionario qualificato. Scritti, Roma, Delotti, Il giornalismo,
Roma, Riuniti, Lettere, Torino, Einaudi, Per una preparazione ideologica di
massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito, Napoli,
Laboratorio politico, Scritti di economia politica, Bollati Boringhieri,
Torino, Vita attraverso le lettere, Torino, Einaudi, Disgregazione sociale e
rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, Piove, Governo ladro.
Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, Contro la
legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, Lettere, Torino,
Einaudi, Le opere, Roma, Editori Riuniti, Critica letteraria e linguistica,
Roma, Lithos, Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci,
La nostra città futura. Scritti torinesi,Roma, Carocci, Pensare l'Italia, Roma,
Nuova iniziativa editoriale, Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare,
l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, Scritti rivoluzionari. Dal
biennio rosso al Congresso di Lione, O. Micucci, Camerano, Gwynplaine, Quaderni
del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda, Epistolario, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Epistolario, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Antologia,
Antonio A. Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti
university press,. Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche,
recensioni, F. Francione, Mimesis Edizioni. La taglia della storia. Idea e
prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni,.Note Luigi Manias, Antonio
Sebastiano Francesco G., Marmilla Cultura, International G. Society, su
international G. society.org. Genealogia
dei G., su albanianews. Manias, Ma
quando è nato G.?, Marmilla Cultura, Manias,
Ales. La sua storia. I suoi problemi, Marmilla Cultura, Così G. ricordava con
ironia l'episodio, nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, aggiungendo
che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i piedini con
l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò, quando mi rifiutavo di
compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente, ricordando che alla
Madonna dovevo la vita» Noi eravamo
tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla casa. Trovava il
tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così ricordava quegli anni
la sorella Teresina G., in Fiori, Lettera a Schucht, così scriveva per invitare
la cognata a non eccedere nelle sue preoccupazioni sulla sua vita di carcerato.
La lettera prosegue infatti: Ho conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più
brutale della vita e me la sono sempre cavata, bene o male Lettera a Tatiana Schucht, Numerose sono le
richieste di denaro al padre: gli scrive
di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è
spelacchiata e lucida [oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto
risuolare le scarpe» e, che «per non farvi vergognare non sono uscito di casa
per dieci giorni interi» Fonzo, Testimonianza
in Fiori, Testimonianza della sorella Teresina in Fiori, Fiori, L'articolo è
riportato in Fiori, Riportato in G., Scritti politici G., Dizionario di Storia, Treccani [«io pensavo allora che bisognava lottare per
l'indipendenza nazionale della regione: "Al mare i continentali". Poi
ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che
realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità
intellettuale. Cfr. G., lettera a Schucht, in A. G., Lettere. G. e l'isola
laboratorio, La Nuova Sardegna G.
Lettere. Progettando, in carcere, uno studio di linguistica comparata, mai
realizzato, in una lettera dal carcere dalla cognata Tatiana, ricorda come «uno
dei maggiori rimorsi intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho
procurato al mio buon professor Bartoli dell'Torino, il quale è persuaso essere
io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i neo-grammatici della
linguistica. Tuttavia già l'economista Sen avanza l'ipotesi che il passaggio ai
giochi linguistici di Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fosse stato
ispirato dai Quaderni dal carcere. In G. and Wittgenstein: an intriguing
connection, Pipero aggiunge nuovi elementi che dimostrano il collegamento fra G.
e Wittgenstein TRAMITE SRAFFA. Infatti il filosofo viennese venne a conoscenza
di un quaderno, grazie proprio al suo amico SRAFFA (si veda) che conosce a
Cambridge. Lettera dal carcere: in essa G. ricorda ancora un simpatico e patetico
episodio. Dopo la rottura avvenuta a causa di quell'articolo che fa piangere
come un bambino e stette chiuso in casa il Cosmo per alcuni giorni, essi
s'incontrarono nel nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore è
segretario. Il Cosmo mi si precipita addosso, inondandomi di lacrime e di barba
e dicendo a ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci perché! È in preda a
una commozione che mi sbalordì, ma mi fa capire quanto dolore gli avessi
procurato e come egli intende l'amicizia per i suoi allievi di scuola. Lettera
dal carcere a Schucht In Fiori, In G. Scritti
politici, Davico. Lettera dal carcere a Schucht
Lettera dal carcere a Schucht, Recensione Recensione Recensione Spriano, Note
sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del Popolo, in G., I massimalisti russi, ne Il Grido del Popolo, iSpriano,
La rivoluzione contro il Capitale, nell'Avanti!, Nella lettera Marx scriveva a
Zasulič che la tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata
dalla distruzione minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici. Per
salvare la comune russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione
scoppierà a tempo opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze
vive del paese nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento,
allora la comune ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della
società russa e, insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime
capitalistico». Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto,Marx
ed Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di
partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso
della lettera alla Zasulič, che G. all'epoca non poteva conoscerne il contenuto.
Cfr. Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, G., Ordine Nuovo,
G., ibidem Corriere della Sera, Archivio
Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, Ordine Nuovo, in Scritti
politici, Concluso con un ordine del giorno che prospettava la conquista
violenta del potere e la dittatura del proletariato Per un rinnovamento del Partito socialista,
ne L’ordine Nuovo, in G., Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista,
invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che
«all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei
militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei
dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere,
Ordine Nuovo, in Scritti politici, G. La sposa mandata da Lenin Lettera, in G., Lettere Lettera dal carcere. Un
profilo di Antonio G. junior, su channelingstudio.ru. Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico
Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un
tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di Nitti in
accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nche la
conoscenza tra G. e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin in
persona: cfr. Link archivio del Corriere
Amendola, In Togliatti, In
Togliatti, Lettera di G. a Schucht, Lettera a Schucht, La crisi italiana, ne L’Ordine
Nuovo, 1º settembre 1924, in G., Camera dei Deputati, legislatura del Regno
d'Italia, Capo, in L'Ordine Nuovo, pubblicato successivamente col titolo di
Lenin capo rivoluzionario, in l'Unità, Capo, ne L’ordine Nuovo, in G., Anche
alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso. Sul III
CongressoSpriano, Storia del Partito comunista italiano, Spriano, Spriano, Spriano, Spriano, G., Tesi di Lione, Lione, Antonio
G., La questione meridionale, Editori Riuniti, «Alcuni temi della quistione meridionale».
Stato operaio, Citato in Rosario
Villari, Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale,
Roma-Bari, Laterza, Antonio G., Cinque anni di vita del partito, L'Unità, Fiori, Spriano, Lepre, Il prigioniero. Vita
di G., Editori Laterza, Bari, La lettera, non datata, si ritiene sfu pubblicata
per la prima volta in Francia da Tasca. Su tutta la questione della lotta
interna nel partito comunista sovietico di questo periodo Spriano, cit., II, ca
3 e 5 G., Lettere Lettera di Togliatti a
G., Commissione di assegnazione al confino di Roma, ordinanza contro G.
(“Dirigenti e deputati del PCd'I dichiarati decaduti”). In Pont, Carolini,
L'Italia al confino, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle
Commissioni provinciali (ANPPIA/La Pietra), Tornata Camera dei deputati Fiori, In Fiori, Sentenza contro G. e altri
(“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda, cospirazione, istigazione
alla lotta armata ecc.”). In Pont, Carolini, L'Italia dissidente e
antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di
consiglio emesse dal TRIBUNALE SPECIALE FASCISTA contro gli imputati di ANTI-FASCISMO,
Milano (ANPPIA/La Pietra), Amendola142. Spriano, Lettera a Tatiana Schucht, Fiori, Fiori,
Fiori, Risoluzione per l'espulsione di Amedeo
Bordiga Fiori, Pubblicato in
«Rinascita», In «Rinascita», cit. Dalla
biografia di Pertini pubblicata dal Circolo Pertini di Genova. Chiesi al
maresciallo dei carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi
portavano. Quando questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento
perché sapevo che là avrei incontrato G., un uomo che ho sempre ammirato per il
suo coraggio. A Turi incontro G. in un angolo del cortile dove coltiva
un'aiuola di fiori. È piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una di
dietro. Mi avvicina a lui, mi presento, gli affermo che vengo da Santo Stefano
e che sono onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo chiam0
Onorevole G. Lui si mette a ridere, dicendomi, Perché mi dai del lei? Siamo ANTI-FASCISTI,
vittime del Tribunale speciale tutti e due. Io gli ricordo che per loro, i
comunisti, noi eravamo dei social-traditori. Dice di lasciar stare quella
polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e parla di TURATI e TREVES in
maniera che mi sembra offensiva ed io rispondo con durezza. Il giorno dopo si
scusa, dicendo che il suo è un giudizio politico, non ha intenzione di
offendere le persone, e capisce la mia reazione in favore di due compagni che
si trovavano in Francia. DA ALLORA DIVENTAMMO BUONI AMICI. Parlamo a lungo
insieme anche perché è stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo
considerano un traditore e chiedeno la sua ESPULSIONE DEL PARTITO, come poi
fecero anche con Ravera. In cella G. è perseguitato dai carcerieri. L’ordine di
NON LASCIARLO DORMIRE arriva direttamente da Roma. Io ando dal direttore del
carcere a protestare perché i carcerieri, OGNI VOLTA CHE G. SI ADDORMENTA, lo
svegliano facendo scorrere sulle sbarre della finestra dei bastoni, con la
scusa di controllare che le sbarre non fossero state segate per un'evasione. Dico
al direttore che se la situazione non cambia, avrei scritto una lettera al
ministero. Il risultato è che G., GIÀ GRAVEMENTE MALATO DI TUBERCULOSI PUO
DORMIRE TRANQUILLO. Le mie proteste costrinsero il direttore del carcere di
Turi a concedere a G. anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una
sedia. Così poterono nascere I QUADERNI dal carcere. La mia amicizia mi mette
in contrasto con il direttore del carcere e forse non è estraneo al mio
trasferimento a Pianosa. Lettera a Schucht, Lettera a Schucht, Cominciò a
circolare la voce secondo la quale G. in punto di morte si sarebbe convertito
alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo stesso
religioso che l’ha inavvertitamente messa in circolazione, chiamando a supporto
della smentita l’allora cappellano della clinica Quisisana. Nonostante le
chiare argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la medesima tesi fu
riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri documentali e di
prove testimoniali, la teoria della conversione di G. non è mai stata
avvalorata dagli storici. Cfr. S.Fio., G. e il sacerdote pentito, La
Repubblica, Il Vaticano: G. trova la fede, Il Corriere della Sera, Daniele,
Togliatti editore di G., Carocci, Quaderni del carcere, Il Risorgimento,
Einaudi, Torino, Il materialismo storico e la filosofia di CROCE Quaderni del
carcere, Quaderni del carcere, ed. Gerratana, Cirese, Baratta, Giulio Angioni, G. e il
folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle
culture, Il Maestrale, Note su MACHIAVELI, Gli intellettuali e l'organizzazione
della cultura, Quaderni del carcere, cLetteratura e vita nazionale, Il
materialismo storico e la filosofia di Croce, Rosiello, Problemi e orientamenti
linguistici nei saggi di G., Quaderni dell'Istituto di glottologia di Bologna,A.
G., V. Gerratana, Torino, Einaudi, G., Quaderni del carcere, V. Gerratana,
Torino, Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, G.,
Gerratana, Torino, Einaudi, G. I. Ascoli, Proemio, AGI, G., Quaderni del
carcere, Gerratana, Torino, Einaudi, Quaderni del carcere, V. Gerratana,
Torino, Einaudi, 'Quaderni del carcere', Gerratana, Torino, Einaudi, Rosiello, LINGUA
nazione egemonia, Rinascita Il Contemporaneo, Rapone, Leonardo, Cinque anni che
paiono secoli: G. dal socialismo al comunismo, 1a ed, Carocci,, Fonzo, Bosi, Antonio G., su scuolalo
divecchio. giovannicarpinelli, G. e la musica, su Palomar, La passione
sconosciuta di G. per la musica, in L’Huffington Post. Premio letterario
Viareggio-Rèpaci, Amendola, Storia del Partito comunista italiano Roma, Editori
Riuniti, Perry Anderson, Ambiguità di G., Bari, Laterza, Angioni, G. e il
folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle
culture, Il Maestrale, Aqueci, Il G. di un nuovo inizio, Quaderno, Supplemento AGON,
Rivista Internazionale di Studi Culturali, Linguistici e Letterari, Aqueci,
Ancora G. [cf. Speranza, “Ancora Grice”], Roma, Aracne, Auciello, Socialismo ed
egemonia in G. e Togliatti, Bari, De Donato, Badaloni e altri, Attualità di G.,
Milano, Il Saggiatore, Baratta, Antonio G. in contrappunto. Dialoghi col
presente, Roma, Carocci, BOBBIO (si veda), Saggi su G., Milano, Feltrinelli,
Calamandrei e Calogero, La conoscenza di G. in Inghilterra. Una lettera di
Calogero e una nota di Calamandrei, L'Unità, Canali, Il tradimento. G.,
Togliatti e la verità negata, Venezia, Marsilio, Carrannante, Sull'uso di
'galantuomo' in G., Studi novecenteschi,
Carrannante, G. e i problemi della LINGUA ITALIANA, in
"Belfagor", Chambers,
Esercizi di potere. G., Said e il postcoloniale, Roma, Meltemi editore, Cirese,
Intellettuali, folklore, istinto di classe, Torino, Einaudi, Clementi, Le
ceneri di G in Stalinismo e grande terrore, Roma, Odradek, Guido Davico Bonino,
G. e il teatro, Torino, Einaudi, Biagio De Giovanni e altri, Egemonia Stato
partito in G., Roma, Editori Riuniti, D'Orsi, G. Una nuova biografia, Torino,
Einaudi,. Dubla, Giusto (cur.), Il G. di Turi, Testimonianze dal carcere,
Chimienti editore, Michele Filippini, G. globale. Guida pratica agli usi di G.
nel mondo, Bologna, Odoya,. Fiori, Vita di G., Bari, Laterza, Fiori, G.
Togliatti Stalin, Roma-Bari, Laterza, Erminio Fonzo, Il mondo antico negli
scritti di G., Salerno, Paguro, GARIN, Con G., Roma, Editori Riuniti, Valentino
Gerratana, G. Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti, Noemi Ghetti, G. nel
cieco carcere degli eretici, Roma, L'Asino d'Oro Edizioni, G. jr., La storia di
una famiglia rivoluzionaria, Roma, Editori Riuniti-University Press. GRUPPI (si
veda), Il concetto di EGEMONIA in G., Roma, Editori Riuniti, Hobsbawm, G. in
Europa e in America, Roma-Bari, Laterza, Lepre, Il prigioniero. Vita di G.,
Bari, Laterza, Liguori e Voza, Dizionario G.ano, Roma, Carocci, Piparo, “I due
carceri di G.”, Donzelli, Roma, LOSURDO (si veda), G.. Dal liberalismo al
comunismo critico, Roma, Gamberetti, Manacorda, Il principio educativo in G..
Americanismo e conformismo, Roma, Riuniti, Michele Martelli, G filosofo della
politica, Milano, Unicopli, MONDOLFO, Da ARDIGÒ a G., Milano, Nuova Accademia, Mordenti,
G. e la rivoluzione necessaria, Roma, Riuniti, Onnis e Mureddu, Illustres.
Vita, morte e miracoli di quaranta personalità sarde, Sestu, Domus de Janas, Paggi,
G. e il moderno principe, Roma, Editori Riuniti, Pastore, G.. Questione sociale
e questione sociologica, Livorno, Belforte, Portelli, G. e il blocco storico,
Bari, Laterza, Rapone, Cinque anni che paiono secoli. G. dal socialismo al
comunismo, Carocci, Roma, Rossi, Vacca, G. tra MUSSOLINI e Stalin, Roma, Fazi, Angelo
Rossi, G. da eretico a ICONA. Storia di un cazzotto nell'occhio, Napoli, Guida
editore, Rossi, G. in carcere. L'itinerario dei Quaderni, Napoli, Guida
editore, Santhià, Con G. all'Ordine Nuovo, Roma, Editori Riuniti, SANTUCCI, G..
Palermo, Sellerio, Spriano, Storia di Torino operaia e socialista, Torino,
Einaudi, Spriano, Storia del Partito comunista italiano,I, Torino, Einaudi, Spriano,
Storia del Partito comunista italiano,II, Torino, Einaudi, Spriano, G. e GOBETTI.
Introduzione alla vita e alle opere, Torino, Einaudi, Spriano, G. in carcere e
il partito, Roma, Riuniti, Stamboulis, Costantini, Cena con G., Padova, Becco
Giallo, Tamburrano, G.: la vita, il pensiero e l'azione, Bari-Perugia, Lacaita,
Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano Roma,
Riuniti, Togliatti, Scritti su G., Roma, Editori Riuniti, Vacca, G. e Togliatti,
Roma, Editori Riuniti. Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Casa museo G. a Ghilarza, Fondazione Istituto G. Antonio
Sebastiano Francesco Gramsci. Antonio Gramsci. Grice: “When Austin speaks of ‘ordinary language,’ he
knows what he is talking about; when Gentile, Gramsci, and Ascoli, do, they
don’t!” -- Grice: “Elites are so relative; when I came to Oxford, I was
regarded as a ‘Midlands scholarship boy’ and thus assigned Corpus; there was no
way I would socialise with Hampshire, Austin, and the others who were
philososophising at All Souls on Thursday evenings – I had just been born on
the wrong side of the track. So it was particularly obtuse for me when Gellner
started to criticise me as elitist! Perhaps he had read too much Gramsci!?” Gramsci.
Keywords: “Grice, elite” egemonia della filosofia del linguaggio ordinario –
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gramsci” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Grandi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del progresso
all’infinito della rosa di Grandi -- implicatura infinita – filosofia lombarda
– filosofia cremonese – la scuola di Cremona -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Cremona). Abstract. Grice would say
that sometimes, people use ‘infinite’ without meaning much: “I know there are
infinite stars” is his example! Keywords:
infinito. Filosofo italiano. Filosofo lombardo. Filosofo cremonese. Cremona,
Lombardia. Grice: “I like Grandi – and Grandy – for one, Grandi (if not Grandy)
proves that geometry is a branch of mathematics with his rose curve – a
geniality!” – Figlio di Piero Martire, ricamatore, e Caterina Legati, compì i suoi
primi studi di grammatica sotto la guida di Canneti e poi nel locale Collegio
dei Gesuiti, dove ebbe come maestro Saccheri. Entra nel monastero camaldolese
di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari
Francesco Lodovico, e qui ritrovò il maestro Canneti. Proseguiti gli studi a Roma e Firenze, insegna
a Firenze. Pubblica “La quadratura del cerchio” “La quadrature dell'iperbole”
al cui interno scopre il paradosso: la somma parziale di una serie (serie di G.)
a segni alterni di numeri può non convergere (serie di G.). Divenne membro
della corte presso il granduca di Toscana. Insegna a Pisa. Studia la curva
algebrica da lui chiamata rodonea per la forma che ricorda il rosone delle
chiese e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide, Venezia, Savioni. Fu
il primo l’analisi degli infiniti. Saggi: “De infinitis infinitorum”; “Trattato
delle resistenze” (Firenze); “Geometrica demonstratio vivianeorum problematum”
(Firenze, Guiducci); “De infinitis infinitorum, et infinite parvorum ordinibus
disquisitio geometrica” (Pisa, Bindi); “Epistola mathematica de momento gravium
in planis inclinatis” (Lucca, Frediani); “Dialoghi circa la controversia
eccitatagli contro Marchetti” (Lucca, Gaddi); “Prostasis ad exceptiones clari varignonii
libro de infinitis infinitorum ordinibus oppositas circa magnitudinum
plusquam-infinitarum vallisii defensionem et anguli contactus” (Pisa, Bindi); “Del
movimento dell'acque trattato geometrico” (Firenze); “Relazione delle
operazioni fatte circa il padule di Fucecchio” (Lucca, Venturini); “Trattato
delle resistenze” (Firenze, Tartini); “Compendio delle Sezioni coniche
d'Apollonio con aggiunta di nuove proprietà delle medesime sezioni” (Firenze, Tartini);
“Instituzioni Meccaniche” (Firenze, Tartini); “Istituzioni di aritmetica
pratica” (Firenze, Tartini); “Sectionum conicarum synopsis” (Firenze, Giovannelli);
“Idraulici italiani."Rodonea" deriva dal greco Ροδή, rosa. La curva
rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi" in suo onore. G. Ortes,
Vita del abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia, Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea Sofisma algebrico Treccani Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. Carteggi del padre camaldolese matematico. Francesco
Lodovico Grandi – Grice: “I like Grandi: I have two ways to deal with ‘mean’:
‘no sneaky intention allowed, including this – (o) all intentions are open
ones, including this one – self-reference; or ‘optimal infinite’ potential
infinite/actual infinite – titular versus de facto. In any case, both are
better than pseudo-Schiffer!” Grice: “While I say, “Schiffer and others,” it
should be pointed out that the first to show this was, of all people, my tutee
Strawson – Stampe and Patton came close! (I love them guys! Patton is a
gentleman, and Stampe, too! Both
brilliant philosophical gentlemen, too!” -- In geometria è detta rodonea
la curva algebrica o trascendente il cui grafico è caratterizzato da una serie
di avvolgimenti attorno ad un punto centrale. Nei casi più noti tali
avvolgimenti producono figure a forma di rosone, da cui deriva alla curva il
nome rodonea (dal greco rhódon, ròsa). La curva rodonea è chiamata anche rosa
di G. da G., il matematico che la battezzò e studia. Rodonee
ottenute per valori diversi del parametro {\displaystyle \omega ={\frac
{n}{d}}} Tartapelago rosa Grandi 04.gif Vari modi per la costruzione di
Rose di Grandi. Animazioni realizzate in MSWLogo[1] La rodonea si può
considerare un caso particolare di ipocicloide. Equazione della
curvaL'equazione delle rodonea in coordinate polari {\displaystyle (\rho,\theta
)}è: {\displaystyle \rho =R\sin \omega \theta }, dove R è un numero reale
positivo che rappresenta la massima distanza della curva dal centro degli
avvolgimenti, e \omega è un numero reale positivo che determina la forma
della curva. È possibile anche scrivere la rodonea come {\displaystyle \rho
=R\cos \omega \theta }, che produce una figura analoga, ma ruotata di un angolo
pari a {\displaystyle {\frac {\pi }{2\omega }}}radianti. Proprietà Se
\omega è un numero intero, la curva ha un numero finito di avvolgimenti,
tutti passanti per l'origine degli assi, che generano una serie di
"petali" componenti la figura a forma di rosone; il numero dei petali
è pari a: \omega, se \omega è dispari; {\displaystyle 2\omega }, se
\omega è pari. Osserviamo che non è possibile ottenere rose con un numero
di petali pari a {\displaystyle 4n+2}. Per {\displaystyle \omega =1} si ottiene
un unico petalo, ovvero una circonferenza non centrata nell'origine.
L'area della superficie racchiusa dalla curva è pari a {\displaystyle {\frac
{\pi R^{2}}{2}}} per k pari, a {\displaystyle {\frac {\pi R^{2}}{4}}} per k
dispari. Se \omega è un numero razionale {\displaystyle {\frac
{n}{d}}}, la curva ha un numero finito di avvolgimenti, che si intersecano in
più punti creando una serie di petali parzialmente sovrapposti; nella figura a
fianco sono visualizzate le rodonee ottenute per alcuni valori di n e d. Come
caso particolare, per {\displaystyle \omega ={\frac {1}{2}}}, si ottiene il
folium di Dürer. In entrambi i casi precedenti, la curva ottenuta è
algebrica; se invece \omega è un numero irrazionale, la curva è
trascendente ed ha un numero infinito di avvolgimenti che non si chiudono e
formano un insieme denso, passando arbitrariamente vicino a ogni punto del
cerchio di raggio R. Pietrocola, Curve storiche, Rose di G., su Tartapelago,
Maecla, Rhodonea Curves, in The MacTutor History of Mathematics archive, School
of Mathematics and Statistics, University of St Andrews, Scotland. Voci
correlate Ipocicloide Figura di Lissajous Sistema di coordinate polari sistema
di coordinate bidimensionale Atomo di idrogeno atomo dell'elemento
idrogeno Metodo simbolico Il progressus in infinitum (in
italiano progresso all’infinito o regressus in infinitum regresso all'infinito,
è un'espressione della filosofia scolastica che indica un modo di argomentare
logicamente, quando, per spiegare qualcosa, si ricorre a un termine, il quale
però rende necessario il rinvio a un nuovo termine, e questo a un ulteriore
termine; e cosi via senza che si possa mai giungere a un punto di spiegazione
ultimo e definitivo. Questo procedimento logico, usato largamente da Aristotele
e dagli scettici, vuole quindi dimostrare l'insufficienza di un'argomentazione.
La differenza tra le due espressioni consiste nel ricercare la causa prima (ad
esempio: causalità ideale platonica) o spiegazione definitiva di una cosa (ad
esempio: causalità naturale aristotelica) procedendo logicamente in avanti
progressus o all'indietro regressus. Un esempio di un procedimento logico
basato sul regressus in infinitum si ritrova nell'"Argomento del terzo
uomo" di Aristotele. Kant nella settima sezione della sua Critica
della Ragion Pura chiama progressus in indefinitum questo infinito per
addizione che non ammette nessuna limitazione se non quella provvisoria che gli
può essere assegnata ad ogni suo passo, prima di procedere al passo successivo.
Si tratta di un infinito irraggiungibile, non potendosi contare effettivamente
infiniti numeri naturali. Per questo motivo Aristotele nel LIZIO afferma
che il numero è infinito in potenza, ma non in atto. come appare chiaro se si
rappresentano i numeri naturali con una serie di punti equidistanti, che si
susseguono senza fine lungo la retta in una successione infinita discreta nel
senso che tra due elementi consecutivi c'è uno spazio vuoto, da intendersi come
assenza di elementi. Si parla anche di un'infinità numerabile, giacché di
questi infiniti elementi è possibile dire qual è il primo, il secondo, il
terzo, e così via. L’infinito potenziale è perciò un infinito ottenuto
per divisione; «la caratteristica di tale infinito, che Kant chiama regressus
in infinitum, è che esso è interamente contenuto in una totalità limitata:
dividendo all’infinito un segmento in parti sempre più piccole, risulta
evidente che tutti gli elementi della divisione sono in realtà già assegnati e
presenti, prima ancora che la stessa divisione abbia inizio; appartenendo ad
una forma limitata essi non possono sfuggire e non possono che essere ritrovati
durante un processo all’infinito che inevitabilmente li raggiunge tutti.
La differenza tra progressus in infinitum e regressus in infinitum
secondo Kant sta proprio in questo: nel primo caso gl’elementi vanno cercati al
di fuori della totalità parziale, sempre finita, che non si cessa mai di
ottenere; nel secondo essi vanno trovati in un tutto preesistente. Note Dizionario
internazionale Enciclopedia Treccani alla voce "Regressus in infinitum Bocconi
- Aristotele e l'infinito Mathesis Portale Filosofia: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di Filosofia. Nome compiuto: Luigi Guido Grandi. Grandi.
Keywords: infinite implicature – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grandi:
implicatura infinita” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Grassi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- d’Ovidio a Vico: la
metafora inaudita e il concetto di stato in Machiavelli – filosofia fascista – la
scuola di Milano -- filosofia lombarda – filosofia milanese – scuola di Milano
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Abstract. Grice said: “Heidegger is the greatest
living philosopher” – and he was! At Oxford, they laughed at him. But like no
other philosopher, Heidegger knew how to conjugate ‘sein’ in German. G. tried
with ‘essere’ in Italian – and failed miserably! Only joking! G. was a genius! Keywords: Heidegger, Grice. Filosofo
italiano. Filosofo Lombardo. Filosofo milanese. Milano, Lombardia. Grice: “I like Grassi. He
philosophised, like I did, on the metaphysics of Plato.” Grice: “Grassi has the
gift of the gab: ‘metafora inaudita,’ ‘potenza dell’imagine,’ –“ Grice: “Grassi
has mainly explored Heidegger.” – Grice: “I like Grassi’s general use of
‘imago’ to re-approach rhetoric!” -- Si laurea a Milano sotto Martinetti.
Opere: “Metafisica platonica” (Laterza, Bari) – cf. A. D. Code on H. P. Grice
on the axioms of metaphysical Platonism --. “Apparire ed essere” (Nuova Italia, Firenze). “Il
bello e l’antico” (Paravia, Torino).“Heidegger e umano – Mann in Heidegger”
(Guida, Napoli). “La preminenza della metafora” (Mucchi, Modena). “La filosofia
dell'umanesimo. Un problema epocale” (Tempi, Napoli). “La follia -- Umanesimo e
retorica” (Mucchi, Modena) “Potenza dell'immagine -- ivalutazione della
retorica” (Guerini, Milano) “La metafora inaudita, -- cf. la lingua inaudita --
Massimo Marassi, Aestetica, Palermo “Potenza della fantasia” Guida, Napoli Filosofare
noetico non metafisico (Congedo, Galatina); “Vico e l'umanesimo” Guerini, Milano
Il dramma della metafora. Ovidio, Massimo Marassi, Tipografica, Roma,“Arte e
mito”La Città del Sole, Napoli, “Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica”, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli; “Tra antropologia,
logica e ontologia”; “l'incidenza di Vico nell'antropologia di G.”; “Platone
nell’onto-antropo-logia di G. Dizionario Biografico degli Italiani. “La risposta (Antwort) del pensiero è l’origine della
parola (Wort) umana”, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica?“L’espressione
metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone
qui ed ora, e con il suo carattere immaginifico raggiunge la struttura patetica
dell’esistenza”, G., La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocaleAccostandoci ai lavori di Ernesto G. possiamo avere, non senza qualche
fondamento, l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito la cui
ricchezza e minuziosità di esposizione non rende sempre agevole
l’attraversamento di tutte le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate. Uno
dei motivi di quello stile G.ano, che si snoda tra meditazione e saggio, come
testimoniano gli ibridi stilistici contenuti in molti suoi contributi, da Assenza
di Mondo a Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere rintracciato nella
volontà di portare alla luce le diverse zone dell’umano senza tralasciarne
alcuna. Il movimento d’anabasi e catabasi, dalla superficie al fondale, dal
suolo al sottosuolo, ci restituisce la complessità dei fenomeni culturali che
riguardano l’uomo nella sua interezza e non solo una sua parte più o meno
preponderante. Nella nostra analisi del pensiero di G. abbiamo seguito come
filo conduttore il tema dell’onto-antropo-logia che ci appare come una chiave
di lettura adeguata per comprendere la sua proposta umanistica-retorica e l’idea
di ganzer Mensch che la sottende. La nostra scelta interpretativa non avrà come
scopo una ricostruzione storiografica delle diverse tappe del pensiero e della
vita. La RISPOSTA (ANT-WORT) del pensiero è l’origine della PAROLA (WORT)
umana, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica? L’espressione metaforica
è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone qui ed ora,
e con il suo carattere immaginifico raggiunge la struttura patetica
dell’esistenza, G., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale
Accostandoci ai lavori di G. possiamo avere, non senza qualche fondamento,
l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito la cui ricchezza e
minuziosità di esposizione non rende sempre agevole l’attraversamento di tutte
le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate. Uno dei motivi di quello
stile G.ano, che si snoda tra meditazione e saggio, come testimoniano gli
ibridi stilistici contenuti in molti suoi contributi, da Assenza di Mondo a
Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere rintracciato nella volontà di
portare alla luce le diverse zone dell’umano senza tralasciarne alcuna. Il
movimento d’anabasi e catabasi, dalla superficie al fondale, dal suolo al
sottosuolo, ci restituisce la complessità dei fenomeni culturali che riguardano
l’uomo nella sua interezza e non solo una sua parte più o meno preponderante.
Nella nostra analisi del pensiero di G. abbiamo seguito come filo conduttore il
tema dell’onto-antropo-logia che ci appare come una chiave di lettura adeguata per
comprendere la sua proposta umanistica-retorica e l’idea di ganzer Mensch che
la sottende. La nostra scelta interpretativa non avrà come scopo una
ricostruzione storiografica delle diverse tappe del pensiero e della vita
dell’autore su cui autorevoli interpreti si sono diffusamente espressi1. Il
coacervo di autori, prospettive e tematiche, pone in luce i numerosi ambiti
toccati dal filosofo: , R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica,
ermeneutica e umanesimo nel pensiero di G., Palermo, Centro Internazionale di
studi di estetica, Civati, Un dialogo sull’umanesimo. Gadamer e G., l’Eubage,
Aosta; Kozljanic, G.. Leben und Denken, München, Fink; W. Büttmeyer,
Rettifiche. Laurea, libera docenza e Studia Humanitatis di G., in Giornale
critico della filosofia italiana, G.. Humanismus zwischen Faschismus und
Nationalsozialismus, München, Alber; J. Sànchez Espillaque, G. y la filosofìa
del humanismo, Sevilla, Biblioteca Viquiana- Fenix Editora; S. Limongelli, Il
problema dell’umano nella filosofia di G., Vaprio d’Adda, GDS, La svolta
metaforica dell’ontologia fondamentale, Vaprio d’Adda, GDS, Marassi,
Introduzione a G., I primi scritti, La città del Sole, Napoli] mitico/metaforologico,
antropologico, filosofico, storia delle idee e storia della cultura. In questo
contesto teorico emerge la centralità del concetto di Lichtung, il quale
consente di comprendere la direzione metaforologica del pensiero G.ano che nei
saggi giovanili si era concentrato maggiormente su una tematizzazione
dell’ontologia fenomenologica. Si tratta di una Lichtung di evidente sapore
heideggeriano che allarga il suo raggio di incidenza sulla cultura e sulla
società trasformandosi nelle vichiane luci della Scienza Nuova. La nostra
attenzione si concentrerà sui temi che accompagnano l’iter G.ano dall’ontologia
alla metaforologia. In questo percorso ovviamente alcuni temi o spunti
resteranno sullo sfondo – come l’agire delle condizioni storico-politiche
(magistralmente ricostruite da Büttemeyer) – e si privilegeranno quegli autori
e quei temi che più ci appaiono attinenti con l’argomento G.ano che vogliamo
mettere in risalto. Dal nostro punto di vista la prospettiva G.ana va
interpretata come il tentativo di approntare una nuova filosofia, nell’epoca in
cui se ne è decretata la morte, che sia innanzitutto esperienza del mondo e non
solamente conoscenza. O meglio: di conoscenza pur sempre si tratta, il punto di
riferimento è pur sempre la ragione, ma una ragione non classica: una ragione
fantastica. La svolta G.ana è verso la fantasia e la metafora2, da una teoria
del concetto a una teoria dell’inconcettualità per usare una ben nota
espressione blumenberghiana. Il filosofo italo-tedesco accoglie in tutta la sua
problematicità l’eredità di quel discorso posto a partire dal Settecento in
modo sistematico all’interrogazione filosofica: il conflitto tra ragione e
sentimento che agita le pagine degli empiristi, dei poeti, della critica
kantiana fino alla tematizzazione husserliana. La questione è ancora una volta
quella di riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato nella rete di una
soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale adeguarci, attingendo a
un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti della sensibilità e della
razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della riflessione che lo struttura
si intersecano. Sulla svolta metaforica dell’ontologia fondamentale di G. , S.
Limongelli, La svolta metaforica dell’ontologia fondamentale In questo
orizzonte di ricerca dobbiamo compiere atti continui di demitizzazione: una
delle mitologie da sfatare per il filosofo è quella della ratio e dell’atto
dell’io penso di Cartesio, padre del pensiero moderno. Ma tale operazione
decostruttiva, tale filosofia col martello, per usare una ben nota metafora
nietzscheana, non si risolve in una mitizzazione, di segno opposto, della crisi
della ragione, del tramonto della civiltà in cui cultura e civilizzazione si
sono definitivamente separate, con la conseguenza di una dilagante
inautenticità dell’esperienza. Non ritroviamo mai in G. una rassegnazione al
declino dell’Occidente, un compiacimento quasi edonistico della dissoluzione
delle categorie, ma sempre una ricerca costante di un Altro inizio del
pensiero. Un inizio che è strettamente correlato alla potenza delle immagini.
Il significato attribuito all’immagine, alla forma, all’eidos3, esemplarmente
condensato nell’aneddoto di Poliziano sulle streghe nelle selve, raccontato
agli studenti in apertura del corso sull’Organon aristotelico4 e ricordato da G.
in Potenza dell’immagine, va contestualizzato all’interno della questione più
generale del rapporto tra filosofia e retorica, tra linguaggio dimostrativo e
indicativo già avvertito in maniera problematica dalla riflessione sofistica
gorgiana e di conseguenza platonica. E procedendo a ritroso, i termini della
questione ci conducono sulla strada di un’esatta definizione della teoria della
visione a cui l’eidos rimanda per sua stessa definizione: se infatti la forma
dimostrativa, come pure quella indicativa, del discorso hanno le loro radici
nella teoria, nella vista, si deve allora riconoscere che il vedere, la
visione, oltrepassa l’ambito del linguaggio e che l’immagine, l’eidos, giunge
in primo piano. Dobbiamo dunque affermare tanto l’inadeguatezza del linguaggio
razionale quanto di quello indicativo, dato che essi si basano sul vedere quale
atto più originario dello stesso linguaggio. L’immagine si riferisce non solo
all’oggetto di cui essa è immagine ma anche al senso che diviene
rappresentazione, una forza di sintesi con caratterizzazioni qualitative proprie.
Husserl ha parlato non G. usa il termine immagine nella sua identità con
l’eidos come forma, schema e tipo. G.,
Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Guerini, Milano a caso di
sintesi passiva come genesi del simbolico, lezione che G. accoglie nel suo
tentativo di ricostruire un intero, una realtà dotata di sensi molteplici e
stratificati, senza il sacrificio di alcuna dimensione dell’esperienza. La
concettualizzazione messa a punto da G. dei grandi temi della filosofia,
dell’arte e della letteratura, mostra l’attenzione verso le dimensioni del
mondo storico, delle passioni dell’uomo, delle tradizioni drammatiche, teatrali
e metaforiche dell’Occidente. La luce gettata su questi campi di esperienza
spesso è offuscata dal tono della polemica e della rivendicazione degli ideali
del passato, che spiegano anche l’andamento della pagina G.ana: si tratta di
uno stile sempre mosso da un’inquietudine esistenziale, che si traduce in
un’espressione non sempre pacata e in un linguaggio lineare, ma in una parola
che ora è invettiva, ora icastico assioma. Il linguaggio non raggiunge mai la
trasparenza della deduzione sillogistica o della spiegazione logica,
configurandosi piuttosto come un linguaggio assiomatico e arcaico, che forse
trova una spiegazione nella critica G.ana al deduttivismo logico e ad un sapere
schiavo della mathesis universalis. Il discorso non può prendere che una piega
allusiva e indicativa, propria di un altro modo di relazionarsi alla realtà. G.
in qualità di cultore attento delle scienze umane, mostra quella partecipazione
esistenziale ed emotiva ai temi cruciali per l’esistenza dell’uomo tipica di
coloro che esperiscono la filosofia come bios pratico e teorico, e solo
secondariamente come gnoseologia e epistemologia. Dalla sua prospettiva la
ricerca logico-deduttiva urta definitivamente contro l’indimostrabilità dei
principi, tema, questo, che ricorre in gran parte dei suoi saggi. Ma, allora,
qual è la via di accesso a ciò che ci sovrasta e ci governa? Come esperire
l’archè originaria? Non attraverso la ratio si accederà ai principi, ma
attraverso il pathos: un sapere arcaico, un theorein che non si limita ad usare
i principi, ma a rifletterci sopra nel modo giusto. L’essere si rivela
attraverso un vedere che è patire poiché la passione svela la realtà del nulla
che chiama a decidere, a violare il silenzio dell’abisso svelando il senso
segreto che in esso ci parla 6 S. Limongelli, La svolta metaforica
dell’ontologia fondamentale A una pars destruens, a cui è dedicato parte del
pensiero del filosofo, si accompagna anche una pars construens, che si
concretizza nell’ipotesi metodologica ed epistemologica del sapere arcaico –
che coinvolge tutta la riflessione riguardo il mito, il pensiero topico, la
metaforologia, l’ingenium e la phantasia. L’apogeo della critica alla deriva
razionalistica del pensiero si colloca nell’individuazione della intima
correlazione delle nozioni aristoteliche di pistis e di episteme. Il filosofo
afferma in Significare Arcaico che la pistis, intesa come fondamento
dell’inspiegabile, perché fondamento di ogni spiegazione, è propria del mondo
originario e, come tale, solo il mondo della fede è fecondo7. Per pistis G. intende
non un’opinione o una forma di persuasione ma il modo di realizzarsi in noi
dell’originario che comanda. La pistis diviene il fondamento della retorica
originaria che ha carattere ingegnoso e arcaico. Il collegamento istituito tra
nous/ingenium e archè mette in luce la stessa matrice originaria dell’episteme:
l’urgenza, l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni
indicativi colti attraverso la passione. Secondo G. ogni discorso dimostrativo
razionale si radica nel discorso arcaico puramente semantico, il quale
scaturisce nella sua immediatezza nell’ambito del nous, dell’ingenium, della
facoltà che realizza la visione dei segni originari che presiedono al mondo umano9.
Quella che G. definisce come noetica è la forma originaria della filosofia e si
configura come a priori trascendentale di ogni dimensione deduttiva e storica.
Il fondamento del reale, del mondo storico e del mondo umano, è quell’abissale
fondamento di ogni fondamento, che, sulla scia heideggeriana, il pensatore
individua sia in Il dramma della metafora, quando la riflessione si concentra
sull’abissale nous passionale, sia in Das Reale als Leidenschaft. L’aspra
critica al deduttivismo, al riduzionismo logico del pensiero, e alla
matematizzazione di ogni discorso, non compromettono tuttavia lo spessore
speculativo della proposta di G. che resta
7 G., Significare arcaico, in Archivio di filosofia, Roma filosofica
proprio nell’insistenza della ricerca sul perché, su una, per quanto miope,
visione dell’origine, su un primum esperibile attraverso segni, indicazioni. La
sua prospettiva, che abbiamo scelto di definire onto-antropo-logica, può essere
annoverata all’interno del più ampio dibattito che anima la filosofia del ‘900:
quello che vede incrociarsi i temi dell’antropologia filosofica con quelli
della riflessione sulla retorica. Sullo sfondo agisce il paradigma
dell’incompletezza: l’uomo come animale carente. Il filosofo, sensibile alla
riflessione dei biologi teoretici e degli antropologi a lui coevi, è convinto
che l’uomo sia di fronte ad un paradosso: è caratterizzato dal punto di vista
morfologico, dal punto di vista della sua dotazione organica, da primitivismi,
inadattamenti e non specializzazioni, a cui fa da contraltare un’apertura al
mondo che non lo vincola, come nel caso degli animali, ad un ambiente preciso;
da qui il suo disorientamento e condizione di estraneità. Per il pensatore la
differenza essenziale tra vita animale e umana sta nella razionalità di
quest’ultima che (contrariamente a quanto siamo soliti credere) in un primo
tempo non segnala una superiorità, bensì una certa inferiorità dell’uomo di
fronte all’animale10. Tale inferiorità – il paradigma della carenza – appare in
tutta la sua evidenza se si tiene in considerazione che nell’animale la regia
dei sensi11 restituisce il significato immediato dei fenomeni. Il disancoraggio
umano da un ambiente dai contorni definiti e fissi rende l’umo compito a se
medesimo, lo sottopone ad un onere che si concretizza nella riconversione di
una condizione deficitaria in una progettazione di possibilità di conservazione
della vita. Nascono la techne, che ordina i fenomeni in funzione a fini da
realizzare12, e l’episteme, che delimita i fenomeni in funzione a principi, a
ragioni13. La prassi, l’azione, l’energheia e l’ergon, come compensazione alla
struttura morfologica deficitaria, si configura come trasformazione della
natura in mondo culturale, come umanizzazione dell’ambiente che solo così
diviene mondo. In tale processo antropogenetico per G. la retorica occupa un
posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa produzione di quelle
concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti. Essa ha un doppio
ruolo: quello di mostrare come la pistis sia al centro dell’agire umano e di
porre in luce come l’uomo sia contraddistinto da una carenza originaria che per
una sorta di eterogenesi dei fini si rivela essere all’origine di quel
meccanismo antropogenetico che è la fondazione della comunità umana.
All’interno di questa prospettiva la riflessione retorica diviene teoria dei SEGNI
(SEMATA), SEMIOTICA, e teoria del senso, SEMANTICA arcaica, ben lontana dalla
semiotica formale. Una teoria del SEGNO e del senso per il filosofo dove essere
in grado di elevarsi al livello di filosofia in quanto dottrina del SEGNO sulla
base dei quali si manifesta il lavoro specificamente umano, ergon anthropinon. La
questione linguistica si intreccia con quella antropologica dell’origine del
mondo umano come reazione all’agorafobia primordiale della Lichtung, la
SEMIOSFERA da cui si dipartono mondi possibili dell’umano. Su questo sfondo
teorico denso e complesso nella sua ricchezza tematica si staglia la questione
della rivalutazione dell’umanesimo, connessa alla tematizzazione della
co-originarietà di logos e pathos (dove il trascendentale dell’esperienza è il
sostrato patico che va a fondare la stessa vita cogitativa), e alla critica del
moderno. L’interpretazione G.ana dell’umanesimo è lontana dai presupposti
teorici e metodologici a lui coevi che privilegiavano il contributo ficiniano
nel superamento del pensiero immaginifico e retorico: lo scopo di G. è quello
di mostrare come l’attività filosofica non corrisponda sic et simpliciter con
l’attività razionale e concettuale ma comprenda anche l’attività della fantasia
e della parola figurata. Oltre alle posizioni di Spaventa e GENTILE ad essere
messa in discussione è anche la via epistemologica cassireriana15. Si tratta di
spostare i termini della questione sul versante ontologico- Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, La città del Sole, Napoli; La filosofia
dell’umanesimo. Un problema epocale, Tempi Moderni, Napoli ermeneutico che si
concreta nella retrodatazione dell’inizio del moderno all’Umanesimo e al
Rinascimento – contro la tesi che individua in Cartesio l’inizio della
modernità – in cui emerge la questione della connessione tra soggetto e oggetto
nell’espressione linguistica. A partire dalla messa in discussione del
pregiudizio heideggeriano nei confronti dell’umanesimo, sia esso considerato
come epoca storica ben determinata o piuttosto come Weltanschauung inautentica,
G. porta avanti la direzione della Humanistische Bibliotek per l’editore Fink
contribuendo alla pubblicazione di cinquanta volumi a tema umanistico, come le
opere di Petrarca, Salutati, Valla, Pico. La questione dell’Umanesimo non è
ristretta nei confini della paideia che ha a cuore la rivalutazione della
dignità dell’uomo ma ha una vocazione metafisica e ontologica in quanto aperta
al problema dello svelamento. Come è stato messo in luce dagli interpreti
l’attenzione è spostata verso l’Umanesimo problematico anziché verso quello sistematico,
verso la ricchezza del possibile e non verso l’unilateralità del vero16. Gli
autori prediletti da G. mostrano tutti una critica verso gli schemi astratti ed
aprioristici e un’apertura verso la giurisprudenza, la retorica, la religione
dei miti e la politica. La dimensione retorica va considerata secondo il
filosofo non come elocutio ma come inventio: non si tratta di un ornamento
edonistico del discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una vis
creatrice che attinge al polimorfismo del reale: la Weltanschauung umanistica
tutt’altro che tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della metamorfosi,
che opportunamente si salda in G. alla centralità della metafora, stabilendo
con la topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami dal mandato sempre
provvisorio17. Il magistero degli umanisti e di Vico, quale ultimo interprete
degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva ma anche esistenziale
della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a G. di porre
l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero, più che alla sua fase
declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura delle cose, che
altro non è che , A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di G.,385-404, in
Studi in memoria di G., La Città del Sole, Napoli] nascimento in certi tempi e
in certe guise (Scienza Nuova, Degnità), G. rifugge dagli ideali cartesiani di
chiarezza e distinzione optando per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo
il dualismo di pathos e ragione si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e
Vico che divengono le due allegorie del danno e del rimedio per la filosofia
autentica. Cartesio compare quale bersaglio polemico di un discoro che vuole
scardinare l’impostazione razionalista del pensiero. Riconosciamo in questa
impostazione l’agire delle categorie interpretative del maestro degli anni
mitici, Heidegger, il quale sottopone l’autore delle Meditazioni all’affilata
mannaia della distruzione ontologica, valutando l’operazione metodica di
separazione tra io e mondo18, tra res cogitans e res extensa un’assurdità. Se
si postula una separazione non ci sarà alcuna possibilità di ricomposizione
della frattura come è possibile leggere in Essere e Tempo ai paragrafi 19-21.
Secondo Heidegger, a partire da Cartesio19avviene nella metafisica un
importante passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a
quello della domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile
la comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce – ad esempio,
nelle suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo della tecnica
come estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza stessa della
metafisica che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum,
infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova
posizione dell’uomo21, poiché l’uomo diventa subiectum22, il fondamento e la
misura di ogni Sull’interpretazione heideggeriana dell’ontologia cartesiana del
mondo M. Heidegger, Essere e Tempo,
Longanesi, Milano, §§ 19-21. 19 Sull’interpretazione heideggeriana del pensiero
di Cartesio , J. F. Courtine, Les meditations cartèsiennes de Martin Heidegger,
Les ètudes philosophiques È fin troppo nota la tesi cartesiana espressa a mo’
di slogan nel Discorso sul metodo (CARTESIO, Discorso sul metodo, Paravia,
Torino 1990,72). Tale espressione indica la scoperta del soggetto, scoperta che
nonostante l’ergo non ha la caratteristica di un ragionamento discorsivo, bensì
quella di una certezza intuitiva. Il cogito è infatti innanzitutto una
esperienza incontrovertibile, poiché indubitabile e inaggirabile, e poi il
principio più importante della filosofia, come è possibile leggere in I
principi della filosofia Per un approfondimento circa la questione del
cogito G. Mori, Cartesio, Carocci, Roma;
Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano,158. 22,168. !
12! certezza e verità. La tradizionale domanda guida della metafisica –
che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica moderna nella
domanda del metodo, della via per la quale,
è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro23. Tale metodo è il
cogito e le sue strutture. G. fa sua l’impostazione heideggeriana e afferma che
occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio cartesiano del pensiero moderno
poiché il vero inizio è quello che include il pathos all’interno del logos.
Egli sostiene che all’inizio della filosofia moderna Descartes escluse
scientemente la retorica – e le altre materie proprie dell’educazione
umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della verità24. Il dualismo di
dimensione patica e dimensione razionale ha come conseguenza sul piano teorico
una contrapposizione tra il piano individuale, storico e temporale della
retorica e il piano generale, astorico, e svincolato dall’hic et nunc. Il
problema della connessione di pathos e logos, di filosofia critica e topica, è
posto per la prima volta secondo il pensatore in modo teoricamente articolato
nella filosofia vichiana soprattutto nel testo De ratione studiorum del quale G.
ricostruisce in Vico e l’umanesimo minuziosamente le tappe della critica del
napoletano al razionalismo cartesiano: la pretesa di partire da un primo vero
attraverso il dubbio metodico; esclusione delle verità seconde; esclusione del
verisimile25. Se il primo vero riguarda l’essere e la catena deduttiva della
dottrina della scienza atta a conoscerlo, le verità seconde pertengono
all’ambito delle necessitates umane che spingono l’uomo a ricercare quei mezzi
per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici. Il metodo critico di
impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera retorica,
immaginativa, fantastica, ma anche politica, della vita umana, ridotta al suo
puro aspetto cogitativo. Sebbene il rapporto di Vico con il cartesianesimo si
presenti come un problema storiografico e filosofico complesso26 si può
senz’altro convenire con G. sull’opposizione vichiana alla critica,169. 24 G.,
Vico e l’Umanesimo, Guerini, Milano; Badaloni, Introduzione a G. B. Vico,
Feltrinelli, Milano cartesiana nel contesto della rivendicazione della priorità
della topica: giacchè, come l’invenzione degli argomenti precede per natura la
valutazione della loro veridicità, così la dottrina topica dev’essere preposta
a quella critica Non è la deduzione che precede l’inventio, ma al contrario
ogni catena di ragionamento è possibile unicamente sulla base di un
ritrovamento di luoghi28. Si tratta dell’arte topica che si chiarisce così come
una dottrina dell’invenzione 29 di cui Cicerone e Quintiliano ci hanno parlato
e su cui già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è
riconosciuta la capacità di individuare a quanti e quali oggetti si rivolgono i
discorsi, da quali elementi derivano, e come sia possibile avere tali discorsi
facilmente a disposizione 30. La questione è ancora una volta quella di tenersi
lontani da una visione unilaterale della realtà tenendo conto delle
innumerevoli forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua
ricchezza. La ricerca del vero particolare, circostanziale, storicamente
determinato ci spinge a concordare con Bons riguardo alla centralità dell’idea
di agire situativo31, sullo sfondo del quale si comprende la proposta retorica G.ana.
Si tratta di un agire situativo che alla formula cogito ergo sum sostituisce la
formula coactus sum ergo ago32: non penso, dunque sono , ma sono costretto, G.
B. Vico, Sul metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi,
Postfazione di M. Sanna, ETS, Pisa Sulla figura di Vico in G. G. Cantillo, Ratio e inventio
nell’interpretazione dell’umanesimo,371-378, in AA. VV., Studi in memoria di G.,
A. Verri, G.: Linguaggio e civiltà in Vico,405- 423;, S. Roic, Vico, G. e la
metafora,425-435; A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di G., cit.;, A.
Pons, Vico e la tradizione dell’umanesimo retorico nell’interpretazione di G.,437-446;,
L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, Vincenzo, La ripresa G.ana di
Vico, l’unità di pietà e sapienza,471-491. , sull’incidenza
dell’interpretazione G.ana di Vico nel panorama degli studi vichiani
contemporanei G. Cacciatore, In dialogo con Vico, Edizioni di Storia e
letteratura, Roma 2015, soprattutto38 nota 5; Verità e filologia. Prolegomeni
ad una teoria critico-storicistica del neoumanesimo, in Noema , n. 2, 2011,
pp.1-15, riviste.unimi.it/index.php/noema; J. M. Sevilla, Prolegòmenos para una
crìtica de la razòn problemàtica. Motivos in Vico y Ortega, soprattutto il III
capitolo, Retòrica como filosofìa. Vico, Heidegger, G. y el problema del
humanismo retòrico G., Vico e l’umanesimo, 34. 30 Aristotele, Topica, 101 b 3.
31 E. Bons, Il pensiero di G.. Una breve sintesi,75-98, in AA. VV., Studi in
memoria di Ernesto G., 81.Wisser, Ricordo di G.. Arte e mondo,159-191, in AA.
VV., Studi in memoria di G. quindi agisco . Proprio la ricchezza del reale
viene salvaguardata in un pensiero topico, ingegnoso capace di apprendere
maggiormente rispetto al pensiero critico tutto confinato all’interno della
catena delle deduzioni. Il nucleo teorico fondamentale è quello di saper
ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a partire dalle
quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di ragionamento esatto. Si
comprende allora l’accostamento ai temi metaforologici che per il filosofo sono
la base del discorso retorico e filosofico. La metafora è il luogo, lo
spazio-di-tempo- in cui si dà la manifestatività dell’essere e il suo appello.
Poiché l’essere è un Altro di cui l’ente nel suo significato è trasposizione la
parola metaforica sarà l’unica in grado di accogliere l’appello dell’essere34.
Al filosofo non interessa dunque il meccanismo strettamente semiotico di
singole espressioni metaforiche, ma ciò che questo trasferimento nasconde, ciò
a cui supplisce. Su questo sfondo si può comprendere la declinazione
antropologica della retorica in base alla quale quest’ultima si costituisce
come pensiero che è aperto alla chiamata della concreta situazione di vita 35
in cui la metafora riveste un ruolo particolare. Essa si configura come un
fenomeno cognitivo, un medium attraverso cui il pensiero non solo si articola,
ma su cui si fonda. Seguendo le tappe fondamentali della sua ricerca teoretica
riscontriamo che l’elemento riflessivo – sia esso orientato verso l’attualismo,
sia esso ispirato dalla metafisica immanente di Heidegger, sia, infine, caratterizzato
dalla propria originale prospettiva del filosofare noetico non metafisico – è
tutto spostato verso la pratica filosofica nel suo farsi e compiersi e non
verso un astratto razionalismo. Accompagnandosi costantemente ad una filosofia
attenta alla correlazione uomo-essere, mai chiusa in una dimensione
esclusivamente ontologica, G. si misura con una continua operazione di G.,
Retorica come filosofia, 75. 34 La metafora inaudita, Aesthetica, Palermo 1990,
62. Sul tema della metafora in G. , D. Di Cesare, Metafora e differenza
ontologica. G. versus Heidegger,25-48, in AA. VV., Un filosofo europeo: G.,
Aesthetica, Palermo 1996. 35 W. Veit., Critica radicale della ragione o l’altro
rispetto alla ragione: la sfida della retorica,99-126, in AA. VV., Studi in
memoria di G. storicizzazione delle strutture del mondo storico umano: il
bello, il buono, il vero, la triade concettuale alla quale il filosofo
riconduce la totalità del mondo storico. L’avventura filosofica di G. mette al
centro il soggetto umano e la sua coscienza – la coscienza temporale umanistica
– senza cadere nell’idealismo vecchio e nuovo, né in un soggettivismo di
cartesiana memoria, proprio perché la coscienza per il pensatore è un compito,
uno sforzo e un impegno. Concetti, questi, che scandiscono i momenti della vita
pratica e politica del mondo umano e vanno ad intrecciarsi con le idee di
disancoramento, oggettività e coscienza temporale umanistica. Il compito, lo
sforzo e l’impegno, trattati in forma estesa in Il reale come passione.
L’esperienza della filosofia36 hanno una connotazione ermeneutica, non solo
pratico-politica, poiché permeano anche il processo dell’interpretazione. La
formazione umana – il cuore della retorica G.ana37 – fondata
sull’interpretazione, ha carattere esistenziale per il filosofo. Egli sostiene
che tra formazione, interpretazione ed esistenza c’è un’intima co-appartenenza,
come emerge dalle pagine in cui il filosofo afferma che: l’interpretazione è il
risultato di un ipotetico progetto in cui viene in seguito verificato se
contiene e chiarisce effettivamente tutti gli aspetti e tutti gli elementi;
questo procedimento è l’essenza dell’atto dell’intelligenza. Poiché l’uomo è un
essere aperto al mondo e non dispone di schemi già pronti, la sua formazione
acquista un carattere esistenziale. Esistere significa sopportare la
problematicità del rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo senza
evitare la decisione che è sempre richiesta 38. L’esistenza interpretante
secondo G. ha carattere trascendente, dove la trascendenza è sempre
intra-mondana poiché si fonda sulla necessità di formare, di portare ad uno
schema, ad una forma la teoria della
formazione diventa qui la dottrina della struttura dell’accadere umano alla
luce dell’origine del nostro divenire; G., I primi scritti, e Prefazione a Der
tod des Sokrates di Guardini, Retorica come filosofia, Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, 73. ! 16! diventa una ricerca
arcaica, nella misura in cui si riferisce agli schemi fondamentali (archai)
dell’autorealizzazione umana 39. L’analisi G.ana mira a proporre un’idea di
totalità del fatto umano il cui pieno
sviluppo è obiettivo dichiarato della sua proposta neo-umanistica. G. sostiene
che il fine degli studi umanistici è il pieno sviluppo di tutte le capacità
dell’uomo, dell’!"#$% &%'"()*%$% 40. Se la coeva concezione del
sapere si concentra solo sul suo aspetto di utilità all’uomo, misconoscendo la
diversità delle fonti dell’esistenza umana (il vero, il buono, il bello) per il
filosofo occorre svoltare verso una scienza che riconosce che ci sono capacità
differenti, autonome l’una rispetto all’altra e nondimeno appartenenti tutte
quante all’essenza e all’interezza dell’uomo, e che dal loro pieno sviluppo
sorgono le diverse opere dell’uomo 41. Per il filosofo bisogna ammettere che il
sapere, il bello, il buono, non dipendono dall’applicabilità e che solo
liberando le fonti della vita e rispettando la loro autonomia, sia può
realizzare l’opera complessiva dell’uomo, quella totalità che era anche
l’antico ideale della comunità politica, ossia della comunità umana 42.
L’intima connessione strutturale di pensiero, volontà e passione – in cui
riecheggia la lezione diltheyana appresa durante lo stage tedesco degli anni
giovanili – e la relazione dialettica di continuo scambio tra uomo e mondo
circostante caratterizzano una nuova visione del tempo che non trova più il suo
fondamento nell’a-priori formale della ragione ma nelle concrete e sempre nuove
connessioni che l’uomo istituisce attraverso le espressioni linguistiche,
artistiche, civili, politiche. Tutti i contributi G.ani muovono dal rifiuto di
assolutizzare un’essenza universale dell’umano e dal proposito di rendere
ragione della condizione umana attraverso l’indagine dei possibili punti di
mediazione di ragione e passione, logos e pathos, tramite una ricerca che potremmo
definire, 74. 40!Id., Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, in I
primi scritti fenomenologia storico-ermeneutica – almeno per quanto riguarda
gli scritti tardi come La potenza della fantasia, La potenza dell’immagine,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, Retorica come filosofia, La filosofia
dell’umanesimo, Vico e l’umanesimo, La metafora inaudita, Il dramma della
metafora – che fa capo ad un concetto sintetico-trascendentale della fantasia
che si costituisce come strumento indispensabile di mediazione tra l’esperienza
storica e pratica finita e la generalizzazione dei miti, delle metafore. Lungo
questo processo complesso e ricco di articolazioni nel campo della psicoanalisi
(Freud), della letteratura (Eschilo, Sofocle, Euripide, Ovidio, Dante,
Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Ungaretti, Poe, Mallarmè, Proust, Wagner,
Hölderlin), dell’antropologia e della biologia teoretica (Scheler, Plessner,
Gehlen, Driesch, Von Uexküll padre e figlio), della retorica (CICERONE (si
veda), Quintiliano, Tesauro, Graciàn) e naturalmente della filosofia, avviene
quello slittamento verso una teoria dell’atto metaforico che è l’esito della sua filosofia. La ricerca
sulla metafora non si configura semplicemente come una fenomenologia
metaforologica che si limita alla descrizione delle metafore che ha prodotto la
storia umana, ma come una teoria che indaga il plesso azione-metafora. Si
tratta di una teoria che guarda all’energheia metaforica e al processo del
metapherein segnando una distanza netta dall’astrazione concettuale.
Quest’ultima fissa il reale bloccandone il flusso e la vita in una staticità,
cristallizzazione e immobilità, mentre la teoria G.ana pone in luce l’aspetto
arcaico, nel senso di fondativo, dell’atto metaforico che genera il mondo umano
proprio attraverso un atto di trasposizione che agisce su due livelli:
linguistico (linguaggio metaforico); pratico-politico (fondazione della comunità
umana a partire dalla umanizzazione della natura tramite pratiche di
trasposizione di significato). L’accento della riflessione si sposta dalla
ricerca sul perché e sul che cosa alla domanda sul come il reale si impone alla
nostra percezione. Il reale, l’originario, l’essere si impongono nell’urgenza
dell’appello ermeneutico in cui l’ente svela la propria mutevolezza e l’uomo la
propria risposta agli appelli dell’essere. Nel corrispondere all’appello
dell’essere si impone all’attenzione il pathos e la sua funzione
manifestativa:la passione ha infatti carattere di apertura mondana e il logos,
la parola, emergono come rottura del sacro , destino della Menschwerdung. Logos
come risposta al silenzio primordiale, quello della ingens sylva, che dice del
fondamento il suo essere al contempo puro apparire e progetto creativo. Il
pathos arcaico, luogo del manifestarsi dell’abissale potere dell’essere, non
può che trovare espressione in un logos lontano dall’astrattismo intellettualistico
ma piuttosto vicino all’orizzonte poetico, che più che essere interpretato come
orizzonte letterario è ricompreso all’interno della filosofia come meditazione
esistenziale, pratica concreta di ricerca del senso. É nel rapporto tra poesia
e filosofia che si apre l’orizzonte di comprensione dell’essere. In G. si
ravvisa la traccia di un pensiero integrale o integrativo , sottratto alle
rigide categorie della ragione metafisica ma aperto all’irruzione del novum. La
ricerca filosofica si costituisce allora come indagine dei punti di mediazione,
di unità e distinzione delle forme dell’essere. La questione suprema è la domanda
sul luogo e le modalità originarie in cui accade la nostra apprensione della
realtà. Il logos metaforico si scopre come linguaggio originario dell’essere,
come espressione della dualità creativa e patica dell’esperienza
dell’originario. Un’esperienza in cui la poiesis diventa un momento della
praxis 43, e non un gioco effimero del dire, e la metafora si tramuta nella
serietà del pensare filosofico 44. La metafora con il suo carattere
immaginifico e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il divario che
corre tra la teoria, il concetto universale, e la pratica sempre connessa con
il caso particolare 45. Solo attraverso il dire metaforico si apre, nel
silenzio tragico dell’aperto, quello spazio abitabile dall’uomo. G., La
metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, in Quaderni di
italianistica , La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale] Jaspers in
una lettera indirizzata a Heidegger scrive: il messo di questa lettera, G., di
Milano, desidera parlarle di persona. Studia filosofia tedesca, ha letto il suo
libro e ne ha una conoscenza sorprendente – naturalmente con tutti i
fraintendimenti dovuti alle interferenze della tradizione, ma tuttavia
con una buona, stupefacente approssimazione. Credo che il suo vivace
interesse le farà piacere. Heidegger risponde: G. mi ha fatto in un primo
momento una grande impressione per via della sua intensità e di una particolare
sensibilità. Ma mi è poi venuto il dubbio che si tratti di una natura
giornalistica Anche Jaspers, poi, si
pronuncerà in un modo altrettanto poco benevolo definendo G. un brillante
intervistatore ma non di certo un filosofo. Oltre questi giudizi, in fondo
sbrigativi, possiamo ricordare quelli di CALOGERO (si veda), il quale in
riferimento al primo libro di G., Il problema della metafisica platonica,
pubblicato dall’editore Laterza grazie all’interessamento di Croce, e dedicato
a Heidegger, afferma che egli avrebbe fatto meglio a scrivere un libro su
Heidegger dopo aver studiato Platone invece che scrivere un libro su Platone
dopo aver studiato Heidegger. Croce scrive: insegnante in Germania, G. si
propone il problema di avvicinare e indurre a concorde collaborazione la
filosofia italiana e quella tedesca. I1 problema non ha consistenza, perché non
c’è né la filosofia tedesca né quella italiana, ma solo la filosofia senza
aggettivi, nel cui nome unicamente giova parlare a italiani, a tedeschi e a
ogni altro popolo e individuo Heidegger-Jaspers, tr. It. Di A. Iadicicco, Milano Cortina.
Calogero, Recensione a G. Il problema della metafisica platonica , Bari, in
Giornale critico della filosofia italiana . B. Croce, Pagine sparse, Laterza,
Bari. E così De Ruggiero, Vanni-Rovighi, Ottaviano50. Insomma, negli anni in
cui il filosofo milanese ambiziosamente cerca di ritagliarsi un posto nella
cerchia degli intellettuali più prestigiosi dell’epoca i giudizi sulle sue idee
non furono troppo favorevoli. G. appare un brillante intervistatore a caccia di
filosofi, la cui opera è da considerare al massimo come prova cattiva di un
ingegno Ottimo. Ma stanno proprio così le cose? Quanto di vero c’è in queste
affermazioni e quanto, invece, di approssimativo? Un breve ripercorrimento
dell’itinerario speculativo di G. consentirà di comprendere la plausibilità o
meno dei giudizi critici ora ricordati. Dopo aver brevemente assistito ai corsi
di Scheler e di Jaspers – andai a
Marburgo da Heidegger che si dichiara disposto a seguire il mio lavoro di
libera docenza. I luminari dell’università di Friburgo erano Husserl (che tene il
suo ultimo corso come professore emerito), Heidegger (che assume la cattedra di filosofia), G.,
ripercorrendo le tappe salienti della propria autobiografia intellettuale,
pensa a quegli anni friburghesi definiti mitici. Si tratta, infatti, degli anni
mitici e indimenticabili delle lezioni di colui al quale G. guarda sempre –
nonostante le prese di distanza di natura politica – come ad un autentico
maestro: Heidegger. L’arrivo a Friburgo di G. è stato preceduto da un lungo
periplo intellettuale, oltreché geografico, che ha indotto alcuni interpreti,
come CACCIATORE a definire quella di G. filosofia del viaggio. Ruggiero, G.,
Recensione a G., Il problema della metafisica platonica, Bari, La Critica ,
Ottaviano C., Recensione a G., Vom Vorrang des Logos, München, in «Sophia»,
Napoli, Vanni-Rovighi S., Recensione a G., Vom Vorrang des Logos, München, «Rivista di filosofia neo-scolastica», Milano,
G., La filosofia dell’umanesimo: un
problema epocale Sul tema del viaggio e del resoconto di viaggio in G. come
fenomeno non meramente odeporico ma innanzitutto cognitivo , G. Cacciatore,
América latina y pensamiento europeo en la filosofìa del viaje de Ernesto G.,79-
91, in El bùho y el còndor. Ensayos entorno a la filosofia hispanoamericana,
ed. e trad. di M. L. Mollo, Planeta Bogotà 2011. Serìa entonces un error
garrafal esperarse del libro de G. elementos meramente descriptivos o G.,
nativo di Milano, dopo aver conseguito la laurea in filosofia con MARTINETTI
(si veda) discutendo una tesi dal titolo L’unità formale della vita e
l’impostazione del problema teologico, trae orientamento decisivo nel suo iter
filosofico dall’incontro con CHIOCCETTI, uno dei primi maestri della neo-scolastica
milanese aperto al confronto con i temi della modernità. Autore di un
importante volume, La filosofia di CROCE, frutto di studi, Chiocchetti porta
avanti ricerche sui temi del modernismo, del pragmatismo e della gnoseologia e
su autori come Gentile e VICO che affascinano molto G., i cui primi lavori
apparsi sulla rivista Rassegna Nazionale, di stampo nazionalista, conservatore
e cattolico, mostrano idee ispirate al pensiero del carissimo ed onorato
Chiocchetti e a valori liberali e cattolico-attivisti, come si evince
soprattutto dai saggi A proposito di un volume dedicato alla figura di Mazzini;
Germania, un resoconto di un viaggio alla ricerca di idee che affratellino i tedesci
e italiani; Il partito popolare italiano. momentos narrativos de situaciones,
paisajes, modelos de vida, costumbres, mentalidades hay que leer las pàginas G.anas
ante todo como una experiencia personal que enterpreta el viaje (y la secuencia
de sus movimientos: la preparaciòn, la espera, el acercamiento, el estar y el
retornar) como un sìmbolo, como una metàfora del pensamiento occidental en
busca de sus orìgines. Y se trata de una bùsqueda que se afina y se perfecciona voluntariamente,
con la adeguadeza de la reflexiòn y con la dilataciòn de la perceptiòn,
precisamente en la situaciòn lìmite de una experienza espacio-temporal
distinta, de una apropriaciòn continua de imàgenes inèditas de naturalezas
diversas, de olores que nunca se han sentido, de sensaciones visuales y
tàctiles que nunca han sido experimentadas . Mi
permetto di rinviare al mio saggio La hora de Pan en Reisen ohne Anzukommen.
Eine Konfrontation mit Sudamerika -- G.,323-336, in A. Scocozza-G. D’Angelo (a
cura di), Magister et discipuli: filosofìa, historia, polìtica y cultura,
Penguin Random Hause, Bogotà 2016; Ead., Meditazioni sudamericane: la tappa
sudamericana dell’onto-antropo-logia di G. in cds in Studi Interculturali ,
Trieste, Proposito della rivista era quello di collocarsi a metà strada tra i
contributi dedicati unicamente ai settori storici e scientifici e quelli di
carattere politico-religioso: Cattolici e italiani, pur rispettando sempre le
convinzioni e le credenze altrui, noi coopereremo, per la nostra parte, a
conservare le istituzioni religiose, morali, sociali, civili e politiche dell’Italia.
Le istituzioni religiose, poiché noi cattolici e sincerissimamente devoti alla
Chiesa cattolica, quando sorgano questioni di attinenza tra la religione e lo
stato, pur riconoscendo la necessità che lo stato mantenga i diritti propri, ci
proponiamo di insistere e raccomandare la sacra necessità di rispettare i
diritti della chiesa e delle coscienze: non rispettati i quali, si offendono o
prima o poi anche i diritti della civile società , La rassegna nazionale, I,
1879, vol. I, 5. 54 G., L’impatto con Heidegger, in Olivetti (cur.), La
recezione italiana di Heidegger,73-82, Cedam Padova 1989. 55 Germania, in
Rassegna Nazionale , ora contenuta in G., I Primi scritti. I successivi lavori G.ani,
a partire da Il tragico – che espone in nuce nodi concettuali che il filosofo
avrebbe più estesamente tematizzato negli ultimi lavori: La metafora inaudita e
Il dramma della metafora – per proseguire con Scolastica e storia dello stesso
anno e Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di STATO, mostrano
uno slittamento da una concezione negativa del principio di immanenza ad una
considerazione molto positiva del contesto politico, quale nuovo luogo di
emancipazione umana dopo la crisi del primato della trascendenza. Soprattutto
dopo la stesura del saggio su MACHIAVELLI (si veda) possiamo riscontrare una
prima svolta G.ana dovuta con molta
probabilità ad un’analisi dettagliata del pensiero di CROCE (si veda), GENTILE
(si veda) e degli umanisti, primo fra tutti ALIGHIERI (si veda). Ci sembra
convincente l’ipotesi di MESSORI secondo la quale a partire da questo momento,
ossia da quello saggio, l’Umanesimo diviene il terreno privilegiato della
riflessione G.ana, la quale, grazie al pensiero politico di MACHIAVELLI (si
veda), riscopre un altro inizio del pensiero, un altro ingresso alla filosofia,
non gnoseologico e teologico, ma unicamente antropologico. Si tratta di un
risultato di grande importanza poiché il filosofo milanese mette a tema
quell’endiadi concettuale – il nesso logos-pathos, in cui il pathos appare come
a priori dell’esperienza umana nella sua totalità, e dunque anche del momento
cogitativo – che ritroveremo costantemente espressa e concettualizzata nella
successiva produzione, da Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica,
a Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, a Retorica
come filosofia. La tradizione umanistica, fino ai Heidegger e il problema dell’umanesimo,
Umanesimo e retorica. Il problema della follia, La filosofia dell’Umanesimo: un
problema epocale, Vico e l’umanesimo, che raccoglie una serie di saggi
pubblicati singolarmente. Almeno in questa fase, tuttavia, occorre sottolineare
che la considerazione dell’antropologica umanistica si pone ancora fortemente
come una visione antropocentrica, mentre solo [Messori, Le forme dell’apparire,
soprattutto I cap. ! 23! successivamente all’incontro con Heidegger
e alla scelta del concetto di Lichtung quale filo conduttore del nuovo
approccio all’umanesimo, approccio da noi definibile onto-antropo-logico, tale
visione sarà più orientata verso una tematizzazione del nesso uomo-essere. In
questo periodo G. collabora anche con l’informatore bibliografico del Circolo
Filologico milanese, la Rassegna di coltura, sul quale pubblica una serie di
contributi dai quali traspare uno studio di CROCE e dell’attualismo gentiliano.
Conseguita la laurea, incomincia per il filosofo l’ambiziosa avventura europea,
in Francia e in Germania, alla ricerca di un proprio accesso alla filosofia. In
seguito al soggiorno a Aix en Provence, durante il quale conosce Blonde, scrive
La più recente attività della filosofia dell’azione in Francia, in cui la
filosofia dell’azione è considerata come filosofia della trascendenza che non
nega i valori dell’immanenza, ponendosi, piuttosto, come condizione di
possibilità della processuale manifestazione dei valori immanenti, e Il
platonismo cristiano di Blondel, il cui merito sarebbe stato quello di liberare
la metafisica dal presupposto gnoseologistico. È a partire da questo saggio che
si profila quell’avvicinamento all’attualismo che successivamente si sarebbe
coniugato con la questione filosofica heideggeriana e che spinge G. ad
approfondire la cultura filosofica tedesca. Ad un peccato di ambizione si deve,
con buona dose di probabilità, l’adesione di G. al PARTITO FASCISTA. Secondo la
documentata ricostruzione di Büttemeyer, l’iscrizione al fascio è fatta per
ottenere la tessera senza la quale non è possibile partecipare ai concorsi in
Italia. , Büttemeyer, G. Humanismus ZWISCHEN FASCHISMUS UND
NATIONALSOZIALISMUS. Sui rapporti G.-Blondel , il lavoro di S. D’Agostino, La
metafisica di G. tra Platone e Blondel, in Pagani- S- D’Agostino- Bettineschi
(cur.), La METAFISICA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE [ Urmson, Philosophical
analysis between the two wars], Istituto della Enciclopedia italiana, Roma. ,
Büttmeyer, Rettifiche. Laurea, libera docenza e Studia Humanitatis di G.. La prima formazione filosofica di G. è
dovuta al suo tutore CHIOCCHETTI (si veda), la cui concezione di una neo-scolastica
moderata si mostra negli scritti dell’allievo. Mediata da Chiocchetti, vi si
aggiunge la conoscenza dell’estetica di CROCE e della sua gnoseologia nonché
del modello dialettico della storia della filosofia che si concretizza
nell’interpretazione gentiliana del Rinascimento. G. mostra momentaneamente
simpatie per Unamuno, per il concetto martinettiano – MARTINETTI (si veda) dell’Unità
assoluta e per la filosofia di VARISCO (si veda), che gli è stato anche maestro
con i suoi saggi; ma essi non esercitano se non un’influenza marginale. Rimane
invece escluso l’attualismo e immanentismo di GENTILE (si veda): pur avendolo
conosciuto nei seminari di Chiocchetti e poi sulle opere, lo recepisce
positivamente soltanto dopo aver già presentato una ventina di
pubblicazioni. Dopo aver affannosamente girovagato per la penisola
italiana in cerca di una propria via al filosofare G. approda finalmente nella
terra materna e lì, nella riflessione heideggeriana, trova un punto di partenza
per una Weltanschauung più ampia rispetto a quella giovanile, ancora troppo
influenzata dall’ambiente neoscolastico. In questi anni pubblica numerosi saggi
apparsi sulla Rivista di filosofia : Empirismo e naturalismo nella filosofia
tedesca contemporanea; Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella
filosofia tedesca contemporanea, in cui G. rimprovera a Husserl la mancanza di
una solida base storico-filosofica, in particolare una superficiale
interpretazione dell’idealismo tedesco e un’assenza di conoscenza della
filosofia italiana, da SPAVENTA (si veda) a GENTILE, pur riconoscendo alla
fenomenologia il merito di aver trovato uno spazio di riflessione oltre la
linea psicologista e naturalista e storicista. Secondo G. da un canto la scuola
neo-kantiana si era isterilita sui problemi della scienza e sui rapporti
astrattamente concepiti e quindi insolubili, della conoscenza filosofica e
scientifica, naturalizzando le categorie e risolvendole parzialmente nelle
leggi naturali. D’altro canto lo storicismo e la superficiale conoscenza del
pensiero di Dilthey non aveva portato nessun nuovo contributo, cosicché nella
generale crisi e disorientamento, tutti si rifecero a Husserl 60. Insomma, il
filosofo di Prossnitz, in quello che per G. è quasi un deserto filosofico –
psicologismo, neokantismo e storicismo –, costituisce un’oasi intellettuale
che, tuttavia, ha molti limiti e non solo di natura storico-filosofica:
l’astrattismo, e la disattenzione per il pensiero pensante a favore del pensiero
pensato, l’incomprensione del pensiero concreto. Per G. gli aspetti negativi
sono tali da rendere la filosofia husserliana attiva solo per lo spazio di
vent’anni e cieca a quella concretezza del pensiero e dell’esistenza che solo
Heidegger avrebbe portato alla luce con Essere e Tempo realizzando per primo in
Germania la critica della fenomenologia di Husserl E. G., Sviluppo e
significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea,
in Rivista di filosofia , Milano XX, aprile-giugno 1929, n. 2,129-151, ora in Primi
scritti, cit.,186-187. 61, 187. ! 25! In questo periodo G. opera
quella collocazione della proposta filosofica heideggeriana all’interno della
propria formazione intellettuale, formulando l’ipotesi del possibile incontro
tra la teoria gentiliana dell’atto e la questione del Dasein, quale luogo
storico del disvelamento dell’essere di stampo heideggeriano, che aveva proprio
lo scopo di destrutturare quella categoria di coscienza rappresentativa che dal
cogito cartesiano era rifluita nelle teorie di Kant, Hegel e Husserl. Heidegger
diviene il perno principale attorno al quale gravita l’attenzione filosofica di
G. che si concretizza nella stesura del saggio del 1930 Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger e de Il problema del nulla nella filosofia
di M. Heidegger del 1937. Il merito del filosofo di Messkirch sarebbe stato
quello di proporre una visione dell’uomo come Dasein, come esistente, atto
immanente, metafisico e autorealizzantesi che amplifica l’interesse per la
concretezza e la fatticità dell’esistenza contro ogni razionalismo e
astrattismo, superando la contrapposizione tra soggetto e oggetto. Intanto
appaiono i saggi Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico e
Paideia e neoumanesimo che riprendono tematiche trattate in Il problema della
metafisica platonica e che mostrano una coniugazione della proposta filologica
di Jaeger con il ripercorrimento teoretico heideggeriano del pensiero greco nel
contesto più generale di un progetto paideutico e umanistico che recuperasse il
senso autentico dell’humanitas attraverso l’esperienza filosofica della
grecità, per Jaeger e Heidegger, e della LATINITÀ, per G.. L’incontro tra la
proposta jaegeriana e heideggeriana circa il tema del neoumanesimo si affianca
all’altro intreccio, quello tra l’ontologia fenomenologica ermeneutica di
Heidegger e l’attualismo di Gentile. In Dell’Apparire e dell’essere. Seguito da
Linee della filosofia tedesca contemporanea del 1933, sullo sfondo
dell’incontro Heidegger-Gentile sono espressi alcuni nuclei teorici che
avrebbero accompagnato G. in tutto il suo cammino di pensiero: il carattere
elenchico del principio di non 62 Il
problema della metafisica immanente di Heidegger, Giornale critico della
filosofia italiana , Milano- Roma, ora in Primi scritti, contraddizione,
fondamento di ogni dimostrazione ma a sua volta non dimostrabile; metodo e
cogito in Cartesio; concetto di apparenza, manifestatività ed essere; idea di
fondamento. Come abbiamo ricordato all’inizio, la prima formazione di G. fu di
carattere neoscolastico, con un’attenzione particolare alle questioni
riguardanti la trascendenza, come emerge dal saggio La dialettica dell’amore in
cui il filosofo milanese afferma che il pensiero umano, la filosofia, è
condotta dalla propria immanenza verso la necessità della trascendenza che
appunto perciò non può conoscere, realizzare, creare, ma solo ricevere come una
grazia proprio nel senso teologico della
parola 63. Un’impostazione di questo tipo spiega anche una originaria critica
dell’immanentismo gentiliano, e della sua scoperta fondamentale,
l’autocoscienza come pura forma, che induce G. a porsi come un fiero oppositore
di tutta la filosofia dell’immanenza64. Ma la difesa della trascendenza messa
in campo dalla neoscolastica è avvertita da G. come insufficiente: in questo
spazio si innesta la figura di Heidegger che diviene quasi un
antidoto alle carenze della neoscolastica, ma dello stesso attualismo, che
lascia non tematizzata la differenza ontologica tra essere e ente, nonostante
l’acquisizione dell’originario come atto del cogitare nel suo stesso compiersi
o come autorealizzantesi processo esistenziale e non come oggetto del pensiero.
Secondo l’interpretazione di G. il superamento gentiliano della dicotomia
soggetto-oggetto attraverso la radicalizzazione dell’esperienza approda allo
stesso risultato husserliano e La
dialettica dell’amore. Il dolore di Tristano, in assegna Nazionale , Roma,
XLVI, dicembre 1924, seconda serie, vol. XLVII, parte I, La richiesta
dell’amore,137-148, parte II, La sofferenza del Tristano,148-162; XLVII,
febbraio 1925, seconda serie, vol. XLVIII, parte III, La dialettica del
dolore,101-109, parte IV, La gioia può spingere alla vita,109-114 ora in Primi
scritti, 122. 64, 120: Il concetto di forma pura, inobiettivabile, è proprio
caratteristico della realtà infinita eterna, in qualsiasi concezione immanente
o trascendente del reale, ed è quindi naturale che il processo di immanenza del
pensiero moderno abbia voluto ad esse ridurre la realtà del divenire umano.
Infatti se la realtà nella sua immanenza è pura forma, fuori di essa non esiste
più nulla e quindi è tutta, l’unica realtà fuori dello spazio e del tempo di
ogni concetto di limite perché come pensiero attuale, concreto, pone esso
stesso il tempo e lo spazio e il limite, rimanendo esso stesso l’unico
illimitato. L’autocoscienza come pura forma è certo la più grande scoperta di
tutta la filosofia dell’immanenza e lo è proprio, merito di Giovanni Gentile.
In ogni modo ci teniamo però a definire e a dichiarare a tutti gli oppositori
del sistema immanentista del reale, e quindi a noi stessi, che questo è proprio
il punto di capitale importanza da discutere e da controbattere . Per una
ricostruzione della presenza di GENTILE in G.
R. Messori, Le forme dell’apparire, cit. ! 27!
heideggeriano: quello dell’intenzionalità, della relazione originaria di io e
mondo. Una relazione che non può essere messa da parte o a tema attraverso un
processo di epochè65: l’esperienza dell’oggetto non consente un’oggettivazione
dell’esperienza. Lo spazio di relazione e compromissione tra io e mondo resta
uno spazio di indeterminazione e di esperienza che rende l’atto gentiliano
simile alla nozione di aletheia di Heidegger e che è merito di G. aver
sottolineato. Volendo suddividere per comodità, e con tutte le riserve del
caso, l’unità di pensiero di G. in tre fasi principali, otteniamo lo schema
seguente: la fase giovanile formativa, dominata dai temi della scolastica
cattolica emergenti nei saggi degli anni Venti66; la fase metafisico-immanente,
in cui abbiamo la correlazione dell’attualismo gentiliano con il contributo
blondeliano della filosofia dell’azione, con quello crociano dell’estetica e
dell’autonomia delle forme dello spirito, e con la metafisica esistenziale
heideggeriana67; la fase matura neo-umanistica68 – i cui nuclei teorici già
Sottolinea molto bene questo aspetto Natoli, in S. Natoli, Giovanni Gentile
filosofo europeo, Bollati Boringhiei, Torino. Gentile attraverso la
radicalizzazione dell’immanenza supera l’opposizione e la separazione astratta
di soggetto e oggetto e attinge a pienamente quel piano dell’intenzionalità che
per altre vie viene guadagnato dalla fenomenologia di Husserl. Ma Gentile si
porta oltre l’orizzonte della fenomenologia. La relazione intenzionale di
impianto fenomenologico, se da un lato supera l’astratta separazione tra
soggetto e oggetto, dall’altro lato ne tiene tuttavia ferma la polarità , lo
sforzo della fenomenologia è quello è quello di svuotare l’io dal mondo perché
il mondo appaia nella sua purezza, di svincolare la coscienza dal flusso della
vita per far sì che i contenuti d’esperienza appaiano nella loro pura e
semplice datità. Questo vuol dire andare alle cose. Non così in Gentile. Alle
cose non si va, con esse si è da sempre compromessi. L’attualismo che pure
rigorosamente guadagna il piano dell’intenzionalità si rende tuttavia conto che
essa non è suscettibile di nessuna epochè . 66 , G., A proposito di un cinquantenario,3-8,
in I primi scritti, cit.; Germania,,9-18; Il tragico,,27-48; Scolastica e
storia,,49-54; La dialettica dell’amore,,89-128; Tilgher e La visione greca
della vita,,19-22. 67 , Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di
Stato,,55-86; La più recente attività della filosofia dell’azione in Francia, ,137-162;
Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, ,163- 179;
Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca
contemporanea, ,181-202; Il problema della metafisica immanente di M.
Heidegger, ,203-233; Il platonismo cristiano di M. Blondel, ,235-254;
Dell’apparire e dell’essere, ,273-298; Linee della filosofia tedesca
contemporanea, ivi,299-332; Il problema del logo, 371-406; Il problema del
nulla nella filosofia di M. Heidegger, 419-435; La filosofia tedesca e la
tradizione speculativa italiana, 553-575; I rapporti tra filosofia tedesca e
filosofia italiana, cit.,753-776; Pensieri sul poetico e sul politico. Due
conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, 777- 809;
L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza
dell’originario, 811-850; Teoria della politica nella tradizione del
rinascimento, 967-974; Il reale come passione e l’esperienza della filosofia, 995-1029;
Vom Vorrang des Logos. Das Problem der
Antike in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher
Philosophie, Munchen, Verlag C.H. Beck, 1939. 68 Il problema filosofico del ritorno al pensiero
antico, 255-271; Paideia e neo-umanesimo, 357-369; Filosofia tedesca, filosofia italiana
e l’antichità. Il problema di una tradizione filosofica, 851-864; Sul problema ! 28!
ritroviamo in alcuni saggi giovanili69 – che declina la metafisica
immanente in una ricerca ricostruttiva dei temi dell’essere, del logos, del
pathos attraverso la lettura dei contributi letterari e filosofici dell’Umanesimo
e del Rinascimento con un’attenzione particolare ai temi della retorica, della
fantasia e dell’ingegno, e della metafora. In tutto il percorso speculativo
emerge la radice dell’avventura speculativa del filosofo: la passione per la
vita in cui l’esercizio intellettuale
della filosofia diviene una funzione vitale, un prolungamento della vita
stessa, dell’esistenza in situazione. Il pensare diviene metamorfosi
esistenziale, impegno nella circostanza, ricerca affannosa del senso. Possiamo
dare per acquisito, dunque, che tra gli anni Trenta e Quaranta matura nella riflessione
di G. un’ipotesi di accostamento tra attualismo e fenomenologia70 che incide
profondamente sulla successiva analisi dell’apparire dell’originario e della
manifestatività nelle sue diverse forme e che coglie un aspetto critico
paradigmatico che rende i numerosi contributi G.ani non una collezione di
posizioni filosofiche eterogenee, un coacervo di notizie dell’ultima moda
filosofica71, come i giudizi di Jaspers e Heidegger riportati all’inizio
sembravano voler asserire. della parola e della vita individuale. Riflessioni a
partire dalla tradizione italiana, 901-915;
Il problema del sublime, 917-943; Studia
humanitatis come essenza della tradizione spirituale italiana, 945-950; Del vero e del verosimile in VICO, 951-966; Come tenteremo di spiegare nel
secondo capitolo, per l’impostazione del problema umanistico risultano
fondamentali le osservazioni espresse da G. nel saggio su MACHIAVELLI. Messori
così riassume l’incrocio G.ano di attualismo e fenomenologia: le due filosofie
si intersecano su almeno tre punti essenziali
rifiutano di attribuire l’originarietà all’ente, al pensato, di
qualsiasi rango esso sia; in secondo luogo entrambi avvertono la necessità di
identificare l’originario con un processo che, divenendo, si determina. Il
primato del logos come atto, che lo si intenda in senso gnoseologico o
ontologico, comporta, in terzo luogo, il superamento della logica tradizionale
e quindi del principio di identità e di quello correlato di non contraddizione.
, R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel
pensiero di Ernesto G., 34. 71 Si sofferma su questo merito G.ano Marassi nelle pagine introduttive a I
Primi scritti: così l’atto è da una parte intrascendibile e dall’altra
inogettivabile, ossia riassume in sé i tratti distintivi della soggettività
kantiano-idealistica e anche quel movimento, non certo conciliabile con la
trascendentalità del soggetto, di donazione-sottrazione assimilabile piuttosto
alla nozione heideggeriana di aletheia. L’atto è questa complessa dinamica che
piega il soggetto al confine del mondo e del suo apparire, lo conduce allo
svelamento dell’origine. Qui mi pare che si inserisca il contributo specifico
di G. dopo l’intuizione della convergenza tra l’atto immanente di Gentile e la
trascendenza del Dasein radicata nell’ontologia dell’essere. In altri termini
si potrebbe dire che la sua interpretazione non fosse una semplice sommatoria
di posizioni eterogenee, bensì cogliesse un aspetto critico paradigmatico , M.
Marassi, Introduzione a G., I Primi scritti, 44. ! 29! Si impone
all’attenzione teorica di G. la tematica della multiformità del reale
(metamorphein) e della sua costitutiva polidimensionalità che affannosamente il
filosofo cerca per tutta la vita di interrogare al di fuori dei parametri
tradizionali. La questione urgente diventa quella di cogliere l’essere nell’atto
del suo manifestarsi, nell’attimo arcaico, iniziale e, pertanto, mitico, del
puro apparire attraverso un logos adatto (la metafora). Da un lato il pensiero
pensante gentiliano72, dall’altro la manifestatività dell’essere heideggeriana,
consentono a G. di guardare all’idea di fondamento come a quell’originario
indeducibile razionalmente che può essere patito e vissuto nell’esperienza
della parola più autenticamente che in quella del pensiero tradizionalmente
inteso. Secondo G. l’originario non può venire inteso come la svelatezza di un
oggetto, ma solo come quella di un processo; questo processo a sua volta non si
rivela che come un manifestarsi, un distinguere se stesso 73 e proprio per
questa identità di manifestazione e processo, di essere e divenire, è possibile
radicare la trascendenza nell’immanenza, il fondamento nel reale e non in un
oltre, ciò che non è manifesto in ciò che invece lo è. Secondo il filosofo il
processo deve quindi esser inteso come un auto manifestarsi. È importante
notare che la nostra ricerca dell’essenza della svelatezza non ci permette
alcuna distinzione tra manifestazione ed essere 74. Il punto di partenza è
quell’indeducibile originario che si mostra e si rivela in un metamorfismo e
polimorfismo della realtà che non è un dato semplicemente presente, bensì un
divenire storico che continuamente si distingue, Occorre sottolineare che il
pensiero gentiliano dell’atto è a metà strada tra una una impostazione
soggettivo- trascendentale e un’idea di soggetto come Dasein, come puro
evenire, spazio di esperienza, , sul tema S. Natoli, op., 90: l’attualismo
gentiliano si tiene a mezzo tra il soggetto trascendentale e il Dasein, tra la
determinazione positiva e costituente del pensiero e l’atto come esperienza del
puro accadere. In questo tenere il mezzo, l’attualismo finisce per non occupare
né una posizione né l’altra e di fatto viene a trovarsi in uno spazio di
indeterminazione. L’atto infatti se da un lato è ancora inscritto nei termini
della soggettività, sia pure interpretata come attività o come prassi,
dall’altro non può essere mai colto come un fatto, non può mai darsi a modo di
una semplice presenza . 73 G., Il problema del logo, in Archivio di filosofia ,
Roma, anno VI, aprile-giugno 1936, fascicolo II, 151- 183, ora in I Primi
scritti si differenzia e si scompone in un divenire metamorfico che trova unità
nell’esperire patico ed estatico del Dasein. Appare evidente come sullo sfondo
di tale posizione teorica resta una domanda cruciale: in che modo occorre
ripensare il logos per non ridurre l’essere e la manifestatività ad una realtà
monolitica e cosale? Come superare una concezione oggettivistica e
soggettivistica? Si tratta delle domande che agitano le pagine teoreticamente
dense di Il problema del logo apparso in Archivio di filosofia nel 1936 e in
cui G. si chiede: Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la
manifestazione può solo essere intesa come uno scindersi e distinguersi di sé –
giacchè ogni apparire immediato, oggettivistico è stato già escluso – come deve
essere inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i
vari termini con cui traduciamo λέγειν, logo. Ma possiamo dire che il logo sia
effettivamente il primo, la ragione e il fondamento di ogni manifestazione,
oppure presuppone esso un momento prelogico? Questo è il problema contro il
quale urtiamo definitivamente 75. L’operazione di accostamento tra l’ontologia
heideggeriana e l’idealismo gentiliano, che ad alcuni interpreti parve una
mossa teorica insostenibile76, è per G. la condizione di possibilità per
sviluppare una riflessione intorno all’umanesimo italiano. Proprio l’approccio
a GENTILE e a Heidegger, originalmente interpretati attraverso il filtro di una
visione del logos molto ampia e ricca, che sembra talvolta porsi come polarità
antitetica al pathos, talaltra come macrocategoria che ricomprende in sé la
stessa dimensione patica – oscillazione che viene sottolineata con vigore da
alcuni interpreti77 che parlano di un irrisolto dualismo nel pensiero G.ano, ma
che, come vedremo in seguito, si giustifica tenendo conto proprio della visione
complessa e ampia che G. ha del reale – offre a G. l’opportunità di delineare
un percorso teoretico che guarda al reale, all’essere e alla manifestatività
senza la mediazione gnoseologistica ed oggettivistica, bensì tramite una pre-
Nella Recensione all’articolo di G. Il problema del logo afferma Ottaviano:
dirò subito che la tesi, che cerca di fondare una interpretazione idealistica
del pensiero sostanzialmente realistico di heidegger, è, in linea assoluta, per
mio conto insostenibile , C. Ottaviano, Recensione a G., Il problema del logo, 398.
77 , la posizione di M. Marassi in G. e l’esperienza del fine, in Un filosofo
europeo. G., 7-24. ! 31! intelligenza pre-categoriale fortemente
radicata nella dimensione dell’affettività, del patico e della Stimmung. Emerge
così un programma filosofico ambizioso che giungerà ad una riqualificazione
della Romanitas e della cultura umanistico-rinascimentale non solo italiana, ma
mediterranea e latina in senso lato. G. si chiede: in che senso possiamo
affermare che il logo come atto, come λέγειν, ci schiude la molteplicità degli
enti in mezzo ai quali ci troviamo – e la cui totalità costituisce ciò che
chiamiamo mondo – e in che relazione sta con il sentimento (Stimmung)? È
necessario riporre sotto un nuovo punto di vista tutto il problema della
originaria svelatezza dell’essere. Finora abbiamo dimostrata l’insufficienza
della concezione oggettivistica nel suo aspetto empiristico; ci si impone ora
una più precisa e approfondita determinazione dei vari aspetti e momenti
metafisici del logo 78. Tale precisa e più approfondita determinazione dei
molteplici significati del logos avviene nella metà degli anni Trenta, anni
cruciali per la storia d’Europa e per le vicende personali dello stesso G. Che si
iscrive il 3 maggio 1933 al partito fascista più per motivi di opportunismo accademico che per convinzione, e in un clima
di generale espansione europea delle ideologie fasciste. Ricordiamo che
soltanto dodici professori in quegli anni rifiutarono di prestare giuramento e
che l’esplicito e dichiarato antifascismo di Croce resta isolato e chiuso nelle
mura di palazzo Filomarino, mentre GENTILE raccoglieva intorno a sé il meglio
della filosofia. In tale contesto bisogna inquadrare il compito teoretico e
culturale che G. da alla sua ricerca di una ri-valutazione della FILOSOFIA
ITALIANA. Così ritroviamo G. a Berlino, dove assume il ruolo di professore
incaricato di FILOSOFIA ITALIANA nei suoi rapporti con la filosofia tedesca.
Nei saggi scritti in questo periodo, da I rapporti tra filosofia tedesca e
italiana fino a Del Vero e del verosimile in Vico G. Il Problema del logo, la dettagliata ricostruzione di Büttmeyer, Sul
rapporto Croce-Gentile sul ruolo della cultura , Cacciatore, Croce e Gentile:
la funzione degli intellettuali e l’uso della storia italiana, in A. d’Orsi-F.
Chiarotto, Intellettuali. Preistoria, storia e destino di una categoria,
Aragno, Torino] passando per i contributi sul poetico e sul politico nella
riflessione italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento, sale in superficie la
questione della parola, indagata, secondo G., dagl’umanisti non con uno spirito
antiquario, erudito, storico-filologico, storiografico, bensì con lo spirito di
una lotta per una visione e una costruzione del mondo storico-sociale, che non
è un mondo di pura contemplazione, ma è innanzitutto una vita attiva, in cui i
valori del passato romano, che gl’umanisti sostenevano di aver scoperto CONTRO le
interpretazioni ebbraizanti medievali, potevano contribuire all’educazione e
alla formazione della civiltà. Come ha sottolineato Vasoli nell’Introduzione
italiana all’opera G.ana Heidegger e il problema dell’umanesimo: G. considera
vero problema centrale dell’umanesimo italiano non tanto la riscoperta
dell’uomo e dei suoi valori immanenti, quanto piuttosto l’illuminazione del
contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo
mondo dalle analisi di G., svolte in un ampio arco, da ALIGHIERI a BOCCACCIO e
a SALUTATI, da BRUNI a VICO, emerge un tema costante: la poesia epica
degl’antichi eroi – ENEA E ROMOLO -- come fondazione della COMUNITA umana e
della storia, svelamento luminoso dell’essere, e – soprattutto in VICO –
principio e ragione della stessa humanitas, con la sua inquietante presenza
storica. L’umanesimo è, dunque, interpretato alla luce dell’ESPERIENZA
LINGUISTICA che caratterizza il mondo umano e della individuazione
dell’apertura primitiva, arcaica e originaria che G. ri-elabora sulla scorta di
quanto Heidegger esprime sul concetto di LICHTUNG – lume -- si tratta di
un umanesimo onto-antropo-logico, che non è un approccio antropologico
antropocentrato, poiché la relazione primaria èquella di uomo e mondo, Dasein e
Sein. Lo slittamento dell’interpretazione dell’umanesimo da un piano
gnoseologico-epistemologico ad uno ermeneutico-ontologico spinge G. ad un più
serrato confronto con Heidegger e la sua inappellabile condanna dell’umanesimo.
Heidegger afferma, infatti che ogni umanismo rimane metafisico. Nel determinare
l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si pone la questione del
riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce persino che si ponga una
simile questione, perché a causa della sua provenienza metafisica, l’umanismo
non la conosce e non la comprende. Vasoli, Introduzione a G., Heidegger e il
problema dell’umanesimo, Napoli, Guida; Heidegger, Lettera sull’umanismo; Segnavia,
a cura di Volpi, Adelphi, Milano. Tale critica in Heidegger si collega ad una
precisazione della sua filosofia che non ha mai avuto l’intenzione di essere un
esistenzialismo o un umanismo, ma un pensiero che con uno Schritt zurück, con
un passo indietro, rispetto all’umanesimo e alla metafisica, cerca di proporre
il problema dell’essere. Tenendo in considerazione il tema
dell’ultra-metafisica heideggeriana G. ha dato una caratterizzazione per così
dire non umanistica in senso heideggeriano dell’umanesimo individuando in esso
numerose analogie con Heidegger. In questo modo, tra un approccio apologetico
della modernità ed uno decostruttivo, quale è quello di Heidegger, secondo il
filosofo milanese l’umanesimo resta schiacciato in un limitato settore
storiografico senza anima propria ma interpretato solo in riferimento ad altre
epoche. G. si chiede se sia plausibile una simile posizione o se non si tratti,
forse, come già accaduto per Cassirer, Kristeller, SPAVENTA, Hegel e altri, di
un errore di prospettiva. Per tentare di rispondere a queste domande, emerse
con vigore negli anni Quaranta, G. impiegherà tutta la sua esistenza. In un
importante testo, apparso in Geistige Überlieferung – l’annuario frutto della
collaborazione con Otto e Reinhardt – L’inizio del pensiero moderno. Della
passione e dell’esperienza dell’originario, G. porta avanti una vigorosa
critica del cogito cartesiano che non tiene conto di quella passione a partire
dalla quale soltanto avviene il theorein che è proprio della filosofia. Un
theorein che non ha una costituzione razionalistica ma è una visione puramente
indicativa, schematica, immaginifica, che, come tale, opera opera anche
pateticamente e quindi retoricamente. A fondamento del pensiero c’è una
necessità esistenziale che non può CHE rivelarsi e apparire attraverso
l’esperienza della parola poetica e META-FORICA. Unicamente la META-FORA
(TRAS-LAZIONE) può rendere conto del poli-morfismo ontologico, che non è un
fatto, ma un continuo divenire, all’appello del quale [G. La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, soprattutto il primo capitolo, Il problema
della parola poetica; Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica. L’essenza
della presenzialità immediata – che dov3 essere l’essenza della svelatezza
empirica – non è dunque ciò che è diventato e che si è cristallizzato come
fatto, oggetto, bensì il divenire, il manifestarsi il dato originario, come
immediata presenza di alcunchè, è il divenire, il processo, cioè ciò che non è
ancora diventato, fatto, e in quanto già l’uomo è chiamato a rispondere in modo
plurale e non univoco. G. afferma che poiché il vedere, la visione, insiti
nella teoria come fondamento di ogni procedimento razionale si attuano
attraverso una META-FORA (TRAS-LAZIONE). Allora la META-FORA (TRAS-LAZIONE),
che ricorre per lo più alle immagini non va considerata un mezzo solo
letterario ma è INDISPENSABLE per esprimere l’Originario [cf. GRICE,
ESCHATOLOGY]. Oltre alla collaborazione all’annuario, occorre segnalare anche
la progettazione dell’Istituto Studia Humanitatis in cui la partecipazione
degli esponenti della cultura italiana e tedesca è inquadrata anche alla luce
di un intento politico-culturale: quello di affermare la specificità della ROMANITÀ
nei confronti degl’ideali del mondo tedesco privilegiando soprattutto tre
ambiti problematici. In primo luogo, l’antichità nel suo particolare
significato per LA TRADIZIONE ITALIANA. Inoltre il rinascimento e l’umanesimo
infine, una terza questione riguarda il modo in cui si ha compreso e giudicato
l’umanesimo e il rinascimento. Per G. fin dall’inizio gli studia humanitatis
hanno un legame con l’agire creativo dell’uomo, che si realizza soprattutto
nella comunità politico-sociale. G. si reca in Svizzera in cui progetta con
Szilasi la collana Überlieferung und Auftrag presso l’editore Francke di Berna incomincia
la sua attività di insegnamento a Monaco e di direzione del Centro di Studi
Filosofici. In conclusione di questa breve introduzione alle idee dell’emigrante
con la vocazione per la filosofia, basti dire che negli anni densi e intensi
dell’apprendistato filosofico si gettano le basi di quei grandi temi che
percorrono i decenni successivi: la rivalutazione dell’umanesimo e della
latinità come luoghi di riflessione sulla questione onto-antropo-logica, sul
nesso uomo-essere; LA CENTRALITA DEL LINGUAGGIO E DELLA PAROLA POETICA, DEL
DIRE METAFORICO e della svanito, non più presente. Il dato come oggetto, e
quindi come qualcosa di già fatto, non è il dato, bensì una falsa
interpretazione del dato. G. Il Problema del logo; Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica; Studia humanitatis come essenza della tradizione
spirituale italiana, in Studia Humanitatis. Festschrift zur Eröffnung des Institutes,
Veröffentlichungen des Institutes Studia Humanitatis, Berlin, verlag Helmut
Küpper, ora in I scritti. Del
periodo berlinese ricordiamo anche l’attività editoriale realizzata con
l’appoggio di Küpper.] retorica. La questione è, ancora una volta, quella di
riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato nella rete di una
soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale adeguarci, ma di
attingere a un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti della sensibilità e
della razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della riflessione che lo
struttura si intersecano. L’umanesimo della complessità offerto da G. può
essere concepito come un atto di demitizzazione: una delle mitologie da sfatare
è quella della preminenza della ratio. Ma tale operazione decostruttiva non si
risolve in una mitizzazione, di segno opposto, della crisi della ragione. Del
tramonto della civiltà, in cui cultura e civilizzazione si sono definitivamente
separate; del tramonto dell’uomo che da animale pregnante, passa ad animale
carente, diventando, infine, animale obsoleto e antiquato o, addirittura, come
testimoniato dagli attuali studi post-umanisti, segmento di un processo
ibridativo con la techne. Nei prossimi capitoli cercheremo di ripercorrere le
tappe G.ane del discorso sull’umanesimo che viene a configurarsi come un
itinerario onto-antropo-logico in cui il discorso sull’uomo si intreccia
indissolubilmente con la questione ontologica. Sarà concesso spazio a quegli
scritti nella convinzione che solo dall’analisi di quei contributi è possibile
comprendere la ricostruzione storica e speculativa di un umanesimo gravitante
attorno al concetto di Lichtung. Le questioni sollevate da G. costituiscono un
contributo fondamentale alla filosofia del Novecento e non possiamo pensare
alle sue riflessioni come a temi da vagabondaggio filosofico , come dai giudizi
dei filosofi ricordati all’inizio di questo capitolo sembrava emergere, ma come
l’ennesimo tentativo di ripensare l’uomo a partire dalle proprie strutture
immanenti e dal proprio essere-nel- mondo.
Uno dei risultati più importanti della indagine filosofica G.ana portata
avanti tra gli anni Trenta e Quaranta è la scoperta della co-originarietà tra
logos e pathos: la dimensione patica dell’esperienza umana si pone come un a
priori dello stesso ambito cogitativo. Possiamo rintracciare un doppio binario
della ricerca: la critica al pensiero moderno è condotta, da un lato,
attraverso l’individuazione degli effetti negativi di un divorzio tra logos e
pathos, dall’altro, tramite la ricerca di un certo luogo della tradizione culturale
umanistico-rinascimentale che il dibattito storiografico ha sempre ritenuto
privo di spessore filosofico, o almeno non carico di una serie di motivazioni
teoriche che G. rintraccia. Secondo il pensatore milanese il grande rimosso del pensiero moderno è, di fatto, un momento
epocale: la tradizione ha obliato il valore filosofico e storico del linguaggio
poetico, nel quale egli rintraccia la possibilità di uscire dal conflitto tra
ratio e pathos. Solo fuoriuscendo dal circolo vizioso di ragione e passione è
possibile esperire una dimensione dell’umano nuova ed autentica. Ma come nasce
per G. l’esigenza di rinnovare la questione dell’uomo e del suo rapporto con il
mondo? Sappiamo quanto vivo e vigoroso fosse il problema: lo dimostra la
tenacia speculativa che, in qualità di direttore della Humanistische Bibliothek
dell’editore Fink, mostra patrocinando la pubblicazione di una cinquantina di
volumi intorno a temi umanistici, nella speranza che la conoscenza diretta di
Petrarca, Salutati, Valla, Pontano, Gianfrancesco Pico potessero rendere
giustizia ad un’immagine dell’umanesimo lontana dalle interpretazioni tradizionali.
Inoltre, [Affronteremo la questione del nesso pathos-logos in maniera analitica
nel terzo capitolo. il nostro autore, sotto il patronato dell’Accademia
d’Italia, ha l’incarico di fondare e dirigere l’Istituto Studia Humanitatis a
Berlino, anche grazie all’interessamento di CASTELLI ZUBIENA (si veda). Accanto
a questa opera di edizione e direzione c’è il percorso di ricerca teorica
portato avanti per tutta una vita e che pone G. in un confronto serrato con i
più noti interpreti dell’Umanesimo e del Rinascimento e con due autori in
particolare secondo la convinzione di gran parte degli interpreti: Vico e
Heidegger, ma noi vorremmo aggiungere anche Cartesio, Aristotele e LEOPARDI (si
veda). Da un lato Cartesio ha avuto un ruolo centrale nell’analisi G.ana del
logos attraverso la fecondità individuata nei concetti di dubbio e cogito che
rivestono un’importanza fondamentale nell’analisi della Leidenschaft.
Dall’altro Aristotele ha espresso concetti, quali quelli di archè e pistis, che
secondo G. gettano luce su un altro percorso possibile per il pensiero: il
filosofare noetico non-metafisico in cui si condensa la proposta retorica del
filosofo tutta gravitante intorno al nesso phantasia-ingenium-metafora che
costituiscono la triade della retorica del significare arcaico. Poi c’è Vico
che appare come l’erede della tradizione umanistica: il De antiquissima e la
Scienza Nuova ci guiderebbero verso un mondo la cui nota dominante è costituita
dalla fantasia e dall’ingegno, che con spirito anti-cartesiano VICO (si veda)
avrebbe contrapposto alla ratio calcolante e al deduzionismo matematico di
Cartesio, in difesa delle humanae litterae. LEOPARDI (si veda) con il concetto
di illusione avrebbe teorizzato una filosofia dell’esistenza in cui il pathos
avrebbe raggiunto le vette di una tematizzazione poetico-filosofica che guida
la riflessione verso il tema del fondamento e dell’antropogenesi. Infine
Heidegger si mostra come il più fiero oppositore dell’Umanesimo e del
Rinascimento, trattati alla stregua di espressioni di una mera antropologia
ontica che ha come centro della riflessione l’ente e non l’essere. Eppure le
riflessioni di Heidegger sul linguaggio e sulla parola poetica, sull’opera
d’arte come evento del disvelamento dell’essere, sono richiamate all’attenzione
da G. che con Heidegger va oltre Heidegger compiendo un vero e proprio iter di
oltrepassamento, nel duplice senso di Verwindung (accettazione-approfondimento)
e Überwindung (superamento). Secondo l’interpretazione G.ana, quella di
Heidegger sarebbe una prospettiva che, nonostante la messa in mora della
modernità e l’opera decostruttiva condotta nei riguardi dell’impostazione
soggettocentrica, cade preda di quel pregiudizio hegeliano e di tutta la
concezione idealistica dell’umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il problema
dell’umanesimo che Heidegger sottolinea che il termine umanesimo si affermò per
la prima volta al tempo della repubblica romana come equivalente del termine
greco paideia. Per Heidegger è un dato di fatto che ogni umanesimo principia
col definire l’essenza dell’uomo, quindi con una filosofia antropologica 90.
L’umanesimo come mera antropologia è l’equazione posta da Heidegger che G.
mette in discussione attraverso un’analisi storico-filosofica che rintraccia
nelle riflessioni sul linguaggio un altro inizio del pensiero. Benché Heidegger
avesse sviluppato una concezione del linguaggio e della poesia come luoghi del
disvelamento dell’essere, la tradizione poetica degli autori italiani del
Quattrocento non era ritenuta funzionale al discorso relativo alle circostanze
della manifestatività ma frettolosamente
liquidata in quanto proseguimento della Romanitas, posta da Heidegger in
contrapposizione con l’esperienza greca presocratica. G. tenta di ricostruire
con spirito critico-problematico, più che filologico91 in senso tecnico, la
tradizione di quegli autori come Salutati, Valla, Poliziano e Landino che
mostrano una ricchezza del possibile in alternativa all’unilateralità del vero.
Nelle sue analisi, infatti, emerge quella volontà di far parlare direttamente i
testi senza diaframmi, mettendo in evidenza quella mutevolezza del particolare
e del contingente senza prescindere dalla situazione data. Denunciando i gravi
limiti di ogni inerte visione aprioristica e razionalistica, quegli autori
costituiscono per G. il polo ineludibile di una riflessione che è attenta a
tutte le dimensioni del G., Heidegger e
il problema dell’umanesimo, 58. 91 Del resto le forzature storiografiche che
talvolta sono presenti nelle riflessioni G.ane sono state sottolineate da
Cesare Vasoli nell’Introduzione all’edizione italiana di G., Heidegger e il
problema dell’umanesimo: G. è infatti convinto – e lo ripete nel modo più
esplicito – che la svolta platoneggiante segnata dal Ficino e la forte ripresa
della tradizione aristotelica, nel corso della prima metà del Cinquecento,
siano sostanzialmente estranee alla vera filosofia umanistica o, almeno, alle
sue ragioni e interessi più vitali. Ciò pone, naturalmente, molti problemi di
natura storiografica anche se non può
tacersi che anche il giudizio umanistico sul valore fondante della poesia deve
non poco a tipici loci platonici e che il tema del furor proprio del Ficino (si
pensi soltanto ad alcune notissime pagine del De Amore) ha svolto un ruolo
dominante nell’interpretazione sapienziale della poesia e del suo ruolo di
theologia originaria , C. Vasoli, Introduzione, 7-16, in G., Heidegger e il
problema dell’umanesimo, 12; titolo originale Heidegger and the question of
Renaissance Humanism, Centre for Medieval and Early Renaissance Studies,
Binghamton, New York[ pensiero: non solo la logica e la teologia, ma la
giurisprudenza, la mitologia, la politica, la retorica, la poesia divengono
oggetti teorici degni di una riflessione sulle molteplici forme dell’apparire
dell’essere. In tale percorso di rivisitazione delle tematiche umanistiche G.
segue itinerari poetici e teatrali, generi, quali il poema cavalleresco, la
lettera familiare, l’elogio, che pongono in luce un senso della parola poetica
lontano da ogni velleità di giungere ad un significato definitivo, ad una
definizione che chiuda la res in un verbum univoco. Anzi, secondo G. è nelle
parole, nei verba, nella ricchezza e complessità di un universo linguistico non
chiuso nei ristretti limiti della logica formale che possiamo attingere la res
e i suoi modi di datità, che sono infiniti, molteplici, contingenti,
transeunti. Da ciò deriva che il principale compito della nuova filosofia
umanistica narrata dal filosofo è l’apprensione del reale non a mezzo del
processo razionale del pensiero che col concetto (horos) e la definizione
(horismos) coglie l’essenza (ousia) degli enti, ed astraendo dal tempo e dal
luogo, ne stabilisce il significato 92; ma attraverso la parola
storica-poetica-metaforica che è una eikasia (una somiglianza e un apparire)
del significato degli enti come risposta alle esigenze esistenziali che sorgono
nelle diverse situazioni 93. L’attenzione alla polidimensionalità del reale che
si rivela nella polidimensionalità linguistica rende la stessa opera G.ana non
suscettibile di sistematicità: leggere G. tentando di rintracciare nelle sue
pagine un’opera sistematica è un approccio inadeguato, occorre piuttosto
seguirlo nelle tracce, nelle indicazioni, nelle pieghe della meditazione94. Del
resto questo è un risultato, più che un La
filosofia dell’umanesimo un problema epocale, 37. 93 146. 94 Secondo l’interpretazione di D.
Pietropaolo l’assenza di sistematicità nella filosofia di G. costituisce un
limite, uno svantaggio considerevole , ma secondo il nostro punto di vista si
tratta di un riflesso dell’impianto fenomenologico del metodo seguito da G.. Se
la realtà è multiforme e sfaccettata anche il modo di dire tale realtà
procederà per aspetti, frammenti segmenti tutti tesi a mostrare la ricchezza
dell’essere. D. Pietropaolo, G.,
Vico, and the defense of the Humanist Tradition, in New Vico Studies , 1992, X,
5. Opposto il giudizio di A. Battistini
secondo il quale quello di G. è un metodo che rispecchia una ricerca sempre in
progress, inappagata, dinamica , A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di G.,
391, in E. Hidalgo-Serna-M. Marassi (a cura di), Studi in memoria di G., 385-404.]
limite, raggiunto dal filosofo in ossequio all’insegnamento degli umanisti che
con la riflessione sulla storicità dell’esperienza umana che parte da bisogni
concreti elaborano quella che è una rivoluzione epocale ben più importante di
altre rivoluzioni culturali: attraverso la teoria dell’ingegno, che interviene
nelle diverse e varie situazioni, in funzione delle necessitates e dell’hic et
nunc, tramite l’attività analogica, che assurge a meccanismo catalizzatore del
sistema antropo-poietico. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale che l’umanesimo, non muovendo più dal problema della definizione
razionale del reale, realizza un rovesciamento dei procedimenti del pensiero
filosofico ben più radicale della così detta moderna rivoluzione copernicana del pensiero cartesiano e idealistico 95 e ciò
è espresso, dal nostro punto di vista, in conformità alla generale impostazione
onto-antropo-logica del pensiero di G., che vede nella indagine linguistica e
poetica la possibilità di scorgere quell’appello dell’essere che spinge l’uomo
a rispondergli creativamente in base alle molteplici circostanze esistenziali.
In tale contesto l’agire umano per G. implica la necessità di realizzare non
cognizioni astratte di una metafisica ragionata ma una metafisica metaforica,
fantastica ma non arbitraria perché risposta oggettiva alle urgenze vissute
differentemente nelle varie situazioni 96. Ma torniamo al problema dal quale
siamo partiti: come giunge G,i alla domanda sull’uomo e sulla correlazione
uomo-mondo? Decisivo è stato l’incontro con il maestro degli anni mitici di
Friburgo ? Oppure dobbiamo attendere quella che, secondo alcuni interpreti, è
la svolta vichiana? Domandarsi della genesi del problema onto-antropo-logico in
G. è una operazione teorica non semplice, poiché si tratta di percorrere un
iter in absentia: il filosofo non usa esplicitamente l’espressione
onto-antropo-logia per qualificare la
propria riflessione, ma, a dispetto di quest’assenza terminologica, possiamo
riscontrare le tracce – non tanto nascoste – di tale ambito problematico che si
costituisce come l’orizzonte di pre-comprensione imprescindibile per accedere
ai settori teorici toccati dal filosofo di Milano: retorica, metaforologia,
umanesimo. Riferirsi al G., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, 96. 96 G., VICO (si veda) e OVIDIO (si
veda). Il problema della preminenza della metafora, in Bollettino del Centro di
Studi Vichiani ] contesto
onto-antropo-logico ci consentirà agevolmente di sfatare anche un’ipoteca
storiografica che pesa sul suo pensiero, talvolta preda di un’interpretazione
che lo ritiene mera espressione eclettica o privo di una adeguata articolazione
teoretica97. G. affronta i temi dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani già
nel 1924 nel saggio Il pensiero di MACHIAVELLI (si veda) e l’origine del
concetto di stato apparso sulla rivista Rassegna Nazionale. Ben prima
dell’incontro con Heidegger, ben prima dell’incontro con Vico dunque. In questo
saggio G. offre un’interpretazione degli scritti machiavelliani puntando
l’attenzione sui concetti di uomo e umanità, riconoscendo l’importanza decisiva
che nella sua prospettiva onto-antropo-logica assumono le questioni di stato e
patria. L’impostazione teorica che emerge è di stampo idealistico98 e tende a
dare credito ad alcune interpretazioni correnti, quali l’affermazione della dignità
umana come valore immanente; l’incapacità di inquadrare in un sistema
concettuale il pathos della ricerca; la collocazione entro la cornice teorica
della modernità dell’Umanesimo e del Rinascimento. Secondo il filosofo di
Milano ciò che emerge dalle riflessioni di Machiavelli è un principio di
immanenza che permea tutta la riflessione moderna. G. afferma che il medioevo e
il rinascimento - secondo una distinzione larga – nascono come espressione di
due pensieri fondamentalmente distinti: mentre il pensiero antico, medioevale
cercava la razionalità del reale – ossia il principio di ogni realtà in un
principio trascendente, che ci supera – il pensiero moderno – di cui il
rinascimento e l’umanesimo sono la prima affermazione – cerca la razionalità
del reale in un principio immanente, che è in noi 99. Pur accogliendo tale
distinzione tra Medioevo e Rinascimento il filosofo riconosce tuttavia il
limite di un’impostazione di questo genere poiché la realtà storica e
filosofica risulta pur sempre più ricca e complessa di rigidi schemi che non
tengono conto delle mille sfaccettature di correnti di pensiero e di singoli
intellettuali. Emblematico è il caso di Dante che in questo scritto appare
essere !! , l’interpretazione di G. Modica, Oltre Heidegger e Vico. Sulla
prospettiva filosofica di Ernesto G., 77-88, in Un filosofo europeo. G., cit.
98 , R. Messori, Le forme dell’apparire, in particolare il terzo capitolo,
Umanesimo e modernità G., Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto
di Stato, in Primi Scritti] un Giano bifronte, proteso sia verso l’impostazione
classica e medioevale, che rintraccia nell’essere per essenza – o per seguire
la loro denominazione – Dio – l’essere da cui tutto proviene e in funzione del
quale tutto si distingue e supera il soggetto di cui è origine e causa 100; sia
verso un aspetto proto- moderno che troverà nell’epoca successiva un
dispiegamento considerevole. Secondo G. nella concezione politica di Dante
abbiamo un primo embrione della modernità: la nuova epoca non si – può – far
nascere dal secolo XV, ma molto prima, come ci rivela l’espressione volgare
della Divina Commedia, del Convivio, e il ghibellinismo di Dante 101. La
riflessione della modernità matura sarà contraddistinta da una serie di
elementi che metteranno in crisi l’impostazione medievale ma anche classica.
Contro l’idea che proprio gli umanisti proporranno nell’auto-interpretazione
della propria epoca, secondo G. lo stesso classicismo del Quattrocento e del
Cinquecento non è che semplice scorza con cui la nuova epoca inviluppava le sue
tendenze...fredda cenere sotto cui troviamo il primo fuoco dello spirito
moderno, l’uomo che ricerca e trova se stesso 102. Nel nuovo contesto culturale
la figura di MACHIAVELLI (si veda) è assunta come baluardo della costruzione
del Rinascimento: nel clima generale della critica verso i barbari medievali alla vis destruens degli umanisti Machiavelli
sa contrapporre una vis construens che si concretizza nella messa a tema del
concetto di patria, del valore dell’individuo e della verità effettuale che,
secondo G., riveste un’importanza massima: l’affermazione della verità
effettuale è della massima importanza, egli giungerà logicamente col suo metodo
induttivo alla concezione della storia come creazione umana . La centralità
della nozione machiavelliana di verità effettuale viene posta in correlazione
con la teoria vichiana del verum ipsum factum, secondo cui il verum storico è
conoscibile solo ed unicamente nel factum umano. Il criterio della
convertibilità, che ha una tradizione antica, di ascendenze
giudaico-cristiane104, e che è possibile definire come il vero assioma di VICO
(si veda), viene esplicitamente espresso nel De nostri temporis studiorum
ratione. Qui il criterio del verum-factum viene legato all’ambito geometrico:
pertanto queste cose della fisica, che in forza del procedimento geometrico si
presentano come vere, non sono se non verisimili, e dalla geometria ricevono sì
il procedimento, non la dimostrazione: dimostriamo la geometria perché la
facciamo; se potessimo dimostrare la fisica, la faremmo. Vorremmo sottolineare
che il vichismo di MACHIAVELLI (si veda)
individuato da G. in questo saggio risente fortemente dell’impostazione
crociana. L’inconsapevole vichismo di Machiavelli o il non voluto
machiavellismo di Vico compare in numerose opere del filosofo di Pescasseroli.
U no dei primi riferimenti crociani al Segretario fiorentino risale a
Filosofia della pratica in cui CROCE (si veda), trattando della categoria
dell’utile, e quindi della politica, riconosce Machiavelli come il capostipite
delle dottrine che hanno considerato la politica come attività indipendente
dalla morale e che hanno stabilito dei precetti empirici della ragion di Stato . Ma allo stesso tempo
osserva che la questione se codesti due termini potessero mai tenersi
immediatamente identici è stata indagata
da Machiavelli anche se, su tale aspetto, il suo pensiero è stato lungamente
non compreso non essendosi inteso il valore spirituale della volontà
utilitaria, considerata per sé senza interferenza della ulteriore
determinazione morale Per una sintesi
ben documentata della storia della teoria del verum-factum prima e dopo Vico ,
M. Martirano, Vero- Fatto, Guida, Napoli, 2007, in particolare i capp., Il
criterio del vero e del fatto prima di Vico, 41-101; e Il criterio del vero e
del fatto dopo Vico, 105-172. 105 G. Vico, Sul metodo degli studi del nostro
tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, 49-51. 106 Croce, Filosofia della
pratica. Economia ed etica, Laterza Editori, Bari, 1945, 266. 107 267. Secondo Croce solo a partire dall’analisi
critica di Francesco De Sanctis si è cominciato a comprendere il carattere
complesso della tesi di Machiavelli e quindi a valorizzare il pensiero del
Principe giustificandolo a dispetto delle condanne provenienti da correnti
moraliste. Nella recensione dell’edizione del Principe curata da Federico
Chabod nel 1924, Croce precisa come sia necessario non tanto affermare che la
politica si identifica con la forza bensì insistere e mettere bene in chiaro
che cosa sia veramente la forza, e come quella forza, che è la virtus politica,
rappresenti un aspetto, necessario bensì ed eterno, ma un aspetto solo della
totalità ed integralità umana – B.
Croce, La Critica , giugno 1924, 314. In seguito nel 1932 in Storia d’Europa
nel secolo decimonono ad integrazione la necessità della virtù nella politica] Su
questo sfondo crociano l’interpretazione di G. pone in luce il nesso di verità
effettuale108 e verum ipsum factum che dischiude una nuova visione del mondo:
dire che coll’affermazione della verità effettuale, abbiamo veramente
l’affermazione che precorre e già contiene implicitamente il verum ipsum factum
di Vico , significa porre nella realtà l’unico valore, identificando valore e
realtà, essere e valore, e ha come conseguenza anche l’adozione di un metodo
innovativo di indagine del reale. L’importanza di questo saggio giovanile è
degna di nota se consideriamo che proprio qui emergono alcune dicotomie
concettuali che ritroveremo nella produzione successiva e che sottolineano
quanto già a partire dagli anni Venti la questione onto-antropologica fosse
viva nella riflessione del filosofo. Risulta evidente allora che la questione
onto-antropo-logica, il problema dell’umanesimo, della correlazione Da-sein e
Sein nell’orizzonte della Lichtung non compare in G. solo ed unicamente a
partire dall’incontro con Heidegger o dalla svolta vichiana di un fantomatico
secondo G. ma affiora già nelle
riflessioni sulla scienza nuova machiavelliana. La scienza nuova offerta da Machiavelli secondo il pensatore
milanese è innanzitutto una scienza induttiva e non deduttiva, è una
intelligenza dei fatti che può realizzarsi solo abdicando al principio di
autorità e all’a-priorismo e la denuncia della mera attività politica senza
responsabilità è lampante: se alla libertà si toglie la sua anima morale...si
toglie la purezza del fine; se alla disciplina interna alla quale essa si
sottomette spontanea si sostituisce quella della eterna guida e del comando non
rimane se non il fare per fare, il distruggere per il distruggere...ne vien
fuori l’attivismo. Il quale è dunque in questa traduzione riduzione e triste
parodia che in termini materialistici compie di un ideale etico,
sostanzialmente una perversione dell’amore per la libertà – CROCE (si veda), Storia d’Europa nel secolo
decimonono, Laterza Editori, Bari. CROCE risolve in maniera definitiva la
questione posta da MACHIAVELLI (si veda) saldando assieme l’etica alla politica
sia nella sua concezione della storia, sia nella sua filosofia politica tanto
da unire nell’unica opera Etica e politica i precetti morali alle riflessioni
sulla politica. In questo testo egli cita VICO (si veda) come il solo ed
autentico successore dell’impostazione di Machiavelli, ritenendo che i suoi
veri prosecutori non sono né coloro che elaborano una precettistica della
ragion di stato , né coloro che escludono qualsiasi commistione tra politica e
etica e predicano l’avvento di un regime basato sulla pura bontà e giustizia,
né chi non cerca di risolvere l’antinomia tra politica e morale ma la
relativizza a carattere meramente accidentale della storia. Vico è ai suoi
occhi colui che più di tutti è pieno del suo spirito, che egli chiarifica e
purifica, integrando il suo concetto della politica e della storia, componendo
le sue aporie, rasserenando il suo pessimismo – B. Croce, Etica e politica, Laterza Editori,
Bari, 1931, 254. 108 L’espressione verità effettuale compare nel XV capitolo
del Principe: ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi l’intende, mi è
parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla
immaginazione di essa , N. Machiavelli, Principe, XV, 280 A. , su questo
aspetto V. Raspa, Della verità effettuale della cosa e del riscontrare le cose.
Riflessioni intorno al XV capitolo del Principe, 152-184, in Machiavelli:
immaginazione e contingenza, a cura di F. Del Lucchese-L. Sartorello-S.
Sartorello, Ets, Pisa G., Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto
di Stato, in Primi scritti] logico. La grandezza del segretario fiorentino
risiede nella ricostruzione politica del Rinascimento, che è allo stesso tempo
una restituzione alla storia di una razionalità intrinseca. Ma in che modo è
possibile offrire al dominio di Dio o del caso – la storia – una propria
razionalità? La domanda che secondo G. Machiavelli si pone trova nelle pagine
del Principe una risposta, l’unica possibile. Assodato che con il Rinascimento
registriamo una rottura, un crollo dell’impalcatura teorica e pratica del
Medioevo, la dissoluzione dei valori religiosi e l’affermazione della forza
dell’individuo, come garantire l’integrità della vita activa, come riparare la
nuova idea di azione umana dal pericolo di una dispersione irrazionale di
energia? Secondo G. la stessa affermazione del soggetto empirico va superata e
si supera con Machiavelli: l’affermazione del soggetto empirico andava superata
e condotta a un concetto di unità di individualità superiore, ma il problema
doveva essere posto negli unici termini possibili: superare l’individualità
empirica per mezzo dell’affermazione dell’individualità stessa 110. Il problema
dell’individualità si pone come un dato di importanza considerevole per due
ordini di ragioni: innanzitutto l’ascesa del soggetto è individuata come un
tratto distintivo della modernità, sebbene in questo contesto
l’autoaffermazione assuma una valutazione positiva che in seguito perderà, a
fronte di una impostazione teorica che vede nella compagine soggettocentrica
della filosofia un aspetto negativo; poi mostra l’aporia aperta dalla figura di
Machiavelli e che rifluisce nella tematizzazione G.ana successiva: l’aporia tra
la componente irrazionale, quella che successivamente sarà definita patica, e
l’esigenza di un inquadramento razionale e logico. Il Principe ha un valore
emblematico e attesta un tentativo di coniugazione estremamente importante:
l’affermazione del Principe di Machiavelli è così il passaggio dal concetto
dell’Umanesimo, dell’individualità empirica, a quello di nazione. Passaggio,
questo, che fa emergere quanto Machiavelli percepisse l’irrazionalità in cui si
dibatte il Rinascimento: il contrasto delle varie affermazioni di tirannidi 112
e che rende la sua opera una sorta di fisica delle forze umane 113. Si tratta
di un’aporia che nel Principe si struttura come tensione tra le antinomie
etico-psicologiche e unità del principe-centauro; e nei Discorsi trova
espressione nel contrasto tra il conflitto socio-politico e l’unità
istituzionale. Una contesa che è connotata positivamente da Machiavelli per il
quale le dissensioni , i conflitti, non sono elementi esiziali per la
salvaguardia della res publica, ma necessarie e proficue114. Alla figura di MACHIAVELLI
(si veda), all’importanza della sua teoria politica nella ridefinizione dei
parametri della modernità umanistica, e all’impronta innovativa offerta dal suo
concetto di verità effettuale al cambiamento di paradigma del Cinquecento, per usare una fortunata
espressione kuhniana, G. dedica molta attenzione tra gli anni Venti e Quaranta.
Ciò è testimoniato dalle pagine conclusive del saggio Pensieri sul poetico e
sul politico del 1939, in cui si asserisce che l’essenza politica di
Machiavelli consiste quindi nell’aver riconosciuto l’urgenza della politica
(necessità), il suo imporsi, come una forma autonoma e in sé indipendente da
ogni altra forma del dischiudersi della realtà
questo inarrestabile realizzarsi del politico è ciò che Machiavelli
chiama fortuna, la quale non significa sorte, bensì la concreta situazione
politica in cui sempre ci troviamo 115. Qui viene espresso quel concetto di
costrizione, necessità e coercizione che il reale esercita sull’essere umano e
che è importante richiamare all’attenzione poiché quello di Nötigung sarà un
concetto che ritroveremo in seguito e che andrà a costituire una delle
caratteristiche della onto- antropo-logia di G., la quale ha di mira
l’individuazione dei meccanismi arcaici di antropo-poiesi, dei dispositivi che
sono fortemente radicati nella situazione particolare, nell’Appello dell’essere
e . 114 Barbuto, Il pensiero politico del
Rinascimento, Carocci, Roma 2008, in particolare le 39-75 dedicate a
Machiavelli. 115 G., Pensieri sul poetico e sul politico, in Primi scritti, 793.
Il saggio appare originariamente in tedesco con il titolo Gedanken zum
Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der geistigen
Tradition Italiens nel 1939 in Schriften für die geistige Überlieferung, Erstes
Heft, herausgegeben von G., Berlin, Verlag Helmut Küpper, 1939. Nel saggio
rifluiscono due conferenze, Deutsche Dichtung und die italienische Tradition
des Humanismus, e Politisches und begrifflisches Denken in der Italienischen
Tradition.] del reale, la cui carica di estraneità è oltrepassabile solo
tramite l’azione concreta e storica che ha struttura metaforica. L’attività
metaforologica ha infatti una connotazione onto-antropo-logica in G.: riguarda
l’uomo, riguarda la realtà e costituisce il modo di darsi delle cose, il nostro
modo di essere affetti dal mondo circostante. Non un orpello linguistico, una
fictio retorica, la metafora è per G. un dispositivo antropo-poietico. Come si
afferma in Retorica come filosofia. La tradizione umanistica: alcuni limitano
la funzione della metafora alla trasposizione di parole, cioè di una parola dal
suo proprio campo ad un altro. Tuttavia, tale trasposizione non può essere
compiuta senza un’intuizione immediata delle somiglianze che appaiono nei
diversi campi la sua funzione è quella
di rendere visibile una proprietà comune ai vari campi. Essa presuppone la
visione di qualcosa ancora nascosto ma dobbiamo andare più a fondo del piano
letterario. La metafora sta alla base del nostro mondo umano. Poiché essa si
radica nell’analogia tra cose differenti e fa immediatamente balzare agli occhi
tale analogia, essa contribuisce in modo fondamentale alla struttura del nostro
mondo 116. In conclusione possiamo dare per acquisito che la lettura di
Machiavelli e i saggi dedicati al Segretario fiorentino e alla politica pongono
in luce la fondamentale importanza che in tale ricostruzione di un nuovo
paradigma assume la conoscenza storica del passato117, il tema della fortuna –
la concreta situazione storica – e quello della virtù – come abilità di
commisurarsi alla fatticità dell’esistenza118, quello dell’autonomia dell’agire
politico119. Questi elementi ci dicono che non Retorica come filosofia. La
tradizione umanistica GIUCCIARDINI (si veda) e il concetto della politica nel
Rinascimento italiano. Prologo alla prima edizione tedesca dei Ricordi, 887-900,
in Primi scritti, 891. Il saggio appare nel 1942 con il titolo Francesco
Guicciardini und der Begriff der Politik in der italienischen Renaissance.
Prolog zur ersten deutschen Ausgabe der Ricordi , in Europäische Revue ,
Stuttgart-Berlin, XVIII, 1942, n. 3. 118 Teoria della politica nella tradizione
del rinascimento, 967-974, in Primi scritti, 971. Il saggio appare con il
titolo Theorie der Politik in der Ueberlieferung der Renaissance, in Neue
Zürcher Zeitung , Jahrgang, Morgenausgabe, Pensieri sul poetico e sul politico.
Due conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, in Primi
scritti] possiamo sottrarci di fronte all’occasione, alla circostanza, alla
necessità impellente di prendere posizione nei confronti di ciò che accade.
Perciò la nostra situazione si trova sempre nel mezzo di un aut-aut 120.
L’essere in mezzo ad un aut-aut ci costringe a decidere, a scegliere, ad
affrontare il reale come impegno e compito come G. afferma nel 1942 in una
lettera-saggio indirizzata allo stimatissimo amico W. F. Otto, Sul problema della parola e della
vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, che mostra
un metodo inattuale di fare filosofia:
si tratta di esercitare la riflessione con lettere aperte, denunciando così il
carattere particolare di questo impegno comune, per il quale esso si distingue
e deve distinguersi rispetto alle occupazioni scientifiche 121. Si tratta di
quel metodo inattuale, difeso anche da Husserl, che solo i filosofi autentici
possono realizzare nella consapevolezza di essere funzionari dell’umanità ,
orientati verso un telos che può trovare concretezza solo nell’esercizio
dell’atto filosofico. Umanesimo e pseudo-umanesimi: la pars destruens del
discorso G.ano. La riflessione sull’Umanesimo e sul Rinascimento e sul loro
spessore filosofico elaborata da G. a metà degli anni Venti e Trenta si
concretizza, come abbiamo visto, nel saggio su MACHIAVELLI (si veda)
proseguendo nelle produzioni saggistiche successive al 1924. In queste ultime è
presente anche un intento di chiarificazione storiografica e di presa di
distanza dalle coeve interpretazioni della tradizione epocale . Riferirsi ad
un’epoca storico-culturale, come quella al centro della riflessione Sul
problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla
tradizione italiana. A Walter F. Otto, 901-915, in Primi scritti, 912. Il
saggio appare in tedesco nel 1942 con il titolo Über das Problem des Wortes und
des individuellen Lebens. Erwägungen aus
der italienischen Überlieferung. An Walter F. Otto, in Geistige Überlieferung. Das zweite Jahrbuch, in Verbindung mit Walter F. Otto
und Karl Reinhardt, herausgegeben von G., Berlin, Verlag Helmut Küpper] Husserl,
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. a
cura di Filippini, il Saggiatore, Milano 1960, 46, Noi siamo dunque, e come
potremmo dimenticarlo, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità. La
nostra responsabilità personale per il nostro vero essere di filosofi, nella
nostra vocazione interiore personale, include anche le responsabilità per il
vero essere dell’umanità, che è tale soltanto in quanto orientato verso un
telos, e che se può essere realizzato lo può soltanto attraverso la filosofia.
È possibile di fronte a questo sè esistenziale sfuggire? ] di G., significa
innanzitutto prendere in considerazione un mito storiografico . Inoltre, il
concetto G.ano di umanesimo è bivalente: accanto all’idea di Umanesimo come
categoria storiografica limitata ad un periodo storico circoscritto e ad autori
precisi troviamo un concetto di umanesimo come macro-categoria che comprende
una riflessione generale sull’humanitas. A partire dal grande affresco
burckhardtiano del 1860 Die Kultur der Renaissance in Italien e dal saggio di
Michelet Histoire de France au sezième siècle, il mondo moderno e i suoi tratti
distintivi sono stati legati alla riscoperta dell’uomo e del mondo e dei valori
immanenti i cui prodromi erano già presenti nella civiltà italiana del Trecento
e del Quattrocento. Del resto questo era il punto di vista degli stessi
umanisti che per primi parlano di una rinascita della civiltà contro i barbari
medievali , che erano barbari non per avere ignorato i classici, ma per non
averli compresi nella verità della loro situazione storica 124. Posizione,
questa, che importanti cultori di studi medievali contemporanei hanno messo
profondamente in crisi propugnando una rinnovata idea di Medioevo come età
della sperimentazione e dimostrando l’alto grado di sviluppo intellettuale
raggiunto dalla cultura filosofica e letteraria del Medioevo, contro un atteggiamento
che si è consolidato anche nell’immaginario collettivo, oltreché in quello
filosofico e storico-culturale: quello che vede nel Medioevo un altrove – sia
esso negativo (la prospettiva umanistica) o positivo (la prospettiva romantica)
– o una premessa. Come ricorda Sergi nell’altrove negativo ci sono povertà,
fame, pestilenze, disordine politico, soperchierie dei latifondisti sui
contadini, superstizioni del popolo e corruzione del clero. Nell’altrove , per una discussione particolareggiata delle
molteplici interpretazioni dell’umanesimo e del rinascimento C. Vasoli, Il
Rinascimento tra mito e realtà storica, 3-25, in Le filosofie del Rinascimento,
a cura di C. Pissavino, Mondadori, Milano, 2002. , E. Garin, L’umanesimo
italiano, Laterza, Roma- Bari 1964. 124 E. Garin, L’umanesimo italiano, 21. 125
, G. Sergi, L’idea di medioevo, 3-41, in Storia medievale, Roma 1998; C.
Azzara, Le civiltà del Medioevo, Introduzione, 7-12, Il Muligno, Bologna, 2004.
126 Per un’analisi dettagliata delle interpretazioni dell’antirinascimento
della rivolta dei medievisti, , C. Vasoli, Il rinascimento tra mito e realtà
storica, soprattutto le positivo ci sono i tornei, la vita di
corte, elfi e fate, cavalieri fedeli e principi magnanimi. Ma è anche
discutibile l’uso del medioevo come generica premessa 127. Per introdurre il
discorso decostruttivo G.ano faremo riferimento innanzitutto alle
interpretazioni messe in discussione dal pensatore milanese, soffermandoci in
particolare sulla figura di Cartesio e infine sul capo di imputazione principe
– Heidegger – e sul significato che la riflessione sull’umanesimo riveste
nell’ambito dell’onto-antropo-logia G.ana. II. II. Che cos’è l’umanesimo? G.
parte dal quesito: che cosa significa umanesimo? e risponde individuando la genesi del termine
nell’ambito politico: questo termine nasce per la prima volta in Italia nel XIV
secolo e lo troviamo negli scritti politici di Coluccio Salutati, il primo
segretario politico di Firenze 128. La domanda è il punto di partenza di un
saggio scritto in occasione di una conferenza tenuta nel 1938 durante la seduta
della Klopstock Gesellschaft a Quedlinburg, Deutsche Dichtung und die
italienische Tradition des Humanismus, rifluito insieme ad un altro saggio,
Politisches und begrifflisches Denken in der Italienischen Tradition, in
Gedanken zum Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der
geistigen Tradition Italiens. Per G. durante l’epoca umanistica si esprime per
la prima volta un nuovo atteggiamento dell’uomo verso il mondo, si tratta del
passaggio dall’uomo greco , a quello medievale , per finire con l’uomo del
Rinascimento . Una linea evolutiva che può essere condensata nelle note ed
efficaci immagini proposte da Vernant, Le Goff e Garin: la transizione
dall’uomo guerriero di Omero all’uomo politico di Aristotele129, all’homo
viator e penitente130 e all’uomo moderno131. , G. Sergi, op., 5. 128 G.,
Pensieri sul poetico e sul politico. Due conferenze per determinare la
tradizione spirituale italiana, 777- 802, in Primi Scritti 1922-1946, 780. 129
, J. Vernant, Introduzione, in (a cura di), L’uomo greco, Laterza, Roma-Bari ,
J. Le Goff, L’uomo medievale, in (a cura di), L’uomo medievale, Laterza,
Roma-Bari, 2005, 1-38. 131 , E. Garin, L’uomo del Rinascimento, in (a cura di),
L’uomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari] Per quanto sia discutibile
l’ipotesi G.ana di una frattura così radicale tra due visioni del mondo occorre
sottolineare che egli riproporrà in tutti i suoi scritti tale dicotomia non
tematizzando estesamente la plausibilità del presunto iato storico-culturale:
ovviamente Medioevo e Rinascimento non sono entità metafisiche e monolitiche
chiuse e incomunicabili, ma soprattutto Medioevo e Antichità greco-romana,
spesso da G. accomunate in un disegno sintetico, non sono sovrapponibili nella
difesa del principio di trascendenza. Eppure è lo stesso pensatore a
riconoscere lo stato quantomeno problematico di un’impostazione di questo tipo
come è possibile leggere nel saggio su MACHIAVELLI (si veda), e nelle pagine di
Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico in cui si afferma: Il
fondamentale schema che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che
vive in un modo più o meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione
del pensiero antico al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero
oggettivistico, pensiero moderno – come siamo soliti dire – pensiero del
soggetto. Sono veramente valide queste contrapposizioni e il concetto della
storia della filosofia che si radica in esse? La storia della filosofia è
veramente un lento progresso nel quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità
sul pensiero antico, oppure non va essa piuttosto concepita come la
realizzazione di un’unica verità che si attua nella rinnovata posizione delle
medesime domande? 132. Tali riserve espresse con convinzione tuttavia non
impediranno a G, di assumere una prospettiva teorica di forte impianto
idealistico che pone la questione in termini di slittamento dall’ipotesi
trascendente a quella immanente. Secondo il filosofo ciò che è in gioco con
l’Umanesimo è una questione che da una visione contraddistinta dall’astrattezza
e dall’universalità passa ad una concezione della finitezza umana in cui il
telos è avvertito come un aspetto positivo e non come una mancanza: pertanto,
in Italia, l’umanesimo doveva nascere anzitutto come concezione e affermazione
politica; perché tutta la storia, l’arte, la filosofia e la lingua
dell’antichità spingevano qui alla realizzazione di un nuovo mondo storico Il
fondamentale schema che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che
vive in un modo più o meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione
del pensiero antico al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero
oggettivistico, pensiero moderno – come siamo soliti dire – pensiero del
soggetto. Sono veramente valide queste contrapposizioni e il concetto della
storia della filosofia che si radica in esse? La storia della filosofia è
veramente un lento progresso nel quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità
sul pensiero antico, oppure non va essa piuttosto concepita come la
realizzazione di un’unica verità che si attua nella rinnovata posizione delle
medesime domande? , Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, 255-271,
in Primi scritti] Infatti, per G. lo sviluppo dell’uomo nelle sue estreme
possibilità accade innanzitutto nel contesto, nell’apertura originaria, che è
un’apertura comunitaria, nella quale soltanto l’essere umano può istituire
nessi e relazioni con il contesto circostante, può stare al mondo in una
relazione che è innanzitutto comprendente: si tratta di comprendere e di
cogliere le molteplici forme dell’essere e del suo apparire che ritroviamo
soprattutto nella parola poetica, prima che nella parola logica. La valutazione
autentica dell’Umanesimo sarà possibile allora solo tenendo conto dell’aporia
ineludibile che il problema dell’umano ci pone dinanzi e consentirà di
elaborare quel filosofare noetico non metafisico che tenta di tenere insieme
l’ontologia e l’antropologia senza chiuderle in un orizzonte logico ma
immettendole nel mondo metaforologico: si tratta della coniugazione inaudita che G. cerca di realizzare lungo tutto il suo
percorso filosofico, dalle riflessioni sulla manifestatività in Dell’apparire e
dell’essere e Il problema del logo degli anni Trenta, a quelle sulla dimensione
patica dell’esperienza dell’originario in L’inizio del pensiero moderno. Della
passione e dell’esperienza dell’originario e Il reale come passione e
l’esperienza della filosofia degli anni Quaranta, per finire con gli scritti
sul valore della metafora e del pensiero noetico non metafisico. Lo scopo
dell’interrogazione sull’umanesimo come epoca storica determinata e come
proposta di una rinnovata visione del mondo è dominata dall’esigenza di un
indicare a partire dal destino, dalla necessità entro la quale appaiono gli
enti, e non da una loro astratta definizione. Ora lo studio di questa
problematica compete a un sapere particolare che dobbiamo chiamare ontologia,
distinguendola dalla metafisica tradizionale e intendendo con questo termine il
rapporto che lega gli enti in situazione all’origine comune che li attraversa e
perciò insieme li unifica e differenzia: ontologia non logica ma situazionale 134,
ontologia noetica e non metafisica, e pertanto metaforologica, in cui l’ente
appare solo nella parola umana che costruisce universi di senso. La critica di
G. si appunta innanzitutto contro l’assolutizzazione di un aspetto particolare
della filosofia quattro-cinquescentesca: il precorrimento di quegli elementi
della modernità che nell’Umanesimo troverebbero una infanzia primitiva. Tale
posizione se, da un lato, può sembrare a Il problema della morte: l’Alcesti di
Euripide. Filosofare noetico non metafisico. Vico, in G.-E. Hidalgo- Serna,
Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo
Editore, 1991, Galatina] prima vista contraddittoria rispetto all’ipotesi
interpretativa esposta nel saggio del 1924 – in cui la centralità di
Machiavelli è ribadita proprio all’insegna della veste moderna che le
riflessioni del fiorentino assumono – dall’altro, trova una spiegazione se la
critica che va conducendo G. a certi luoghi del moderno viene inserita nel
contesto più generale di una messa in questione della supremazia che l’ambito
logico-gnoseologico assume nelle opzioni storiografiche analizzate. Si tratta
di una messa in discussione dello stesso concetto di ragione e di logos, che
non enuncia un congedo dalla ricerca filosofica – che cerca di istituire una
relazione comprendente tra uomo e mondo – per mettersi sulla china
dell’irrazionalismo, ma palesa, al contrario, l’esigenza di costruire o
ritrovare una ragione complessa e ampia nella quale momento patico e logico
trovano una ricomposizione nell’unità dell’esperienza individuale e vissuta. In
Filosofia dell’umanesimo: un problema epocale G. passa in rassegna diverse
tappe interpretative rifiutate per una sostanziale misinterpretazione
dell’Umanesimo. Il testo, che si pone in linea di continuità con il saggio
L’inizio del pensiero moderno, ha un primo scoglio da superare. Il macigno che
pesa, intollerabile, sul cuore del filosofo è Heidegger e liberarsi da questo
fardello è il compito verso cui il pensiero di G. sarà rivolto sviluppando le
problematiche degli scritti onto- antropo-logici di G.: Macht der Phantasie
1979; Macht des Bildes 1970; Rhetoric as Philosophy; Heidegger and the question
of renaissance Humanismus 1983 e in ultimo aggiungiamo, sebbene nell’elenco
stilato direttamente da G. non fosse annoverato135, Vico e l’Umanesimo136.
Quale è l’idea di Umanesimo che Heidegger offre all’attenzione del suo allievo
eterodosso? Prima di rispondere a questa domanda, analizzeremo di seguito le
nove posizioni inautentiche proposte da G.
in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale. Sullo sfondo della
polemica diretta contro precisi personaggi abbiamo anche la censura al pensiero
della filosofia analitica di cui, almeno in questo La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale, 29. 136 Ovviamente G. non poteva annoverare questa opera perché essa
vedrà la pubblicazione nel 1990 in lingua inglese. Si tratta di una raccolta di
saggi che coprono circa due decadi di riflessione filosofica, dal 1969 al 1985
e che comprendono i testi americani di G.. Cfr, D. Verene, Prefazione a G.,
Vico e l’umanesimo, 19-24. Il testo è pubblicato in lingua inglese due anni
prima con il titolo Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric,
Lang New York] luogo, G. non esplicita i rappresentati. Più chiarezza è
rintracciabile in altri testi, come Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica, in cui è esplicito il riferimento polemico a Wittgenstein,
portavoce dell’impostazione scientifica del pensiero e autore di quel Tractatus
logico-philosophicus che riduce il mondo alla triade: dire, mostrare,
tacere137. Come è noto i sette Sätze del Tractatus si chiudono con la nota
proposizione: ciò di cui non si può parlare, si deve tacere 138. Affermazione,
questa, da cui traspare per il pensatore italiano un’attenzione esclusiva al
piano denotativo del linguaggio che riduce il logos a tecnica di
formalizzazione, a calcolo scientifico in cui l’uomo e la sua storia
travagliata scompaiono. Afferma G. che è considerato scientifico quel pensiero
che procede nella struttura di un processo razionale, cioè nella sfera della
dimostrazione. Nella teoria logica moderna questa tesi è portata avanti in modo
significativo nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein al di fuori del mondo simbolico del sistema
abbiamo solo silenzio e mistero 139. Dalla prospettiva G.ana nell’orizzonte
wittgensteiniano della filosofia l’unico linguaggio accettabile è quello del
calcolo, della formalizzazione, della logica che esclude dall’orizzonte di
significatività la dimensione retorica del logos ordinario – che esprime il
sensus communis – e del logos patetico della poesia. Eppure Wittgenstein
riabilita in qualche modo il livello connotativo del linguaggio, quella
dimensione del mistico e dell’etico, relegati nel Tractatus nell’ambito del
silenzio, attraverso la riflessione che si condensa nelle Ricerche filosofiche.
G. non prende in considerazione la riflessione wittgensteiniana contenuta in
questo testo, che possiamo definire come una sorta di drammatizzazione di una
lotta, quella di Wittgenstein contro se stesso, contro il se stesso di un
tempo, quello del Tractatus. Afferma Wittgenstein che questo chiedere [il nome
degli oggetti] e il suo correlato, la definizione ostensiva, costituiscono,
potremmo dire, un gioco linguistico a sé. Ciò
, L. Perissinotto, Wittgenstein, Feltrinelli, Milano Wittgenstein,
Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, tr. it. di A. G. Conte,
Einaudi, Torino 2009, proposizione 7. 139 G., Retorica come filosofia] vuol
dire propriamente: veniamo educati, addestrati a chiedere come si chiama
questo? – e a ciò segue la denominazione
dell’oggetto 140. La definizione allora appare come un particolare gioco
linguistico che non si identifica sic et simpliciter con l’atto originariamente
istitutivo del linguaggio. L’origine del gioco linguistico è una reazione sulla base della quale possono innestarsi le
forme più raffinate di linguaggio. Esso inoltre non si origina dalla
riflessione ma è una porzione141 del gioco linguistico. Colpevole142 di aver
escluso dall’ambito della filosofia le discipline umanistiche (filologia,
storia, poesia e retorica) 143, che non consentono di rendere chiaro e distinto
il linguaggio filosofico ma al contrario lo oscurano, il Cartesio di G. diviene
un altro bersaglio polemico. La critica è diretta alle affermazioni contenute
negli scritti cartesiani Regulae ad directionem ingenii (Regola III) pubblicate
postume nel 1701144 e al Discorso sul metodo (I libro) del 1637. La III regola
cartesiana delle Regulae recita: riguardo agli oggetti da trattare si deve fare
ricerca non di ciò che altri ne abbiano opinato o di ciò che noi stessi
congetturiamo, bensì di ciò che da noi stessi si possa intuire con chiarezza ed
evidenza, e dedurre con certezza; poiché solo così si acquista scienza 145.
Secondo G. in questo passo si afferma che il ricorso all’esempio degli Antiqui
è un escamotage del tutto empirico, mnemonico, che produce storia, mai scienza.
Questa si costituisce a un livello differente, nella trasparenza
dell’intrinseca dinamica dei nostri processi cognitivi, come emerge dalla
riflessione matematica. Secondo G. l’emarginazione dell’esperienza, lo
svuotamento di senso scientifico della tradizione proposti da Cartesio sono
riconducibili alla generale impostazione che muove dal paradigma matematico. In
questo orizzonte di ricerca è esclusa ogni forma di congettura probabile, Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e
M. Trinchero, Einaudi, Torino 1974, I, § 27. 141 Zettel. Lo spazio segregato
della psicologia, tr. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1986, § 391. 142 G.,
La filosofia dell’Umanesimo: un problema epocale, 31-32. 143 31. 144 La stesura delle Regulae risale agli
anni compresi tra il 1625 e il 1629. Sulla questione della datazione delle
Regulae , G. Mori, Cartesio, Roma 2010, 37-38. 145 Cartesio, Regole per la
guida dell’intelligenza, tr. it. di G. Galli, in Cartesio, Opere filosofiche,
Vol. I, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari, 21. ! 56! che pretenda
di mescolarsi e assimilarsi sulla base dell’abitudine a conoscenze certe e
evidenti. La stessa valutazione dei saperi umanistici compare in I principi
della filosofia. Qui il filosofo afferma che se desideriamo consacrarci
seriamente allo studio della filosofia e alla ricerca di tutte le verità che
siamo capaci di conoscere, ci libereremo in primo luogo di tutti i pregiudizi,
e faremo conto di respingere tutte le opinioni da noi un tempo accolte in
nostra credenza, finché non le abbiamo esaminate da capo. Faremo in seguito una
rassegna delle nozioni che sono in noi, e non raccoglieremo per vere se non
quelle che si presenteranno chiaramente e distintamente al nostro intelletto 146.
La scienza, così, è in ultima analisi tale nella misura in cui si concentra
rigorosamente su ciò che non può essere intaccato dal dubbio. Inoltre, nel
primo libro del Discorso, nell’ambito dell’esposizione del proprio iter
autobiografico, Cartesio rende manifesta l’insoddisfazione verso quei saperi,
gli studia humanitatis ai quali si era tanto dedicato durante gli anni della
formazione a La Flèche, insofferenza dovuta agli inestirpabili dubbi ed errori
che quelle discipline per il loro oggetto e metodo intrinseco non potevano non
contenere. La critica a quei saperi, che spinge Cartesio a dire che leggere i
libri antichi è come viaggiare e conversare con uomini di altri secoli147,
dimenticando ciò che caratterizza il tempo presente, trova il suo esito più
compiuto nella difesa della mathesis universalis, del nuovo metodo, della scienza
nuova che unisce matematica, logica, geometria seguendo lo schema tetravalente
di evidenza, divisione, ordine ed enumerazione. Da questo tipo di impostazione
del discorso filosofico, matematizzante e logicizzante, occorre liberarsi per G.
che afferma, con tono polemico in riferimento a Cartesio, che egli rinfaccia
alla retorica – disciplina fondamentale per gli umanisti – di turbare,
influenzando l’emotività degli uditori, la chiarezza e la coerenza del pensiero
razionale, deduttivo. Egli rifiuta pure la validità del senso comune, giacchè
solo il rigore logico è garanzia del filosofare Cartesio, I principi dellafilosofia, 64, in Opere,
Vol. III, tr. it. a cura di A. Tilgher e M. Garin, Laterza, Roma- Bari 2005.
147Id., Discorso sul metodo, tr. it. di M. Garin, in Cartesio, Opere
filosofiche, Vol. I, 295, Conversare con gli uomini di altri tempi è quasi come
viaggiare ma se si passa troppo tempo a
viaggiare, si finisce col diventare stranieri nel proprio paese; e quando si è
troppo curiosi delle cose che avvenivano nei secoli passati, si resta per lo
più molto all’oscuro di quel che si fa al giorno d’oggi . 148 G., La filosofia
dell’umanesimo] Vorremmo sottolineare tuttavia che il filosofo italiano non
tiene conto di una certa riabilitazione da parte di Cartesio dei concetti di
verosimile, tradizione e pregiudizio nell’ambito della riflessione morale, come
si evince dal Discorso, dai Principi e dalle Passioni dell’anima, oltre che
dalla corrispondenza. Secondo la nostra interpretazione ciò accade per diversi
ordini di ragioni: innanzitutto incide l’impostazione idealistica che G. riceve
negli anni di apprendistato alla Cattolica, per cui l’inizio del moderno e la
nascita del soggetto avrebbero in Cartesio un punto di partenza fuori
discussione149; inoltre, l’impostazione heideggeriana che, come è noto, si
concentra molto sulla critica a Cartesio, interpretato come colui che avrebbe
compiutamente formalizzato un passaggio cruciale nella storia della metafisica,
quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della domanda che
si pone il problema del fondamento che rende possibile la comprensione
dell’ente. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum, infatti, Heidegger vede
espresso un primato dell’io umano ed una nuova posizione dell’uomo150, poiché
l’uomo diventa subiectum151, il fondamento e la misura di ogni certezza e
verità. In Il nichilismo europeo si asserisce che la tradizionale domanda guida
della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica
moderna nella domanda del metodo, della via per la quale, è cercato qualcosa di assolutamente certo e
sicuro 152: tale metodo è il cogito e le sue strutture. Infine la forzatura G.ana
della contrapposizione Cartesio/Vico è finalizzata a delineare una nuova via
d’accesso alla filosofia le cui radici storico-culturali egli rintraccia
nell’Umanesimo di matrice latina e mediterranea in senso lato. Ritornando a
Cartesio e agli aspetti meno teoreticisti del suo pensiero, tralasciati da G.,
possiamo prendere come riferimento il significato della nota metafora della
casa153 del Discorso che Devo richiamare
alla mente la situazione filosofica della filosofia italiana negli anni ’20,
periodo in cui compii i miei studi. A quell’epoca la filosofia hegeliana
predominava in Italia grazie a Croce e Gentile ed era stata introdotta fin
dalla fine del XIX secolo da Bertrando Spaventa , G., Retorica come filosofia.
La tradizione umanistica, 31. 150 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, tr. it.
di F. Volpi, Adelphi, Milano Prima di cominciare a ricostruire la casa da
abitare, non basta demolirla e provvedersi di materiali e architetti, o
impegnarsi personalmente nell’architettura, e averne tracciato inoltre un
accurato progetto; bisogna essersi procurati un altro alloggio dove si possa
dove si possa stare comodi nel corso dei lavori; allo stesso modo, per non
restare indeciso ! 58! vuole comunicarci la necessità di prendere
delle posizioni in ambito morale: ciò che assolutamente era precluso in sede di
conoscenza, ossia il fare affidamento ai pregiudizi e a ciò che sembra
ragionevole e sensato, seppure privo di certezza assoluta, è consentito in
ambito morale: tuttavia si deve notare che io non intendo che noi ci serviamo
d’una maniera di dubitare così generale, se non quando cominciamo ad applicarci
alla contemplazione della verità. Poiché è certo che, in quel che riguarda la
condotta della nostra vita, noi siamo obbligati a seguire bene spesso delle
opinioni che non sono che verosimili la
ragione vuole che ne scegliamo una, e che, dopo averla scelta, la seguiamo
costantemente, come se l’avessimo giudicata certissima 154. Il concetto
cartesiano di sagesse humaine è bivalente: ha una valenza teoretica e pratica,
e la nozione di bona mens, cui fanno capo tutte le scienze, è quel sapere del
vero e del falso grazie al quale l’uomo riesce ad orientarsi nella vita.
Inoltre già nel cogito abbiamo una co-determinazione da parte del volere,
fattore costituente dell’atto di giudizio: con la parola pensiero, io intendo
tutto quel che accade in noi non solo
intendere, volere, immaginare, ma anche sentire è qui lo stesso che pensare 155.
Del resto lo stesso G. riconosce la portata più ampia del cogito cartesiano nel
contesto dell’analisi del metodo portata avanti nel saggio Dell’apparire e
dell’essere. Il pensatore milanese afferma che la metafisica di Cartesio appare
in tutta la sua decisiva importanza quando si tenga presente che cosa egli
concretamente intenda con cogitare . Pensiero, cogito, come tutti sappiamo, non
è per lui solo atto di distinzione logica, ma è ogni atto e modificazione del
soggetto, di cui l’attività logica non è che un momento 156. Se l’atto del
cogito non è solo un atto logico, ma anche di sensazione, immaginazione,
volontà, per G. si profila il problema del rapporto e della distinzione che
passa tra queste forme nel processo di manifestazione dell’essere157. Ancora
più discordante rispetto all’interpretazione di Cartesio esposta negli scritti
maturi è l’affermazione presente in L’inizio del pensiero moderno. Della
passione nelle mie azioni mentre la
ragione mi obbligava ad esserlo nei miei giudizi, e per non smettere perciò di
vivere quanto più felicemente potevo, mi costruii una morale provvisoria,
riconducibile a tre o quattro massime sole , Cartesio, Discorso, 305-306. I principi della filosofia] G., Dell’apparire
e dell’essere e dell’esperienza dell’originario in cui il cogito – a cui
precedentemente già era stato riconosciuto quel carattere elenchico-costrittivo
che successivamente andrà a connotare il concetto di principio del filosofare
noetico-non metafisico – è concepito nella sua intima connessione con il dubbio
come espressione dell’urgenza e dell’impellenza dell’essere. Asserisce il
filosofo che il cogito inteso come mentis inspectio non significa qui rivolgere
lo sguardo a qualcosa di oggettuale; piuttosto il vedere dell’inspectio
coincide con questo soggiacere al dubbio e seguirlo fino al punto in cui si
rivela l’urgenza che in esso si annuncia e che lo rende possibile di conseguenza anche il cogito, quando si
intenda con esso il compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza
originaria, che si mostra come il vero fondamento del sapere 159. La posta in
gioco che emerge è quella del riconoscimento della priorità della
manifestatività dell’essere quale fulcro tematico della filosofia. Il reale
come punto di partenza della riflessione comporta una ricerca sul metodo, sulle
vie di accesso, che per G. – questa volta non in opposizione ma in linea con
Cartesio – ci pone di fronte ad una molteplicità di forme che sono in un
rapporto di intima co-appartenenza. Nelle riflessioni appena ricordate traspare
un’immagine di Cartesio più articolata rispetto alla semplicistica riduzione
caratterizzante gli scritti tardi che si condensa nella opposizione Vico
/Cartesio (pensiero topico e pensiero critico) e che sorregge anche l’idea G.ana
della presenza di un cartesianesimo razionalistico nella prospettiva hegeliana.
Hegel160 avrebbe riproposto una visione dell’umanesimo sostanzialmente negativa
e l’opera che G. prende in considerazione è Lezioni di storia della filosofia
in cui l’Umanesimo appare come una filosofia volgarizzatrice e non speculativa,
che non realizza in modo adeguato l’idea ma si ferma all’ambito della fantasia
e dell’arte, e le cui radici ciceroniane, sono fortemente criticate. Secondo il
pensatore milanese Hegel accusa la filosofia degli autori latini, ai quali fa
riferimento l’Umanesimo, di essere L’inizio del pensiero moderno, in I Primi
scrittiLa filosofia dell’umanesimo: un problema epocale] volgarizzatrice (eine
Populärphilosophie) o non speculativa. Egli rifiuta la tesi che lo sviluppo del
diritto romano abbia un valore filosofico 161. Nell’ambito della definizione
del concetto di filosofia e delle due sfere affini ad essa, la scienza e la
religione, Hegel fa riferimento alla filosofia popolare: sembra che vi sia un
terzo momento che congiunge i due suddetti – momento soggettivo e formale della
scienza e momento oggettivo in forma figurata o storica della religione –: cioè
la filosofia popolare. Essa si occupa di argomenti universali, filosofeggia su
Dio e sul mondo però anche questa filosofia dobbiamo lasciarla da parte. Ad
essa si devono ascrivere gli scritti di CICERONE. Lo stesso CICERONE, al quale
Montesquieu avrebbe voluto assomigliare, definito come l’esponente
dell’umanesimo universalista è al centro anche delle riflessioni di Mommsen –
come ricorda G. nel catalogo delle interpretazioni inautentiche dell’umanesimo
– che lo valuta come l’impiastricciafogli dallo stile giornalistico . Altra
vittima degli strali di G. è il romanista Curtius, annoverato tra coloro che
riducono il caso della filosofia umanistica a mero esempio d’esercitazione
stilistica. Nell’elenco compaiono anche Cassirer, Apel, Kristeller e Jaeger.
Dell’interpretazione di Cassirer per G. è inaccettabile o perlomeno fuorviante
il punto di partenza: ricondurre la filosofia sotto l’egida del problema della
conoscenza non consente di rintracciare nell’età dell’umanesimo alcuna
innovazione [Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, introduzione di Pareyson
e Plebe, Laterza, Roma- Bari; Montesquieu, Discorso su Cicerone, in Ciaravolo, La
personalità filosofica di CICERONE, Aracne, Roma. Il primo, presso I ROMANI,
che ha tolto la filosofia dalle mani dei dotti e la liberata dall’intralcio di
una lingua straniera. Egli l’ha resa COMUNE a tutti gl’uomini, come la ragione,
e nel plauso che ne ha ricevuto i letterati si sono trovati d’accordo con LA
GENTE COMUNE [cf. Grice, The lay and the learned ]. Io non sono in grado di
ammirare abbastanza la profondità dei suoi ragionamenti in un tempo in cui i
saggi non si distinguevano che per bizzarria dei loro vestiti. Vorrei soltanto
che fosse venuto in un secolo più illuminato e che avesse aiutato a scoprire la
verità. Uso l’espressione di Battaglia contenuta in Le virtù moderne di CICERONE.
Appunti sulle Tusculanae disputationes, in Ciaravolo; G., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale; Mommsen, Storia antica di Roma antica,
Sansoni, Firenze; G., La filosofia dell’umanesimo] significativa. I testi
citati polemicamente da G. sono Individuo e cosmo nella filosofia del
Rinascimento e Storia della filosofia moderna. Curtius, di formazione neo-kantiana,
si occupa intensamente dei problemi matematici e fisici della modernità, e la
predilezione per alcuni autori, quali GALILEI, Keplero, Newton, Cartesio,
Spinoza e Leibniz, ci fa comprendere quanto potesse valere nel tragitto
filosofico tracciato da Cassirer il ruolo affidato all’umanesimo. Secondo G.,
per Cassirer laddove nell’Umanesimo filologia e filosofia si congiungono, non
si giunge nella filosofia a nessuna vera innovazione nel metodo. Se prendiamo
in considerazione il testo Dall’Umanesimo all’Illuminismo, che raccoglie i
contributi cassireriani sulla storia del pensiero occidentale dall’Umanesimo
all’Illuminismo, ci troveremo di fronte a pagine di considerazione scarsa circa
lo spessore filosofico dell’Umanesimo. Nel saggio La posizione del FICINO nella
storia della filosofia – recensione al libro di Kristeller La filosofia di
Ficino – Cassirer afferma che, alle sue origini e per il suo scopo principale, l’umanesimo
non può dirsi un movimento filosofico. Tra gl’umanisti più noti non troviamo
grandi filosofi veramente indipendenti. Il loro interesse e l’erudizione e la
letteratura, non la filosofia. L’unica importanza dell’Umanesimo e del
Rinascimento e la mutazione della dinamica delle idee e lo slittamento dal
particolare all’universale. In questa fase la riflessione sui principi della
conoscenza non ha trovato ancora un motivo cosciente e la filosofia sembra
avere una efficacia limitata. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del
Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze. G., La filosofia dell’umanesimo: un
problema epocale; Cassirer, Il FICINO nella storia del pensiero, in
Dall’Umanesimo all’Illuminismo, a cura di Kristeller, Federici, La Nuova
Italia, Firenze; L’originalità del Rinascimento, in Dall’Umanesimo
all’Illuminismo; Storia della filosofia moderna; Dall’umanesimo alla scuola
cartesiana; La rinascita del problema della conoscenza, Arnaud, Einaudi, Torino.
Sembra trovare una parziale giustificazione allora la critica G.ana rivolta al
pensatore tedesco: Cassirer preoccupato di rintracciare nella tradizione
umanistica ciò che per lui costituisce l’essenza della filosofia – ovvero il
problema della conoscenza – dovette ammettere di rilevarne solo poche tracce
nell’Umanesimo. Ma si tratta di una critica solo in parte condivisibile poiché
G. e Cassirer non sembrano tanto lontani nella comune attenzione rivolta verso
il mondo del SIMBOLICO. Nonostante questo punto di contatto G. pone una netta
differenza tra la sua teoria di una logica della fantasia e quella cassireriana
della FORMA SIMBOLICA. Afferma G/ che e un errore e un fraintendimento molto
grave interpretare VICO come se la logica della fantasia e limitata a una pura
logica di la FORMA SIMBOLICA nella maniera che Cassirer usa quest’espressione.
In particolare all’interno dell’opera Filosofia delle forme simboliche,
Cassirer analizza la funzione del mito, inteso come originaria forma di vita,
essenziale per la scoperta e la comprensione del mondo storico. Le produzioni
mitiche prendono evidentemente origine dall’immaginazione, anche se il filosofo
non si sofferma sulla relazione specifica tra mito e immaginazione, bensì
insiste sulla relazione tra mito e immagine. Quest’ultima ha una funzione più
importante del mero SEGNO in quanto, secondo il filosofo, l’immagine contenne l’essenza
stessa delle cose. L’immagine, espressione di un fenomeno, non ha un semplice
carattere di rappresentazione, che indica qualcosa di oggettivo al di là di
essa, ma in essa si dà per noi qualcosa di reale, in essa qualcosa di
demonicamente vivente viene colto e posto dinanzi a noi in piena presenza. Dal
passo sopra citato emerge la ricerca di una struttura originaria che permetta
la ri-elaborazione dei processi storici dell’uomo dei tempi antichi, a partire
dalle sue creazioni mitico-simboliche. G., La filosofia dell’umanesimo. La
priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di VICO
oggi, in Vico e l’umanesimo; Cassirer, Filosofia delle forme simboliche,
Arnaud, La nuova Italia, Firenze. Queste strutture non hanno una funzione
solamente COMUNICATIVA ma agiscono da mezzo col quale si determina la
compiutezza dei loro contenuti. A partire da questa premessa dobbiamo
considerare il mito, la religione, IL LINGUAGGIO, non come forme di dominio sul
mondo, bensì come forme essenziali per la scoperta del mondo storico dell’uomo.
La formazione simbolica costituisce così il medium tra l’elemento
trascendentale e il mondo storico-reale. La funzione di sintesi, affidata alla
formazione simbolica, diviene fondamentale strumento di concezione della storia
che vuole liberarsi da una visione assolutistica e assoluta o da qualsiasi
riduzionismo empirico- descrittivo. Dice Cassirer in Saggio sull’uomo che, per
semplice che esso possa sembrare, ogni fatto storico può venire determinato
solamente in base ad una preliminare ANALISI DI SIMBOLI. La prima e più
immediata materia della conoscenza storica non è costituita da cose e da avvenimenti,
bensì da documenti e monumenti. Soltanto grazie alla mediazione e con
l’introduzione di questi DATI SIMBOLICI si può avere una idea della realtà
storica, degli avvenimenti e degli uomini del passato. Riprendendo la teoria
vichiana del mondo storico come creazione dell’uomo, aggiunge: in nessun altro
campo, la mente dell’uomo è più vicina a se stessa che nella storia. Non il
mondo fisico, ma il mondo storico è creato dall’uomo, e dipende dalle sue facoltà.
Il campo di studio elettivo dell’uomo non è dunque il mondo matematico né
quello fisico, ma il mondo storico, la società civile. Quel che VICO chiede è
una filosofia della civiltà: una filosofia la quale sveli e spieghi le leggi
fondamentali che governano il corso generale della storia e lo sviluppo della
cultura umana 180. Se non sapessimo che è Cassirer l’autore potremmo pensare
che questo passo esce direttamente dalla penna del G. autore di VICO e
l’umanesimo. Per entrambi i filosofi i linguaggi del mito e della fantasia
permettono agli studiosi moderni di comprendere la coscienza storica
dell’umanità. Il mito è una forma comunicativa, espressiva e esplicativa di
eventi e fenomeni e va ben oltre una Saggio sull’uomo. Una introduzione alla
filosofia della cultura umna, a cura di Carlo d’Altavilla, Armando, Roma; Desartes,
Leibniz e VICO, in Simbolo, mito e cultura, a cura di D. Verene, Ferrara,
Laterza, Roma- Bari] rappresentazione illusoria che nasconde il vero stato
delle cose. Cassirer lettore di VICO mostra non pochi punti di contatto con G.
che del filosofo napoletano sottolinea proprio la priorità di quegli ambiti
mitici, poetici, simbolici, fantastici su cui il filosofo delle forme
simboliche a lungo si è soffermato. Se G. esplicitamente menziona la presenza
di una logica della fantasia in Vico – in cui il concetto fantastico e
immaginativo cristallizza un essere attraverso l’atto dell’ingegno, con una
visione diretta di una totalità pittorica –, Cassirer si riferisce a VICO
indicandolo come il creatore di una logica dell’immaginazione. L’umanità,
secondo lui, non poteva cominciare con il pensiero astratto e il linguaggio
razionale. Dovette passare per lo stato del LINGUAGGIO SIMBOLICO, del mito e
della poesia. I primi popoli non avrebbero pensato in concetti ma in immagini
poetiche; in realtà il mondo in cui vive sia il poeta che il foggiatore di miti
sembra essere lo stesso. L’uno e l’altro sono dotati dello stesso potere
fondamentale, del potere di personificare. Non possono contemplare nessun
oggetto senza dargli una vita interiore e una forma personalizzata – Those
spots mean measles, dark clouds mean rain, smoke means fire]. La breve sosta
sulla filosofia cassireriana ci ha consentito di istituire un interessante
confronto G.Cassirer che ha come scopo quello di mettere in luce un comune
terreno di ricerca filosofica sugli ambiti del simbolico, del mitico, del
poetico e del fantastico. Altri due autori inseriti dal filosofo milanese
nell’elenco delle interpretazioni inautentiche dell’umanesimo sono Apel e
Jaeger, entrambi colpevoli di aver misconosciuto l’essenza autentica
dell’Umanesimo183. Per il pensatore italiano Apel sostiene la tesi che gli
umanisti nella loro disamina della logica scolastica usano un armamentario
filosofico poverissimo sostituendo agli argomenti razionali asserzioni
patetiche 184. Infatti Apel afferma che da questa programmatica polemica d’un
nuovo G., Vico e l’umanesimo, 54. 182 Saggio sull’uomo, G. La filosofia
dell’umanesimo. Un problema epocale, 35; Il problema della metafisica
platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, 209; Il problema filosofico del ritorno al
pensiero antico, in Primi scritti, 255- 271; Paideia ed umanesimo, in Primi
scritti, 357-369. La filosofia dell’umanesimo] metodo gnoseologico, così come
essa è caratteristica dell’epoca umanistica di passaggio fra scolastica e
scienza moderna, non si potrà trarre una profonda intelligenza della logica
formale (una sensibilità per il formalismo dell’astrazione logica, e quindi per
le autentiche acquisizioni della logica da Aristotele in poi, fece difetto a
tutti gli umanisti) 185. Dal suo canto Jaeger riconduce lo spessore
dell’approccio umanista a mera prosecuzione degli ideali greco-romani186:
secondo Jaeger le origini dell’umanesimo non sono rintracciabili nel pensiero
degli umanisti italiani del Quattrocento. Leggiamo in La filosofia
dell’umanesimo che Jaeger dichiara che l’Umanesimo è solo la manifestazione di
un particolare ideale culturale che ha per meta la formazione dell’uomo, Jaeger,
infatti, asserisce in Paideia che sin dalle prime tracce che abbiamo dei Greci,
troviamo l’uomo al centro del loro pensiero. Gli dei antropomorfi, il
predominio assoluto del problema della figura umana nella plastica greca e
nella pittura stessa; il procedere conseguente della filosofia dal problema del
cosmo a quello dell’uomo, nel quale culmina con Socrate, Platone ed Aristotele;
la poesia, il cui tema inesauribile, da Omero in poi e per tutti i secoli
seguenti, è l’uomo in tutta la estensione del termine; infine lo Stato greco,
di cui comprende la natura solo chi lo intenda quale plasmatore dell’uomo e di
tutta la sua esistenza: tutti questi sono raggi di un medesimo lume . E
aggiunge che si tratta di manifestazioni di un sentimento umanistico della
vita, che non trova ulteriori derivazioni o spiegazioni, e che compenetra ogni
creazione dello spirito greco. I Greci furono così il popolo antropoplasta per
eccellenza . Siamo ora in grado di enunciare più precisamente che cosa
costituisca l’originalità dei Greci. La loro scoperta dell’uomo non è la
scoperta dell’Io soggettivo, ma l’acquisita coscienza della legge universale
della natura umana. Il principio spirituale dei Greci non è l’individualismo,
bensì l’umanesimo Apel, L’idea di lingua
nella tradizione dell’Umanesimo d’ALIGHIERI a VICO, il Mulino, Bologna; Jaeger,
Paideia. La formazione dell’uomo greco, Emery e Setti, Bompiani, Milano. La
concezione di Jaeger la paideia ha un ruolo prepolitico, intendendo l’attività
educativa come punto di incontro tra antichità e presente. Secondo l’esponente
del cosiddetto terzo umanesimo. Per l’età moderna, il concetto di umanesimo è
legato alla relazione consapevole della nostra cultura con l’antichità. Ma
questa non si fonda, a sua volta, se non sul fatto che la nostra idea della
cultura universale dell’uomo ha colà, appunto, la sua origine storica.
L’umanesimo, in questo senso, è sostanzialmente una creazione dei Greci. La
paideia greca ha in effetti caratterizzato, per Jaeger, sia il Cristianesimo
che il Rinascimento, in quanto il fine della stessa era la formazione di una
umanità superiore. 187 G., La filosofia dell’umanesimo. Infine, nel catalogo G.ano
degli pseudo-umanesimi compare la figura di Kristeller che secondo il pensatore
italiano non avrebbe avuto attenzione per quell’umanesimo non platonico che al
contrario egli cerca in gran parte della sua produzione di mettere in luce.
Afferma Kristeller in Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento che
gli umanisti non erano filosofi di professione, e i loro scritti su diversi
argomenti mancano della precisione terminologica e della consistenza logica che
abbiamo il diritto di aspettarci da filosofi di professione in altre parole,
anche se potessimo ricostruire una filosofia coerente per un determinato
umanista, non possiamo trovare una filosofia comune a tutti gli umanisti, e
quindi non è possibile definire il loro contributo in termini di dottrine
specificatamente filosofiche 189. Secondo G. Kristeller al quale dobbiamo uno
studio su Ficino e molte ricerche erudite sull’Umanesimo valorizza il pensiero umanistico soprattutto
nel ripensamento della tradizione platonica e neoplatonica 190. II. III. Il
maestro degli anni mitici di Friburgo Il confronto G.ano con l’umanesimo non
poteva non relazionarsi alla filosofia di Heidegger che contro l’umanismo si
era espresso molte volte. Il testo La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale è significativamente dedicato alla memoria di Heidegger eletto da G. a
suo maestro. Eppure Heidegger, come ricorda G. stesso, ha negato radicalmente
qualsiasi valore alla filosofia dell’umanesimo. Egli riconosce in tale
tradizione l’ideale romano dell’affermazione dell’homo humanus, nobilitato
grazie al concetto di paideia afferma
che la concezione umanistica non coglie l’essenza dell’uomo. Kristeller,
Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento, Gargano, Bibliopolis,
Napoli. Afferma Kristeller: che, diversamente dalle arti liberali del primo
Medioevo, gli Studia humanitatis NON INCLUDENO la logica o il Quadrivium -- aritmetica,
geometria, astronomia e musica --, e diversamente dalle Belle Arti del
Settecento gli Studia humanitatis non comprendevano le arti figurative o la
musica, la danza o l’arte dei giardini. Non comprendevano neppure le materie
principali che si insegnavano alle università del tempo, cioè la teologia, la
giurisprudenza o la medicina, o le materie filosofiche all’infuori dell’etica,
cioè la logica, la filosofia naturale o la metafisica. In altre parole,
diversamente da ciò che si è pensato molte volte, l’umanesimo non costituisce
il sapere e pensare intero o completo del Rinascimento, ma soltanto un suo
settore parziale, ben limitato, per quanto importante. L’umanesimo ha il suo
centro e la sua base negli Studia humanitatis. Le altre materie del sapere,
compresa la filosofia, con l’eccezione della filosofia morale, hanno un loro
sviluppo separato, che e in parte determinato dalla tradizione medievale, ma
che fu poi lentamente trasformato da osservazioni, problemi e teorie nuove,
trasformazione in cui anche l’umanesimo ha la sua parte, ma agendo piú che
altro dall’esterno e indirettamente , L’umanesimo italiano del Rinascimento e
il suo significato,Gargano, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli,
G., La filosofia dell’umanesimo. Dedicare un testo sull’umanesimo ad un
anti-umanista sembra un’operazione quantomeno ardita poiché effettivamente
Heidegger appare molto duro nei confronti di una tradizione culturale che
avrebbe meritato, se non un giudizio differente, perlomeno una più attenta
riflessione e analisi. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale. Il lavoro è dedicato alla memoria di Heidegger che è stato il mio
maestro: anche il mio saggio sotto la sua direzione e pubblicato (Il problema della metafisica platonica) e
dedicato proprio a lui. Il magistero filosofico di Heidegger e la sua negazione
dell’importanza speculativa dell’umanesimo sollecitano in G. tematiche
speculative che renderanno possibile la problematica sviluppata in Macht der
Phantasie (1979), in Macht des Bildes (1970), e nel volume Rhetoric as
Philosophy, ma anzitutto in Heidegger and the Question of Renaissance
Humanismus (1983) 193. In Lettera sull’Umanismo Heidegger tende a precisare più
volte l’aspetto non-umanistico del suo pensiero, che si configura come
un’ontologia fenomenologica ed ermeneutica in cui l’uomo e il discorso
sull’uomo sono funzionali alla ricerca ontologica. Egli si domanda se si possa
qualificare il suo pensiero come umanismo, ma la risposta è negativa; e non può
essere altrimenti se per umanismo si intende qualcosa di metafisico e di
esistenziale. L’umanismo pensa metafisicamente
esso è esistenzialismo e sostiene la tesi espressa da Sartre:
prècisèment nous sommes sur un plan où il y a seulment des hommes. Se invece si pensa come in Sein
und Zeit, si dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où il y a
principalement l’Etre 194. La
tesi alla quale Heidegger fa riferimento, come è noto, è espressa dal filosofo
francese in L’esistenzialismo è un umanismo195, ed è inserita nel contesto
della metafisica dell’umanismo che Heidegger, Lettera sull’umanismo, tr. it. A
cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2008, 61. 195J. Sartre, L’esistenzialismo è
un umanismo, Mursia, Milano 1996, 40. ! 68! non pone l’humanitas
dell’uomo ad un livello abbastanza elevato. Una metafisica di questo tipo, che
eleva l’uomo a soggetto despota dell’essere e dell’ente, non riesce, secondo
Heidegger, a comprendere il legame dell’uomo e dell’essere, quell’ηθος che è il
soggiorno dell’uomo197, la radura- Lichtung del mondo. C’è da dire che, stando
all’auto-interpretazione heideggeriana, il suo pensiero non è né umanistico né
inumano. Non è umanistico perché la questione fondamentale del suo pensiero è
l’essere, la Lichtung, l’Ereignis. L’uomo, allora, verrebbe ridotto ad
accidente periferico dell’essere? Umano e inumano sono concetti inadeguati per
un pensiero che vuole andare oltre l’alternativa tra scienza e filosofia.
Queste ultime sono per Heidegger sostanzialmente la stessa cosa. Dopo
l’incontro di G. con Heidegger a Todtnauberg, nella Foresta nera si profila
quella tormentata e difficile rottura con il maestro destinata a non
ricomporsi. La connessione istituita da Heidegger tra l’uomo greco e l’uomo
tedesco tralascia l’umanesimo in quanto interpolazione romana- latina tra
l’uomo greco e l’uomo tedesco, erede del greco; valutando negativamente anche
il Rinascimento come renascentia romanitatis. Le radici di questa profonda
avversione sono rintracciabili nel contesto più generale della critica alla
metafisica che Heidegger conduce: ogni umanismo o si fonda su una metafisica o
pone se stesso a fondamento di una metafisica. È metafisica ogni determinazione
dell’essenza dell’uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia
inconsapevolmente, l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della
verità dell’essere nel determinare
l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si pone la questione del
riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce persino che si ponga una
simile questione 198. Ogni umanismo in quanto tale è un’antropologia ontica che
muove da un ente senza tenere conto del riferimento all’essere – il grande
impensato della tradizione metafisica occidentale, rea di un doppio
occultamento: il ritrarsi dell’essere (oblio come κρύπτεσθαι); oblio della
ritrazione dell’essere (con l’imporsi della verità dell’ente e solo dell’ente).
Pensare all’umanesimo antropocentrico e non attento M. Heidegger, Lettera sull’umanismo Heidegger,
Lettera sull’umanismo, 43. ! 69! al nesso essere-uomo significa
pensare innanzitutto a quell’uomo oggetto dell’orazione pichiana che accende un
dibattito filosofico, promosso proprio da PICO (si veda), e che è dominata
dalla centralità dell’uomo all’interno della realtà, peculiarità riconducibile
all’essenza particolare del suo status ontologico. A differenza degli altri
enti l’uomo è quell’ente che non ha una essenza specifica, una natura propria e
definita, chiusa e circoscritta: l’uomo si fa agendo; l’uomo è padre a se
stesso. L’uomo non ha che una condizione: l’assenza di condizioni, la libertà 200.
Il problema posto da Heidegger circa lo statuto dell’umanesimo/umanismo non
poteva lasciare indifferente G. che ritiene inaccettabili quelle affermazioni e
che trova in Heidegger se non proprio un momento di svolta201, uno spunto
teorico importante per il tentativo di risemantizzazione del concetto di
umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo che storicamente
dobbiamo osservare che la definizione che Heidegger dà del pensiero occidentale
(una metafisica razionale deduttiva che sorge e si sviluppa esclusivamente dal
rapporto tra gli enti e il pensiero, cioè nel quadro della verità logica) non
regge. Nella tradizione umanistica c’è sempre stata una preoccupazione cruciale
circa il problema del disvelamento, dell’apertura, dove il Da-sein storico può
fare la sua apparizione. Per questa ragione noi dobbiamo rivedere e rivalutare
le categorie storiche che ancora guidano il nostro pensare 202. Occorre
precisare, secondo G., che accanto all’umanesimo ci sono gli pseudo umanesimi:
la prospettiva onto-antropo-logica G.ana ha come scopo teorico proprio la
chiarificazione del , GARIN, L’UMANESIMO ITALIANO, Garin, L’umanesimo italiano]
Parla di svolta riguardo all’incidenza di Lettera sull’umanismo di Heidegger
nel pensiero di G. D. Di Cesare in Metafora e differenza ontologica. G. versus
Heidegger?, in AA. VV., Un filosofo europeo. G., 25: la Lettera rappresenta
pure, di riflesso, una svolta per G., non solo nel confronto con Heidegger, ma
anche nel proprio itinerario. La sua attesa è rimasta delusa: non vi è traccia,
nella Lettera, di un ripensamento critico, o meglio autocritico, sul valore
filosofico della tradizione latina e italiana, di quel che G. chiama
Umanesimo per G. si produce allora una
difficile e tormentata rottura con Heidegger. Destinata a non ricomporsi,
questa rottura costituirà però il vero e proprio avvio non solo e non tanto
della sua originale interpretazione dell’Umanesimo, quanto di un’autonoma
riflessione filosofica che ha al suo centro la metafora . Dal nostro punto di
vista, l’incontro a Todtnauberg tra G. eHeidegger, sebbene significativo, non
costituisce una svolta. La prospettiva della studiosa non tiene conto delle
affermazioni sull’umanesimo espresse da G. nella produzione giovanile. Infatti,
la questione dell’umanesimo si pone già a partire dal saggio su Machiavelli del
1924, come abbiamo cercato di chiarire nel primo capitolo e nel ventennio che
intercorre tra il 1924 e il 1946 G. ha già maturato le coordinate fondamentali
del suo itinerario speculativo, in cui certamente Heidegger riveste un ruolo
centrale ma tuttavia non esclusivo. 202 G., Heidegger e il problema
dell’umanesimo, 38. ! 70! significato filosofico dell’umanesimo.
Non l’umanesimo storico, né quello politico sono al centro della sua
riflessione, ma unicamente lo statuto speculativo di esso. In Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne lo studioso afferma: sia dunque ben chiaro che
ogni affermazione umanistica è un problema anzitutto filosofico e non
storico che significato può dunque oggi
avere un umanesimo? 203. Cercare di dare una risposta a questa domanda spinge G.
a misurarsi con le questioni della tecnica, del metodo e dell’oggettività. Si
tratta di accenni polemici che egli non discuterà a fondo e dettagliatamente ma
che ci consentono di comprendere quanto fosse viva in lui la consapevolezza del
declino di una visione globale dell’uomo e dell’emergere del disancoramento
dalla realtà che le scienze naturali cercano di ridurre ma che al contrario
contribuiscono ad espandere a dismisura: qui nelle scienze singole naturali,
nelle quali l’uomo crede di raggiungere l’obiettività, appare più chiaro che
altrove il disancoramento dell’uomo 204. L’approccio scientifico è per G.
responsabile di quella trasmutazione del mondo vero in favola, di una
de-realizzazione del reale, in seguito alla quale la realtà, la dimensione
dell’oggettivo svaniscono, divenendo un’astratta costruzione: la realtà che
invece mediano le scienze naturali è un’astratta costruzione in quanto il
risultato di un interrogare la realtà fenomenica in funzione a principi
presupposti 205. Accanto a questa ricerca tecnico-scientifica dei principi c’è
la ricerca filosofica che dischiude il tempo umano, il suo mondo storico, in
cui motivi etici, politici ed etico religiosi si intrecciano indissolubilmente
in quel contesto originario, nella dimensione pre-teoretica e pre-categoriale
che l’analisi sulla Lichtung mette in luce. II.! IV. La pars construens del
discorso G.ano: il lascito heideggeriano A questo punto abbiamo messo insieme
una serie premesse teoriche che ci consentono di uscire dall’impasse in cui il
coacervo delle interpretazioni analizzate da G. ci aveva condotti: esaminate Il
tempo umano. L’umanesimo contro la techne, in Umanesimo e scienza politica.
Atti del convegno internazionale di studi umanistici, a cura di E. Castelli,
Roma- Firenze tutte le posizioni critiche rispetto alla tradizione
storica dell’umanesimo italiano ci è consentito ora di individuare il nucleo
attorno al quale la ricostruzione del suo senso autentico diviene possibile. Il
percorso onto-antropo-logico di G. staziona a lungo presso il concetto di
Lichtung, e non si tratta di un semplice omaggio al maestro dei mitici anni
friburghesi . La co-appartenenza di umanesimo e Lichtung è fondativa della
prospettiva onto-antropo-logica e costituisce, secondo il nostro punto di
vista, il plesso teorico cardine su cui si innestano le riflessioni che
successivamente avremo modo di analizzare: quella sull’ingegno e la fantasia;
quella sulla metafora e la retorica. Prima di sciogliere i nodi del pensiero G.ano
della Lichtung ripercorriamo brevemente la storia heideggeriana di questo
concetto, ciò ci consentirà di mettere a fuoco lo sfondo su cui si staglia la
particolare declinazione che della Lichtung offre G.. II. V La Lichtung in
Heidegger Come ha sottolineato Amoroso quello della Lichtung heideggeriana è un
esempio di etimologia per antifrasi come il latino lucus a non lucendo, dove il
lucus, il boschetto sacro, viene fatto derivare per antifrasi da lucere, perché
esso ha poca luce. La Lichtung ha tre rimandi principali: al luminoso (Licht e
lux), all’oscuro (lucus), e al leggero (Leicht). Con il termine Lichtung non ci
riferiamo ad una espressione metaforica per indicare ciò che si sottrae
all’espressione razionale: siamo di fronte ad un fenomeno di base di cui fanno
parte i domini spaziali e temporali dell’uomo e la sua capacità di creare
corrispondenze ontologiche. Nel pensiero di Heidegger la concettualizzazione
filosofica della Lichtung si dipana nell’arco di più di 35 anni di speculazione
filosofica: dal ’27, anno di pubblicazione di Essere e Tempo al ’62, anno
di Resta ancora aperta tra i critici la
questione di una possibile traduzione efficace del termine che conservi il
senso filosofico originario senza andarne a ledere le relazioni morfologiche e
foniche. Sono note le riserve etimologiche addotte da Cicero circa la
traduzione di Lichtung con radura, che non renderebbe né l’affinità fonica e
verbale con lux e Licht, né quella speculativa di orizzonte inapparente di ogni
apparenza ontica. Altri modi di traduzione italiana come è noto sono quelli di
Chiodi che traduce con illuminazione; di Caracciolo che rende con
radura-luminosa; la traduzione di Vattimo è apertura-slargo; quella di
Mazzarella e Volpi è radura; Amoroso traduce con luco; Marini con chiarita;
Cicero usa il verbo lucare. , per una ricostruzione dei molteplici significati
del termine Lichtung il fondamentale studio di L. Amoroso, Lichtung. Leggere
Heidegger, Rosenberg e Sellier, Torino 1993. Per una ricostruzione etimologica
dettagliata rimando a V. Cicero, Parole fondamentali di Heidegger ricorrenti in
pensare e poetare, in M. Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e
poetare, tr. it. di Cicero, Bompiani, Milano 2010. Mi permetto di rinviare al
mio Saggio sulla Lichtungsgeschichte in M. Heidegger, 33-67, in Atti
dell’Accademia di scienze morali e politiche , Giannini, Napoli] pubblicazione
di Tempo ed Essere, e oltre. Le sue molteplici apparizioni testuali hanno sensi e significati di volta in volta
diversi, ma sempre interconnessi e riferiti alla problematica della ostensione
della correlazione e coestensione di Da-Sein, Sein, e aletheia. Tale
correlazione se nella prima fase di pensiero del filosofo è pensata più a
partire dall’esserci e dall’analitica esistenziale, nella fase tarda, invece, è
tematizzata a partire dal legame stesso, da quel plan di cui si asserisce
l’identità con l’essere, come possiamo leggere a partire da Lettera
sull’umanismo207. La Lichtung heideggeriana ha una articolazione pentavalente:
(i) Da- sein, (ii) arte, (iii) mondo-spazio, (iv) verità e (v) nulla sono i
poli con i quali la Lichtung si converte di volta in volta. (i) Nell’opera del
‘27 la Lichtung appare come Da-sein nel senso di Erschlossenheit208 con
evidente correlazione all’immagine classica del lumen naturale, dunque alla
luce. La caratteristica della non-chiusura o dell’apertura è correlata
all’esserci e alle sue note distintive: la spazialità propria dell’esserci e la
sua gettatezza intramondana – benchè si tratti di un’intramondanità
trascendente in quanto l’uomo non sta mai al modo dell’ente
semplicemente-presente ma esiste, è esposto alla radura dell’essere. Inoltre,
l’Erschlossenheit è convertibile con l’ἀληθεύειν, perché ha una connotazione
duale: aprente e aperta, distinguendosi, pertanto, dalla Entdecktheit, che
contrassegna l’ente difforme dall’esserci. La semplice presenza ha come nota
caratteristica quella di essere uno svelato che non può aprire un mondo di
significati ma che si trova già sempre immerso in una totalità di appagatività.
L’esserci, invece, ha una capacità di apertura che lo rende quell’essere che
può scoprire, mentre la semplice-presenza è l’ente che può essere scoperto. Si
tratta di comprendere il denso senso del Da-sein, che esprime sia il
riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo, sia il rapporto essenziale
dell’uomo con l’apertura (il ci) dell’essere come tale. Se invece si pensa come in Sein und Zeit, si
dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où il ya principalment
l’Etre. Ma da dove proviene e che cos’è le plan? L’Etre e le plan sono lo
stesso , M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, 61-62. 208 L’Erschlossenheit fa
la sua comparsa al § 28: qui e là sono possibili solo in un Ci , cioè solo se
esiste un ente che, in quanto essere del Ci, ha aperto la spazialità. Nel suo
essere più proprio questo ente ha il carattere della non chiusura.
L’espressione Ci significa appunto
questa apertura essenziale. Attraverso essa, questo ente (l’Esserci) Ci è per se stesso in una con l’esser-ci del
mondo che esso sia illuminato significa
che è in se stesso aperto nella radura in quanto essere-nel-mondo, cioè non
mediante un altro ente, ma in modo che esso stesso è la radura , M. Heidegger,
Essere e Tempo, tr. it., a cura di, Longanesi, Milano La relazione tra Lichtung
e arte emerge in L’origine dell’opera d’arte. Qui il termine radura è declinato
come Offenheit209, come luogo aperto e possibilità stessa dei fenomeni. In
quanto apertura essa è quell’accadere non solo del diradarsi ma anche del
trattenere, dello svelamento e del nascondimento come si evince dalle pagine
sulla lotta tra Welt e Erde o tra luogo e contrada in L’arte e lo spazio.
L’arte ci conduce sul sentiero della verità, essa anzi è la messa in opera
della verità dell’ente, il suo accadere e stanziarsi. Così viene declinata l’innovazione
ontologica di cui è foriera l’opera d’arte: l’opera d’arte, nel modo che le è
proprio, fa insorger l’essere dell’ente. Nell’opera accade questo far
insorgere, ossia: la verità l’arte è il
mettersi in opera della verità 210. Ciò che insorge è la dimensione ontologica
della Lichtung quale contesto originario di senso. (iii) L’idea di Lichtung
come mondo si collega al principio di manifestatività, ed è frutto della
coniugazione della problematica trascendentale e della dottrina del mondo. L’io
trascendentale e il soggetto mondano risultano coincidenti. Tale
sovrapposizione tenta di superare l’incapsulamento del mondo nella coscienza e
di dare risalto ad una idea di mondo come vero e proprio donatore di senso,
come originaria dimensione costituente. Ciò che consente agli enti di
manifestarsi va rintracciato nelle strutture della mondità e non in quelle del
soggetto. Afferma il filosofo tedesco che in Essere e Tempo la cosa non ha più il suo luogo nella coscienza, ma
nel mondo 211, e ciò perché il mondo è la condizione di possibilità
dell’esperienza, cioè, del rapportarsi dell’esserci all’ente212, costituendo
l’accessibilità dell’ente. Sappiamo dall’analitica esistenziale che la
spazialità dell’esserci è possibile solo sul fondamento dell’in-essere, insomma
non è riconducibile all’ordinaria nozione dello spazio Il termine Offenheit è impiegato soprattutto
in riferimento al mondo e alla Lichtung. L’essere aperto e al contempo aprente
contraddistingue la Welt come welten, come farsi-mondo. Il mondo, infatti, come
l’opera d’arte è innanzitutto Stiftung: istituzione, donazione e fondazione le
quali aprono alla dimensione dell’apparire dell’ente, facendo sì che l’ente
insorga in quanto essente, assurgendo a
dimensione della donazione di senso. 210 L’origine dell’opera d’arte, 51. 211 Seminari,
tr. it. Di M. Bonola, a cura di F. Volpi, Milano, Adelphi, 1992, 158. 212 , V.
Vitiello, Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità. Dalla
Überwindung der Metaphysik alla Daseinsanalyse, Urbino, Argalia omogeneo
naturale213. Inoltre, risulta impraticabile la deduzione dello spazio dal
tempo, poiché spazio e tempo sono fenomeni originari, anzi, cooriginari. Essi
costituiscono quello Zeit-Raum di cui si parla in Tempo e Essere in relazione
all’evento, all’eventuarsi dell’essere, al suo destinarsi storicamente, al suo
essenziarsi aletico. Il concetto di spazio come lasciare e concedere spazio,
mondo e soggiorno è strettamente connesso al concetto di Lichtung che dirada il
luogo di ogni manifestatività e presenza, ma anche il luogo di ogni assenza e
oscurità, l’aperto per tutto ciò che è presente o assente. (iv) Il legame di
Lichtung e verità si pone con forza in un suggestivo paragrafo di Essere e
Tempo, che reca il significativo titolo di Esserci, apertura e verità214. Qui
Heidegger afferma che un’asserzione è vera innanzitutto perché è apofantica,
ossia è manifestazione dell’ente215. Nell’ambito dell’analitica esistenziale la
verità è connessa ad un concetto di Lichtung da intendere, sia, come
Offenstandigkeit (come uno stare aperto da parte dell’uomo), sia, come
Offenbarkeit (esser- manifesto da parte dell’ente). La grande sfida che si apre
alla riflessione del filosofo tedesco è quella di portare al linguaggio quello
sfondo sul quale si staglia la stessa manifestatività come tale. Si tratta di
quel fondo nascosto e oscuro su cui si pone la luminosità del manifesto e a
partire dal quale possiamo comprendere il discorso sulla non-essenza della
verità. Preminente secondo Heidegger nella dottrina del vero è l’Anwesung,
l’atto del presentarsi della cosa, e non il Wassein, il contenuto essenziale. E
proprio tale separazione tra il contenuto dell’apparire e l’orizzonte dello
stesso ha generato per il filosofo tedesco quel riferimento al vedere,
all’apprensione, al pensare e Ma
soprattutto dall’analitica sappiamo che la spazialità è possibile solo sul
fondamento della temporalità. Nel noto § 70 di Essere e Tempo lo spazio sembra
emergere in netta subordinazione al tempo, alla temporalità
estatico-orizzontale, che sola rende possibile l’entrata dell’esserci nello
spazio. Successivamente, è lo stesso Heidegger ad avvertire l’impossibilità di
continuare a sostenere la posizione espressa in Essere e Tempo: il tentativo di
ricondurre la spazialità dell’esserci alla temporalità compiuto in Essere e
Tempo non è più sostenibile , M. Heidegger, Tempo e essere, 30. Anche nelle
dieci conferenze tenute a Kassel del 1925 Heidegger afferma nel contesto della
disamina di ciò che è vivo e ciò che è morto del pensiero diltheyano che «lo spazio del
mondo ambiente non è quello della della geometria. Esso è essenzialmente
determinato dai momenti usuali della vicinanza e della lontananza non ha dunque la struttura omogenea dello
spazio geometrico», Il lavoro di ricerca di Wilhelm Dilthey e l’attuale lotta
per una visione storica del mondo, 34-35. 214 Il riferimento è al § 44 di
Essere e Tempo. 215 264-265. !
75! all’asserire 216 della verità che è caduta sotto il giogo dell’idea,
con il conseguente mutamento della verità in orthotes. (v) L’altro concetto
fondamentale intrinsecamente connesso a quello di Lichtung è quello di nulla,
di cui Heidegger parla soprattutto in Che cos’è metafisica?. Qui il nihil è
contraddistinto da una peculiare relatività e rivelatività. Lichtung e Nichtung
divengono sinonimi perché la peculiare funzione di diradamento della prima, e
il ruolo di annientamento della seconda, vigono entrambi nell’ente e nella sua
luminosità, consentendo ad esso di apparire. Lichtung e Nichtung costituiscono
quella notte chiara in cui l’ente appare
e il mondo diviene mondo. Nondimeno, radura e nulla non vengono alla luce alla
stregua dell’ente, ma si annunciano in quella differenza nei confronti
dell’ente che appare217. In conclusione di questa incursione nella teoria della
Lichtung heideggeriana possiamo dare per acquisito che essa si pone come
l’inapparente fonte di ogni apparenza ontica. Si tratta del mero che c’è , del
fatto, dell’evento. Ma un pensiero così originario, che nel suo regressus verso
l’inizio retrocede verso un indisponibile e pre-teoretico darsi può ancora
edificare? Su quali fondamenta e a quale scopo? Quale telos l’uomo della radura
può porsi e come può orientarsi? La dottrina platonica della verità, in Segnavia,
a cura di F. W. Von Hermann e F. Volpi, Milano, Adelphi, 192 217 Se in Essere e
Tempo il discorso si dipana su un piano che è più strettamente
analitico-esistenziale, nella prolusione Che cos’è metafisica (1929) la
questione si pone sul terreno ontologico. Qui il discorso sull’angoscia si
inserisce nella cornice tematica del rapporto tra essere e nulla. In questo
caso ad attirare l’attenzione non è tanto l’Unheimlichkeit – l’esperienza dello
spaesamento – propria dell’angoscia, quanto l’esperienza di Seinsoffenheit – di
apertura dell’essere – della stessa: «solo nella notte chiara del niente
dell’angoscia sorge quell’originaria apertura dell’ente come tale il niente è ciò che rende possibile l’evidenza
dell’ente come tale per l’esserci umano , M. Heidegger, Che cos’è metafisica,
in Segnavia Lichtung, umanesimo, metafisica: la proposta G.ana Queste sono le
sfide che il pensiero heideggeriano pone e che G. rimedita in modo originale
coniugando Lichtung e umanesimo. In quell’umanesimo in cui Heidegger
intravedeva un pericolo per l’esperienza autentica dell’originario G. individua
una possibilità, anzi la possibilità, la scommessa del filosofare noetico-non
metafisico da sempre bandito dalla riflessione formale e razionalistica.
Afferma il filoso italiano in La metafora inaudita, nel contesto dell’analisi
del linguaggio e del pensiero razionalmente intesi, che qualsiasi umanesimo –
nel contesto suddetto – che tenti di trascendere il pensiero formale tenendo
conto dei problemi della vita e dell’uomo, deve essere escluso e con esso ogni
elemento patetico, proprio del linguaggio poetico o retorico. Il linguaggio
razionale e scientifico deve necessariamente prescindere dalle passioni
dell’uomo; il suo ideale è quello matematico e il legame del mondo umano con la
razionalità genera il terrore di cadere nel soggettivismo, nell’arbitrarietà 218.
Per il filosofo italiano occorre compiere un movimento inverso a questa
prospettiva e la riflessione sul tema heideggeriano della Lichtung, connesso
all’articolazione umanistica e vichiana del concetto, rappresenta un tentativo
di costruire un nuovo accesso al mondo umano. Per G. quello compiuto da
Heidegger è un regressus, un movimento di retrocessione dal dato al darsi, che
tuttavia si arresta all’Es gibt, all’evento in cui l’esserci è gettato. Nella
Lichtung riecheggia quel φύειν greco, quel generarsi, prodursi, sbocciare,
portare a manifestazione, quell’essere che l’uomo può contemplare, al cospetto
del quale sente la meraviglia e su cui non ha potere. Si tratta del mondo nel
quale ci si sente situati, immersi in una tradizione e in una pre-comprensione,
forme, queste, di mediazione che ci immettono immediatamente nel mondo, in
quella modalità linguistica che induce il filosofo a parlare del linguaggio
come casa dell’essere. Urge tuttavia ripensare l’idea ereditata dal maestro
intraprendendo una analisi teoretica e storica delle prospettive degli
antesignani della teoria della Lichtung che infine approda ad una prospettiva
metaforologica originale che coniuga l’analisi G., La metafora inaudita, 11. ! 77!
della metafora come espressione metaforica con quella della metafora come
fenomeno globale di tipo cognitivo innanzitutto e secondariamente linguistico.
Nel contesto della Lichtungsgeschichte di G. emergono in primo piano i temi del
non- nascondimento – la verità come aletheia – e della physis. In Heidegger e
il Problema dell’umanesimo219 dopo aver affrontato l’analisi del concetto
heideggeriano di Lichtung, di Unverborgenheit e di φαινεσθαι, G. afferma che
uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del
contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo
mondo questi problemi non sono trattati
dal pensiero umanistico mediante un confronto logico speculativo con la
metafisica tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi e di
interpretazione del linguaggio 220. Da questo passo emerge la precisa
declinazione che G. conferisce a tale idea: si tratta di una declinazione
ontologica perché il problema che la Lichtung heideggeriana pone è, come
abbiamo visto, quello del fenomeno di base dell’evento, della manifestatività,
dell’esistenza e dell’appello dell’essere al quale è chiamato l’uomo. Ma allo
stesso tempo emerge anche una nota linguistica perché l’appello dell’essere che
avviene nella dimensione della Lichtung coinvolge innanzitutto il mondo
linguistico dell’uomo. Inoltre, G. rimarca più volte la retrodatazione della
concettualizzazione della Lichtung: interpretata come riflessione sull’evento
originario del rapporto uomo-essere la Lichtung compare già nelle riflessioni
umanistiche, soprattutto in quelle che riguardano il linguaggio. L’idea di
Lichtung che Ortega y Gasset, il collega di corso di G. durante gli anni mitici
di Friburgo 221 faceva risalire al 1914222, in realtà è molto più antica per G.:
precede Heidegger e Ortega di secoli. Heidegger
e il problema dell’umanesimo, 20-21. 220 26. I corsivi sono nostri. 221 La filosofia
dell’umanesimo. Un problema epocale Ortega ha sempre rivendicato la priorità,
rispetto a Heidegger, di alcune intuizioni filosofiche fondamentali: Ci sono
appena uno o due concetti importanti di Heidegger che non siano preesistenti,
talvolta con un’anteriorità di tredici anni, nei miei libri , Ortega y Gasset,
Lettera a un tedesco (1932), in Goethe, tr. it. di A. Benvenuti, Medusa, Milano
2003, 15-48: 47, nota 2. I concetti sui quali Ortega, stando alla sua
autointerpretazione, si sarebbe espresso con anticipo rispetto ad Heidegger
sono quelli di essere, verità, cura e lingua. Per una analisi approfondita dei
concetti ora ricordati rimando a G. D’acunto, Ortega critico di Heidegger, 67-78,
in Studi interculturali , 1/2015 Trieste. Vorremmo richiamare all’attenzione i
passi orteghiani del 1914 in cui si dice sia prefigurato il concetto
heideggeriano di Lichtung, ! 78! Secondo il filosofo milanese,
infatti, il problema della radura risale alle riflessioni dell’umanesimo
italiano: già dagli inizi degli studi umanistici un secolo fa, con Burckhardt e
Voigt, fino a Cassirer, Gentile e Garin, gli studiosi hanno costantemente
individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi
valori immanenti. Questa interpretazione, largamente diffusa, è la ragione per
cui Heidegger si è insistentemente
impegnato in polemiche contro l’umanesimo, considerato alla stregua di un
ingenuo antropomorfismo. E tuttavia uno dei
reso con la metafora della radura nel bosco, e che esprime al contempo
l’idea di verità come αληθεια e non nascondimento. Ortega, già nel 1914,
affermava che: la verità è caratterizzata da una pura illuminazione subitanea
che possiede, però, solo nell’istante in cui viene scoperta. Per questo il suo
nome greco, aletheia – che in origine ebbe lo stesso significato della parola
più tarda apocalipsis –, vuol dire scoperta, rivelazione, o meglio, svelamento,
toglimento di un velo , J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte e altri
saggi, tr. it. a cura di G. Cacciatore e M. L. Mollo, Guida, Napoli 2016, 68.
In Ortega, dunque, sarebbe presente quella metaforica presente anche in
Heidegger: la radura nel bosco (Lichtung), intesa come il luogo in cui si apre
lo spazio che lascia entrare la luce e la fa giocare con l’oscurità. Secondo
Ortega il bosco è una natura invisibile – per questo in tutte le lingue il suo
nome conserva un alone di mistero il
bosco sfugge allo sguardo il bosco è
sempre un po’ più in là del luogo in cui siamo
Ciò che del bosco si trova davanti a noi in modo immediato è solo un
pretesto affinché il resto rimanga nascosto e distante , 62-63. Vorremmo sottolineare come l’importanza
della metafora in Ortega non sia legata solo alla sua notevole capacità di
espressione letteraria, a quella volontà di stile mai disgiunta da una chiara
coscienza linguistica, ma abbia una radice filosofica molto forte nell’estetica
del pensatore. In Ortega y Gasset bisogna guardare tra le pieghe di testi quali
Renàn, Ensayo de estètica a manera de pròlogo, Las dos grandes metàforas, La
deshumanizaciòn dela rte per rintracciare un’analisi della metafora che
travalichi l’ambito pittorico e letterario e mostri una componente
filosofico-conoscitiva e una costante preoccupazione antropologica e non solo
estetico-ornamentale della metafora. Questa preoccupazione antropologica si
materializza come è noto nella bella immagine del naufrago a cui la cultura
viene in soccorso come una zattera : la vita è in se stessa e sempre un
naufragio. Naufragare non è affogare. Il povero essere umano, accorgendosi di
affogare negli abissi, agita le braccia per mantenersi a galla. Questo agitare
le braccia, con cui egli reagisce al suo smarrimento, è la cultura: un
movimento natatorio. Quando la cultura è soltanto questo, essa compie la sua
funzione e l’essere umano riemerge dal suo stesso abisso , J. Ortega y Gasset,
Goethe dal di dentro, in Meditazioni sulla felicità, tr. it., di C. Rocco e A.
Lozano Maneiro, Sugarco, Gallarate, 1994, 193. Spostandoci da una pragmatica
metaforica orteghiana ad una teoria
sulla metafora sarà possibile constatare
che il tema della metafora svolge una funzione fondamentale nell’economia del
pensiero orteghiano e umano in generale, poiché tenta di ancorare il linguaggio
alle radici che lo generano. Come leggiamo nelle pagine di La disumanizzazione
dell’arte ecco così un tropo di azione,
una metafora elementare anteriore all’immagine verbale e che si genera
nell’ansia di evitare o eludere la realtà.
Ecco l’elusione metaforica . J. Ortega y Gasset, La disumanizzazione
dell’arte, tr. it. di S. Battaglia, Sossella, Roma 2005, 45. Per il filosofo
spagnolo il logos stesso è un’operazione metaforica: il logos stesso è
un’espressione metaforica così, se
quanto diciamo non coincide esattamente con quanto pensiamo, si deve intendere
che perlomeno lo suggerisce. E tale dire che è suggerire è la metafora , J.
Ortega y Gasset, La disumanizzazione dell’arte, 46. , G. Cacciatore, Sulla
filosofia spagnola. Saggi e ricerche, Mulino, Bologna 2013 soprattutto il
saggio La zattera della cultura. Filosofia e crisi in Ortega y Gasset , 47-77;
G. Cacciatore-A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere. Prospettive
critiche sul pensiero di J. Ortega y Gasset, Moretti e Vitali, Bergamo 2012; F.
J. Martìn, Teoria del linguaggio e linguaggio ingegnoso in Ortega y Gasset, 313-327,
in F. Ratto-G. Patella (a cura di), Simbolo, metafora e linguaggio nella
elaborazione filosofico- scientifica e giuridico-politica, Sestante 2000; G.
D’Acunto, Ortega y Gasset: La metafora come parola esecutiva, 39-51, in Studi
interculturali , n. 2, 2014; F. Cambi, La pedagogia e la Bildung in Ortega, in
F. Cambi, A. Bugliani, A. Mariani, Ortega y Gasset e la Bildung. Studi critici,
Unicopli, Milano 2007, 13-66; G. Cacciatore-C. Cantillo (a cura di) Omaggio a
Ortega, Guida, Napoli 2016; mi permetto di rinviare al mio Un intellettuale di
vocazione. A proposito di La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul
pensiero di Ortega y Gasset, 230-243 in Studi interculturali , Trieste 2014; G.
Ferracuti, Il punto di vista crea il panorama: molteplicità di sguardi e
interpretazioni in Ortega y Gasset, 96-118, in Studi Interculturali , Trieste
2015. ! 79! problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo bensì la
questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono
l’uomo e il suo mondo 223. L’apertura originaria, definita altrove come
l’ursprünglich Rahmen224, al centro delle speculazioni umanistiche coinvolge i
temi del linguaggio, della correlazione tra cosa e pensiero. Oltre
all’approccio logico al nesso tra cosa e pensiero per G. abbiamo una tradizione
che si preoccupa del manifestarsi storico dell’ente attraverso il linguaggio,
dell’eventuarsi dell’essere in quel rapporto di co-estensione ineludibile di
essere-pensiero-linguaggio. Ma che cos’è il logos per G.? Può ridursi sic et
simpliciter all’ambito della razionalità, del concettuale, del deducibile? Si
tratta unicamente di una polarità irrimediabilmente antitetica al pathos? Ma
soprattutto in che relazione è l’idea di logos con quella di Lichtung? Come vedremo
nel prossimo capitolo in maniera più dettagliata occorre analizzare i
molteplici significati di logos offerti da G. e connetterli con le questioni
dell’apparire e della passione dell’originario per meglio comprendere il
significato della Lichtung nel pensiero del filosofo italiano al di là
dell’ipotesi dualista225. Vorremmo anticipare che nel saggio del 1936 Il problema
del logo il filosofo milanese sembra proporre un’idea di logos completamente
opposta alle tesi mature. Ma si tratta di una contraddizione solo apparente
come vedremo poiché l’idea di logos è inteso in maniera complessa. Ad apparire
problematiche sono le affermazioni del periodo a difficilmente compatibili con
quelle del periodo b. -! a: l’originario atto della differenza ontologica non è
la distinzione di enti precedentemente dati, bensì l’originario rendere
possibile la manifestazione di una molteplicità in cui concretamente ci si
trova e nella quale ci si delimita. Così il fondamentale carattere della
concretezza, cioè il trovarsi in mezzo ad una molteplicità G.,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, 26. 224 . , anche la versione tedesca
Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte abendländlichen Denkens, Athenäum,
Königstein, 1979, 240. 225 Parla di ipotesi dualista M. Marassi, G. e
l’esperienza del fine, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto G., 10.
Completamente opposto è il giudizio di Rita Messori che sostiene con fondamento
la coappartenenza di logos e pathos. , R. Messori, Le forme dell’apparire.
Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di G., soprattutto le 66-84.
! 80! è radicato nella differenza ontologica, col che si conferma la
nostra originaria tesi della precedenza del logo. La Stimmung, il sentimento,
si fonda dunque nella trascendenza, nella differenza ontologica. Il sentimento
non è un momento alogico o prelogico, bensì un particolare modo del leghein. -!
b: il termine retorico – che in G.
indica l’ambito di progettazione del pathos – assume un significato
essenzialmente nuovo; retorica non è, né può essere l’arte, la tecnica di una
persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce la base del
pensiero razionale227. Come conciliare allora il periodo a -! si conferma la
nostra originaria tesi della precedenza del logo il sentimento non è un momento alogico o
prelogico, bensì un particolare modo del leghein con il periodo b? -! retorica
è piuttosto il discorso che costituisce la base del pensiero razionale G.
stesso avverte durante tutto il suo iter di pensiero la necessità di una
ricomposizione di queste due vie del filosofare tanto che giunge ad affermare
che le analisi svolte sull’umanesimo sono da concepire come uno sforzo per
gettare un ponte tra logos e pathos228. A questo punto si impongono una serie
di osservazioni: G. non parla in maniera univoca di logos – così come non
parlerà in maniera univoca di retorica – anzi, individua due logoi differenti,
o meglio due forme di logos: una disgiunta dal pathos, l’altra radicata nel
pathos. Ed è proprio sull’opposizione tra un logo inteso secondo una modalità
logico-formale e un logo intrinsecamente legato alla dimensione patica che si
può comprendere il suo pensiero. Abbiamo un significato di logos da
interpretare come processo del manifestarsi, in cui si sperimenta un nuovo
rapporto di essere e nulla, un nuovo concetto di identità che non si fonda
sulla logica del pensato ma sulla logica del pensare, dell’atto G.., Il problema del logo, 403. I corsivi sono
nostri. 227 Retorica e filosofia, pubblicato in Philosophy and Rhetoric, IX,
1976, The Pennsylvania State University Press, ora in Vico e l’umanesimo, 97. I
corsivi sono nostri. 228 Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 170.
! 81! pensante, che porta a manifestazione. La lezione heideggeriana di
L’essenza del fondamento e di Che cos’è metafisica coniugata a quella
gentiliana della Logica è evidente. G. intuisce la convergenza tra l’atto
immanente di Gentile e la trascendenza del Dasein radicata nell’ontologia
dell’essere e forte di questo connubio è in grado di porre il vero problema che
potremmo definire autenticamente fenomenologico229. La questione che la
Lichtung e il nesso logos-pathos pongono in primo piano è quella
dell’individuazione delle vie di accesso all’originario, all’atto fondativo del
reale. Come poter dire e vedere l’inizio, il primo in cui accade la differenza
ontologica tra essere ed ente, tra il puro apparire e ciò che appare? Come
esperire la Lichtung, il coappartenersi di uomo-essere-linguaggio? Se da un
punto di vista teorico l’approccio al tema della Lichtung risulta connesso
strettamente ai temi della manifestatività e dell’essere, al nesso logos-pathos
(poiché l’analisi della Lichtung significa una analisi della manifestatività
dell’essere), da un punto di vista storico-filosofico una connessione molto
interessante risulta essere quella istituita d G. tra la Lichtung heideggeriana
e le luci vichiane. Si profila allora una questione ben più complessa della
secca alternativa tra logos e pathos. L’intima coappartenenza del momento
patico e di quello logico determina la forma della manifestatività. Il tema
dell’apparire su cui ci concentreremo nel terzo capitolo è fondamentale per G.
e mostra quanto la problematica della Lichtung (espressa in modo esplicito
negli anni della maturità), sia già presente nella produzione giovanile
riguardante i temi dell’essere, dell’apparire, della manifestatività e
dell’esperienza patica dell’originario. II. VII. Lichtung e lucus Come abbiamo
sottolineato in precedenza Heidegger rappresenta un punto di riferimento
centrale all’interno della prospettiva G.ana, sia per quanto riguarda il
valore della parola poetica Analizzeremo in modo approfondito questo aspetto
nel prossimo capitolo. ! 82! come linguaggio originario, sia per il
parallelismo istituito tra la Lichtung e le luci vichiane230. Contro
l’impostazione heideggeriana dell’umanismo come metafisica dell’ente uomo G. –
a sua volta con categorie ermeneutiche mutuate dal maestro – individua
un’anti-metafisica nelle riflessioni retoriche degli umanisti. In questo
percorso di riabilitazione del pensiero retorico231 latino Vico risulta essere
una tappa fondamentale. Leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo che
il problema della verità logica deve
essere sostituito dal problema molto più originario del disvelamento, dal
problema della schiarita (aletheia) nella quale primariamente appare ciò che è,
l’essente. Ciò assegna un nuovo compito alla filosofia: quello di sostenere il
primato e l’originarietà del linguaggio poetico rispetto al linguaggio
razionale; rammentiamo a questo proposito la spiegazione heideggeriana della
Lichtung. La tesi di Heidegger ci riporta a quel pensatore del XVIII secolo con
il quale la tradizione umanistica raggiunge la sua più profonda espressione e
significanza filosofica: VICO (si veda). In Potenza della fantasia. Per una
storia del pensiero occidentale, la questione dell’apparire, della fantasia,
del lavoro e della Lichtung è esplicitamente connessa con la figura dell’ultimo
umanista: Vico. G. pone il seguente
problema: quando, come e dove compare per Vico l’esistenza umana come una nuova
realtà rispetto alla natura biologica e vegetativa?233. La risposta è
individuata nella Lichtung. Il divenire uomo dell’uomo (e la conseguente
comparsa del mondo, del cosmo dal caos originario) è un processo che parte
dalla originaria estraneazione dell’uomo, intesa da G. come angoscia originaria
dello smarrirsi nella foresta primordiale234 e, passando per le varie tappe
storiche dello sviluppo antropologico, approda all’istituzione della comunità
umana mediante la parola. Questa più che configurarsi come rispecchiamento
dell’ente – in tal caso saremmo di fronte ad una teoria adeguativa della verità
e del linguaggio ad essa connesso , L.
Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, 447-470, in AA. VV., Scritti in
memoria di G., cit.; Lichtung: leggere Heidegger, it.; J. M. Sevilla,
Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problemàtica. Motivos en Vico y
Ortega, Espillaque, op., cit. 232 G., Heidegger e il problema dell’umanesimo, 35.
233 G., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, 251.
234 253. ! 83! – assurge ad
atto istitutivo del reale, del mondo umano, mostrando una virtù onto-poietica.
Nella libera decisione di far luce nella foresta primordiale per fondare il
primo luogo umano235 G. rintraccia l’autentica caratura onto-antropo-logica del
discorso vichiano. Infatti per G. la Scienza Nuova vichiana delinea il problema
del disvelamento in cui appare l’uomo e il suo mondo e solo secondariamente
affronta la questione della storicità e dell’antropologia. Soffermiamoci sul
confronto tra la dottrina heideggeriana della Lichtung e la teoria vichiana
delle luci. Nella Scienza Nuova appare la problematica principale del filosofo
napoletano: quella del disvelamento del modo in cui sorgono l’uomo e il suo
mondo attraverso l’interrelazione della parola poetica con lo spazio storico
che tramite l’atto linguistico stesso si istituisce. L’affermazione G.ana fa
perno sul passo vichiano della Scienza nuova in cui la teoria pre-heideggeriana
della Lichtung comparirebbe. In Vico e l’umanesimo il tema della Lichtung è
correlato a quello vichiano della schiarita della foresta primordiale236.
Mettere insieme Vico e Heidegger segnatamente al tema della Lichtung è per G.
un’operazione che ha come esito un esame della metafisica in generale e non
solo di una metafora, per quanto importante, della filosofia occidentale. Si
tratta di un aspetto di non secondaria importanza. Il gioco delle analogie tra
Vico e Heidegger che possiamo ricostruire – come di fatto è stato ricostruito
magistralmente da Amoroso237 –, per quanto interessante, rischia di rimanere
molto generico se non calato in un orizzonte teorico più ampio che fa
interagire i due autori sul terreno della metafisica. Conscio della grande
distanza che corre tra il tentativo vichiano di una riforma della metafisica e
di quello heideggeriano di un suo superamento, ma nondimeno consapevole della
contrapposizione di entrambi alla barbarie della riflessione e ai trionfi della
ratio, G. pone l’accento sul tema della Lichtung quale terreno di confronto tra
due autori che alla ritematizzazione di un rapporto
autentico-essere-uomo-linguaggio hanno dedicato gran parte delle proprie opere.
La metafora che 251. 236 Vico e l’umanesimo, 127. 237 , L.
Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, 447-470, in AA. VV., Studi in memoria
di G., parzialmente modificato in Nastri vichiani, ETS, Pisa G. eredita dal
maestro degli anni mitici di Friburgo, come abbiamo visto, declina la
dimensione della luce con quella dell’oscurità e la stessa coappartenenza viene
rintracciata in Vico. Ovviamente la metafisica della luce, che è a fondamento
della scienza nuova, va intesa nel senso di un neoplatonismo cristianizzato.
Nella metafisica del suo De Antiquissima Italorum sapientia Vico afferma che la
chiarezza del vero è come quella della luce. Qui la luce vale come metafora
della verità metafisica di Dio e delle sue idee, le forme che l’uomo può vedere
solo nel contrasto. Il vero metafisico è sommamente luminoso, non è racchiuso
da alcun limite, e pertanto non lo si discerne con nessuna forma: e ciò perché
è il principio infinito di tutte le forme, mentre le cose fisiche, opache, cioè
formate e finite, son quelle in cui vediamo la luce del vero metafisico238.
L’alternanza di luminosità e opacità va quindi letta nel senso di un
neoplatonismo cristianizzato e non come l’esempio di quell’impensato della
tradizione occidentale contraddistinta da quell’oblio dell’essere di sapore
heideggeriano. Perché dunque G. mette insieme Vico e Heidegger – che avrebbe
definito Vico un appartenente alla costituzione onto-teo-logica della
metafisica – su un tema che sembra segnare, invece, una distanza tra loro? La
risposta è nel linguaggio poetico. Per entrambi gli autori – l’uno attento alla
Provvidenza; l’altro al Geschick, quel destino che genera la storia, la
Geschichte; l’uno sensibile al ruolo fondativo della poesia; l’altro alla
valutazione del linguaggio poetico quale casa dell’essere – è significativo il
tema della intima co-appartenenza di luce e oscurità nella analisi della genealogia
del mondo umano. Secondo G. l’unico pensatore che avrebbe potuto aprire la comprensione per il
pensiero di Vico sarebbe stato Heidegger239 poiché la Lichtung heideggeriana è
molto affine al tema del lucus vichiano. Entrambe le nozioni rientrano in un
pensiero dell’origine storica del mondo dell’uomo che ha natura innanzitutto
linguistica e poetica. Come leggiamo nella Scienza Nuova le prime città, quali
tutte si fondarono in campi Vico, 84, La
metafisica del 1710, Introduzione, trad. commento di A. Corsano, Adriatica
Editrice Bari 1966. Si tenga conto della funzione del raggio di luce della
Dipintura che dall’occhio divino discende sulla figura femminile della
metafisica e si rifrange su Omero, simbolo della poesia e della scoperta dei
caratteri poetici, della sapienza poetica, la vera chiave maestra per intendere
la nuova scienza quella antropologia delle origini del mondo umano e civile. ,
L. Amoroso, VICO (si veda), Heidegger e la metafisica 115. 239 G., Vico e
l’umanesimo, 194. ! 85! colti, sursero con lo stare le famiglie
lunga età ben ritirate e nascoste tra’ sagri orrori de’ boschi religiosi, i
quali si truovano appo tutte le nazioni gentili antiche e, conl’idea comune a
tutte, si dissero dalle genti latine luci, ch’erano terre bruciate dentro il
chiuso de’ boschi240. Mosso dal convincimento di tale sorprendente convergenza
di temi G. sottolinea come la dimensione di apertura del lucus vichiano analoga
a quella della Lichtung heideggeriana mette in questione il tema dell’origine
della storia, del linguaggio, della poesia e del sacro. Il Vico di G.,
antropologo delle origini, avrebbe attribuito una centralità a quella
dimensione linguistica, che oggi è divenuta quasi un luogo comune241. La
ricerca antropologica che si diparte dalla analisi del contesto originario – la
Lichtung/lucus – coinvolge la trattazione delle problematiche linguistiche che
in Heidegger si modulano come riflessione sulla poesia e sull’etimologia e in
Vico come etnologia e filologia. La poesia vichiana secondo G. è una mitopoiesi
spontanea, nasce come risposta da parte dei primi uomini allo stato di
necessità in cui si trovano e con essa assistiamo alla genesi del linguaggio,
del mito, della religione, del diritto e della storia. La questione della
Lichtung accomuna non solo Vico e Heidegger242, ma diversi umanisti che si sono
interessati alla questione della radura, del contesto originario all’interno
della disamina del valore della parola poetica. Se la questione della Lichtung
aperta da Heidegger rimanda al problema dell’individuazione e dell’espressione
del contesto primordiale e del fenomeno originario dell’antropo-poiesi allora
la suggestione G.ana circa la possibilità di retrodatare la problematica della
Lichtung all’epoca umanistica non sembra tanto peregrina. Secondo G. con Vico
abbiamo un distacco dalla metafisica tradizionale razionalistica e la Scienza
Nuova viene a costituire non una nuova teoria della storia o una scienza
antropologica tout court ma la scienza del disvelamento originario nel quale
appare l’uomo243. Chi volesse interpretare G. B. Vico, La Scienza Nuova, a cura
di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano 2012, 795. 241 J. Trabant, La scienza
nuova dei segni antichi. La sematologia in Vico, Laterza, Roma-Bari 1996. 242
G., Vico e l’umanesimo il pensiero del napoletano come un’antropologia o una
riflessione sulla storia sbaglierebbe poiché il problema di Vico è quello del
campo in cui l’uomo appare244. La questione del contesto originario si declina
in Vico come ricerca arcaica del disvelamento della foresta primordiale che
altro non è che il problema del fondamento del mondo umano, identificato nei
principi universali ed eterni che soggiacciono al divenire della storia. Nel
passo vichiano prima ricordato il filosofo milanese individua numerosi punti di
contatto con la teoria heideggeriana della Lichtung: l’utilizzo del termine
luce; la spaesatezza e l’angoscia originaria dell’uomo primitivo; l’atto
pratico di umanizzazione della natura. In questo atto di disboscamento viene
collocato il punto di origine dell’umano e la fine del divagamento ferino
dentro la gran selva di questa terra245. Il passaggio dal ferino all’umano, la
transizione dall’uomo all’animale, mette in moto una potenza straordinaria che
viene interiorizzata dalle menti primitive – i bestioni – che in tal modo
umanizzati si avviano verso un percorso faticoso che va dalla barbarie agli
ordini civili. Il significato della luce vichiana è infatti innanzitutto
civile, politico e comunitario. Come sottolinea Carillo il lucus diventa in
Vico il primo locus, il primo luogo sottratto all’indeterminatezza dello spazio
originario246. Del termine vichiano luce G. mette in rilievo soprattutto la
valenza di interruzione nella frequenza della selva. Come possiamo leggere in
Vico, Marx e Heidegger nel terrore che coglie l’uomo, nell’esperienza della sua
alienazione dalla natura, questi crea e fonda il primo luogo umano nella
storicità, il regno della fantasia e dell’ingegno247. Nel bosco primordiale –
in cui si fa esperienza dell’alterità della natura – l’uomo crea il luogo della
storicità. Appare il tema del disvelamento e del disoccultamento come punto di
partenza per una Vico, Marx e Heidegger, in Vico e l’umanesimo, Vico, La
Scienza Nuova, 793. 246 G. Carillo, Vico. Origine e genealogia dell’ordine,
Editoriale scientifica, 2000, 284. 247 G., Vico, Marx e Heidegger, 173-191, in Vico
e l’umanesimo, 181. ! 87! ricerca dell’umanità delle origini che
non ha solo il significato di indagine archeologica-filologica ma il senso di
una ricerca fenomenologica sui presupposti del pensiero e sulla possibilità di
uscire dalla metafisica. Il nesso Vico-Heidegger tematizzato da G. pone in luce
che il concetto heideggeriano della schiarita, dell’apertura originale in cui
gli esseri appaiono coincideva con quello di Vico nella Scienza Nuova, in cui
appare sorprendentemente il termine luce, come apertura nella foresta
(schiarita nel bosco), il solo campo in cui gli esseri, la città, il tempio e
l’uomo nella sua umanità, possono apparire248. Proprio il riferimento al tema
dell’apparire e del disvelamento mostrano la valenza fenomenologica
dell’ipotesi interpretativa G.ana: il tema della Lichtung non è altro che la
metafora pretesto per dare avvio ad un’indagine sulle forme del rivelarsi e
dell’apparire della realtà. Al problema del reale, dell’apparire e della
manifestatività, su cui ci soffermeremo nel prossimo capitolo, egli dedica il
già citato Dell’apparire e dell’essere in cui la manifestatività si costituisce
non nella modalità della pura apparenza negativa, ma come luogo in cui l’uomo è
colpito dal reale, ne risulta affetto, ne patisce la presenza non in una
condizione di pura passività, bensì nell’ambito della sua capacità di
progettazione e umanizzazione. L’originario pensiero vichiano del lucus diviene
per G. un pensiero epocale poiché la tesi fondamentale di Vico è che la
metafisica non deve partire né da principi razionali né dal problema degli enti
ma dalla parola che svela la storicità umana249. L’epocalità della sua
filosofia risiede nel suo carattere anti-razionalistico e fenomenologico. Il
filosofo milanese afferma in VICO (si veda) filosofo epocale che la sua opera –
quella di Vico – è una vera fenomenologia, una descrizione di come a poco a
poco appaia (phainesthai) il reale umano250. Pur non analizzando le numerose
sfaccettature del termine lucus in Vico – luce civile; senso teologico del
termine; nesso lux-lucus (luce/oscurità); lucus-delucare; Latium/latere – G. si
177. 249 G. B. Vico filosofo epocale, 193-211,
in Vico e l’umanesimo Molto interessante risulta la ricostruzione etimologica
di Latium da litibula. Leggiamo in De Constantia philologiae donde il nome
Latium (Latium unde dictum)? I Romani custodirono queste altre vestigia di una
siffatta antichità. Dai ! 88! sofferma sul senso
ontologico-trascendentale del termine vichiano coniugando in maniera originale
i temi heideggeriani e vichiani in una prospettiva che vuole essere l’occasione
per un ripensamento della filosofia che riconosce la propria matrice fantastica,
ingegnosa, mitica, poetica. Si tratta di un pensiero che passa dalla metafisica
degli enti a quella dell’agire, della prassi umana252: per G. occorre partire
dalla tematizzazione delle necessitates come fonti naturali dei mondi umani.
Egli definisce l’ingegno – che non esclude mai il processo razionale – come
teoria che scopre ora e qui similitudini, connessioni, apre la premessa per un
processo razionale, che deduce dalla scoperta inventiva le conseguenze e quindi
costruisce un mondo253. L’ingenium è allora l’originaria capacità di vedere il
simile ed è la prima risposta a quelle necessità naturali alle quali l’uomo
deve far fronte nel faticoso percorso di sopravvivenza e di civilizzazione.
L’ingegno può essere comparato per la sua struttura dinamica e multifunzionale
a quel processo che gli attuali studi sull’apprendimento celati accoppiamenti
degli eroi, per cui essi andavano in cerca di nascondigli (latibula) che
offrivano i boschi venne la parola Lazio: perché di lì ebbe la sua prima
origine quella gente, G. B. Vico, Il diritto universale, in Opere giuridiche,
introd. Di N. Badaloni, a cura di Cristofolini, Sansoni, Firenze 1974, 524.
Un’altra connessione degna di nota è quella tra il termine lucus e l’occhio di
Polifemo. Leggiamo in Dissertazioni che i giganti come Polifemo che abitavano
in spelonche sulle montagne avevano un
occhio solo. Ciò fu inventato da lucus. Infatti per osservare nei boschi da
qualche parte il cielo al fine di prendere auspici, in qualche parte essi
diedero la luce ai boschi e così è vero quello che insegnano i filologi che
lucus è detto del luogo in cui non c’è luce; e tuttavia lucus fu chiamato così
da lux, ossia da quella parte dove c’era la luce, G. B. Vico, Dissertazioni, in
Opere giuridiche, 830. Per ulteriori approfondimenti sui diversi significati
etimologici del termine vichiano rimando a Gennaro Carillo in Vico. Origine e
genealogia dell’ordine, 284. L’autore sottolinea come in relazione al termine
lucus la valenza privilegiata è quella di bosco sacro. Tuttavia in Vico questa
valenza presuppone un lungo percorso disseminato, al solito, di suggestioni
etimologizzanti. Esito di lucere, emettere luce, o di lucesco, venire alla
luce, sorgere, il lucus vichiano è definibile come un’interruzione nella
frequenza della selva. Aprire un lucus equivale ad aprire una falla, uno
slargo, in un viluppo fittissimo che preclude la vista del cielo. É evidente il
senso teologico-civile di questo diradare la selva per poter contemplare,
attraverso uno spiraglio, il cielo onde interpretare i segni divini, ossia
trarne gli auspici. In questo modo il lucus diventa in Vico il primo locus, il
primo luogo sottratto all’indeterminatezza dello spazio originario nel De Costantia philologiae il nesso tra lucus
e lucere sortisce anche un effetto semantico opposto, denotando assenza di
chiarore e visibilità In quest’accezione
in cui la derivazione di lucus dalla luce si ottiene per antifrasi la sacertà
del bosco sacro deriva dal suo essere nascosto
di qui la possibilità di ricondurre il nome Latium alla latenza offerta
dai boschi sacri ai primi abitatori della regione nelle Dissertationes il lucus si combina alla
descrizione dei Ciclopi omerici l’occhio
dei Ciclopi non è che la trasfigurazione poetica del delucare lucos, del far
luce nel bosco diradandolo. 252 G. B. Vico filosofo epocale definiscono come
problem solving254: si parte da una condizione inizialmente critica: il
problema, la necessitas; si approntano strategie di risoluzione: la risposta
alle necessitates; si elabora un pensiero creativo che scalza la rigidità degli
schemi cognitivi classici e mette in moto la creatività: fantasia/ingegno come
facoltà intuitive e ricettive ma allo stesso tempo attive e creative. L’ingegno
– altrove inteso da G. nella sua identità con il nous aristotelico255 – ha come
suo primo prodotto il mito che, come vedremo nell’ultimo capitolo, costituisce
di volta in volta la storicità delle varie epoche256. Il mito nel suo carattere
sacrale e esemplare, come universale in funzione del quale si determina il
particolare sotto l’urgenza che segna il tempo257, non è inteso solo come
praxeos mimesis – racconto mitologico – ma come origine di un ordine
linguistico che non ha natura razionale: si tratta del linguaggio fantastico
che si condensa nella metafora. La struttura topica dell’ingenium,
vichianamente concepito come arte d’inventare, di trovare, di invenire258,
produce il mito e allo stesso tempo quella locuzione poetica che nasce da
necessità di natura. G. sostiene che se la poesia come attività ingegnosa è
originaria forma per adeguare le necessità naturali scoprendo similitudini, è
essa che trasforma il reale259. Emerge da questo passo la vis plastica del
logos che per G. non è astorico, razionale, ma sempre attento alle
circumstantiae storiche. Allora si comprende come tale logos include al suo
interno tutta una serie di elementi che non hanno mai trovato spazio
all’interno della filosofia. Come possiamo leggere in La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale: suoni, segni, atteggiamenti indicativi,
semantici, anche il tacere, acquistano Per un’analisi del problem solving il classico G. Polya, Come risolvere i
problemi di matematica. Logica ed euristica nel metodo matematico, Feltrinelli,
1983. 255 , Significare arcaico, cit. 256 G. B. Vico filosofo epocale, 199. 257
. 258 203. 259 206. Il corsivo è nostro. ! 90!
significato esclusivamente nell’originario ambito dell’abissale che ci
riguarda: fuori dell’appello tutto è silenzioso, indeterminato, oscuro come
nella selva senza schiarita, senza radura, senza il palcoscenico per la
storia260. Solo attraverso la prassi – sia essa linguistico-metaforica; mitico-
politica; pratico-poietica – sorge il mondo, l’Umwelt diviene Welt e si compie
quella Menschwerdung faticosa e incidentata che dall’indeterminato della ingens
sylva trae fuori spazi e tempi di determinazione. II. VIII- L’essere dalla
Gelassenheit all’Arbeit Proprio lo slittamento dalla passività all’attività
insita nell’esperienza umana dell’essere e del contesto originario – la
Lichtung – spinge G. a definire tale apprensione del reale non nei termini di
una Gelassenheit dal sapore heideggeriano, di un abbandono agli invii
dell’essere, ma in termini di Arbeit, di lavoro – come mediazione specifica
dell’umano dotata di scopo – e fondazione etico- politica della comunità
sociale261. All’atto linguistico per eccellenza – la prassi metaforica –
corrisponde dal punto di vista pratico l’atto pratico dell’umanizzazione del
reale che si realizza nel lavoro. Il doppio significato di lavoro (come prassi
e come fondazione politica) mette in luce il processo di umanizzazione del
reale attraverso la prassi lavorativa che si riversa anche nella istituzione
del linguaggio. Per il filosofo l’uomo dispiega la sua essenza nella formazione
(Bildung), nelle risposte umane, troppo umane alle urgenze patite del reale e
di un’oggettività individualmente esperita: conseguentemente l’affectio non
viene espulsa dal logos ma si immette nel processo del leghein. Egli affronta
il tema dell’Arbeit nel suo significato politico e poietico in maniera
esplicita confrontando le figure di Vico e Marx. La connessione tra Vico e Marx
si profila come analisi comparativa dei concetti di Arbeit e Phantasie. Si
chiede G. se le pratiche umanistiche di opposizione alla filosofia La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale, 197. 261 , S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di G.,
278-281; G. Petrovic, Marx, lavoro e abbandono. Lettera a Ernesto G., 127-157,
in Studi in memoria di G., cit. ! 91! aprioristica scolastica – con
la conseguente attenzione alla giurisprudenza, alla grammatica e alla retorica
– possano essere in definitiva considerate valide e concrete o ricadano
dell’astrattismo medievale: Tutti questi canoni, che gli umanisti oppongono
alla filosofia aprioristica della scolastica, soddisfano realmente la loro
pretesa di essere concreti? Qui è pertinente l’obiezione del marxismo. La
sorgente originaria del divenire umano si trova nella trasformazione originaria,
e perciò, nella umanizzazione della natura mediante il lavoro. La
giurisprudenza, il linguaggio, la retorica, sono concrete solo in quanto
manifestazioni della storia di classe la
storia del lavoro è la storia dell’evoluzione dell’uomo262. G. analizza
dettagliatamente l’idea del lavoro in Marx, esposta sia nel Capitale sia nei
Manoscritti economico-filosofici, sottolineando quattro aspetti importanti del
lavoro: 1-) il lavoro umano è distinto da quello degli animali poiché è
espressione di una volontà intenzionale e spezza la relazione di immediatezza
che secondo Marx l’animale ha rispetto al mondo circostante: la sua relazione
con ciò che produce è immediata263. Per Marx l’animale fa immediatamente uno
con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa stessa264. 2-) La
seconda definizione del lavoro consiste nel riconoscere che esso rappresenta il
superamento dell’immediatezza, attraverso l’attività creativa. Il processo del
lavoro è un passaggio da ciò che esiste ancora, ed è solo possibile, a ciò che
diviene realtà il lavoro come processo
di metabolismo significa l’appropriazione della natura a favore dell’uomo G.,
Marxismo, Umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, 69-94, in
Vico e l’umanesimo, 83. 263 ivi 84. 264 K. Marx-F- Engels, Opere, Editori
Riuniti, Roma 1976, Vol. III, 303 265 G., Vico e l’umanesimo, 84. !
92! 3-) Il lavoro è possibile solo se l’uomo è concepito come essere
libero: il lavoro può esistere solo a condizione che l’uomo sia libero. Bisogna
intendere la libertà come la facoltà di
trasformare la natura in nuovi sistemi di interrelazione non prefissati per
l’uomo266. 4-) Il lavoro ha una funzione sociale. Secondo G. l’importanza del
lavoro come fattore di umanizzazione e di distanziamento dall’orizzonte
dell’animalità è rintracciabile anche negli umanisti – come l’attenzione agli
ambiti della giurisprudenza, della filologia e della retorica testimoniano – e
in Vico, il cui problema della storia altro non è che il problema del lavoro e
della fantasia. Per il filosofo italiano il problema che ora sorge è: che cosa
Vico considera come la concreta radice del divenire umano? La risposta indica
due fattori principali e tra loro correlati: il lavoro e la fantasia267. Il
pensatore milanese analizza le figure di Ercole e Cadmo, entrambi simbolo della
fondazione della società umana, ricordate da Vico nella Scienza Nuova, e la
triplice funzione della fantasia: nella fantasia l’uomo sperimenta la propria
libertà ed esce dal chiuso mondo della foresta naturale268; attraverso la fantasia
l’uomo argina la paura e il terrore dell’Aperto e procede a costruirsi il
proprio ordine, o un adattamento della natura269 (infatti per il filosofo la
fantasia crea le prime analogie tra i fenomeni, e produce le prime connessioni
e definizioni); l’ultima funzione della fantasia è quella di dare un
significato al lavoro. La costituzione trivalente della fantasia consente di
concepire l’affinità e la distanza tra la critica di Marx all’apriorismo della
filosofia e la critica umanistica all’astrattismo medievale: da un lato emerge
una convergenza degli intenti decostruttivi di entrambi gli approcci,
dall’altro G. sottolinea come una teoria del lavoro priva di una teorizzazione
antropologica e filosofica dell’umano sia concettualmente monca e praticamente
inutilizzabile. Afferma G. che Marx considera il lavoro – come il superamento
dell’immediato impatto con la natura, come l’adattamento di essa – l’origine
della storia. Se però, tale adattamento nell’interesse dell’uomo differisce da
quello degli animali per il fatto che l’animale lavora solo per il proprio
nutrimento e la conservazione della specie, e in accordo con i suoi modelli
congeniti, allora il problema circa il significato dell’adattamento della
natura da parte dell’uomo non può essere risolto col dire semplicemente che
l’uomo è un essere che media e accomoda, né col riferimento alla sua attività
lavorativa, ma solo chiarendo e definendo lo scopo specifico di questa
mediazione. A meno che non ammettiamo l’urgenza di questo problema, ci troviamo
ridotti a dire che l’animale è un essere molto più alto dell’uomo270. In
quest’ultimo passo G. esprime l’idea secondo la quale se è vero che il lavoro è
il primo atto di umanizzazione ciò è possibile nella misura in cui non si
riduca il lavoro a semplice atto di mediazione – il metabolismo della natura,
il lavoro come fatica, ponos – ma lo si consideri come atto di mediazione
guidato da scopi – il lavoro come ergon, opera. Nel concetto di lavoro più che
della prassi lavorativa occorre tenere conto del telos che la sorregge: qui si
inserisce il discrimine tra uomo e animale. Secondo il filosofo il lavoro,
inteso come adattamento della natura, è solo un mezzo in vista di uno scopo, la
realizzazione umana del mondo in cui la fantasia rivela il suo ruolo fondativo
rispetto al lavoro stesso: solo grazie alla facoltà di visione delle
somiglianze è possibile trasformare ed umanizzare la natura implementando
ordini di realtà e progettando mondi dotati di senso. L’intima coappartenenze
della componente tecnica (lavoro come fatica) e di quella fondativa-civile
(lavoro come opera) risulta decisiva nella concezione G.ana del labor tutta
gravitante attorno al tema della produzione del mondo storico sociale e
dell’umanizzazione della natura: l’uomo, con il suo ingenium e la sua phantasia
per mezzo del labor – lavoro e fatica – determina il reale nel suo significato
umano facendolo assurgere ad opera; solo in tal modo il reale diventa storico,
si umanizza quale opera dell’ingegno271. Se, da un lato, allora, il presentarsi
della manifestatività rende affetto l’uomo, e, colpendolo, ne rivela la
componente di passività, il suo essere soggetto-a, tale che l’uomo non può non
patire, non può sottrarsi, dall’altro, l’uomo è quell’ente capace di
rispondere, di offrire una risposta attiva mediante il lavoro. Per G. infatti
ciò che ci circonda, l’oggettivo, la natura, l’essere appare solo nei limiti da
noi progettati – e tuttavia – è altrettanto vero che non dipende da noi come
essa appare: essa ha una propria oggettività. La constatazione di questa
oggettività è la risposta che la natura
dà entro i nostri diastema272. Entro i limiti della nostra progettazione, del
nostro lavoro, della nostra opera – che per G. non è un’operazione
soggettivistica e arbitraria, ma rispondente alle circum-stantiae di volta in
volta mutevoli, alle necessitates nelle quali è già da sempre immerso l’uomo –
significa entro i limiti dell’orizzonte della fantasia quale attività ordinatrice
della materia primordiale che per G. ci impedisce di trovare una qualsiasi
unità; essa è materia della facoltà ordinatrice del pensiero273. Il tema della
determinazione concreta del reale risulta strettamente intrecciata a quello del
lavoro umano nel suo significato ontologico trascendentale e a quello della
fantasia come attività originaria che scopre le relazioni sulla base della
visione delle somiglianze e non come attività che ci presenta qualcosa di
irreale275, come rappresentazione dell’irreale, come pura facoltà della
finzione, G., Politica e religione. La riscoperta della tradizione latina, 33-43,
in Archivio di filosofia, Padova 1978, 43. Le riflessioni G.ane sul lavoro
mostrano molti punti di contatto con la distinzione arendtiana tra lavoro come
ergon e come ponos presente in Vita activa. 272 L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività, Discorso letto alla seduta inaugurale del Congresso per il IV
Centenario della fondazione dell’Università di Lima, in Archivio di filosofia,
1952, 68. 273Id., Dell’apparire e dell’essere, 279. In relazione all’attività
ordinatrice della selva originaria G. in questo saggio parla di un’attività
fantastica in modo duplice: sia come facoltà sensibile – il significato
secondario – sia come attività del lasciar apparire – significato
ontologico-primario in cui si dà la coapparteneza di aisthesis e leghein. 274 Potenza
della fantasia, 190. 275 276. !
95! come capacità di mostrare qualcosa di fantastico276. In questo caso
essa è una ritenzione semplice che si fonda su una dimensione conservativa e
combinatoria delle immagini, senza avere come punto di riferimento il referente
reale delle immagini, ma la libertà e l’arbitrio soggettivo277. La fantasia
ontologicamente intesa, base del linguaggio poetico, insieme al lavoro è capace
di istituire il mondo storico. Per G. la trasformazione della natura, che
l’uomo realizza con lo scopo di liberarsi dai propri bisogni, nasce dunque
dall’attività fantastica ingegnosa278 che, insieme al senso comune, si ritrova
nella teoria vichiana del lavoro. Il filosofo asserisce in La priorità del
senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi che il
senso comune, secondo la definizione vichiana, ha lo scopo di fornire all’uomo
ciò che gli è utile e di cui ha bisogno279 e prosegue chiedendosi se e come
l’ingegno e la fantasia contribuiscano al senso comune e quale relazione esista
fra di loro280 visto che per Vico sono a fondamento dell’emergere del mondo
umano e dei suoi bisogni. L’atto di risposta umana ai bisogni originari è il
lavoro, catalizzatore del processo di civilizzazione come le fatiche di Ercole
ricordate nella Scienza Nuova esemplifica. Le fatiche di Ercole presuppongono
una interpretazione della natura come essa fu prima della sua umanizzazione,
cioè come realtà asservibile all’uomo e presuppongono anche una visione del
successo ottenibile con tale agire. Il lavoro quindi dev’essere concepito come
la funzione di conferire un significato e di far uso del medesimo, mai come
un’attività puramente meccanica o una trasformazione puramente tecnica della
natura, estranea al contesto generale delle funzioni umane 191. 277 , Ferraris, L’immaginazione, Il
Mulino, Bologna 1996. 278 G., Potenza della fantasia, 241. 279 La priorità del
senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, pubblicato
in Vico and Contemporary Thought, Humanities Oress, New Jersey 1976, ora in
Vico e l’umanesimo Il labor appare strutturato metaforicamente poiché è un atto
di trasposizione di significato al mondo circostante, la funzione mediante cui
i bisogni umani vengono soddisfatti282. La struttura metaforica operante
all’interno del linguaggio poetico secondo G. soggiace anche nel lavoro nel
quale si intrecciano il sensus communis – che non consiste, quindi, in un modo
di pensare popolare o comune283 – l’ingenium e la phantasia. La connotazione
storico- esistenziale284, più che etica o politica, del lavoro emerge laddove
si presta attenzione al labor come risposta ad un bisogno di decifrazione della
situazione umana e delle sue strutture di esistenza. Secondo l’interpretazione
del filosofo occorre ricostruire una storia pre-marxiana del lavoro attraversando
le tappe della filosofia umanistica. Si chiede il pensatore: è possibile
trovare nell’umanesimo italiano una teoria del lavoro come fonte della storia,
una teoria del lavoro che simultaneamente comprenda l’importanza filosofica
della giurisprudenza, della filologia e della retorica?285. Proprio questa
apertura disciplinare che contraddistingue la teoria del lavoro umanista
costituisce per G. la dimostrazione che il problema concernente il significato
del lavoro comporta una rinnovata giustificazione della filosofia, che in
qualità di meditatio de homini dignitate non può essere ridotta a semplice
sovrastruttura di una temporanea e storica struttura sociale286. Volendo trarre
una prima conclusione dalle osservazioni precedenti si può asserire che nella prospettiva
onto- antropo-logica di G. assume un ruolo centrale la relazione fondante
dell’Arbeit/labor nella lettura comparativa di Vico e Marx. Vico, Marx e gli
umanisti – ai quali si aggiungerà Heidegger qualche 51. 283
52. 284 Parla di connotazione etica del
lavoro in G. S. Limongelli in Il problema dell’umano, 277 e sgg. 285 Marxismo,
umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, pubblicato
originariamente in Giambattista Vico’s Science of Humanity, the John Hopkins
University Press, Baltimore (Maryland) 1976, ora in Vico e l’umanesimo, 85. 286
. ! 97! anno dopo287 –
concordano nella critica alla filosofia a priori e al pensiero teoretico
contemplativo: il problema vero della filosofia è quello delle origini del
divenire umano e, conseguentemente, della sua realtà storica288. La critica
all’impostazione metafisica del pensiero operata da Marx tuttavia per il
filosofo non riesce a superare lo schema del pensiero tradizionale. Leggiamo in
Vico, Marx e Heidegger che il rovesciamento della filosofia, che Marx riteneva
di aver compiuto con la sua critica di Hegel, non supera lo schema del pensiero
tradizionale , la sfera di un antropologismo289. Pur ritenendo fondamentale la
teoria dell’alienazione – che indica l’assenza di radici dell’uomo occidentale290
– per delineare una via di accesso autentica all’umano G. – sulla scia di
Heidegger –considera poco sostenibile l’identificazione di umanità e socialità
operata da Marx291. Tale identificazione avrebbe come conseguenza la riduzione
del materialismo a pensiero della tecnica292. E sappiamo che G. accoglie la
lezione heideggeriana per la quale la tecnica è estrema propaggine della
metafisica. Ma occorre andare oltre la barbarie della riflessione e qui
interviene Vico che di volta in volta supera, secondo G., i limiti delle
prospettive toriche degli autori – in questo caso Marx e Heidegger – in una
sintesi filosofica che coniuga giurisprudenza, poesia e retorica con le
tematiche del lavoro e della Lichtung. Asserisce il filosofo milanese che il
lavoro per Vico è un adattamento dell’impatto diretto e immediato con la
natura, un adattamento mediante il quale l’uomo esce dalla natura; e qui egli
sceglie le figure di Ercole e Cadmo come simboli di essa, Vico, Marx e
Heidegger, apparso in origine in Vico and Marx. Affinities and contrasts, Humanities Press, Atlantic
Highlands (New Jersey) 1983, ora in Vico e l’umanesimo, 173-191. 288 Marxismo, umanesimo e problema della fantasia
nelle opere di Vico, 92. Vico, Marx e
Heidegger, 190. 290 189. 291 190. 292 . 293 Marxismo, umanesimo e problema
della fantasia nelle opere di Vico, 86. ! 98! L’uso vichiano
dell’universale fantastico294 di Ercole – vera e propria tipologia
poetico-simbolica utilizzata ai fini della comprensione delle origini mitiche
della storia dell’umanità –, o meglio degli Ercoli295, è finalizzato alla
rappresentazione della faticosa impresa umana della costruzione della società
il cui mito, narrato nella Scienza nuova, non appare a G. come una concessione
al gusto antiquario della ricostruzione erudita dell’antichità ma come il
simbolo dell’assoggettamento della natura
che porta all’autoaffermazione dell’uomo296. Secondo G. Vico costruisce
la sua teoria dei generi e degli universali fantastici non mediante
l’astrazione, ma creando, secondo i suoi termini, i ritratti ideali, i
caratteri esemplari così il concetto
fantastico cristallizza un essere attraverso un atto dell’ingegno con una
visione diretta di una totalità pittorica. Esso rappresenta una figura
contemporaneamente esemplare e allegorica297. Tale logica della fantasia
fondata sui generi universali e fantastici assume il ruolo di primo
coordinamento delle idee che ha carattere arcaico, poiché è fondante rispetto
alla razionalità, e immediato, indicativo, semantico. Sullo sfondo degli
universali fantastici si staglia la figura di Ercole che ha non solo il ruolo
di carattere poetico ma quello di fondatore della comunità storica dell’uomo.
Come osserva lo studioso di Vico Giuseppe Cacciatore il ricorso vichiano al
genere fantastico aiuta, dunque, a comprendere quella costitutiva procedura del
pensiero che riduce a generi e a caratteri la molteplicità dispersa delle cose
naturali, Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, 53-70, in In
dialogo con Vico, 65. Recita la Degnità XLIX queste tre Degnità ne danno il
Principio de’ Caratteri Poetici; i quali costituiscono l’essenza delle Favole:
e la prima dimostra la natural’inclinazione del volgo di fingerle, e fingerle
con decoro: la seconda dimostra, ch’i primi uomini, come fanciulli del
Gener’umano, non essendo capaci di formar’ i generi intelligibili delle cose,
ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi, o
universali fantastici da ridurvi, come a certi Modelli, o pure ritratti ideali
tutte le spezie particolari a ciascun suo genere simiglianti, in Sn 44, in G.
B. Vico, la Scienza Nuova, 872. 295 Vico, infatti, nella sua ricostruzione
della complessa trama della cronologia dela storia universale menziona gli
Ercoli, i Bacchi, i Sesostri quali prototipi dei fondatori delle città che
hanno avuto sempre un eroe nella loro genesi. Afferma Vico in SN ’44 che questa
stessa Degnità con l’antecedente, che ne danno prima tanti Giovi, dappoi tanti
Ercoli tralle Nazioni Gentili, oltrechè ne dimostrano, che non si poterono
fondare senza religione, né ingrandire senza virtù: essendono elle ne’ lor’
incominciamenti selvagge, e chiuse, Sn 44, 871, Degnità XLIII. sul tema dell’Oriente in Vico le
condivisibili osservazioni di G. Cacciatore esposte in Il posto dell’oriente
nel pensiero di Vico, 169-178, in In dialogo con Vico, cit. 296 G., Marxismo,
umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, 86. 297 La priorità
del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, 54.
! 99! Ercole effettua la trasformazione della natura piegandola
attraverso il lavoro – l’uccisione del leone nemeo – al mondo umano.
L’uccisione del leone nemeo – simbolo della ingens sylva primordiale nella
quale l’uomo erra nel terrore dell’aperto – simboleggia il primo atto di
fondazione della civiltà. Lo stesso Vico nella Spiegazione della Dipintura
afferma che questa scienza ne’ suoi Principj contempla primieramente
Ercole il quale si truova essere stato
il carattere degli Eroi politici298. Attraverso la lettura del mito di Ercole G.
rintraccia in Vico una prima teorizzazione del tema del lavoro nella sua
connessione con l’ingegno, la fantasia, e il senso comune, da un lato, e con il
concetto di Lichtung e con l’analisi delle strutture dell’esistenza umana,
dall’altro. Si chiede il pensatore: quando, come e dove compare per Vico
l’esistenza umana come una nuova realtà rispetto alla natura biologica e
vegetativa? Nella libera decisione di far luce nella foresta primordiale per
fondare il primo luogo umano299. Quale importanza G. annetta al ruolo, al
contempo storico e filosofico-speculativo, che svolge, nel complesso del suo
itinerario onto-antropolo-logico, la questione dell’origine dei processi
storici dell’umanità è testimoniato dalla collocazione del tema della Lichtung
– che accomuna Vico e Hiedegger – accanto a quello del lavoro – che vede fianco
a fianco Vico e Marx. Sostiene il filosofo in Vico e l’umanesimo che secondo
l’opinione di Vico, grazie alla radura aperta nella foresta originaria,
attraverso il lavoro, divengono possibili non solo lo spazio o il luogo umani,
ma anche la possibilità di computare il tempo300. Si intrecciano
indissolubilmente le questioni del disvelamento/Lichtung – la vera chiave
maestra della lettura G.ana degli umanisti – quella del lavoro nel suo
significato esistenziale e quella delle strutture dell’esistenza umana. Nella
prospettiva del pensatore milanese è attraverso il lavoro, l’atto di
umanizzazione della natura – il disboscamento G. Vico, Sn 44, 786. 299 G.,
Potenza della fantasia, 251. 300 . ! 100! della selva primordiale –
che si apre quello spazio-di-tempo in cui sorge la storia umana che ha origini
favolose dicibili solo attraverso un linguaggio poetico. Come è emerso dalle
precedenti riflessioni sulla rivalutazione dell’umanesimo a partire dal tema
della Lichtung, dell’ursprünglich Rahmen, a venire in primo piano è una densa
concettualizzazione dei temi dell’essere, dell’apparire e della
manifestatività, coniugati ad un’analisi delle strutture dell’esistenza umana.
Nelle considerazioni seguenti intendo richiamare l’attenzione sui concetti ora
ricordati focalizzandomi sulla costituzione onto-antropo-logica della
metafisica immanente o ontologia situazionale G.ana e sul nesso
essere-uomo-linguaggio su cui essa si costruisce. Secondo la nostra ipotesi di
ricerca G. enuncia importanti riflessioni sparse in diversi saggi che
contribuiscono a corroborare l’idea della presenza di un’analitica
dell’esistenza umana a fondamento delle ricerche svolte sui pensatori umanisti
– e non solo – all’interno del progetto di rivalutazione dell’umanesimo e di
critica alla filosofia intesa come scienza. La questione dell’umanesimo in G. è
analizzata da due punti di vista: storico e teoret ico. Egli afferma
l’esigenza di porre la questione dell’essenza della nostra umanità sia sul
terreno speculativo sia su quello storico in un saggio su Jaeger Il problema
filosofico del ritorno al pensiero antico. Secondo G. questa essenza della
natura umana è un problema filosofico e non esiste né può venire concepita come
qualcosa di dato. Ne viene che l’umanesimo può avere il suo fondamento solo nella rigorosa ricerca filosofica. Il
vero umanesimo deve essere oggi filosofia. Ciò vale non solo speculativamente,
ma anche storicamenteE. G., Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il
Don Chisciotte, Congedo Editore, Lecce Il problema filosofico del ritorno al
pensiero antico, 255-271, in I primi scritti, 258. ! 102! La
ricerca G.ana si configura, da un lato, come riflessione storica sull’umanesimo,
in cui la lettura dei testi degli umanisti ha l’aspetto di una
re-interpretazione filologico-speculativa di quel nucleo essenziale – la
Lichtung – venuto ad espressione consapevole con Heidegger. L’attenzione
accordata alla filologia, che per G. non si riduce a una mediazione delle opere
antiche303 ma è una scienza sperimentale, una meditazione sull’essenza
dell’uomo e sulla sua Bildung a partire dal problema della parola304, conduce
verso una dilatazione del periodo storico dell’umanesimo sia in direzione del
passato sia in direzione delle epoche successive. Entrano così a far parte
della tradizione umanistica anche gli autori della latinità quali Cicerone e
Quintiliano; quelli barocchi come Graciàn, Peregrini e Tesauro; Vico, Leopardi
e, in ultimo, lo stesso Heidegger, il quale ha concettualizzato in forma
teoretica densa ed esplicita il tema della connessione Da-sein/Sein. Dall’altro
lato, accanto alla lettura testuale, affiora un’indagine teoretica sui temi
dell’essere, dell’apparire e della manifestatività e sulle strutture d’essere
dell’uomo. Proprio su questi aspetti ci concentreremo maggiormente in questo
capitolo prendendo in considerazione due gruppi di saggi. La selezione di
questi saggi – tutti risalenti al periodo compreso tra gli anni Trenta e la
fine degli anni Cinquanta – è stata guidata dall’idea di una presenza nel
filosofo di un’attenzione alle strutture dell’esistenza umana, connesse alla
questione di quella che potremmo definire ontologia Il confronto con la filosofia tedesca in
Italia, in I primi scritti Per G. occorre distinguere una pseudo-filologia,
priva di pensiero, ridotta a sterile culto classicista della parola, e una
filologia autentica, che si connota come meditazione sull’uomo e sulla sua
formazione: come è noto, la tradizione filosofica italiana ha inizio proprio
con l’umanesimo e il rinascimento. Come ho già accennato altrove, il filosofare
italiano non comincia con il problema della verità o del sapere, ma con il
problema della parola in relazione al compito umanistico di mediare la parola
antica, gli scritti antichi, il mondo antico
ricordo solo che il compito umanistico della mediazione della parola
antica si realizzò essenzialmente su un piano estetico, letterario, ossia in
relazione alla scoperta e al rinnovato rapporto con i testi letterari antichi.
A ciò, però, si legava al contempo l’impegno di una formazione dell’uomo
tramite la parola, e con il problema della formazione si affrontava un problema
essenzialmente filosofico. Si stabilì che il significato delle parole che
troviamo in un testo non può essere dedotto dall’esperienza quotidiana o dal
nostro sapere, bensì dall’unità del testo
conformemente all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza
dell’uomo, così il formarsi in base alla parola non significava, come oggi per
lo più crediamo, praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo, 881. , anche Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica: Il processo interpretativo, prima di divenire il
metodo delle moderne scienze scienze naturali, era già da lungo tempo abituale
nell’ambito delle scienze dello spirito. Anche qui si dimostra che il
presupposto della formazione non è tanto la mediazione delle conoscenze, quanto
piuttosto lo sviluppo della capacità interpretativa. Nel dialogo interpretativo
con i testi tramandatici stabiliamo la relazione con la comunità umana del
passato e soltanto in questa e con questa relazione possiamo giungere al nostro
proprium, in quanto siamo esseri storici.] FENOMENOLOGIA SEMANTICA [cf. AUSTIN]
di G., in cui il tema dell’essere [GRICE, IZZING], identificato con quello
della manifestazione e delle forme dell’apparire, è indissolubilmente legato a
quello SEMANTICO, come campo dell’esperienza costrittiva dei principi indicato
nel fondamentale saggio SIGNIFICARE ARCAICO in cui è condensato tutto il valore
della proposta retorica G.ana. Solo partendo dall’analisi del contenuto
tematico di questi contributi è possibile una più profonda comprensione delle
indagini G.ane sull’Umanesimo e sul Rinascimento storici su cui la bibliografia
si è concentrata maggiormente. Del gruppo comprendente Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger, Dell’apparire e dell’essere, Il problema
del logo, Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, L’inizio del
pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario, Il reale
come passione e l’esperienza della filosofia, saranno selezionati i temi
dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, i quali mostrano la volontà
G.ana di recuperare un’esperienza dell’essere che non presupponga la preminenza
di una forma rispetto ad un’altra, e in particolar modo di un a priori
gnoseologico, ma che sia capace di restituire la complessità fenomenologica
delle forme dell’apparire. In questo tentativo G. coniuga il tema attualistico
gentiliano con l’estetica crociana e la teoria heideggeriana della differenza
ontologica,305 rielaborando tutto alla luce di una rivalutazione della
Stimmung, della Leidenschaft e dell’ambito estetico in generale non come esempio
di gnoseologia inferior o teoria dell’arte ma come fondamento dell’esperienza
della manifestatività dell’essere. Dell’altro gruppo fanno parte i seguenti
saggi: Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività, Apocalisse e storia, L’esperienza dell’assenza di mondo, Mito
e arte, Assenza di mondo. In quest’ultimo gruppo di articoli emergono alcuni
concetti fondamentali che trovano un’articolazione in una analitica Per una
ricostruzione dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane
nella filosofia di G. , Rita Messori, Le forme dell’apparire, soprattutto il
primo capitolo, Tra filosofia italiana e filosofia tedesca: l’emergere della
questione estetica, 23-61. , anche M. Marassi, Introduzione a G., I primi
scritti] esistenziale che mira a svelare le strutture esistenziali del mondo
del Da-sein306. Le osservazioni che seguono si focalizzeranno maggiormente sul
fondamento teorico – l’analitica dell’esistenza – che soggiace alla
rivalutazione di G. dell’umanesimo. Credo sia plausibile poter collocare la
riflessione G.ana sull’umanesimo sullo sfondo ontologico e fenomenologico dei
saggi giovanili dedicati ai concetti di apparire, essere, manifestatività e
delle idee connesse di disancoramento, angoscia, coscienza temporale
umanistica, oggettività, dismondanizzazione e assenza di mondo. Com’è noto, G.
mostra nella sua disamina degli pseudo-umanesimi una insofferenza nei confronti
delle letture storiografiche e teoretiche a lui coeve, a suo avviso gravate dal
pregiudizio idealistico ed hegeliano, rivendicando l’esigenza di una
collocazione del tema onto-antropo-logico sul terreno strettamente speculativo,
teoretico. Nella prospettiva del filosofo il termine umanesimo è diventato più
che mai polisenso. Si parla di un umanesimo da un punto di vista storico, si
parla di un umanesimo da un punto di vista filosofico, si parla di un umanesimo
da un punto di vista politico sia dunque
ben chiaro che ogni affermazione umanistica è un problema anzitutto filosofico
e non storico: si tratta dunque di delimitare una concezione speculativa
dell’uomo che prenda chiara posizione di fronte ai differenti motivi
speculativi nei quali si rispecchia la nostra attuale coscienza filosofica. Che
significato speculativo può oggi avere un umanesimo?307. Indagare questo
significato speculativo dell’umano, al di là della polisemia che
inevitabilmente lo connota, per G. significa affrontare il problema della
reinterpretazione antitradizionale della filosofia umanistica nella convinzione
che la filosofia umanistica abbia costituito il fulcro e la svolta del pensiero
filosofico occidentale, la vera rivoluzione copernicana308. Il compito di
questo progetto neoumanistico che già dalla metà degli anni Venti emerge – a
partire dal saggio su Machiavelli analizzato in precedenza – per rifluire nelle
riflessioni filosofiche successive, si articola come ricerca dell’unità di
senso della realtà, come compito preliminare nel processo di determinazione di
una teoria dell’uomo che !E. G., Potenza della fantasia, 243! 307 Il tempo
umano. L’umanesimo contro la techne, 202-206. I corsivi sono nostri. 308 Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 261, Il rovesciamento della
filosofia, la rivoluzione copernicana, non ha avuto luogo né con Descartes né
con Kant, ma con l’Umanesimo italiano. Ma le conseguenze che derivano dalla
nuova valutazione della fantasia, dell’ingenium, della preminenza
dell’immagine, possono essere discusse solo sulla base di un’ulteriore ricerca
sull’essenza della tradizione umanistica italiana. ! ! mantenga
l’originaria integrità e unità delle sue strutture fondamentali. Negli stessi
anni in cui i maggiori esponenti dell’antropologia filosofica del Novecento –
Scheler309, Plessner310, Gehlen311 – Max
Scheler in La posizione dell’uomo nel cosmo esprime l’idea di uomo attraverso
una ricerca antropologica come scienza fondamentale dell’essenza e delle
strutture essenziali dell’uomo. Esplorare la dimensione umana e la sua
posizione nel cosmo comporta un confronto con le dimensioni della spiritualità
del conoscere, dell’amare, del volere. Per Scheler l’indagine sull’uomo della
nuova antropologia prende le mosse da ciò che è esterno all’uomo per poi indagare
e definire la sua essenza: è compito di un’antropologia filosofica mostrare
esattamente in che modo scaturiscano dalla struttura fondamentale dell’uomo,
tutti i monopoli, le funzioni e le opere specificamente umani: come la lingua,
la coscienza morale, lo strumento, l’arma, il concetto di giusto e ingiusto, lo
Stato, l’azione di guida, le funzioni espressive delle arti, il mito, la
religione, la scienza, la storicità, la socialità, M. Scheler, La posizione
dell’uomo nel cosmo, a cura di M. T. Pansera, Roma 1999, 186. Scheler analizza
l’impulso affettivo privo di coscienza, di sensazione e rappresentazione che è
presente nelle piante e nei gradi più bassi del mondo organico; l’istinto che è
un comportamento teleologico; la memoria associativa il cui fondamento è il
processo del riflesso condizionato, basato sul principio del successo e
dell’errore per cui l’animale compie movimenti di prova in maniera spontanea
ripetendo solo quelli utili; infine l’intelligenza pratica caratterizzante la
facoltà di libera scelta dell’uomo. Il fattore discriminante fondamentale tra
l’uomo e il resto del mondo è costituito dal concetto di spirito, il Geist che
rappresenta la possibilità dell’essere aperto al mondo da parte dell’uomo e lo
svincolarsi dal legame con quanto è organico: la caratteristica principale di
un essere spirituale consiste nella sua emancipazione esistenziale da ciò che è
organico, nella sua libertà, nella capacità che esso, o meglio il centro della
sua esistenza, ha di svincolarsi dal potere, dalla pressione, dal legame con
quanto è organico, dal legame con la vita
un essere spirituale non più legato alla tendenza e all’ambiente, ne è
libero, e perciò aperto al mondo.] Per Plessner occorre partire dal concetto di
vita che costituisce la parola chiave di un’intera epoca, H. Plessner, I gradi
dell’organico, a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino. All’interno
della impostazione plessneriana l’uomo è contraddistinto dalla sua posizione
eccentrica: l’eccentricità è la disposizione dell’uomo rispetto al mondo nei
confronti del quale si trova de-situato. Plessner, a conclusione di I gradi
dell’organico. Introduzione all’antropologia filosofica, passa in rassegna tre
leggi antropologiche fondamentali: la legge dell’artificialità naturale secondo
cui l’uomo non vive in modo rassicurante nel suo ambiente immediato ma in modo
artificiale, costruendo a partire da una natura una cultura; la legge
dell’immediatezza mediata secondo cui l’uomo si appropria di ciò che gli è dato
in precedenza in modo immediato attraverso forme di mediazioni quali
invenzioni, scoperte, conoscenze; la legge del luogo utopico che afferma che
l’uomo prende le distanze dall’immediatezza e volge il suo sguardo verso un
fondamento assoluto del mondo che in sé non ha alcun fondamento. Egli afferma
che la sua forma eccentrica spinge l’uomo al perfezionamento, stimola bisogni
che possono essere soddisfatti soltanto mediante un sistema di oggetti
artificiali e insieme imprime loro il marchio della caducità.] Gehlen si pone
sulla linea di ricerca scheleriana elaborando una idea di uomo nell’opera
L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, partendo dai risultati
multidisciplinari delle scienze positive. L’antropologia elementare gehleniana,
partendo dagli aspetti più semplici che accomunano l’essere umano all’animale
sottolinea allo stesso tempo la specificità dell’umano che consiste
paradossalmente nella sua indeterminatezza costitutiva: se gli altri viventi
sono contraddistinti da un indice di specializzazione alto come testimoniato
dallo sviluppo della percezione e dall’istinto l’uomo presenta una indigenza
che però stimola latenze di potenzialità più alte, superiori, che rendono
l’uomo autodeterminabile proprio perché indeterminato. Per Gehlen prima di
tutto l’uomo è l’essere determinato all’azione: l’azione sarà il tema chiave
per poter comprendere un essere che agisce sulla natura per trasformarla al
fine di assicurare la sua sopravvivenza. L’uomo è poi distinto dall’animale per
una serie di caratteristiche: la primitività del suo corredo organico e
istintuale; la sua incompiutezza; la sua non-specializzazione organica. Già
Herder aveva tracciato una distinzione tra l’uomo e l’animale che guardava
all’uomo come ad un essere biologicamente carente, un essere manchevole, un
essere privo persino di un ambiente proprio (Umwelt). Per Gehlen la deficienza
organica e le peculiarità organiche dell’uomo vanno perciò considerate alla
luce dell’idea cardine della non-specializzazione: primitivo è = non specializzato = originario,
o in senso ontogenetico (embrionale) o in quello filogenetico (arcaico). Per
specializzazione è da intendersi la perdita della pienezza delle possibilità
esistenti in un organo non specializzato, a vantaggio del grande sviluppo di
alcune di queste possibilità a spese di altre, , A. Gehlen, L’uomo. La sua
natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, Milano 2010, 127-128. Accettando il
paradigma interpretativo della carenza si pone il problema di coniugare questa
non specializzazione umana con il suo esser collocata all’interno di una catena
biologica evolutiva. La dotazione organica non specializzata dell’uomo e i suoi
primitivismi rendono problematica la sua esistenza che solo grazie all’azione e
alla costitutiva apertura al mondo continua e progredisce. Categoria
fondamentale all’interno ! 106! elaborano le note teorie sull’uomo,
G., forte della sua formazione culturale a metà strada tra filosofia italiana,
filosofia tedesca e francese, sente l’esigenza di indicare l’insufficienza sia
di un approccio scientifico all’uomo sia i limiti di una impostazione
speculativa classica mediata soprattutto dalle letture heideggeriane di cui
abbiamo già detto. Attraverso l’analisi delle teorie degli esponenti
dell’antropologia gehleniana è quella dell’esonero Entlastung che indica la
capacità umana di distaccarsi dagli oneri del mondo esterno. L’esonero
costituisce il primo atto per spezzare il cerchio dell’immediatezza e per
liberarsi dalla pressione dell’hic et nunc: l’uomo deve allontanarsi dalla
pressione dell’immediato interponendo tra lui e il mondo una distanza sempre
maggiore, solo in questo modo può trasformare l’Umwelt, l’ambiente, in un mondo
abitabile, la Welt. ! ! della biologia teoretica quali Driesch312,
Plessner313, Jacob Von Uexküll314 e Gehlen315, G. cerca di porre in luce gli
aspetti negativi che derivano dalla confusione del contributo delle scienze con
quello della filosofia316 . Accogliendo la critica crociana alla perdita di
autonomia del filosofo che [Driesch è un biologo e filosofo tedesco. Egli lavora
a NAPOLI presso la stazione zoologica e successivamente insegnò a Heidelberg
tra il 1909 e il 1920 Filosofia della natura, in seguito anche a Colonia e
Lipsia. È convinto assertore del vitalismo contro la teoria meccanicistica di
matrice darwiniana. Il suo pensiero è diretto verso la valorizzazione del
finalismo della natura e verso il riconoscimento dell’importanza
dell’entelechia, concetto ripreso da Aristotele, interpretata come principio
immanente superindividuale. Tra le opere più importanti ricordiamo Storia del
vitalismo, Filosofia dell’organismo, Corpo e anima, Il problema della libertà,
Metafisica. Di Driesch G. mette in luce il neo-vitalismo presente nelle
osservazioni sulla vita organica e l’importanza del concetto di entelechia
esposto da Driesch in Philosophie des Organischen. G., in Empirismo e
naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, sostiene che in molti
ambienti la filosofia rimane concepita sul fondamento delle scienze, cioè
sintesi e classificazione di fatti, ed è perciò stesso incapace di raggiungere
in questa forma un reale valore conoscitivo e metafisico. L’influenza di
concezioni simili si scorge oggi in tutta quella corrente speculativa della
filosofia tedesca contemporanea che ha vivo l’ideale empiristico di una scienza
naturale elaborata in filosofia, filosofia della natura, che in realtà non diventa
che un prospetto empirico di scienze naturali e di arbitrarie ipotesi
naturalistiche. Appartengono a questa corrente di idee Driesch, o zoologi come
Plessner – che con osservazioni scientifiche e biologiche tentano di
raggiungere una costruzione metafisica nella sua Philosophie des Organischen a
mezzo dell’analisi dello sviluppo delle forme dell’organismo e mettendo in luce
con osservazioni biologiche l’originalità della vita organica, egli giunge ad
una concezione neovitalistica. Le sue osservazioni biologiche, la sua teoria
dei sistemi equipotenziali, assumono un’importanza scientifica ed egli concluse
che accanto ai fattori fisici e chimici, per spiegare un organismo, è
necessario ammettere un nuovo fattore, che egli chiama entelechia, in I primi
scritti, 165- 166. , anche Linee di filosofia tedesca contemporanea, in I primi
scritti, 299-332, in particolare il primo paragrafo dedicato a Driesch, 299-305.
313 Di Plessner G. evidenzia i limiti strutturali che l’approccio scientifico
all’umano inevitabilmente porta con sé. Egli afferma che una concezione di una
filosofia fondata sulla scienza la troviamo anche in altri pensatori come
Plessner, scolaro di Driesch e originariamente zoologo, autore di Die Einheit
der Sinne. Grundlinien einer Aistesiologie des Geistes e più recentemente di un
altro volume Die Stufen des Organischen un der Mensch. Einleitung in die
philosophische Antropologie, volumi ai quali l’acuta raccolta di fatti e le
osservazioni scientifiche conferiscono pregio, ma che non raggiungono una
concezione speculativa. Una antropologia non diventa speculazione e
affermazione filosofica se non si nega ogni aspetto ontologico ai gradini della
realtà naturale, rifiutando di considerarli come assolute gerarchie del reale e
risolvendoli nella nuova affermazione della realtà come atto dello spirito, 168. In questo passo emerge la convinzione G.ana
– di evidente ascendenza gentiliana – del limite strutturale delle coeve
antropologie filosofiche che per diventare autentiche meditazioni sull’uomo
devono collocarsi su uno sfondo filosofico che indaghi la realtà a partire
dall’idea di atto e non di dato. 314 G. richiama l’attenzione sul concetto
uexkülliano di cerchio funzionale simbolico e fa riferimento alle sue teorie
sia nel saggio Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (cit., 205)
sia più diffusamente in La filosofia como obra humana, 1573-1578 in Actas del
Primer Congreso Nacional de Filosofia, Universidad Nacional de Cuyo, Buenos
Aires, , Tomo III; in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 62-66
e 151-152; infine in Retorica come filosofia. La tradizione umanistica. La
potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 67-69. G. sottolinea la
connessione istituita da Gehlen tra apertura di mondo e cultura. 316 Il
problema della metafisica immanente di M. Heidegger, In I primi scritti, 204. !
108! si è messo a servizio della scienza espressa in Logica317 G.
asserisce che la concezione bio- metafisica su cui l’empirismo si basa si
traveste oggi assumendo nuove forme in veste anti- positivistica318.
L’empirismo va messo da parte, così come gli altri modi di accedere all’umano
che la coeva filosofia tedesca aveva prodotto, poiché non supera gli schemi del
procedere naturalistico319 che si avviluppa in pseudo-concetti che sulle
generalità scientifiche vorrebbero fondare distinzioni filosofiche320. Il
riferimento polemico è alle correnti neokantiane, allo storicismo diltheyano,
alla fenomenologia husserliana321 incapaci di elevarsi a quella metafisica
esistenziale che solo Heidegger ha portato ad espressione. A questo punto
appare indispensabile soffermarsi, seppur brevemente, sulle figure di Dilthey e
Husserl, la cui conoscenza costituisce una tappa importante per la comprensione
dell’atteggiamento speculativo G.ano. In Il problema della metafisica immanente
di M. Heidegger G. mette insieme storicismo, fenomenologia, metafisica
esistenziale e attualismo. Egli afferma che il filosofo di Messkirch presenta
una speculazione metafisica originale, inverando il tentativo di due pensatori,
l’Husserl e il Dilthey, che alla fine del sec. XIX e al principio del XX
iniziarono il primo tentativo di liberazione dall’empirismo322. In che senso si
parla di inveramento delle filosofie di Dilthey e Husserl nella metafisica
immanente di Heidegger e come quest’ultima a sua volta radicalizza
l’attualismo323? B. Croce, Logica,
Laterza, Bari 1920, 264: perché quando non si tratta d’altro che di
classificare e di sistemare quei risultati, lo scienziato sente a ragione di
non aver bisogno del soccorso dei filosofi. 318!E. G., Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger, 205.! 319!. 320 . 321 sulla critica a neokantismo, storicismo e
fenomenologia gli articoli di indole informativa generale che seguono: Empirismo
e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, e Sviluppo e significato
della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, in I primi
scritti Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, 209. , anche le
pagine G.ane su Heidegger del saggio Was ist Existentialismus?, 75-124, in N.
Abbagnano, Philosophie des menschlichen Konflikts. Eine Einführung in den
Existentialismus, Rowohlt, Hamburg 1957, soprattutto 91-97 e 106-114. 323 Già
nel saggio del 1929 Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella
filosofia tedesca contemporanea (in Primi scritti, 181-202) G., sviluppando in
forma più articolata le poche battute su Heidegger contenute in Empirismo e
naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea (p. 174), afferma
quell’identità di problemi tra attualismo ! 109! La meditazione
diltheyana di G. si focalizza soprattutto sui concetti di Lebenzusammenhang, di
Weltanschauung e di psicologia324. Secondo il pensatore milanese Dilthey fu il
primo a intravedere il problema della realtà e della storia come problema della
realtà vivente, rivendicando l’importanza dei sui scritti speculativi e
tralasciando quella dei testi a carattere maggiormente storico325. In Empirismo
e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea (1929) leggiamo che il
problema dal quale muove Dilthey, quello della distinzione tra
Geisteswissenschaften e Naturwissenschaften, di scarsa importanza in sé rileva G.,
va ricondotto alla più generale operazione teoretica di ricerca intorno al
fondamento spirituale delle scienze dello spirito individuato in una scienza di
carattere psicologico. Gli elementi del mondo storico sono gli individui,
quindi lo studio di essi e la descrizione dei vari tipi di vita spirituale
diventa la base della comprensione storica
l’esame della struttura della vita dello spirito cerca di conquistare
nella molteplicità di situazioni coesistenti la sua caratteristica unità326. La
psicologia diltheyana per G. ha il merito di ricondurre ogni concreta realtà
storica alla concatenazione vitale dell’atto di coscienza in cui si realizza il
rapporto tra io e mondo. Tuttavia il e ontologia immanentistica heideggeriana
che in Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger del 1930 troverà
una articolazione teoretica più approfondita. Infatti, in Sviluppo e
significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea
leggiamo che Heidegger realizzò una delle più importanti speculazioni
metafisiche immanentistiche ed una delle più rigorose critiche del tentativo di
Husserl. L’interpretazione e o sviluppo attualistico del pensiero
fenomenologico assume un significato storico e teoretico tutto particolare, 198.
324 Per una analisi dettagliata di questi temi diltheyani rimando alle
osservazioni di G. Cacciatore in Scienza e filosofia in Dilthey, 2 Voll.,
Guida, Napoli 1976; Dilthey: connessione psichica e connessione storica, 211-223,
in Una logica per la psicologia, Il Poligrafo, Padova 2003; Vico e Dilthey. La
storia dell’esperienza umana come relazione fondante di conoscere e fare, 17-58,
In Storicismo problematico e metodo critico, Guida, Napoli 1993; , ivi anche Spirito
oggettivo e oggettivazione della vita: Dilthey e Hegel, 105-125; La tipologia
delle visioni del mondo tra critica storica della ragione ed essenza della
filosofia, 153-172; Il fondamento dell’intersoggettività tra Dilthey e Husserl,
249-287; Ortega y Gasset e Dilthey, 289-318; Vita e storia tra Zubiri e
Dilthey, 177-187, in Saggi di filosofia spagnola. Saggi e ricerche, Il Mulino,
Bologna 2013; Dilthey tra universalismo e relativismo, 213-230, in Dallo
storicismo allo storicismo, ETS, Pisa 2015. 325 Durante la sua vita i suoi
sforzi teoretici passarono quasi inosservati e anche dopo la sua morte,
avvenuta nel 1911, Dilthey rimase per alcuni anni completamente dimenticato
come filosofo, mentre i suoi lavori storici venivano molto apprezzati i primi suoi lavori sono tra i più notevoli
della storia e della filosofia dei suoi tempi: l’acutezza delle indagini, la
facoltà ricostruttiva di un’epoca o di una personalità danno ai suoi saggi
grandissimo valore e molti lo considerano come il più grande
Geistesgeschichtsschreiber dopo Hegel ma
l’importanza e l’interesse che Dilthey desta in seno alla filosofia tedesca –
per cui dobbiamo fermarci in modo particolare sulla sua figura – è dato non dai
suoi lavori storici, ma dai suoi scritti di carattere speculativo e polemico,
G., Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, passaggio
auspicato dal pensatore milanese da una teoria dell’atto di comprensione ad una
metafisica immanente rimane incompiuto nel filosofo tedesco che non giunse alla
chiara coscienza che una volta riconosciuto il tratto fondamentale del reale nell’atto
completo di comprensione, se ne coglie al tempo stesso il carattere assoluto
che impedisce ogni relativismo327. Così per il filosofo italiano Dilthey ricade
nell’astrattismo di una tipologia che prese il posto della filosofia328, la
quale riduce la fondamentale categoria della Lebenzusammenhang a forme
astratte, a classi e tipi e al relativismo329. Se le riflessioni su Dilthey
pongono in luce l’attenzione verso l’esistenza concreta e le strutture
psicologiche che soggiacciono alla costruzione del mondo storico umano, quelle
su Husserl mettono in risalto il tentativo di riconquistare il rigore alla
filosofia – il progetto di una filosofia come scienza rigorosa – un rigore
metodologico, che invera la psicologia fenomenale di F. Brentano330. In Linee
della filosofia tedesca contemporanea G. sostiene che la meta di Husserl fu la
conquista di un fondamento assoluto e universale su cui costruire con sicurezza
la ricerca filosofica egli scorse con
chiarezza l’impossibilità di fondare la filosofia sulle scienze331. Una critica
radicale in questo senso è costituita dalle Ricerche logiche che tentano di
raggiungere il concetto della logica, della filosofia come scienza a priori,
libera da ogni empirismo332. Per il filosofo milanese, Husserl individua il
fondamento del reale attraverso la riduzione fenomenologica, la quale,
sospendendo ogni 174. 328 . 329
sulla critica G.ana al concetto di tipologia anche, G., Linee della
filosofia tedesca contemporanea (1933), 299-332 in I primi scritti, soprattutto
le 307-311 e ivi Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, soprattutto
420-421. 330 , Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella
filosofia tedesca contemporanea, 181-202, in I primi scritti, 182. 331 Linee
della filosofia tedesca contemporanea, 313-314. 332 . ! 111!
giudizio di esistenza333 – epochè –, guadagna una certezza indubitabile: il
mondo della coscienza pura coi suoi vari momenti e significati . Non c’è più il
mondo dommaticamente affermato e poi la sua rappresentazione, ma solo
l’immediato essere del mondo come oggetto ideale della nostra coscienza334.
Questo mondo trascendentale è il Vorurteil, il quale condiziona ogni nostro
giudizio di esistenza e rende possibile quella scienza fenomenologica che
coniuga la ricerca sulle proposizioni formali della logica con i temi etici ed
estetici. Il cuore della fenomenologia è colto da G. nell’andare zu den Sachen
selbst tramite la Wesenschauung. Infatti, sempre in Linee della filosofia
tedesca contemporanea, il filosofo sottolinea come la fenomenologia non sia una
metafisica ma un metodo a mezzo del quale si isolano degli elementi assoluti,
trascendentali, coi quali ciascuno può e deve costruirsi con rigore scientifico
un concetto della realtà le essenze
logiche non possono venirci dimostrate, ma possono solo mostrarsi per se stesse
a mezzo della loro evidenza, chiarezza e distinzione, immediatezza ultima. La
fenomenologia non vuole essere una costruzione, ma semplicemente un esame
intuitivo, uno schauen dei concetti
coglie così l’essenza delle cose e pretende di andare direttamente zu
den Sachen selbst335. I concetti husserliani su cui egli si sofferma
maggiormente sono quelli di epochè, riduzione fenomenologica, Vorurteil,
evidenza336. L’analisi di questi temi, da un lato, sottolinea l’importanza e la
fecondità speculativa della fenomenologia husserliana – poiché seppe con
maggior forza contrapporsi all’empirismo e al naturalismo rispetto allo
storicismo diltheyano337 – ma, dall’altro,
G. riesce a cogliere in poche battute tutto il senso della riflessione
husserliana: se noi ci manteniamo in un fondamentale e metodico atteggiamento
critico rispetto al reale e cerchiamo di raggiungere un ultimo fondamento sul
quale non sia più possibile esercitare il nostro dubbio, (e che come tale
costituisce la base sicura su cui poggiare ogni altra affermazione o
costruzione), giungiamo al riconoscimento del carattere trascendentale,
assoluto, del pensiero in quanto puro pensato. Sospendendo ogni giudizio di
esistenza, (!)$+,), ci troviamo infatti di fronte ad un mondo di molteplici
significati ideali che hanno un senso solo in quanto sono dati così o così
nella nostra coscienza. Il mondo del pensato come pensato, dell’inteso come
inteso, è l’elemento ed il residuo ultimo su cui non si può più esercitare il
nostro dubbio, come già aveva intravisto Cartesio, . 334 315. 335 316 336 , V. Costa- E. Franzini- Spinicci, La
fenomenologia, Einaudi, Torino 2002. 337 La posizione di Husserl, come abbiamo
visto, è caratterizzata da una chiara coscienza delle necessità di pensare gli
universali nella loro purezza, sciogliendoli dalle contingenze sociali,
storiche, psicologiche. Sotto questo aspetto il suo getta luce sui
limiti intrinseci di ciò che G. definisce positivismo razionalistico. La
fenomenologia è un positivismo razionalistico poiché riduce il dato empirico al
suo significato logico razionale, sostituendo al dato di fatto dell’empirismo
il dato del mondo razionale338. Da qui la definizione di positivismo
razionalistico339. Sia Dilthey che Husserl – i maggiori esponenti della
filosofia tedesca coeva secondo G. – non hanno declinato queste ricerche in
direzione di una metafisica dell’essere come concreto sviluppo storico,
processo di autorealizzazione immanente340. Questo inveramento si ha con
Heidegger la cui originalità storica è ricondotta all’interno dell’orizzonte
metafisico e non solo fenomenologico. In Il problema della metafisica immanente
di M. Heidegger G. afferma che nel lavoro del pensatore di Messkirch
confluiscono così in un fecondo superamento gli sforzi di Husserl e Dilthey: la
medesima analisi del Dasein come fondamentale atto di rapporto e il suo
dettagliato sviluppo seguito piano per piano, attraverso le varie forme di
esistenza, non è che un riprendere il tentativo di Dilthey la ricerca del significato d’essere
attraverso la concreta analisi del Dasein è sufficiente a mostrare un nuovo
orientamento della sua fenomenologia341 che non ha una componente intuizionistica
– sia essa intesa come l’intuizione eidetica husserliana o nel senso generale
irrazionalistico e vitalistico –, ma si pone come ricerca della concreta
storicità dell’esistente: la fenomenologia diviene Hermeneutik der Faktizität.
Solo sulla base di un’analitica dell’esistenza è possibile porre la questione
ontologica e fenomenologica – dove per fenomenologia dobbiamo intendere
l’analisi di stampo hegeliano dei vari momenti e sviluppi della realtà storica.
G. afferma che il pensiero di Heidegger assume una particolare rilevanza per
quanto riguarda il problema metafisico mostrando una certa affinità con i
pensiero segnò un momento fondamentale in seno alla filosofia tedesca
contemporanea contrapponendosi con maggiore chiarezza di Dilthey all’empirismo
ed al naturalismo nelle sue più varie forme, G., Linee della filosofia tedesca
contemporanea, 323. , anche le pagine dedicate a Husserl in G., Was ist
Existentialismus?, soprattutto le 80-91. 338!Id., Linee della filosofia tedesca
contemporanea, 323.! 339 . 340Id., Il problema della metafisica immanente di M.
Heidegger, 209. 341 223. !
113! temi dell’attualismo. Il filosofo italiano sostiene in Il problema
della metafisica immanente che pur essendo nato da problemi e posizioni
speculative completamente lontane dalle premesse del pensiero immanentistico
italiano esso giunge a delle conclusioni che rivelano un’aspirazione
metafisica342. Il significato e l’importanza di quella originaria attualità
esistenziale – per cui l’essere si dà precedentemente a qualsiasi riflessione –
il suo superamento ed inveramento della logica astratta nella logica concreta,
e a sua volta la posizione che questa logica concreta ha in seno ad una
metafisica esistenziale 343 ha un’importanza tutta particolare per G. ed
implica una serie di problemi decisivi: proprio in relazione alla questione
della metafisica esistenziale comincia a delinearsi la precisa posizione di
Heidegger rispetto all’idealismo hegeliano e all’attualismo idealistico di
Gentile344. Sullo sfondo di quanto appena detto, possiamo comprendere come
nelle analisi G.ane degli anni Trenta siano molto vivi i temi dell’essere,
dell’apparire e della manifestatività, coniugati a quelli dell’evidenza del
fondamento e della ricerca delle strutture esistenziali umane che si modulano
come indagine sui rapporti tra la filosofia attualistica di Gentile e la
metafisica immanente di Heidegger. La coappartenenza di queste problematiche
mette in luce una triplice costituzione del pensiero G.ano: ontologica,
antropologica, logica. Come tenteremo di esporre nel corso della trattazione,
il pensiero di G. si configura come riflessione ontologica perché si muove
nell’orizzonte dell’essere e della ricerca del suo senso: l’essere è inteso
alla luce della differenza ontologica (concetto mutuato da Heidegger) come
manifestatività e allo stesso tempo trascendenza, per cui il piano ontologico
che si manifesta in quello ontico – l’ente come ciò che appare nella sua
differenza dall’essere – si sottrae all’orizzonte di pura luminosità
dell’apparire proprio nel suo differire. Attraverso la lezione heideggeriana G.
coniuga il problema 226-227. 343!.! 344 . ! 114! della
trascendenza, così vivo nella sua formazione iniziale, con quello
dell’immanenza presente nella fase gentiliana della sua riflessione. La
centralità di questi temi, in cui immanenza e trascendenza si co-appartengono,
permane anche nelle riflessioni sulla Lichtung caratterizzanti gli scritti
successivi, dove la Lichtung altro non è che la parola che dice del costitutivo
rimandare l’una all’altra di immanenza e trascendenza, di piano ontico e
ontologico. In Heidegger e il problema dell’umanesimo, ponendo una netta
demarcazione tra il proprio modo di intendere l’umanesimo e l’approccio
storiografico consolidato, il filosofo afferma che gli studiosi hanno
costantemente individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e
dei suoi valori immanenti e tuttavia uno
dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del
contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo
mondo345. Il problema fondamentale dell’umanesimo, che non va concepito come
una forma più o meno larvata di antropologia tout court, è la
problematizzazione del tema della Lichtung, ossia del tema del contesto
originario dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si declina come
ricerca delle strutture del mondo umano. In questa ricerca G.ana, accanto
all’attenzione all’ambito ontologico, lasciatogli in eredità da Heidegger,
ritroviamo una centralità della dimensione ontica – le concrete Lichtungen –
che dal suo maestro degli anni mitici sembra essere stata accantonata a favore
di una concentrazione più sugli aspetti di oblio dell’essere della filosofia
occidentale che non su quelli in cui l’essere si dà in maniera autentica: se in
Heidegger a dominare è l’idea dell’oblio dell’essere, in G. riscontriamo il
tentativo di ricostruire una storia dell’evento autentico dell’essere – da qui
l’indagine storico-filosofica sui temi umanistici. La riflessione di G. è poi
antropologica perché attenta all’orizzonte umano a partire dal quale si pone la
domanda sul senso dell’essere: l’universo linguistico e artistico del mondo
umano in cui accade la verità dell’essere. In Heidegger e il problema
dell’umanesimo leggiamo che l’analisi del Heidegger e il problema dell’umanesimo, 26. I
corsivi sono nostri. ! 115! contesto originario si declina
innanzitutto come ricerca linguistica: la cosa sorprendente, alla quale di
solito non si presta attenzione, è che questi problemi – contesto originario,
orizzonte, Lichtung – non sono trattati nel pensiero umanistico mediante un
confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in
termini di analisi e di interpretazione del linguaggio il problema del linguaggio solleva la questione
fondamentale del rapporto tra parola e oggetto, tra verbum e res. Oltre a ciò,
si fa strada l’idea che solo nella parola e a mezzo della parola (verbum) la
cosa (res) rivela il suo significato346. Con l’umanesimo, secondo il filosofo,
non ci si interroga più circa la verità logica e il rapporto logico tra cosa e
pensiero, ma a proposito del comparire storico della res a mezzo del verbum: la
questione fondamentale è quella di accedere ad un linguaggio che sia casa
dell’essere e non una sua prigione. G., infatti, distingue la cosa dall’ente,
pone la differenza tra res ed ens: se la metafisica tradizionale si interroga
sulla cosa ridotta ad ente – e per il pensatore occorre abbandonare l’idea di
una metafisica astratta degli enti – per cui l’unico linguaggio possibile per
enunciare i predicati dell’ente è quello del razionalismo che delimita l’ente
entro il perimetro logico dell’identità, la ricerca linguistica dell’umanesimo,
al contrario, è capace di restituire la ricchezza fenomenologica della cosa,
della res, del pragma, proprio attraverso un linguaggio che ne rispecchi le
infinite e variegate sfaccettature. Secondo l’interpretazione del filosofo
italiano non esistono cose separate dalle nostre azioni, dai nostri tentativi
di trattarle l’essere-in-sé delle cose
ci si manifesta solo nella e attraverso l’azione umana347. Occorre quindi
riconoscere che l’oggettività delle cose si rivela nell’azione, nella e con la
praxis348. Infatti, per il pensatore milanese, la forma sostantivata pragma
esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo manifestarsi come cosa
attraverso la praxis umana. Il senso classico dell’ontologia come logos intorno
all’on si tramuta in G. in ricerca dell’unità di logos e on, come discorso sul
nesso ontologico. La delucidazione del nesso logos-on o, per usare i
termini . I corsivi sono nostri. 347 Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, G.ani, della correlazione di
verbum e res, induce il filosofo ad approfondire i temi della retorica, della
metafora, della fantasia e dell’ingegno, i quali mettono in luce come
l’ontologia G.ana sia un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il
processo di manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi,
scorci, campi, forme dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico: poiché
il metapherein – la trasposizione – è la struttura stessa della nostra facoltà
di apprensione della realtà o, per usare un termine caro a G., del nostro
atteggiamento verso il reale. La metafora è l’espressione fluida e mobile del
reale poiché mentre dice rimanda ad altro e in questo modo esprime la perenne
metamorfosi dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli ultimi testi del
filosofo, ossia in Il dramma della metafora, la parola metaforica esprime a un
tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e
l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una
rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto349 in cui
possiamo cogliere il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la
traslazione del significato. La metafora è proprio questo: annotazione dei
segni indicativi350 provenienti dal colloquio con l’abissale che urge, che per
pochi istanti ci vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa
spiaggia senza significato, dalla quale
sale l’angoscia perché vivremo l’indeterminato351. Attraverso la metafora
godiamo la visione di una momentanea radura (Lichtung)352 che mette in campo
una riforma della filosofia non ridotta ad astratta ontologia, ma che riconosca
l’importanza dell’esperienza storica353. La riflessione sulla metafora è per G.
un modo di superare le falle dell’hòros, del concetto, che è incapace di dire
la natura temporale e metamorfica degli enti che si esprimono nei sempre
diversi significati vitali emergenti nello sforzo interpretativo o semantico.
Infatti, per il pensatore italiano l’interpretazione è possibile solo sulla
base di un’indicazione, da qui 349 Il
dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina
tipografica, Napoli la preminenza della semantica rispetto all’ermeneutica,
come emerge in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, su cui ci
soffermeremo nell’ultimo capitolo. Egli asserisce che l’indicazione (semainein)
precede, dunque, l’interpretazione (hermeneuein), poiché forma la cornice entro
la quale possono sorgere delle dimostrazioni354; essa è la condizione
trascendentale del linguaggio, quel fondo mitico che appartiene al mondo del
sacro e del religioso che non dimostra ma indica. Il linguaggio semantico è un
logos che ostende il fondamento e rompe quel silenzio primordiale delle cose
mute che ci circondano nell’Aperto della ingens sylva. Accanto a questo logos
semantico, che è contraddistinto da una chiarezza che non è il risultato di un
chiarimento355, abbiamo il logos ermeneutico, quello dell’interpretazione che
si fonda sul processo della dimostrazione. Ritornando al nesso
metafora-concetto G. afferma che a quest’ultimo spetta come compito quello di
afferrare, comprendere un fenomeno in riferimento al suo fondamento universale.
Il significato di hòros può essere colto nella sua portata originaria soltanto
mediante il verbo orìzo (determino) che sta alla base di questa parola, la cui
radice hor- è identica a quella di horào (io vedo): io vedo qualcosa nella luce
del fondamento. La definizione (horismòs) esprime in tal caso proprio questa
visione, ciò che è, ciò che esiste: in questo modo sfugge a essa per forza di
cose ciò che muta in se stesso, il singolo356, che è compito della retorica
autentica illuminare, in quanto scienza del particolare e dello storico.
Accanto ad una teoria della metafora, non più gioco letterario ma originaria,
prima forma dell’ingegno357, grazie alla quale è possibile porre la domanda
sull’origine della storicità umana, e dunque sull’essenza dell’uomo358, si affiancano
nella filosofia G.ana la fantasia e l’ingegno identificati con il nous
aristotelico interpretato alla stregua di unica espressione delle archai nel
loro 354Id., La potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, Potenza della fantasia. Per una storia del
pensiero occidentale, 222. 357Id., Significare arcaico, in Archivio di
filosofia, Roma Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero
occidentale, 202. ! 118! carattere palesante e immediatamente
indicativo359, profondamente influenzate dall’analisi heideggeriana della
Einbildungkraft kantiana come facoltà di darsi le vedute3. Del resto, sebbene G.
non citi nella sua analisi più sistematica della fantasia, ossia nel testo La
potenza della fantasia, la teoria kantiana della Einbildungskraft, egli
conosceva benissimo la lettura offerta da Heidegger della facoltà di
immaginazione kantiana, come emerge dalla citazione di Kant e il problema della
metafisica definito in uno dei primi saggi come il lavoro che più sembra atto
ad introdurre nel suo pensiero chi non ha famigliarità con la sua
terminologia361. Possiamo ipotizzare che il mancato riferimento alla teoria
kantiana da parte di G. sia dovuto a un’interpretazione del kantismo
sostanzialmente mediata dal filtro neokantiano su cui G. si sofferma a più
riprese soprattutto nei primi lavori stesi durante il soggiorno tedesco362. Tra
i neokantiani, dei quali non può che criticare l’impostazione matematizzante,
intellettualistica ed astratta, G. riconosce l’importanza di Cassirer che
ha il merito di essere il più importante
storico della filosofia che questa scuola abbia dato.363 Oltre al tema
linguistico, nell’analisi del mondo umano, emergono i concetti di
disancoramento e angoscia, dalla temporalità cairologica come struttura di
temporalizzazione fondamentale dell’esserci in cui i tre momenti del tempo si
co-appartengono e rendono possibile il raggiungimento del secondo livello di
oggettività: quello della coscienza temporale umanistica (l’oggettività di
primo livello è quella della physis in quanto diastema), in cui gioca un ruolo
fondamentale la decisione come espressione della storicità del mondo umano e
della sua formazione (Bildung), che in questo modo Significare arcaico, 494.
360 , M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma- Bari,
2004. 361 , G., Heidegger e il problema della metafisica immanente di M.
Heidegger, 209. 362 , le riflessioni sul ritorno a Kant contenute in Empirismo
e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, soprattutto 164-165; Linee
della filosofia tedesca contemporanea, 301-302. 363 165. ! 119! acquista un carattere
esistenziale. Infatti esistere significa sopportare la problematicità del
rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo, senza evitare la decisione
richiesta364. Sul terreno ontologico dinamico in cui il discorso sull’essere è
imprescindibile da un discorso sulle forme dell’apparire dell’essere –
fenomenologia – e sul suo senso nell’orizzonte umano di esistenza – semantica –
si comprende la critica G.ana alla struttura soggettocentrica e logicista della
filosofia. Per il filosofo si manifesta sempre la preminenza dell’urgere della
passionalità, in quanto continuamente affiora nell’ambito della contraddizione
logica dell’esperienza che l’essere non si rivela mai completamente nel
divenire degli istanti. È in questo divenire del metaforico traslarsi del reale
che viene passionalmente vissuta la contraddittorietà della logica astratta.
Questo ritmo arcaico del palesarsi e dell’occultarsi non cessa mai, è esso che
ordina – nei limiti di storiche, differenti radure – che appaiono in istanti –
i tumulti che incombono365. Solo attraverso un’esperienza originaria della
filosofia secondo il pensatore – esperienza preclusa alla logica astratta che è
solo un determinato atteggiamento filosofico e non l’unico – è possibile
erigere mura per difenderci dal vento del tempo che distrugge la stessa
temporalità366. La filosofia di G. tuttavia non va interpretata come una forma
illogica di irrazionalismo. Anzi ciò che, a nostro avviso, va sottolineato è il
valore logico della sua ricerca che tenta di proporre un concetto complesso di
logos che non esclude il pathos, ma che si rivela nella sua coappartenenza
costitutiva al pathos nell’orizzonte unitario del reale e della sua esperienza.
Sorretta da una simile struttura onto-antropo-logica, la ricerca G.ana mira a
sondare la legittimità di tutti quegli pseudo-umanesimi che credono di poter
dedurre secondo i canoni delle scienze naturali la realtà dell’uomo.367 La
messa in discussione dell’impostazione scientifico- naturale del problema
dell’uomo avviene attraverso alcuni concetti fondamentali: disancoramento e
oggettività, angoscia e nulla che, come vedremo, sono strettamente connessi a
quelli di logos, pathos 364Id., Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 73. 365Id., Il dramma della
metafora, 15. I corsivi sono nostri. 366 . 367 Heidegger e il problema della
metafisica, 203. ! 120! e manifestatività. Nelle analisi che
seguono, cercheremo di ridurre ai suoi nodi teoretici essenziali il tragitto
onto-antropo-logico del pensiero G.ano. III. II. Essere, apparire e
manifestatività tra logos e pathos. La fallacia dell’accusa di dualismo Secondo
G. è possibile fare esperienza dell’essere non solo attraverso il linguaggio
razionale ma soprattutto tramite la contraddizione. In La preminenza della
parola metaforica egli riprende il tema già affrontato in Heidegger e il
problema dell’umanesimo e analizza il problema dell’essere come fenomeno
linguistico e espressione della contraddizione originaria che caratterizza il
mondo. Egli sostiene che l’ambito dell’Essere – in funzione del quale parliamo
– non è quello della razionalità nel quale vige il principio di identità ed
esclusione della contraddittorietà: il suo ambito è quello della
contraddizione siamo dunque obbligati a
riconoscere che l’Essere preme, si impone, urge originariamente in un
linguaggio non logico368. Il campo in cui esperiamo l’essere come evento della
contraddizione, ossia come evento della differenza ontologica, non è quello di
una logica che espelle la contraddizione, ma quello di un logos che include
anche il pathos. Occorre soffermarci su quest’ultimo tema e farlo interagire
con quello del logos per mostrare la complessità di questi due concetti che non
attestano un presunto dualismo369 nel filosofo o una kehre370 tra un primo G.,
dominato dalla questione del logos in pieno clima 368Id., La preminenza della parola
metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Mucchi, Modena, 18. 369 Mi
riferisco alla posizione di Massimo Marassi del quale condivido
l’interpretazione complessiva del pensiero di G. e dal quale tuttavia mi
allontano a proposito del tema del presunto dualismo. Egli afferma in G. e
l’esperienza del fine che ancora nei primi scritti la conoscenza concettuale,
accanto a quella patetica, costituiva una forma particolare di ordinamento
della realtà che manteneva una dignità peculiare. È invece nell’ultima
produzione che emerge un’insistenza quasi ossessiva sulla preminenza del
pathos. Ma così, bisogna riconoscerlo, G. non tiene fede al tentativo di
superare il dualismo logos-pathos. In effetti egli avrebbe dovuto ricercare uno
sbocco unitario del problema, il solo capace di elidere le difficoltà del
dualismo. Invece è semplicemente passato dalla preminenza della concettualità a
quella del pathos, invertendo il segno del dualismo, ma restandone prigioniero,
M. Marassi, G. e l’esperienza del fine, 10. 370
la posizione di Limongelli secondo la quale il pensiero di G. va inteso
come un vitalismo o esistenzialismo o ontologia dell’agire storico situativo.
Pur accettando parte della ricostruzione del cammino di pensiero di G. –
soprattutto le sezioni che mettono in rilievo la presenza di Nietzsche e
Heidegger – non condividiamo la tesi secondo cui in G. è riscontrabile una
svolta. Scrive Limongelli in riferimento a Vom Vorrang des Logos che tale
scritto del G. ! 121! attualistico, e un secondo G., sensibile alla
tematica linguistico-retorica. Secondo la nostra analisi, che coniuga la
disamina storica delle opere G.ane con l’indagine teoretica sul tema onto-
antropo-logico, nel pensatore milanese il filo conduttore della ricerca si
identifica con l’analisi del mondo umano in tutte le sue manifestazioni. In
questo percorso l’esperienza filosofica, non ridotta a scienza concettuale, ma
vissuta ed esperita come metamorfosi esistenziale e impegno mondano, si
caratterizza come indagine fenomenologica sul come il reale e l’essere ci
appaiono nell’orizzonte umano del mondo storico. In questa ricerca più che il
dualismo a emergere è una volontà di ricomporre e non di riproporre quei
dualismi che la tradizione filosofica ha lasciato in eredità alla riflessione
novecentesca come problemi ineludibili: teoria e prassi, natura e spirito,
ragione e passione, immagine e concetto. Nella prospettiva G.ana se si parte
dal dualismo di immagine e concetto, è impossibile trovare successivamente un
ponte tra i due ora si tratta di
riconoscere una radice comune dell’attività fantastica, metaforica, e di quella
razionale – una radice che fonda in ultima analisi la realtà dell’individuo371.
La questione G.ana di delineare uno spazio espressivo per dire l’esperienza
dell’originario, del fondamento – la Lichtung – si concretizza nella ricerca di
un’unità complessa che salvaguarda il senso del reale senza chiuderlo nelle
morse della definizione. Proprio per questo non condividiamo la prospettiva di
coloro che leggono il pensiero di G. come un passaggio da una preminenza del
logos a una del pathos e, quindi, riconducibile sotto il segno del dualismo. La
questione uomo, intrecciandosi strettamente con quella dell’essere, non può che
collocarsi su uno sfondo fenomenologico in cui le forme dell’apparire dell’uomo
e del mondo sono indagate in una sostanziale unità, quella del reale372.
L’ipotesi che muove queste pagine guarda alla caratterizzazione rappresenta non solo il punto di svolta nel
suo pensiero, ma al tempo stesso si presenta come il manifesto teoretico del
suo progetto filosofico futuro, S. Limongelli, Il problema dell’umano nella
filosofia di G., 95. 371 G., Potenza della fantasia. Per una storia del
pensiero occidentale, 66. 372 Sottolinea con forza questo aspetto unitario e
non dualistico Rita Messori in Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e
umanesimo nel pensiero di G., cit. Afferma la studiosa che G. lega pensiero e
passione ! 122! complessa di logos e pathos in G.. Ma prima di
trattare di questo argomento è necessario soffermarci sul tema dell’essere e
della manifestatività seguendo le tappe del discorso G.ano al fine di mostrare
come nella teoria ontologica, che fa da sfondo a quella del logos e del pathos,
siano da rintracciare i motivi di una inconsistenza del presunto dualismo G.ano.
III. III. Essere e apparire Secondo l’interpretazione di G. l’essere si
converte con l’apparire, con la manifestatività, e non va identificato, come
accade nella prospettiva oggettivistica, con un dato. L’essere si dà solo e
unicamente come processo della manifestazione e per gradi di evidenza e forme
distinte. La necessità di riformulare la questione dell’essere è avvertita dal
pensatore a partire dagli anni di confronto con Gentile, al quale G. fa riferimento
già nel saggio La dialettica dell’amore (1924) in cui traspare una posizione
anti-immanentista che poco dopo sarà soppiantata dall’accoglimento della
filosofia di Gentile coniugata all’esistenzialismo heideggeriano. La dialettica
dell’amore insieme al saggio Il tragico, dell’anno precedente, pongono in luce,
da un lato, la centralità dei temi esistenziali del dolore e del tragico come
contrassegni dell’esistenza umana373 – centralità rifluita nei testi degli
ultimi anni come La metafora inaudita e Il dramma della con un duplice nodo:
ciò che fa essere il pensiero è una fondazione di tipo estetico; ciò che fa
essere l’estetico è il suo fondarsi nel logos. Tra logos e pathos vi è dunque
un rapporto di reciproca appartenenza, 66.
373 In questo saggio G. si autodefinisce ancora come oppositore
dell’immanentismo (E. G., La dialettica dell’amore, 89-128, in I primi scritti,
cit, 120) e tale opposizione viene collocata dal pensatore milanese proprio sul
terreno esistenziale. La questione del dolore in questo periodo ancora
anti-immanentista gioca allora un ruolo importante. Essa attesta da un lato
l’attenzione verso la dimensione concreta dell’esistenza che in G. emerge già
in questi anni attraverso le letture di autori quali Unamuno, Ibsen,
Shakespeare, Eschilo, Giobbe, dall’altro un primo confronto con l’immanentismo
avvertito ancora come distante dal proprio orizzonte speculativo. Afferma G. in
La dialettica dell’amore: Il dolore assurge a un’importanza senza pari, è esso
l’anima di tutto il divenire della Realtà in quanto ci permette questo essere
una personalità, ossia coscienti e coscienza, che è l’essenza della nostra
umanità in quanto in ciò si innesta la possibilità della libertà ora al moderno
pensiero immanentista che afferma la realtà, considerata come processo di
coscienza, risolve ogni antinomia ed irrazionalità, noi dobbiamo chiedere che
esso risolva anche il problema del dolore, 118-119. Il dolore si pone come nota
distintiva dell’orizzonte umano e come limite per ogni filosofia immanentista
attestando una trascendenza che ci sovrasta e che non può essere risolta
nell’autocoscienza come forma pura e sintesi delle opposizioni. !
123! metafora – tanto che G. giunge ad affermare che il dolore è in
realtà l’anima di tutta la dialettica del Reale374. Dall’altro, sottolineano il
legame ancora profondo di G. con il concetto di trascendenza, che andrà
dapprima sfumandosi con il saggio su Machiavelli per poi essere completamente
sostituito nei contributi successivi dall’emergere della questione
dell’immanenza. Il mutamento di prospettiva consumatosi in questo periodo –
caratterizzato dalla presenza delle idee di Chiocchetti, da un avvicinamento a
Croce, da un primo confronto con l’attualismo, che in questa fase appare, in
modo evidente, incapace di risolvere quelle questioni esistenziali già
ricordate e di garantire uno spazio di operatività del trascendente – è
evidente se raffrontiamo due passi G.ani scritti a distanza di pochi anni l’uno
dall’altro. Leggiamo in La dialettica dell’amore che se la realtà nella sua
immanenza è pura forma, fuori di essa non esiste più nulla e quindi è tutta,
l’unica realtà fuori dello spazio e del tempo di ogni concetto di limite perché
come pensiero attuale, concreto, pone esso stesso il tempo e lo spazio e il
limite, rimanendo esso l’unico illimitato375. In polemica con l’idea di
un’autocoscienza come pura forma (interpretata dal filosofo come la più grande
scoperta di tutta la filosofia d’immanenza di Giovanni Gentile) G. asserisce
poco dopo che in ogni modo ci teniamo però a definire e a dichiarare a tutti
gli oppositori del sistema immanentista del reale, e quindi a noi stessi, che
questo è proprio il punto di capitale importanza da discutere e da
controbattere, che esso proprio costituisce lo sbocco e l’affermazione alla
quale tutto il pensiero moderno doveva
per interna necessità logica giungere, posta la sua premessa376. Qui il
pensatore si pone in opposizione all’attualismo gentiliano, all’immanentismo e
alla riduzione della realtà alla forma pura dell’autocoscienza, sottolineando i
limiti di una teoria che risolva il dato empirico-individuale, come quello del
dolore e del tragico, nella trasparenza del pensiero che dissolve ogni
contraddizione. Nel novembre del 1928, appena quattro anni dopo le affermazioni
appena ricordate, egli asserisce in una lettera inviata all’amico ZUBIENA
(vedasi) che la sua posizione speculativa va senz’altro ricondotta nell’alveo
dell’attualismo italiano gentiliano coniugato all’ontologia di Heidegger, pur
riconoscendo il punto di partenza cattolico della propria formazione
filosofica. Scrive G. all’amico: Durante le mie peregrinazioni germaniche
nell’anno scorso ho trovato in M. Heidegger uno dei più interessanti pensatori
contemporanei il mio filosofare è
partito e parte da un desiderio di ripensare il pensiero cattolico, ma siccome
in campo filosofico non valgono le intenzioni ma solo la conquista realizzata,
non posso dare quello che oggi non ho ancora
la mia posizione attuale è il riconoscimento storico dell’attualismo
come la forma più coerente e matura del pensiero moderno. Attraverso lo studio
dei classici spero di giungere a nuovi orizzonti. Di qui ne consegue che anche
il mio lavoro sulla filosofia tedesca è animato da quel riconoscimento
dell’attualismo italiano e concretamente dall’ontologia immanentistica di
Heidegger. Eccoti riassunta la mia posizione377. Abbiamo posto l’attenzione su
questi due passi per far emergere un aspetto di non secondaria importanza per
una comprensione della questione onto-antropo-logica in G.. Durante gli anni
della formazione giovanile la questione ontologica è contraddistinta dalla
compresenza della componente della trascendenza, della realtà del dolore e del
tragico, dell’ontologia heideggeriana e dell’attualismo gentiliano in cui la
questione dell’essere, della Realtà, dell’apparire nella molteplicità delle
forme distinte si intreccia con la dimensione umana, troppo umana dell’esistenza,
tutta votata all’interpretazione del mondo circostante, all’elaborazione di
categorie ermeneutiche che strutturano lo stesso essere del Da-Sein. Si tratta
degli anni in cui il periodo di studio presso Husserl e Heidegger dà i suoi
frutti: il problema G.ano della coniugazione di immanenza e trascendenza si
incontra con quello fenomenologico (declinato in senso heideggeriano) nel
tentativo di guadagnare un concetto di a-priori non gravato dal teoreticismo.
Sebbene G. non si autodefinisca mai come fenomenologo, secondo la nostra
interpretazione dei saggi del primo gruppo su di lui agiscono non solo le
esplicitate fonti heideggeriane , l’epistolario raccolto da M. Simonetta in Un
inquieto scolaro di Gentile: Ernesto G. e gentiliane, ma anche la questione
fenomenologica husserliana letta attraverso la versione eretica heideggeriana
378 Di eresia heideggeriana in seno alla galassia fenomenologica parla Vincenzo
Costa in La fenomenologia, in cui si afferma che la storia del movimento
fenomenologico è senza dubbio segnata dalla rottura che si venne a creare tra
Husserl e Martin Heidegger all’apparizione di Essere e Tempo, 264. Nel corso del semestre estivo Prolegomeni
alla storia del concetto di tempo Heidegger passa in rassegna quelli che a suo
avviso sono i concetti fondamentali della corrente fenomenologica e che, a suo
dire, Husserl non avrebbe radicalizzato, rimanendo impigliato, nonostante
l’intenzionalità, nella dialettica di soggetto-oggetto. Il filosofo di
Messkirch sente, infatti, l’esigenza di una presa di distanza da quella
impostazione husserliana che egli vede come lacunosa. L’intenzionalità è una
struttura dei vissuti psichici e non una teoria della relazione tra psichico e
fisico, M. Heidegger, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, § 5-B, 44.
Il concetto di intenzionalità indica una relazione tra intentio e intentum, tra
l’atto e il contenuto intenzionale. Tale nozione non indica una relazione
intenzionale tra un soggetto e un oggetto, ma tra una intentio e un intentum,
ossia tra un atto che si dirige verso e un ente nel come del suo essere inteso
o intenzionato. Tra loro, per Heidegger, non c’è iato, né diffrazione. Essi
sono distinti ma non eterogenei dal momento che sorgono da un’unica fonte.
L’individuazione di questa fonte unica e comune di atto noetico e contenuto
noematico è il luogo in cui Husserl e Heidegger separano i loro percorsi.
Abbiamo detto, infatti, che l’intenzionalità indica una relazione della
coscienza con qualcosa; la coscienza è sempre un dirigersi verso... su questo
punto Heidegger e il suo maestro Husserl concordano. Ma qual è la radice
dell’intenzionalità? Sappiamo dalle Idee che per il filosofo di Prossnitz
dall’epochè fenomenologica, ossia dalla riduzione, la coscienza risulta quale
residuo fenomenologico, come possiamo leggere al § 33: Se il mondo intero,
inclusi noi stessi con tutto il nostro cogitare, viene posto fuori circuito,
che cosa può ancora rimanere? la
coscienza in se stessa ha un suo essere proprio che non viene toccato nella sua
propria assoluta essenza dalla fenomenologica messa fuori circuito. Essa quindi
rimane come residuo fenomenologico, come una regione dell’essere per principio
peculiare, che può di fatto diventare il campo di una nuova scienza – della
fenomenologia, E. Husserl, Idee, § 33, 74-76. Da questo passo emerge con
chiarezza che attraverso l’epochè la coscienza emerge in tutta la sua
intenzionalità fungente, per riprendere un’espressione di Crisi,
un’intenzionalità che rende la soggettività trascendentale un’attività
costitutiva e funzionale. La coscienza indica la condizione di possibilità del
mondo e non un pezzo di esso. Per Husserl, secondo Heidegger, la coscienza,
l’essere immanente, dato in modo assoluto, è ciò in cui si sostituisce ogni
altro ente possibile, in cui esso è autenticamente ciò che è. Assoluto è
l’essere costitutivo. Ogni altro essere in quanto realtà è soltanto in
relazione alla coscienza, cioè relativo ad essa, M. Heidegger, Prolegomeni alla
storia del concetto di tempo Heidegger tenta di riguadagnare il terreno
dell’intenzionale tramite un’operazione opposta all’epochè husserliana e cioè
attraverso l’analisi del mondo come dimensione originaria di ogni possibile
intentio e intentum, di ogni loro possibile rapporto. Il mondo non è un
correlato di coscienza e l’intenzionalità mette in luce proprio questo. La
seconda scoperta fondamentale della fenomenologia è l’intuizione categoriale,
interpretata da Heidegger come il radicarsi dell’intenzionalità
nell’essere-nel-mondo. Essa consente di pensare la categoria come dato, come
oggetto in carne e ossa. Si afferma, infatti, al § 6 dei Prolegomeni che la
scoperta dell’intuizione categoriale è la prova, in primo luogo, che c’è un
semplice coglimento del categoriale, di quelle entità nell’ente che si
delineano tradizionalmente come categorie
in secondo luogo è soprattutto la prova che questo cogliere è investito
nella percezione quotidiana in ogni esperienza, 61. L’intuizione categoriale è presente, cioè,
in ogni percezione concreta; inoltre, quest’ultima non è sufficiente a mostrare
in che modo noi ci rapportiamo agli enti in quanto l’ente percepito si mostra
sempre soltanto in un determinato adombramento, 62. La percezione non è mai
adeguata a conoscere completamente l’ente, il quale si dà solo parzialmente. In
altri termini, l’intuizione categoriale permette di gettare luce sul dato,
attraverso la categoria, in un atto unico che ci permette di identificare un
oggetto. Infatti, le sensazioni non permettono all’ente di apparire nella sua
identità oggettuale, esso si presenta come oggetto unicamente tramite
un’eccedenza, costituita appunto dall’intuizione categoriale. É possibile
istituire un parallelo tra il senso dell’intuizione categoriale di cui si parla
nei Prolegomeni e quello dell’intuizione pura affrontata in Kant e il problema
della metafisica se si pensa al fatto che l’intuizione categoriale, come quella
pura, consentono quel darsi dell’oggetto che secondo Heidegger è reso possibile
dalla sintesi a-priori dell’immaginazione e che ritroveremo in G. nei termini
di fantasia e ingegno come modalità di apprensione del reale. La terza scoperta
fondamentale della fenomenologia è il concetto di a-priori. Rispetto
all’impostazione classica che lega l’a-priori alla sfera del soggetto la
fenomenologia – avverte Heidegger – ha mostrato che l’a-priori non è limitato
alla soggettività, 92-93, ma è un titolo
dell’essere. Esso non è solo qualcosa di immanente che appartiene primariamente
alla sfera del soggetto, , e nemmeno qualcosa di trascendente, che inerisce
specificamente alla realtà, . In quanto tale, l’a-priori diventa esibibile in
se stesso in una semplice intuizione, . Questa esibizione intuitiva
dell’a-priori, ossia l’intuizione categoriale/pura e la connessa intenzionalità
mettono in luce come il vero trascendens puro e semplice non sia il soggetto,
nè l’oggetto, ma la relazione stessa, l’intenzionalità che è possibile solo in
quella Lichtung che è il mondo. Sarebbe un’operazione forzata includere in seno
alla galassia fenomenologica, sia pure nella sua variante eterodossa, anche G.
Tuttavia ci pare doveroso sottolineare, al di là degli esiti e dei metodi di
ricerca certamente differenti, una comunanza di tematiche e di interessi di
innegabile evidenza: i temi della manifestatività, delle forme e dei gradi
dell’apparire, dell’immanenza e dell’evidenza, della critica all’obiettivismo.
Infatti, è in questo periodo fecondo che si impone il ripensamento del tema della
manifestatività nella sua identità con la questione ontologica. In Il problema
del logo si afferma che la ricerca della manifestatività si identifica con la
questione dell’essere: L’originario vero non può venire inteso come la
svelatezza di un oggetto, ma solo come quella di un processo; questo processo a
sua volta non si rivela che come un manifestarsi, un distinguere se stesso. Se
il processo di distinzione non fosse il primo, non sarebbe possibile passare
dal non manifesto a ciò che è manifesto
il processo deve quindi essere inteso come un auto-manifestarsi. É
importante notare che la nostra ricerca dell’essenza della svelatezza non ci
permette alcuna distinzione tra manifestazione ed essere379. In questo passo si
profila un’idea di essere come processo e automanifestazione lontana
dall’ontologia oggettivistica che riduce l’essere al dato. Comprendere l’essere
è possibile soltanto se lo si identifica con il processo di manifestazione.
L’originario, il fondamento a cui l’antropogenesi è indissolubilmente
correlata, si presenta non come dato ma come processo, atto della
manifestazione. Ciò comporta un’analisi ontologica che G. fa partire da una
messa in discussione del concetto oggettivistico dell’essere in quanto dato
inteso come presenzialità immediata. Se la ricerca del vero della prospettiva
empiristica si fonda su una riduzione dell’essere al dato, allora questa
concezione sottintende un’aporia che G. prontamente mette in evidenza:
l’empirismo rinvia all’immediata presenza quando deve legittimare la propria
verità. Soltanto dobbiamo domandarci se il fatto come tale, ci porga veramente
l’immediata presenza: ove ciò non avvenisse, ove l’immediata presenza non fosse
racchiusa nel fatto, quella verità, cui l’empirismo si richiama, sarebbe
proprio per esso irraggiungibile G., Il problema del logo, in I primi Scritti La
contraddittorietà del dato in qualità di immediata presenza mostra come
l’originario non possa mai darsi come un dato – poiché in questo caso sarebbe
qualcosa che è già diventato, realizzato – non indicando ciò che è diventato e
che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il divenire, il
manifestarsi, ciò che sta essendo. L’immediata presenza a cui l’empirismo si
richiama non può essere un fatto o un dato ma il divenire, il manifestarsi
poiché il presente, l’attuale, non può mai assumere la forma di un fatto, di
qualcosa che è solo in quanto diventato, finito. Il dato, il fatto presente,
nel senso naturalistico- empiristico è una contraddizione in sé, perché
vorrebbe affermare che qualcosa, che è già diventato, sia attualmente
presente l’essenza della presenzialità
immediata – che dovrebbe essere l’essenza della svelatezza empiristica – non è
dunque ciò che è diventato e che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì
il divenire, il manifestarsi381. Dalle tesi G.ane sull’essere emerge la
presenza di una teoria metafisica immanente dell’esistente, del Da-sein come
attualità concreta, che coglie l’essere attraverso una facoltà che è sia logica
che patica. Abbiamo visto che l’essere per G. non è più un dato empirico o un
concetto trascendente, ma è fondato nell’esistente come attualità,
autorealizzazione originaria e trascendentale, dove l’hic et nunc, il qui e
l’ora dell’autorealizzazione del Da-Sein, rivela la sua intrinseca storicità.
L’essere indica per G. ciò che sta essendo, quindi un divenire, un processo che
dice della dynamis insita nell’essere. Si tratta, quindi, di un’ontologia
dinamica e non statica, che comporta anche una riforma del sapere, del
linguaggio e del metodo. Pertanto afferma G. che il metodo per il conseguimento
del sapere non può più essere razionale, fondante, in quanto esso può essere
determinato soltanto sul fondamento della risposta alla domanda su come e
attraverso cosa viene originariamente esperito. Un tale pensiero non può più
essere formale, perché si tratta di questo, di rispondere all’appello
dell’essere che ci riguarda, cioè si tratta della domanda in quale
non-nascondimento (Unverborgenheit), in quale schiarita (Klärung) – (le luci,
le radure (Lichtungen) nel bosco di cui parla G. B. Vico) – l’ente – al quale
l’uomo appartiene – appare certamente Il colloquio come evento, tr. it. di R.
Messori, La Città del Sole, Napoli Al metodo statico della tradizione
filosofica tradizionale, quello che per G. mira alla definizione del concetto
che dice della cosa unicamente il suo essere ente e non la sua polisemia
costitutiva, il filosofo contrappone una via di ricerca, un metodo aporetico,
che pone in luce come la verità non sia la verità di un oggetto, sia esso empiristico
o razionalistico, ma quella di un processo. Su questo aspetto G. si sofferma
soprattutto in Il problema della metafisica platonica del 1932. Le meditazioni
platoniche G.ane sono dominate dai temi della verità, dell’essere, della
manifestatività e della pluralità delle forme, che qui trovano una prima
esplicazione sistematica correlata anche alla questione dell’umanesimo. Il tema
di Il problema della metafisica platonica è individuato da G. nell’ambito della
problematizzazione del concetto di forma. Il tema dell’eidos è coestensivo a
quello della ricerca del ti esti e si viene configurando secondo il filosofo
milanese come risposta da parte di Platone all’oggettivismo sofistico. La
ricerca sulla forma è in generale la ricerca dei modi della manifestazione del
reale come modi di determinabilità383. Scritto nel 1931, il testo è pubblicato
grazie a Benedetto Croce nel 1932 presso l’editore Laterza ed è dedicato a
Heidegger, il filosofo al quale G. si sentirà legato per tutta la sua esistenza
e che insieme a Gentile ha maggiormente influenzato il suo pensiero. In questo
testo G. analizza il dialogo platonico Menone in polemica con le
interpretazioni tradizionali che guardano a Platone come il rappresentante di
un astratto razionalismo. Egli si chiede se sia legittima una interpretazione
oggettivistico- razionalistica del pensiero platonico o se, invece, non si
debbano gettare le basi per un discorso su Platone partendo dalla teoria della
reminiscenza ed enucleando il significato teoretico del dialogo. Il filosofo
sostiene che lo scopo di Il problema della metafisica platonica è di porre solo
in discussione il problema della legittimità della tradizionale interpretazione
della metafisica platonica. Ricorre veramente Platone a un oggettivismo
razionalistico – che egli contrappone a quello empiristico della sofistica –
per fondare quella conoscenza oggettiva e certa, quella metafisica, la cui
possibilità negavano i sofisti? Non è forse lecito avere alcun dubbio riguardo l
problema della metafisica platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, 60. ! 129!
all’affermazione che egli come filosofo, ha cercato di superare
l’obiezione sofistica fondando una
teoria del sapere come reminiscenza?384. Il pensatore sottolinea l’attenzione
di Socrate verso l’anamnesi385 come tentativo di arginare la carica distruttiva
dell’ipotesi eristica di Menone, per il quale non è possibile indagare né ciò
che non si conosce, né ciò che si conosce, perché nel primo caso non si
saprebbe cosa cercare, mentre nel secondo la ricerca è inutile386, e legge la
tesi platonica attraverso un filtro attualistico-esistenziale. Scrive G. che se
il processo di reminiscenza non ha inizio, la verità non è affatto al di là del
processo di ricerca, ma coincide con esso. Ciò che noi chiamiamo verità, ciò
che si manifesta, è contenuto nel processo dell’atto filosofico, è anzi
quell’atto medesimo387. La verità non è al di là del percorso di ricerca, ma si
identifica con il suo stesso formarsi, con il processo; inoltre il tema del
vero si incrocia con quello dell’apparire, del manifestarsi mostrando come
entrambi – il vero e l’essere – non siano alcunché di trascendente, ma al
contrario si identifichino con il domandare stesso: il domandare, il ricercare
in cui si alternano in un ritmo incessante certezza e dubbio. L’oggettività del
vero e dell’essere trova il suo fondamento nel comune terreno del dialogo e non
in ciò che è esterno a noi. Se il determinarsi della realtà si realizza nel
logo, il dia-logo è la concreta forma della manifestazione dell’essere; in
questo caso nel dialogo la 8. 385 SOCR. Poiché dunque l’anima è immortale
ed è rinata più volte, e ha visto tutte le cose, sia quelle di qui sia quelle
dell’Ade, non c’è nulla che non abbia appreso. Perciò non deve meravigliare che
essa, sia sulla virtù sia sulle altre cose, possa ricordare ciò che conosceva
già prima. Dal momento che tutta quanta la natura è affine e che l’anima ha
appreso tutte quante le cose, nulla impedisce che, ricordandosi di una cosa
soltanto – ciò che gli uomini chiamano appunto apprendimento – riscopra tutte
le altre, sempre che si tratti di qualcuno coraggioso e che non desista dal
ricercare. Infatti ricercare e apprendere sono in generale reminiscenza,
Platone, Menone, a cura di F. Ferrari, Milano 2016, 81 c 8- d 6, 201-203. 386
MEN. Ma in quale modo cercherai, Socrate, ciò che non sai affatto che cosa è?
Quale delle cose che non conosci proporrai come oggetto della ricerca? E nel
caso in cui ti imbattessi veramente in essa, come farai a sapere che è proprio
quella che non conoscevi? SOCR. Capisco che cosa intendi dire, Menone. Bada che
stai richiamando l’argomento eristico in base al quale per l’uomo non è
possibile ricercare né ciò che conosce né ciò che non conosce: infatti non
cercherebbe ciò che conosce – perché lo conosce e non ha bisogno di una simile
ricerca –, e neppure cercherebbe ciò che non conosce – perché non saprebbe che
cosa dovrà cercare, G., Il problema della metafisica platonica
contesa, !"*-, diventa ed è essenzialmente ricerca388. Vorremmo
sottolineare – a sostegno della nostra ipotesi interpretativa che nega una
svolta retorica-patica di un secondo G. rispetto ad un primo G. dominato dal
problema del logos – che già in questo testo del 1932 la problematica retorica
appare centrale come discussione intorno al valore del dia-logo come metodo di
ricerca della verità in opposizione all’arte eristica e sofistica come forme
spurie di retorica389. Qui il pensatore mostra di aver fatto proprio il motto
platonico esposto nel Cratilo secondo cui la quintessenza dell’umano riposa
nella ricerca390, come possiamo leggere anche in un saggio del 1932, Il
problema filosofico del ritorno al pensiero antico, nel quale l’essenza di
ànthropos, fatta derivare dall’etimologia del termine, riposa proprio nello
sforzo interpretativo, nella fatica costante del pensare la realtà, il mondo
oggettivo. In tale sforzo, in tale compito, in tale impegno, risiede l’essenza
del neoumanesimo G.ano: Se con atteggiamento umanistico si intende un ritorno
alle radici della nostra umanità, e se questa non sta in una realtà storica
esteriore ma in noi, allora quel ritorno non può essere fecondo che portando
alla luce la nostra umanità nell’atto filosofico educato allo sforzo
interpretativo391. Ritornando al tema della funzione del dialogo e della sua
capacità di aprire l’ambito dell’oggettività e della determinazione possiamo
rilevare come in G. la determinatezza dell’oggetto da cui parte una domanda,
non è solo il fondamento della sua oggettività, ma anche il fondamento dell’oggettività
di un dialogo, e quel ti esti è l’unica base di una ricerca comune 87. 389
. 390 Questo nome, ànthropos, significa che, mentre gli altri animali sulle
cose che vedono non indagano nulla, non congetturano e non anathrèi (osservano
attentamente), l’ànthropos nel momento stesso che vede – e cioè òpope (ha
visto) – anathrèi e ragiona su ciò che òpope. Di qui perciò all’uomo, unico fra
gli animali, è stato dato correttamente nome ànthropos, in quanto anathròn hà
òpope (osserva attentamente ciò che ha visto), Platone, Cratilo, 399 c, tr. it.
a cura di F. Aronadio, Laterza, Roma- Bari 1996, 43. 391 G., Il problema
filosofico del ritorno al pensiero antico, Rivista di filosofia, Milano XXVIII,
aprile-giugno 1932, n. 2, 136-154 ora in I primi scritti, 271. Corsivo
nostro. ! 131! positiva392. La determinatezza della cosa si fonda
allora non nella cosa stessa, ma nella nostra ricerca che ha origine nell’atto
aporetico con il quale ha inizio il ricercare. L’aporia come ricerca
(.,/,μ&)393 ha fatto emergere la co-appartenenza dell’aporia con il tema
della visione dell’!*'$-. Secondo il pensatore milanese il punto di partenza
della ricerca è la situazione di dubbio in cui si trova colui che ricerca e
afferma che se la determinazione si dà attraverso l’attualità aporetica questa attualità aporetica, è il fondamento
delle determinazioni394. L’attualità aporetica, il dubbio, è il fondamento
reale della manifestazione, dell’essere ed è l’essenza di ogni possibilità di
discriminazione e comprensione395: qui risiede il valore
metafisico-esistenziale delle teorie platoniche, le quali non vanno
interpretate alla luce di un dualismo che fa capo alla dottrina dei due mondi
ma come metafisica della finitezza396. Viene in primo piano in questo testo
anche la centralità del tema del dialogo che, per G., non gioca solo il ruolo
di una forma espressiva tra le tante possibili, ma va a costituire la struttura
e l’architettura del pensiero platonico che è intrinsecamente aporetico. Anzi
solo come aporia il filosofare dispiega la sua essenza autentica: il filosofare
è nella sua essenza approfondire, essere capaci di domandare sempre più
radicalmente, il filosofare è essenzialmente una )!%*&, una fatica, e solo
in essa ci si conquista la realtà397. La fatica del ricercare non ha solo una
connotazione psicologica ma è l’elemento caratteristico e veramente intrinseco
alla struttura dell’atto speculativo Il problema della metafisica platonica In
funzione del chiedere si dà l’essere, la sua manifestazione e in quanto il
chiedere è sempre determinato, quest’essere che appare è sempre finito, e
l’affermazione metafisica che a suo riguardo si può fare, è l’affermazione
metafisica di un essere finito. Con questa finitezza dell’essere non s’intende
di fare né un’affermazione scettica o relativistica, né un’affermazione che
limiti la filosofia. In quanto l’essere – così come esso di dà – è sempre
finito, la metafisica è nella sua essenza, metafisica del finito La fecondità
teoretica dell’aporia platonica nell’iter di pensiero G.ano va di pari passo
con la sua costante critica alla concezione oggettivistica della filosofia che
caratterizza non solo lo scritto platonico del ’32, ma tutti i contributi che,
a partire dagli anni Trenta fino alla metà degli anni Quaranta, sono improntati
alla definizione di un’idea di logos complesso al di fuori dei cardini
dell’obiettivismo tradizionale e più aperto alla dimensione patica. In un testo
tardo, Il colloquio come evento, frutto degli incontri zurighesi a carattere
seminariale avvenuti a partire dal 1977 con colleghi appartenenti a diversi
settori disciplinari, emerge in modo esplicito il senso che la pluralità delle
forme espressive in generale e il dialeghesthai in particolare riveste per G..
I dialoghi platonici offrono l’occasione di pensare all’atto linguistico in
modo nuovo: nel dialogo si realizza un colloquio. Il filosofo è mosso dal
convincimento che occorre distinguere il dialogo dal colloquio, al fine di ritrovare
il senso autentico di un dialogo non ridotto a monologo scientifico: se alla
fin fine il dialogo scientifico si radica in un monologo, emerge la questione
circa il luogo in cui trova posto il colloquio. Quali sono l’essenza e la
struttura del colloquio? Noi distinguiamo ora il dialogo dal colloquio perché
abbiamo visto che il dialogo razionale viene condotto come un monologo, mentre
un colloquio presuppone una situazione storica come punto di partenza e come
misura400. Il concetto di situazione acquista per il filosofo un significato
prioritario poiché rappresenta la forma originaria in cui l’uomo agisce, pensa
e vive; e proprio il legame tra il dialogo-colloquio e la situazione mette in
luce il valore metafisico del dia-leghestai come de-limitarsi dell’essere
all’interno del domandare stesso. Si tratta di un evento semiotico in cui i
dialoganti, attraverso l’Erfahrung linguistica, esperiscono la possibilità che
sorge dal linguaggio in atto di accedere alla verità, ai recessi dell’essere,
attraverso l’esercizio della parola e del domandare. È l’atto del domandare
l’atto di nascita del filosofare, del tendere continuo al sapere nell’esercizio
vivo della domanda. , R. Messori, L’affettività del colloquio, in G., Il
colloquio come evento, e V. Mathieu, I temi di G. nei Colloqui Zurighesi, in
Studi in memoria di G., 305-314 e H. Schmale, Lo spirito dei colloqui di
Zurigo, , 315-323. 400 G., Il colloquio come evento, 61. Corsivo nostro. !
133! L’unico metodo per il filosofare nasce dall’aporia, dall’assenza
di certezze e nella insistenza nel ricercare da parte del dialogante che tenta
di arginare l’ambiguità del dire e il dinamismo intrinseco della realtà e
dell’essere nello spazio interumano di costruzione del senso. Il senso
autentico della metafisica immanente di G. emerge proprio nel dia-legesthai,
ossia nel dire attraverso il logos il divenire dell’essere, che grazie al logos
guadagna paradossalmente una permanenza: questo è il senso della riflessione
sulla metafora che è la modalità logica di portare ad espressione l’essere del
divenire. La metafora, pur non sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile
linguistico entro cui e a partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti, G.
afferma che la forma originaria del colloquio nella sua funzione storica è
metaforica.401 L’importanza della tesi di libera docenza del 1932 è emersa in
tutti i suoi aspetti teoretici fondamentali facendo venire in superficie temi
centrali in tutto il cammino di pensiero di G.. In questo testo l’essenza della
verità è ricondotta alla struttura del dialogo. G. tenta quell’accordo tra
apofansis e poiesis, tra manifestazione e creazione, tra enunciazione della
verità e la condizione che la rende possibile, tra verità e significatività
attraverso l’analisi della questione metodica da cui risulta un’idea di verità
extra-metodica: nel vero siamo già da sempre immersi poiché il vero è il
processo stesso della ricerca. La fecondità teoretica dell’aporia, che non è
una strada sbarrata per il pensiero ma l’unica percorribile, consente a G.
anche di pensare all’idea di un rinnovamento linguistico che può esserci solo
se si riconosce l’origine metaforica del linguaggio. La volontà di sottolineare
l’arcaicità della metafora come a priori del linguaggio, fondamento e Grund, fa
emergere come la metafora non sia intesa come tropo – o non solo come tropo,
parola – ma come energheia, atto traspositivo. La riflessione G.ana su metafora
e retorica, come vedremo nell’ultimo capitolo, è guidata proprio da questa idea
di una teoria dell’atto metaforico che agisce come trascendentale del
linguaggio. In Il problema della metafisica platonica il tema della
determinazione del ti esti, 71. ! 134! incrociandosi
inevitabilmente con quello della ',0(1*-, della manifestazione della realtà,
pone anche il tema della verità e del sapere. Se il vero non è mai un dato, ma
è raggiunto nel processo di ricerca, il sapere ad esso adeguato non sarà un
sapere concettuale che fossilizza e rende statico ogni elemento della ricerca,
ma un sapere noetico che, per G., è arcaico e indicativo. Qui risiede il valore
semantico dell’ontologia fenomenologica di G. che gravita intorno al concetto
di nous, sinonimo di ingegno e di fantasia. Il nous ha l’aspetto di una
intelligenza senziente o di una sensazione intelligente per dirla con Zubiri,
il quale, insieme a G. e Ortega, è uno degli allievi latini di Heidegger, come
ricorda G. in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale402. L’essere si
presenta originariamente non nella forma di essenza concettuale ma come atto,
in un’attualità che sta prima di ogni riflessione teoretica. L’essere come
oggetto di ulteriori atti di riflessione è, infatti, dipendente dall’attualità
del Da-Sein in cui l’essere si dà, si determina. La determinazione
ante-predicativa è resa possibile solo perché l’essere in qualche modo ci è già
manifesto prima di ogni possibile rapporto di predicazione. Tale
pre-intelligenza dell’essere è da intendersi come il logos originario che dice
non il factum – l’essere ridotto al datum – ma il fieri – il processo di
manifestazione. In questo discorso si inserisce anche il tema del nulla. La
funzione metafisica di nulla e angoscia G., in Il problema del logo, sostiene
che se la svelatezza dell’essere si chiude in un processo, allora esso deve contenere in sé il nulla e l’essere,
giacché ogni processo, ed anzitutto quello metafisico, realizza sempre un
passaggio dal nulla all’essere. Ne deriva che a loro volta i concetti del nulla
e dell’essere determinano il nostro concetto di processo403. L’importanza della
questione del nulla come co-fattore, insieme all’essere, nella La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale, 31. 403 Il problema del logo determinazione del divenire è centrale
nella definizione di un’idea di logos capace di dire il processo di
manifestazione. Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la
manifestazione va intesa come uno scindersi e distinguersi di sé, come deve
essere inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i
vari termini con cui traduciamo 0!#!*%, logo404. La centralità del logos, quale
modalità in cui l’essere accade in quanto processo, potrebbe essere confusa con
un’ennesima concessione alla logica tradizionale. Tuttavia G. distingue un
significato inautentico di logos da uno autentico come modalità di svelamento
dell’essere. Il logo come oggetto della logica tradizionale è il logo in quanto
pensato, oggettivato. Il logo non viene da essa studiato come un atto concreto,
come un auto-distinguersi realizzantesi, bensì come verità di giudizio in quanto il manifestare logico, come verità
di giudizio, si fonda in una verità più originaria, sorge la necessità e la
legittimità di distinguere due differenti concetti del manifestare: la verità
del giudizio (come verità logica nel senso tradizionale) e la svelatezza
originaria degli enti405. É precisamente in questa direzione che il filosofo
conduce la propria ricerca, collimante con la filosofia italiana a lui coeva e
il pensiero heideggeriano, con l’intento di guadagnare un concetto di logica al
di fuori dell’orizzonte obiettivante che riduce l’essere al dato, all’ob-jectum
senza riguardo verso il processo di manifestazione, verso quel divenire che è
passaggio dall’essere al nulla. Un logos adeguato all’espressione del divenire
è un logos che riesce a pensare il nulla senza oggettivarlo, quindi senza
cadere in contraddizione. La tradizione filosofica pensa il logos come 0$#$-
/*%$-, dove il /*%$- è un $% rispetto a cui il logos è adaequatio. Il problema
è quello di guadagnare un nuovo significato di logo, libero da ogni dialettica
formale406 che riesca a relazionarsi al nulla e a farlo oggetto di domanda e di
esperienza. Si chiede G.: in che rapporto stanno il Nulla e l’Essere? L’Essere
sorge dal nulla? Ma in che modo è il nulla? Si può dire senza contraddizione
che il Nulla sia?L’importanza del nihil all’interno dell’indagine ontologica è
direttamente conseguente all’assimilazione del processo di manifestazione
all’auto-distinzione, dove lo svelamento contiene in sé già l’essere e il
nulla, la possibilità di mostrarsi ed occultarsi, come quella dell’errore e
della verità. Ora se la logica tradizionale rifiuta ogni tipo di trattazione
scientifica del nulla per i motivi già espressi dobbiamo cercare un altro modo
in cui il nulla si manifesta. Una simile ricerca consente anche di porre la
questione dell’essere al di fuori del circuito oggettivistico – sia esso
empiristico o razionalistico – e secondo G. in questo tentativo di ripensamento
di una via di accesso al nulla giunge in aiuto la proposta heideggeriana della
priorità della Stimmung dell’angoscia/ansia408, che viene ad incontrarsi con
quella attualistica del logo come atto. Si chiede G.: esiste dunque il nulla, e
qual è il suo rapporto con l’essere? L’angoscia che ci rivela il nulla è il
presupposto dell’atto logico?409. Sorge il tema della funzione metafisica
dell’angoscia che sollecita un approfondimento del rapporto tra angoscia, logos
e manifestatività, ossia della correlazione problematica e non dualistica di
logos e pathos. L’essere originario, dunque, se non è un dato, un oggetto
trascendente, ma un divenire, un processo, esso comprenderà al suo interno
anche la questione del nulla. Il nulla non è ma esiste e il suo urgere per G.
si rivela nell’angoscia esistenziale costitutiva dell’uomo: il nulla sorge esclusivamente nell’esistente come il
vanificarsi dell’esistente medesimo nella sua totalità. Questo vanificarsi
della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima
volta l’esistente come un completamente altro da esso e come tale lascerebbe
sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come essere nella sua originaria
alterità e possibilità di determinazione410. Il nulla come vanificarsi
dell’esistente appare nel sentimento dell’angoscia in cui l’essere si manifesta
nella sua assoluta alterità, nella sua convertibilità con il nulla. L’angoscia
è il fenomeno I termini angoscia e ansia sono usati indistintamente da G.,
tuttavia egli usa il termine ansia in riferimento all’Angst heideggeriana solo
nel saggio del 1929 Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, 220,
in I primi scritti, 203-228. Nei saggi successivi il termine ansia viene
sostituito da angoscia. 409 385. 410 Il
problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, 328-329. ! 137!
stesso del fondamento, è la modalità in cui il processo di manifestazione
dell’essere nella sua differenza accade: l’angoscia quindi in cui il nulla si
mostra come il vanificarsi della totalità dell’esistente, è la fonte della
possibilità di pensare è allora proprio
che l’esistente si manifesta e può diventare oggetto di domanda nella sua
totalità411. Il nulla che appare nell’angoscia nella sua convertibilità con l’essere,
e che connota l’intero atto di manifestazione e auto-distinzione
dell’originario, è la condizione trascendentale del logos. Il logos è il modo
umano del darsi della co-estensione e coappartenenza di essere e nulla.
Quest’ultimo non va quindi inteso nel suo valore logico di negazione ma nel suo
valore di annientamento dell’esistente e di pura possibilità. Solo attraverso
il nulla l’essere appare come realizzazione delle pure possibilità umane e
quindi come compito, sforzo e atto, concetti, questi, davvero fondamentali
nella filosofia di G. che mostrano, da un lato, la presenza di una componente
etica del sui pensiero nel senso generale di ethos come orientamento della vita
al telos, dall’altro il radicamento di tale orientamento nella struttura
temporale della coscienza umanistica, che, come vedremo, è caratterizzata da
una componente cairologica che fa convergere tutta l’attenzione verso il
kairòs, il tempo opportuno, e quindi verso la scelta, la decisione. In G. più
che agire una temporalità contrassegnata dall’eschaton di heideggeriana memoria
è presente l’attenzione verso il kairòs, il tempo opportuno che va a
strutturare la nostra relazione con il mondo circostante. Come abbiamo tentato
di dire in queste pagine il reale, l’essere, il suo apparire si manifestano nel
perimetro antropico in molteplici modi, tutti interrelati, in cui una delle
molteplici forme dell’apparire non può essere dedotta da un a priori logico. A
giudizio del filosofo alla logica del pensato non può spettare l’ultima parola
sulla vita e un’intelligenza ante-predicativa, pre-teoretica del reale è
possibile solo se si getta luce su un’esperienza originaria del reale,
dell’essere, di cui la logica è solo una forma di apparire derivata e
secondaria. Come si relazionano il logos e il pathos in questo orizzonte di
ricerca? 329. ! 138! III. VI. Logos et
pathos convertuntur G. distingue un doppio significato per entrambi i concetti:
uno autentico e uno inautentico. Da una parte abbiamo il logos inautentico,
quello della logica astratta, del razionalismo deduttivistico, dell’a priorismo
gnoseologico e il pathos inautentico, quello ridotto a fenomeno psicologico e
privato, a esperienza chiusa nella singolarità. Dall’altra ci sono il logos
autentico proprio del pensiero pensante e concreto, che sperimenta la
manifestatività dell’essere nell’autodistinzione, e il pathos autentico che va
inteso in senso metafisico. L’angoscia costituisce appunto questo pathos
autentico. Per G. il pathos è sempre già connotato ontologicamente e non si
riduce all’affectio o all’emozione. Solo ed unicamente sul suo fondamento
facciamo esperienza della nostra apertura mondana, della Lichtung e dell’evento
della differenza ontologica: secondo il filosofo nel pathos l’inaudito appare
sul palcoscenico della storia412. Esso è passione abissale in cui accade il
fenomeno dell’essere e allo stesso tempo il suo sottrarsi: il pathos metafisico
indica il nostro lasciarci afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone e
contro cui urtiamo senza possibilità di sottrarci al suo appello.
Nell’esperienza patica l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e
alla propria angoscia in cui questo vanificarsi della realtà nello stato
dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come
un completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi
la realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità
di determinazione. L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi
della totalità dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come
pensare l’essere) e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere
l’esistente nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda414. Nel
pathos dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo
stesso tempo di implementare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per
arginare l’assenza di mondo in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di
orientamenti precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza
di mondo, su cui ci soffermeremo a breve, sono il regno dell’Aperto La metafora inaudita, 92. 413 40. 414 Il problema del nulla nella filosofia
di M. Heidegger, in I primi scritti, 329. ! 139! in cui è assente
ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento. Il filosofo asserisce che
in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non
essendo la nostra dimensione, ci paralizza
qui gli oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti
puoi più aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro
un mondo, e comincia la sensazione del precipizio415. A caratterizzare
maggiormente l’esperienza patica è quindi la sua componente metafisica e non
psicologica: nel pathos facciamo esperienza dell’originario. La passione ha
anche un significato arcaico nel senso di fondativo: si è costretti a
riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone
perché non possiamo liberarci da essa, incombe come destino e nella sua luce fa
apparire il significato di ogni ente416. Essa consente di prendere coscienza
dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come
schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica: in questo
contesto ontologico si installa la visione antropologica di G.. L’esperienza
dell’oggettivo, dell’essere ai cui appelli dobbiamo corrispondere rende
possibile la costruzione del secondo livello di oggettività, quella dell’umano.
Il corrispondentismo, che permea quell’ambito gnoseologico messo da parte dal
filosofo, viene recuperato sul piano ontologico: l’adeguazione dell’oggettività
dell’essere, dell’originario, il nostro corrispondere all’evento va di pari
passo con l’antropogenesi. Solo grazie a ciò l’uomo diventa uomo e l’Umwelt
diviene Welt attraverso le pratiche di umanizzazione della natura. A parere del
filosofo noi ci troviamo di fronte al compito di un ordinamento solo perché
circondati e sommersi in un mare di fenomeni nei quali dobbiamo riconoscere di
non saperci orientare: esperimentiamo l’angoscia primordiale dell’assenza di
mondo. Questa esperienza della negatività, della mancanza di mondo è il primo
ed originario aspetto della necessità della trascendenza, in funzione alla
quale solo incontriamo un materiale per la formazione del nostro mondo417.
Sulla base di quanto detto è emersa una prospettiva che lega indissolubilmente
la tematica dell’essere e quella del nulla alla Stimmung dell’angoscia
generando una rinnovata idea di logos. Se Assenza di mondo, 226. 416 Il dramma della
metafora, 131. 417 Mito e arte, 147. I corsivi sono nostri. ! 140!
il reale è processo di manifestazione, divenire e passaggio dall’essere al
nulla, allora il logos capace di dire questo processo, questo apparire, questa
manifestatività autodistinta, non può essere il logos logico inteso in senso
tradizionale. Occorre ripensare il logos al di là dei cardini di un
riduzionismo logico, tenendo conto della co-originarietà delle forme del
manifestarsi del reale. La funzione del logos in G. ha destato non pochi
problemi per gli interpreti, come abbiamo visto. Se nei saggi giovanili come Il
problema del logo del 1936 il logos è considerato nella sua preminenza rispetto
alla Stimmung, nei saggi successivi come Il reale come passione e L’inizio del
pensiero moderno abbiamo un capovolgimento di questa posizione soprattutto
sulla scorta dell’analisi del dubbio. Di seguito riporto le affermazioni che
possono aver suscitato l’idea di dualismo. In Il problema del logo il filosofo
afferma che la Stimmung, il sentimento, si fonda dunque nella trascendenza,
nella differenza ontologica. Il sentimento non è un momento alogico o
prelogico, bensì un particolare modo del legein418. Da questo passo pare
emergere la riconduzione della questione del patico all’interno dell’orizzonte
logico: il pathos viene visto quale modalità del logos. Qualche anno dopo G.
sembra cadere in contraddizione affermando l’esatto opposto di quanto asserito
in Il problema del logo. In L’inizio del pensiero moderno si sostiene che nel
dubbio qualcosa è per noi originariamente non indifferente in questo orientamento del filosofare, il
pensiero viene riconosciuto nella sua essenza come una passione, nel senso
metafisico del termine qui si mostra
appunto il carattere patetico e passionale del pensiero419. La difficoltà per
l’interprete sorge allorché si tenta una conciliazione delle tesi appena citate
e apparentemente contrapposte: una vede nel pathos una modalità del logos,
un’altra rintraccia nel logos un carattere passionale. È possibile uscire
dall’impasse? È nel pathos o nel logos che facciamo esperienza dell’originario?
La complessità di una loro possibile connessione viene esplicitata e avvertita
dallo stesso G. che già in Il problema del logo si chiede: possiamo dire che il
logo sia Il problema del logo, in I
Primi scritti, 403. I corsivi sono nostri. 419 L’inizio del pensiero moderno,
in I primi scritti, 824. I corsivi sono nostri. ! 141!
effettivamente il Primo, la Ragione e il fondamento di ogni manifestazione,
oppure presuppone esso un momento pre-logico? Questo è il problema contro il
quale urtiamo definitivamente420. Infatti egli interpreta il logos come legein,
cioè come atto del portare a manifestazione sia l’essere che il nulla. Solo
sulla base di questa manifestatività originaria, di questa svelatezza
originaria degli enti (aletheia ) si può porre il tema della verità logica
tradizionalmente intesa come connessione di soggetto e predicato. Il pensatore
riconosce nella svelatezza originaria l’essenza della propria ricerca
filosofica ed è mosso dal convincimento che ogni vero logico, il vero del
giudizio che si esprime sull’on, sia già sempre radicato in un vero più
originario: quello appunto della svelatezza o manifestatività. Per G. la logica
tradizionale vorrebbe essere proprio una logica dell’identico in senso
oggettivistico, in quanto l’essenza del logo non sta nel legein – cioè nel
processo di distinzione (e così nel divenire, nell’essere e non essere) – bensì
nell’identità dell’oggetto razionale od empirico. Ma questa identità non viene
affatto raggiunta, né può venir dimostrata. Se quindi questo originario legein
va concepito come un manifestarsi, e se questo nuovo concetto del logo, come
logica del pensare, va contrapposta alla logica del pensato, allora non
dobbiamo concepire questa logica come una logica della non identità, bensì come
una logica che raggiunge un nuovo ed approfondito concetto dell’identità421. La
questione di primaria importanza non è concepire il logos, l’atto di
intellezione, come totalmente altro dal pathos, il sentire. É appunto questa
l’accusa che G. rivolge a gran parte della filosofia occidentale: la
considerazione di logos e pathos, di intellezione e sentire, come atti di due
facoltà, decreta inevitabilmente la superiorità dell’intelligenza rispetto al
sentire, che per quanto sia il primo modo di apprendere il reale è votato
all’inautenticità. G. ha in mente piuttosto un’intellezione senziente o
un’apprensione intelligente del reale che però non troverà mai una
formalizzazione teoreticamente compiuta nel suo pensiero, restando sullo sfondo
della sua rivalutazione dell’umanesimo interpretato all’insegna del concetto di
Lichtung. Il problema del logo, in I
primi scritti, 377. 421 378. !
142! Si chiede G. in Vom Vorrang des Logos (1939): questa tonalità
affettiva (Stimmung) deve essere dunque intesa come momento determinante del
processo che abbiamo riconosciuto come fondamento della svelatezza
(Unverborgenheit)?422 La questione è comprendere se la passione possa essere
considerata come esperienza dell’originario, nelle sue molteplici forme. Il
tema della Stimmung in G. più che intrecciarsi alla Befindlichkeit – al
sentirsi situati – si coniuga con la metafisica del leghein come risulta
evidente dal testo del ’39 nel contesto dell’analisi della disposizione d’animo
e della differenza ontologica heideggeriane. Qui G. individua la possibilità di
una corretta interpretazione del pensiero di Heidegger solo nell’operazione di
collegamento del concetto di Stimmung all’atto processuale del leghein. Si
tratta di un aspetto di non secondaria importanza poiché mette in luce come in G.
la questione della Stimmung non abbia una connotazione psicologico-individuale
ma un carattere ontologico-metafisico. Leggiamo in Vom Vorrang des Logos che
con tonalità affettiva (Stimmung) non va inteso qualcosa che precede il
processo originario della svelatezza e nemmeno qualcosa che presuppone il
processo e si differenzia da esso; non è nulla di immediato ma bensì
appartenente originariamente al fondamento della svelatezza come processo. Se
la svelatezza è processuale allora, come affermato in precedenza, lo è per
mezzo di un divenire, di un essere, di un non- essere, e dunque ad essa
appartiene insieme alla trascendenza e la tonalità affettiva anche il
perché424. La co-appartenenza di Transzendenz, Stimmung e Warum rende palese
come il discorso sulla Stimmung travalichi il confine psicologico e si installi
direttamente sul terreno dell’ontologia e della
Muss nun diese ursprüngliche Stimmung also in wesentliches Moment des
Prozesses, den wir als Grund der Unverborgenheit erkannt haben, aufgefasst
werden?, Vom Vorrang des Logos, Beck, Munchen 1939, 52. La traduzione è nostra.
423 , R. Messori, Le forme dell’apparire, 66-67. 424 Damit bedeutet die
Stimmung nicht etwas, das dem ursprünglichen Prozess der Unverborenheit
vorhergeht, und auch nicht etwas, das den Prozess bedingt, und von ihm
unterscheiden ist; es ist nichts Unmittelbares, sondern zum Grund der
Unverborgenheit als Prozess ursprünglich gehörend. Wenn die Unverborgenheit
prozesshaft geschieht, so ist die – wie früher schon gesagt – auf Grund eines
Werdens, eines Seins und Nichtseins, und so gehört ihr wesenhaft, mit
Transzendenz und Stimmung das Warum an, dritte Weise, in der der Grund der
Unverborgenheit – wie Heidegger sagt – gestreut ist, G., Vom Vorrang des Logos,
57-58. Traduzione nostra. ! 143! manifestatività. L’analisi della
Stimmung pone in luce l’azione delle riflessioni heideggeriane di Von Wesen des
Grundes più che quella di Sein und Zeit, mostrando una netta differenza di
interpretazione rispetto a quella seguita dagli studiosi della analitica del
Dasein degli anni ‘40425. L’articolazione del nesso logos-pathos trova una
prima via d’uscita nella riflessione sulla fantasia, reciprocabile con
l’intuizione e con l’intelletto, in quanto facoltà di darsi le vedute e forma
di organizzazione a priori dell’esperibile: essa mette insieme il logos e il
pathos. La questione della correlazione di pathos e logos comporta per G. anche
un ripensamento dell’identità (un’identità
Ha sottolineato acutamente questo aspetto Messori in Le forme
dell’apparire, cit. (p. 86 nota 20) ponendo un parallelo tra le interpretazioni
di G. e di Henry Maldiney circa la questione della Stimmung come momento patico
a-priori del pensiero, e sottolineando anche la distanza tra le teorie di G. e
quella di Bollnow e Biswanger che negli anni Quaranta si confrontano in modo
critico rispetto al tema della Stimmung heideggeriana. Circa il tema della
distanza di vedute tra Bollnow e G. occorre mettere in evidenza come Bollnow in
Das Wesen der Stimmungen pone la ricerca antropologica sotto il segno della
critica al concetto di fondamento heideggeriano, insistendo sull’infondatezza
del dualismo autentico-inautentico insito, secondo Heidegger, nella dimensione
della quotidianità. Nonostante la messa a distanza del tema ontologico nella
antropologia pedagogica ermeneutica di Bollnow è riscontrabile un punto di
contatto, su cui Messori non si è soffermata, ossia il comune riferimento, di
Bollnow e G., alla storicità come fondamento di ogni antropologia filosofica
che guarda all’umano come continua produzione di forme. Nel filosofo tedesco
ritroviamo l’idea che la storicità della vita significa creatività, produzione
di forme che portano a espressione la vita in manifestazioni specifiche – (S.
Giammusso, La forma aperta. L’ermeneutica della vita nell’opera di O. F.
Bollnow, Franco Angeli, Milano 2008, 93) – che converge con l’impostazione
generale del pensiero di G. che punta ad un rinnovamento del problema
antropologico seguendo il filo conduttore delle espressioni storiche del
fondamento – le Lichtungen. Altro punto di sinergia teorica di entrambi è il
tema pedagogico umanistico. In Bollnow la pedagogia, influenzata dallo
storicismo diltheyano e dal contesto generale della Lebensphilosophie, non
muove da principi astratti ma considera
ipoteticamente i fenomeni della sfera educativa come parti dotate di senso in
una connessione più generale e rintraccia tale senso nella originaria relazione
attraverso cui l’uomo come produttore della cultura esprime se tesso (ivi, 137).
Bollnow, in Die Macht des Worts, afferma che la questione antropologica è
connessa al potere formativo della parola e la questione circa l’essenza del
linguaggio diventa in una maniera fondamentale la questione circa l’essenza
dell’uomo in generale, O. F. Bollnow, Die Macht des Worts. Sprachphilosophische
Überlegungen aus pädagogischer Perspektive, Essen, Neue Deutsche Schule
Verlaggesellschaft, 1964 (terza edizione 1971), 16, citato in S. Giammusso,
op., 154. Anche in G. il tema pedagogico è correlato alla questione della via
di accesso alla totalità umana e alla individuazione dell’essenza del
neoumanesimo e, ancora, al tema filosofico dell’amicizia che permea sia il
sapere sia il linguaggio. G., nella prefazione alla traduzione tedesca del
Discorso di Pericle di Tucidide ad opera di G. Landmann, sostiene che questa
forza dell’amicizia è confluita nelle parole, da cui siamo legati, filologia e
filosofia. L’amicizia sospende il rapporto tra maestro e allievo, fa del
maestro un discente anch’egli e libera l’allievo dall’asservita ristrettezza
dell’epigono, del seguace. Così, la corrente che tutti ci trascina si mantiene
ininterrotta, e nessuno sa più dove nello scambio abbiano inizio i pensieri,
dove essi nella continua riproduzione abbiano fine. Questo accadere autentico,
questo modo del discorrere e del pensare che riesce a penetrare ogni
isolamento, la dia-lettica – il venire a svelatezza attraverso il logos,
attraverso la parola –, tutto ciò Platone l’ha scoperto nel nobile sentimento
dell’amicizia questo concetto non
relativo e non soggettivo dell’amicizia si lega a quello della tradizione e
dell’impegno, G., Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, 975-983,
in I primi Scritti, 977. G. enuncia in poche battute un’idea di pedagogia
legata ai temi della fiducia (Vertrauen), del reciproco affidarsi (Anvertrauen)
e del dialogo che mostrano molte affinità tematiche – pur nella diversità degli
approcci – con Bollnow, più numerose delle pur evidenti differenze sottolineate
da Messori. ! 144! che contenga in sé l’elemento della differenza e
della non-identità) e una ricerca sulla costitutiva co- appartenenza di essere
e nulla nel processo di manifestatività. Secondo la prospettiva tradizionale:
il nulla non può diventare oggetto del pensiero, perché il nulla esclude in sé
una interpretazione oggettivistica. Un oggetto che non è, è una
contraddizione426. Invece per il filosofo occorre aprire un varco
nell’esperienza del nulla al di fuori delle coordinate oggettivanti del
pensiero proprio perchè il nulla ci pone di fronte all’impossibilità di
renderlo ob- jectum. C’è un’altra modalità di accesso al nulla: la sua
esperienza attraverso l’angoscia. Così come lo Heidegger di Che cos’è
metafisica anche G. crede che il nulla non si rivela dunque come un oggetto,
come un pensato, bensì come ciò che si manifesta in un fondamentale stato
d’animo (Grundstimmung) che incalzandoci ci toglie ogni punto d’appoggio427. Da
quanto detto in precedenza è possibile comprendere come il filosofo già a
partire dal saggio Il problema del logo ponga in questione, con la discussione
sul nulla e sull’angoscia, la priorità del logos. Egli si chiede se a partire
dall’esperienza dell’angoscia sia ancora possibile mantenere la priorità
dell’atto logico: esiste dunque il nulla e qual è il suo rapporto con l’essere?
L’angoscia che ci rivela il nulla è il presupposto dell’atto logico? In che
modo l’atto logico sarebbe condizionato dall’angoscia, tanto che l’originarietà
del logos sarebbe infranta? Se il nulla è, e non come un oggetto, ma come una
realtà che ci si manifesta nell’angoscia sorge il problema dell’angoscia, della
sua funzione metafisica è dunque
nell’angoscia che si radica la possibilità di manifestazione degli enti e noi
stessi li trascendiamo in quanto fin dall’inizio siamo sospesi nel nulla428. Il
legame tra angoscia, nulla e manifestazione dell’essere mette in crisi quella
che in un primo momento sembrava essere una posizione apparentemente
dualistica: il dualismo è solo apparente se guardiamo all’idea G.ana di logos
che si distingue da quello della logica obiettivante tradizionale. Nel leghein
per G. accade quella scissione, quell’auto-distinzione della manifestatività,
che consente di pensare la coappartenenza di logos e pathos. G., Il problema del logo Un ulteriore
chiarimento riguardo il presunto dualismo logos-pathos o Kehre tra un primo e
un secondo G. ci giunge dalle analisi G.ane di Cartesio. Nel saggio L’inizio
del pensiero moderno G. porta avanti le sue analisi delle meditaizoni
cartesiane incominciate in Dell’apparire e dell’essere del 1933, constatando
come l’importanza di Cartesio vada rintracciata nella fecondità dell’idea di
dubbio. Solo attraverso l’analisi del dubbio è possibile guardare al cogito
cartesiano come ad una realtà complessa che va identificata come atto, attività
del cogitare. In quanto atto il cogito è il luogo in cui la manifestatività,
l’apparire e l’essere, che in G. sono sinonimi come abbiamo visto, si dànno: il
cogito è l’unico primo ed originario essere che incontriamo e fondandosi sul
quale solo si può ricostruire e ricavare tutta la ricchezza dell’esistenza. La
metafisica di Cartesio appare in tutta la sua decisiva importanza quando si
tenga presente che cosa egli concretamente intenda con cogitare. Pensiero,
cogito, come tutti sappiamo, non è per lui solo atto di distinzione logica, ma
è ogni atto e modificazione del soggetto, di cui l’attività logica non è che un
momento l’atto del cogito – come
originaria unità, monade – contiene in sé già tutto429. Appare qui evidente la
funzione ontologica del dubbio come apertura esistenziale della questione della
manifestatività. La suprema attività del cogitare, il cogito in quanto atto,
non è altro che il dubbio, il dubitare che nel momento in cui dubita, in cui
attua l’attività del dubitare, porta in superficie l’urgenza che in esso si
annuncia e che lo rende possibile430. Nell’atto del dubitare si compie
un’urgenza: quella del reale che non ci è indifferente ma che ci affetta, ci
riguarda e nel quale siamo da sempre immersi e compromessi in quanto esseri
gettati nel mondo e di conseguenza anche il cogito, quando si intenda con esso
il compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza originaria, che si
mostra così come il vero fondamento del sapere431. Pertanto il pensare (logos)
si rivela nella sua identità costitutiva con il patire (pathos) in quanto forme
di espressione dell’originario nella sua urgenza e nella costrittività dei suoi
appelli. Per il filosofo italiano il pensiero è una forma di esperienza
dell’originario, e non si può pensare ogni volta Dell’apparire e dell’essere, 289-290.
430 L’inizio del pensiero moderno, in I primi scritti, 818. 431 . !
146! che lo si desidera o lo si vuole. Perché l’originario, sempre e in
ogni forma, si mostra a noi solo al modo di una urgenza432. Il soggiacere a
tale costrizione e urgenza rende il logos convertibile con il pathos quali
modalità di apprensione dell’originario. Se solo questa costrizione, questa
urgenza è l’evidenza dell’originario433 allora noi ci troviamo in una
situazione di pura passività rispetto al reale? In che modo è possibile
coniugare questo essere soggetti a con il concetto di atto? L’atto, come
abbiamo visto, cerca di rendere conto del rapporto dinamico tra piano ontologico
e piano ontico, i quali rifluiscono continuamente l’uno nell’altro. A tale
dinamica processuale prende parte anche la tonalità affettiva che appare come
il luogo in cui accade la manifestazione dell’essere nella molteplicità delle
sue forme. La Stimmung che consente l’esperienza dell’originario si rivela una
Leidenschaft. Un altro termine con cui G. si riferisce alla passione è,
infatti, Leidenschaft, di cui è importante sottolineare il leiden, il patire
nel senso di soffrire e penare. Usando tale traduzione l’accento è tutto posto
sulla dimensione della gettatezza e passività originaria che contraddistinguono
il Dasein, l’uomo che è tale nella misura in cui si riconosce esposto
all’apertura dell’essere, all’assenza di codici interpretativi precostituiti e
innati e pertanto intimamente legato alla ricerca di chiavi di lettura del
reale possibili e mai date. La Leidenschaft è quindi l’essere-affetti dal
reale, che ci afferra e ci trascina nell’aperto delle pure possibilità, senza
che noi possiamo sottrarci allo Zwang e alla Nötigung, da G. interpretati come
due fenomeni dell’originario. La Leidenschaft è originaria e metafisica, da
essa non possiamo liberarci e riconoscere la sua centralità è la condizione di
possibilità per il nuovo inizio del pensiero auspicato da G.. Per il filosofo
in questo orientamento del filosofare, il pensiero viene riconosciuto nella sua
essenza come una passione, nel senso metafisico del termine qui si mostra il carattere patetico e
passionale del pensiero434. Tale pathos metafisico e originario è un’urgenza
che non può essere Il problema del sublime, 917-943, in Id, I primi scritti, 935.
433 . 434 L’inizio del pensiero moderno, 824. I corsivi sono nostri. !
147! dedotta né mediata poiché ci sopraggiunge così come l’aporia
platonica, che abbiamo ritrovato in Il problema della metafisica platonica, e
il dubbio cartesiano di Dell’apparire e dell’essere e di L’inizio del pensiero
moderno. Per G, Cartesio, tanto criticato dal filosofo negli ultimi scritti, ha
il merito di aver portato ad espressione un significato patico-esistenziale del
dubbio, che dall’interpretazione tradizionale è stato unicamente ridotto ad
epochè del giudizio, e quindi a stallo conoscitivo. Il dubbio cartesiano,
invece, si mostra come la condizione di possibilità affinché si dia il sapere
in tutte le sue forme. Tuttavia Cartesio per G. non ha portato fino in fondo il
suo discorso, inclinando piuttosto verso una impostazione gnoseologistica del
sapere, non traendo quelle conclusioni a cui erano pervenuti gli Umanisti. Le
riflessioni G.ane hanno messo in luce il pathos come esperienza di ciò che è
primo e indeducibile razionalmente perché fondamento di ogni deduzione:
l’essenza della forma del rivelarsi di qualcosa di originario e di primo, o
anche del pensiero, risulta essere la passione, e precisamente non la passione
in senso psicologico ma in senso metafisico435. La Leidenschaft consente di
ripensare l’idea di soggettività: il soggetto non ha un carattere soggettivo o
individualistico, esso è essenzialmente ciò che soggiace al primo,
all’originario436. In quanto upokeimenon o sub-jectum il soggetto patisce il
reale, che si mostra nel suo carattere di istantaneità (Augenblick):attraverso
il pathos facciamo esperienza della realtà nell’istante, in quella visione
istantanea a cui dobbiamo corrispondere implementando progettazioni di mondi umani
dalle forme molteplici (l’arte, la poesia, il sapere, la prassi, la politica
sono le forme in cui l’uomo risponde agli appelli dell’essere). In ogni momento
della vita l’uomo si trova a dover portare avanti il suo impegno, il suo sforzo
di esistenza, la sua diligentia (termine mutuato da Leonardo Bruni), che
rendono palese il suo essere irrevocabilmente compromesso con il mondo
circostante. Secondo G. in ogni atteggiamento originario non possiamo mai
scegliere la nostra occupazione, perché la nostra scelta sta già sotto il segno
di ciò che ci occupa. Non siamo noi ad occuparci delle cose, ma sono le cose
stesse – in virtù della loro distinzione – a tenerci occupati437. Il filosofo
pone come indeducibili forme del manifestarsi del reale il vero, il buono e il
bello: il sapere, l’azione e l’arte sono i modi in cui si mostra, in cui appare
il mondo e non c’è priorità di un momento sull’altro ma nesso dei distinti.
Occorre ripensare l’autonomia delle forme del rivelarsi del reale, pur tenendo
in considerazione la fondamentale unità che le contraddistingue: esse sono modi
autonomi, distinti, di manifestazione dell’essere, sono Lichtungen del reale,
aperture di contesti significativi, tutti accomunati dall’azione di ordinamento
conferito al mondo. Il pathos è l’avvertimento della non- indifferenza del
mondo circostante, è l’esperienza della costrizione e del vincolo, del legame
indissolubile uomo-mondo: per il fatto che veniamo strappati, nell’esperienza
del dubbio, all’indifferenza verso la totalità dell’ente, si presenta anche una
separazione del nulla dall’essere, e tuttavia il nulla non è affatto prima
dell’essere bensì entrambi vengono partoriti come gemelli nel medesimo istante.
Perciò i Greci parlavano dell’aletheia, del non latente [Un-Verborgene], come
del vero, perché tutto ciò che si mostra viene sottratto alla latenza solo
dall’esperienza del dubbio, che lascia rilucere gli opposti438. Nella
Leidenschaft, nel patire il dubbio a cui non possiamo sottrarci, rintracciamo
l’essenza del sapere: il sapere nasce dalla messa in questione del mondo
circostante per ricercarne il fondamento, si tratta di una ricerca a cui ci
sentiamo costretti, che incombe su di noi. Tale carattere costrittivo e urgente
del fondamento è ciò che G. trova teorizzato nel concetto aristotelico di archè
o assioma: questa dottrina è ciò che esprime Aristotele quando dice che i
principi originari o assiomi, come lui li chiama, che sono il fondamento di
ogni dimostrazione, non hanno un carattere apodittico, bensì elenchico, cioè
non possono venire dimostrati ma si
mostrano da se stessi in quanto anche colui che li nega, deve presupporli e
impiegarli. Così questi principi fondamentali dimostrano se stessi nella misura
in cui non ci lasciano liberi4 . 438 Il reale come passione e l’esperienza
della filosofia, 995-1029, in I primi scritti Possiamo dare per acquisito che
in G. non c’è un rapporto dualistico logos-pathos, per cui da una priorità
giovanile del logos si passerebbe alla matura posizione della preminenza del
pathos. I due momenti sono sempre interrelati tanto da confondersi in una
paradossale unità che è al tempo stesso dualità. É lo stesso pensatore a
domandarselo e a individuare il problema di una connessione dinamica tra logos
e pathos: ora esiste un’unità che sia al contempo dualità? Ogni differenziale,
cioè il compiersi di un atto unitario, fa apparire ciò che è differenziato
nella misura in cui quest’ultimo si determina
quest’atto del separare rivela dunque essenzialmente una realtà fantastica,
dove l’espressione fantastico non viene tratta dalla fantasia come attività
distinta dall’intelletto, bensì dalla fantasia secondo l’espressione greca
phainesthai, mostrarsi440. Secondo G. l’accadere, l’apparire, la
manifestatività vanno interpretati al di fuori dell’opposizione logos-pathos,
tale dualità è solo secondaria e derivata, poiché primario e originario è
l’atto in cui si mostra l’essere nella sua processualità dinamica: in tale
processualità dinamica le coppie oppositive in sé-per noi, uno-molti,
logos-pathos perdono i contorni netti e definiti di polarità antitetiche, tra
cui non è possibile gettare un ponte, per divenire realtà mobili e fluide. La
struttura dinamica e processuale della realtà è resa dal filosofo attraverso
l’immagine della scena/accadere scenico/allestimento (Schau-Stuck): soltanto in
questo accadere si radica il singolo soggetto concreto, il quale possiede un
oggetto correlativo, perché la scena, l’allestimento, prescrive a entrambi dei
ruoli determinati l’allestimento è
dunque l’originario, in cui i singoli elementi del molteplice risultano
visibili in virtù del ruolo che la scena prescrive loro441. Tale scena
originaria regge il fondamento della vita: è la sua condizione trascendentale.
Essa è definita anche scena fantastica proprio perché scena e fantasia si
configurano come un tutto unitario, a priori e sintetico. La scena forma in via
primaria relazioni, atti di collegamento, è l’orizzonte di ogni veduta
possibile, così come la fantasia è la facoltà di apprensione di questa scena.
La fantasia in G. va intesa come la facoltà di formazione della veduta/scena
(schau) che ha la funzione di schema trascendentale: l’elemento originario
dell’esperienza sensibile – come in generale di ogni forma dell’apparire
dell’ente non è quindi una dualità di oggetto e soggetto né una molteplicità di
esperienze sensibili, bensì una unità che si compie, che rivela se stessa nel
discernere e nel separare la scena
fantastica, il mostrarsi, non vale soltanto per la determinazione filosofica dell’ente
o per quella dell’ente sensibile, bensì per l’ente nella sua totalità442.
Interpretata in questo modo la fantasia appare come facoltà del lasciar
apparire, dell’Erscheinenlassen che è al contempo il Sich-Offenbaren,
l’automanifestazione, dell’oggettività. Lo svelarsi originario dell’essere ha
carattere eidetico e immediato, esso si manifesta nell’istante indeducibile
perché arcaico-fondativo della visione pato-logica. La realtà nella sua
automanifestatività si impone nella sua Nötigung, nell’accadere dell’attimo
della visione il cui fenomenizzarsi è il dubbio. III. VII. L’analitica
esistenziale: dismondanizzazione, assenza di mondo e coscienza temporale
umanistica Per comprendere meglio le categorie dell’analitica esistenziale
elaborata da G. vorremmo concentrarci sull’esperienza sudamericana del filosofo
mossi dal convincimento che essa costituisca una tappa fondamentale
nell’elaborazione di alcune categorie concettuali elaborate dal filosofo:
dismondanizzazione e assenza di mondo; coscienza temporale umanistica; natura.
Tali plessi concettuali, presenti soprattutto nei saggi Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, L’uomo e l’esperienza dell’oggettività (1952),
Apocalisse e storia (1954), L’esperienza dell’assenza di mondo, Mito e arte,
Assenza di mondo, sono correlati al tema della manifestatività dell’essere,
emergente nei primi scritti, quali Il problema della metafisica immanente di M.
Heidegger (1930), Dell’apparire e dell’essere (1933), Il problema del logo, Il
problema 1014. 443 , Il tempo umano. L’umanesimo contro
la techne, 201-206; L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, 65-72; Apocalisse e
storia, 7-20, L’esperienza dell’assenza di mondo, in Aut-Aut, 1955, 2, XXVI, 97-119;
Mito e arte, in Rivista di filosofia, Torino, 1956, 2, XXVII, 140-164; Assenza
di mondo, in Archivio di filosofia, Roma del nulla nella filosofia di M.
Heidegger (1937), L’inizio del pensiero moderno. Della passione e
dell’esperienza dell’originario (1940), Il reale come passione e l’esperienza
della filosofia (1945)444. Come abbiamo visto in precedenza in questi saggi
vengono in luce le questioni dell’essere, dell’apparire e della
manifestatività, che testimoniano la volontà G.ana di recuperare un’esperienza
dell’essere che non presupponga la preminenza di una forma rispetto ad
un’altra, e in particolar modo di un a priori gnoseologico, ma che sia capace
di restituire la complessità fenomenologica delle forme dell’apparire. Come è
noto, in questo tentativo G. coniuga il tema attualistico gentiliano con
l’estetica crociana e la teoria heideggeriana della differenza ontologica,445
rielaborando tutto alla luce di una rivalutazione della Stimmung, della
Leidenschaft e dell’ambito estetico in generale, non come esempio di
gnoseologia inferior o teoria dell’arte, ma come fondamento dell’esperienza
della manifestatività dell’essere. Nel suo percorso onto-antropo-logico si
segnalano alcuni testi per la curiosa correlazione che si viene ad istituire
tra gli innumerevoli riferimenti all’esperienza di viaggio sudamericana e
l’analitica dell’esistenza: mi riferisco ad Arte e mito e Viaggiare ed errare,
oltre che, naturalmente, ai saggi prima citati Assenza di mondo, L’esperienza
dell’assenza di mondo, Mito e arte, i quali costituiscono i maggiori contributi
che G. ha dedicato al tema Sudamerica. III. VIII. L’importanza del viaggio in
Sudamerica Aveva asserito Kant nella Prefazione a Antropologia pragmatica che
ai mezzi per l’ampliamento dell’antropologia appartiene il viaggiare446 e G.
non sembra sia stato insensibile I saggi
sono raccolti in G., I primi scritti 1922-1946, cit. 445 Per una ricostruzione
dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane nella filosofia
di G. , Rita Messori, Le forme dell’apparire, soprattutto il primo capitolo,
Tra filosofia italiana e filosofia tedesca: l’emergere della questione
estetica, 23-61. , anche M. Marassi, Introduzione a G., I primi scritti, Kant,
Antropologia pragmatica, tr. it. di G. Vidari, Laterza, Roma-Bari a questa
affermazione kantiana: lo attestano i numerosi viaggi che per tutta la vita ha
condotto in giro per il mondo alla ricerca di occasioni di riflessione sul tema
uomo. Viaggio e riflessione antropologica: l’accostamento non risulterà
peregrino se si accantona – come fa il filosofo italiano– un’idea di natura
umana fissa e immutabile, chiusa nei confini di una razionalità auto-riferita,
per accogliere l’idea di una condizione umana, tema di un neo-umanesimo attento
alla multilateralità della vita, alla polidimensionalità del reale, e, dunque,
alle molteplici forme di apprensione dell’essere e di dizione dell’essere. Il
legame tra il viaggio e l’elaborazione di categorie esistenziali volte ad un
rinnovamento neo-umanistico della filosofia è del resto esplicitato dallo
stesso filosofo che nella Prefazione a Viaggiare ed errare afferma che le
annotazioni sull’incontro con il continente sudamericano sono sorte dalla
verifica costante di categorie e concetti fondamentali europei: non sono quindi
né espressioni di rinuncia al nostro mondo europeo né una descrizione esteriore
della realtà sudamericana. Spazio, tempo, parola, arte, tutto acquisisce laggiù
nuovamente un significato originario che in Europa abbiamo spesso
dimenticato447. Corredato da una fitta trama di descrizioni paesaggistiche, di
situazioni emotive, di relazioni, presenze e assenze che il viaggio in
Sudamerica aveva suscitato nel filosofo il testo Viaggiare ed errare presenta,
accanto alla narrazione di esperienze comuni, una interpretazione prospettica
di una realtà nuova, fatta di rovine antiche, foreste sterminate, indigeni e
animali che non costituiscono solo allegorie di ciò che sfugge alla
comprensione filosofica, ma sono l’occasione di esperire il totalmente altro.
Per G. il viaggio può avere questo significato solo se lo si correla al luogo
preciso in cui è avvenuto: il Sudamerica. Perché? Come abbiamo visto in
precedenza quello in Sudamerica non è il primo viaggio né l’ultimo di G.,
eppure in questo territorio si realizza una presa di coscienza molto forte dei
limiti e delle possibilità della filosofia occidentale. Su questi limiti e
possibilità il pensatore ha ragionato una vita intera, ma Le citazioni
riportate di seguito fanno riferimento all’edizione italiana del testo di G.:
G., Viaggiare ed errare. Un confronto con il Sudamerica, tr. it. di C. De
Santis, a cura di M. Marassi, La Città del Sole, Napoli, 1999, 27. Il testo ha
avuto tre edizioni Reisen ohne anzukommen. Südamerikanische Meditationen,
Hamburg, Rowohlt, 1955; Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit
Südamerika, Munchen-Gutersloh-Wien, Bertelsmann, 1974; Reisen ohne anzukommen.
Eine Konfrontation mit Südamerika, Chur, Ruegger, 1982. ! 153! lì,
in Cile e in Brasile, nella fitta vegetazione della foresta, sulla catena delle
Ande, ciò che il filosofo milanese sperimenta non è un ragionamento. Lì patisce
e vive una situazione contraddittoria: storicità e astoricità; natura e techne.
Il Sudamerica è il luogo in cui si consuma la dissoluzione delle categorie
storiche e si dà la possibilità di riflettere sulla condizione umana. Leggiamo
in Viaggiare ed errare: una volta si sapeva dove si era di casa; ci si sentiva
protetti nel mondo sicuro della tradizione, ci si poteva recare in paesi
stranieri con il proprio blasone e si ritornava a casa senza turbamenti. Ma
noi? Dove siamo di casa?448. Il testo, allora, non è un esempio, l’ennesimo, di
letteratura odeporica, solo un resoconto autobiografico, un diario di
impressioni del viaggio da Madrid a Barcellona, fino in Brasile e Cile. In esso
si raccolgono le idee più interessanti circa il viaggio come evento semiotico:
oltre a Reisen ohne anzukommen degne di nota sono le osservazioni sparse in
Kunst und Mythos449. In questi testi il viaggio è inteso come la metafora in
cui viviamo, come condizione, situazione, e circum-stantia e le descrizioni
narrate non vogliono essere semplici descrizioni; vogliono piuttosto far luce
su tutte quelle seduzioni che turbano l’uomo moderno occidentale quando viene a
contatto con mondi nuovi450. Ha sottolineato acutamente questo aspetto Giuseppe
Cacciatore che ha dedicato al tema G.ano del viaggio un saggio: América latina
y pensamiento europeo en la filosofia del viaje 33. 449 Il testo, edito per la prima volta in
tedesco nel 1957 con il titolo Kunst und Mythos, Hamburg, Rowohlt 1957, e
ristampato nel 1990 in un’edizione riveduta e ampliata dall’autore, costituisce
la rielaborazione di un articolo che G. pubblica nel 1956 sulla Rivista di
filosofia, in lingua italiana dal titolo Mito e Arte, 140-164. 450 G.,
Viaggiare ed errare, 34. 451 G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo
en la filosofia del viaje, cit. Pubblicato precedentemente in italiano con il
titolo America latina e pensiero europeo nella filosofia del viaggio di G., in
Cultura latinoamericana, Annali 1999-2000, nr. 1-2, 367-381. Come è noto, nella
vastissima e variegata produzione saggistica di Cacciatore il riferimento alla
figura di G. compare soprattutto nei lavori vichiani dello studioso in cui
l’accento verso i temi della rivalutazione vichiana della sapienza poetica, del
ruolo antropogenetico della fantasia, di quello arcaico-fondativo del mito e
dell’ingeniosa ratio trova non poche affinità con le analisi svolte da G.. Al
riguardo , soprattutto G. Cacciatore-G. Cantillo, Studi vichiani in Germania
1980-1990, in G. Cacciatore-G. Cantillo (a cura di), Vico in Italia e in
Germania, Bibliopolis, Napoli 1993, 37; Poesia e storia in Vico, in F. Ratto (a
cura di), Il mondo di Vico. Vico nel mondo, Guerra, Perugia 2000, 144, nota 5;
G. Cacciatore, Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, in G.
Cacciatore-V. Gessa Kurotschka-E. Nuzzo-M. Sanna (a cura di), Il sapere poetico
e gli universali fantastici, Guida, Napoli 2004, 120, nota 10; Le facoltà della
mente ‘rintuzzata dentro il corpo’, in Il corpo e le sue facoltà. G.B. Vico, in
G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna e A. Scognamiglio (a
cura di) in «Laboratorio dell’ISPF» (www.ispf.cnr.it/ispf-lab), 104, nota 41; L’ingeniosa
ratio de G., concentrandosi in particolar modo sul testo Reisen
ohne anzukommen. Lo studioso mette in luce uno spettro semantico ampio del
viaggio: è possibile individuare un significato ontologico; teorico-storico;
cognitivo; simbolico-metaforico. Vorremmo soffermarci sui quattro sensi del
viaggio in G. individuati dallo studioso, con lo scopo di mostrare che
l’esperienza del viaggio sudamericano non è marginale nella riflessione del
filosofo poiché si inserisce nel cuore della sua prospettiva
onto-antropo-logica e diviene decisiva nella messa a fuoco dei concetti di
dismondanizzazione e assenza di mondo452, che insieme a quelli di coscienza
temporale umanistica e oggettività, costituiscono le categorie dell’analitica
esistenziale G.ana. Cacciatore afferma che il senso ontologico del viaggiare è
rintracciabile nello stesso titolo tedesco: Reisen ohne annzukommen indica il
viajar humano sin arribos, sin metas prefiguradas. El viajero llega a un nuevo mundo cargado de bagajes
conceptuales, orgulloso y seguro de su patrimonio cultural y de su tradiciòn
històrica453. E tuttavia al cospetto di un mondo
totalmente estraneo G. sente di non poter più fare affidamento sul proprio
corredo categoriale. Occorre un mutamento di prospettiva, una svolta. In quanto
viaggiatore in terra straniera G. si sente anche viaggiatore nell’interiorità,
e il malessere vissuto dal filosofo per l’opposizione tra un’idea di Europa da
cui ritiene di doversi congedare e la volontà di ricostruire un neoumanesimo
all’insegna di un rinnovamento dei concetti di Vico tra sapienza e prudenza, in
C. Cantillo (a cura di), Forme e figure del pensiero, La Città del Sole, Napoli
2007, 225, nota 1; Il mare metafora del limite e del confine, in S. Amendola- Volpe
(a cura di), Il mare e il mito, M. D’Auria editore, Napoli 2010, 49; In dialogo
con Vico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2015. 452 Ovviamente le
categorie ora menzionate risentono della trattazione heideggeriana di Welt e
Umwelt e in generale della riflessione degli esponenti dell’antropologia
filosofica e della biologia teoretica coeve, che G. conosceva molto bene:
Scheler, Plessner, Gehlen, Uexküll, Driesch. , G., Linee di filosofia tedesca
contemporanea, in I primi scritti 1922-1946, 299-332, Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger, 203-228,
La filosofia como obra humana, 1573-1578 in Actas del Primer Congreso Nacional
de Filosofia, Universidad Nacional de Cuyo, Buenos Aires, 1950, Tomo III; Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, 62-66 e 151-152; Retorica come filosofia. La
tradizione umanistica, 181-182. 453 G. Cacciatore, America latina y pensamiento
europeo, 80. ! 155! fondamentali del pensiero occidentale, si
palesa soprattutto nelle pagine dedicate al concetto di dismondanizzazione.
III. IX. Dismondanizzazione e assenza di mondo Egli sostiene che le molteplici
ragioni della dismondanizzazione ci sopraffanno e possono condurre
all’immobilità, alla completa apatia. Ogni processo di dismondanizzazione
incomincia dal terrore avvertito per la scomparsa del consueto454. Una
spaesatezza, una solitudine esistenziale che sorge non solo in terra straniera
ma anche nella propria patria. Si tratta del terrore primordiale della selva di
cui ci parla Vico secondo il quale grazie alla radura aperta nella foresta
originaria divengono possibili non solo lo spazio o il luogo umani, ma anche la
possibilità di computare il tempo455. Il filosofo ritiene che anche in Europa
si prende congedo dal proprio mondo. La speranza di liberarci in qualche modo,
in chissà quali paesi lontani, dai nostri dubbi, è solo espressione del fatto
che non ci sentiamo più a casa negli spazi della nostra storia456. Nel pathos
dell’angoscia e della noia per G. noi esperiamo la dismondanizzazione e la
possibilità allo stesso tempo di generare ordini di realtà, progettazioni e
creazioni, per arginare quell’assenza di mondo in cui l’uomo è gettato proprio
perché privo di orientamenti precostituiti. I due concetti – dismondanizzazione
e assenza di mondo – indicano due fenomeni diversi, ma connessi, che possono
essere compresi meglio ricorrendo ad una metafora molto cara a G., quella della
luce: assenza di mondo come aurora e dismondanizzazione come tramonto
dell’uomo. La condizione di assenza di mondo (aurora) è quella dell’uomo
primitivo o delle origini, immerso nella realtà circostante che è astorica,
mitica, ripetitiva e di cui G. crede di poter fare esperienza nell’ingens sylva
sudamericana, che in realtà Viaggiare ed
errare, 126. Corsivo nostro. 455 Potenza della fantasia, 251. 456 Viaggiare ed
errare, 49. ! 156! si rivela
essere solo una selva ideale. Il pensatore ritiene che la condizione di assenza
di mondo inizia, infatti, ogniqualvolta una cultura si trova a una svolta
decisiva457. L’esperienza della realtà nella condizione di assenza di mondo si
caratterizza per l’incapacità umana di orientamento: infatti non appena
quest’ordine comincia a vacillare, l’uomo esperisce improvvisamente che le
direttive consuete non sono più valide458. In questo momento di svolta inizia
la storia dell’uomo come storia del suo accadimento. Secondo G. la storia
dell’uomo è quindi espressione di ciò che lo costringe continuamente a stare su una soglia, a partire dalla quale
egli traccia linee di confine tra scelto e non scelto, tra ricordato e
dimenticato, tra ordinato e non ordinato. A partire da questa soglia si aprono
i confini del mondo in cui viviamo. Il progetto, attraverso il quale di volta
in volta aderiamo sempre a ciò che ci riguarda e ci mette in tensione,
costituisce il nuovo spazio spirituale in cui ci muoviamo459. Nella condizione
di assenza di mondo l’uomo, come l’animale, è totalmente immerso in un cerchio funzionale
simbolico che ad un certo punto si disintegra e lo getta in una condizione di
spaesatezza che lo costringe a trovare codici di interpretazione del reale:
poiché l’uomo esce dalla natura e in essa non è più al sicuro, egli progetta
criteri sulla base dei quali costruire il suo mondo460. La condizione di
dismondanizzazione (tramonto) è quella che caratterizza l’uomo occidentale che
cerca nuovi strumenti per abitare il mondo, avendo sperimentato l’inutilità e
il danno delle proprie categorie filosofiche. Essa è ben distinta da una
rinuncia volontaria al mondo: è anzi il contrario. Questa esperienza di
dismondanizzazione nasce dallo sgomento che tutto quello che di solito ci
circonda, e che con gli anni abbiamo costruito come un nostro ambito, viene a
mancare Assenza di mondo, 222. ! 157! Nel primo caso si tratta di
una situazione di privazione originaria che dice della gettatezza dell’uomo
nell’aperto – la Lichtung – della propria esistenza, privazione che al contempo
è condizione di possibilità affinchè l’uomo divenga uomo e l’ambiente naturale
divenga mondo. Nel secondo caso siamo di fronte ad una dimensione di perdita
delle coordinate categoriali classiche del pensiero occidentale. L’esperienza
della dismondanizzazione e di assenza di mondo non sono nient’altro che il
regno dell’Aperto in cui è assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni
orientamento ma in cui Angst e Langweile agiscono quali operatori metafisici
nel contesto della Lichtung che, come ci ricorda Agamben, è veramente in questo
senso, un lucus a non lucendo: l’apertura che in essa è in gioco è l’apertura a
una chiusura e colui che guarda nell’aperto vede solo un richiudersi, solo un
non-vedere462. G. asserisce che in quest’esperienza siamo di fronte
all’Offenheit, a quella apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci
paralizza qui gli oggetti diventano
trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a loro, non puoi
più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia la sensazione
del precipizio463. Nel viaggio in generale e in quello sudamericano in
particolare noi facciamo esperienza di una epochè dell’abituale e del consueto
e constatiamo il vacillare dell’esistenza, il nostro non poterci tenere a
niente. Emerge in aggiunta al tema dell’esperienza dell’eventualità/Lichtung
dell’essere, che l’alterità radicale del mondo sudamericano rappresenta in
maniera esemplare, la questione non marginale del pathos: per G. esso ha una
componente metafisica e non psicologica, dal momento che grazie ad esso facciamo
esperienza dell’originario. Come è noto, la passione per il filosofo ha anche
un significato arcaico nel senso di fondativo poiché consente di prendere
coscienza dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia
come schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica. Afferma G.
che si è costretti a riconoscere che la passione agisce come archè, potenza
elenchica, che ci espone perché non possiamo liberarci da essa, incombe ! G.
Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 2002, 71.
463 G., Assenza di mondo, 226. ! 158! come destino e nella sua luce
fa apparire il significato di ogni ente464. La Stimmung che consente
l’esperienza dell’originario si rivela una Leidenschaft. Possiamo rintracciare
un secondo senso del viaggio sudamericano: teorico-storico. Come ricorda Cacciatore en uno
de los ùltimos capìtulos del libro, el filòsofo traza la lineas de una
autèntica, aunque breve, teorìa e historia del viaje, centrada en la
significativa diferencia que caracteriza las relaciones y las descripciones de
los viajeros de la edad moderna y las de los contemporaneos465. Differenza che testimonia anche il profondo mutamento
storico tra un’epoca, quella moderna, in cui le categorie filosofiche erano
forti e la ragione non aveva ancora perso la propria terraferma; e l’epoca
contemporanea che vive i tormenti della propria debolezza categoriale
sgretolandosi pian piano. La Conclusione di Reisen ohne anzukommen, che reca il
suggestivo titolo di Filosofia e Paesaggio, in cui è narrata questa breve
storia del viaggio, mette in luce, inoltre, la correlazione del viaggiare con l’idea
di paesaggio. G. si pone un interrogativo sul paesaggio e sul suo paradossale
nesso con la filosofia. La domanda si sviluppa in una breve storia in cui
entrano in scena personaggi – Platone, Petrarca, gli umanisti, Herder, Melville
– che sul paesaggio si sono espressi. Il filosofo si chiede: che cos’è il
paesaggio? Che cosa può produrre insieme alla filosofia? il paesaggio può offrire lo spunto per
riflessioni teoretiche, dal momento che il piacere che esso suscita si avvicina
alla sfera dell’arte?466. Rispondere a questa domanda significa porre in atto
una vera e propria rivoluzione filosofica, una Kehre: abbandonare le categorie
della razionalità astratta e fare posto agli elementi mitici e poetici, alla
dimensione del pathos che schiudono una modalità di esistenza autentica in cui
la potenza delle immagini, a cui è inevitabilmente associato il paesaggio,
diviene la linfa vitale della filosofia. Secondo il pensatore il paesaggio non
ha nulla di ovvio, anche se tutti Il
dramma della metafora, 131. 465 G. Cacciatore, Amèrica latina y pensamiento
europeo, 80. 466 Viaggiare ed errare, credono che esso sia immediatamente
accessibile dal momento che lo si vede; il goderne non richiede alcuna
riflessione, ma è impossibile esprimere la sua essenza senza riflettere467.
Esso mostra e indica la contraddizione tra ciò che ci sovrasta nella sua
immensità, riluttante a qualsiasi espressione univoca e definitiva, e la
volontà umana di comprensione. Il paesaggio ci mette di fronte alla nostra
incapacità di interrogare in modo nuovo ciò che ci circonda: l’essere. Quelle
che sono annotazioni di viaggio, riflessioni e considerazioni si rivelano come
i punti di partenza di interrogativi filosofici ineludibili e pressanti.
Ineludibilità e necessità che contraddistinguono anche il paesaggio: qui il
paesaggio sembra una realtà alla quale non possiamo sottrarci468. Un ulteriore
significato del viaggio è quello cognitivo. L’esperienza di viaggio si carica
di una valenza cognitiva poiché consente quella relazione del sé stesso con
l’altro che è fonte di ricchezza quanto più profonda risulta la distanza, la cesura,
lo iato. Come afferma
Cacciatore in America latina en esta experiencia cognitiva el viaje y la partida misma tienen sentido en
la medida en que remiten immediatamente al retorno, a la estaciòn originaria.
Por ello la confrontatiòn de G. con Sudamérica es un relacionarse del Sì mismo
con el Otro, però tambièn un hallarse el Otro en las raìces històricas y
culturales del Sì mismo469. In
questo contesto di relazioni con l’alterità in tutte le sue forme – l’altro
uomo, l’altra cultura, e la suprema alterità rispetto al nostro mondo storico,
la natura – la distanza assume un ruolo fondamentale quale esperienza
catalizzatrice della cognizione che nel viaggiare si realizza. Secondo il
filosofo milanese, che menziona in modo innovativo un tema che nella filosofia
sicuramente è inusuale, l’organo di misurazione delle distanze è l’olfatto, che
meglio del tatto e della vista riesce a restituire tutta la potenza della
distanza. Egli afferma in Viaggiare ed errare che a Casablanca, la tappa
successiva del nostro viaggio, viene in primo piano ciò che a Madrid era solo
annunciato in modo vago. Il mondo chiuso della tecnica, che nel frattempo si
era ridotto a una cabina d’aereo, si riapre: una realtà completamente nuova,
che ancora non si vede, G. Cacciatore, América latina y pensamiento
europeo...cit., 81. ! 160! che non si può nemmeno cogliere con
l’udito anche il tatto non può far altro
che occuparsi della cartella che d’abitudine ci si porta appresso. Ma
improvvisamente all’olfatto spetta un inatteso primato è attraverso l’olfatto che sorprendentemente
si percepisce la distanza470. L’esperienza cognitiva del viaggio in Sudamerica
si configura come un movimento verso l’ignoto e l’abissale i cui effetti sono
incerti: l’incontro con l’altro può avere un esito liberatorio o
distruttivo471, può indurre l’uomo a rinunciare alla sua storia particolare, ma
può anche sollecitarlo a dubitare del tutto della realtà storica. Quest’ultimo
aspetto è particolarmente problematico: l’insistere del filosofo milanese
sull’opposizione tra natura e storia, tra Sudamerica e mondo europeo, appare
poco argomentato e poco incline a mediazioni, tracciando una cesura ontologica
tra l’uomo sudamericano e quello europeo. Occorre prendere la expresiòn G.ana
naturaleza no historica con mucha cautela472. Nonostante le dovute cautele
rispetto a quelle espressioni che cristallizzano le opposizioni tra una
presunta temporalità ontologica e immobile – quella sudamericana – e una
temporalità storica – quella europeaa –, bisogna riconoscere il merito del
filosofo per aver eletto il viaggio sudamericano a occasione per ripensare e
rinnovare i termini e i limiti dello strumentario concettuale dell’Occidente.
La posizione di G. che guarda all’Europa nei termini di un relitto di una vita
inattuale e al Sudamerica come natura astorica non passa inosservata: i
colleghi universitari, primo fra tutti Carlos Astrada, ma anche Juan Rivano, in
La Amèrica ahìstorica y sin mundo del humanista G., e Humberto Giannini, in
Experiencia y Filosofìa473, non potevano accettare le affermazioni del filosofo
italiano senza qualche riserva. Tuttavia G. intende questa assenza di storia in
modo più complesso e articolato: essa dice della possibilità del nuovo474. Se
l’Europa ha esaurito tutte le sue possibilità il Sudamerica, per il
primitivismo che la contraddistingue,
470 G., Viaggiare ed errare, 55. 471 50. 472 G. Cacciatore, América latina y
pensamiento europeo. Per una ricostruzione dell’intera vicenda , J. Barcelò G.,
Viaggiare ed errare, 24. ! 161! non è ancora stata sopraffatta
dall’asfissia storia: abbandonata una vita carica di storia, aspiriamo
all’altro mondo in cui speriamo di trovare soprattutto l’astorico. Tuttavia non
troviamo questo, ma una storia che inizia, una storia completamente estranea a
noi europei d’oggi laggiù la vita
respira completamente nell’atmosfera di fine secolo e ci appare come un passato
che non è ancora riuscito a diventare definitivamente passato. Esso continua a
vivere nel nostro presente, ma sembra estraneo e superato475. Un ultimo aspetto
del viaggio è quello simbolico-metaforico. Nel percorso di ampliamento dei
propri orientamenti conoscitivi ed esperienziali traspare il motivo della
ricerca delle proprie origini. In questa ricerca delle origini e degli inizi
dell’umanità si fa esperienza di immagini inedite e di un accesso alla realtà
notevolmente diverso. Quando G. descrive il passaggio per la grande catena
montuosa delle Ande sta narrando una storia che emblematicamente ci ricorda il
vichiano divagamento ferino per la gran selva della terra della Scienza Nuova.
Ma non si tratta semplicemente di una reminiscenza filosofica: in quel momento G.
non cita Vico, ma descrive, vedendolo, quello che Vico aveva ipotizzato:
vagando in questo territorio, si aprono continuamente nuove prospettive. É
l’accesso a un mondo inquietante: come potrebbe infatti un essere vivente
storico ritrovare il proprio orientamento in questo silenzio, in queste ombre,
in queste fosse? ma questo non è il caos
stesso? Anzi è il caos inteso non nel senso di disordine, ma nel senso che a
qualsiasi forma può essere impresso un ordine
qui nelle Ande esperiamo la realtà di un mondo di pure possibilità476.
La natura, l’ingens sylva, appare, allora, come la metafora di quello spazio
edificabile nel quale si apre all’uomo lo spettro di possibilità inedite di
instaurare il mondo umano, quel mondo storico che solo con cautela possiamo
opporre alla natura. Un mondo in cui la questione onto-antropo-logica viaggia
sul doppio binario dell’oggettività data – la natura, il mitico, l’astorico,
l’essere – e dell’operazione di determinazione di tale oggettività – la
progettualità umana, la genealogia dell’ordine e della storia, quella che G.
definisce coscienza temporale umanistica. Da questo percorso di transizione, che
è il viaggio, verranno in superficie, contro la ragione totalitaria, la ragione
frammentaria, inquieta, balbettante, critica e discontinua, da sempre
trattenuta nei silenzi e nelle pieghe nascoste del logos, ma presente nel mito
e nella tragedia, nella metafora e nella fantasia. Il viaggio inteso come la
metafora in cui viviamo, come condizione, situazione, e circum-stantia, è
motivo centrale della riflessione filosofica di G. e pone in luce il legame
indissolubile e non estrinseco tra il luogo geografico di elaborazione di
questi innumerevoli significati del viaggio, il Sudamerica, e l’idea di
filosofia del pensatore milanese. Un’idea che si costruisce intorno ad un
progetto di riattualizzazione della problematica umanistica e dei concetti di
retorica, metafora e ingegno, ripercorrendo itinerari poetici, teatrali,
filosofici, artistici, che pongono in luce un senso della parola poetica
lontano da ogni velleità di giungere ad un significato definitivo, ad una
definizione che chiuda la res in un verbum univoco. Anzi, secondo G. è nella
pluralità delle parole, nei verba che possiamo attingere la res e i suoi modi
di datità, che sono infiniti, molteplici, contingenti, transeunti. L’attenzione
alla multilateralità del reale, che si rivela nella polidimensionalità
linguistica, si colloca nel contesto più generale della domanda sull’uomo e
sulla correlazione uomo-mondo. Si tratta del problema onto-antropo-logico a cui
gli scritti G.ani di retorica, metaforologia, umanesimo477 tentano di dare
delle risposte. Il Sudamerica diventa l’occasione per un ripensamento del
proprio passato filosofico e per gettare luce su un presente avvertito come
estraneo. G. ha voluto confrontare la sua esperienza di europeo con il modo di
vivere sudamericano, assillato dal dubbio intorno alla validità universale
delle categorie della storicità e della tecnica dominanti in Europa, scoprendo
una serie di aspetti inediti della cultura americana: innanzitutto l’esperienza
dei sensi, che non è la pura e semplice empeiria, ma il luogo visibile del
dissidio e della contraddizione, come testimoniano gli scorci descrittivi delle
località cilene. Il filosofo asserisce in riferimento al soggiorno cileno di
trovarsi in una realtà che è al contempo unità e molteplicità senza relazione:
ci troviamo nel nord del Cile, nella contrada delle grandi miniere di rame, !,
soprattutto G., Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit.; La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit.; Umanesimo e retorica. Il problema
della follia, tr. it., di E. Valenziani e G. Barbantini, Mucchi, Modena 1988; Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit.; La metafora inaudita, cit.; Vico
e l’umanesimo, cit.; Retorica come filosofia. La tradizione umanistica,
cit. ! 163! in prossimità del confine peruviano a 3800 metri di
quota mi confonde il fatto di essere
abituato a costruire la realtà mediante una combinazione di diverse esperienze
sensibili, e per la prima volta apprendo che i sensi, abbandonati a se stessi e
non ordinati dall’intelletto, rivelano il contraddittorio nella sua essenza: la
realtà è contemporaneamente un’unità e una molteplicità senza relazione478.
Oltre all’esperienza dei sensi, un altro concetto importante che emerge dai
resoconti del viaggio sudamericano, è quello di oggettività: i sensi non
rivelano solo qualcosa di soggettivo e di transeunte, ma l’oggettivo. I
concetti di natura e oggettività si legano profondamente a quelli di mito, di
cominciamento, di originario che solo la poesia può dire e non la filosofia,
che si muove nell’ambito del deduttivo e dunque del non-originario. Per G. non
basta il sapere, cioè giungere al riconoscimento di quei principii nei quali
ancorare tutti i nostri progetti479 ma bisogna tentare di ricostruire le tappe
di una sapienza arcaica, o di una sapienza poetica, per usare un binomio
vichiano, in cui si rinnovano i significati di teoria e prassi e si fa spazio
ad un concetto di pistis che esula dai limiti definiti della religione per rivelarsi
come il fondamento della retorica originaria: questo riconoscimento capovolge
diametralmente il rapporto tra pistis e logos. La pistis, intesa come
fondamento dell’inspiegabile perché fondamento di ogni spiegazione, è propria
del mondo originario480. Nell’esperienza sudamericana l’oggettivo appare come
una natura che non è più umanizzata e soggiogata, ma che domina l’uomo. Essa
diviene smisurata, infinita, sconfinata, apocalittica e si sottrae ad ogni
orientamento, criterio e progetto, in una ripetizione ciclica, in un eterno
presente. Asserisce il filosofo che lo spazio astorico della natura può quindi
suscitare nell’uomo europeo un terrore sconcertante. Una volta spezzata la
coercizione delle passioni, quando gli oggetti non si distinguono più come
momenti conformi al fine degli istinti, improvvisamente si precipita nello
smisurato Arte e mito, 83. 479 L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, 72. 480 Significare
arcaico, 490. 481 Viaggiare ed errare, 116. ! 164! Entriamo nello
spazio del mito dove la differenza tra uomo e mondo svanisce e tutto rientra
improvvisamente in un’unità che domina ovunque e che G. sente appartenergli nel
modo più profondo. Afferma il filosofo che in questa unità ha luogo un
rovesciamento sconcertante: non si tratta ora più di comprendere qualcosa,
perché ogni cosa viene compresa nel tutto482; si tratta di un ordine di una
pienezza che si chiude armonicamente nella quale il nascere e il trapassare non
sono che momenti di un duraturo presente483. G. si sta riferendo ad una realtà
eterna che sembra avvolgerci: è’ l’ora di Pan484. Il Sudamerica è il simbolo
dell’ora di Pan, che a sua volta è allegoria di un’esperienza che, prendendo in
prestito le parole di Vico, è affatto impossibile immaginare, e a gran pena ci
è permesso di intendere: qui è possibile guardare autenticamente al mito non
alla luce della demitizzazione, non come prestazione arcaica della ragione, per
dirla con Blumenberg485, ma come realtà in cui viviamo. É ancora consentito
vivere il mito in quel dissidio, in quella transizione, in quel viaggio dal
vecchio continente della cattiva metafisica verso il mare aperto
dell’autenticità, dell’altro inizio del pensiero. Un inizio che è principio
arcaico nel senso aristotelico del termine: perché governa e dà inizio come leggiamo
in Significare arcaico. Il filosofo, reinterpretando lo Stagirita, sostiene che
il principio deve invece avere veramente il carattere di archè, cioè deve
mandare, comandare486 e, non avendo carattere apodittico, bensì elenchico, non
possiamo sottrarci alla – sua – imposizione perché ogni tentativo di sottrarsi
ad – esso lo – presuppone487. L’atto fondativo e mitico del reale è secondo G.
indicibile dal logos metafisico e la narrazione di quell’azione primordiale può
essere affidata unicamente al potere generativo trasformazionale della
metafora, che non è un gioco letterario ma la prima forma dell’ingegno, del
nous e come tale Arte e mito, 153. 483 . 484 . 485 , H. Blumenberg, Il futuro
del mito, tr. it. di G. Leghissa, Medusa, Milano 2002. 486 G., Significare
arcaico unica espressione delle archai nel loro carattere palesante e
immediatamente indicativo488. Perché come diceva Vico, uno degli autori
prediletti da G.: di questa logica poetica sono corollari tutti i primi tropi,
de’ quali la più luminosa, e perché più luminosa, più necessaria, e più spessa
è la metafora – che – vien’ ad essere
una picciola favoletta489. L’analisi delle meditazioni sudamericane di G. ha
messo in luce l’intima correlazione dei temi del viaggio, inteso come evento
semiotico, con le categorie dell’analitica esistenziale G.ana:
dismondanizzazione e assenza di mondo, oggettività, natura, coscienza temporale
umanistica. Abbiamo cercato di porre in luce quanto il significato del viaggio
in generale e di quello sudamericano in particolare sia fondamentale per
comprendere il senso della proposta neo-umanistica G.ana: essa si struttura
come ricerca costante di un nuovo strumentario categoriale per l’uomo europeo
che ha sperimentato la miseria, la precarietà e il declino della propria storia
ma non si rassegna al deserto del nichilismo dilagante ma al contrario, come il
viaggiatore, l’emigrante, va alla ricerca di un’umanità perduta, più radicata
nella vita. L’esperienza sudamericana si carica allora di un’importanza che
occorre sottolineare con vigore: essa è un percorso nell’interiorità prima che
essere un itinerario geografico perché in quanto viaggiatori in terra straniera
siamo anche e soprattutto viaggiatori nell’interiorità oggi, viaggiando, non andiamo in cerca di
scoperte esteriori, sottoponiamo piuttosto a un esame il mondo della nostra
lingua, dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti490. La meditazione su
Sudamerica diviene allora una meditazione sull’Europa. III. X. L’uomo e
l’esperienza dell’oggettività: la nascita della coscienza temporale L’analisi
del viaggio nel suo significato tetravalente e la focalizzazione sui temi della
dismondanizzazione e dell’assenza di mondo ci consente di inquadrare meglio le
altre due idee 494. 489 G. B. Vico, La Scienza nuova, a cura
di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano 2012, ed. 1744, II libro, 932. 490 G.,
Viaggiare ed errare, 124. ! 166! centrali nell’analitica
esistenziale G.ana: i concetti di coscienza temporale umanistica e di
oggettività. Secondo il pensatore milanese l’esperienza del disancoramento
originario dalla realtà è l’elemento principale che caratterizza la situazione
umana. L’angoscia e il terrore della foresta primordiale, l’agorafobia
originaria che genera la paura dell’aperto, spingono l’uomo a cercare di volta
in volta i codici di decifrazione della realtà come è emerso dalle precedenti
considerazioni sull’incidenza dell’idea uexkülliana di cerchio funzionale
simbolico e sulla distinzione tra mondo animale e mondo umano a partire dalla
funzione di apertura mondana dell’Angst. Leggiamo in Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne che la situazione umana è caratterizzata dal fatto
che l’uomo ha la esperienza originaria di essere disancorato dalla realtà. Il
problema del metodo nasce da questa profonda esperienza, giacchè esso consiste
nella ricerca della via per giungere un dato fine. Le prime forme di metodo,
cioè di ricerca di un orientamento nella realtà nascono dall’esperienza del
carattere ingannevole e relativo e mutevole di ciò che mediano i sensi491. La
situazione in cui l’uomo è gettato è caratterizzata dal nesso
disancoramento-metodo- orientamento. Convinto che proprio l’insufficienza dei
sensi, che provoca il disancoramento, ci obbliga all’elaborazione del metodo, G.
individua la nascita delle scienze naturali nell’originaria perdita del
rapporto immediato con la natura. Emerge un elemento concettuale di non
secondaria importanza: il tema della nascita della coscienza e delle scienze si
intreccia indissolubilmente alla questione dell’oggettività e alla ricerca
della sua determinazione. Sostiene il filosofo che nelle scienze singole
naturali, nelle quali l’uomo crede di raggiungere l’obiettività, appare più
chiaro che altrove il disancoramento dell’uomo. Infatti di fronte al bisogno di
un metodo, di un’oggettività, appare il caratteristico capovolgimento che
avviene nella nostra concezione del reale492. Si tratta di quel capovolgimento
che caratterizza le scienze naturali che mettono da parte l’esperienza originaria
della natura – quella immediata dei sensi – in direzione della ricerca di Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, 202.
I corsivi sono nostri. 492 . ! 167! un’oggettività stabilita dai
principi in funzione ai quali si delimita e circoscrive, facendola oggetto di
domanda, la realtà fenomenica493. L’assenza di coordinate e orientamento mette
l’uomo in una condizione di Notwendigkeit che segna anche il discrimine tra
mondo animale e mondo umano. La fecondità del tema del disancoramento si pone
nel contesto dell’onto-antropo-logia G.ana quale condizione di possibilità
della nascita del mondo umano nella Lichtung primordiale. Per il filosofo la
storia umana comincia nell’istante stesso nel quale l’uomo sorge dalla natura
in quanto l’immediatezza di quest’ultima non lo soddisfa: l’esperienza della
non indifferenza di ciò che gli si presenta fenomenalmente a mezzo dei sensi è
espressione di legami che non si identificano con quelli dei sensi494.
L’elevarsi dell’uomo dall’immediatezza dei sensi mette in moto il secondo
livello di oggettività e la storia umana. Ma che cosa intende il pensatore per
oggettività e in che relazione essa si trova con la storia? I gradi
dell’oggettività Il filosofo distingue due gradi dell’oggettivo. In L’uomo e
l’esperienza dell’oggettività il punto di partenza dell’indagine è ancora una
volta quello della condizione umana che si distingue nettamente dalla
condizione degli altri esseri viventi per la necessità di ricercare e
progettare le unità di misura e di principi in funzione ai quali delimitare il
mondo delle apparenze nelle quali ci troviamo495. L’indagine sulla situazione
del Da-sein e sulle sue strutture di esistenza ha come primo risultato
l’individuazione di due livelli di oggettività. Per giungere alla soluzione della
realtà umana, e con ciò della sua oggettività, dobbiamo innanzitutto partire
dal problema di quali siano i caratteri di ciò che ci si manifesta496. Tali
caratteri possono essere contraddistinti in due modi: -! dipendono dai nostri
parametri e dai limiti da noi progettati . 494 203. 495 L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività dipendono dal fenomeno stesso nel ritmo del proprio
divenire498 Da un lato constatiamo che nella vita vegetativa e organica la
natura appare nel costante ritmo temporale dell’identico, in un diastema, ossia
in ciò che sta (istemi) tra limiti (dià)499, dettato dal fenomeno stesso della
vita e non da modalità molteplici di ordinare i fenomeni naturali. Dall’altro
riscontriamo nel mondo umano infinite unità di misura di questa natura. Per il
filosofo della natura possiamo solo parlare in quanto essa appare entro i
diastema stessi, cioè entro determinati limiti500 e tuttavia dobbiamo
riconoscere che si danno alcuni fenomeni il cui apparire non dipende dalla
nostra proiezione di diastema501. G. riporta l’esempio dei molteplici stati di
un corpo502: un corpo può apparire in una forma solida o liquida ma la modalità
in cui esso appare non dipende da noi: la nostra proiezione di diastema non è
l’unica via di accesso all’oggettivo, all’essere, alla natura. Se è vero che la
natura appare solo entro i limiti da noi progettati, è altrettanto vero che non
dipende da noi come essa appare: essa ha una propria oggettività. La
constatazione di questa oggettività dei fenomeni naturali è la condizione dell’esperimento,
è la risposta che la natura dà entro i nostri diastema503. Non a caso il
filosofo ricorre a Leonardo per porre in luce il concetto di natura entro i
diastema. Nello scienziato G. individua un via di accesso alla natura mediata
dall’esperimento che mostra il senso autentico del concetto di diastema. Nel
Trattato sulla pittura e Sull’anatomia dell’uomo l’esperimento è
l’interrogazione della natura tenendo conto di una teoria stabilita
anticipatamente, al fine di verificare se questa attraverso l’esperimento viene
confermata o confutata. Il punto di partenza per un’indagine sulla natura
diventa quindi la teoria dell’uomo ad essa soggiacente. Perciò per Leonardo non
è possibile conoscere la natura nella sua interezza ma solo quelle parti che si
danno nel contesto della teoria e delle domande poste dall’uomo. La natura è
dunque correlata all’uomo e alle sue capacità504. La natura di Leonardo rimane
nondimeno un mistero che viene svelato in funzione della domanda impellente505,
quindi mantiene una zona di opacità residua. Essa ha una propria oggettività
che non può essere colta in maniera esaustiva e definitiva. Il tema della
doppia oggettività della natura mette insieme l’idea dell’oggettività della
natura, quale fondo oscuro e inaggirabile, e l’idea della natura come banco di
prova dell’esperienza umana che risulta essere un progetto gettato. Ecco allora
che si profila l’intreccio indissolubile tra il tema ontologico della
oggettività, della natura, dell’essere e quello etico-pratico della storia umana
dei tentativi, dei progetti, dell’esistenza, del caso particolare, delle
circostanze. In questo percorso di superamento dell’oggettività della natura,
di trascendimento della sua alterità e di ricerca di principi di
determinazione, l’uomo elabora le proprie strategie di contenimento del
diverso: inizia la storia del sapere. Per il pensatore italiano la storia del
divenire per giungere alla conoscenza di quei principi primi è la storia del
sapere. Ma non basta sapere, cioè giungere al riconoscimento di quei principi
nei quali ancorare tutti i nostri progetti, ma bisogna anche saper realizzare
in funzione ad essi i nostri diastema, i nostri progetti: sorge così una nuova
esperienza del tempo : il tempo umano506. La coscienza dell’autotemporalità
trova la propria genesi nell’angoscia esistenziale che ha per il pensatore una
funzione catartica: quella di guidare l’uomo
alla coscienza del carattere perturbante della propria situazione507.
L’autotemporalità della coscienza umanistica si fonda sull’idea del tempo come
distinzione fondamentale fra ciò che non è più e ciò che non è ancora, La
filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, 165. 506 L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività, 71. 507 Potenza della fantasia, 259. 504 Introduzione a
Heisenberg, Das Naturbild der heutigen Physik, Hamburg Rowohlt, 1955, 133-138,
traduzione nostra. ! 170! passato e futuro508 in funzione di un
presente. Tale presenzialità tuttavia non ha carattere puntuale, non ha a che
fare con un atomo temporale fuggitivo. Il presente al quale si riferisce il
filosofo va connesso con l’idea di appello dell’essere. Tempo ed essere sono
strettamente correlati nella concezione G.ana del tempo. Come leggiamo in
Apocalisse e storia i momenti del tempo sono il NON-ancora, il NON-più e l’ora.
Tutti e tre questi momenti manifestano all’analisi un caratteristico aspetto
negativo510. Il passato e il futuro mostrano un carattere di nullità e sarebbe
più corretto parlare di presente del passato, presente del futuro, presente del
presente511 che si danno nel ricordo e nell’attesa. Una concezione del tempo di
questo tipo fa dipendere la nostra capacità di percepire il tempo dalla nostra
capacità di essere affetti (affectio animi). Osserva G. che una simile
concezione della temporalità presuppone l’essere: non nel senso di ciò che
esteriormente ci è dato512 ma nel senso di ciò che rende possibile le nostre
esperienze. L’a-priori di ogni esperienza temporale umana – quella dell’attesa
e del ricordo – è l’attenzione: il termine latino corrispondente ci chiarisce
in che accezione appare qui il termine attenzione: attentio significa tendere
ad, e quindi attendere. L’attenzione è quindi possibile nell’ambito di una
tensione, di una tensio che, come fondamento dell’aspettativa, dell’attesa, è
la radice medesima della nostra capacità di intus-legere, dell’intelligenza con
la quale costruiamo e ordiniamo i fenomeni in un modo513. Solo nel contesto di
questa attentio/tensio originaria sorgono il presente, il passato e il futuro.
La struttura temporale della coscienza è a Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, 205.
509 . 510 Apocalisse e storia fondamento del potere umano di progettare, mondi,
cosmi, ordini, unità di misura come strategie di risposta agli appelli
dell’essere che urgono e ai quali dobbiamo corrispondere. All’origine
dell’autotemporalità storica514 della coscienza umana abbiamo un Dasein che si
dibatte tra angoscia e paura, la potenza delle quali irrompe, creando uno
strappo nell’unità simbolica di soggetto e oggetto. La ricostruzione di tale
unità simbolica, di tale symplokè tra soggetto e oggetto mediante la parola, il
linguaggio, è il compito che G. si propone di portare avanti attraverso
riflessioni che assurgono a prolegomena per una semiotica antropologica che
indaga il problema del nuovo potere originario che strappa l’esistenza umana
dalla sfera della consapevolezza del semplice segno biologico e la colloca in
una situazione di esistenza e di possibilità umane515. La coscienza umana nasce
compensazione di quel disancoramento primordiale, che è a fondamento del mondo
umano, e come produzione tecnico-poietica. Se la storia dell’uomo è la storia
del suo divenire e del suo superamento dell’immediatezza della natura allora il
suo compito fondamentale – il compito del vero umanesimo – sarà quello di
riscostruire la storia di quella realtà originaria che l’ha strappato dalla
immediatezza della natura516. Un sapere che si pone questo obiettivo si
costituisce come archeologia dei mezzi umani di ricomposizione della frattura
originaria (la rottura del cerchio funzionale simbolico): scienze naturali,
tecnica, filosofia, arte517. Per G. di qui sorge la necessità di ricostruire –
con i frammenti del mondo sensibile – un mondo nuovo, quello umano. L’uomo può
realizzare tale compito solo se chiarisce ciò che lo riguarda originariamente e
se conforma la realtà sensibile a questa nuova urgenza : sorge per l’uomo il
caso particolare, presupposto alla realizzazione del mondo umano518. Proprio
l’elemento circostanziale, particolare, limitato di ogni singola esperienza
individuale ci restituisce la qualità cairologica, più che escatologica della
temporalità G.ana, attenta all’istante ,
sul tema dell’autotemporalità come nota distintiva dell’uomo distinta dalla
temporalizzazione biologica Vico contro Freud: creatività e inconscio, 133-153,
in Vico e l’Umanesimo Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, 203. 517 .
518 Apocalisse e storia giusto, al tempo opportuno: poiché la nuova esperienza
di fronte alla quale si trova l’uomo non è solo la conoscenza dell’universale
ma innanzitutto quella del caso particolare e singolo. Bisogna sapere quando,
come, dove, di fronte a chi519. La mancanza di tale conoscenza sarebbe mancanza
di misura, di discrezione, di prudenza, di phronesis, le uniche capaci di mostrare
l’intima correlazione tra vita etica e politica come realizzazioni dell’opera
umana, come risposte alla scomparsa del mondo olistico, intatto, della vita
organica. Per G. resta sullo sfondo un grande interrogativo: c’è da chiedersi
in virtù di che cosa può originarsi il mondo umano, se all’uomo non appartiene
alcun ambiente immediato, se quest’ultimo dev’essere sempre costruito da ogni
singolo individuo; qual è la radice dell’umanizzazione della natura?520. Legato
al tema antropologico delle origini della storia umana emerge quello del
linguaggio e della funzione della retorica G.ana come ricerca sul significare
arcaico o semantica antropologica. Siamo così giunti ad un’altra domanda legata
connessa ai problemi precedentemente posti a tema: a quale funzione adempiono
la parola, il linguaggio, nel sorgere del mondo umano?521. Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, 205. 520 Potenza della fantasia. PALAIÀ DIAPHORÀ:
PENSARE E POETARE. Il significato della proposta retorica. Nei capitoli
precedenti abbiamo cercato di ricostruire le tappe del pensiero di G. seguendo
come filo conduttore quello dell’onto-antropo-logia che si è rivelata una
chiave di lettura ampia e integrativa. Seguendo le riflessioni sui temi
dell’essere, dell’apparire e della manifestatività abbiamo rintracciato a
fondamento della proposta neoumanistica un’analitica dell’esistenza che tocca i
temi della coscienza temporale, della dismondanizzazione e dell’assenza di
mondo. La focalizzazione su queste problematiche fa emergere un’idea di
umanesimo che viaggia sul doppio binario della rivalutazione storica – come
dimostra l’analisi dei testi umanisti dedicati al tema della Lichtung, del
linguaggio e della poesia – e della chiarificazione teoretica delle categorie
dell’esistenza. In questo ultimo capitolo prenderemo in considerazione i temi
del filosofare noetico-non metafisico e quelli della retorica ingegnosa come
critica delle devastazioni dell’intelletto, di quei razionalismi stretti e
assoluti del positivismo logico, cui G. contrappone una logica del discorso
diretto, del pensiero come comunicazione discorsiva, fondato sulla metafora non
come luogo del falso, ma come spazio del vero concesso all’uomo522. Sullo
sfondo della prospettiva retorica G.ana emerge il paradigma dell’incompletezza
e della carenza. L’uomo è di fronte ad un paradosso: è caratterizzato dal punto
di vista morfologico, dal punto di vista della sua dotazione organica, da
primitivismi, inadattamenti e non specializzazioni, a cui fa da contraltare
un’apertura al mondo che non lo vincola, come nel caso degli animali, ad un
ambiente preciso. Il disancoraggio da un ambiente dai contorni definiti e fissi
rende l’uomo compito a se medesimo, lo sottopone ad un onere che si concretizza
nella riconversione di una condizione deficitaria in una progettazione di
possibilità di conservazione della vita. L’azione, come E. Raimondi, La retorica d’oggi, il Mulino,
Bologna] compensazione alla struttura morfologica deficitaria, si configura
come trasformazione della natura in mondo culturale, come umanizzazione
dell’ambiente che solo così diviene mondo. In tale processo antropogenetico la
retorica occupa un posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa
produzione di quelle concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti.
Il codice di cui parla il filosofo è non soggettivo, non è scelto liberamente,
ma sofferto attraverso i sensi, in quanto essi si manifestano nella sfera del
piacere e del dolore noi non abbiamo
così il dualismo di codice e realtà da decifrare, abbiamo invece il significato
continuo, immediato e rivelato di ciò che noi soffriamo con pathos523. Ad agire
sullo sfondo del discorso c’è la riflessione antropologica novecentesca
menzionata in precedenza: il concetto di povertà, il paradigma
dell’incompletezza, secondo cui l’uomo è concepito come animale carente, che si
intreccia saldamente con la rivalutazione della retorica come luogo
privilegiato dell’umano. La retorica avrà un doppio ruolo: quello di mostrare
come la pistis sia al centro dell’agire umano e di porre in luce come l’uomo
sia contraddistinto da una carenza originaria che per una sorta di eterogenesi
dei fini si rivela essere all’origine di quel meccanismo antropogenetico che è
la fondazione della comunità umana. Ad emergere è un significato antropologico
di retorica che si configura come la compensazione dell’indeterminatezza
dell’essere umano: essa può essere definita come la tecnica di adattamento
provvisorio che precede ogni morale e ogni verità. La retorica allora costituirebbe
una situazione di emergenza, una strategia dell’esonero, uno strumento di
azione in mancanza di evidenza. Tale funzione compensativa della tecnica
retorica guida il discorso di G. relativo anche alle istituzioni: la vis
retorica crea istituzioni: la società umana ha origine nel poeta come oratore e
nel lavoro524. All’interno di questa prospettiva la riflessione retorica
diviene teoria dei segni (semata), semiotica, e teoria del senso, semantica
arcaica, ben lontana dalla semiotica formale. Una teoria del segno e del senso
per il filosofo dovrebbe essere in grado di elevarsi al livello G., Vico e l’umanesimo, 242. 524 G., Retorica
come filosofia. La tradizione umanistica, 135. ! 175! di filosofia
in quanto dottrina dei segni sulla base dei quali si manifesta il lavoro
specificamente umano (ergon anthropinon). La questione linguistica si intreccia
con quella antropologica dell’origine del mondo umano come reazione
all’agorafobia primordiale della Lichtung, semiosfera da cui si dipartono i
mondi possibili dell’umano. La declinazione antropologica della retorica in
base alla quale quest’ultima si costituisce come pensiero che è aperto alla
chiamata della concreta situazione di vita pone in luce come la retorica assume
un significato essenzialmente nuovo; retorica non è, né può essere l’arte, la
tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce
la base del pensiero razionale. Essa è la base di quel theorein che è proprio
della filosofia: un theorein che non ha una costituzione razionalistica ma è
una visione puramente indicativa, schematica, immaginifica, che, come tale,
opera opera anche pateticamente e quindi retoricamente528. IV. II. La retorica
come critica del paradigma scientifico Il nucleo singolare dell’opera di G. si
rivela come una nuova e specifica prospettiva sull’umanesimo retorico quasi
sempre obliato dagli storici della filosofia del Rinascimento tra i quali
Kristeller e Cassirer529. Come dimostrato dalla sua intensa attività
all’Istituto Studia Humanitatis (inaugurato il 6 dicembre del 1942
nell’università di Berlino), presso il Centro italiano di studi umanistici e
filosofici a Monaco (1948) e soprattutto dall’attività editoriale della
Humanistische Bibliothek, la collana Tradiciòn y Tarea, G. propone un’idea
diversa del pensiero umanista. Egli Retorica
come filosofia, 194. 526 W. Veit., Critica radicale della ragione o l’altro
rispetto alla ragione: la sfida della retorica, 99-126, in AA. VV., Studi in
memoria di G., 113. 527 Retorica e filosofia, in Vico e l’umanesimo, 97. I
corsivi sono nostri. 528 Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, 17-18.
529 le osservazioni esposte nel II
capitolo. ! 176! non riduce tutto l’umanesimo al recupero del
platonismo – ricordiamo l’opposizione tra umanesimo platonico e non
platonico530 di cui spesso parla il filosofo – ma mette in risalto l’importanza
dell’altra corrente dell’umanesimo che rivendica il valore della parola
poetica, come parola donatrice di senso, e della prassi vitale e storica. Lo
studio dell’umanesimo allora non appare come il frutto di una curiosità
storiografica o erudita ma come uno sforzo, un impegno, per immettere la
questione dell’uomo sul terreno della correlazione di teoria e prassi che
riscrive anche il tema dell’utilità della filosofia e degli studia humanitatis.
Come leggiamo in La potenza dell’immagine solo in base al chiarimento di una
concreta tradizione storica – cioè di quella umanistica – può sorgere a una
nuova considerazione il problema attuale de a che cosa serve la filosofia, e
quindi il problema del rapporto tra teoria e prassi la problematica dell’umanesimo italiano –
proprio in relazione alla preminenza accordata alla prassi, alla negazione
della parola astratta, razionale – presuppone il superamento della dualità di
una realtà esistente, sperimentata, e di un mondo corrispondente alla ragione,
una dualità che conduce all’insuperabile divaricazione di teoria e prassi531.
Il recupero del passato filosofico – la tradizione umanistica – fa tutt’uno con
l’idea di un’utilità pratica della filosofia che per G. nasce proprio come
naecessitas, come risposta all’appello dell’Abissale, poiché conservare un
passato (è indifferente che si tratti di pensieri, monumenti o avvenimenti),
non considerato in relazione a un compito da assolvere nel presente, è il segno
di una cultura divenuta sterile. Ogni cultura, ogni tradizione, nella quale il
passato perde questa promettente considerazione, decade, avvizzisce. La
tradizione si radica solo nella comprensione del presente. All’interno di
questa prospettiva il filosofo milanese afferma che il vero umanesimo è quello
che incomincia con ALIGHIERI (si veda) e BOCCACCIO (si veda). Contro
l’indirizzo platonico costituito dal versante ficiniano – FICINO (si veda) --
dell’umanesimo per G. permane attraverso i contributi di Vives, NOZOLIO (si
veda), PEREGRINI (si veda), TESAURO (si veda), Graciàn, VICO (si veda), MURATORI
(si veda), LEOPARDI (si veda), una tradizione non-platonica ma retorica, che
resiste a quello , G., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, capitolo VI Antiplatonismo e platonismo, 175-197.
531 La potenza dell’immagine spirito razionalista che la relega nell’ambito
della letteratura, dissolvendo l’unione di retorica e filosofia. Il punto di
vista G.ano sull’umanesimo italiano emerge in netto contrasto all’enfasi sulla
ragione e sulla logica privilegiate dal paradigma scientifico. Quest’ultimo si
fonda sul presupposto che la conoscenza oggettiva sia l’unico modo per
comprendere la realtà. Questo tipo di impostazione logico-analitica,
caratterizzata dall’utilizzo del metodo scientifico, non è attenta all’hic et
nunc della situazione concreta ma crede di trovare assiomi autoevidenti
universalmente validi: rispetto al discorso retorico il discorso razionale
invece è fondato sulla capacità una di trarre deduzioni e quindi di legare
delle conclusioni a delle premesse. Il discorso razionale raggiunge la sua
funzione dimostrativa e la sua stringenza mediante la dimostrazione logica. Ne
deriva che il discorso retorico non può avere alcuno spessore filosofico
all’interno del paradigma scientifico. Il discrimine fondamentale tra
l’approccio scientifico e quello retorico al reale risiede nella ricerca dei
principi. La retorica vuole indagare l’origine dei primi principi e la scienza
si arresta alla constatazione delle premesse. Se il discorso dimostrativo è
quello che lega la definizione di un fenomeno riportandolo ai principi ultimi,
alle archai, è chiaro che le prime archai di qualsiasi prova, e quindi
conoscenza, non possono essere esse stesse essere provate, in quanto non
possono essere oggetto di un discorso apodittico, dimostrativo e logico534. Da
qui sorge il problema dell’individuazione del tipo di logos adatto ad una
ricerca sui primi principi, sulle premesse indimostrabili. La risposta G.ana è
nota: l’uso di tali espressioni, che appartengono all’originario, al
non-deducibile, non possono avere carattere e struttura apodittica e
dimostrativa, ma solo indicativa. É solo il carattere indicativo delle archai
che rende davvero possibile la dimostrazione535. La ricerca sul metodo adeguato
per accedere al reale conduce G. a tematizzare l’infondatezza di quella
opposizione tra filosofia topica e critica. Filosofia critica o filosofia topica? Il
dualismo di pathos e ragione, in Vico e l’umanesimo, 25-26. 534 Retorica e
filosofia, in Vico e l’umanesimo La dimensione retorica va considerata secondo G.
non come elocutio ma come inventio536: non si tratta di un ornamento edonistico
del discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una vis creatrice che
attinge al polimorfismo del reale: la Weltanschauung umanistica tutt’altro che
tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della metamorfosi, che
opportunamente si salda in G. alla centralità della metafora, stabilendo con la
topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami dal mandato sempre
provvisorio537. Il magistero degli umanisti e di Vico, quale ultimo interprete
degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva ma anche esistenziale
della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a G. di porre
l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero più che alla sua fase
declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura delle cose che
altro non è che nascimento in certi tempi e in certe guise (Scienza Nuova,
Degnità) G. rifugge dagli ideali cartesiani di chiarezza e distinzione optando
per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo il dualismo di pathos e ragione
si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e Vico, tra un filosofare critico e
un filosofare topico, che divengono le due allegorie del danno e del rimedio
per la filosofia autentica. Cartesio compare quale bersaglio polemico di un
discorso che vuole scardinare l’impostazione razionalista del pensiero. G. fa
sua la posizione heideggeriana che sottopone l’autore delle Meditazioni
all’affilata mannaia della distruzione ontologica valutando l’operazione
metodica di separazione tra io e mondo538, tra res cogitans e res extensa
un’assurdità. Se si postula una separazione non ci sarà alcuna possibilità di
ricomposizione della frattura come è possibile , sulle parti della retorica
dalle origini alle nuove retoriche di Perelman-Tytheca, Gruppo di Liegi,
retorica del silenzio di Valesio B. Mortara-Garavelli, Manuale di retorica,
Bompiani, Milano 2012. 537 390. 538
Sull’interpretazione heideggeriana dell’ontologia cartesiana del mondo , M.
Heidegger, Essere e Tempo leggere in Essere e Tempo ai paragrafi 19-21.
Secondo Heidegger, a partire da Cartesio avviene nella metafisica un importante
passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della
domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile la
comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce – ad esempio, nelle
suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo della tecnica come
estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza stessa della metafisica
che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum, infatti,
Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova posizione
dell’uomo, poiché l’uomo diventa subiectum540, il fondamento e la misura di
ogni certezza e verità. Asserisce il pensatore tedesco che la tradizionale
domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio
della metafisica moderna nella domanda del metodo, della via per la quale, è cercato qualcosa di assolutamente certo e
sicuro541. Tale metodo è il cogito e le sue strutture. G. fa sua l’impostazione
heideggeriana e afferma che occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio
cartesiano del pensiero moderno poiché il vero inizio è quello che include il
pathos all’interno del logos. Egli sostiene che all’inizio della filosofia
moderna Descartes escluse scientemente la retorica – e le altre materie proprie
dell’educazione umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della verità542.
Il dualismo di dimensione patica e dimensione razionale ha come conseguenza sul
piano teorico una contrapposizione tra il piano individuale, storico e
temporale della retorica e il piano generale, astorico, e svincolato dall’hic
et nunc. Il problema della connessione di pathos e logos, di filosofia critica
e topica, viene posto per la prima volta secondo G. in modo teoricamente
articolato nella filosofia vichiana del De ratione studiorum di cui egli
ricostruisce minuziosamente le tappe della critica al razionalismo cartesiano
nel saggio Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi,
Milano, G., Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e
ragione, in Vico e l’Umanesimo, 25. ! 180! e ragione. Le questioni
poste sul tavolo della discussione sono molteplici: la pretesa di partire da un
primo vero attraverso il dubbio metodico; esclusione delle verità seconde;
esclusione del verisimile543. Se il primo vero riguarda l’essere e la catena
deduttiva della dottrina della scienza atta a conoscerlo, le verità seconde
pertengono all’ambito delle necessitates umane che spingono l’uomo a ricercare
quei mezzi per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici. Il metodo critico
di impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera retorica,
immaginativa, fantastica, ma anche politica della vita umana, ridotta al suo
puro aspetto cogitativo. G. pone l’attenzione sul passo vichiano del De Ratione
in cui è enunciata la priorità della topica sulla critica: giacchè, come
l’invenzione degli argomenti precede per natura la valutazione della loro
veridicità, così la dottrina topica dev’essere preposta a quella critica544. Si
chiede il filosofo milanese: chi ci assicura che le premesse dalle quali parte
il processo critico non rispecchino solo un singolo aspetto della realtà,
limitando di conseguenza le conclusioni che ne derivano? Non ha il metodo
critico trascurato la retorica, la politica, la fantasia dimostrando così la
sua unilateralità razionalistica? Non è la deduzione che precede l’inventio, ma
al contrario ogni catena di ragionamento è possibile unicamente sulla base di
un ritrovamento di luoghi. Si tratta dell’arte topica, ossia l’arte
dell’invenzione di cui CICERONE (si veda) e Quintiliano ci hanno parlato e su
cui già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è riconosciuta la
capacità di individuare a quanti e quali oggetti si rivolgono i discorsi, da
quali elementi derivano, e come sia possibile avere tali discorsi facilmente a
disposizione546. La questione è ancora una volte quella di tenersi lontani da
una visione unilaterale della realtà tenendo conto piuttosto delle innumerevoli
forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua ricchezza. La
radicalizzazione dell’opposizione tra logos e pathos in realtà è spia di
un’esigenza Vico, Sul metodo degli studi nel nostro tempo, 39. 545 G.,
Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, in Vico
e l’umanesimo, 36. 546 Aristotele, Topica, 101 b 3. ! 181! di unità
nel quadro di una prospettiva onto-antropo-logica che mira a gettare un ponte
tra logos e pathos, tra pensiero retorico e scientifico. Leggiamo in Retorica e
filosofia che la tesi che l’essenza della filosofia si riduca esclusivamente al
processo razionale non regge. Anzitutto perché esso presuppone inevitabilmente
un’altra attività, quella dell’invenire, che lo precede547. Lo scopo del
filosofo è quello di trovare il fondamento comune di retorica e filosofia, e la
sua prospettiva non-riduzionista è capace di tenere conto di quella torsione
che avviene nell’uomo con il sopravvenire del linguaggio, come mediazione tra
gli istinti e gli impulsi da un lato e gli scopi dall’altro. Il linguaggio
segna e delimita i diversi aspetti dell’umano che esprime il proprio senso
della realtà primariamente attraverso un logos metaforico e non tramite la
definizione, il concetto, il linguaggio razionale. Di conseguenza la
soggettività che traspare dalle riflessioni G.ane non è dotata di una identità
monolitica e infrangibile, non è compatta e unitaria ma è una soggettività
frammentata e consegnata alla contingenza, alla circostanza, costretta a
ridefinirsi continuamente. Il Da-sein è allora atto di ricomposizione,
attraverso la ragione fantasticante548 (che tiene insieme come compossibili e
non come contraddittori logos-pathos), dei cocci dell’esistenza tra i quali ci
muoviamo, consapevoli dell’instabilità e della mutevolezza, del divenire che
necessita di un logos adeguato alla sua espressione: la metafora.
Nell’onto-antropo-logia G.ana ritroviamo un Da-sein che riconosce l’inesistenza
di un fondamento ma non rinuncia ad esporsi alla motilità dell’esistenza e a
costruire un senso tra le pieghe e le piaghe che caratterizzano il movimento
della vita. In questo percorso di fondazione e di costruzione l’idea di
retorica si pone in una posizione innovativa. Come sottolinea Gabin nella
recensione del 1983 a Retorica e filosofia G. può essere collocato di fatto nel
contesto della retorica contemporanea che mette in luce uno slittamento dalla
teoria della corrispondenza a quella G.,
Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, Vico e
l’umanesimo, 33. 548 Viaggiare ed errare, 180. ! 182! della
coerenza. Afferma lo studioso che gli echi di Richards, Burke, Barthes,
Derrida, Ijsseling e molti altri circolano nelle pagine di G, ragione per la
quale egli scrive nella tradizione di coloro che credono nella natura circostanziale
del pensiero e nella implicita unità di idea e immagine550. Tale slittamento
mette in luce, attraverso il ripercorrimento della lunga storia della retorica,
da Aristotele a CICERONE (si veda) e Quintiliano, d’ALIGHIERI (si veda) a BRUNI
(si veda) e VALLA (si veda), da VICO (si veda) a Nietzsche e UNGARETTI (si
veda), uno scopo ambizioso: capire meglio le ragioni profonde di quella storia
e, ripercorrendole, tornare all’universo contemporaneo per cercare di enucleare
alcune direzioni di ricerca e suggerire nuovi approcci. La teoria retorica G.ana
mette in luce una dimensione pragmatica della coerenza per dirla con McPhail551
che si fonda su una riconsiderazione del tema della credenza/pistis. Il
magistero umanistico conduce il filosofo a riscoprire il mondo della storicità
umana, il valore conoscitivo della fantasia-ingegno, della metafora, il ruolo
civilizzatore e coesivo della retorica, la funzione politico-economica dei
miti, il potere metamorfico del lavoro, capace di convertire la natura in
cultura. Il filosofo predilige nella sua indagine retorica il momento aurorale,
arcaico: i punti di partenza, i presupposti dell’agire, il momento genetico,
còlto nelle sue implicazioni gnoseologico- pratiche e antropologiche.
Privilegiando la dimensione pre-teoretica, il mondo della vita, il momento che
precede quello razionale, le archai originarie, di natura topica e non critica,
indicativa e non Mette in luce l’ipotesi
dello slittamento dalla teoria della corrispondenza a quella della coerenza in
G. M. L. McPhail, in Coherence as Rapresentative Anecdote in the Rhetorics of
Kenneth Burke and G., 76-118 in Kenneth Burke and contemporary European
thought: rhetoric in transition, Tuscaloosa, University of Alabama.
Sull’importanza di G. nella retorica contemporanea , S. K. Foss-K. A. Foss-R.
Trapp, Contemporary Perspectives on Rhetoric, Waveland, Long Groove Illinois,
capitolo III 54-74. Per un approfondimento dei temi della coerenza e della
corrispondenza nelle teorie della verità , M. Dell’Utri, Il falso specchio.
Teorie della verità nella filosofia analitica, ETS, Pisa 1996. , E. Raimondi,
La retorica d’oggi, 77-78. 550 R. J. Gabin, Review of Rhetoric and Philosophy: the Humanist
Tradition, Quarterly Journal of Speech 69, n. Echoes of Richards, Burke,
Barthes, Derrida, Ijsseling and many others ring through G.’s pages, for he
writes in the tradition of those who believe in the circumstantial nature of
thought and the underlying unity of idea and image, 221. Traduzione
nostra. Cf., M. L. McPhail, op. 77. A
comparison of the rhetorics of Burke and G. shows that both writers’
conceptualizations of language exemplify the evolution from correspondence to
coherence in contemporary rhetorical theory. Una comparazione delle retoriche di Burke e G. mostra
che le riflessioni sul linguaggio di entrambi gli autori esemplificano
l’evoluzione dalla teoria della corrispondenza alla teoria della coerenza nella
teoria retorica contemporanea. Traduzione nostra. ! 183!
dimostrativa, ingegnosa e non razionale, retorica e non logica, egli dedica
attenzione particolare ad autori, quali Aristotele, Vico e Leopardi, le cui
riflessioni si concentrano sulla dimensione aurorale della fondazione della
civiltà. Se con Vico e Leopardi siamo di fronte ad una idea di humanitas
all’insegna del pathos, secondo i quali la priorità non è affidata al
procedimento razionale, anonimo e astorico, al linguaggio denotativo, chiaro e
distinto, ma alla retorica e all’immagine, alla ricchezza e all’opacità dei
tropi, con Aristotele possiamo guadagnare un concetto di logica affidata alla
pistis, un’idea di sapere non fondata sulla deduzione – il filosofare
noetico-non metafisico. Sono in gioco tre aspetti fondamentali: -! la
focalizzazione sull’aspetto fondativo del linguaggio -! l’analisi dei principi
epistemici fondati sulla dimensione simbolica del pensiero e dell’azione umani
-! l’articolazione dell’aspetto ontologico che caratterizza l’esistenza umana
in termini di metafora drammatica, che ha una natura affermativa e positiva in
quanto forza propulsiva nella Menschwerdung G. vede l’esistenza umana come
essenzialmente retorica ed esplora la metafora come l’aneddoto rappresentativo
dell’esistenza552 che ha potere generativo. La concettualizzazione dei grandi
temi della filosofia, ma anche dell’arte e della letteratura, sposta
l’attenzione sul mondo storico, sulle passioni dell’uomo, sulle tradizioni
drammatiche, teatrali e metaforiche dell’occidente. La particolare
considerazione G.ana dell’umanesimo e della retorica che lo contraddistingue
emerge proprio in contrasto con l’enfasi posta dal paradigma scientifico sulla
ragione e sulla logica. Il pensiero scientifico e filosofico tradizionale si
basa sulla presupposizione che la conoscenza razionale sia la via da preferire
per accedere al reale. La critica G.ana al deduttivismo logico e ad un sapere
schiavo della mathesis universalis lo conduce verso l’individuazione del
momento critico del pensiero razionale nell’indimostrabilità dei principi. 79. G. similarly sees human
existence as essentially rhetorical, and explores metaphor as his
representative anecdote. Traduzione
nostra. ! 184! IV. IV. La struttura della presupposizione Come
leggiamo in La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza di Vico
oggi la logica tradizionale distingue tra due modi per fondare la conoscenza.
Il metodo deduttivo comincia da premesse e deriva le inferenze già presenti in
esse. Qui è indispensabile che le premesse risultino universalmente valide e
necessarie ma le premesse sono necessariamente presupposte nella deduzione553.
A fare problema è la struttura della pre-supposizione, dell’upothesis. Secondo
il filosofo quando si tratta di protasi, di indicazioni di indole arcaica –
cioè originaria, dominante – siamo obbligati a riconoscere che essa non ha e
non può avere un carattere dimostrativo, discorsivo bensì – come si esprime
Aristotele – noetico554. I primi principi hanno carattere svelante e
manifestativo: si tratta del mitologema originario della filosofia, l’aporia
contro cui urta il soggetto parlante. Nella struttura della presupposizione,
dell’ipotesi, o, nei termini G.ani, dei principi indeducibili, si articola
l’intreccio di essere e linguaggio, di mondo e parola di ontologia e logica.
Per il filosofo i principi non possono essere dimostrati perché essi sono alla
base di ogni dimostrazione. Non attraverso la ratio si accederà ad essi, ma
attraverso il pathos, che non è il contrario del sapere ma un’altra forma di
sapere, un sapere arcaico. Dalla prospettiva del filosofo dobbiamo chiederci se
le asserzioni originarie non sono dimostrabili, qual è il carattere del discorso
con cui le esprimiamo? qui ci si pone di
fronte al problema fondamentale del carattere che ha e deve avere la
formulazione delle premesse, ossia delle basi556. Il discorso apodittico,
quello che prova e dimostra (apo-deiknymi), pone la definizione di un G., La
priorità del senso comune e e della fantasia: l’importanza di Vico oggi,
pubblicato in AA. VV., Vico and Contemporary Thought, Vol. I, Humanities Press
International, New Jersey 1976, ora in Vico e l’umanesimo, 43. Corsivo nostro.
554 Filosofare noetico non metafisico, 17. 555 Sul problema della
presupposizione come mitologema originario della filosofia , G. Agamben, Che
cos’è la filosofia, Quodlibet, Macerata 2016. 556 , G., Retorica e filosofia, in
Vico e l’umanesimo, 97. ! 185! fenomeno riportandolo ai principi
ultimi o archai. Ed è chiaro che le prime archai di qualsiasi prova, e quindi
della conoscenza, non possono esse stesse essere provate557. Tale sapere
arcaico coinvolge anche una riflessione sul mito – come principio instauratore
originario di una comunità558 – sulla dottrina topica-inventiva – interpretata
come dottrina della visione originaria559 –, sulla metaforologia – come prassi
linguistica e biologica560 –, sull’ingenium –come proprietà comprensiva più che
deduttiva dell’uomo561 – e sulla phantasia intesa nella sua funzione ontologica
come attività originaria che scopre le relazioni sulla base delle visioni delle
somiglianze562. L’apogeo della critica contro la deriva razionalistica del
pensiero si colloca nell’individuazione dell’opposizione delle nozioni
aristoteliche di nous e di episteme. G. infatti istituisce un collegamento tra
nous e archè, mettendo in luce la stessa matrice originaria dell’episteme:
l’urgenza, l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni
indicativi, colti attraverso la passione. Quella che G. definisce come noetica
è la forma originaria della filosofia e si configura come a priori
trascendentale di ogni dimensione deduttiva e storica. Leggiamo in Significare
arcaico che nella sfera dell’originario non esiste dualismo di pathos e logos e
nell’ambito dei segni indicativi noi esperiamo l’aletheia arcaica sacrale e con
ciò estatica, patetica, manica563. Per il filosofo se il dualismo di sapere e
di pathos non ha luogo nella sfera 96. 558 Mito ed arte, 162. , anche Arte e
mito, cit. 559 Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, 93. 560 , Potenza
della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, 192. La facoltà del
trasferimento di senso, il metapherein, è fin dall’inizio essenziale alla vita.
, La filosofia dell’umanesimo. In problema epocale, 179. La metafora con il suo
carattere immaginifico e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il
divario che corre tra la teoria, il concetto universale, e la pratica sempre
connessa con il caso particolare
l’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello
dell’Essere che si impone qui ed ora. 561 Retorica come filosofia. La
tradizione umanistica, 94. 562 Potenza della fantasia. Per una storia del
pensiero occidentale, 190. 563!Id., Significare arcaico, 491.! !
186! dell’originario564 – palesandosi solo nell’ambito, razionale,
dedotto – allora dobbiamo constatare che ogni discorso razionale si radica nel
discorso arcaico puramente semantico, il quale scaturisce nella sua
immediatezza nell’ambito del nous, dell’ingenium, della facoltà che realizza la
visione dei segni originari che presiedono al mondo umano565. L’aspra critica
al deduttivismo, al riduzionismo logico del pensiero, e alla matematizzazione
di ogni discorso non compromettono tuttavia lo spessore filosofico della
filosofia di G. che resta integro proprio nell’insistenza della ricerca sul
perché, su una, per quanto miope, visione dell’origine, su un primum esperibile
attraverso segni, indicazioni. Le indagini sulla retorica si inseriscono
all’interno del contesto ermeneutico di riabilitazione della retorica che, come
è noto, ha inizio con le riflessioni di Perelman. La riflessione condotta a
partire da una prospettiva di teoria dell’argomentazione e dell’eloquenza
genera un’aporia: l’alternativa teorica che si pone è tra un eccesso di
retorica e una chiusura nei confronti della retorica. La questione che G. pone
travalica l’alternativa tra rifiuto o accettazione566 e ha come fuoco di
ricerca l’indagine di quello spazio di sapere collocato tra retorica e
filosofia. La domanda che il filosofo si pone è: esiste questo e tra retorica e
filosofia? L’opposizione tra retorica e filosofia che è oggetto di Retorica e
filosofia del 1980 già si profila a partire da L’inizio del pensiero moderno in
cui il LINGUAGGIO vive la contrapposizione tra la sua veste
scientifico-dimostrativa e quella metaforico-indicativa. Nella nostra analisi
prenderemo in considerazione le diverse definizioni di retorica offerte dal
filosofo, che corrispondono a funzioni differenti a seconda del contesto nel
quale l’argomento retorico è trattato, .! 565!.! 566 Sulla concezione della
retorica in G. M. Marassi, Retorica,
storicità ed umanesimo, 199-216, in G., La filosofia dell’umanesimo: un
problema epocale, cit.; M. Marassi, Introduzione, 11-27, in G., Retorica come
filosofia. La tradizione
umanistica, cit. R. Blum, Rhetoric is the home of trascendent: G.’s response to
Heidegger’s attack on humanism, Intellectual History Review, 22:2, 261-287; M.
L. McPhail, Coherence as rapresentative anecdote in rethorics of Kenneth Burke
and G., 76-118, in B. L. Brock, Kenneth Burke and contemporary european
thought, University of Alabama Press, 1995. ! 187! allo scopo di mettere in luce non la
compromessa unità del concetto di retorica quanto piuttosto l’intrinseca
capacità di generare significati e contesti. IV. V. Il logos retorico: la
tripartizione del discorso Nel contesto dell’analisi delle molteplici forme di
discorso G. parte dalla messa in discussione della riduzione del discorso
retorico a semplice tecnica di persuasione. Secondo il filosofo il problema
retorico può essere affrontato da due punti di vista: si può considerare la
retorica in senso tradizionale, quindi come arte, come tecnica di
persuasione567 o da una prospettiva più generale di interazione con il sapere
teoretico. Per comprendere il senso autentico della concezione retorica dovremo
prendere le distanze dall’approccio speculativo che la riduce ad arte della
persuasione, privandola della componente filosofica. A tal proposito G.
individua TRE TIPI DI DISCORSO: il discorso retorico esteriore, IL DISCORSO
RAZIONALE [cf. H P. Grice, The rules of rational discourse], e il vero discorso
retorico. Il primo discorso si riferisce solo alle immagini perché influenzano
le passioni568 ed è il discorso retorico in senso classico. La seconda forma è
il classico discorso razionale a carattere dimostrativo. Infine c’è il vero
discorso retorico che scaturisce dalle archai569: esso non è deducibile ma è
indicativo. ! G., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica Tralasciando
il secondo tipo di discorso, quello razionale – di cui si è già detto sopra –
vorremmo soffermarci sul duplice senso del discorso retorico: come tecnica
della persuasione e come discorso semantico. Lo scopo dell’analisi del filosofo
è quello di rintracciare le caratteristiche del discorso semantico sulla base
del quale è possibile comprendere sia la retorica come tecnica di persuasione
sia il discorso razionale-scientifico. L’indagine sulla retorica allora allarga
il proprio raggio di azione ben al di là delle classiche tematiche oggetto
della retorica classica per divenire occasione per un ripensamento dei
fondamenti del sapere scientifico-filosofico e della tecnica oratoria
classicamente intesa. Quella di G. è non è l’ennesima sistemazione tassonomica
del materiale discorsivo ma una retorica come teoria che assurge a filosofia
generale e che ha come oggetto di riflessione i fondamenti pre-teoretici,
pre-categoriali, ante-predicativi del sapere. Il filosofo parla non a caso di
significare arcaico. Leggiamo in Retorica e filosofia che il discorso
indicativo o allusivo (semeinein) fornisce la struttura in cui può nascere la
prova. Inoltre se la razionalità è identificata con il processo di
chiarificazione, noi siamo costretti ad ammettere che la primitiva chiarezza
dei principi non è razionale, e a riconoscere che il linguaggio corrispondente,
nella sua struttura indicativa, ha un carattere evangelico570. Secondo il
pensatore milanese tale tipologia di discorso – quello semantico-arcaico – è
una Darstellung, una esposizione fantastica-teoretica. In questa esposizione
fantasia e teoria si identificano in quanto facoltà della visione: in tal modo
il discorso che realizza tale esposizione pone dinanzi agli occhi (phainesthai)
un significato571. Il sistema retorico G.ano mira a costruire il ponte tra
retorica e filosofia e proprio in questa operazione di integrazione possiamo
individuare l’unità del discorso contro l’ipotesi dualista su cui ci siamo già
soffermati572. Afferma il filosofo che la filosofia non è una sintesi
posteriore di pathos e logos, ma l’unità originaria di entrambi sotto il potere
delle archai originarie quindi la vera
filosofia è la retorica e la vera retorica è la Retorica e filosofia, in Vico e
l’umanesimo, 97. 571 . 572 .
filosofia. Contro la tradizione occidentale razionalista G. non pensa che la
retorica non sia fonte di conoscenza vera, anzi la retorica nasce
dall’insufficienza del pensiero razionale574. Così il termine retorica assume
un significato essenzialmente nuovo: retorica non è, né può essere l’arte, la
tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce
la base del pensiero razionale. Si tratta della tragedia del pensiero
razionalistico che si trova a fare i conti con la matrice stessa del suo
procedimento. La genesi della struttura del LINGUAGGIO razionale, dialettico,
dimostrativo è il linguaggio semantico, immediato, illuminante, indicativo. Se
il logos indicativo o allusivo fornisce la cornice in cui può nascere la prova,
la cui primitiva chiarezza non è razionale, dobbiamo riconoscere che il
linguaggio corrispondente ha un carattere indicativo ed evangelico nel
primitivo significato greco di questa parola, cioè di osservare. La retorica
come punto di partenza della scienza e della razionalità è contrassegnata da
una nota antropologica che si configura come compensazione
dell’indeterminatezza dell’essere umano. Essa allora costituirebbe una
situazione di emergenza, una strategia dell’esonero, uno strumento di azione in
mancanza di codici prestabiliti. Come avrebbe detto Blumenberg assioma di ogni
retorica è il PRINCIPIO DI RAGIONE INSUFFICIENTE e ciò vale anche per G. che
conosceva bene Blumenberg e che asserisce, con una sorprendente consonanza
teorica, che la retorica nasce dall’insufficienza del pensiero razionale. La
retorica allora mostra l’imbarazzante luogo in cui si trova: certifica da un
lato l’insufficienza e dall’altro pone in luce quelle prassi che si dipartono
da quell’insufficienza originaria e che non possono essere messe da parte in
nome di una scienza della verità e dell’evidenza. G., Retorica come filosofia, 74.
Corsivi nostri. 574 La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, 156. 575 Retorica
e filosofia, in Vico e l’umanesimo, 97. 576 . 577 H. Blumenberg, La realtà in
cui viviamo, Feltrinelli. , R. Messori, Le forme dell’apparire, cit. , G.-H.
Blumenberg, Correspondenz, consultabile presso il Deutsches Literatur Archiv di
Marbach. ! 190! Se in Blumenberg abbiamo una distinzione tra
retorica dell’ornatus e retorica come prestazione metaforica, tale che la
retorica come compensazione di una mancanza non si articola anche come
compensazione di una mancanza di verità e di evidenza – il che conferisce in
ultima istanza una piega antiretorica al discorso di Blumenberg – in G. la
compensazione entra in gioco proprio per l’esatto opposto: per eccesso di
evidenza, per eccesso di verità. Il reale contro cui urtiamo definitivamente,
che ci incalza e ci chiama – l’appello dell’essere – appare nella sua evidenza
abbagliante che possiamo solo patire. Come possiamo leggere in La metafora
inaudita: originarietà e paradossia della metafora ciò che patiamo non sono gli
enti ma ciò che in funzione dei sensi – entro i limiti di piacere e dolore – si
impone sempre carico di significato. L’uomo vive esclusivamente sotto l’impeto
di segni indicativi, cioè dell’abissale di cui i sensi sono strumenti. Das
Reale als Leidenschaft: il reale va inteso come passione. Secondo G. è il
reale, il mondo, con tutto il suo carico di estraneità e di alterità, che fa
scattare il meccanismo retorico, la risposta umana alla multilateralità della
vita che è evidente, si pone sotto agli occhi, ma allo stesso tempo è
caratterizzata da un’opacità che ci costringe al lavoro dell’interpretazione
esistenziale – sia essa del testo, della lingua, del concetto. Del resto in G.
retorica e filosofia, pathos e logos non sono che due approcci
metodologicamente distinti ma che hanno una medesima origine: il reale che
genera angoscia, la quale indica la fondamentale esperienza esistenziale
dell’inadeguatezza del codice biologico582. Essa spezza il cerchio funzionale
puramente biologico e a mezzo della
parola, porta l’uomo alla conoscenza di tale potenza, cioè alla consapevolezza
della propria condizione strana e non addomesticata583. La proposta retorica
e Quella dell’uomo ricco che possiede la
verità. 580 Quella dell’uomo povero che non possiede la verità e che fa della
retorica una tecnica compensativa. 581 G., La metafora inaudita: originarietà e
paradossia della metafora, 5-20, in Quaderni di italianistica Volume IX, No. 1,
1988, 15. 582 Retorica come filosofia, 189. 583 Ivi. I corsivi sono
nostri. ! 191! linguistica del filosofo si pone in antitesi alla
coeva retorica di Perelman-Tyteca almeno per quanto concerne la teoria
dell’evidenza. In Trattato dell’argomentazione abbiamo una definizione del discorso
proprio in relazione al suo rapporto con l’evidenza: la natura stessa
dell’argomentazione e della deliberazione s’oppone alla necessità e
all’evidenza, perché non si delibera dove la soluzione è necessaria, né
s’argomenta contro l’evidenza. Il campo dell’argomentazione è quello del
verosimile, del probabile, nella misura in cui questo sfugge alle certezze del
calcolo584. Secondo questa concezione il campo dell’argomentazione è la prassi,
l’attività umana, e un inaggirabile carattere è quello dell’incertezza. In
quest’area dell’indefinibile una volta per tutte rientrano tutte quelle
opinioni, giudizi di valore, inquietudini, incertezze che non si qualificano
come errori, non si oppongono in modo irrevocabile ad una verità (che risponde
solo ai criteri della scienza) ma che rientrano a pieno titolo in quell’idea di
ragione integrale in cui il vero si declina come verisimile. Emerge il tema
dell’eikos concettualizzato anche da G. nella sua lettura di VICO e che mostra
il progetto di una nuova retorica che fa appello ad una idea di ragione e
verità che non si misura solo con il criterio dell’evidenza ma che salvaguardia
il valore di verità delle questioni morali, sociali, politiche e religiose.
Afferma il filosofo in Retorica come filosofia che il logos della nuova retorica
è quello capace di dire il fondamento del mondo umano, il mondo come
espressione di disperazione nella situazione specificamente umana585. Tale
logos in quanto onoma e rhema, in quanto nome e verbo, dice non solo l’oggetto
(objectum) ma la totalità di significatività nella quale è inserito l’oggetto.
Sostiene il filosofo che questa distinzione – quella di onoma e rhema –
acquista un significato fondamentale. La parola in quanto nome designa ciò che
chiamiamo oggetto (objectum). Ma un oggetto non esiste mai isolato, poiché
appare sempre solo nella dinamica di un compito da adempiere rispetto a certi
bisogni586. La parola allora non definisce e non isola i fenomeni sensibili ma
è lo spazio in cui accade la loro relazione reciproca e la connessione con C.
Perelman-L. Olbrechts-Tytheca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica,
Einaudi, Torino 2001, 3. 585 G., Retorica come filosofia, 191. 586 192. I corsivi sono nostri. ! 192!
l’essenza umana. La parola in quanto presupposto e annuncio viene perciò espressa nel linguaggio
retorico, in quel linguaggio che si impone nel nostro impegno disperato e
patetico, dal momento che la preoccupazione principale è quella di formare
l’esistenza umana587. Proprio perché massimamente evidente nella sua poliedricità
il reale trova la sua dicibilità nella multiformità linguistica: attraverso il
dire metaforico. Secondo il filosofo la metafora agisce come una luce perché
presuppone un’intuizione di relazioni. L’essenza della parola risposa nella sua
struttura analogica e traspositiva. L’unica parola capace di indicare il
trasferimento, il potere di mutazione e trasposizione è la metafora. G.
sottolinea come il traslare (metapherein) non ha originariamente un significato
linguistico e tanto meno letterario: il termine metapherein indica il
tra-sferire un oggetto da un luogo ad un altro – dualità – il che presuppone un
passaggio, un transito, un ponte che l’uomo deve progettare, cioè gettare da un
luogo ad un altro luogo, da un qui ad un là589. La questione non è tanto quella
di congedarsi dalla verità ma quella di abbozzare i prolegomeni per una
riflessione metodologica sui fondamenti del discorso, sui presupposti
dell’argomentazione. La nuova retorica G.ana prende congedo da un’idea di
evidenza di tipo matematico-scientifico, e fa perno su un’idea di evidenza come
certezza: lo sfondo antropologico della retorica sottolinea come il nostro
sapere sia basato sulla fiducia, sulla pistis che ha la stessa radice di
persuadere. La certezza è una sorta di fiducia originaria. Come il filosofo
asserisce in Il ripudio del razionale la pistis non è opinione né
conoscenza poiché non ha le radici
nell’indicazione di una ragione, ma è il risultato di un’esperienza
fondamentale che porta a un atteggiamento. Tale atteggiamento scaturisce
dall’esperienza di un compito (Auf-gabe) nel duplice senso della parola:
l’esperienza di una domanda (An-spruch), una dichiarazione nei riguardi
dell’essere590. Il rapporto fiduciario costituisce allora uno dei tratti
antropo-biologici fondamentali che solo successivamente si tramuta in techne
retorica – la retorica come arte della persuasione. Attraverso la . I corsivi sono nostri. 588 167. 589 La metafora inaudita: originarietà e
paradossia della metafora, 10. 590 Il ripudio del razionale, in Vico e
l’umanesimo, 165. ! 193! lunga preistoria umanistica
dell’antropologia filosofica per G. possiamo comprendere il fondamentale
incrocio fra la questione della natura umana e quella retorica della funzione
della trasmissione del sapere e della costruzione. La retorica diviene una
tecnica per condurre la vita, elaborata da parte di un essere, l’uomo, che si
scopre povero di mondo, e, dunque, costitutivamente bisognoso di strategie
indirette di sopravvivenza per la costruzione di un universo culturale. Il discorso
more rhetorico ingloba anche quella categoria del politico all’interno del
processo linguistico che rende possibile la fondazione della comunità.
L’apertura è verso una considerazione della retorica come meccanismo
antropogenetico – la fondazione politico-civile – e come riflessione
metodologica sui presupposti del discorso. Accostarsi alla retorica da un punto
di vista antropologico, come fa G., significa rintracciare il fondamento
tecnico dell’autoaffermazione nella costruzione di un mondo culturale e di un
sistema di istituzioni in quanto strategia di sopravvivenza in assenza di una
Umwelt naturale che assicuri l’esistenza umana. In questa prospettiva
ermeneutica vanno inquadrate le interpretazioni G.ane dell’umanesimo. Come si
afferma in Retorica come filosofia la negazione umanistica del primato della
logica rompe con l’ideale matematico della conoscenza1 e per comprendere questa
tradizione umanistica occorre prendere in considerazione quelle teorie che
trattano del problema dell’origine della comunità umana e della funzione
politica della poesia592. La tecnica retorica si configura come forma
paradigmatica di quella relazione indiretta, esonerante, con la realtà, che è
costitutiva della natura umana. L’idea guida è quella di un agire umano inteso
come compensazione dell’indeterminatezza cui risulterà coordinata una retorica
intesa come faticosa produzione di quelle concordanze che debbono subentrare al
posto del fondo sostanziale dei codici affinché l’agire diventi possibile. Tale
funzione compensativa della tecnica retorica guida il discorso di G. relativo
anche alle istituzioni: la vis retorica crea istituzioni. Retorica come filosofia, 133. 592 . Corsivi
nostri. ! 194! La radicalizzazione antropologica dell’idea di
retorica mette in risalto un aspetto fondamentale dell’interpretazione di G.:
il comportamento tecnico dell’uomo che genera la retorica, in qualità di
prestazione sostitutiva/esonerante, non esce dalla logica compensativa. La
retorica rimane per G. – proprio per la sua valenza antropologica – una
prestazione compensativa/sostitutiva, e la stessa funzione finisce con l’essere
attribuita retrospettivamente alla metaforologia e in prospettiva alla
creazione di istituzioni. La declinazione antropologica operata da G. comporta
che il fenomeno storico retorica sia privato della sua storia concettuale e
delle sue funzioni effettuali nella storia della cultura e della società, e sia
eletto a metafora assoluta della conditio humana. Tocchiamo qui uno dei nervi
scoperti del discorso di G., che rimane chiuso in un’interpretazione che in
ultima analisi lo costringe a considerare il comportamento tecnico dell’uomo
come una prestazione sostitutiva/esonerante, non uscendo dalla logica
compensativa, e non fornendo in alcun modo una lettura adeguata della natura
tecnica dell’uomo, cioè di quella stessa interazione natura/ars da cui pure
muoveva l’interesse antropologico per la retorica. La salvaguardia delle
molteplici forme di apparire dell’essere – il vero, il buono, il bello –, della
metamorphè costitutiva del reale, induce G. a ricercare la forma linguistica
adeguata a dire tale metamorphè. Il filosofo si pone i seguenti quesiti: -!
attraverso che cosa sorge il mondo umano se l’uomo, a differenza degli animali,
non ha un ambiente immediato, se questo deve essere costruito ogni volta
dall’individuo? In altre parole, qual è la causa dell’umanizzazione della
natura? 593 -! come si rapporta questa costruzione del mondo umano al fenomeno
del linguaggio, del logos?594 -! è possibile superare la concezione puramente
formale della conoscenza? 183. Corsivi
nostri. 594 . 595 .Corsivo nostro. ! 195! Le domande che vengono
poste riguardano tre livelli della riflessione: il livello antropogenetico
della fondazione della civiltà; il piano linguistico dell’espressione del
rapporto uomo-mondo; il tema epistemologico della natura della conoscenza.
Cercare di risolvere questi problemi comporta per G. un’analisi della storia
dell’umanesimo che propone una rinnovata idea di logos. Il logos non può essere
ridotto al suo aspetto formalizzato, logicista, scientifico. Una questione
fondamentale è quella del passaggio dall’Umwelt alla Welt, dal mondo ambiente
contraddistinto dall’immediatezza non-verbale del codice biologico al mondo
umano. Secondo il filosofo esiste un’area in cui possiamo trovare segni
indicativi e costrittivi senza la mediazione della razionalità e del
linguaggio: si tratta del mondo organico. L’analisi del mondo organico mostra
degli aspetti che possono essere ritrovati nel mondo sacrale e retorico. Nell’ambito
dell’organico ogni genere e specie vivente sta sotto i propri segni determinati
e indicativi. Tali codici/diastema mostrano che la realtà appare alla creatura
vivente esclusivamente entro selezioni. Le selezioni (codici/diastema) si
inseriscono all’interno del cerchio funzionale simbolico della vita – nozione
mutuata da J. Von Uexküll – che indica un’unità intatta di segni che sono
significativi per la vita599. Secondo il filosofo l’analisi del mondo animale e
biologico consente di rintracciare delle analogie con le strutture del mondo
sacrale, religioso, retorico che getta luce su un’idea di filosofia rinnovata
in senso non intellettualistico. 182. 597 180. 598 180-181. I corsivi sono nostri. 599 181. ! 196! Dal punto di vista G.ano
i semata che ritroviamo nel mondo biologico mostrano un’intrinseca forza
induttiva (epagein-inducere)600, essi hanno un carattere di guida (arcaico) che
costringe l’animale a creare il proprio ambiente nei limiti del proprio cerchio
funzionale simbolico finalizzato all’autoconservazione. Questi segni possiedono
una funzione metaforica perché trasferiscono un significato a ciò che gli
organi manifestano. Attraverso questo trasferimento di significati appare
all’organismo il suo ambiente specifico che costituisce la sua sola realtà. I
segni hanno un carattere induttivo di guida. L’originarsi di questi ambienti,
di questi kosmoi – nel doppio significato del termine greco come ordine e
ornamento – avviene a livello organico601 per l’autoconservazione. L’unità dell’ambiente
intatto e olistico dell’animale in cui la comunicazione avviene per voci
significative (psophos semantikos) viene meno nell’uomo. La rottura del codice
non verbale immediato che porta alla genesi del mondo umano implica anche il
superamento del livello della comunicazione fonetica immediata602 e la nascita
del logos. Con il linguaggio si profila un compito per l’uomo: il compito di
costruire il mondo in cui vivere603 che spetta all’essere umano come singolo e
non ai segni indicativi immediati del mondo olistico e non problematico.
L’esperienza della frattura – la disintegrazione del mondo intatto e olistico
del biologico – mette l’uomo di fronte alla propria Angst: gli uomini patiscono
l’angoscia che si presenta nell’esperienza fondamentale di non avere a
disposizione un codice immediatamente efficace605. Ma come avviene questa
frattura nel mondo animale? Il logos è causa della disintegrazione del cerchio
funzionale simbolico o prestazione compensativa per riunire ciò che si era
spezzato? Il logos umano: suono, voce, parola Secondo G. occorre rifiutare la
tesi secondo la quale il linguaggio stesso è la causa per eccellenza della
dissoluzione dell’unità dell’organico poiché astrae e isola gli oggetti della
vita da quel ritmo vitale in cui essi emergono e ricevono il loro significato606.
Al contrario il linguaggio sorge nel momento in cui la dissoluzione è già
avvenuta. Infatti perché l’uomo dovrebbe cercare un logos – un codice
completamente diverso dalla comunicazione fonetica pre- verbale – se l’unità non
fosse già scomparsa a favore di una separazione tra soggetto e oggetto?
Sostiene il filosofo che la funzione significativa del linguaggio può essere
spiegata solo come superamento di un isolamento o di una astrazione già
sopraggiunti precedentemente e come separazione di soggetto e e oggetto. Perciò
si impone la necessità di una definizione verbale una volta che si sia
indebolita la comunicazione pre- verble607. Il linguaggio non è la causa della
separazione, del dualismo soggetto e oggetto, ma una prestazione compensativa
con la funzione di ricostruire un legame. L’inadeguatezza del codice
pre-verbale che genera il logos attesta l’assenza nel mondo umano di un codice
immediato. Compito del linguaggio è quello di trovare e formare una symplokè,
un congiungimento di soggetto e oggetto608. Il logos nasce sullo sfondo di
un’esperienza: quella dell’angoscia che testimonia la natura non
addomesticata609 dell’uomo. Per comprendere l’analisi del linguaggio svolta da G.
dobbiamo prendere in considerazione le sue riflessioni sul suono, sulla voce e
sulla parola esposte in particolare nei saggi Prolegomena ad una concezione
della retorica. La phonè come elemento indeducibile del 606 185. Il riferimento polemico G.ano è alla tesi
di R. Thom esposte in Modelli matematici della morfogenesi, Einaudi, Torino
linguaggio, in La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora e
nel testo La metafora inaudita. Sostiene il filosofo che per delineare i
prolegomena610 al problema del linguaggio occorre analizzare i concetti di
psophos e phoné. Prendendo in considerazione le affermazioni aristoteliche
contenute nel II libro del De anima circa la natura delle voci come suoni
semantici costitutivi del linguaggio611 il filosofo italiano pone in evidenza
l’intima struttura metaforica della voce – il suono semantico – che va a
costituire il linguaggio. Aristotele distingue fondamentalmente il suono (psophos) dalla voce (phoné) per
poi definire la voce come suono
indicativo (psophos semantikos). Da ciò dovremmo dedurre che la voce
costituisce qualcosa di completamente nuovo in confronto al suono, non solo, ma
che la voce è una metafora, cioè nasce dal trasferire (metapherein) un
significato, un segno indicativo (sema) al suono (psophos)612. La dualità tra
suono e voce –la voce è ciò che assegna al suono un significato – è fortemente
criticata da G. che invece ha come scopo quello di superare il dualismo
mettendo in discussione l’idea che il suono non abbia un intrinseco
significato. Si chiede il filosofo è dunque valida la concezione tradizionale
dualistica di suono senza significato e voce, suono semantico indicativo,
phoné?613. G. dispprova la spiegazione aristotelica tecnico-meccanica del suono
per tre ragioni: tale spiegazione non tiene conto che il suono appare
attraverso uno strumento che nel caso dell’uomo è l’organo uditivo614; occorre,
al contrario, tenere presente che il suono ci appare solo entro l’ambito di un
codice che si impone615; bisogna considerare la mutevolezza del codice616. Come
La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, 9.
611!Aristotele, De anima II, 420 b 29.! 612!E. G., La metafora inaudita:
originarietà e paradossia della metafora, 9. 613!Id., Prolegomena è noto
Aristotele definisce il suono come ciò che è sempre prodotto dall’urto di
qualcosa contro qualcosa e in qualcosa, perché ciò che lo produce è una
percussione. É pertanto impossibile che si abbia un suono in presenza di un
solo oggetto, giacchè il percuziente e il percosso sono distinti617. Affinchè
il suono si trasformi in voce occorre tenere in considerazione l’elemento della
vita618. Solo l’essere animato può produrre il suono semantico, la voce, la
phonè. Se gli elementi determinanti della voce sono la vita (la voce è il suono
dell’essere animato) e il suo carattere interpretativo (il suo essere hermeneia
tinos) per G. occorre risalire all’ambito originario del suono: quello della
vita. Proprio l’operazione di radicamento dell’origine del suono nel mondo
della vita induce al filosofo ad affermare che per l’essere organico, cioè per
quello che manifesta il mondo attraverso i propri organi, non esiste un suono
che non sia voce619, ossia non esiste un suono di natura puramente meccanica ma
solo un suono dotato di un significato. Infatti per il filosofo i suoni
semantici schiudono il teatro, nel significato originario di questo termine,
cioè il luogo del vedere, del theorein620. Ma come e dove si rivela l’ambito
significativo testimoniato dal suono? Per G. innanzitutto nei sensi.
Riprendendo le teorie del fisiologo J. Müller621 sull’energia sensoriale
specifica – ossia quella legge secondo la quale ogni senso produce solo il tipo
di sensazione che ad esso è specificamente pertinente indipendentemente dal tipo
di stimolazione a cui è sottoposto – G. individua la possibilità di
rintracciare innanzitutto nei sensi la genesi della significazione. Egli
afferma che ogni sensazione è carica di significato622 e la significatività
della voce (che traspone un significato al suono) si radica 617!Aristotele, De anima Quanto alla voce,
essa è un suono dell’essere animato. In effetti nessuno degli esseri inanimati
emette una voce, ma per somiglianza si dice che ce l’hanno, come il flauto.
619!E. G., La metafora inaudita, 31.! 620!Id., La metafora inaudita:
originarietà e paradossia della metafora, 19.! 621!Il testo al quale G. fa
riferimento è Ueber die phantastischen Gesichtserscheinuungen, Koblenz, G.,
Prolegomena originariamente nella significatività già presente nei sensi.
Questi ultimi dotati di un’energia specifica e carica di significato pongono in
luce l’ambito originario di formazione del senso: la Lichtung/Rahmen. Ciò che
rivelano i sensi, entro i limiti di piacere e dolore, non è un’opera, un ergon,
estraneo ai sensi, non è un’opera meccanica, né un’opera poietica, ma praxis,
intesa come parousia623. Ma quel è la struttura di questa parousia? Tale ambito
originario ha una struttura metaforica. Per il filosofo occorre scorgere la
metaforicità del reale attraverso la passione che si rivela come l’ambito in
cui l’uomo fa esperienza dell’appello dell’essere. Si chiede il pensatore: in
cosa consiste il carattere metaforico dei segni sensibili? Esso si rivela nella
passione, nell’ambito della quale l’ente organico – tra i limiti di piacere e
dolore – fa l’esperienza dell’oggettività di corrispondere o non corrispondere
a ciò di cui è un’indicazione624. Il problema dal quale partire è quello di
corrispondere all’appello dell’essere, alle necessitates che di volta in volta
si presentano all’uomo: emerge il tema del superamento della insercuritas
esistenziale625, del bisogno esistenziale che va soddisfatto attraverso il
proprium dell’uomo, ossia la parola. Si chiede il filosofo: come definire ciò
che ci è consueto, ciò che ci è proprio, ciò in cui siamo a casa, ciò in cui ci
sentiamo a nostro agio, al riparo, difesi? É forse il linguaggio, la parola? Ma
quale linguaggio, quello razionale oppure quello poetico? Che funzione ha la
parola nell’affrontare il desueto, la realtà che ci è estranea, sconosciuta,
aliena?626. Il tentativo di superare l’insicurezza esistenziale, la spaesatezza
dell’Aperto conduce l’uomo al linguaggio: la dimora che custodisce quella
relazione essenziale tra il Dasein e il Sein. A fare problema per G. è l’individuazione
di un linguaggio che sia casa dell’essere: da qui l’analisi !Ivi, 49-50.!
624!Ivi, 50. 625!E. G., Ermeneutica dell’estraneità. Originarietà della parola
poetica (Heidegger, Ungaretti, Neruda), in Studi di estetica, Bologna, 21-33.
626!Ivi, 21. ! 201! della metafora nella sua priorità rispetto al
concetto, e della poesia come espressione della storicità dell’esistenza. IV.
VIII. Metafora e concetto Afferma il filosofo che il vedere, la visione, insiti
nella teoria come fondamento di ogni procedimento razionale si attuano
attraverso una metafora627 e si chiede
se la metafora che ricorre per lo più alle immagini, va considerata un mezzo
solo letterario o è indispensabile per
esprimere l’Originario628. La Frage che sorregge la sua indagine metaforologica
mostra una componente onto-antropo-logica poichè riguarda l’uomo, riguarda la
realtà e costituisce il modo di darsi delle cose, il nostro modo di essere
affetti dal mondo circostante: non un orpello linguistico, una fictio retorica,
la metafora è per G un dispositivo antropo-poietico. Sostiene il pensatore
italiano che alcuni limitano la funzione della metafora alla trasposizione di
parole, cioè di una parola dal suo proprio campo ad un altro. Tuttavia, tale
trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle
somiglianze che appaiono nei diversi campi
la sua funzione è quella di rendere visibile una proprietà comune ai
vari campi. Essa presuppone la visione di qualcosa ancora nascosto ma dobbiamo andare più a fondo del piano
letterario. La metafora sta alla base del nostro mondo umano. Poiché essa si
radica nell’analogia tra cose differenti e fa immediatamente balzare agli occhi
tale analogia, essa contribuisce in modo fondamentale alla struttura del nostro
mondo629. Siamo al cospetto di una teoria della metafora che coniuga l’analisi
della metafora come espressione metaforica con quella della metafora come
fenomeno globale di tipo cognitivo ed esistenziale. Attraverso la metafora
godiamo la visione di una momentanea radura (Lichtung)630 che mette in campo
una riforma della filosofia non ridotta ad astratta ontologia, ma che riconosca
Potenza dell’immagine. Rivalutazione
della retorica, 18. 628 . 629 Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica, 76. Corsivo nostro. 630 Il dramma della metafora, 14 !
202! l’importanza dell’esperienza storica631. La riflessione sulla
metafora è per G. un modo di superare le falle dell’hòros, del concetto, che
non è in grado di dire la natura temporale, storica e metamorfica degli enti,
che si esprimono nei sempre diversi significati vitali emergenti nello sforzo
interpretativo o semantico. Infatti, per il pensatore italiano
l’interpretazione è possibile solo sulla base di un’indicazione, da qui la
preminenza della semantica rispetto all’ermeneutica, come emerge in Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica. Egli asserisce che l’indicazione
(semainein) precede, dunque, l’interpretazione (hermeneuein), poiché forma la
cornice entro la quale possono sorgere delle dimostrazioni632; essa è la
condizione trascendentale del linguaggio, quel fondo mitico che appartiene al
mondo del sacro e del religioso che non dimostra ma indica. Il linguaggio
semantico è un logos che ostende il fondamento e rompe quel silenzio
primordiale delle cose mute che ci circondano nell’Aperto della ingens sylva.
Accanto a questo logos semantico, che è contraddistinto da una chiarezza che
non è il risultato di un chiarimento633, abbiamo il logos ermeneutico, quello
dell’interpretazione che si fonda sul processo della dimostrazione. Secondo il
filosofo il termine metafora è esso stesso una metafora; deriva dal verbo
metapherein, trasferire, che originariamente descriveva un’attività concreta.
Alcuni autori limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole,
cioè di una parola dal suo proprio campo a un altro. Tuttavia, tale
trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle
somiglianze634. Alla metafora fa da contraltare il concetto al quale spetta
come compito quello di afferrare, comprendere un fenomeno in riferimento al suo
fondamento universale. Nella ricostruzione etimologica G.ana il significato di
hòros può essere colto nella sua portata originaria mediante il riferimento al
verbo orìzo (determino) che sta alla base di questa parola, la cui radice hor-
è identica a quella di horào (io vedo): io vedo qualcosa nella luce del fondamento.
La definizione (horismòs) La potenza dell’immagine. Rivalutazione della
retorica. Retorica come filosofia, 76. , sull’analisi della metafora in G. M.
Marassi, G. e il primato della parola metaforica, 264-291, in I. Pozzoni, Voci
di filosofi italiani del Novecento, IF Press, 2011. ! 203! esprime
in tal caso proprio questa visione, ciò che è, ciò che esiste: in questo modo
sfugge a essa per forza di cose ciò che muta in se stesso, il singolo635, che è
compito della retorica autentica illuminare, in quanto scienza del particolare
e dello storico. Accanto ad una teoria della metafora non più gioco letterario
ma originaria, prima forma dell’ingegno636, grazie alla quale è possibile porre
la domanda sull’origine della storicità umana, e dunque sull’essenza
dell’uomo637, si affiancano nella filosofia G.ana la fantasia e l’ingegno che
con il nous aristotelico, interpretato alla stregua di unica espressione delle
archai nel loro carattere palesante e immediatamente indicativo 638,
costituiscono la triade del significare arcaico. Il senso autentico della metafisica
immanente di G. emerge proprio nel dia-legesthai, ossia nel dire attraverso il
logos il divenire dell’essere, che grazie al logos guadagna paradossalmente una
permanenza: questo è il senso della riflessione sulla metafora che è la
modalità logica di portare ad espressione l’essere del divenire. La metafora,
pur non sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile linguistico entro cui e
a partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti, G. afferma che la forma
originaria del colloquio nella sua funzione storica è metaforica639. IV.IX. La prassi
metaforica: metafora e metapherein La volontà di sottolineare l’arcaicità della
metafora come a priori del linguaggio, fondamento e Grund, fa emergere come la
metafora non sia intesa come tropo – o non solo come tropo, parola – ma come
energheia, atto traspositivo. La riflessione G.ana su metafora e retorica è
guidata proprio da questa idea di una teoria dell’atto metaforico che agisce
come trascendentale del linguaggio. Come 635Id., Potenza della fantasia. Per
una storia del pensiero occidentale, 222. 636Id., SIGNIFICARE ARCAICO, Potenza
della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, 202. 638Id.,
Significare arcaico, 494. 639 Il colloquio come evento, 71. ! 204!
emerge già a partire da Il problema della metafisica platonica il tema
della determinazione del ti esti, incrociandosi inevitabilmente con quello
della ',0(1*-, della manifestazione della realtà, pone anche il tema della
fondazione metaforologica. L’atto fondativo e mitico del reale è secondo G.
indicibile dal logos metafisico e la narrazione di quell’azione primordiale può
essere affidata unicamente al potere generativo trasformazionale della
metafora, che per G. non è un gioco letterario ma la prima forma dell’ingegno,
del nous e come tale unica espressione delle archai nel loro carattere
palesante e immediatamente indicativo. Il polimorfismo ontologico viene
maggiormente salvaguardato attraverso il pensiero topico, ingegnoso, in grado
di apprendere e rintracciare i loci dell’argomentazione; capacità, questa, di
cui il pensiero critico, tutto confinato all’interno della catena delle
deduzioni, sembra essere privo. Il nucleo teorico fondamentale è quello di
saper ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a partire
dalle quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di ragionamento
esatto. Al filosofo non interessa dunque il meccanismo strettamente semiotico
di singole espressioni metaforiche: come possa essere descritto il
trasferimento semantico ad esse sotteso, quali componenti riguardi, se
proprietà atomiche o interi nodi di storie. Interessa invece ciò che questo
trasferimento nasconde, ciò a cui supplisce, che cosa raccontino del modo
attraverso cui l’uomo ha cercato di esprimere il proprio rapporto con la
realtà. Per G. la metafora si configura come un fenomeno cognitivo, un medium
attraverso cui il pensiero non solo si articola, ma su cui si fonda: essa è ed
è stata una componente essenziale dei processi attraverso cui le culture
interpretano e strutturano il mondo che le circonda. Il filosofo afferma in
Prolegomena ad una concezione della retorica. La phonè come elemento
indeducibile del linguaggio che non va dimenticato che il traslare
(metapherein) non ha originariamente un significato linguistico e tanto meno
letterario; il termine metapherein indica il trasferire da un luogo ad un altro
luogo e Significare arcaico, 494. ! 205! ciò presuppone un
passaggio, un transito, un ponte. L’uomo deve progettare questo passaggio,
gettare un ponte da un luogo ad un altro. L’approccio antropologico-filosofico descrive
e ripercorre una modalità di accesso al senso attraverso la metafora, e allo
stesso tempo tenta di ricostruire la storia della fondazione del mondo della
vita e della comunità umana individuando nei processi di metaforizzazione e di
concettualizzazione i congegni antropogenetici e i fenomeni di base
dell’umanizzazione. Nella semantica metaforica di G. non trova posto l’usuale
contrapposizione del senso traslato con il senso letterale di un’espressione.
Infatti il termine metafora indica originariamente presso i Greci un’azione
concreta e per la precisione il trasferimento di un oggetto da un luogo ad un
altro; soltanto più tardi il termine compare anche nell’ambito del
linguaggio642. Se l’idea che riduce la metafora ad orpello linguistico – senza tenere
conto della sua matrice pratica – va messa da parte occorre anche rifiutare la
prospettiva che tenta di sostituire la metafora al concetto. Per G. la metafora
non si trova a supplire momentaneamente l’insufficienza del concetto, fornendo
un significato di passaggio, un senso provvisorio in attesa di esser sostituito
da quello proprio dei termini logici. La particolarità dei termini logici –
l’esattezza – determina allo stesso tempo una perdita di polisemia, potremmo
dire una riduzione delle loro potenziali connessioni di senso. Essi sono
contraddistinti da una cristallizzazione del significato in un unico percorso
interpretativo, da una pauperizzazione semantica inversamente proporzionale
alla chiarezza e distinzione logica: è il fio che occorre pagare per una
filosofia pura. Per il filosofo interrogarsi sul ruolo della metafora equivale
perciò a chiedersi se la metafora rappresenti nel linguaggio filosofico
soltanto un residuo di rappresentazioni che dev’essere superato allorchè ci si
mette sulla via del logos643. Nella prospettiva tradizionale la metafora sembra
peccare di imprecisione, ragione per cui è sempre stata estromessa dalla
filosofia, per essere ricompresa nella retorica o nella poetica. Ma a ben 641 Prolegomena
ad una concezione della retorica, 40. 642!Id., Potenza della fantasia, 72.
643!Id., Potenza della fantasia, 72. Corsivi nostri.! ! 206!
guardare quella che per il pensiero logico è una imprecisione, uno scandalo per
la logica un elemento distraente che non
ha nulla a che fare con la realtà644, in realtà è dotata di una precisione
intrinseca dettata dalla necessità di natura. Il tratto di precisione della
metafora emerge all’interno del discorso su Vico il cui carattere di epocalità
è rintracciato proprio in quella divaricazione della metafisica in ragionata e
fantasticata. Ricorrendo al principio vichiano dell’homo non intelligendo fit
omnia G. asserisce che se con la metafora
si risponde alle varie necessità, il linguaggio metaforico, ricco di
elementi fantastici è originale, preciso, a differenza di quello astratto che
si allontana645 dal reale. L’analisi della metafora fa emergere l’idea di una
metafora drammatica e inaudita646, nel senso di assoluta, riprendendo una
feconda espressione di Blumenberg. Essa si rivela uno strumento ermeneutico e
va a strutturare i codici interpretativi che regolano e dirigono il nostro
giudizio sulle cose. Del resto già Kant, nel famoso paragrafo 59 della Critica
del giudizio (1790), trattando il procedimento della traslazione della
riflessione, definisce il simbolo647 in maniera del tutto simile alla metafora G.ana.
Essa determina un comportamento, un tipo di orientamento nel mondo che si trova
a esser strutturato dalla metafora. Attraverso la metafora un’epoca esprime le
proprie certezze, ma anche i propri dubbi, le proprie aspirazioni, le
aspettative, le azioni e gli interessi. Essa assume la Prolegomena, 41 645 G.
B. Vico: un filosofo epocale, in Vico e l’umanesimo, 202. I corsivi sono
nostri. 646 La metafora inaudita, cit.; Il dramma della metafora, cit.; Ermeneutica
dell’estraneità. Originarietà della parola poetica (Heidegger, Ungaretti,
Neruda), 21-33; La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora,
5-20. 647 I. Kant, Critica del Giudizio, tr. i. di A. Gargiulo, Introduzione di
D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2008, 183- 385. A torto e con uno stravolgimento
di senso i logici moderni accolgono l’uso della parola simbolico per designare
un modo di rappresentazione opposto a quello intuitivo. Questo (l’intuitivo) si
può dividere cioè in modo di rappresentazione schematico e simbolico. Entrambi
sono ipotiposi, cioè esibizioni (Darstellungen- exhibitiones) tutte le intuizioni che sono sottoposte a
concetti a priori sono dunque o schemi o simboli, e le prime contengono
esibizioni dirette del concetto, le seconde indirette. Le prime procedono
dimostrativamente, le seconde per mezzo di una analogia in cui il Giudizio compie un doppio ufficio,
in primo luogo di applicare il concetto all’oggetto di una intuizione
sensibile, e poi, in secondo luogo, di applicare la semplice regola della
riflessione su quella intuizione ad un oggetto del tutto diverso, di cui il
primo non è che il simbolo . La nostra lingua è piena di queste esibizioni
indirette, fondate sull’analogia, in cui l’espressione non contiene lo schema
proprio del concetto, ma soltanto un simbolo per la riflessione. !
207! funzione del codice. Per il filosofo occorre sollevare la questione,
di solito trascurata, della relazione tra codice e metafora648. Sostiene il
pensatore che l’atto di leggere e interpretare la realtà con un codice
specifico – ossia con un sistema di segni, gli elementi dei quali ricevono un
significato entro il sistema – costituisce una sorta di attività metaforica650.
L’attività metaforica mostra un’analogia con il codice poiché rende possibile
la visione degli enti e soprattutto la similitudo, ciò che è comune a più enti.
Riprendendo la teoria aristotelica esposta nella Poetica secondo cui l’usare
bene la metafora significa percepire con la mente l’oggetto affine651 G. pone
strettamente in relazione l’eu metapherein e il to omoi on theorein. La
metaforizzazione va identificata da un lato con la visione delle somiglianze ma
dall’altro libera la sua vis generativa nella scoperta del novum: il me
phaneròn. Ciò che è nuovo nella scoperta metaforica è ciò che non era evidente
in precedenza. La metafora scopre ciò che non era stato visto in precedenza, lo
porta alla luce, in quanto essa nasce dalla necessità della chiarezza652.
Proprio qui risiede la differenza tra codice e metafora: accomunati dal bisogno
di decifrazione653 codice e metafora si separano sul terreno della scoperta del
novum. Sostiene G. che nessun codice è capace di adempiere questa funzione,
perché un codice non fa che stabilire il sistema ordinatore di relazioni già
date, e sulla base delle quali qualcosa viene interpretato. Non esiste un
codice che conduca a un nuovo codice
funzione della metafora è l’invenzione, scoprire nuove relazioni. É la
metafora che produce ogni nuovo codice654. Risulta evidente che l’apertura
metaforologica del discorso di G. è paradigmatica e non classificatoria, nel
senso che essa si propone come un metodo che risale verso archetipi, i quali
!E. G., Heidegger e il problema dell’umanesimo, 76.! 649!Ivi, 75.! 650!.
651!Aristotele, Poetica, 1459 a 7.! 652 G., Potenza della fantasia, 74.
653!Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, fungono da paradigmi
esplicativi dei comportamenti e degli atteggiamenti cognitivi propri della
storia della cultura occidentale. Ogni metafora crea una Lichtung, un Rahmen
originario di riferimento, una zona virtuale entro cui si muovono e si
espandono i concetti e i confini dei campi semantici, stabilendo nuove
connessioni di senso, soprattutto tracciandone i percorsi che poi ogni epoca e
ogni autore attualizzano secondo una specifica declinazione del paradigma
fornito dalla metafora stessa. La produttività antropologica della metafora
viene quindi portata oltre l’antitesi con il concetto, allontanata dalla
contrapposizione tra un senso deviante e figurato e un senso proprio, che a sua
volta nasconde l’opposizione apparenza/essenza. Occorre risalire dalla domanda
che chiede come è distinguibile il proprium di una parola dalla sua
trasposizione?655 alla domanda che indaga sul terreno di formazione di un senso
traslato o proprio della parola e della metafora. Occorre analizzare la struttura
di visione delle somiglianze della metafora656. In contrasto con una concezione
del linguaggio che tende all’univocità oggettiva, la metaforologia G.ana indica
un’inconcettualità basica: ciò che interessa non è dunque l’esistenza di un
correlato di cui si asserisce l’assenza di formalizzazione linguistica o
l’impossibilità di predicazione, ma lo sforzo di esporre linguisticamente
l’ineffabilità stessa: la storicità del Da-sein. G. elabora una semantica
metaforica che affonda le sue radici in un orizzonte di inconcettualità e
sposta l’attenzione su quella dimensione di gettatezza, sul nostro essere
calati in un mondo di immagini che chiedono di essere interpretate. In uno dei
suoi ultimi testi, La metafora inaudita, G. si mostra meno interessato al
percorso di nominalizzazione che porta la metafora verso il concetto, come
accadeva invece nei precedenti lavori sull’umanesimo. La sua ricerca si orienta
sempre di più verso il terreno in cui si formano le metafore, e cioè il mondo
della vita, la Lebenswelt che mostra tutto il suo assolutismo, che viene
contrastato proprio attraverso le prestazioni della distanza nelle forme del
mito e delle metafore assolute, e quindi delle diverse pratiche metaforiche che
traducono queste Potenza dell’immagine prestazioni,
la cui funzione principale risulta allora compensatoria ed esonerante. Leggiamo
in Il dramma della metafora che la parola metaforica esprime a un tempo la
struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e l’unico modo
per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una rapidità
intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto657. I processi di
metaforizzazione e di simbolizzazione della realtà sono in altre parole lo
strumento con cui l’uomo riesce ad allontanare l’assolutismo della realtà e a
rendere meno violenta la sua percezione. L’analisi della prassi metaforica
parte dalla domanda dove, come patiamo l’oggettività dell’essere?658 che sorge
laddove si fa esperienza dell’incapacità di restituire la ricchezza della res –
il mondo oggettivo – attraverso l’univocità della definizione. Se l’essenza
della parola consiste nella sua tropicità, cioè nell’essere sempre un traslato,
necessariamente il problema della verità sempre e ovunque valida deve venir
sostituito dal problema di ciò che di volta in volta si svela nella storia659.
La retorica è la scienza storica per eccellenza: indaga ciò che di volta in
volta viene all’espressione e cala la dimensione dell’aletheia in quella
dell’Ereignis. Secondo il pensiero tradizionale gli enti vanno definiti
mediante un processo razionale che astrae dall’hic et nunc, dalla storicità. È
questo il prezzo da pagare per una conoscenza vera e immutabile: porre a
distanza tutti quegli elementi legati al qui ed ora: le immagini, le passioni.
Sostiene G. in Retorica come filosofia che le teorie cartesiane continuano a
determinare ancora oggi l’atteggiamento nei confronti dell’ideale culturale
dell’Umanesimo e della supremazia della parola. Opponendomi alle idee di
Cartesio desidero esplorare la tradizione dell’Umanesimo italiano. G. è mosso
dal convincimento che Cartesio esamina e valuta le discipline umanistiche del
sapere solo per stabilire se e in che misura esse possano trasmettere verità e
certezza. Tutta la questione umanistica si riduce ad un problema di erudizione
filologica che ha a che fare con la sfera delle 657Id., Il dramma della
metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina tipografica, Napoli , 165.
658Id., Prolegomena ad una concesìzione della retorica (la phonè come elemento
indeducibile della linguaLa filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, 156.
Corsivi nostri. 660 Retorica come filosofia, 80. ! 210! passioni e
delle immagini. La vera filosofia è quella critica a cui G. vuole opporre una
priorità trascendentale della topica e per farlo ricorre a Vico e a Aristotele.
Contro una simile impostazione che separa scienza e vita G. vuole proporre
un’idea unitaria di logos e pathos in cui la retorica assuma un ruolo
preponderante. Tradizionalmente la retorica – e i suoi elementi fondamentali:
le immagini, le metafore – viene considerata come ciò che va respinto in quanto
ragione non ancora realizzata661, come priva di chiarezza razionale e verità
rigorosa generando l’ideale cartesiano [di] una filosofia disadorna,
impersonale, senza tempo e senza luogo662. Tenendo in considerazione
l’importanza che l’umanesimo retorico attribuisce alla parola, come ciò che
apre il mondo, la filologia assurge a una posizione fondamentale all’interno
degli studia humanitatis. Secondo il filosofo la parola deve essere considerata
un fenomeno originario, non solo espressione del pensiero663. Nelle analisi
svolte abbiamo rintracciato una riabilitazione del pensiero umanista che parte
dal convincimento della preminenza del problema della parola su quello degli
enti. Secondo il filosofo il legame tra parole e cose non va inteso come
semplice corrispondenza delle une alle altre – poiché la parola non designa
univocamente la cosa – poiché il significato di una cosa dipende dal contesto
concreto in cui la parola viene utilizzata. La riflessione retorica stabilisce
un nuovo modo di filosofare noetico non metafisico che parte dalla parola e non
dall’ente. In questo percorso Vico riveste un ruolo particolare. IV. X.
Phantasia, ingenium, sensus communis: le fonti del mondo storico individuate da
Vico La proposta G.ana di ripensamento della retorica nella sua identità con la
filosofia viene sempre più a svelare il suo senso esistenziale e
intersoggettivo. La secca alternativa tra un filosofare ridotto a ricerca delle
verità eterne – condotta attraverso un argomentare poggiante su basi deduttive
ed un linguaggio razionale e formalizzato – e una retorica intesa come
argomentazione debole o Viaggiare ed
errare Potenza dell’immagine] tecnica del bel parlare – induce il filosofo a
ripensare la correlazione retorica-filosofia a partire dal nesso
vero-verisimile. Il tema è al centro di un saggio su Vico, Del vero e del VEROSIMILE
in Vico, che mostra come la figura del filosofo napoletano sia una presenza
costante all’interno dell’iter di pensiero G.ano – e non uno sbocco finale
della filosofia di G. – e costituisca l’occasione di determinare il significato
autentico di retorica. In Vico G. rintraccia l’originaria funzione ermeneutica
del linguaggio retorico, che ha il proprio fulcro nella figura della metafora,
prodotto dell’ingenium. Riproponendo una dicotomia – quella di Vico/Cartesio –
ritornante in maniera fortemente radicalizzata nei lavori successivi su Vico, G.
sottolinea come a differenza della filosofia critica poggiante sulla ratio la
filosofia topica vichiana si fonda sulle facoltà dell’ingenium e della fantasia
che sono facoltà di apprensione del reale immediate e intuitive e non
deduttive. Asserisce il filosofo italiano che la fantasia vichiana è
l’espressione dello spirito umano in quell’istante del ciclo storico, che esso
deve sempre nuovamente percorrere, quando l’ente originario si rivela all’uomo
solo in immagini, simboli, miti. A riguardo si deve notare che anche il mondo
della fantasia, come prima fase dello sviluppo dello spirito umano, non è un
mondo primitivo in senso negativo; è essenzialmente e perfettamente formato in
sé, per certi aspetti è ancora più vicino all’ente originario di quanto non lo
sia il mondo della ragione666. A differenza del pensiero critico il pensiero
topico ha come suo oggetto tematico il verosimile che appartiene alla sfera del
possibile e non del necessario ed è legato al tempo e allo spazio della
situazione. Leggiamo in Retorica e filosofia che solo l’intuizione delle
caratteristiche comuni o condivise nel senso summenzionato rende possibile il
conferimento di significati che consentono alle cose di apparire (phainesthai)
in modo umano. Poiché tale capacità è tipica della fantasia, è proprio
quest’ultima a permettere al mondo umano di !Id., Del vero e del verosimile in
Vico, 951-966, in I primi scritti, cit.!! 665 Sulla presenza di Vico in G. , R.
Messori, Le forme dell’apparire, cit.; S. Limongelli, Il problema dell’umano
nella filosofia di G., cit.; J. Sanchez-Esquillace, G. y la filosofìa del
Humanismo, J. M. Sevilla, Critica de la razon problematica, cit.; G.
Cacciatore, In dialogo con Vico, cit. 666!E. G., Del vero e del VEROSIMILE in
Vico] apparire667. Conseguentemente la fantasia si esprime originariamente
nelle metafore cioè nel conferimento figurato dei significati . La metafora è
quindi la forma originaria dell’atto interpretativo stesso che assurge dal
particolare all’universale attraverso la rappresentazione di un’immagine, ma
naturalmente sempre riguardo alla sua importanza per gli esseri umani. L’atto
erculeo è sempre un atto metaforico e ogni atto metaforico e ogni metafora
autentica è in tal senso lavoro erculeo668. É evidente che l’attenzione posta
sulla prassi metaforica669 va oltre il piano linguistico. La metafora non è
solo rappresentazione immediata di un’immagine poiché per la sua struttura
traspositiva assume un ruolo storico-politico: quello della formazione del
mondo umano come traspare dalla correlazione atto metaforico-atto erculeo. Il
riferimento ad Ercole – come abbiamo visto nel secondo capitolo – cela il riferimento
alla dimensione politica della fondazione della civiltà e si staglia sullo
sfondo di una prospettiva che si basa sulla priorità della topica e dell’ars
inveniendi sull’ars iudicandi. Una impostazione di questo tipo consente al
pensatore di guadagnare una concezione integrativa della sapientia come ars
vitae in cui filosofia e retorica si identificano nell’orizzonte ampio e più
alto di formazione civile670. Il sapere noetico-non metafisico è uno strumento
di formazione dell’essere umano nell’interezza delle sue esperienze storiche.
In questo contesto si comprende come la poesia per G. – sulla scia di Heidegger
e Vico671 – rivesta un ruolo fondamentale: essa non ha solo la funzione
storico-filologica ma anche un compito etico-politico. Abbiamo visto come il
concetto vichiano di fantasia assuma per G. una funzione decisiva. Vico afferma
in Le orazioni inaugurali che la fantasia immaginò le divinità maggiori e le
minori, essa immaginò gli eroi, essa ora svolge le sue idee, ora le collega,
ora le distingue; essa pone sotto i nostri occhi terre infinitamente lontane, Retorica come filosofia, 38-39. 668 . 669 , Prolegomena
ad una concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del
linguaggio, 48. 670 Come abbiamo visto nei capitoli precedenti G. distingue la
Bildung dalla Erziehung, la formazione dalla educazione. 671 su questo aspetto fondativo e politico della
poesia in Vico G. Cacciatore, Passioni e ragione nella filosofia civile di
Vico, 3-20, in In dialogo con Vico. abbraccia quelle distinte fra loro, valica
quelle inaccessibili scopre quelle inesplorate, apre strade per quelle
impervie672. L’importanza della fantasia nella teoria della conoscenza vichiana
è sottolineata da G. nell’ambito di una proposta ermeneutica di analisi della
fantasia e delle sue forme di funzionamento come paradigmi per delineare una
storia del pensiero occidentale. La rivalutazione della fantasia mira a
sottolineare quella straordinaria forza formatrice che la mente umana riesce ad
attivare tramite le sue azioni simbolizzatrici messa in luce anche dal Cassirer
filosofo delle forme simboliche. Quest’ultimo sostiene che i diversi campi
della creatività spirituale sono capaci di costruire uno specifico libero mondo
di immagini: un mondo che per la sua natura immediata porta tuttavia in sé il
colore del sensibile, ma che rappresenta una sensibilità già formata e quindi
dominata dallo spirito. Qui non si tratta di un sensibile semplicemente dato e
trovato, ma di un sistema di molteplicità sensibili prodotte in una qualche
forma del libero immaginare674. Secondo G. nella tradizione umanistica la vis
plastica e cosmica della fantasia e la relativa attività metaforica vengono
interpretate come fonti originarie dell’esistenza e del mondo storico. La
domanda dalla quale partire è: qual è l’ambito originario della fantasia, la
cui essenza è – come abbiamo visto – il metapherein?675. Nel tentativo di
risolvere la questione G. ricorre a VICO, considerato l’ultima vetta dell’umanesimo.
Egli offre con le sue riflessioni sulla fantasia e sull’ingegno, sul senso
comune, l’occasione fortunata per un ripensamento della storia del pensiero
occidentale al di fuori dei cardini dell’intelletto calcolante e della
metafisica astratta. L’autore della Scienza Nuova ha avuto il merito di
sviluppare la tesi di una logica della fantasia al fine di trovare l’accesso
all’umano – nella sua singolarità e concretezza –, un accesso che la logica
tradizionale, con G. Vico, Le Orazioni inaugurali, a cura di Visconti, il
Mulino, Bologna G., La potenza della fantasia. Per una storia del pensiero
occidentale, cit. 674 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I, La
Nuova Italia, Firenze. per una
correlazione tra la riflessione vichiana sulla facoltà mitico-simbolizzatrice
della fantasia e la filosofia delle forme simboliche cassireriana G.
Cacciatore, Simbolo e storia tra Vico e Cassirer, 85-104, in Cassirer
interprete di Kant e altri saggi, Armando Siciliano, Messina 2005. 675 G.,
Potenza della fantasia, 239. Corsivo nostro. 676 . ! 214! la sua
ricerca rivolta esclusivamente all’universale, non aveva ottenuto677. Secondo
il pesatore milanese con Vico siamo di fronte ad un logos phantastikòs in grado
di penetrare la realtà del mondo storico umano e individuale con maggior
successo di quanto non faccia la logica tradizionale678. In tale logica è
rintracciato il centro speculativo della Scienza Nuova che non è solo scienza
della storia ma antropologia innanzitutto. Il confronto dell’uomo con la natura
che rende possibile la nascita del mondo storico avviene sul terreno della
ricerca delle attività che liberano l’uomo dai bisogni materiali. Per G. il
problema fondamentala di Vico consiste nell’identificare l’ambito originario
all’interno del quale soltanto può in generale manifestarsi la storicità, ossia
il mondo umano come tale. Si tratta in ultima analisi di scoprire la struttura
dell’esistenza umana679. Questo passo è davvero illuminante poiché da un lato
ci consente di apprezzare la specificità della lettura offerta di Vico – un
Vico antropologo delle origini del mondo umano storico-politico- linguistico –
e dall’altro di cogliere la questione fondamentale che sorregge la Frage
onto-antropo- logica G.ana: l’analisi del mondo umano attraverso l’attenzione
all’ursprünglich Rahmen – la Lichtung – e alla Struktur des menschlichen
Daseins681 – l’analitica dell’esistenza di cui abbiamo detto nei precedente
capitoli. La questione del cominciamento del mondo umano è intimamente legata a
quella dell’origine della storia e dunque alla socialità a cui Vico assegna il
ruolo di elemento fondativo delle istituzioni politiche. G. punta a
sottolineare non tanto l’aspetto metodologico e 239-240. 678 , su questo aspetto della logica
della fantasia D. Verene, La scienza della fantasia, Armando, Roma e Vico’s
Humanity, Humannitas. Journal of the Institute of Formative Spirituality, XV
(1979). Qui lo studioso sostiene che la comprensione vichiana dell’umano è
mediata non dal concetto e dall’attività razionale ma dall’attività
mitopoietica della fantasia, dalle immagini e dalla forza creativa del
linguaggio. , anche G. Costa, Genesi del concetto vichiano di fantasia, in
Phantasia/Imaginatio, V Colloquio Internazionale, a cura di M. Fattori,
Edizioni dell’Ateneo, Roma 1988; M. Sanna, La fantasia che è l’occhio
dell’ingegno. La questione della verità e della sua rappresentazione in Vico,
Guida, Napoli 2001; G. Cacciatore, In dialogo con Vico, cit. G., Potenza della fantasia, . , anche la versione tedesca Die Macht der
Phantasie. Zur Geschichte abendländlichen Denkens, Athenäum, Königstein, 1979, 240.
681 . ! 215! storico-ricostruttivo, pur presente in maniera
preponderante nella Scienza Nuova, quanto l’elemento di ricerca dei principi
filosofici che sono all’origine del graduale processo di umanizzazione e
antropologizzazione del mondo e della natura682 in cui la fantasia assume una
funzione chiave e talvolta presentata dal filosofo milanese in maniera troppo
antitetica rispetto alla ragione. Ricordiamo che secondo Vico la fantasia è per
l’uomo un mezzo di produzione di immagini che rappresentano una griglia
interpretativa della realtà, costituendosi come condizione trascendentale della
crescita e dell’apertura mentale dell’uomo, del percorso di costruzione ed
elaborazione del suo cammino storico. La fantasia consente all’individuo di
comprendere il suo essere nel mondo, la sua circumstantia, di persistere nel
suo spazio vitale683, sebbene attraverso una comprensione della realtà non
adeguata, ma pur sempre vera, dovuta alla impossibilità umana di giungere alla
piena conoscenza di fenomeni che sono stati creati da una identità superiore
all’uomo. Pur accogliendo la prospettiva G.ana della rivalutazione del tema
della fantasia in Vico vorremmo sottolineare come per il filosofo napoletano il
mezzo di controllo della fantasia resti in ultima istanza la ragione, la sola
capace di regolare il ragionamento fantastico in modo da renderlo attinente al
mondo reale – viene salvaguardato in questo modo l’aspetto adeguativo del vero.
Qui si inserisce anche il proposito pedagogico presente nel Vico del De
ratione, per cui gli uomini, già dall’età della fanciullezza, hanno bisogno di
educare il loro modo di ragionare, che per Vico – come per Cartesio – comporta
l’utilizzo del metodo matematico. Il filosofo napoletano, come è noto,
distingue due fasi della vita di un uomo in cui, a seconda dell’età e
dell’esperienza acquisita, queste due capacità intellettive hanno una valenza
specifica e una preminenza nei confronti dell’altra: nei giovani prevale la
fantasia, negli adulti prevale la ragione. Sostiene Vico che come nella
vecchiaia prevale la razionalità, così nell’adolescenza prevale la fantasia: e
davvero non è in alcun modo opportuno nei giovinetti offuscare Per una lettura antropologia della Scienza
Nuova L. Amoroso, Introduzione alla
scienza nuova, cit. 683!E. G., Vico e l’umanesimo quella che è sempre stata
considerata l’indizio più felice dell’indole futura684. La condizione mentale
dei fanciulli li agevola a sviluppare la loro capacità immaginativa, componente
fondamentale in questo determinato periodo della formazione della personalità
umana. Con l’età adulta l’uomo inizia invece a inquadrare razionalmente gli
enti, a far prevalere la ragione sulla fantasia, ad uscire dallo stato di
minorità. Vico accetta entrambi i momenti della formazione dell’individuo,
senza porre un antagonismo delle facoltà, un manicheismo gnoseologico,
sottolineando con forza come non debba essere oppressa e trascurata la fase
originaria dell’essere- nel-mondo umano, quella immaginativa, che è
fondamentale per la crescita di una persona. Infatti Vico riconduce la fantasia
sotto la categoria della memoria, che a sua volta si suddivide in tre distinte
fasi: memoria come attività dell’intelletto umano che rimembra le cose;
fantasia come attività che altera e contraffà il ricordo originario; ingegno
come attività che pone in acconcezza e assestamento ciò che è stato
precedentemente modificato. Come sottolinea Cristofolini occorre tenere
presente la duplice valenza della fantasia in Vico: da un lato essa costituisce
la capacità primitiva di creare un impero della fantasia e del mito; dall’altro
necessita di essere limitata e sottomessa alle strutture della ragione685. A
differenza di un’ipotesi che ricomprende il concetto di fantasia all’interno di
uno sviluppo razionale graduale e progressivo G. propende per l’idea che la
fantasia, basata sull’esperienza delle molteplici interpretazioni che si
possono dare ai fenomeni sensibili, crea le prime analogie fra tali fenomeni e
con essi le prime connessioni e infine le definizioni686. Secondo il filosofo
milanese si tratta del primo adattamento della natura: attraverso la fantasia
l’uomo mette in atto quella domesticazione dell’essere che costituisce
l’essenza dell’attività mentale. G. individua tre significati fondamentali
della fantasia G. B. Vico, Sul metodo
degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, 37. 685 Cristofolini,
La Scienza Nuova di Vico. Introduzione alla lettura, Nis, Roma 1995, 84. 686 G.,
Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, in Vico e
l’umanesimo. vichiana: -! nella fantasia e mediante la fantasia si mostra che
l’essere umano, a differenza dell’animale, non soggiace a modelli dominanti che
danno alle percezioni sensibili un significato inequivocabile687 -! la seconda
funzione della fantasia fu di costringere l’uomo a farsi dominare dalla paura,
dal terrore di fronte alle cose688 -! la terza funzione della fantasia è quella
di essere il primo originario fattore che dà un significato al lavoro689
Secondo G. la fantasia intesa nel primo significato è strettamente correlata
alla nascita della poesia; nel secondo senso è legata alla nascita della
religione come prima forma di adattamento della natura e di genesi dell’ordine;
infine essa va concepita in relazione alla fondazione sociale e politica che è
innescata dal lavoro che allarga il proprio raggio di incidenza ben oltre i
confini dell’autoconservazione: la fantasia è la facoltà della visione per
eccellenza, essa è l’occhio dell’ingegno. Ingegno e fantasia: entrambe facoltà
che insieme al senso comune costituiscono la triade ermeneutica per una
corretta comprensione di Vico e della Scienza Nuova. Secondo G. Vico
ricostruisce la storia del mondo storico umano attraverso il ricorso al senso
comune. Leggiamo in La priorità del senso comune e della fantasia. L’importanza
di Vico oggi che secondo l’approccio vichiano il mondo storico sorge
dall’interdipendenza delle esigenze umane, dagli elementi di cui abbisogna
l’uomo. Da esso deriva la necessità di intervenire nella natura umanizzandola e
anche la necessità di stabilire istituzioni umane, comunità sociali,
organizzazioni politiche690. Alla base di questa struttura ritroviamo il senso
comune La priorità del senso comune, in Vico e l’umanesimo] che è guidato
dall’ingegno. Per G. l’ingenium è la facoltà di scoprire le somiglianze e
basata sulla facoltà dell’ingegno la fantasia
conferisce significati alle percezioni sensibili. Mediante tale
trasferimento la fantasia costituisce la facoltà originaria del far vedere
(phainesthai)691. Si tratta delle facoltà che appartengono sin dall’inizio alla
formazione del mondo umano. Come afferma Vico nella Metafisica del 1710 i
latini dissero facultas quasi dicendo faculitas da cui poi anche facilitates
come fosse una spedita, rapida solerzia nel fare. Pertanto è facoltà quella che
conduce la virtualità all’atto : senso, fantasia, memoria e intelletto sono
facoltà dell’anima692. Poco oltre il filosofo napoletano sancisce
definitivamente il legame tra memoria, fantasia e ingegno, così come tra
geometria e fantasia. In questo testo, Vico tenta di definire le tre facoltà
dell’intelletto e i distinti ruoli (come anche le affinità) che esse svolgono
nell’azione conoscitiva dell’uomo. L’interpretazione G.ana della fantasia,
anche definita l’occhio dell’ingegno, si focalizza sulla sua funzione di mezzo
attraverso il quale l’ingegno umano riesce a riformulare i vari concetti,
mediante una rielaborazione delle immagini mentali, e a stabilire un nesso
plausibile tra essi, che permette di avvicinarsi il più possibile alla
conoscenza della verità. Se per Vico è vero che la fantasia è una facoltà
certissima, poiché usandola, noi foggiamo le immagini delle cose693, e che
l’ingegno è la facoltà del congiungere in unità cose distanti, diverse,694 è
altrettanto indiscutibile che nel momento in cui l’uomo incomincia ad affinare
il suo intelletto e tende ad essere più razionale (in quella fase storica che
Vico fa corrispondere all’età degli uomini), incomincia a limitare l’utilizzo
della sua capacità immaginativa e a diventare più mentale. Più l’uomo esce dal
suo stato di ignoranza, dunque, più cambia anche il ruolo e l’intensità della
fantasia all’interno della esistenza. La fantasia, allora, si trasformerà in
un’affinata facoltà poetica, in !Ivi, 49-50.! Vico, La metafisica del 1710, a
cura di A. Corsano, Adriatica, Bari una forza creativa che aiuta
l’immaginazione dei poeti e la loro capacità inventiva. La fantasia come
qualità dei poeti, la trasformazione dell’uso della metafora dalla sua
precedente valenza filosofica a quella prettamente artistica. Lo studio della
sapienza poetica volta da una vivida fantasia, segno di passionalità e
sublimità del linguaggio della poesia che, tuttavia, deve essere ben distinta
da quel tipo di sapienza che invece caratterizza il pensiero filosofico. G.
avverte la possibilità di interpretare attraverso la lente del progresso
razionale l’ingegno e la fantasia ma sposta l’attenzione verso l’ambito più
originario della formazione del mondo umano. Egli asserisce che si potrebbe
sostenere che Vico attribuisca al discorso fantastico e metaforico solo il
significato di un parlare improprio, che diventa appropriato solo attraverso la
logica, poichè egli restringe l’uso del parlare metaforico e fantastico a un
primo periodo della storia. Noi possiamo rispondere a questa osservazione
guardando ai fatti, cioè chiarendo la relazione tra l’attività ingegnosa e
immaginativa e senso comune, o esaminando più profondamente il concreto dominio
in cui l’ingegno e la fantasia sono capaci di costruire il mondo umano695. Con
la fantasia, l’ingegno e il senso comune è in gioco il tema della fondazione
della civiltà che tocca anche l’ambito del mito. . L’ora di Pan e la morte di
Pan: mito e arte come genesi del mondo umano L’analisi del linguaggio poetico
come fondazione della comunità politico sociale ci consente di comprendere
l’estensione del discorso G.ano sul mito. In linea con l’interpretazione di
Gentili dobbiamo interpretare il ruolo politico che il mito riveste in G. alla
luce della relazione tra mito e poesia. Nella Introduzione al testo di G. Arte
e Mito edito per la prima volta in tedesco nel 1957696, ristampato nel 1990,
frutto di una rielaborazione di un articolo che G. pubblica nel 1956 con il G., La priorità del senso comune e della
fantasia: l’importanza di Vico oggi, in Vico e l’umanesimo, 50-51. 696 Kunst
und Mythos, Hamburg, Rowholt, 1957; seconda edizione riveduta e ampliata G.,
Kunst und Mythos, Frankfurt a. m. Suhrkamp] titolo Mito e arte in Rivista di
filosofia, Gentili affronta il problema del mito in G. quale evento originario
che fonda una catena di relazioni, che dà inizio ad una serie. Il lavoro
condotto da G. sul mito è inquadrabile all’interno di una prospettiva di
demitizzazione che non è omogenea a quella di razionalizzazione. Nella misura
in cui – G. – legge il mito alla luce delle sue relazioni, porta allo scoperto
il nesso intrinseco tra mito e demitizzazione697. Come interpretare allora la
relazione complessa e articolata tra il mito e i suoi prodotti alla luce del
nesso mito-demitizzazione? G. analizza il mito quale atto di fondazione
originario, arcaico, indeducibile, attraverso le relazioni che lo stesso mito
fonda: relazioni retoriche e poetiche, religiose e anche filosofiche. Tuttavia
la filosofia interpretata come sapere dedotto e non originario non può avere il
ruolo di fondazione che solo la poesia riveste. Per G. il mito fonda
(begründet) il logos, quindi il mondo indicativo quello dimostrativo698. Nella
ricostruzione G.ana il mito ha una duplice valenza: esso è il racconto che è
alla base delle arti imitative: non solo della tragedia o della commedia, ma
persino della musica, della danza – ma è anche l’unità del significato di mito
come storia sacra e di mito come fabula. Leggiamo in Arte e mito che il mito
esige di sottomettere la molteplicità dei fenomeni naturali in un’unità ultima,
originaria ed onnicomprensiva, costituendo in questo modo un kosmos in sé
compiuto. Mito è ciò che dà ordine699. L’essenza del mito va collocata
nell’ambito della formazione umana di un mondo dotato di un’unità strutturale e
ciò che esso rivela è la temporalità dell’esistenza umana. Si tratta della
prima formazione culturale in cui si dispiega la coscienza temporale umanistica
poiché nel mito domina il tempo che costantemente ritorna700. Il filosofo
italiano, anche sulla scorta dello studio di Malinowsky, Kerényi, Otto,
individua due significati fondamentali del mito701: Arte e mito, tr. it. a cura di C. Gentili, La
città del Sole, Napoli 1996, 27. 698 Potenza dell’immagine, 85. 699 Arte e
mito, 150. Corsivi nostri. 700 166. 701 Mito
e arte, 162. -! il mito come favola e creazione artistica -! il mito come
realtà religiosa esemplare Nel primo significato – il mito come favola e
creazione artistica – G. si rifà ad Aristotele e all’analisi condotta nella
Poetica sul mito come sintesi delle azioni in cui è sovrapponibile la sua
valenza di fatto con quella di composizione di fatti. Accanto all’idea di mito
come realtà vivente, sacrale, in cui la temporalità infinita è sospesa in un
orizzonte chiuso e circolare compare il tema dell’arte come favola, racconto,
mito, composizione dei fatti. Qui occorre sottolineare un aspetto di non
secondaria importanza. L’arte si pone come demitizzazione poiché nasce
nell’istante in cui l’ordine assoluto – espresso dalla realtà religiosa – viene
infranto. Nel momento in cui ci si distoglie dall’ordine eterno e in sua vece
si manifesta l’ordine possibile, sorgono i progetti umani, individuali702.
L’arte si pone come articolazione specifica di una possibilità intrinseca al
mito – il suo divenire possibilità umana – e non come razionalizzazione della
dimensione mitico-sacrale originaria. L’arte prorompe laddove si crea uno
strappo, una lacerazione, una rottura: la temporalità e la spazialità sacre
dell’universo mitico si disintegrano, facendo spazio a quelle profane del mondo
artistico. Nel secondo significato il mito appare come realtà sacrale,
religiosa ed esemplare. Per G. questo mondo mitico è sostanzialmente distinto
da quello profano, in quanto il profano presuppone una temporalità, una
caducità, un essere-sempre-diversamente
perciò lo spazio profano non è neppure mai chiuso, ma si perde in una
dimensione sterminata e senza confini703. Tra il mito e l’arte dunque
ritroviamo una differenza che si situa innanzitutto nei due tipi di temporalità
e spazialità vissute. Eppure mito e arte hanno in comune l’esigenza di
riunificazione della molteplicità dei fenomeni sensibili sotto un ordine, una
legge, un kosmos. Scrive G. che il mito esige di sottomettere la molteplicità
dei fenomeni naturali in un’unità ultima, originaria, onnicomprensiva,
costituendo in questo modo un 158. 703 Arte e mito, . ! 222!
kosmos in sé compiuto. Mito è ciò che dà ordine. Stando a questa concezione, il
mito racchiude gli elementi eternamente esistenti dell’esistenza umana e li
rappresenta: ciò che esso rivela è l’eternamente presente704. Nel mito viviamo
quella connessione con il mondo circostante – l’ora di Pan di cui abbiamo già
parlato in relazione all’esperienza sudamericana di G. – che appare a G. come
l’ora in cui la realtà frammentaria quotidiana si trasforma in una unità ed
attualità terribile, fuori del tempo. Nel mito domina la pienezza di una realtà
che incombe sul singolo e non lo lascia più sfuggire705. Se il mito in cui
l’uomo si trova, come l’animale immerso nel cerchio funzionale simbolico, è
esemplificato con la metafora dell’ora di Pan, l’arte è rappresentata invece
come la morte di Pan, come l’infrangersi del mito706. Di fronte alla
disintegrazione del mondo mitico-sacrale per il pensatore l’uomo ricorre ai
ritrovati tecnici – l’arte come poiesis e come techne – quando ha perso di
vista i riferimenti a una realtà fuori dal tempo. Propriamente in questo
istante sorge l’empeiria, la necessità di trovare un guado attraverso il fiume
delle impressioni sensibili che si sono staccate dall’ordine originario707.
L’emepiria va interpretata come una realizzazione del logos (non inteso come
ragione o intelletto) e non in senso materialistico. Secondo il filosofo si
tratta della prima fase di ordinamento dei fenomeni sensibili. L’empeiria è il
primo passo nell’ordinamento dei dati sensoriali, non è passività, non è
impressione708. Nell’azione di conferimento di unità, di selezione e
ordinamento dell’empeiria possiamo rintracciare i caratteri dell’arte. Infatti
il filosofo giunge a chiedersi se l’arte e l’empeiria non si identifichino in
questo aspetto ordinatore. Tuttavia la differenza fondamentale risiede nel
carattere di produzione insito dell’arte. 150.
705 Mito e arte, 150. 706 Arte e mito Se
con l’emepeiria siamo di fronte ad una constatazione, per quanto ordinata, dei
fenomeni – il termine usato da G. è fest-stellen in riferimento all’empeiria –
con l’arte siamo di fronte alla produzione di un modo umano a partire dal mondo
frantumato resoci accessibile attraverso l’empeiria. L’empeiria sembra avere la
sua radice nella necessità di ordinare i fenomeni sensibili, ma non è in grado
di conferire ordine complessivo. Essa comunica di volta in volta un mondo
frantumato, nei cui frammenti noi vediamo rispecchiato un kosmos in mille parti
rilucenti. La potenza dell’arte invece risiede nella sua capacità di produrre
un cosmo, un mondo ordinato dotato di un’unità significativa. L’arte come il
mito è il progetto universale delle possibilità umane711 e soprattutto la
poesia assurge per G. a evento privilegiato della relazione uomo-essere. Ma è
possibile attraverso la poesia esprimere e dire in modo immediato il mito?
Oppure la dimensione poetica in G. è una forma della ricezione mitica, una
forma demitizzata del mito? Per comprendere l’essenza e il valore di fondazione
del mito non dobbiamo prestare attenzione al passaggio dal mito al logos – dove
il mito appare come una prestazione arcaica della ragione e il logos come un
mito razionalizzato – ma al nesso tra mito e demitizzazione. Si tratta di un
movimento tutto interno al mito e che si intreccia al tema della fondazione. Il
mito in quanto topos atopos è premessa, origine che non può essere conosciuta
ma detta attraverso la poesia. G. parte da una idea di mito come fondazione
origine e inizio, come prestazione fondativa (Begründung). In questo senso il
mito – sia come realtà religiosa esemplare, sia come creazione artistica e
quindi come favola – può venir considerato come il principio instauratore originario
di una comunità con l’ordine – che pone
una molteplicità di movimenti entro un’unità – si preannuncia la realizzazione
dell’aspetto sociale712. L’interpretazione G.ana della Poetica di Aristotele
pone in luce l’aspetto di Mito e arte secolarizzazione insito nel mito: il mito
disvelando l’ampia scala delle possibilità umane713 corre il rischio di
generare un’arte secolarizzata: l’estetica714. Come sottolinea Amoroso, in G.
l’individuazione di una via di accesso al mito, alla poesia e all’arte in
rapporto al concreto operare della storia715 avviene attraverso il
ripercorrimento della filosofia dell’umanesimo che nell’arte avrebbe espresso
uno svelamento, una Lichtung dell’essere. La funzione trascendentale dei
concetti di Wahn e Langweile nelle meditazioni leopardiane Nel corso della
trattazione sono emersi due concetti chiave: quello della fondazione della
civiltà e quello del disvelamento: si tratta delle questioni supreme a cui G.
dedica gran parte della sua indagine storico-filosofica sui temi
dell’Umanesimo. In questo orizzonte teorico due figure capeggiano sulla scena
filosofica descritta da G.: Vico – come abbiamo già visto – e Leopardi, su cui
la critica poco si è soffermata. Entrambi appaiono in veste di filosofi delle
origini del mondo umano attenti alla ricerca dei fattori primi di umanizzazione
e di fondazione politico-civile i cui plessi teorici si inseriscono a pieno
titolo nel percorso G.ano di ricostruzione dell’antropologia delle origini,
della fondazione civile e del disvelamento. La fondazione fantastica e il
disvelamento vichiani e la funzione trascendentale dell’illusione e il ruolo
metafisico del pathos della noia come sentimento dell’apertura originaria in
Leopardi rappresentano le tappe fondamentali di una ricerca onto-antropo-
logica che in G. si concretizza come formazione del cosmo umano attraverso la
fondazione mitica. Nel corso della sua lunga ed operosa esistenza filosofica G.
si è spesso misurato con le riflessioni e la personalità di Leopardi. Tenendo
presente la centralità che il concetto di pathos assume all’interno del
pensiero di G. è possibile comprendere come il filosofo dedichi pagine
concettualmente dense al poeta di Recanati, istituendo confronti prima con
Freud ed Epicuro (sugli Arte e mito Amoroso, Da Aristotele a Vico. A proposito
di G. e il mito, Un filosofo europeo. G. argomenti del piacere e del
dispiacere; del principio di realtà e del principio di illusione; dell’edonè)
poi con Schopenhauer (sui concetti di realtà e illusione, di noia e dolore). In
questa sede si è ritenuto di non soffermarsi sulle relazioni interessanti con
il padre della psicoanalisi e con i filosofi greco e tedesco poste a tema dal G.,
quanto piuttosto di prendere in considerazione le suggestioni teoriche che il
poeta sollecita nel cammino di pensiero del filosofo nella consapevolezza
dell’originalità e discutibilità delle tesi G.ane su Leopardi che, come
vedremo, non seguono i dettami del filologicamente corretto ma piuttosto fanno
interagire Leopardi con i concetti chiave del suo sistema onto-antropo-logico.
Quale ruolo può avere Leopardi all’interno dell’iter di pensiero G.ano e qual è
il valore della teoria dell’illusione a cui il pensatore conferisce tanta
importanza da giungere a definire il poeta italiano teoreta dell’illusione716?
Il filosofo sottolinea quanto l’approccio leopardiano sia distante dal
razionalismo della metafisica astratta del secol superbo e sciocco insistendo
soprattutto su quei concetti, quali illusione e noia, piacere e dolore, natura
e passione in cui Leopardi assume un atteggiamento critico verso l’ottimismo
razionalistico e il tema della civilizzazione. Il Leopardi G.ano come critico
del tempo moderno e delle devastazioni dell’intelletto segue un percorso nuovo
e inesplorato, che si iscrive nel solco della tradizione umanistica di cui il
poeta e Vico costituiscono gli ultimi rappresentanti. Accanto all’operazione
ermeneutica di analisi dell’idea di illusione si situa anche il convincimento
che Leopardi può essere considerato come una delle ultime manifestazioni dell’umanesimo.
Si tratta di due temi – il Leopardi umanista e il Leopardi teoreta
dell’illusione – strettamente connessi perché consentono di fugare l’idea che
la lettura G.ana possa essere considerata come un tributo, l’ennesimo, al
grande genio poetico del recanatese e fanno emergere una interessante
prospettiva esistenzialistica sul Leopardi critico del moderno. Se prendiamo in
considerazione i passi in cui è presente il poeta di Recanati constatiamo che
egli appare in forma sparsa e asistematica già a partire da I primi scritti. La
lettura dei saggi risalenti G., La
metafora inaudita] al periodo compreso tra gli anni ‘30 e ‘40 mette in luce la
presenza di Leopardi e delle tematiche dello Zibaldone, che resta il
preponderante testo di riferimento delle note G.ane sul poeta. Confrontando le
citazioni di Leopardi e i contesti teorici di riferimento registriamo che esse
compaiono sempre in relazione all’analisi dei concetti di formazione (Bildung),
di noia, di illusione: idee centrali se consideriamo quanto essenziale sia la
formazione nel nuovo ideale di umanesimo, la noia e l’angoscia nella sua
analitica esistenziale, e l’illusione come fattore antropogenetico insieme al
mito e al linguaggio nell’analisi antropologica G.ana. In Il confronto con la
filosofia tedesca in Italia del 1941 si fa cenno a Leopardi nell’ambito della
tematizzazione della Bildung degli studia humanitatis che coinvolge una
questione ben più ampia della mera educazione filologica717. Per il filosofo
infatti occorre distinguere una pseudo-filologia, priva di pensiero, ridotta a
sterile culto classicista della parola, e una filologia autentica, che si
connota come meditazione sull’uomo e sulla sua formazione. Egli afferma che il
filosofare italiano non comincia con il problema della verità o del sapere, ma
con il problema della parola in relazione al compito umanistico di mediare la
parola antica, gli scritti antichi, il mondo antico . Ricordo solo che il
compito umanistico della mediazione della parola antica si realizzò
essenzialmente su un piano estetico, letterario, ossia in relazione alla
scoperta e al rinnovato rapporto con i testi letterari antichi. A ciò, però, si
legava al contempo l’impegno di una formazione dell’uomo tramite la parola, e
con il problema della formazione si affrontava un problema essenzialmente
filosofico. Si stabilì che il significato delle parole che troviamo in un testo
non può essere dedotto dall’esperienza quotidiana o dal nostro sapere, bensì
dall’unità del testo conformemente
all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza dell’uomo, così il
formarsi in base alla parola non significava, come oggi per lo più crediamo,
praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo718. La distinzione
tra Bildung e Erziehung mostra come la posta in gioco nella nuova idea di
umanesimo sia la messa in discussione dell’essenza dell’uomo, della sua
condizione, che accomuna, secondo il filosofo, le figure di Bruno, Vico e
Leopardi. Così come per Bruno ogni rapportarsi Il confronto con la filosofia tedesca in
Italia, 871-886, in I Primi scritti 1922-1946, La Città del Sole, Napoli
originario nei confronti della realtà, sia nel senso politico come in quello
concettuale o poetico, scaturisce dall’esperire, dal patire qualcosa di
originario e indeducibile, che riveli mondi differenti719 anche per Vico e
Leopardi720 la funzione trascendentale del pathos consente un rinnovamento del
concetto di filologia. Il co-estendersi dei temi filologici e antropologici
implica una rivalutazione del concetto di pathos da parte di G. che tuttavia
non indulge ad una forma più o meno celata di irrazionalismo illogico. Anzi il
valore logico della sua ricerca emerge laddove egli tenta di proporre un
concetto complesso di logos che non esclude il pathos, ma che si rivela nella
sua coappartenenza costitutiva al pathos nell’orizzonte unitario del reale e
della sua esperienza. Nella sua prospettiva il pathos è sempre già connotato
ontologicamente e non si riduce all’affectio o all’emozione. Solo ed unicamente
sul suo fondamento facciamo esperienza della nostra apertura mondana, della
Lichtung e dell’evento della differenza ontologica. Secondo il filosofo nel
pathos l’inaudito appare sul palcoscenico della storia721: esso è passione
abissale722 in cui accade il fenomeno dell’essere e allo stesso tempo il suo
sottrarsi. Nella prospettiva G.ana il pathos metafisico è ciò che Leopardi
chiama illusione e natura. Le passioni hanno un carattere trascendentale, esse
sono cioè condizione delle esperienze e da esse non deducibili e per il poeta
indicano il nostro lasciarci afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone
e contro cui urtiamo senza possibilità di sottrarci al suo appello. G. afferma
che l’espressione illusione, che Leopardi usa in questo senso, ha, rispetto
alla terminologia tradizionale La metafora inaudita Illusione, natura e critica
del mondo intellettuale moderno in Tradizioni della poesia italiana
contemporanea, Edizioni Theoria, Roma] che si serve della espressione a-priori,
il grande vantaggio di esprimere il carattere esistenziale del
trascendentale724. Nell’esperienza patica rintracciata dal filosofo nello
Zibaldone l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e alla propria
angoscia – che nelle meditazioni leopardiane è sostituita dalla noia – in cui
questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale
manifesta pure per la prima volta l’esistente come un completamente altro da
esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come
essere nella sua originaria alterità e possibilità di determinazione.
L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi della totalità
dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come pensare l’essere)
e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere l’ esistente
nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda725. Nel pathos
dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo stesso
tempo di realizzare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare
l’assenza di mondo in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di orientamenti
precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza di mondo a
cui il filosofo fa riferimento sono il regno dell’Aperto in cui è assente ogni
direzione, ogni coordinata, ogni orientamento. Egli asserisce che in
quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non
essendo la nostra dimensione, ci paralizza726 e ancora che qui gli oggetti
diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a
loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia
la sensazione del precipizio. Il problema del nulla nella filosofia di M.
Heidegger, in I primi scritti, 329. 726 Assenza di mondo, in Archivio di
filosofia, Roma A caratterizzare maggiormente l’esperienza patica è quindi la
sua componente metafisica e non psicologica: nel pathos facciamo esperienza
dell’originario. La passione ha anche un significato arcaico nel senso di
fondativo: si è costretti a riconoscere che la passione agisce come archè,
potenza elenchica, che ci espone perché non possiamo liberarci da essa, incombe
come destino e nella sua luce fa apparire il significato di ogni ente728. Essa
consente di prendere coscienza dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei
mondi, dell’aletheia come schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione
storica. É proprio questo concetto metafisico di pathos che G. ritrova nel tema
leopardiano dell’illusione a cui si accosta per la prima volta nel saggio Sul
problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla
tradizione italiana del 1942. Si tratta di una lettera scritta all’amico Walter
Otto il cui centro teorico è la domanda circa il rapporto sussistente tra il
singolo (l’individuo) e il comune (l’oggettivo) che secondo G. trova una
risposta nella tradizione umanistica italiana attraverso la disamina del
problema della parola come massima espressione della vita individuale, la quale
però non ha proprio nulla a che fare con l’individualismo – ma – conduce alla questione sistematica
dell’essenza del comune729. La ricerca G.ana sulle modalità di configurazione
del problema della parola nella tradizione italiana e sulla sua correlazione al
tema dell’essenza dell’uomo, non irrigidendosi in una teoria individualistica
ma – al contrario – rischiarando il problema di ciò che è comune ha come esito
la convinzione che l’individuale sia un concetto molto distante dal soggettivo
e dal relativo, da ciò che è riferito all’io731, ma sia invece legato
all’oggettivo, a ciò che dischiude il comune. Il dramma della metafora. Sul problema della
parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione
italiana, in I primi scritti L’insistenza sul tema dell’oggettivo,
l’autenticamente originario che si fa incontro all’uomo e non giace davanti in
qualità di objectum, conduce G. verso la teoria leopardiana dell’illusione come
l’a-priori, il trascendentale che conferisce ordine – infatti G. parla di bella
illusione – e che come la meraviglia, all’origine del nostro impulso a sapere,
si impone come necessaria, essenziale e comune prassi umana di trasformazione
del reale. Anche Il reale come passione e l’esperienza della filosofia del 1945
dedica una sezione molto significativa al poeta in riferimento al concetto di
noia e passione. Afferma il pensatore che per Leopardi la noia si rivela
inaspettatamente come passione poiché la vita è sempre nella sua essenza
impulso alla compiutezza e alla felicità
così l’uomo non può mai sprofondare nell’assoluta insensibilità e
indifferenza734. La noia come morte della vita, vita non vita, vita
dell’indistinto e dell’indifferente tuttavia è pur sempre passione, sia pure
nel senso del più basso gradino dell’esistenza. Siamo venuti ai temi principali
che animano la lettura G.ana di Leopardi presente nei saggi più sistematici
dedicati al poeta: Wahn, Natur und die Kritik der modernen Verstandeswelt,
Introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des schönen Wahns und Kritik der
modernen Zeit; Passione e illusione. Il principio freudiano del piacere e la
teoria leopardiana delle illusioni Il reale come passione e l’esperienza della
filosofia, in I Primi scritti Wahn, Natur und die Kritik der modernen
Verstandeswelt. Si tratta di una introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des
schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit, Verlag, Bern, 1949, 9-34. Tradotto
in italiano da R. Copioli con il titolo, Illusione, natura e critica del mondo
intellettuale moderno; Der italienische Schopenhauer; Leopardi e Freud.
Attività metaforica o schizofrenica? Il testo del ’49 è una scelta di passi
tratti dallo Zibaldone, considerato da G. come lo strumento per gettare uno
sguardo all’officina poetica di Leopardi. Fu pubblicato per la collana
Überlieferung und Auftrag che nasce dall’intenzione di porre a tema determinati
problemi della tradizione umanistica, che, come è noto, per G. sono quelli
della rivalutazione della poesia e della retorica, della fantasia e
dell’ingenium. Nel saggio introduttivo a Theorie des schönen Wahns und Kritik
der modernen Zeit tradotto in tedesco da Joseph Partsch G. prende le distanze
dall’impostazione crociana della interpretazione di Leopardi, accolta anche dal
Vossler. Contro la negazione del Croce del valore filosofico del poeta di
Recanati G. ha come scopo dichiarato quello di rivalutare l’aspetto teoretico
contenuto nell’opera, al di là dei limiti del pessimismo leopardiano che, sulla
scia di De Sanctis, si è imposto all’attenzione critica. L’idea centrale che ha
ispirato la scelta editoriale di selezionare i passi zibaldonici non tenendo
conto del loro effettivo ordine cronologico è quella di restituire la genuina
antropologia leopardiana attraverso la focalizzazione sul concetto di
illusione. Secondo G. generalmente le tesi pessimistiche del Leopardi, Passione e illusione. Il principio freudiano
del piacere e la teoria leopardiana delle illusioni in Nuovi Annali della
Facoltà di magistero dell’università di Messina presentato in redazione
differente al Congresso su Leopardi a Roma, contenuto ora in G., La metafora
inaudita, Aesthetica, Palermo 1990. 737 Der italienische Schopenhauer, 125-138,
in AA. VV., Schopenhauer im Denken der Gegenwart, Piper Munchen a cura di
Volker Spierling. Leopardi e Freud. Attività
metaforica o schizofrenica? In Leopardi e il pensiero moderno, a cura di C.
Ferrucci, Milano, Feltrinelli. , Illusione, natura e critica del mondo
intellettuale moderno. le affermazioni crociane contenute in B. Croce, Poesia e
non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari
1946. Croce dopo aver asserito che la filosofia, in quanto pessimistica od
ottimistica, è sempre intrinsecamente pseudofilosofia, filosofia ad uso
privato, afferma che Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non
approfondite, non sistemate. Sanctis, Leopardi, a cura di C. Muscetta e A.
Perna, Einaudi, Torino. Per la storia delle interpretazioni del pensiero di
Leopardi e delle sue immagini in qualità di ottimista (critica fascista),
pessimista, e progressivo (critica marxista)
S. Lanfranchi, Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi
progressivo della critica marxista, in Laboratoire italien, Lione. così come
esse, per esempio, hanno ricevuto la loro formulazione nelle cosiddette
Operette morali, sono note: il nostro compito non potrebbe essere quello di
elaborare questo lato del pensiero leopardiano, ma soprattutto quello di
delimitare il concetto filosofico dell’illusione nel suo significato
sistematico, etico, sociale e storico. Lo scopo è esplicitato con tutta
chiarezza: G. si propone di rendere oggetto di discussione non il Leopardi
pessimista, non il Leopardi letterato, ma il Leopardi antropologo. Il legame
tra antropologia e illusione è al centro dei saggi Passione e Illusione, Lo
Schopenhauer italiano, e Leopardi e Freud. Legare antropologia e illusione non
sembrerà una mossa azzardata se colleghiamo il tema del Wahn (illusione, mania,
pazzia) con quello della Leidenschaft (passione). Nei due saggi dell’‘87, Lo
Schopenhauer italiano – che qui proponiamo in traduzione italiana – e Passione
e illusione, si analizza l’idea di schönen Wahn – anche definito illusione
ingegnosa. La caratura antropologica dell’illusione è del tutto evidente se si
prendono in considerazione le affermazioni G.ane sui concetti di ordine, di
costruzione del mondo etico-politico, e di scena. Egli afferma in Lo
Schopenhauer italiano: il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la
scena della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante
nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori ammessi. Dal momento che
l’originario è indeducibile, e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il
ragionamento analitico, esso deve essere così riconosciuto come illusione, come
ossessione. Sicuramente l’illusione è generatrice di ordine, poiché è la
ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storica.
La teoria dell’illusione è in netta contrapposizione alla ragione. Per il
filosofo Leopardi si oppone al predominio della ragione ed esplicitamente alla
filosofia tedesca razionale astratta. Il riferimento è al passo zibaldonico
sulla povertà di immaginazione dei tedeschi745, in cui G. crede di trovare
traccia del proprio filosofare noetico-non metafisico, che si identifica con
una teoria del nous o dell’ingenium in cui la priorità della natura si esprime attraverso la passionalità come G.,
Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, 157. I corsivi
sono nostri. Leopardi e Freud. Attività
metaforica o schizofrenica?, 33. 743 Der italienische Schopenhauer. Traduzione
nostra. Leopardi e Freud. Leopardi,
Zibaldone illusione746. Dall’angolo teorico dal quale il filosofo guarda allo
Zibaldone il mondo umano non è una costruzione della ragione, del logo, ma è il
prodotto di ciò che Leopardi chiama – in antitesi alla ragione – ingegnosa
illusione, cioè la sofferenza dell’abissale appello della natura Leopardi
contrappone così non solo alla ragione ciò che egli chiama illusione – perché
razionalmente non deducibile– ma identifica questa con l’attività ingegnosa747.
Attraverso l’illusione la physis originaria, l’Abissale, realizza la storia,
accade il mondo, avviene la parousia della realtà, il suo phainesthai. Altre riflessioni
teoriche degne di nota presenti nella lettura di Leopardi sono quelle relative
ai concetti di natura e vita. Il filosofo giunge ad affermare che i concetti di
vita, natura, passione e illusione coincidono748 . La vita – che sin dagli
esordi greci della filosofia è stata interpretata come energia ed entelechia,
come ciò che ha in sé il lavoro, il limite e il fine, l’ergon e il telos – in
Leopardi diviene qualcosa di intimamente connesso al vuoto, al nulla. Questi
ultimi concetti non hanno carattere negativo ma sono contraddistinti da una
positività originaria generatrice di ordine, di mondo: il nulla prima di
generare disperazione e dolore749 entra in contatto con la noia. Nei saggi
leopardiani di G. la Langeweile assume quel ruolo liminare che l’Angst ha nei
Primi Scritti: quello di chiusura mondana in cui l’uomo è gettato – il suo
fondo animale – e allo stesso tempo di apertura mondana possibile solo su
quella chiusura. La noia è l’aperto, la Lichtung nella quale l’uomo fa
esperienza della propria vita che è innanzitutto temporalità. La noia in quanto
esperienza dell’uniforme e dell’indistinto, è il contrario della vita. La vita
invece è esperienza della distinzione e della singolarità. L’esperienza della
noia in Leopardi secondo G. è caratterizzata da una positività originaria che
la rende ben più profonda di una semplice tonalità emotiva. Del resto che il
pathos avesse una costituzione metafisico-trascendentale ben più profonda
rispetto alla componente soggettivistica appare evidente già dalle riflessioni
su Stimmung e sulla G., Leopardi e Freud
Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno Leidenschaft. La
noia nel suo carattere esperienziale assurge a facoltà di patire. Afferma G.
che l’indifferente, l’uniforme, li possiamo cogliere e di essi possiamo avere
esperienza, solo se si manifestano in modo finito, e la noia – nella misura in
cui noi la sopportiamo – ci evidenzia come noi non possiamo vivere nel non
limitato e nell’indifferente. In altre parole: se tutto ciò che è e di cui parliamo
può presentarsi solamente a condizione che si mostri entro certi limiti – cioè
come qualcosa di definito e distinto – allora anche la noia può essere colta
solamente in quanto impossibilità di esistere nel non-limitato, nel
non-dipendente. Nella prospettiva che abbiamo cercato di delineare emerge che
nella noia è coinvolto lo stesso tema della léthe e dell’illatenza: il gioco di
svelamento e nascondimento, insito nel cuore della manifestatività, che decide
dell’umano. La noia leopardiana come facoltà di patire allora diviene un
principio storico-culturale che solo secondariamente scade a povertà di azione
e pigrizia ma si erge a condizione trascendentale del mondo storico dell’uomo.
Essa è la Lichtung, il nome kat’exochèn dell’essere e del mondo, in cui
l’avvento dell’umano accade innanzitutto linguisticamente. Qui si installa un
altro tema centrale della lettura G.ana: la critica del mondo moderno presente
nelle annotazioni zibaldoniche che mette in luce anche la qualità umanistica
del poeta. Come leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo, G. afferma,
ponendo una netta demarcazione tra il proprio modo di intendere l’umanesimo e
l’approccio storiografico consolidato, che gli studiosi hanno costantemente
individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi
valori immanenti e tuttavia uno dei
problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del contesto
originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo. Il
problema fondamentale dell’umanesimo, che non va concepito come una forma più o
meno larvata di antropocentrismo tout court, è la problematizzazione del tema
della Lichtung, ossia del tema dell’Aperto, del contesto originario
dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si declina come ricerca
sulle strutture del mondo umano. Heidegger e il problema dell’umanesimo, Guida,
Napoli. Alla metafora fotica nell’accezione heideggeriano-G.ana sopra delineata
fu sensibile già Leopardi, che fin da Memorie del primo amore e poi via via nel
Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, nello Zibaldone, nelle
Operette morali e nei Canti mostra un timore irrequieto nei confronti della luce
diretta e accecante – sia essa lunare o solare – che genera un guardare
piacevole e sublime. G. non sottolinea l’importanza della metaforica della luce
né l’attenzione alla connessione vita-apertura pur presente nello Zibaldone,
privilegiando il tema dell’illusione nelle sue molteplici sfaccettature
storiche e fondative, nel convincimento che in quel concetto sia esplicato un
accesso alla filosofia non pregiudicato da una metafisica razionalistica
latente. Leggiamo nello Zibaldone che per lo contrario la vista del sole e
della luna in una campagna vasta e aprica e in un cielo aperto ec. è piacevole
per la vastità della sensazione; e ancora : per lo contrario una vasta e tutta
uguale pianura dove la luce si spazi e diffonda senza diversità, né ostacolo;
dove l’occhio si perda ec. è pure piacevolissima. La priorità trascendentale
della radura sulla luce che si offre, si dà in un atto di donazione (l’Es gibt)
in cui si co-estendono luce ed essere, è viva anche in Leopardi, il quale usa
dei termini molto cari a G. – e al suo maestro Heidegger – ma anche a Vico:
sylva755, luce, critica della metafisica757, rivalutazione della poesia.
Temi G. Leopardi, Zibaldone, Io credo
che tutti questi tali verbi sieno originariamente fatti da altri verbi ignoti,
come vivesco dal noto vivo, hisco dal noto hio, e altri tali di questa
desinenza in sco. E lo credo perché, come vivesco significa divenir vivo, cioè
divenir quello che dal verbo vivo è significato essere, cioè esser vivo, e come
hisco significa aprirsi, cioè divenir aperto, mentre hio significa essere o
stare aperto, ec.; così tutti i detti verbi nosco, nascor, adipiscor, sinesco,
adolesco, cresco ec. di cui non si conoscono gli originali, significano però
divenire, incominciare a essere o a fare quella tal cosa o azione. Perché la
mancanza delle vive e grandi illusioni spegnendo l’immaginazione lieta aerea
brillante e insomma naturale come l’antica, introduce la considerazione del
vero, la cognizione della realtà delle cose, la meditazione ec. e dà anche
luogo all’immaginazione tetra astratta metafisica, e derivante più dalla
verità, dalla filosofia, dalla ragione, che dalla natura, e dalle vaghe idee
proprie naturalmente della immaginazione primitiva. Come è quella dei
settentrionali, massime oggidì, fra’ quali la poca vita della natura, dà luogo
all’immaginativa fondata sul pensiero, sulla metafisica, sulle astrazioni,
sulla filosofia, sulle scienze, sulla cognizione delle cose, sui dati esatti
ec. Immaginativa che ha piuttosto che fare colla matematica sublime che colla
poesia, fondamentali, questi, che corroborano l’idea, in altro modo proposta da
G., di un Leopardi filosofo dell’esistenza umana interpretata come
oltrepassamento dell’immediatezza e allo stesso tempo come natura che si apre
alla storia. Come abbiamo visto, l’indagine G.ana, accanto all’attenzione
all’ambito ontologico, si concentra sulla dimensione ontica delle concrete
Lichtungen, che si converte in analisi del linguaggio. Per il pensatore la cosa
sorprendente, alla quale di solito non si presta attenzione, è che questi
problemi – contesto originario, orizzonte, Lichtung – non sono trattati nel
pensiero umanistico mediante un confronto logico speculativo con la metafisica
tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi e di interpretazione del
linguaggio . Il problema del linguaggio solleva la questione fondamentale del
rapporto tra parola e oggetto, tra verbum e res. Oltre a ciò, si fa strada
l’idea che solo nella parola e a mezzo della parola (verbum) la cosa (res)
rivela il suo significato758. Con l’umanesimo, secondo il filosofo non ci si
interroga più circa la verità logica e il rapporto logico tra cosa e pensiero,
ma a proposito del comparire storico della res a mezzo del verbum: la questione
fondamentale è quella di accedere ad un linguaggio che sia casa dell’essere e
non una sua prigione. Egli, infatti, distingue la cosa dall’ente, pone la
differenza tra res ed ens: se la metafisica tradizionale si interroga sulla
cosa ridotta ad ente – e per G. occorre abbandonare l’idea di una metafisica
astratta degli enti – per cui l’unico linguaggio possibile per enunciare i
predicati dell’ente è quello del razionalismo che delimita l’ente entro il
perimetro logico dell’identità, la ricerca linguistica dell’umanesimo, di cui
Leopardi fa parte secondo G., è capace di restituire la ricchezza
fenomenologica della cosa, della res, del pragma, proprio attraverso un
linguaggio che ne rispecchi le infinite e variegate sfaccettature. Secondo
l’interpretazione del filosofo italiano non esistono cose separate dalle nostre
azioni, dai nostri tentativi di trattarle
l’essere-in-sé delle cose ci si manifesta solo nella e attraverso
l’azione umana. Occorre quindi riconoscere che l’oggettività delle cose si
rivela nell’azione, nella e con la praxis. G., Heidegger e il problema
dell’umanesimo, 26. 759 Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica,
Guerini e Associati, Milano Infatti, per il filosofo milanese, la forma
sostantivata pragma esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo
manifestarsi come cosa attraverso la praxis umana. Entra sulla scena assieme al
concetto di prassi e di parola quello di situazione. Eccoci giunti ad un nodo
concettuale di grande spessore che coinvolge la figura di Leopardi: la
co-estensione del mondo (l’oggettivo) e dell’uomo – che si consuma in un
rapporto pratico (la fondazione politico-culturale) e linguistico che eccede i
limiti dell’omologhia e dell’adaeguatio e sconfina verso la polisemia – si
ritrova nel poeta di Recanati e nella sua teoria dell’illusione che si apre ai
temi centrali per G. della situazione, della circostanza e dell’occasione. Per
Leopardi attraverso la priorità dell’occasione, della circostanza, della
situazione, noi dobbiamo corrispondere all’appello riconoscendo il significato
sempre differente degli enti. Qui entra in gioco l’illusione nella sua identità
con l’ingenium. Per G. con la teoria dell’illusione di cui con estrema lucidità
ha riconosciuto la necessità e la vanità, [Leopardi] ha compreso che il
problema dell’uomo è quello di essere sempre gettato in una situazione
concreta, quello di trovarsi sempre sospeso sul precipizio del qui e dell’ora,
che gli pongono domande a cui non è possibile dare una risposta razionale,
universalmente astratta, ma solo passionale. Con il poeta italiano abbiamo una
riconfigurazione del tema antropologico che implica una svolta linguistica e
ontologica. Siamo di fronte ad una Kehre verso un logos polisemico che
restituisca la multilateralità e polidimensionalità di un reale che si dà
fenomenologicamente per scorci, occasioni, circostanze. Siamo di fronte ad una
Kehre verso un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il processo di
manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi e forme
dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico, poiché il metapherein, la
trasposizione, è la struttura stessa della nostra facoltà di apprensione della
realtà o, per usare un termine caro a G., del nostro atteggiamento verso il
reale. 761 Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica? La metafora
inaudita La metafora è l’espressione fluida e mobile del reale poiché mentre
dice rimanda ad altro e in questo modo esprime la perenne metamorfosi
dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli ultimi testi del filosofo, Il
dramma della metafora, la parola metaforica esprime a un tempo la struttura
fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e l’unico modo per
identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una rapidità
intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto in cui possiamo cogliere
il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la traslazione del
significato. La metafora è proprio questo: annotazione dei segni indicativi
provenienti dal colloquio con l’ abissale che urge, che per pochi istanti ci
vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa spiaggia senza significato, dalla quale sale
l’angoscia perché vivremo l’indeterminato. Anche in LEOPARDI (si veda) G.
intravede le tracce di un colloquio mai interrotto con l’Abissale,
l’Originario, l’Essere in cui si gioca la nostra esistenza: è il senso stesso
dell’illusione come ingresso nel ludus dell’esistenza, come reazione
all’agorafobia primordiale. Nel gioco giocato dell’esistenza (e del linguaggio
in cui quel gioco viene parlato) si liberano molteplici possibilità, ognora
rinnovate, imprevedibili, e dunque tali da frustare qualsiasi tentativo di
prevederne razionalmente il senso. Ma che cos’è l’illusione di Leopardi se non,
appunto, un in-ludersi, un entrare nel ludus, uno stare al gioco
dell’esistenza?766. Come è emerso da queste considerazioni il Leopardi di G.,
teoreta dell’illusione, è il Leopardi portavoce di una filosofia umanistica che
si traduce nell’idea di una antropologia che contiene in sé i temi del
linguaggio e dell’essere. Afferma G. in La metafora inaudita che Leopardi
insegna che l’unica filosofia in grado di tentare questa spiegazione, il gioco
dell’esistenza, è una filosofia dell’esistenza; una filosofia cioè che, senza
pretendere di risolvere il Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo,
Sofocle, Ovidio, L’Officina Tipografica, Napoli La metafora inaudita problema
razionalmente, prenda atto dell’abisso su cui ogni passione ci sospende. La
focalizzazione sui temi dell’illusione e della natura, della noia e della
passione, che solo marginalmente toccano l’ambito del pessimismo, ha svelato il
legame con il grande tema antropologico della costruzione del mondo umano. Che
cos’è l’uomo e quale sia il suo posto nel mondo: sono questi i quesiti che
agitano l’onto- antropo-logia G.ana e l’interpretazione dello Zibaldone di
Leopardi che diviene ulteriore occasione fortunata – insieme a CICERONE
(vedasi), Quintiliano, OVIDIO (vedasi), BRUNI (vedasi), VALLA (vedasi),
Graciàn, VICO (vedasi), Ungaretti – per una meditatio sull’uomo che permea la
sua prospettiva neo-umanistica. Il Leopardi G.ano può essere interpretato,
allora, come pretesto per ribadire ancora una volta che l’umanesimo autentico
come pensiero poetante, come meditazione noetica e non metafisica, ha ancora
una possibilità di essere esperito a partire da una tradizione a cui non è
stata conferita la dovuta importanza. La traccia leopardiana nell’iter G.ano ha
fatto emergere, attraverso il concetto di ingegnosa e bella illusione, che
l’antropogenesi fa tutt’uno con l’antropo-poiesi: la nascita dell’uomo avviene
con le produzioni umane della civiltà, della storia, della cultura. Solo
illudendoci sperimentiamo la nostra forza, la nostra umanità, come insegna
Leopardi, e diveniamo artefici del nostro mondo. La filosofia dell’esistenza
proposta da Leopardi diviene un experimentum vocis, una poesia pensante o un
pensiero poetante. La )&0&*& '*&2o"& descritta da
Platone nella Repubblica, l’antico dissidio tra poesia e filosofia, viene
ripensato da G. da un angolo prospettico differente: non da quello di una
epistemologia o gnoseologia – in cui il poetico per sua stessa natura incline
al vago ed indefinito, come insegna Leopardi, è votato irrimediabilmente al
fallimento – ma da quello di una antropologia delle origini del mondo umano in
cui la connessione poetico-fantastico-ingegnoso fonda la correlazione
umano-civile-politico. Platone, Repubblica Come è noto il plesso disegnato da G.
di metafora-fantasia-ingegno ha un valore teoretico- conoscitivo e solo
secondariamente poetico-letterario. Si tratta di facoltà che appartengono a
quella topica che sempre precede nella storia del mondo, come in quella
dell’individuo, l’operazione mentale della critica, l’arte del giudicare.
Memore delle riflessioni vichiane della Scienza Nuova e delle teorie barocche
dell’ingenium di Graciàn e Peregrini, G. affida all’ingegno la capacità di
sintesi e connessione del molteplice empirico fino al punto di farne la
caratteristica specifica dell’uomo. E non poteva mancare di sottolinearne
l’importanza teorica e pratica presente in Leopardi. Ingenium come capacità di
ritrovare; fantasia come facoltà di visione delle somiglianze; metafora come
atto di trasferimento del significato e quindi creazione di una pertinenza
semantica – e non come tropo linguistico, sia esso di sostituzione o di
comparazione – concorrono a delineare i prolegomeni per un’idea di
neo-umanesimo in cui la storicità dell’umano si dispiega tra razionalità e
fantasia. Quest’ultima si rivela come facoltà di attivazione di procedure di
formalizzazione concettuale, vera e propria facoltà di apprensione del reale
attraverso una struttura pato-logica, o un’intelligenza senziente – per usare
un’espressione di Zubiri, collega di corso in Germania di G. Essa è il
catalizzatore dell’umanizzazione del mondo. Concentrandosi sugli aspetti
figurativi, simbolici e semantici del logos G. non rinuncia mai tuttavia alla
filosofia: la filosofia deve mutare le sue vesti e divenire noetica non più
metafisica. Se l’aspirazione profonda del filosofare tradizionale è di giungere
a una chiarificazione logica razionale, oggettiva che parte da un’ontologia che
culmina in una metafisica, quella di G. ha come scopo l’elaborazione di un’idea
di nous – dove nous si identifica con ingenium – che ha come oggetto il G.
Leopardi, Zibaldone, G.- E. Hidalgo, Filosofare noetico non metafisico.
L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo, Lecce reale, l’ontologia non logica ma
situazionale773 in cui la metamorfosi del mondo non può che trovare espressione
in un orizzonte di dicibilità che è metaforico. L’antica lotta tra poeti e
filosofi supera la secca alternativa tra un tentativo di purificare la lingua
da ogni ridondanza poetica e l’impresa di epurare la theoria dal concetto.
Nella prospettiva G.ana l’opposizione può trovare una soluzione attraverso una
rinnovata idea di umanesimo contrassegnato da un filosofare che sia pratica
esistenziale, non sterile sapere erudito privo di vitalità e utilità. In questa
ricerca di un’idea autentica di umanesimo Leopardi riveste un’importanza
fondamentale poco sottolineata, a nostro avviso, dalla critica, che si è
maggiormente concentrata sul G. lettore di VICO e Heidegger. La svolta verso un
filosofare noetico non metafisico si poggia su un ripensamento, da un lato,
della filosofia – sostituzione della metafisica con l’ontologia non statica ma
dinamica, non logica ma situazionale; ripensamento del tema della verità
connessa alle sue espressioni storiche – dall’altro, della filologia, che non
si riduce a una mediazione delle opere antiche ma è una scienza sperimentale,
una meditazione sull’ essenza dell’uomo e sulla sua Bildung a partire dal
problema della parola. La ricostruzione di un’essenza dell’uomo è al centro
anche delle riflessioni del Leopardi G.ano teoreta dell’illusione, il cui
significato sociale etico e politico viene ribadito contro un’Europa tutta
civilizzata in cui la civiltà, la scienza e l’impotenza sono compagne
inseparabili. Viene in mente il mondo vichiano dominato dalla boria dei dotti
in cui le forze autentiche dell’uomo, la natura e le illusioni, hanno perduto
la loro virtualità politico- fondativa per lasciare spazio ad un sapere chiuso
nei limiti del mos geometricus. Siamo di fronte all’idea di tenere insieme
linguaggio poetico e linguaggio filosofico come due tensioni inseparabili e irriducibili
all’interno dell’unico campo del linguaggio umano che tenta di dire non
l’indicibile. Leopardi, Zibaldone, l’indicibile non è altro che una
presupposizione del linguaggio – ma il dicibile con cui di volta in volta ci si
misura. L’attenzione G.ana verso il poetico, che restituisce le circum-stantiae
della res attraverso la molteplicità dei verba, va interpretata come l’ennesimo
tentativo di dire la cosa stessa della filosofia, l’autò tò pragma, ciò che è
in questione nella parola e nel pensiero, la res che, attraverso la parola e il
pensiero, è in gioco fra l’uomo e il mondo. Così poesia e filosofia stanno
l’una accanto all’altra: chi non ha immaginazione, sensibilità, capacità di
entusiasmarsi o facilità a vivere belle rappresentazioni illusorie, non
conoscerà mai la verità, perché ogni analisi può essere portata avanti solo
dove la materia della vita è riccamente delineata. Non si tratta di riconoscere
il mondo a posteriori ma di giungere a conoscenza dei principi agenti, dai
quali innanzitutto può avere origine ogni mondo, anche quello della
filosofia776. E Leopardi con le sue riflessioni ha insegnato, contro le
devastazioni dell’intelletto, questa filosofia dell’esistenza che guarda al
phainesthai, all’apparire nel quale viviamo, non con l’occhio della metafisica
ma con quello dell’ingegno, l’unico in grado di cogliere l’appello che ci
chiama da questo abisso, L’appello dell’origine. G., Illusione, natura e
critica del mondo intellettuale moderno, La metafora inaudita. Traduzione di G.
Natur, introduzione a W. Heisenberg, Das Naturbild der heutigen Physik,
Hamburg, Rowohlt. Il nostro concetto di natura deriva dal termine greco [Questa
parola proviene dalla radice phy (latino fio, fui, tedesco “bin – H. P. Grice,
Heidegger is the greatest living philosopher, whereas Kaspers is a has-been.),
di cui indica lo sviluppo. La! 341*1 racchiude tutto ciò che nasce e diviene, e
così comprende il cosmo nella sua totalità. Noi traduciamo !341*1 con il
termine natura, dalla espressione latina natura, il cui SIGNIFICATO (SENSO) esprime
quello della parola greca (nasci, esser nato, crescere, affine a gignere).
Secondo l’originario concetto greco ciò che è immediato in quanto cresce è
visto come una realtà eccellente. Tuttavia occorre ricordare che per i greci il
crescere NATURALMENTE realizza sempre la legge insita ad ogni sostanza.
Pertanto sotto il termine natura, come principio del divenire, è compresa molto
spesso l’essenza di una cosa. Il concetto di natura, la rappresentazione quindi
che lo spirito umano si costruisce attraversa una lunga e movimentata storia.
La conoscenza dei fenomeni NATURALI muta e di conseguenza cambia anche la
concezione della natura. L’età pre-filosofica della cosmogonia (sei secoli
prima della nascita di Cristo) – cioè l’epoca del dibattito sull’origine del
cosmo, del Tutto, è pervasa da rappresentazioni mitiche, in cui già sempre la
relazione dell’uomo con la natura gioca un ruolo centrale. Un primo
inquadramento non più mitico, ma filosofico del concetto di 341*1, di natura,
si ha nell’età antica con la Sofistica (Protagora; Gorgia; Ippia e Prodico, i
più giovani contemporanei di Protagora) e la filosofia socratica. Non più
l’intera realtà è inclusa in questo concetto ma ora solo un suo settore
specifico. Per prima cosa i Sofisti hanno messo in gioco la 341*1 contro
il!%$μ$1 (legge), hanno posto il naturale solo in ciò che è fissato e posto
dall’uomo in sua contrapposizione.! Socrate nel porsi domande di natura etica
professa una bassa considerazione per una scienza della natura e vi contrappone
l’idea di una scienza dell’uomo. Da una parte c’è dunque la natura, dall’altra
l’uomo con la sua cultura: così di conseguenza agli albori del pensiero
occidentale si pone già il problema se sia più importante conoscere la natura o
l’essenza dell’uomo. Dopo un’importante fase iniziale con gli Atomisti e
Platone si arriva al grande progetto finale della filosofia della natura greca
con Aristotele. Non posso ora soffermarmi sull’analisi del contenuto di questa
dottrina a cui si è fatto cenno. Va però ricordato che le scuole peripatetiche
come gli epicurei, gli stoici, i neopitagorici, i neoplatonici, apportarono
variazioni che per noi non sono determinanti. La divisione tra Natura e Spirito
e quindi l’abisso tra la Fisica, da un lato, e l’Etica e la Logica, dall’altro,
si è mantenuta nello Stoicismo e nell’Epicureismo, per quanto lo Stoicismo
abbia costituito l’ultimo e unico tentativo di riconciliazione universale di
entrambi i regni: una lotta gigantesca ma alla fine inutile. Nel Neoplatonismo
alla fine la 341*1 perde del tutto la sua importanza e viene considerata come
una realtà irrazionale fondamentalmente nulla. Il pensiero cristiano dei primi
Padri della Chiesa adotta parzialmente l’originario concetto platonico
aristotelico di natura, per quanto questo suo preciso significato cambi e si
perda giacchè la natura intera non viene più concepita in modo classico ma come
creazione di Dio a partir dal nulla. Anche se nel Medioevo non c’è uno studio
autonomo della natura, tuttavia questa epoca conosce una scienza della natura
caratterizzata dalla volontà di conservare l’antica tradizione, soprattutto
quella aristotelica. Custodi dell’antica tradizione furono in primo luogo i
filosofi e gli scienziati naturalisti dell’Islam. L’apice della scienza della
natura medievale in Occidente è rappresentato da Alberto Magno, il quale
partendo dal pensiero aristotelico propone un quadro della natura completo ed
esauriente. Con l’età dell’Umanesimo e del Rinascimento sorge una nuova
concezione della natura, che per noi è della massima importanza. L’accesso alla
natura è cercato soprattutto attraverso l’esperimento – un concetto
specificamente moderno che per la prima volta con Vinci assume una chiara forma
teoretica (i suoi scritti più noti sono il Trattato sulla pittura e
Sull’anatomia dell’uomo). L’esperimento è l’interrogazione della natura tenendo
conto di una teoria stabilita anticipatamente, al fine di verificare se questa
attraverso l’esperimento viene confermata o confutata. Il punto di partenza per
un’indagine sulla natura diventa quindi la teoria dell’uomo ad essa
soggiacente. Perciò per Leonardo non è possibile conoscere la natura nella sua
interezza ma solo quelle parti che si danno nel contesto della teoria e delle
domande poste dall’uomo. La natura è dunque correlata all’uomo e alle sue
capacità. Al concetto dell’esperimento fondato sulla teoria di Leonardo
corrisponde anche la nuova fondamentale teoria di Bacone. Attraverso il suo
pensiero emerge un secondo tratto decisivo per la moderna conoscenza della
natura. Conoscenza della natura significa soprattutto il suo dominio. Sapere è
potere. Quindi si impone un aspetto fondamentale della moderna conoscenza della
natura che l’Antichità non conosceva: la tecnica, la sua azione non nel senso
di un sapere teoretico ma nel senso di lavoro. Il concetto di esperimento si
perfeziona con GALILEI (si veda) e grazie a lui e a Keplero noi facciamo
esperienza del capovolgimento del concetto antico di Universo. Il grande
difensore di questo nuovo concetto di natura e di universo fu Giordano Bruno.
Con lui si assiste ad un ulteriore allontanamento dal concetto copernicano di
mondo: perciò non si tratta solo di contrapporre il nuovo sistema solare al
vecchio sistema geocentrico ma di riconoscere che si dà non un solo mondo ma
infiniti molti. Nonostante la dovuta brevità (di questa trattazione) qui appare
doveroso soffermarmi. Fino all’età moderna il sistema del mondo vigente traeva
origine dalla cosmologia aristotelica, era diffuso dagli eruditi alessandrini,
da Ipparco e infine rappresentato da Tolomeo. Questo sistema
aristotelico-tolemaico vedeva il mondo con approssimazione: la terra cioè
giaceva immobile al centro del cosmo. La terra e l’universo hanno una forma
sferica. I movimenti del globo sono spiegati ipotizzando l’esistenza di dieci
sfere fisse, immateriali e concentriche in cui si trovano le stelle. La più
lontana tra queste sfere regge le stelle fisse, le altre i pianeti. Ogni
pianeta appartiene ad una sfera particolare: queste gravitano intorno alla
terra con i suoi annessi corpi celesti. In contrapposizione a questa immagine
del mondo Copernico sostiene nel suo scritto De revolutionibus orbium
coelestium libro VI che sia il Sole a trovarsi al centro dell’universo e che la
Terra farebbe parte dei pianeti e che questi girano completamente intorno al
Sole fisso, muovendosi da ovest verso est. Ha parteggiato per questa visione
anche Giordano Bruno non limitandosi solo a considerazioni astronomiche ma
soprattutto giungendo alla convinzione filosofica che il mondo non può essere
finito. Nella sua opera De la causa, che si confronta con la filosofia
tradizionale, Bruno insegna che il tutto non ha né centro né confini. Il mondo
che l’uomo conosce diviene così solo uno tra molti altri. Ricordiamo infine
solo il decisivo cambiamento del concetto di natura in Kant. Andando avanti il
problema della natura si risolve nel problema della sua conoscenza. I fenomeni
sensibili, attraverso cui noi facciamo esperienza della natura, si riordinano
in noi attraverso le visioni personali dell’uomo (spazio e tempo; categorie).
In questo modo poi si dà un sistema della natura che sottostà necessariamente
alle pure leggi matematiche e fisiche: l’uomo è il legislatore della natura. Ma
di nuovo si presenta il problema dell’uomo e della sua libertà. Essa si
autodetermina in opposizione alla natura nella misura in cui oltrepassa la
necessità causale. Così la natura si limita alle forme di esperienza dell’uomo
e la sua esistenza umana e morale in realtà non rientra più nel suo campo. Lo
sviluppo del concetto di natura nella filosofia post-kantiana non potrà essere
seguito qui in modo approfondito. Certamente il modo di intendere la conoscenza
della natura di Hegel come uno stadio iniziale della filosofia dimostrabile a
priori ha contribuito a sollevare in Occidente una reazione da parte del
naturalismo empirico con il Positivismo e il materialismo. Tuttavia queste
eccessive semplificazioni non hanno avuto lunga durata. In ambito fisico
dall’inizio del ventesimo secolo il mondo va di pari passo con la matematica o
perlomeno può essere descritto solamente attraverso di essa in maniera
appropriata. Ciò rappresenta un fatto determinante. Da un punto di vista
prescientifico e immediato la natura quindi si erge nella forma in cui l’uomo
la coglie attraverso i suoi organi sensoriali. I sensi dunque restano il
meccanismo di osservazione principale ma ora l’uomo nella sua ricerca non se la
cava più senza la tecnica. Così a poco a poco il mondo dei fisici si allontana
necessariamente dal mondo quotidiano dell’uomo. Appena qualche secolo prima si
è guardato alla realtà, a come essa è, al sorgere del sole. In seguito ciò è
apparso come un inganno e non possiamo fidarci più dei nostri occhi. Siamo
arrivati ad un punto tale che il mondo intero a rigor del vero si è trasformato
in un mare di inganni. Scenario dopo scenario noi siamo arrivati a credere di
stare davanti ad un ultimo passo dalla realtà su cui scorrono solo ombre di
elettroni spettrali e inafferrabili. L’intelletto calcolante ha qui l’ultima
parola; il mondo passa dal primo piano della percezione verso lo sfondo del
pensiero. L’opera di Heisenberg richiama l’attenzione su questo processo, sulla
realtà e sul pericolo in cui l’uomo si trova quando egli risolve la natura nelle
strutture del suo pensare e la domina in modo smisurato. Come all’inizio del
pensiero occidentale anche oggi per noi permane l’ammonimento di riflettere
sull’essenza dell’uomo. Traduzione di Der italienische Schopenhauer, in
Schopenhauer im Denken der Gegenwart, cur. Spierling, München-Zürich, Piper. Il
Problema Ha un senso, in un volume su Schopenhauer, occuparsi di un altro
autore, e precisamente di uno che proviene da una tradizione e da una lingua
completamente diverse rispetto a quelle tedesche? Non solo: quest’altro autore
è uno dei più grandi poeti del diciannovesimo secolo in Italia, nemmeno è stato
filosofo. D’altra parte, quando si ha il coraggio di affrontare un lavoro come
questo, non dovrebbe esso essere strutturato nella forma tradizionale, in modo
tale che si pongano in luce, da una prospettiva scientifica, i parallelismi e
le differenze tra i due autori – e perché no, in maniera strettamente
meticolosa – che allo stesso tempo implichi una interpretazione di
Schopenhauer? C’è una questione ulteriore: il poeta al quale faccio riferimento
qui è particolarmente noto in Germania per le sue affermazioni poetiche e per
questo è diventato oggetto di indagine e trattazione prevalentemente nel campo
della storia della letteratura. Tuttavia ciò accade non solo in Germania: si
tratta di Giacomo Leopardi. Anche in Italia gli viene negato un significato
filosofico generale, e Benedetto Croce ha affermato in uno studio su Leopardi
che dovremmo rinunciare a vedere in Leopardi un sommo pensatore, le cui argomentazioni
e dottrine trovino luogo nella storia della filosofia ma per questa parte, che
è quella filosoficamente fattiva, Leopardi non offre se non sparse
osservazioni, non approfondite e non sistemate. A lui mancava disposizione e
preparazione speculativa. Vossler nel suo saggio su Leopardi si è riallacciato
a questo giudizio. Questa reazione di Croce non è fortuita: Hegel quasi con le
medesime parole si è espresso negativamente sugl’umanisti in quanto filosofi, e
precisamente colla motivazione che gl’umanisti italiani si sono CROCE, Poesia e
non poesia, Bari [CROCE, Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea,
Laterza, Bari. G. si riferisce al testo di Vossler, Leopardi, tr. it. di Gnoli,
Ricciardi, Napoli. arenati in un pensiero simbolico e non sono giunti fino
all’altezza del concetto. Letteralmente vuol dire: se si spogliano i concetti
fondamentali dei sistemi che si presentano all’interno della storia della
filosofia di quel tanto che concerne la loro configurazione esteriore, la loro
applicazione a ciò che è particolare e simili, allora si perviene ai diversi
gradi della determinazione dell’idea entro il suo concetto logico. Secondo la
concezione di Hegel l’umanesimo non si accorda in modo adeguato alla coscienza
dell’idea, esso permane molto nel mondo della fantasia, dell’arte, conficcato
nel mondo della metafora: l’arte è per Hegel, come è noto, una forma
insufficiente per rappresentare l’Idea. Qui l’Idea permane nel suo legame
concreto sensoriale, ossia si comporta ora solo come Ideale. A causa
dell’incapacità di rappresentare il pensiero in quanto pensiero, l’Umanesimo si
avvale di aiuti per esprimersi in forma sensibile. Così la filosofia
umanistica, secondo Hegel, appartiene a manifestazioni superflue che offrono
alla filosofia poco beneficio. Perciò sia in Italia, dove per molto tempo
l’idealismo tedesco con Croce e Gentile è stato determinante, sia in Germania,
la concezione poetica come espressione del pensiero filosofico è stata
condannata nel modo più critico. In un lavoro apparso recentemente e in una
pubblicazione uscita negli Stati Uniti io ho trattato l’intera problematica
della tradizione umanistica, alla quale Leopardi appartiene, e ho motivato e
sviluppato la valutazione completamente errata della tradizione umanistica –
che non parte da una metafisica razionalistica ma dal problema della parola, e
precisamente dalla parola metaforica e di conseguenza poetica. Questa
discussione verrebbe ad essere la giusta premessa per giungere ad una
comprensione filosofica di Leopardi nel suo valore generale. Ma qui si tratta
proprio della relazione Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie,
a cura di H. Glockner, Suttgart [G. W. Hegel, Lezioni sulla storia della
filosofia, a cura di R. Bordoli, Laterza, Roma-Bari]. G., Einleitung in
philosophische Probleme des Humanismus, Wissenschaftlische Buchgesellschaft,
Darmstadt [E. G., La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, a cura di
L. Rossi, Tempi moderni, Napoli]. G., Heidegger and the question of Renaissance
Humanism, Medieval Renaissance Texts and Studies, Binghamton, N. Y. [G.,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, a cura di C. Vasoli, Guida,
Npoli]. tra Schopenhauer e Leopardi. Io farò riferimento alle tesi di
Leopardi senza discutere il parallelismo e la differenza con Schopenhauer. Gli
schopenhaueriani possono prendere i testi di Leopardi come motivo per un
confronto tra entrambi. A giustificazione di un metodo di analisi di questo
tipo sarebbe determinante una parola di Schopenhauer. Nella scorsa metà del
secolo scorso Francesco De Sanctis ha notato per primo in un saggio su
Schopenhauer e Leopardi la rilevanza filosofica del poeta, ma soprattutto ha
contribuito a mettere in circolazione quell’immagine del pessimismo
leopardiano, come noi oggi ancora comunemente pensiamo. Schopenhauer si
espresse sul saggio di De Sanctis nel modo seguente con il suo amico Lindner:
mi devo stupire molto nel vedere quanto questo italiano (De Sanctis) si sia
impossessato della mia filosofia e come l’abbia capita bene. Non fa come i
Professori tedeschi, specialmente Erdmann, sunterelli ed estratti dei miei
scritti, senza vera comprensione e secondo il numero delle pagine. No, egli li
ha convertiti in succum et sanguinem, e li ha sulle punte delle dita per
adoperarli dove occorre. Io qui strutturerò i livelli di pensiero di Leopardi
in modo che gli specialisti di Schopenhauer possano discutere la questione
delle affinità e diversità tra i due autori. Innanzitutto perché è possibile
accostarsi a Schopenhauer anche da un’altra prospettiva, diversa rispetto a
quella tradizionale che si trasmette con Kant e l’idealismo tedesco. I temi di
Leopardi – il rigetto della priorità della ragione, la natura, l’analisi della
noia, il significato filosofico delle passioni, l’illusione, la mania – sono
gli stessi di Schopenhauer. G. si riferisce al saggio desanctisiano in forma di
dialogo Schopenhauer e Leopardi che trae origine dalla lettura da parte di
Sanctis dell’opera di Schopenhauer. Il saggio di De Sanctis appare in Rivista
contemporanea, e confluisce in Saggi critici. , F. De Sanctis, Schopenhauer e
Leopardi, in Leopardi, cur. Muscetta-Perna, Einaudi, Torino GBr, [Lettera di
Schopenhauer a Lindner, in A. Schopenhauer, Colloqui, a cura di A. Verrecchia,
Bur, Milano]. I passi di prosa che ora prenderò in esame provengono dal
cosiddetto Zibaldone, una raccolta di pensieri e annotazioni. Esso non era
destinato alla pubblicazione nella forma in cui oggi si presenta il testo
originale, nonostante Leopardi lo avesse progettato, per quanto ne sappiamo,
per pubblicarlo in dieci volumi. Lo Zibaldone è un’opera molto voluminosa:
consta di un manoscritto di 4526 pagine. La prima edizione è pubblicata da
Giosuè Carducci con commento critico e filologico con il titolo di Pensieri di
varia filosofia e letteratura (un titolo che era tratto da un’indicazione di
Leopardi). La seconda versione migliorata, che si accorda a questa traduzione,
appare negli anni Trenta: G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura Flora,
Milano. Io cito dalla traduzione tedesca di K. J. Partsch. Il punto di partenza
della riflessione di Leopardi è il contrasto tra la ragione e ciò che egli ha
chiamato natura, criticando in tale contesto ogni filosofia che creda di
decifrare la realtà sulla base di principi razionali e perciò tutto ciò che ha
a che fare con i sensi e le passioni, tutto ciò che è metaforico, lo rifiuta
nel suo significato filosofico. In generale questa tradizione concede solo ciò
che noi possiamo dimostrare e dimostrare significa mostrare e determinare
qualcosa sulla base di un fondamento, di un assioma, di un principio. E qui
voglio notare come la ragione umana di cui facciamo tanta pompa sopra gli altri
animali, e nel di cui perfezionamento facciamo consistere quello dell’uomo, sia
miserabile e incapace di farci non dico felici ma meno infelici, anzi di
condurci alla stessa saviezza che par tutta consistere nell’uso intero della
ragione788. Ogni vita umana ordinata e fruttuosa sembra realizzarsi solo sulla
base di fondamento e dimostrazione. Soltanto in questo modo si ritiene di poter
prevedere anche l’avvenire in generale per poterlo deviare e per potersi
mettere a riparo da esso. Da questo punto di vista l’imprevisto, l’improvviso,
il sorprendente, non solo non vengono presi in considerazione ma cancellati,
allorché G. fa riferimento alla traduzione di Partsch Theorie des schönen Wahns
und Kritik der modernen Zeit, Ausgewahlt, geordnet und eingeleitet von G., aus
dem italienischen übertragen von K. J. Partsch, Bern, Francke Leopardi,
Zibaldone] si manifestano, e giudicati alla stregua di un fallimento delle
nostre forze umane e razionali, delle nostre conoscenze, dei nostri desideri di
sicurezza e certezza. Ora da questo emerge che l’esistenza umana deve scaturire
solo attraverso una certezza sicura e razionale e che tutti i momenti della
vita sociale, politica e spirituale devono derivare da un fondamento di tal
sorta: perciò poi anche l’insegnamento e l’educazione devono non solo chiarire
i fondamenti originari dai quali noi deriviamo le nostre azioni, ma anche
prestabilire tutte le possibilità. Invece Leopardi adduce come argomento (il
seguente): e pure è certissimo che tutto quello che noi facciamo lo facciamo in
forza di una distrazione e di una dimenticanza, la quale è contraria
direttamente alla ragione. E tuttavia quella sarebbe una verissima pazzia, ma
la pazzia la più ragionevole della terra, anzi la sola cosa ragionevole, e la
sola intera e continua saviezza, dove le altre non sono se non per
intervalli. Ella rende piccoli e vili e
da nulla tutti gli oggetti sopra i quali ella si esercita, annulla il grande,
il bello, e per così dire la stessa esistenza, è vera madre e cagione del
nulla, e le cose tanto più impiccoliscono quanto ella cresce. Partendo dalla
tesi della priorità del pensiero razionale, ogni passione, ogni impulso, viene
considerato in realtà come un momento da oltrepassare, come un momento che deve
essere corretto o annientato. Di conseguenza la conclusione dell’importanza del
prevedibile, del sicuro, del giudizio divengono gli ideali a cui poi ci si abbandona:
la stessa vita politica, lo Stato, se assicura la vita umana e vuole
contribuire al suo sviluppo, deve partire da un’impostazione del genere e
attuarla. Una simile concezione della vita, che si prova a dedurre more
geometrico, corrisponde a una tradizione razionalistica contro cui Leopardi
assume una posizione, che analizza progressivamente per mostrarla come causa
delle rovine del mondo occidentale. Ma una concezione di questo tipo non è
apparsa e si è realizzata proprio in precise forme di Stato, di insegnamento,
di sapere quando ci si è allontanati già dall’originaria fonte della vita? Come
è considerato l’esito della priorità della ragione da un punto di vista
sociale, politico? Anche nell’interiore quasi tutti gli uomini oggidì sono
uguali nei principi, nei costumi, nel vizio, nell’egoismo etc...Sono tutti
uguali e tutti separati, laddove autenticamente erano tutti diversi e tutti
uniti, e perciò atti alle grandi cose, alle quali noi siamo inettissimi
trovandoci tutti soli. In un mondo razionalizzato ogni elemento nuovo,
originario, indeducibile e non anticipatamente dimostrabile e sicuro non ha
nessuna possibilità. In ogni forma già razionalizzata di vita sociale, politica
o culturale nulla di imprevisto può irrompere senza far saltare il contesto
esistente. Ma dunque cosa bisogna opporre alla ragione? La natura forse,
l’affermazione delle passioni? La superiorità della natura sulla ragione si
dimostra anche in questo che non si fa mai cosa con calore che si faccia per
ragione e non per passione. Per Leopardi i concetti di natura e passione
collimano: di che natura è il loro rapporto profondo e da ciò come emerge una
comprensione della loro essenza? La
ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica della natura. Qual cosa
è più potente nell’uomo, la natura o la ragione? Il filosofo non vive mai né
pensa giornalmente, e intorno a ciò che lo riguarda né vive con se stesso (se
anche vivesse con gli altri) da vero filosofo794. In che cosa risiede la potenza, la capacità
della natura con cui possiamo riconoscerla con certezza? A questa domanda noi
riceviamo da Leopardi soprattutto una risposta negativa. Da cosa scaturisce
l’esperienza profonda del nulla, di cui l’autore italiano si occupa così
sistematicamente, e in che misura essa getta luce sui concetti di natura, vita,
che egli pone contro la ragione? La profonda esperienza del nulla appare,
secondo Leopardi, non nel dolore, non nella disperazione, momenti, questi, che
mantengono tutti ancora viva la testimonianza dei valori, ma nella noia. Essa è
il contrario della vita, pertanto ad essa non possiamo abituarci. Così afferma
Leopardi che la noia è l’esperienza del monotono, dell’indifferente,
dell’apatico, che quindi sopraggiunge quando si attenua la capacità di
distinguere qualcosa Amando il vivente quasi sopra ogni cosa la vita, non è
meraviglia che odi quasi sopra ogni cosa la noia, la quale è il contrario della
vita vitale del resto l’odio della noia
è uno di quei tanti effetti dell’amor della vita e l’uomo odia la noia per la stesa ragione
per cui odia la morte, cioè la non esistenza795. Così la noia scopre dalla sua
essenza un’insolita, fenomenologica, molto importante incomprensibilità: nel
suo patire deve determinarsi come una passione. Noi possiamo vivere e esperire
l’indifferente, l’apatico, il monotono solo se si manifesta in modo limitato e
la noia, se ne facciamo esperienza, ci rivela che non possiamo esistere nello
sconfinato e nell’indifferenziato. La noia corre sempre e immediatamente a
riempire tutti i vuoti che lasciano negli anni dei viventi il piacere e il
dispiacere; il vuoto cioè lo stato di indifferenza e senza passione non si dà
in esso animo, come non si dava in natura o vogliamo dire che il vuoto stesso
dell’animo umano e l’indifferenza e la mancanza d’ogni passione è noia, la
quale è pure passione. La noia fa parte di quei sentimenti deprimenti
attraverso i quali si manifesta il declino della vita così silenziosamente e
senza emozione. Essa non ha nulla di eroico, è come uno stato d’animo opposto
alla natura, poiché in essa ogni disperazione è già apatica. Secondo l’opinione
di Leopardi in ciò risiede l’essenza della moderna esperienza del dolore che
non ha nulla più di vitale. Si tratta di un’autodistruzione in una perdita di
suoni e parole che si muovono in un silenzio disumano, in cui né odio né
speranza, né tantomeno interesse e partecipazione sono presenti: è l’ultimo
stato in cui si manifesta il naufragio di una cultura, di una classe sociale.
Al suo posto la natura si mostra nella potenza della passione: affermazione,
dunque, della passione contro la priorità del razionale? Prima di rispondere
insieme a Leopardi a questa domanda occorre discutere la funzione e il potere
della passione: le sventure o d’immaginazione o reali, potranno anche indurre
il desiderio della morte, o anche far morire, ma qual dolore ha più della vita,
anzi massimamente se proviene da immaginazione e passione, è pieno di vita, e
quest’altro dolore ch’io dico è tutto morte; e quella medesima morte prodotta
immediatamente dalle sventure è cosa più viva, laddove quest’altra è
sepolcrale, senz’azione, senza movimento, senza calore e quasi senza dolore, ma
piuttosto come un’oppressione smisurata e un accoramento797. Ma gli antichi
sempre più grandi, magnanimi e forti di noi nell’eccesso delle sventure, e
nella considerazione della necessità di esse e della forza invincibile che li
rendeva infelici, e gli stringeva e legava alla loro miseria senza che
potessero rimediarvi e sottrarsene, concepivano odio e furore contro il
fato798. Secondo l’interpretazione di Leopardi gli antichi soffrivano, poiché
credevano nella vita, perché la sentivano come un valore; quanto meno ci
rinunciavano tanto più l’affermavano nella disperazione. Si tratta del dolore
di Niobe, per il quale non si danno nessun sollievo, nessuna assuefazione. E
dal momento che per gli antichi la disperazione è allo stesso tempo
un’affermazione della vita, così nel loro animo nasceva l’odio, si accresceva
attraverso il dolore la loro immaginazione, traducendosi in azione,
presentandosi nei miti, i quali non hanno conosciuto ancora nessun
sentimentalismo. Così importanti stimavano gli antichi le cose nostre, che non
davano ai desideri divini, o alle divine operazioni altri fini che i nostri,
mettevano I dei in comunione della nostra via e dei nostri beni, e quindi gli
stimavano gelosi delle nostre felicità ed imprese, come i nostri simili, non
dubitando che elle non fossero degne della invidia degl’immortali. Da questo
punto di vista la vita in ogni suo stadio, sia sensibile che spirituale, non
attinge a ciò che è sicuro, sperimentato, calcolabile, non attinge alla
certezza razionale e dimostrabile, bensì all’ambito del creativo,
dell’imprevedibile, dell’abissale: la prima possibilità dell’esperienza sorge
da qui. Se noi oscilliamo continuamente tra successo e fallimento, se inoltre
siamo disposti alla realizzazione delle nostre capacità, allora qui si radica
la nostra autoaffermazione, che nuovamente richiama l’attenzione all’appello
oggettivo e trascendentale a cui dobbiamo corrispondere. Leopardi pone
l’attenzione sul fatto che tutte le grandi imprese oltrepassano l’ordine
esistente e consueto, infatti dal momento che istituiscono qualcosa di nuovo
non possono essere dedotte dal già noto. Già nella vita quotidiana appare
impossibile vivere in modo puramente razionale e prevedibile. Gli stessi
sentimenti più naturali si mostrano come qualcosa di infondato. Ogni cosa
feconda non è mai deducibile e calcolabile: da ciò proviene la priorità storica
che i popoli naturalmente rivestono, poiché su di essi agiscono le passioni,
ciò che è originario, solamente essi, per questo motivo, trionfano sempre su
quei popoli che sono dominati dal razionale. La natura, nel suo significato già
spiegato, vive e si fa largo. Solo essa suscita tutte le passioni possibili, solo
essa desta i sentimenti naturali che mostrano l’inaspettato. Così Leopardi
passa alla descrizione e approvazione delle passioni del mondo antico. Allora
quelle forze imperanti fanno tutte parte dell’imprevedibile, di ciò che non è
razionalmente deducibile. Si tratta di quelle capacità di mostrare il nuovo
sotto forma di immagine, di linguaggio, di azioni, di miti. Quegli stessi
esercizi fisici, le lotte, le competizioni sportive e le cerimonie favoriscono
la fantasia, destano i miti che non sono il vero ma celano in sé il significato
dell’esistenza. Gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il vigore del
corpo non erano solamente utili alla guerra, o a eccitare l’amor della gloria
ma contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor dell’animo, il
coraggio, le illusioni, l’entusiasmo che non saranno mai in un corpo debole,
insomma quelle cose che cagionano la grandezza e l’eroismo delle nazioni800.
Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva secondo l’immaginazione
umana e vive umanamente cioè abitate o formate di essere uguali a noi, quando
nei boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle
Amadriadi e i fauni, e i silvani e Pane etc..., entrandoci e vedendoci tutto
solitudine, pur credevi tutto abitato. L’Illusione Allora dobbiamo dedurre che
il Reale sia la natura, le passioni? Da parte di Leopardi la risposta a questa
domanda è categorica: No. Il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la
scena della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco
inquietante nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori accettati. Dal
momento che l’originario è indeducibile e perciò non è spiegabile in fondo
attraverso il ragionamento analitico esso deve così essere riconosciuto come
illusione, come ossessione. Sicuramente l’Illusione è generatrice di ordine,
poiché è la ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni
creazione storica, ma quello che si apre di fronte ai nostri occhi è tragico,
poiché questa illusione senza fondamento non mostra nessun interesse per la
sorte dei singoli, ma solo per il compiersi della storia dei drammi umani.
L’illusione è generatrice di ordine e l’Appello al quale corrispondere, motivo
di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storia. Con
questa tesi viene ad essere rappresentata una concezione irrazionale,
pragmatica? No, perché l’Illusione è ciò che è a fondamento dell’infondato, è
il sistemare e distinguere, è ciò che è determinante, e per questo
l’affermazione dell’Illusione non è alcuna negazione del legame e della
legalità, ma al contrario è il rendersi palese di ciò che ordina e lega e svela
il pezzo di scena in cui noi viviamo e agiamo. Forza misteriosa, che evoca
l’illusione della storia, nella cui orbita facciamo la nostra comparsa per
interpretare un ruolo: ma l’illusione della storia non mostra rispetto per la
storia dei singoli. La più grande nemica della barbarie non è la ragione ma la
natura: (seguita però a dovere) essa ci somministra le illusioni che quando
sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile le illusioni sono in
natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o quasi affatto, l’uomo
è snaturato. La potenza dell’illusione colpisce pertanto sempre di nuovo, e dal
nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta: poiché anche nei momenti in cui
l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma di dolore, sia sotto quella di
fallimento, sia sotto forma di disperazione, ciascuno dei nostri respiri è
portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso la vita. Anzi, noi più
intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la consideriamo qualcosa
di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo palese il teatro
del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In questo contesto
emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice forma: da un
lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione, dell’improvviso,
dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno) si origina da
nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà appare in
quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni cosa è
dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò che è sempre
uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla cui descrizione Leopardi
parte in qualità di critico del mondo moderno.
E’ pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque
quel giorno non abbia niente più a che fare col passato che qualunque altro,
noi diciamo, come oggi accade il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza,
fui tanto sconsolato etc..e ci par veramente che quelle tali cose che son morte
per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in
ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci (l’idea della distruzione
e dell’annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle
cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui ci piace ricordarci con
qualche speciale circostanza, come chi va sul luogo ove sia accaduto qualche
fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo modo di vedere
qualche cosa di più che altrove nonostante che il luogo sia per esempio mutato
affatto da quel che era allora803. Con la sua teoria dell’illusione Leopardi
non mette in piedi una indeterminata dottrina dell’entusiasmo, bensì una teoria
del fondante, di ciò che rende possibile l’ordine, la fonte di ogni vita
originaria nel profondo. Egli perciò in alcun modo nega la necessità dei
sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della filosofia, poiché le cose
stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un piano e uno scopo. Ma la
filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale pura né permettersi di
celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco qui una profonda tesi
umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire a priori il mondo,
bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui ogni mondo
innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza
dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più
tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante.
L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano
dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori diverranno
inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che resteranno
barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e costanti e
non ragionate, e grandi illusioni, i popoli civili saranno lor preda804. Le
quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perdere tutte le illusioni, e
le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi
continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana
non resteranno altro che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò nel
secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla
natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero
tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di
qui a cent’anni. Non abbiamo ancora Allora dobbiamo dedurre che il Reale sia la
natura, le passioni? Da parte di Leopardi la risposta a questa domanda è
categorica: No. Il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la scena
della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel
quale noi stessi siamo solo attori o spettatori accettati. Dal momento che
l’originario è indeducibile e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il
ragionamento analitico esso deve così essere riconosciuto come illusione, come
ossessione. Sicuramente l’Illusione è generatrice di ordine, poiché è la
ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storica,
ma quello che si apre di fronte ai nostri occhi è tragico, poiché questa
illusione senza fondamento non mostra nessun interesse per la sorte dei
singoli, ma solo per il compiersi della storia dei drammi umani. L’illusione è
generatrice di ordine e l’Appello al quale corrispondere, motivo di ogni grande
azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storia. Con questa tesi viene
ad essere rappresentata una concezione irrazionale, pragmatica? No, perché
l’Illusione è ciò che è a fondamento dell’infondato, è il sistemare e
distinguere, è ciò che è determinante, e per questo l’affermazione dell’Illusione
non è alcuna negazione del legame e della legalità, ma al contrario è il
rendersi palese di ciò che ordina e lega e svela il pezzo di scena in cui noi
viviamo e agiamo. Forza misteriosa, che evoca l’illusione della storia, nella
cui orbita facciamo la nostra comparsa per interpretare un ruolo: ma
l’illusione della storia non mostra rispetto per la storia dei singoli. La più
grande nemica della barbarie non è la ragione ma la natura: (seguita però a
dovere) essa ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto fanno
un popolo veramente civile le illusioni
sono in natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o quasi
affatto, l’uomo è snaturato. La potenza dell’illusione colpisce pertanto sempre
di nuovo, e dal nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta: poiché anche nei
momenti in cui l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma di dolore, sia
sotto quella di fallimento, sia sotto forma di disperazione, ciascuno dei
nostri respiri è portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso la vita. Anzi,
noi più intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la consideriamo
qualcosa di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo palese
il teatro del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In questo
contesto emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice forma:
da un lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione, dell’improvviso,
dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno) si origina da
nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà appare in
quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni cosa è
dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò che è sempre
uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla cui descrizione Leopardi
parte in qualità di critico del mondo moderno.
E’ pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque
quel giorno non abbia niente più a che fare col passato che qualunque altro,
noi diciamo, come oggi accade il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza,
fui tanto sconsolato etc..e ci par veramente che quelle tali cose che son morte
per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in
ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci (l’idea della
distruzione e dell’annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla
presenza di quelle cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui ci piace
ricordarci con qualche speciale circostanza, come chi va sul luogo ove sia
accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo
modo di vedere qualche cosa di più che altrove nonostante che il luogo sia per
esempio mutato affatto da quel che era allora806. Con la sua teoria
dell’illusione Leopardi non mette in piedi una indeterminata dottrina
dell’entusiasmo, bensì una teoria del fondante, di ciò che rende possibile
l’ordine, la fonte di ogni vita originaria nel profondo. Egli perciò in alcun
modo nega la necessità dei sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della
filosofia, poiché le cose stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un
piano e uno scopo. Ma la filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale
pura né permettersi di celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco
qui una profonda tesi umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire
a priori il mondo, bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui
ogni mondo innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza
dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più
tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante.
L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano
dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori diverranno inciviliti,
il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che resteranno barbari al
mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e costanti e non
ragionate, e grandi illusioni] popoli civili saranno lor preda807. Le quali
cose se ridurranno finalmente gli uomini a perdere tutte le illusioni, e le
dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi continuamente
e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno
altro che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò nel secolo addietro.
Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale
sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice
fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non
abbiamo ancora esempio nella passata età, dei progressi di un incivilimento
smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torniamo indietro, i
nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno
posteri808. Attraverso la lettura dei passi leopardiani da me indicati sorge
una serie di domande riguardo al problema del pessimismo di Schopenhauer: la
conoscenza dell’illusione, dell’ossessione, quale fonte della storia umana, è
tragica dal momento che questa potenza, che fonda l’accadere storico dell’uomo,
non si può definire razionalmente, cioè conoscere in quanto abissale? Oppure:
la conoscenza dell’illusione è tragica per questo, poiché è l’illusione e non
la razionalità, secondo la tesi di Leopardi, quella potenza che lascia apparire
e scomparire il mondo, e perché questa forza trainante misteriosa ha solo
riguardo per lo svolgersi delle più diverse storie, ma nessun interesse per il
destino dell’individuo, quando egli gioca e soffre il suo ruolo in questo
dramma? Dunque l’illusione è solo un’astuzia con cui l’Abissale conduce l’uomo
verso il teatro del mondo? Dove risiede allora l’essenziale identità o
differenza tra la teoria dell’illusione di uno Schopenhauer e quella di
Leopardi? La formulazione e la risposta a queste domande si discostano
radicalmente dall’analisi del pensiero di Schopenhauer, così come
tradizionalmente viene eseguita, quando si parte da Kant e dall’Idealismo
tedesco per intendere Schopenhauer. Per me era profondamente importante qui
mostrare il significato della teoria dell’illusione – che gioca un ruolo così
profondo in Schopenhauer – alla luce di una prospettiva completamente diversa e
poterne discutere. Traduzione di Vom
Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen
italienischer und deutscher Philosophie, München, Beck, La ricerca della
verità: il fondamento oggettivistico della verità, Oggetto di indagine
filosofica è la questione relativa alla preminenza del Logos. L’inquadramento
del problema e una definizione più veritiera possibile dell’essenza del Logos
sono questioni che vanno però inevitabilmente rimandate ad un momento
successivo. Ogni indagine filosofica rappresenta in sé una ricerca della verità
che parte da un qualcosa di preesistente che in quanto tale presuppone già un
determinato concetto di verità. Dal momento che però la filosofia non può
presupporre nulla a priori, diventa necessario definire in maniera univoca il
concetto di verità. Ma com’è possibile intraprendere un’indagine filosofica
partendo da un determinato concetto di verità, se evidentemente questo non può
che essere il risultato di una lunga e complessa ricerca? E se la filosofia non
può presupporre nulla come sarà mai possibile verificare se il concetto di
verità così com’è concepito corrisponde al vero? All’inizio di ogni indagine
filosofica ci si ritrova sempre a dover affrontare quella che si rivela essere
la difficoltà principale ossia la ricerca della verità presuppone che si
conosca già la verità altrimenti come sarebbe possibile riconoscerla? In un suo
dialogo Platone enuncia in maniera precisa questa aporia sottolineandone i tre
momenti principali ovvero la possibilità dell’indagine, la possibilità del
prefiggersi un qualcosa e la possibilità del riconoscere la verità che presuppongono
già di per sé una conoscenza della verità. Come potrai mai cercare una cosa che
non conosci e cosa di ciò che non conosci ti prefiggerai di ricercare? E nel
caso dovessi imbatterti in esso come riuscirai ad accorgerti che si tratta
proprio di ciò che non conosci?. Tuttavia ammettendo che la ricerca della
verità presupponga, per poter aspirare ad essa, già una conoscenza, ciò ci
conduce inevitabilmente di fronte a una seconda difficoltà ossia l’indagine
filosofica appare superflua. Per quale motivo si dovrebbe cercare qualcosa che
già si conosce? Questa riflessione sembra frenare sin dall'inizio qualsiasi
indagine. Ma andando ad analizzare la questione più nel dettaglio ci si accorge
immediatamente che essa in realtà fornisce già una prima indicazione utile
(nell’individuazione del) concetto di verità al quale riferirsi nella ricerca:
a quello che rende possibile l’indagine come punto di partenza e giusto
approccio filosofico. L’aporia non riguarda la verità in sé ma solo una
determinata concezione di essa. Quale? All’essenza dell’indagine appartiene
tutto ciò che ricerchiamo e che in un certo senso è già esistente e non
esistente. L’impossibilità che qualcosa allo stesso tempo sia e non sia è
valida però per tutto ciò che è Ente e che ricade sotto il principio
dell’identità: questo principio è applicabile sono ad un determinato ambito
dell’Ente ovvero laddove esso in quanto oggetto dell’indagine venga concepito
in maniera oggettivistica. Il principio dell’Identità non è applicabile al
Divenire poiché in quanto tale esso ha già la caratteristica di poter essere e
non essere. Da ciò si evince dunque che se il fondamento della verità viene
identificato con l’immediata e concreta semplice-presenza di un qualcosa, la
possibilità della ricerca viene meno. L’oggetto ha dunque solo due possibilità:
la semplice-presenza e la non-presenza. Un tale fondamento della verità non
ammette indagine e l’aporia si rivela come un qualcosa che non va ad
interessare tutte le definizioni di verità ma bensì solo una determinata concezione
di essa. Ma qual è da un punto di vista storico in generale la concezione di
verità che nell’immediatezza della semplice-presenza di un oggetto ne vede il
proprio fondamento? È quella concezione di verità che tradizionalmente per
analogia accettiamo come valida in quanto afferma che la verità è verità logica
essenziale e che in quanto tale appartiene solo al pensiero inteso come
pensiero dell’Essere sia nella forma di oggetto razionale, come le idee di
Platone, che in quella di oggetto sensoriale come nell’espressione dei sensi
(secondo l’interpretazione di Aristotele). Il congiungere, l’atto di unire del
pensiero, che si esprime nella concezione di unità come connexio di soggetto e
predicato, il giudicare, sono veri nel momento in cui uniscono o separano ciò
che si appartiene o non si appartiene, così com’è nell'Essere. In primo luogo è
doveroso sottolineare che sulla base di una tale concezione il fondamento della
verità appare innanzitutto come l’immediato manifestarsi dell'Essere in quanto
oggetto; in secondo luogo che il fondamento della verità del pensiero non si
trova nel pensiero stesso ma al di fuori di esso e che per questo la preminenza
del Logos come pensiero viene negata; in terzo luogo che la definizione del
fondamento della verità in una tale concezione deve essere necessariamente
caratterizzata in maniera oggettivistica, indipendentemente dal fatto che si
tratti di un fondamento empiristico o razionalistico. L’interrogativo circa il
dove storicamente questa concezione si presenti realmente, sotto questa forma,
resta dunque ancora da sciogliere. La semplice-presenza come verità
dell'Oggettivismo Analizziamo ora in maniera più approfondita la concezione
oggettivistica del fondamento della verità (così come della conoscenza) per
verificare se essa effettivamente ha ciò che rivendica. La concezione
oggettivistica del fondamento della verità (così come della conoscenza) si
richiama all’immediato manifestarsi di un qualcosa, alla sua semplice-presenza.
Il fondamento del rivelarsi nel presente di un qualcosa non si cela però, in
una tale concezione, dietro il concetto di semplice-presenza in sé ma consegue
da esso, è l’oggetto, il Faktum empiristico o razionale. La contraddizione
tipica di questa asserzione è che l’essenziale non viene identificato con il
manifestarsi dell’oggetto ma bensì con l’Essere-per-sé, che viene prima
dell’apparire, ma allo stesso tempo si richiama alla sua immediata
semplice-presenza per poter affermare il suo Essere. Se per poter superare
questa difficoltà si identifica il fondamento concreto della verità con la
semplice-presenza del manifestarsi di un qualcosa, con il quale esso dovrebbe
essere raggiungibile (volendo comunque mantenere ancora l’Essere-per-sè
dell’oggetto), l’Essere-per-sè dell’oggetto diventa in questo modo
irraggiungibile e indefinibile. Dal momento che in questo caso considereremmo
l’oggetto solo fino a che esso continui a rivelarsi in e attraverso una
qualsiasi semplice-presenza, non avremmo più alcuna possibilità di fare
riferimento al suo Essere-per-sé, e ciò che appariva solo come un processo di
appropriazione, ossia mediazione intenzionale della semplice-presenza, diviene
il fondamento per il quale un qualcosa può rivelarsi in quanto tale. Hegel
respinge questo concetto dualistico tra l’oggetto e il processo dell’apparire
inteso come mediazione intenzionale affermando, con la terminologia che gli è
propria e che deriva dalla questione al superamento del dualismo
teorico-conoscitivo dell’Essere-per-sé e dell’Essere-per-noi, che: se il
conoscere è lo strumento per potersi impossessare dell’essenza assoluta allora
è altrettanto evidente come l’utilizzo di uno strumento su un oggetto non lo
lasci inalterato ovvero così come esso è per sé stesso ma bensì porti con sé
una forma e dei cambiamenti. Altrimenti il conoscere non sarebbe più strumento
della nostra attività ma bensì, per così dire, un mezzo passivo attraverso il
quale la luce della verità può arrivare a noi, non così com’è in sé stessa ma
così com’è attraverso e in un mezzo. Appare dunque chiaro che solo mediante la
conoscenza del funzionamento dello strumento si può porre rimedio a questi
inconvenienti; poiché tale conoscenza rende possibile escludere da ciò che si
ottiene quella parte di definizione che a partire dall’assoluto deriva dall’uso
dello strumento e conservarne così solo il Vero puro. Basterebbe questo
miglioramento a riportarci nella condizione in cui ci trovavamo in precedenza.
Se a una cosa già formata togliamo di nuovo l’effetto che su di essa ha avuto
lo strumento, quella cosa, qui l’Assoluto, tornerà a noi così com’era prima di
tale superflua premura. Il fondamento oggettivistico della verità appare dunque
falso. Ma se esso non è in grado di spiegare la verità può almeno spiegare la
possibilità dell’errore? Come può però un oggetto, così come è stata
considerata anche la sua essenza, essere preso per un altro se esso si
manifesta solo nell’immediatezza? Questo vale sia per una concezione
empiristico-oggettivistica del fondamento del manifestarsi sia per una
razionalistico-oggettivistica. In effetti se un qualunque manifestarsi di un
qualcosa viene considerato immediato sarà altrettanto necessario considerare
immediata, e dunque come un qualcosa di non-presente, la sua velatezza. Per
questo motivo non può esserci un passaggio intermedio tra velatezza e
manifestazione, e per velatezza va intesa solamente quella di un oggetto, come
quella di un qualcosa di immediato che supera la nostra ricerca della verità.
Non si può superare questa difficoltà nemmeno affermando di voler passare dalla
non-conoscenza alla conoscenza, basandosi solo sulla porzione di verità che si
conosce e che può far cadere in errore dal momento che si può confondere ciò
che si conosce con ciò che non si conosce. Per questo per la restante porzione
di verità che non si conosce resta valida l’originaria aporia che riguarda il
ricercare. Non possiamo né ricercare ciò che non conosciamo né cadere in errore
confondendo ciò che non conosciamo con qualcosa che conosciamo o con
qualcos’altro che non conosciamo. L’aspirazione al raggiungimento della verità
e l’errore vengono considerati attraverso la concezione del fondamento della
conoscenza come un qualcosa di immediato, oggettuale, simile a un’illusione e
ridotto ad un niente. In quest’ottica appare anche impossibile un passaggio
dalla non conoscenza alla conoscenza. Il processo come fondamento del
manifestarsi di qualcosa È necessario dunque sottolineare che due momenti,
quello della possibilità della ricerca della verità e quello della possibilità
dell’errore, sono da considerare come i criteri in base ai quali poter
riconoscere quella verità che cerchiamo. L’interrogativo circa il fondamento
della verità può essere genericamente definito come l’interrogativo sul
fondamento del manifestarsi di un qualcosa e che in quanto tale sin dall’inizio
non può essere considerato come immediato e oggettuale in quanto una qualsiasi
immediatezza oggettivistica non consentirebbe la definizione di un tale
rivelarsi che invece qui deve essere oggetto di indagine filosofica: quel
manifestarsi che rende possibile la ricerca. La questione della verità resta
dunque identificata con l’interrogativo circa l’essenza del manifestarsi di
qualcosa. Attraverso ciò appare subito chiaro come il ricercato fondamento del
concetto più veritiero possibile di verità sia da trovare mediante un processo
assoluto: questo processo deve coincidere in origine con il rivelarsi di
qualcosa, di ciò a cui aspiriamo. Se tale processo del manifestarsi si basasse
su qualcos’altro al di fuori di esso si verificherebbero nuovamente le
difficoltà già esposte in maniera esauriente. Nel caso in cui il fondamento del
manifestarsi di qualcosa mettesse radici in un processo, in un divenire, in un
avere e non avere, bisognerebbe ammettere che ciò che ci appare ci appartiene
dalle origini e allo stesso tempo è celato in noi. Il processo del manifestarsi
deve quindi contemplare anche la possibilità del celarsi e dello scoprirsi: il
processo del manifestarsi, e dunque qualcosa di non ancora divenuto ma in
divenire, è il primo originario. Dal momento che però il manifestarsi di
qualcosa non è un qualcosa che va al di là del processo ma è contenuto in esso,
il processo stesso e quindi il fondamento del manifestarsi non sono che una
lotta per quello che si cela in noi, un ritorno a ciò che abbiamo già, un
tentativo di scoprire ciò che è celato. Solo attraverso la vittoria in questa
lotta e la conquista di un qualcosa che già ci apparteneva si genera la
possibilità della conoscenza, del riconoscere qualcosa da un qualcos’altro, che
può diventare la prima ragione di qualsiasi ulteriore affermazione della
verità. Da notare che nella logica tradizionale l’essenza della verità è stata
ricercata nel Logos, nel pensiero come pensato e dunque oggetto, e analizzata
nelle sue forme e nelle sue manifestazioni. L’oggettivismo di una tale
concezione si mostra qui in una doppia veste: il fondamento della verità viene
visto come l’oggettivistico e immediato manifestarsi di un qualcosa e la verità
stessa ricercata nel pensiero come oggetto e nelle forme del pensato. Appare
dunque evidente che qualsiasi tentativo di ricercare in qualcosa di oggettuale,
anche se è soltanto nel pensiero come pensato, il fondamento e le forme della
verità fallirebbe nel suo obiettivo sin dall’inizio dal momento che tutto ciò
che è oggettuale non potrà mai essere il fondamento originario del rivelarsi di
un qualcosa rispetto a qualcos’altro. Allo stesso modo ogni tentativo di
trovare una logica del pensato che consideri il pensiero solo come oggetto si
rivelerà fallimentare in quanto tale logica non va a ricercare l’essenza della
verità nell’ambito originario di un processo o di un atto, nel quale soltanto
qualcosa può apparire in quanto tale e dal quale può prendere origine la verità
oggettuale. Avendo così la logica tradizionale studiato la verità nel pensiero
inteso come pensato, come oggetto nelle sue svariate forme, ed essendo partita
da un tale presupposto per la definizione del problema teoretico-conoscitivo,
motivo per il quale si è potuto identificare il pensiero come momento di conoscenza
dall’Essere, non ci si è più interrogati circa la forma originaria della
verità. L’interrogativo iniziale su come un qualcosa possa essere fondamento
della verità di qualcos’altro viene sostituito dall’interrogativo sulle forme
del pensiero. Per ciò che riguarda in particolare la definizione del problema
da un punto di vista teoretico-conoscitivo, dal confronto tra due pensati,
l’Essere-per-sé e l’Essere-per-noi, per i quali resta valido sempre e soltanto
l’identità come principio dell’Ente oggettuale, appare evidente che mai si
potrà ottenere la verità come processo del passaggio dall’uno all’altro. !
Differenza ontologica e disposizione d’animo, Non dobbiamo perdere di vista il
filo conduttore della nostra indagine. Siamo venuti a conoscenza di un elemento
fondamentale ossia che il problema della verità può essere inteso solamente
come ricerca del fondamento del manifestarsi e che ciò non deve essere inteso
come strettamente oggettuale. Attraverso ciò siamo poi giunti alla definizione
del problema del Logos: il fondamento del manifestarsi può essere interpretato
unicamente come un processo o un atto che non è altro che unità, congiunzione,
leghein come veniva definito dai greci sulla base del significato originario
del termine. La questione circa la preminenza del Logos deve essere impostata
in modo che né il manifestarsi in sé né le sue forme, così come l’atto
originario dell’unire, del congiungere, del completare, possano essere
predeterminati. Va verificato se il concetto di svelatezza di Heidegger si celi
in una tale concezione del Logos o se, come sembra, il processo originario, per
mezzo del quale l’Essere si manifesta e dal quale deriva il problema
metafisico, affondi le proprie radici nell’irrazionale, nell’illogico,
nell’immediato. Così dicendo si potrebbe pensare che Heidegger neghi la
preminenza del Logos soprattutto se in tale contesto si richiama alla mente il
suo tanto auspicato tentativo di superamento della preminenza della logica così
come le sue asserzioni circa la derivazione del problema metafisico dalla
disposizione d’animo. Per giungere alla corretta interpretazione del pensiero
di Heidegger bisogna innanzitutto chiedersi cosa si intenda con il fenomeno
della disposizione d’animo e se esso sia qualcosa di illogico o se abbia origine
in un atto, in un processo del leghein (come unità, legame originario). Nella
disposizione d’animo, nella paura si genera, secondo Heidegger, il manifestarsi
dell’Essere rispetto all’Ente. Ciascun Ente per poter essere riconosciuto come
tale e dunque nel suo Essere, deve già essere manifesto in tale Essere. Questa
svelatezza dell’Essere, secondo Heidegger, non è che un separarsi dal nulla e
ciò si compie nella disposizione d’animo. Questa primordiale disposizione
d’animo deve essere dunque intesa come momento determinante del processo che
abbiamo riconosciuto come fondamento della svelatezza? Tale processo è
fondamentalmente trascendenza, elevazione dell’Ente a totalità che attraverso
di esso giunge a palesarsi, alla svelatezza: il dispiegarsi di questa radice
originaria come processo contiene in sé già la possibilità dell’interrogarsi,
del perché: poiché la svelatezza è processuale ed è possibile per mezzo di un
Divenire, di un Essere e di un Non-Essere essa procede per interrogativi. Così
si delinea il problema seguente: su che cosa si fondano la trascendenza, la
disposizione d’animo e la possibilità del perché? Heidegger prende come punto
di partenza per affrontare questo problema innanzitutto la definizione
tradizionale di verità che si orienta alla proposizione, alla connexio tra
soggetto e predicato. Questa a sua volta rimanda al fondamento e alla ragione.
Per tale motivo il problema della verità è strettamente legato a quello della
ragione. La verità della proposizione (anche verità ontologica) non consente
però la comprensione dell’Essere dall’Ente ed essa stessa è possibile
unicamente sulla base di una svelatezza originaria, definita come verità
ontica, una verità sulla base della quale l’Identità o la Non-Identità di
soggetto e predicato possono essere riconosciute. La stessa verità ontica si
fonda nell’affettività istintiva che è legata dunque alla disposizione d’animo,
nell’agire intenzionale che aspira all’Ente; questa non può però essere mai
originariamente accessibile all’Ente se prima non c’è stata una comprensione
dell’essere dall’ente. La verità ontologica e la verità ontica affondano dunque
le loro radici in una verità pre-ontologica la cui natura resta ancora da
definire. Heidegger sottolinea come tra la comprensione dell’Essere
pre-ontologica e l’espressa problematica dell’afferrare la concezione di Essere
vi siano diversi passaggi che possono già fornirci un esempio di una qualsiasi
precomprensione dell’Essere originaria. Ad esempio i principi basilari delle
singole scienze, come ad esempio il fondamento del domandarsi che è proprio ad
ognuna di esse, indicano e delimitano un determinato campo come ambito di una
possibile oggettivazione attraverso la conoscenza scientifica, senza essere
loro stessi oggetto di indagine scientifica. Questo concepire, che è proprio
dei principi basilari delle singole scienze, per la prima volta apre il cammino
verso l’indagine e dal momento che esso stesso non è oggetto di indagine
presuppone una determinata precomprensione dell’essere rispetto all’Ente. Una
domanda sorge quindi spontanea: come va intesa l’originaria comprensione
dell’Essere rispetto all'Ente, che è ciò che rende possibile ogni comportamento
all’Ente (e quindi l’originaria pre-comprensione)? Questo interrogativo assume
un’importanza fondamentale dal momento che se la disposizione d’animo dipende
da un modo di riferirsi all’Ente ed è un ritrovarsi-nel mezzo-dell’Ente, allora
con la risposta all’interrogativo sull’essenza di una qualsiasi
pre-comprensione, che è ciò che consente qualsiasi comportamento all’Ente,
dobbiamo necessariamente ottenere anche lo scioglimento della questione
dell’essenza della disposizione d’animo e dunque dell’origine pre-ontologica
della svelatezza rispetto all’Ente. Heidegger afferma che la svelatezza
dell’Essere è sempre verità dell’Essere rispetto all’Ente e che la svelatezza
dall’Ente è sempre tale del suo Essere; per questo motivo né l’Essere né l’Ente
sono separabili l’uno dall’altro in quanto l’Ente può manifestarsi tale solo
grazie al manifestarsi dell’Essere e viceversa. Questo legame intrinseco tra
unità (dell’essere) e molteplicità (dell’ente) può essere concepito solo come
processo, come atto e per questo come realizzarsi dell’unità attraverso la
congiunzione e la separazione. Tale atto inteso come fondamento della svelatezza
è la differenza ontologica, laddove essa non si determina precedentemente o
successivamente al manifestarsi di un qualsiasi atto ma bensì nel suo
compimento. Heidegger dichiara che la così definita e necessaria sdoppiata
essenza ontico-ontologica della verità è possibile solo in unione con
l’affermarsi di tale distinzione. Da ciò si evince innanzitutto che il
fondamento della svelatezza si presenta come atto e poi che Heidegger definisce
tale atto come Logos, come leghein in senso più ampio, poiché afferma, facendo
riferimento alla pre-comprensione originaria dell’Essere dell’Ente, che esso è
tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere in senso
ampio. Il fondamento della svelatezza, che dunque rende possibile ogni comportamento
all’Ente (verità pre-ontologica che è così fondamento della verità ontica e
ontologica e disposizione d’animo laddove essa è intesa come ritrovarsi-nel
mezzo-dell’Ente) è Logos ma non inteso in senso tradizionale come atto del
pensiero che si deve necessariamente basare su un’originaria semplice-presenza
dell’Ente; nemmeno come definizione di una verità logica che deriva da
un’indagine del pensiero come oggetto, bensì come processo del ricongiungere e
del separare, processo del distinguere come un venire-alla-luce. Il
manifestarsi di un qualcosa rispetto a qualcos’altro affonda dunque le proprie
radici in un qualsiasi atto originario. Il fondamento della verità può essere
realmente inteso come svelatezza e tale termine mantiene il suo significato metafisico
e logico e si contrappone a una concezione della verità (come equivalenza), il
cui fondamento è un qualcosa di imminente e oggettuale. Come si pone questa
concezione rispetto alla precedente convinzione secondo cui la svelatezza
dell’Essere dall’Ente trovava origine nella disposizione d’animo e come si
collega ciò alla differenza ontologica? Abbiamo osservato come la differenza
ontologica quale fondamento della svelatezza dell’Essere rispetto all’Ente non
sia che trascendenza: ma cosa dobbiamo intendere qui con trascendenza? Se si
verifica lo svelarsi di un qualcosa in seguito a un processo, a un atto del
distinguere, tra la differenza ontologica dell’Essere e dell’Ente, l'essenza di
un qualsiasi atto deve essere necessariamente trascendenza in quanto in esso
prevale già ciò che si svela. Per questa ragione anche una qualsiasi
trascendenza è in origine fondazione e fondamento di tutto l’apparire che non
può essere considerato separatamente da esso ma che è bensì ciò che lo rende
possibile. L’atto della differenza ontologica, che a seconda della sua essenza
porta l’Ente alla svelatezza, è svelatezza di una molteplicità (dell’ente)
contenuta in un’unità, in un mondo, in un ordine, in un cosmo. L’Esserci
trascende, ovvero è nell’essenza del suo Essere di formare il mondo. Il mondo,
come sottolinea Heidegger, non è dunque inteso come totalità degli Enti
esistenti, ai quali tra l’altro appartiene anche l’Esserci, ma bensì come la
totalità degli Enti in cui e per cui anche l’Esserci è comprensibile. Dal momento
che se ciò che si manifesta non precede o segue immediatamente un atto
originario allora una qualsiasi svelatezza non risulterà altro che quella
dell’atto stesso. Ciò permette di comprendere lo stretto legame esistente tra
trascendenza e disposizione d’animo. Trascendere ovvero Esserci in senso
metafisico è così fondamentalmente un Essere-nel-mezzo-dell’Ente e dunque
trovarsi. Da ciò ne deriva che l’Esserci stesso nella sua essenza e attraverso
la totalità degli Enti ad esso appartenenti è un Essere mediato dalla
disposizione d’animo. L’Esserci si afferma così realmente nell’Ente in questo
modo, laddove si realizza il secondo modo del fondamento. Con disposizione
d’animo non va inteso qualcosa che precede il processo originario della
svelatezza e nemmeno qualcosa che presuppone il processo e si differenzia da
esso; non è nulla di immediato ma bensì appartenente originariamente al
fondamento della svelatezza come processo. Se la svelatezza è processuale
allora, come affermato in precedenza, lo è per mezzo di un Divenire, di un
Essere e di un Non-essere, e dunque ad essa appartiene insieme alla
trascendenza e la disposizione d’animo anche il perché, terzo modo del
fondamento della svelatezza così come lo definisce Heidegger. Dunque
nell'ottica di un'interpretazione della differenza ontologica come processo o
atto originario, unitario che si compie da sé ne deriva la comprensione della
necessità dei tre modi nei quali è insito il fondamento, e della definizione
heideggeriana di verità come svelatezza. La possibilità dell’errore e la
definizione di logos come processo assoluto, L’episteme come doxa alethes. Da
un’approfondita critica dell’oggettivismo naturalistico si è approdati a una
prima definizione di leghein in cui compare l’Essere. Nella necessità di una
definizione ossia di un’affermazione generale (giudicare, pensare) si è giunti
al superamento del relativismo e attraverso di essa a una prima comparsa
dell’Essere. Tuttavia ciò non risolve né il problema teoretico del Logos né la
questione interpretativa del testo di Platone. Come dobbiamo considerare dunque
nel dettaglio questo atto inteso come pensiero, come giudizio? E come lo
definisce Platone? Ma soprattutto com’è da considerare una qualsiasi necessità?
Come una ricerca di soddisfacimento al di fuori di essa stessa? È dunque il
pensiero solo una forma esteriore per impossessarsi dell’Essere come suo
contenuto e la verità il risultato dell’equivalenza del pensiero con un Essere
ad esso esteriore? Questa è la questione che partendo da un punto di vista storico
e sistematico dovrebbe portare con la sua risoluzione ad un’ulteriore
interpretazione del pensiero di Platone. Che l’anima abbia un’originaria
aspirazione all’Essere che riesce ad appagare unicamente aspirando per essa
stessa all’Essere, non definisce ancora modi e modalità di alcun processo.
Platone dimostra come un atto, un processo del leghein, che si fonda su un
qualcosa di oggettivo, non riesca a spiegare il fenomeno dell’errore.
Fondamentalmente l’errore è strettamente connesso alla verità; poiché la
necessità di affermazione del generale si rivela in modo tale da rendere la
tesi relativistica erronea. L’indagine filosofica così come dovrebbe essere
interpretato il processo, l’atto del leghein, si cela, come vedremo, dietro il
quesito se un fondamento oggettuale del leghein possa spiegare o meno l’errore.
La risposta a questo interrogativo la troviamo nel Teeteto: il processo del
leghein è completo? Ha una fondamento oggettuale? Abbiamo visto l’Essere
ergersi a leghein in una condizione di necessità: leghein significa
essenzialmente portare qualcosa alla sua unità e ciò viene a compiersi in una
condizione di necessità del pensiero e del giudizio. Si tratta quindi di un
rigetto dell’estetica e del presentarsi di un nuovo fondamentale processo. Considerare
qualcosa per qualcos’altro sulla base del giudizio, del pensiero è ciò che il
filosofo greco distingueva dall’apparizione immediata e che dunque deve essere
oggetto dell’indagine filosofica. Questa è la ragione per cui la doxa diventa
l’oggetto per Teetèto. Ma a quali doxa, a quale pensiero ci si riferisce qui?
Abbiamo dimostrato in precedenza come la stessa teoria relativistica sia già un
pensiero, un’affermazione generale: dunque questo nuovo fenomeno è il pensiero.
Ma dal momento che non tutti i pensieri sono veri solo per il fatto di essere
tali, la doxa dunque può essere sia falsa che veritiera. La doxa può essere
identificata genericamente con il pensiero ma non ancora necessariamente
veritiero: da ciò ne deriva che il significato generale di doxa come pensiero
non è che quello di un’opinione e non di una conoscenza motivata, non un
pensiero che abbia in sé la garanzia della verità. Da qui nasce la necessità,
dopo aver dimostrato che non si tratta di estetica o fantasia, di riconoscere
una nuova definizione di episteme come opinione vera. Di’ ancora una volta
cos’è la conoscenza. Dire che tutte le doxai, le opinioni lo siano non è
possibile, o Socrate, in quanto ve ne sono anche di false. Di sicuro però
l’opinione vera è conoscenza. Il problema della lingua e il suo significato
ontologico. Legame tra ricerca del fondamento del manifestarsi e quella del
fondamento delle parole e dell’arte. In precedenza abbiamo definito il
fondamento dell’apparire di un qualcosa come tale un atto o processo del
leghein, il cui carattere resta però ancora piuttosto generico: con esso
andrebbe inteso unicamente il congiungere, il riunire, il circoscrivere
attraverso cui un qualcosa può manifestarsi come tale. Abbiamo elaborato questa
tesi in relazione alla concezione heideggeriana della differenza ontologica intesa
come atto del trascendere, origine dei tre modi del fondare, Logos in senso più
ampio. Alla luce di ciò abbiamo rigettato un’interpretazione illogica del
fondamento della verità facendo riferimento alla disposizione d’animo.
Quest’ultima non è da intendersi però come un qualcosa di pre-logico che
precede un qualunque processo quale fondamento originario del rivelarsi di un
qualcosa: ciò conferma anche l’interpretazione dell’affettività. Quando abbiamo
però definito la disposizione d’animo come momento logico in senso ampio non
era stato detto ancora nulla circa il suo rapporto con il Logos inteso come
pensiero: non sapevamo ancora come definire il fondamento del manifestarsi.
Solo attraverso l’interpretazione del pensiero di Teeteto e la discussione su
quei problemi sistematici in esso contenuti siamo giunti a un’ulteriore
definizione del Logos come necessità originaria, che si autoimpone, di
affermazione del generale e dunque del giudicare, del pensare. Il processo
dell’originario del leghein assume così un primo e determinante significato.
Diversamente da quanto si ritrova nel pensiero di Heidegger, esso non è inteso
qui come ricongiungere, radunare, riunire ossia riportare a quell’unità
originaria nella quale l’Ente può apparire come tale, in senso generale, ma
bensì come un ben determinato ricongiungere e riunire: quello del pensiero che
si manifesta nella necessità di affermazione del generale. Come abbiamo visto
nel Teeteto, nella necessità di affermazione del generale si manifesta per la
prima volta l’Essere, ciò che esiste. Il fondamento del manifestarsi è stato da
noi riconosciuto nella parola, nella lingua come un lasciar apparire metafisico
di un qualcosa attraverso il legame con la necessità di affermazione del
generale. Questa necessità originaria si manifesta in una ben determinata forma
di problematicità dell’Ente ogni qualvolta non si sa come intendere una
determinata cosa. Dell’origine di tale atto, dell’impossibilità di dedurlo dal
pensato, così come è inteso da Hegel, abbiamo già discusso nel capitolo
precedente, riassumendo a tal proposito la critica di Gentile al pensiero del
filosofo tedesco. Per quanto riguarda il pensiero di Heidegger, va sottolineato
che fino a quando non riusciremo a stabilire se egli ha assegnato all'atto
della trascendenza (intesa come Logos in senso ampio) una determinata forma
(quella del pensiero pensante) o se ha lasciato la questione irrisolta, anche
la nostra interpretazione non potrà essere completa. Se però Heidegger nei suoi
scritti avesse in qualche modo iniziato un’implicita dissertazione sulle
diverse forme di svelatezza, senza fattivamente distinguerle, ad esempio in
Hölderlin e l’essenza della poesia in cui egli parla della funzione della
parola poetica nel suo carattere di manifestazione, questa non dovrebbe essere
assolutamente trascurata. Tale questione non può essere discussa se prima non
si definisce il carattere fondante della svelatezza. Ci troviamo così di fronte
ad un interrogativo rilevante: il processo originario che si manifesta nella
necessità di affermazione del generale è l’unica forma della svelatezza?
Dobbiamo attribuire al Logos, alla parola, alla lingua unicamente la necessità
di affermazione del generale? A questo punto è necessario far notare che in
nessun caso le forme della svelatezza posso essere classificate sulla base di
ciò che appare per mezzo del pensiero pensante. Questo perché nel momento in
cui dovesse emergere una distinzione nelle forme della svelatezza ciò dovrebbe
essere presentato mostrando che oltre alla necessità di affermazione del
generale esistono altre forme del fondamento originario del manifestarsi e
dunque dell’interrogarsi, dell’aspirare all’Ente. Dobbiamo quindi chiederci se
il leghein si impone a noi solo come pensiero pensante e dunque necessità di
affermazione del generale o anche sotto altre forme: ovvero se la parola, il
Logos abbiano solo un significato logico. È evidente come un tale problema si
ponga solo se, come nel nostro caso, in precedenza si è definita in maniera
chiara una prima manifestazione della forma del Logos ad esempio come necessità
di affermazione del generale. Ma come possiamo sviluppare tutti questi
differenti quesiti in maniera unitaria ricollegandoli alla precedente indagine?
È necessario chiarire tutte le questioni che si presentano anche attraverso la
presa di posizione di Heidegger chiedendoci se il Logos come necessità di
affermazione del generale costituisca l’essenza delle parole o se esso si
manifesti anche sotto altre forme. Per determinare l’essenza delle parole
dovremmo innanzitutto capire se nel discutere di ciò Heidegger fosse
consapevole del problema; in questo modo potremo determinare definitivamente la
nostra interpretazione del pensiero di Heidegger e la nostra posizione in
merito. Successivamente andremo a verificare le tesi proposte nella
Fenomenologia di Hegel, che si celano in maniera particolare dietro gli assunti
del Teeteto, per discutere del legame tra il problema della parola e il
problema dell’arte. Va notato come la questione se la parola abbia o meno
solamente un significato logico è l’essenza della seconda corrente critica di
Hegel in Italia la quale lega strettamente tale questione con l’interrogativo
se la parola ad esempio in poesia non abbia una propria forma del manifestarsi
dell’Ente. Nella discussione e nel tentativo di risolvere la questione, nella
contrapposizione al pensiero di Hegel, si ritorna di nuovo in Italia al piano
ontologico. Questo dal momento che se la parola, la poesia e dunque l’arte
hanno un proprio manifestarsi dell’Ente rispetto alla parola così come per la
filosofia quale necessità di affermazione del generale ciò ha UN DOPPIO
SIGNIFICATO: innanzitutto che tra l’arte come forma del manifestarsi dell’Ente
e la filosofia, contrariamente a quanto afferma Hegel, non vi è alcuna
relazione dialettica. Su questa scia la filosofia italiana si oppone alla
caratteristica tesi heideggeriana sulla morte dell’arte nell’era della
filosofia in quanto tale tesi sarebbe espressione della relazione dialettica
tra arte e filosofia laddove l’arte appare come un momento che va scomparendo e
che si conserva nella filosofia. La seconda cosa che emerge è che questo
quesito non è una domanda di estetica ma bensì una metafisica, ontologica in
quanto essa rappresenta il rifiuto della concezione dialettica del fondamento
del manifestarsi dell’Ente: dunque un quesito molto importante. Il problema
ontologico della lingua in Heidegger. Sulla base di una precisa interpretazione
dello scritto heideggeriano Hölderlin e l’essenza della poesia andremo a
discutere dell’imporsi del problema della forma del manifestarsi. La domanda se
il Logos come parola, come lingua debba essere inteso solo come unione così
com’è nel pensiero, si pone in questo scritto congiuntamente al problema del
fondamento del manifestarsi dall’Ente. Heidegger afferma: La lingua per prima
accoglie la possibilità di trovarsi nel mezzo della manifestazione dall’Ente;
Solo dove vi è lingua vi è mondo. Poi ancora aggiunge: La lingua ha il compito
di permettere all’Ente di manifestarsi come tale nell’opera e di custodirlo.
Come dobbiamo intendere ciò? Alla parola deve essere attribuita unicamente la
determinazione dell’espressione del generale? Già nello scritto Dell’Essenza
del fondamento Heidegger aveva identificato il manifestarsi dell’Ente come
differenza ontologica e dunque trascendenza. È dunque la differenza ontologica
essenzialmente parola e l’essenza della parola nient’altro che il manifestarsi
della verità? Se la parola, la lingua, così come inteso da Heidegger, sono
strettamente legate alla poesia, dobbiamo dunque ritenere che l'essenza della
poesia sia solo verità? E di che verità si tratta? Quella logica? Appare
evidente che solo sollevando queste questioni nello sviluppo del nostro
problema nel tentativo di definire il Logos potremmo prendere una posizione
rispetto a quanto asserito da Heidegger. Per questo è innanzitutto necessario
capire se l'intera questione della lingua è stata spostata da Heidegger su un
piano ontologico. Considereremo il suo scritto proprio da questo punto di
vista. Dal momento che la discussione heideggeriana sull’essenza della poesia
si sviluppa come interpretazione di un poeta, in un primo momento la questione
appare essere considerata da un punto di vista che è al di fuori da qualsiasi
piano metafisico e ontologico. Che l’ambito non sia estetico o
storico-letterario ma principalmente metafisico si evince però dalla scelta dei
versi di Hölderlin che Heidegger pone alla base della sua interpretazione. Le
posizioni di Hölderlin a cui Heidegger fa riferimento considerano l’essenza della
lingua in congiunzione con l’essenza dell’uomo. Nella sua interpretazione
Heidegger afferma che l’uomo nella sua essenza è colui il quale deve dimostrare
ciò che è. Con questa affermazione non si vuole qui intendere un’espressione
supplementare e a sé stante di umanità ma bensì la determinazione dell’Esserci
dell'uomo. Cosa deve testimoniare l’uomo? La sua appartenenza alla terra. Anche
questa asserzione risulta difficile da comprendere in quanto nella nostra
comune concezione di uomo la sua appartenenza alla terra è l’unica cosa che non
deve essere dimostrata dal momento che non dipende dall’uomo stesso. Appare
dunque inspiegabile come essa possa essere considerata un suo compito,
un’attività da compiere che si impone costantemente all’uomo, e come essa si
leghi alla questione della parola. Da ciò si evince però un punto fondamentale:
se per Heidegger l’uomo è tale solo in quanto lo testimonia, ciò significa che
la sua essenza non si manifesta nella semplice-presenza ma bensì in un atto da
compiere e realizzarsi. Tale atto viene definito da Hördelin come testimonianza
dell’intimità con la terra. Secondo Heidegger con il termine di Hörderlin
intimità è da intendersi ciò che pone in conflitto e allo stesso tempo riunisce
le cose. La testimonianza dell’appartenenza a tale intimità avviene attraverso
la creazione di un mondo la testimonianza dell’essere uomo e dunque il suo
compimento avviene attraverso la libertà della decisione. Questa coglie il
necessario e si lega ad un ordine superiore. Come dobbiamo però intendere
l’asserzione secondo la quale l’uomo crea il mondo e in che modo questa
creazione ha a che fare con la poesia, la parola e la sua essenza? Heidegger
afferma che l’essenza dell’uomo, il suo vissuto è comprensibile solo come
storia e che la storia è possibile solo attraverso la parola. In ciò ritroviamo
una possibile interpretazione della concezione heideggeriana di una qualsiasi
creazione del mondo in cui vi sia l’essenza dell’uomo (creare che si lega alla
parola). Il mondo che appartiene all’uomo è solo il mondo della parola dal
momento che effettivamente si evince che l’uomo si appropria della realtà
esistente così come percepita considerandola il proprio mondo solo attraverso
il denominarlo: solo il mondo denominato è il suo mondo, il suo cosmo. Questa
appropriazione rappresenta la storia del formarsi dell’uomo. Interpretare in
questa maniera il pensiero di Heidegger sarebbe sbagliato in quanto come egli
stesso afferma che la lingua non ha il compito di denominare qualcosa che è già
esistente per creare un mondo supplementare del significato, ma bensì è nella
parola stessa che si rivela per la prima volta l’Ente e lo fa solo nella
parola. La lingua non è solo uno strumento che l’uomo possiede insieme a tanti
altri ma bensì la lingua concede innanzitutto la possibilità di stare nel mezzo
del manifestarsi dall’Ente. Solo dove c’è lingua può esserci mondo. La lingua
ha il compito di permettere all’ente di manifestarsi nell’opera e di
conservarlo tale. In questo modo la parola acquisisce un nuovo e determinato
significato: essa non è più la parola pronunciata, il mondo che esprime la
fonetica e che ha molte altre possibilità di espressione ma bensì parola
significa qui prima manifestazione dell’Ente: parola, Logos come fantasia, come
apparizione nel senso più originario del termine. Heidegger aggiunge poi: La
poesia è fondazione attraverso la parola e nella parola. Ma cosa significa qui
fondazione? Se provassimo a tradurlo in termini filosofici (termini legati a
una determinata problematica teoretico-conoscitiva e proprio per questo qui
evitati da Heidegger) significherebbe qualcosa che non presuppone l’esperienza,
la percezione e che non può essere dedotta da essa a posteriori ma bensì a
priori. Attraverso il denominare dei poeti l’Ente viene per la prima volta
chiamato e conosciuto come tale ma dato
che l’Essere così come l’essenza delle cose non può essere mai né determinato
né dedotto dal presente, essi devono essere creati liberamente, fissati e
donati. Tale libera donazione è fondazione. Da ciò si evince che se la poesia
fonda l’originaria manifestazione dell’Ente in essa l’uomo raggiunge il proprio
fondamento. Così come afferma Heidegger: Il dire dei poeti è fondazione non
solo intesa come libera donazione ma bensì anche come solida istituzione dell’Esserci
umano sul suo fondamento. La definitiva determinazione dell’essenza della
poesia è da intendersi come ciò che si realizza nella parola, nella lingua nel
discorrere, nel parlare, nell’ascoltarsi e nel comprendersi: il discorrere è
possibile però solo sulla base di un qualcosa di condiviso, attraverso il quale
possiamo comprenderci poiché altrimenti ognuno resterebbe bloccato nella
propria lingua, nel proprio mondo. Ogni parola fondamentale manifesta, come
afferma Heidegger, l’uno e lo stesso, qualcosa di duraturo ed esistente e
dunque sempre presente. In questo modo però la lingua si manifesta solo
nell’ambito del tempo. Se però solo in poesia la manifestazione dell’Ente si
realizza originariamente nella parola per poter definire l’intera problematica
dell’essenza della poesia è necessario sottolineare che non è quest’ultima che
deve essere separata dalla parola, dalla lingua ma bensì al contrario l'essenza
della lingua, della parola, dalla poesia: solo così la poesia ottiene il suo
primo centrale significato ontologico. Le nostre riflessioni ci portano a
riconoscere quanto segue: la parola, la lingua, la poesia mantengono negli
scritti di Heidegger una determinazione ontologica ma tuttavia non vi
ritroviamo in essi né una definizione della caratteristica della poesia né
argomentazioni in merito al fatto che ad essa spetti o meno una manifestazione
particolare. La differenza ontologica in sé è valida per qualsiasi
manifestarsi: non vi è però discussione in Heidegger su un problema
determinante ovvero se e come ad esempio il manifestarsi nella sua forma logica
e dunque nella necessità di affermazione del generale così come nel Teeteto, si
differenzi dalla forma poetica del manifestarsi. Ciò è tuttavia di fondamentale
importanza quando si parla di essenza della poesia così come fa Heidegger nel
suo sopracitato scritto. Solo attraverso la risposta a questa domanda la poesia
potrà acquisire una propria forma e necessità e dunque una propria definizione.
Ciò appare evidente nel momento in cui confrontiamo le due opere Dell’Essenza
del fondamento e Hölderlin e l’essenza della poesia. Nella prima si tratta
essenzialmente della definizione di fondamento della verità ontologica (del
Logos), laddove la differenza ontologica viene intesa come Logos in senso ampio.
Heidegger afferma che la svelatezza dell’Essere è sempre verità dell’Essere
rispetto all’Ente e che la svelatezza dell’Ente e sempre in un certo senso
anche quella dell’Essere (Dell’Essenza del fondamento), per cui il fondamento
della svelatezza si trova nell'atto come differenza ontologica laddove esso è
tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere, del
Logos in senso ampio. Questo svelamento si realizza solo per via di tale
originario atto del distinguere, così che la sua essenza sia trascendenza e
fondazione e dunque fondamento di tutto l’apparire che non può essere dedotto
da esso ma che bensì lo rende possibile. In questo modo, come abbiamo già fatto
notare in precedenza, resta però aperta la questione relativa all’ultimo significato
di un qualsiasi atto. Per questo motivo nella nostra indagine abbiamo anche
sciolto la questione heideggeriana giungendo autonomamente a una definizione il
più veritiera possibile di un qualunque processo sulla base del pensiero di
Teeteto. Nella sua ricerca sulla poesia Heidegger attribuisce dunque alle
parole la manifestazione dell’Essere. Ci è consentito quindi riferirci a questa
identità delle definizioni che egli attribuisce alla parola così come accade in
poesia e nella differenza ontologica. Egli afferma che la lingua innanzitutto
consente la possibilità di trovarsi nel mezzo della manifestazione dell’Ente e
che la poesia è fondazione attraverso la parola e nella parola” (“Hölderlin e
l'essenza della poesia” pag. 8-10). Così come per la differenza ontologica
(origine dei tre modi del fondamento) anche per la poesia si afferma qui che
“essa è nella sua essenza fondazione e dunque istituzione determinata.
Heidegger afferma ancora che: SOLO DOVE VI È LINGUA VI È MONDO e ciò è
possibile attraverso la parola, attraverso il denominare l’ente come ente così
conosciuto. Se dunque la differenza ontologica nella sua essenza è comprensione
illuminante dell’essere (Dell’essenza del fondamento), fondazione “di un
qualunque Ente il quale è svelato all’Esserci e dunque possibile, e se in
conclusione l’atto della differenza ontologica (il quale svela la sua essenza
nell’Ente) è nella sua essenza creatore di mondo qual è la differenza tra
fondazione, mondo, manifestazione dell'Ente (che è proprio della differenza
ontologica come fondamento della verità ontologica nella sua generica
concezione esistenziale) e poesia come determinato modo di esistere e di
manifestarsi? Non vi è forse alcuna differenza? Fin qui siamo stati autorizzati
nella determinazione della verità ontologica a limitarci alla definizione di
Logos in senso ampio. Ora appare però necessario per poter attribuire alla
poesia un significato ontologico trarre la sua definizione da quella verità
ontologica generale lasciata irrisolta da Heidegger: solo allora potrà essere
chiarito anche il significato di fondazione, mondo, istituzione,
manifestazione. Tale problema relativo alle forme della realtà si è manifestato
nel corso della nostra indagine laddove siamo stati costretti a decidere se
attribuire o meno alla parola solo il significato dell’asserzione generale o
anche altri. Gli equivoci che sono venuti fuori nell’interpretazione dei
concetti heideggeriano di affettività, disposizione d’animo, Essere-nel-mondo e
così via sono dovuti in parte al fatto che la determinazione della realtà come
svelatezza non deriva da una considerazione generale antioggettivistica del
fondamento del manifestarsi. Non troviamo in Heidegger il problema delle
diverse forme della svelatezza nonostante il fatto che egli discuta dell’essenza
della poesia. Questo problema sorge solo nel momento in cui si attribuisce alla
svelatezza una determinata forma poiché solo in quel momento ci si chiede se
questa è l’unica o se ve siano di altre. Già con la definizione di verità come
processo del leghein che nell’asserzione del generale si impone come pensiero
pensante, si realizza il presupposto per sollevare la questione circa le forme.
Con questa affermazione non ci vogliamo porre in maniera critica nei confronti
del pensiero di Heidegger ma solo sottolineare la necessità che la discussione
nelle sue affermazioni tenga conto anche di tali questioni. Il problema delle
forme del Logos. Sulla scia del pensiero filosofico italiano, che prende le
mosse da De Sanctis, come si evince anche in Heidegger, abbiamo attribuito alla
parola un significato essenzialmente metafisico ovvero come manifestazione
dell’Ente. Non dobbiamo però dimenticare che già nel pensiero filosofico
italiano contemporaneo, che si oppone alla visione di Croce, Gentile nega l’esistenza
di diverse forme del manifestarsi poiché ne riconosce una sola: quella del
pensiero pensante. Egli afferma che tutto ciò che può essere definito,
differenziato, circoscritto attraverso l’atto del pensiero, a cui egli
attribuisce un significato ontologico originario, dunque appare. Se
ammettessimo diverse forme del manifestarsi senza riconoscerne la loro unità
d’appartenenza ci ritroveremmo con un insieme di forme diverse considerabili
unicamente da un punto di vista empiristico. Una differenziazione è possibile
solo sulla base di un atto originario nel quale e per mezzo del quale la
distinzione appaia come atto del pensiero. Dimostrazione di ciò è che ad
esempio il processo nel quale l’Ente si rivela all’artista coincide con quello
dell’esistere dal momento che per egli la realtà è ciò che gli si manifesta.
Unicamente nel momento in cui egli esce dalla sfera artistica e fa di un
qualsiasi mondo l’oggetto del giudizio solo allora la realtà gli apparirà come
un qualcosa di ottenuto, di soggettivo, come arte e non realtà. “Questa stessa
irrealtà e idealità dell’arte diviene realtà viva e presente se la si considera
così come la fantasia la proietta...questa è dunque la realtà che vaga nella
fantasia dell’artista, la realtà assoluta che non può essere separata da quella
a cui si fa riferimento nella vita pratica. Per cui tale è per l’artista, fin
tanto che si tratta di un artista, la vita stessa”. Secondo Gentile l’arte si
cela dietro il sentimento, il soggettivo, è un momento ideale che si ripropone
sempre del pensiero pensante. Non possiamo però approfondire la questione.
L’argomentazione principale con la quale Gentile nega l’esistenza di diverse
forme del manifestarsi è che esse possono essere determinate solo attraverso un
atto che le riunisca: il pensiero pensante. Gentile giunge a tale conclusione
opponendosi al pensiero di Hegel. È innegabile che ogni distinzione sia
possibile unicamente sulla base di un atto nel quale la molteplicità appaia
come una e ben determinata. Va sottolineato che questa conclusione è anche il
senso fondamentale dell’assunto heideggeriano secondo cui il processo del
manifestarsi affonda le sue radici nell’atto, nella differenza ontologica la
cui forma non può essere predeterminata. Allo stesso modo abbiamo poi ritrovato
queste concezioni nella filosofia antica che per prima ha sollevato la
questione metafisica analizzando nel dettaglio il pensiero di Teeteto. Il
problema dell’essere dell’ente si ricollegava allora espressamente a quello
dell’unità e della molteplicità. È stato dimostrato che se si considera l’unità
separatamente dalla molteplicità non sarà possibile spiegare l’affermarsi, il
rivelarsi della molteplicità. Abbiamo chiarito che l’unità, come fondamento
dell’apparire, è un processo che si compie da sé, un atto che nel momento in
cui è ben circoscritto non ammette l’errore. Il fondamento della svelatezza
(ciò che Heidegger definisce differenza ontologica) affonda le sue radici, così
come abbiamo visto nel Teeteto, nella necessità di affermazione del generale.
Laddove la svelatezza dell’Essere viene intesa come conoscenza e questa
conoscenza come pensiero vero dante fondazione. Alla verità dell’Essere, così
come Platone la identifica con il Logos, appartiene essenzialmente la
svelatezza del proprio fondamento. Questa avviene nella trascendenza
filosofica, nella conoscenza dell'essere come conoscenza del proprio
fondamento: l’ineluttabile necessità di affermazione del generale. Da questo
generale e dalla conoscenza che ne deriva non è stata ancora mai creata poesia.
Nella conoscenza del fondamento c’è l’essenza dell’atto filosofico. Questa
conoscenza riguarda anche la creazione dell’arte ma da essa non deriva alcun
tipo di arte: questa conoscenza del fondamento non appartiene all’arte in
quanto tale tantomeno si riscontra in essa un inizio di ciò. Questa necessità,
che ci costringe alla conoscenza del fondamento e quindi alla conoscenza come
asserzione generale, è fondamentalmente un qualcosa di diverso da una qualsiasi
necessità che spinge l’artista alla creazione della sua opera. Con
l’affermazione di Gentile secondo cui qualsiasi differenziazione si fonda
nell’atto del pensiero non si va ancora a toccare il nocciolo della questione
che ci riguarda. Il problema delle diverse forme del manifestarsi può essere
sollevato o negato solo se non ci si limita a considerare ogni distinzione come
atto del pensiero: se ogni differenziazione si realizza per mezzo di un atto,
il quale per via della sua origine non può essere né dedotto né motivato (dal
momento che esso stesso è il presupposto di ogni motivazione, domanda o
risposta), allora dobbiamo chiederci se la necessità nella quale si manifesta
l’Essere logico come aspirazione all’affermazione del generale è la stessa
necessità per la quale ad esempio si compie la differenziazione poetica. Ogni
atto come fondamento del manifestarsi di qualcosa è necessariamente fondazione,
trascendenza e dunque possibilità di apparire di una molteplicità, di una
differenziazione che non presuppone l’atto; attraverso ogni atto ci troviamo in
una molteplicità ordinata, in un mondo (Essere-nel-mondo); in ogni atto c’è la
manifestazione di un qualcosa nella forma dell’aspirare, del domandarsi. Si
ottiene dunque attraverso il dubbio, dalla necessità di affermazione del
generale una differenziazione poetica? Si raggiunge il suo mondo? Il poeta “si
trova” in un mondo delle differenze e delle determinazioni che è identico a
quel mondo che deriva dal pensiero? Abbiamo definito l’Essere che si manifesta
nel pensiero pensante essenzialmente come necessità di affermazione del
generale. Da ciò possiamo dedurre che la questione circa la molteplicità delle
forme del manifestarsi non può essere sollevata o risolta se si afferma che
ogni differenziazione non è altro che la realizzazione di un atto del pensiero
ma bensì solo domandandosi se la differenziazione poetica, la determinazione
siano da ricondurre alla necessità di affermazione del generale. Rispetto a che
cosa misura il poeta la parola, l'espressione? Non da qualcosa che è
all’esterno altrimenti come sarebbe possibile farlo da un oggetto? Ma bensì da
ciò che in esso si manifesta. Da ciò che è in sé confrontare, scegliere,
differenziare, decidere ed è possibile solo sulla base di una necessità,
attraverso la quale il poeta capisce se l’espressione è adeguata o meno. Solo
ciò che è necessario, fisso ed esistente può essere misurato. Questa necessità
che si cela nell’oggetto poetico si manifesta nell’immediatezza
dell’originario, del primo che per questo deve essere sempre qualcosa di
istantaneo e per questo essa si rivela in un attimo presente e unico. Solo
grazie all’attimo, al presente il poeta vede ciò che è già e ciò che ancora non
è. Nell’attimo si schiude la temporalità che è sempre temporalità di un
determinato manifestarsi. Per tale motivo il processo poetico e il suo
paragonare “interiore” per poter trovare l’adeguato vocabolo poetico non deve
essere considerato come “interiorità” psicologica e romantica ma bensì come
qualcosa in cui si realizza una determinata forma di manifestazione nella quale
all’arte, al bello spetta un significato ontologico. Anche l’uomo pensante non
misura la verità delle proprie definizioni da qualcosa che si trova al di fuori
della necessità di affermazione del generale dato che l’Essere logico è e
appare solo in una qualsiasi necessità. Il pensiero vero è solamente quello che
riesce a resistere a qualsiasi necessità e mai fugge da essa poiché ricorre a
una determinazione che in sé non può giustificarla. In ciò consiste il profondo
carattere etico che ogni verità possiede. Già il riconoscere di non sapere è
una risposta all’originaria necessità. Allo stesso modo in cui l'uomo pensante
guarda solo a una qualsiasi necessità che possa fargli riconoscere la verità
della propria determinazione, verità che si cela con la forza attraverso la quale
la necessità si manifesta, così il poeta paragona e sceglie la parola poetica
non paragonandola all’Ente esteriore ma bensì alla necessità che si manifesta
in esso: questo non è però mai un momento di conoscenza del fondamento. Solo
rispondendo alla domanda che ci siamo posti sulle forme della necessità, sulla
base della quale può essere distinta una molteplicità, si evince,
contrariamente a quanto affermato da Heidegger, che i tre modi del fondamento
che egli ha indicato come motivo del manifestarsi, fondazione (trascendenza),
Essere-nel-mondo (affettività) e possibilità del perché, solo in questo
contesto possano essere definiti chiaramente. È importante precisare che
attraverso il carattere originario e immediato della necessità dell’Essere
dall’Ente, il problema delle forme dell’Essere si cela dietro quello dei
diversi attimi per l’ambiguità della parola tedesca Augenblick che può essere
intesa sia come visione e dunque manifestazione dell’Ente sia come espressione
temporale di attimo, momento. Infatti l’Essere oggetto della nostra indagine
che nel dubbio si manifesta originariamente come necessità di espressione del
generale ci offre una ben determinata visione di svariati Enti. Questa
molteplicità in quanto tale è solamente un momento del compiersi di una
qualsiasi necessità. Da ciò si evince anche un ben determinato arco temporale:
poiché sulla base dell'imporsi di una qualunque necessità si manifesta un
determinato prima e dopo, una visuale di ciò che vediamo “già” e di ciò che non
vediamo “ancora”, un passato e un futuro. Saggi: “Il problema della metafisica
platonica” (Bari, Laterza); “Dell’apparire e dell’essere”; “Linee della
filosofia” (Firenze, Nuova Italia);“Viaggiare ed errare -- un confronto” (Napoli,
Sole);“Arte e Mito” (Napoli, Sole);“Arte come anti-arte. – il bello nell’eta antica”
(Torino, Paravia); “Potenza dell’immagine – ri-valutazione della retorica,
Milano, Guerini);“Potenza della fantasia” “Per una storia del pensiero
occidentale, Napoli, Guida, “Retorica come filosofia. La tradizione umanistica,
Napoli, Sole, Heidegger e il problema dell’Umanesimo, Napoli, Guida, Umanesimo
e retorica. Il problema della follia, Modena, Mucchi, La filosofia
dell’umanesimo. un problema epocale, Napoli, Tempi Moderni, La preminenza della
parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Modena, Mucchi, La
metafora inaudita, a cura di M. Marassi, Palermo, Aesthetica, Vico e
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Scolastica e storia. A proposito di due articoli di Saitta, in Rassegna
Nazionale, Roma Machiavelli e lo stato, in Rassegna nazionale, Roma La
dialettica dell’amore. Il dolore di Tristano, in Rassegna Nazionale, Roma La
filosofia dell’azione Rivista di filosofia, Milano Empirismo e naturalismo
Rivista di filosofia, Milano Sviluppo della fenomenologia Rivista di filosofia,
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critico della filosofia italiana, Milano L’equilibrio come ideale di vita
Rivista di filosofia, Milano Platonismo Rivista di filosofia, Milano La
filosofia in eta antica in Rivista di filosofia, Milano La reminiscenza Giornale
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Integratives Denken – Antirationalismus – Vico-Interpretation. Eine
Untersucbung zur Philosophie G., Mainz, Philosophy and Rhetoric», University
Park and London, Fontane-De Visscher L., Un débat sur l’humanisme. Heidegger et G., Revue philosophique de Louvain, Simonetta,
Filosofia e potere: su G., in Intersezioni», Mooney The Tragedy of the
rationalistic Process, Semiotica, Marassi, Esperienza e passione. G. e il
problema del fondamento, in Studi in memoria di G., a cura di E. Hidalgo-Serna
e M. Marassi, Napoli, La Città Del sole, Gentili C., Concezione e funzione del
mito nel pensiero di G., in Studi in memoria di G., Bons E., Il pensiero di G..
Una breve sintesi, in Studi in memoria di G., Veit W. F., Critica radicale
della ragione – O l’altro rispetto alla ragione: la sfida della retorica, in
Studi in memoria di G., Petrovic G., Lavoro e abbandono. Lettera a G., in Studi
in memoria di G., Wisser R., Ricordo di G.. Arte e mondo, in Studi in memoria
di G., Pietropaolo D., Bottai e la fondazione dell’Istituto Studia humanitatis,
in Studi in memoria di G., Schwerin Gli anni di fondazione e la prima attività
promossa dal Centro Italiano di Studi Umanistici e filosofici di Monaco: un
ricordo, in Studi in memoria di G., Kessler E., L’attività di G. all’Università
di Monaco di Baviera, in Studi in memoria di G., Barceló J., G. e la sua
esperienza sudamericana, in Studi in memoria di G., Neher M., G. curatore della
Rowohlt Deutsche Enziklopädie. Radici critico-culturali, programmi e primi
inizi, in Studi in memoria di G., Verene D. P., G. in America, in Studi in
memoria di G., Mathieu V., I temi di G. nei “Colloqui zurighesi”, in Studi in
memoria di G., cSchmale H., Lo spirito dei Colloqui di Zurigo, in Studi in
memoria di G, Keßler E., Il vero, il buono e il bello. L’ascesa del bello nella
filosofia del Rinascimento, in Studi in memoria di G., Vasoli C., Speroni e il
luogo della retorica nel sistema del sapere, in Studi in memoria di G, Cantillo,
Ratio e iventio nell’interpretazione dell’umanesimo, in Studi in memoria di G.,
Tagliacozzo G., L’istante iniziale della carriera vichiana di G., in Studi in
memoria di G., Battistini A., Vico e l’Umanesimo inquieto di G., in Studi in
memoria di G., Verri A., G.: LINGUA e civiltà in VICO, in Studi in memoria di G.,
Amoroso L., Heidegger e la metafisica, in Studi in memoria di G., Vincenzo J.,
La ripresa G.ana di Vico, l’unità di pietà e sapienza, in Studi in memoria di G.,
Mattioli E., La teoria del bello nell’antichità secondo G., in Studi in memoria
di G. Lombardo G., G. lettore del “perì hypsos”, in Studi in memoria di G. Bornschauer
L., La filosofia nell’orizzonte della tragedia attica. Riflessioni sull’opera
di G. Il dramma della metafora, in Studi in memoria di G. Simonetta M., Il
dramma della metafora. G. filologo del poeta, in Studi in memoria di G.Di
Cesare D., Note al “Monologo” di Novalis, in Studi in memoria di G., Kaiser H.,
Il problema della metafora vuota in G.. Un’osservazione sulla sua
interpretazione di Jean Paul in Studi in memoria di G., in Studi in memoria di G.,
Contini A., Esperienza e verità delle passioni: il Proust di G., in Studi in
memoria di G., Russo L., G. e CROCE, in Studi in memoria di G., Acunto, L’appello
della parola. La rilevanza filosofica del problema della metafora nella
Auseinandersetzung di G. con Heidegger, in Studi in memoria di G., Messori R.,
Differire e trasferire. La spazialità del linguaggio metaforico, in Studi in
memoria di G. Baer E., G. e la parola poetica di Paul Célan, in Studi in
memoria di G., Hidalgo-Serna E., La poetica dell’Umanesimo di Paz, in Studi in
memoria di G., Gentili C., Introduzione a Arte e Mito, Napoli, La Città Del
Sole, Russo L., Presentazione a Un filosofo europeo. G., Æsthetica, Marassi M.,
G. e l’esperienza del fine, in Un filosofo europeo. G. Cesare D., Metafora e
differenza ontologica: G. vs Heidegger?, in Un filosofo europeo. G., Amoroso
L., Da Aristotele a Vico. A proposito di G. e il mito, in Un filosofo europeo. G.,
Modica G., Oltre Heidegger e VICO. Sulla prospettiva filosofica di G., in Un
filosofo europeo. G., Mattioli E., Appendice: Prefazione alla seconda edizione
di Die Theorie des Schönen in der Antike, Messori, R., Recensione a E. G., Arte
e mito, Napoli, La Città Del Sole, Poetiche. Letteratura e altro», Modena,
Fasano T., Recensione a Studi in memoria di G., a cura di E. Hidalgo-Serna e
Marassi, Napoli, La Città Del Sole, Studi di Estetica, Bologna Pons A., G. lecteur
de VICO, in Présence de Vico, a cura di R. Pieri, Montpellier, Prevue, Messori
R., G. e l’estetica dell’ingenium, in
Studi d’Estetica, Bologna, Baer E., Noetic philosophing – Rhetorics
Displacement of Metaphysics Alcestis and Don Quixote, Philosophy and Rhetoric,
University Park and London, Ratto, Recensione a Studi in memoria di G., a cur. Hidalgo-Serna
e Marassi, Napoli, La Città Del Sole, Philosophy and Rhetoric», University Park
and London, Crivano F., Recensione a G., Arte e mito, Napoli, La Città Del
Sole, in Studi di Estetica, Bianco Recensione a Un filosofo europeo. G. in
Aesthetica Studi di Estetica», Bologna, Messori R., Critica e difesa
dell’estetico in G., in Un nuovo corso per l’estetica nel dibattito
internazionale, Arezzo, Trauben, Marassi M., Introduzione a Viaggiare ed
Errare. Un confronto col Sudamerica, Napoli, La Città Del Sole, Messori R.,
Paesaggio ed esperienza estetica, nota a Ernesto G., Viaggiare ed errare,
Napoli Studi di Estetica», Bologna, Marassi Introduzione a G., Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, Napoli, La Città Del Sole, Cacciatore G.,
America latina e pensiero europeo nella filosofia del viaggio di G., in Cultura
latinoamericana», Annali Esiste una versione spagnola del saggio Amèrica latina
y pensamiento europeo en la filosofia del viaje de G., in Id., El bùho y el
còndor. Ensayos entorno a la filosofìa hispanoamericana, Planeta, Bogotà Pardo G.
reivinca la figura de VICO par su oposición al cartesianismo, El Pais, Madrid
Messori Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero
di G., Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo Kozljanic R. J., Kunst
und Mythos. Lebensphilosofische Untersuchungen zu Ernesso G. Begriff der
Urwirklichkeit, Igel Verlag, Oldenburg Bisin Recensione a Kozljanic, Kunst und
Mythos. Lebensphilosofische Untersuchungen zu G. Begriff der Urwirklichkeit,
Igel Verlag, Oldenburg Rivista di filosofia Neo- scolastica, Raimondi R., La
retorica d’oggi, il Mulino, Bologna Sevilla J. M., Retòrica como filosofìa. Ernesto G., Vico y el problema
del humanismo retòrico, Època», Monteagudo, Kozljanic G.. Leben und Denken,
München, Fink, McPhail M. L., Coherence as Representative Anecdote in the
Rhetorics of Kenneth Burke and G., Kenneth Burke and Contemporary European
Thought: Rhetoric in Transition, University alabama Limongelli S., La svolta
metaforica dell’ontologia fondamentale, GDS, Edizioni di Vaprio d’Adda, Milano,
Rubini R., Philology as Philosophy: the sources of G.’s Postmodern Humanism, in
«Annali d’italianistica Büttmeyer G. Humanismus zwischen Faschismus und
Nationalsozialismus, München, Alber. Id., Rettifiche. Laurea, libera docenza e
Studia Humanitatis di G., Giornale critico della filosofia italiana Barnes S.
D., Between Chaos and Cosmos: G. Faulkner, and the Compulsion to speak, Janus
head», New York, Sànchez Espillaque J., La filosofìa ingeniosa de G. y la
rehabilitaciòn del humanismo retòrico renacentista, Cuadernos sobre Vico»,
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una teoria critico-storicistica del neoumanesimo, in “Noema, /riviste.unimi.it /index.php/noema.
Sevilla Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problematica. Motivos en Vico
y Ortega, Anthropos, Barcelona Limongelli S., Il problema dell’umano nella
filosofia di G., Ici, Napoli; Blum, P. R., Rhetoric is the Home of the
Trascendent: G.’s Response to Heidegger’s Attack on Humanism, in Intellectual
History Review, Routledge, London; Barcelò Lenguaje poético y metáfora en la
obra de G., in Revista de Filosofía; Agostino S., La metafisica di G. tra
Platone e Blondel, in Pagani- S. D’Agostino-P. Bettineschi, La metafisica in
Italia tra le due guerre, Enciclopedia italiana Treccani, Roma. Stavru A., Das Schöpferische
und das Göttliche: zur Frage der humanistischen Überlieferung bei G. und Otto,
in Art, Intellectual Politics. Aa
diachronic perspective, Brill, Leiden; Cacciatore G., In dialogo con Vico,
Edizioni di Storia e letteratura, Roma Di
Somma A., La Hora de Pan en Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit
Sudamerika de G. in Magister et discipuli. Filosofìa, historia, politica y cultura, Penguin
Random House, Bogotà; Ead., “Meditazioni sudamericane”: la tappa sudamericana
dell’onto-antropo-logia di G., in “Studi Interculturali”, Ead., La realtà umana
tra disvelamento e fondazione: l’incidenza di Vico e Leopardi nell’antropologia
di G,, in cds in ISPF Lab Ead., Il ruolo di Platone nell’onto-antropologia di G,,
in cds in A. Muni (a cura di), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo,
Limina mentis, Ead., Traduzione di E. G., Der italienische Schopenhauer, in AA.
VV., Schopenhauer im Denken der Gegenwart, Piper, München Lo Schopenhauer
italiano, in cds in “Archivio di Storia della cultura”; G. in München. Aspekte
von Werk und Wirkung, Atti del Convegno svoltosi a Monaco, in cds per
l’editore Fink. Nome compiuto: Ernesto Grassi. Grassi. Keywords: la metafora
inaudita, metafora, Vico, Ovidio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grassi e Grice: Grice
e Grassi, il Vico di Grassi: metafora come implicatura” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Grassi:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dove
fiorisce il limone – la giovinezza e il fascismo – parole ai giovani – al
senato -- filosofia fascista – la scuola
di Mascali -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mascali). Abstract. Grice: “England had Chamberlain; Italy,
Mussolini!” -- Keywords: fascismo. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Mascali, Catania, Sicilia. Grice:
“I like Grassi; he wrote on Faust!” Inizia gli studi ginnasiali presso il
seminario di Acireale fino alla terza ginnasiale, proseguendoli poi a Catania,
presso il liceo "Nicola Spedalieri".
Assiduo frequentatore della sala di lettura dell'Catania, conobbe
Rapisardi, cui lo legò una profonda stima ed affinità. Si laurea a Napoli con “La memoria delle
immagini acustica e visiva della parola in rapporto specialmente al tempo di
"fissazione", suggeritagli da Bianchi (Rivista di Freniatria). Si
trasferì a Messina dove divenne assistente di Weiss. Comincia a provare le
prime grosse delusioni per l'inconciliabile contrasto fra le esigenze pratiche
della professione, che rischiavano di piegarlo a umilianti compromessi, e le
alte aspirazioni della sua anima. Muta bruscamente
indirizzo, iscrivendosi alla facoltà di scienze naturali, conseguendo così la
laurea con Mingazzini sostenendo una tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro,
che poi fu pubblicata su una rivista veneziana. Mingazzini, chiamato a Bologna,
era felice di averlo come assistente. Il suo spirito inquieto cerca altre vie
ed altri sbocchi, e così intraprese a frequentare le lezioni che si tenevano
nella facoltà di filosofia a Catania, nel Palazzo Grassi, a Via Firenze. Prrofondamente
influenzato dalle precedenti frequentazioni messinesi dove campeggiavano figure
come Pascoli, col quale strinse amicizia, Cesca, Barbi, Mancini, Ardigò, Dandolo
e Salvemini. Si laurea in filosofia presso l'ateneo catanese, con “L'unità dei
fatti psichici fondamentali” (Muglia, Muggia, Messina). Insegna a Caltagirone e
Catania. Inizia un'intensa attività che vide tra i suoi maggiori corrispondenti
Gentile eSturzocon i quali intrattenne un copioso carteggio oltre al letterato
Villaroel, Farinelli, Varisco, Majelli, Carabellese e Fassò. Fonda Prisma a cui collabora, tra gli altri,
anche M. Sgalambro. Altre saggi: “Preludi
a un commento alla vita del Faust” (Catania, Studio Moderno); “Commento alla
vita di Faust” (Torino, Bocca); “Preludi storico-attualistici alla Critica della
ragion pratica” (Catania, Crisafulli); “Medico mancato” (Catania, Legione);
“L’assoluto”, Roma, Enciclopedia Treccani); “L’assoluto” Roma, Enciclopedia De
Carlo. “Giornale critico della filosofia italiana” “Logica e metafisica”,
“Goethe in Italia”, “La musica e le idee” – “Esegesi del Fausto” “tramonto di
Occidente”; “REminiscenze e visione paesane”;
“La giovinezza e il fascismo – parole ai giovani” (Senato). “Mazzini”; “Il faust e il tramonto dell’occidente o di
una nuova corrente esegetica del Fuasto in Germania”; “Goethe in Italia”; Membro
della Fondazione GENTILE per gli Studi Filosofici. Un filosofo dall'anima di
poeta, Teoresi Rivista di cultura Filosofica. Da Herbart in poi la psicologi
concepisce una unità al fondo di tutte le manifestazioni della vita psichica; ma
visono tre modi principali di concepirla: l'intellettualismo (rappresentato
specialmente perl'appunto da Herbart), il sentimentalismo (Horwicz,Regalia), e il
volontarismo (Schopenhauer, Wundt, Fouillée ecc.). Questo terzo, è pare,
all'ultima moda. Lo vediamo informare anche il neo-idealismo, che non si
accorge di restringere ancora più la intui rione dal mondo in un piccolo
cerchio antropomorfico. G. esamina le teorie metafisiche dello spirito e le
critica tutte e tre, con Egli conclude per il monismo psicologico: ossia
contrariamente ai riduttori favorevoli all'uno o all'altro elemento fra i tre
fondamentali, si pronuncia per una unità primordiale di tutta la psiche, la
quale unità consta ad un tempo di rappresentazioni, di sentimenti e di tendenze
integrate in maniera indissolubile, ma capaci di assumere per evoluzione sempre
più chiarezza e sempre più distinzione.Cosi G. si connette a due psicologi
italiani insegnanti nello stesso ateneo patavino, ma purtanto dissimili: Bonatelli
e ARDIGÒ, due valori anche disugualmente conosciuti e apprezzati in Italia.
Un'osservazione critica. G. inserisce molte citazioni originali in tedesco, il che
-- oltre a dar luogo a gravi errori di stampa -- induce fatica inutile
nell'animo del lettore. Non si è obbligati, tutti, di sapere il tedesco,
massime quello dei filosofi e metafisici. Il Trieb, il Drang, il Lust, l’Unlust,
il Selbsterhaltung, e simili parolear restano penosamente. È upa ostentazione
di coltura erudita che a scapito della intelligibilità della lettura. Qualche
insolente potrebbe supporre che l'autore, messo di fronte ai testi, imbarazzato
di tradurre in verbo e nerbo italiani i pensieri, si levi d'impiccio col
cominciare periodi e frasi in italiano e col finirle in tedesco. No. Si citi
pure l'originale, ma in nota e nel testo si metta l'equivalente italiano. La
chiarezza non deve essere uccisa dalla pedantesca precisione. RENDA A., La dissociazione
psicologica. Torino, Bocca. La dissociazione, dice l'Autore, è un processo
normale dell'attività mentale:questa non soltanto associa, ma pur dissocia, poichè
distingabile competenza una inne non si può dire per ciò che faccia fica
italiana; tutt'altro! L'argomento, ma molto utile filoso è di cosi alta portata
che riesce in materia. Egli e stato preceduto dal Faggi opera inutile nella
letteratura guardarlo da varie parti e con occhi differenti. E poi, oltre ai
tre indirizzi principali, G. parla anche di alcuni scrittori darii, fra cui
Ward, Ebbinghaus secon giovane, Brentano, Lipps, Masci ecc. Questo scrittore ha coltura estesa anche
nel campo biologico possiamo garantire che darà altri frutii, e succosi e
forti, al, e noi pari del presente volume. Va Uu op.in. RASSEGNA DI FILOS.
“Goethe in Italia” L'opera e scritta in tre momenti successivi. L’Ur-Faust,
influenzato dalle rappresentazioni del Faust di Marlowe a cui Goethe assiste
sotto forma di teatro delle marionette. Si veda Dottor Faustper il personaggio
storico. L'Ur-Faust appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca
dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, sotto il nome di
"Faust. Ein Fragment". Più tardi pubblica un ulteriore seguito, che
già ricade nella corrente letteraria del classicismo, "Faust. Erster
Teil" Faust. Prima parte. Viene aggiunto il Prologo in cielo e sono
apportate modifiche significative all'Ur-Faust. Così Mefistofele appare a Faust
promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare
che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust
è sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è
convinto che nulla mai al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di
fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa conoscere Margherita - detta
Margheritina e Greta - la quale si innamora perdutamente di Fausto,
inconsapevole del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è
nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di
Margherita e tragica. In Faust. Zweiter Teil, Faust. Seconda parte, la scena si
allarga per celebrare l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico. Fausto
seduce e viene sedotto da Elena di Troia. L'opera nel suo complesso risulta di
12.111 versi. Fausto. Tragedia di Volfango Goethe, Scalvini e Gazzino, Le
Monnier, Firenze; Fausto, trad. Giovita Scalvini, Sonzogno, Milano; come Faust,
Einaudi, Torino Fausto. Tragedia di Goethe, trad. di F. Persico, Stamperia del
Fibreno, Napoli, Fausto. Tragedia di Wolfgango Goethe, trad. di Maffei, Le
Monnier, Firenze, Fausto. Parte Prima. Erminio e Dorotea di Wolfgango Goethe,
trad. Gonzaga, Le Monnier, Firenze, Fausto. Tragedia del Goethe, trad. di
Biagi, Sansoni, Firenze, Goethe, Faust. Prima parte, trad. di G. E. Vellani,
Cogliati, Milano, Johann Wolfgang Goethe, Il Faust, Versione, Commento,
versione integra dell'edizione critica di Weimar, Introduzione e trad. e
commento di Guido Manacorda, Mondadori, Milano; Collana I Classici
Contemporanei, Mondadori, Milano; ora in Faust, con un saggio introduttivo di
Thomas Mann, testo tedesco a fronte, nota al testo di Schiavoni, Collana Classici,
BUR, Milano, Goethe, Faust. Tragedia, trad. di Baseggio, Facchi, Milano;
Urfaust. Il "Faust" nella sua forma originaria, Introduzione e trad.
e commento a cura di C. Baseggio, Collana I Grandi Scrittori Stranieri UTET,
Torino, Faust. Parte I, trad. di Liliana Scalero, P. Maglione, Roma; come Il
primo Faust, BUR Milano, Rizzoli, Il secondo Faust, ivi (BUR Faust, trad. di
Vincenzo Errante, Sansoni, Firenze, Faust, trad. di Enzio Cetrangolo, Federici
Editore, Pesaro, [scelta] Faust, introduzioni di Mario Apollonio, note di
Renato Maggi, Milano, Bietti. Il Faust. Versione d'arte con testo critico di
Weimar a fronte, introduzione e commento a cura di Manacorda. Collana
Sansoniana Straniera, Sansoni, Firenze, Goethe, Faust, trad. e prefazione e
note di Allason, Silva, Torino, poi Faust, Introduzione di Cesare Cases,
Collana NUEEinaudi, Torino, Faust, trad. di Giovita Scalvini, Collana
Universale, Einaudi, Torino, ed. riveduta su nuovi documenti, Giovita Scalvini.
La traduzione del Faust di Goethe, a cura di Mirisola, Collana Biblioteca
morcelliana, Brescia, Morcelliana, Faust. Urfaust, versione integrale, Introduzione
e note a cura di Amoretti, Collana I Grandi Scrittori Stranieri, UTET, Torino in
Faust e Urfaust, Collana UEFn.Milano, Feltrinelli, ora in Collana Universale
Economica. I Classici Feltrinelli, Faust. Seconda parte, trad. di Buoso, Longo
e Zoppelli, Treviso, Faust, Introduzione, trad. e note a cura di Franco
Fortini, testo tedesco a fronte, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano,
Collana Biblioteca, Mondadori, Milano, Collana Grandi Classici, Oscar
Mondadori, Milano, Collana Nuovi Classici, Oscar Mondadori, Milano, Faust, a
cura di M. Cometa, Collana Idola, Novecento, Faust, trad. di M. Veneziani,
Schena Editore, Faust, trad. Hausbrandt, Dedolibri,Faust. Urfaust, trad. e cura
di Andrea Casalegno, introduzione di Gert Mattenklott, prefazione di Trunz,
Collana I Libri della Spiga, Garzanti Libri, Milano; prefazione di Chiusano,
Collana i grandi libri Garzanti Libri, Milano, Faust. Testo tedesco, traduzione
a fronte e commento di Vittorio Santoli. Prefazione Cambi, edizioni aicc
castrovillari; trad. Santoli ed Errante, Gulliver, Santarcangelo di Romagna,
Faust, trad. e note Casalegno, illustrazioni di Delacroix, presentazione di
Luzi, Collana I Grandi Libri Illustrati, Le Lettere, Firenze, Il Fausto di
Gounod. Dimora casta e pura, dimora si o casta, il mefistofele di Boito. Grice: “I’m not happy with
calling Grassi an Italian philosopher. For one, his selected essays were
published in Sicily in a collection called “Biblioteca Siciliana di Cultura”. Nome
compiuto: Leonardo Grassi. Grassi. Keywords: dove
fiorisce il limone, la giovinezza e il fascismo: parole ai giovani – senato;
Mazzini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grassi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Grataroli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la memoria – la
scuola di Bergamo -- filosofia lombarda – scuola di Bergamo – filosofia
bergamesca --- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bergamo). Abstract. Grice: “When Locke analysed the “I” in terms
of memory, he must have reading Italian Renaissance authors. All they cared
about was memory!” Keywords: implicatura, memoria. Filosofo bergamesco. Filosofo
Lombardo. Filosofo italiano. Grice: “I like Grataroli, the Pope called him
‘infamous heretic,” which is a good start! He wrote a book on ‘semiotics’ of
the times, but it got lost – you cannot understand Bruno unless you do
Grataroli – he philosophised on many subjects, including dreams and alchemy!”
–Di una famiglia benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città
di Venezia. Questa, originaria del borgo di Oneta,
frazione di San Giovanni Bianco in val Brembana, oltre a possedere gran parte
della contrada e dei terreni circostanti (tra cui anche l'edificio che
attualmente ospita la casa di Arlecchino), annoverava tra i suoi membri una
folta schiera di "phisici", tra i quali si segnalarono il nonno di G.,
fondatore del collegio dei fisici di Bergamo, e il padre di G., Pellegrino,
fisico presso la città orobica. Publica una dispensa inerente osservazioni sul
mondo della natura. Straparla de le cose pertinenti a la fede et di essa fede
et de la autorità del papa, nega il purgatorio, le indulgenze, i suffragi per i
defunti, la venerazione dei santi, la presenza del corpo di Cristo
nell'eucaristia. Eeretico pertinace et scandaloso et infame, peste contra la
fede. Insegna a Basilea. Presso l'ingresso dello studio aè presente un suo
busto. Noti sono i suoi trattati sul potenziamento e il mantenimento della
memoria, sulle epidemie di peste, sulle proprietà del vino, su erboristeria e
veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti inerenti all'alchimia. Si segnala per
la teoria fisiognomica. Argomenta su Pomponazzi e da indicazioni sia per il
mantenimento della salute che per l'utilizzo dei bagni termali, nonché un
saggio in cui vengono raccontati i suoi viaggi e forniti consigli ai
viaggiatori di quel tempo. Saggi: “De memoria reparanda, augenda
servandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium, vel aequitum, vel
peditum, vel navi, vel curru, seu rheda”; “Turba Philosophorum”; “De
literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda praeservandaeque
valetitudine compendium” (Perna, Basilea); “Veræ alchemiæ artisque metallicae,
citra aenigmata, doctrina, certusque” (Perna, Basilea); “De fato, libero
arbitrio et providentia Dei” (Perna, Basilea); “Alchemiae, quam vocant,
artisque metallicae, doctrina, certusque modus” (Perna, Basilea); “De balneis”
(Bergamo). Quaderni brembani, Storia di Milano
Flavio Caroli, Storia della fisiognomica Arte e psicologia da Leonardo a
Freud M. Meriggi e A.Pastore, Le regole
dei mestieri e delle professioni: A. Castoldi, Bergamo ed il suo territorio. Bergamo,
Bolis, G. Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di Gulielmo G. filosofo (Bergamo, Locatelli); M. Meriggi, Le
regole dei mestieri e delle professioni: C. Vasoli, Le filosofie. del Rinascimento, Bottani e Taufer, Storie del
Brembo. Fatti e personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari, Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Napoli, Classici. Fisiognomica Mnemotecnica
Peste. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. “Prognostica naturalia de temporum omnimoda mtuatione, perpetua
et cer- ùjjìma Jigna rerum, quoe in Aere, Terra, aia Aqua sunt, aut
Jìunt, krevìter, et dare, ordine que
alphabetico de scripta per G. P/iy/i- cum y cuni Addinone undcam
fìgnorum Motus Terra, ex Antonio Mi^aldo, Basilea? apud Jacobum Pareum. Ibi-
dem apud Nicolaum Episcopium. Tiguri in 8. Argentorati in 8. apud Iacobum
Ofemianum. L’opera indicata, con le altre due De Memoria reparanda t e De
Prjediclione morum si trovano unite tiell’accennata edizione d’Argentina alli
Trattati di Chiromanzia, e di Astrologia natu- rale di Giovanni Indagine,
o sia Giovalini Hagen dotto Certosino del decimoquinto secolo? ed al saggio De
Sculptura di Gauricio Matematico Napolitano. Perchè G. non venga tacciato di
superstizione o di puerile credulità a motivo delle cose da esso scritte
parlando dei Pronostici naturali e della Predizione dei costumi, credo cosa
necessaria fedelmente trascrivere la Protesta, o sia Avvertimento
al Lettore, che si trova nella edizione di Devi poi avvertire, che
generalmente parlando le cose dette si verificano nella gente grossolana y
vale a dire di coloro, i quali non sono rigenerati dallo spirito e
dalla grazia di Dio, perchè di questi è vero ciò che dicesi della
depravata natura in Adamo, che Naturce fequitur femina quifque fucc
» : Ma air opposto i rigenerati dallo spirito santo mortificano la
propria carne con i suoi vizj, e con le » sue concupiscenze, sebbene la
concupiscenza ed il fomite del peccato vi restino sempre, e da moltissimi, o
Dio, anche pur troppo si riducano alla pratica », A gloria di G.
riporterò anche la sua opinione sopra la causa del flusso e
riflusso del mare r avendo precoAizzato più di due secoli prima quasi
intieramente il sistema del rinomatissimo Cavaliere Isacco Neuton circa lo
stesso fenomeno : opinione approvata ed insegnata da quasi tutti i
Filosofi posteriori a quel subitine Geometra. l moto periodico della Luna
ha grande predominio sopra li corpi fluidi, quindi fa che il mare s
innalzi e si abbassi ^ singolarmente per una particolare di lei influenza,
e ne segua il flusso, ed il riflusso secondo i differenti aspetti
relativi alla medesima, e secondo che questi accadono nella maggiore
o minore forza della sua influenza. Accade ciò perchè la Luna ha
bensì certa influenza coir Oceano, ma non già coi laghi e coi mari di poco
estesa superficie. Per la qual cosa mentre quel Pianeta si muove
dall' Oriente verso il mezzo giorno, fa che la superficie del mare s' innalzi,
e che conseguentemente ne segua il riflusso medesimo. Quando poi si
muove dal mezzo giorno verso Y occidente fa che il mare si abbassi,
e però ne nasce il riflusso. Similmente allorché la Luna si muove dall'
occidente verso V angolo della notte, o sia da settentrione verso V
o- i icnte, ne segue nuovamente il riflusso r G. Artium et Mediani?
Docloris de Memoria reparanda, augenda > fervandaque, Liber omnimoda
Remedia > et Pnzceptio- nes continens cujufivis facultans
jhuliofis apprime utilis «, immo maxime necejjlvius, Tiguri ? apud
Andream Gesneruni, Basilea apud Nicolaum Episcopium, Lugduni, apud Coterium, Francofurti
apud Vichelium. apud Viduam Petri Fischeri in 12.,
Argentorati» Nel frontespizio dell'accennata edizione di Argentina si
trovano queste parole : » Omnia ab An- afore correcla P ancia finis 6' ultimo
edita. La stessa Opera De Memoria reparanda è stata stampata unitamente
all' altro saggio del G. De confervanda Valetudine da Rantzovio. De
Prcediclione morum naturaque hominum, cum ex infipeclione partìum corporis tutu
aids modis «> Anelare G., et Philojopho B ergo mate • Basilea
Ti- guri apud Andream Gesnerum, Lugduni apud Gabrielem Coterium, et
Argentorati Li tre accennati libri De Memoria reparanda: De Temporum
omnimoda mutatìone Prognofìica: De Prcediclione morum » furono dati alla luce
per la prima volta dal G. in Basilea, e dedicati ad Edoardo Re
d'Inghilterra; siccome pure la seconda edizione di tali Opuscoli
fatta nella medesima Città fu consagrata a Massimiliano II. Re di Boemia
lutto questo evidentemente si rileva dal primo periodo della Dedicatoria
medesima al secondo dei commendati sovrani, la quale cosi incomincia Nello
scorso anno, ottimo Re, per le pressanti istanze degli amici e del-
io stampatore sono stato costretto a dare alle stampe assai più presto di
quello che averei desiderato tre miei libretti intorno ai quali
erano già molti mesi che affatica, e perchè essendo assente, molti errori
corsero nello stamparli, però riveduta di nuovo queir opera, non solo ne
corressi i difetti, ma in oltre impiegando ogni possibile diligenza ed
applicazione, e prestandovi, come si suol dire, V ultima mano, F ho
accresciuta di parecchie belle aggiunte a segno, che la presente edizione
è superiore alla prima siccome lo è un parto di nove mesi a quello di
soli sette, o pure Toro fino all’argento. Avevo dedicata la prima ad
Edoardo VI. Re d' Inghilterra, il quale innanzi anche di averne notizia, non
che di averla potuta vedere, fu costretto infelicemente a cambiare la
vita con la morte. Tale Dedicatoria e scritta in Basilea. Nondimeno non
posso accertare in quale città siano stati stampati li sopradetti Opuscoli
la prima volta che dal G. furono indirizzati alli due già nominati
Sovrani. Pejlis Defcrìptio, Caujjoe
Signu omnigena et Prœfervatio. Anelare G.. Basilea; per
Ludovicum Lucium Anno Salutis Humana? Mense Augusto; Lugduni,
apud Coterium. La prima edizione di tale veramente aureo
Trattato fu dedicata ad Ascanio Marzo Ambasciatore Cesareo presso i sette
Cantoni della Svizzera. Personaggio di molte cognizioni e virtù
fornito ed amico di G.; e questi appunto furono i motivi, che lo
spinsero a sceglierlo per Mecenate con scrivergli: La vostra conosciuta virtù, e la non
volgare vostra mansuetudine, non meno che il vostro amore per tutte le
sane dottrine, e per la pietà, mi hanno costretto a dedicarvi quest' opera.
Perchè si veda quanto amava le massime di pietà e di religione
conviene notare, che dopo di aver egli prescritti neir indicata sua
opera li rimedj fisici contro la Peste, raccomanda con fervore li
spirituali con queste parole. Ma per brevemente indicare li remedj più
forti, più giovevoli e generali, prima di tutto allontanate da voi la
paura della morte, ma non già il santo timore di Dio. Non perciò
doverete amare il pericolo, né incorrervi temerariamente, se non sarete
sforzati o dalla carità cristiana del prossimo, o dalla gloria di no-
stro Signore Gesù Cristo il quale
devesi anteporre a tutte le cose De Litteratorum et eorurn qui
Magijlratibus funguntur confermando, prœfervandaque valetudine, illorum
prcecipue qui oetate confiftentìoe vel non lunge ab ca ab funt curn ex probatioribus Auctoribus 3 tum ex
ratione, et fideli praxi et experientìa concinnatum . Basilea
apud Petri, Francofurti apud Ioanncm Vchel; Ibidem apud Hofmannum. La
stessa opera è stata tradotta nella lingua Inglese da Neuton P e
stampata in Londra Tanno. Questa dottissima opera è riferita dal
rinomatissimo Roerhave nel suo Methodus (ludii Medicorum. De Confervanda
valetudine. Francofurti apud Henricum Randzov. Questa opera fu
stampata unitamente all'ultima registrata dallo stesso Randzov Re girne n
omnium iter agentium . Basilea? apud Petri. Argentorati per Vendelinum
Rihelium 1 s6 %. Colonia? apud Hofmannum. L’edizione fatta di tale
uti- lissima opera in Argentina fu dedicata dal G. » alla vera
pietà, e nobiltà del chiarissimo Egenolfo Barone, e Signore in Rapolstein
Hochen Ack e Gerolzeck in Vassichin » e nel frontispizio della medesima
vi si leggono i seguenti latini versi Ut peregrìnands vita ejl jubjecla
procellis Aeris, et varìis undique prejja malis ; No/ira
procelle* fi vario jìc turbine mundi Volpi tur incertis anxia vita
rnodis. Hoc bene pericolo Jervans prò tempore litro Tutìor
utque voles carpe Vìator iter. De Laudibuj Medicina ejus origine
> progrejju ? militate. Argentorati i 5 £3. De Pefle Thefes. Basilea in 8.
Apud Henricum Petri. De Vini natura, Artificio et Usu, deque omni re
potabili . Basilea, Apud Henricum Petri Equorum P et Domejlicorum
quorundam Ànimalium remedia $ senza data in tutti i Cataloghi da me
veduti Lapidis Philojbphici nomendaturoe. Basilea La medesima opera trovasi
inserita nel Volume in foglio stampato in Colonia Tanno da Orstio, con il
titolo Veroe Alchimia? Scriptores . De janitate menda . Argentorati.
Trovo quest* opera citata dal Mercklino nel suo Lindenius
renovatus. De Thermis Rhoctias, et Vallis Tranjc/ierìi Agri Bergomenjis.
Si trova stampata tale opera per la prima volta da Giunti in Venezia
Tanno nella sua copiosa raccolta di tutti quelli y fi che sino alla
detta epoca avevano scritto sopra i Bagni, ed è riportata alla pagina, con
questo titolo G. ad Corradum Gefnerum Medicum Tis'urimim de Thermìs Jxhœtìcìs
Tutti o quelli i quali a mia cognizione hanno parlato di questo
trattato di Guliclmo, sia neir occasione di dare il Catalogo delle
sue opere, osia per semplice erudizione, e perfino il nostro Calvi, non
hanno citata nessun' altra edizione della stessa opera, che quella dei
Giunti e tutti ne fecero sempre autore G., senza mai mettere in dubbio
questo punto d'Istoria letteraria. Ciò nondimeno non deve recare
maraviglia, particolar- mente delli scrittori oltramontani, e
specialmente di quelli del decimosesto secolo: ma fa bensì stupore, che
siasi continuato ad attribuire a G. un simile trattato, dopo la nitida e
ben corretta edizione fatta dal valoroso Cornino Ventura di tutti i dotti
Medici Bergamaschi, che avevano scritto sopra i Bagni di Tres^ore ;
poiché apparisce, ed è anche evidentemente provato da quel
diligente stampatore, e dagli eruditi e perspicaci fratelli Licini suoi
direttori, che il trattato, che porta quel titolo, appartiene sicuramente
a Bartolommeo Albani Medico Collegiato della Città di Bergamo,
scritto dal medesimo, vale a dire quasi un secolo prima della
indicata edizione Veneta di Tommaso Giunti Di fatti T Opuscolo dell' Albani
termina precisamente con questa data : anno mìllejìmo quadrigentefimo y
et feptuagefimo de menje Julii die vìge fimo Ceptimo. Per ExeelL
Artìum dottore Bartholomceum d’Albano. Si fa ancora assai più manifesta tale
verità da quanto afferma Cornino nella sua edizione dei filosofi bergamaschi
circa li Bagni Trescoriani, nella annotazione seguente posta in fine dell’opuscolo
del sopracitato Bartolommeo Albani per maggiore sua giustificazione Da un antichissimo esemplare
manoscritto ritrovato nella libreria de" Padri Domenicani, il quale si
vede eziandio trasportato nella lingua Italiana, sotto il nome
dello stesso Bartolommeo Albani, nelieCase di Colleoni, lasciato al Luogo
de Ha Pie- tà, conservato sino a questo tempo. Non si deve adunque
più dubitare, che il vero Autore di quel trattato non sia Albani, mentre anche
Calvi così ha lasciato scritto nella sua Scena Letteraria Albano
della Medicina celebre Professore fiorì verso la metà del passato
secolo e fu il primo y che scrivesse sopra i nostri Bagni di Tre-
score j leggendosi le sue degne fatiche con quelle d 5 altri Autori nel saggio
De Balneis Tranfchcrii Oppiai Bergomatis . Bergomi Questa è T accennata
edizione di Cornino Ventura. Si noti in questo luogo, che lo stesso Bibliografo
indicando l'opera di G. sopra io stesso argomento, dopo di avere
scritto De Thermìs Rhœticis, et Vallìs Tranfche- rii agri
ìSergomatis aggiunge. Questo si trova nell' opeia Veneta De Balneis. Adunque
al Calvi era nota tanto l’edizione dei Giunti, quanto quella del Cornino: dopo
tutto questo, in quale maniera si potrà difendere G. dalla taccia di plagiario
y e di un plagio domestico Ma niente dì più facile, Ricercato Gulielmo da
Corrado Gesnero suo grande amico, che si chiamava il Plinio dell’Alemagna,
perchè gli facesse avere delle notizie circa le Terme, o Bagni della Rezia, e
della Provincia Bergamasca, egli ^per fare cosa grata ad un amico di
tanta rinomanza, prese in mano il manoscritto dell'Albani, vi
aggiunse qualche cosa del proprio, ed ancora molte cose di quelle
che aveva scritto sopra i Bagni di Trescore il dotto Zimalia, levando alcune
cose che gli sembravano superflue, o inesatte, con purgato stile lainò, e con
veri termini tecnici rifuse il manoscritto dell' Albani, e cosi
riformato ed ordinato lo spedì all' amico, unitamente ad una erudita
lettera relativa alle Terme della Rezia e siccome in quei giorni il
Gesnero si trovava in Venezia per descrivere i pesci, ed i crostacei del
mare adriatico, averà consegnato questo scritto a Giunti s che in
quel tempo era occupato a pubblicare la sua grande edizione di
tutti li Scrittori sopra i Bagni e le aque Termali n siccome ho già di
sopra notato . Indubitata cosa ella è che G. chiude il suo scritto con
queste parole. Ho raccolte brevemente, e con chiarezza tutte le
soprascritte cose a benefizio, e sollievo del mio prossimo io G.: frutto
tutto questo delle mie oculari osservazioni, e della lettura di parecchi amichi
Medici della mia patria. Appunto questa sua protesta dalle persone
oneste e giudiziose deve essere considerata una confessione del
fatto, ed ancora del diritto che aveva acquistato di appropriarsi quello
scritto; tanto più che G. nello spedirlo
al Gesnero, lo previene con la seguente onorata e sincera dichiarazio-ne Vi
spedisco l'intiera Descrizione delie Terme Bergamasche, le quali non sono
lontane dalla Rezia più di due giornate di cammino. Di queste niente sino
al presente trovasi pubblicato con i tor- eh) ; onde mi giova sperare,
che diver- ranno celebri anche in avvenire, siccome lo sono in
passato, dopo che Y occulta, e quasi intieramente ignorata loro virtù sarà
fatta nota con le stampe ; purché non vi rincresca accoppiare le
erudizioni Italiane alle Tedesche. Poteva qui esprimersi G. con più candida, ed onesta sincerità? Confessa
di essere semplice raccoglitore d^gli altrui scritti, mentre dice »
Ho raccolto dagli scritti di altri antichi Medici Bergamaschi Non
chiama sua quella fatica, ma dice semplicemente. Vi spedisco T intiera
descrizione delle Terme Bergamasche delle quali niente sin ad ora è
stato pubblicato. Non si deve dunque condannare di plagiario G. $ e certamente non conviene, che egli
abbia avuto rimorso di avere commesso una cosi vile, e detestabile
impostura, mentre essendo sopravissuto quasi quindici anni dopo
l'edizione Veneta di queir opuscolo, sicuramente non averebbe mancato di
giustificarsi presso il mondo erudito circa il preteso plagiato . Ecco tutto
quello, si può dire in difesa di questo FILOSOFO sopra tale inssusistente
accusa, né altro posso aggiungere « se non che far noto al mio
Leggitore, che per quante diligenze abbia usate «> non mi è
giammai riuscito di ritrovare i due citati mano- scritti, e che in
oltre Calvi, a cui era nota Y edizione di Co- rnino Ventura, non ha nella
sua Scena Letteraria dimostrato di sospettare dell' onestà letteraria di
Gulielmo G. . Prima di terminare il presente articolo dei Bagni di
Trescore, riferirò il zelante umanissimo Voto, con il quale G. chiude la sua
opera stampata dal Giunti Faccia Iddio, che la Bergamasca Repubblica abbia
diligente cura di rimettere nel primiero loro stato questi
saluberrimi Bagni, che certamente lo può, e lo deve fare. Faccio io pure
fervidi e sinceri voti, perchè abbia effetto tutto ciò che caldamente
raccomanda G.; e per maggiormente incoraggire la mia città, ed i
miei Cittadini a procurare al- la patria un vantaggio così
rimarcabile, vivamente li supplico a leggere l’erudita ed elegante
latina lettera di Zimalia, premessa al suo dottissimo Trattato dei Bagni di
Trescore, dedicato al suo magnanimo Mecenate Colleoni capitano generale
degl’eserciti della serenissima veneta repubblica, nella quale prova con
una evidenza che sorprende, e che deve intenerire chiunque senta amore
per la sua patria, che quello famosissimo eroe deve senza alcun
dubbio essere ugualmente ammirato, e commendato sì per le sue azioni
militari, che per le sue virtù politiche, a benefizio ed eterno
vantaggio, e decoro di tutta la sua amata nazione Bergamasca De Notis
Antichrìsti, senza data, senza luogo, e senza nome dello stampatore. Tuttavia
nominerò ancor io tra le opere di G. un libro con tale titolo,
ritrovandolo registrato da Calvi, e da Papadopoli suo copiatore, ma
non dal Frehero, non dal Bayle, non dai Maizeaux suo illustratore,
non dal Mercilino, non dall'Eloy, mentre tutti questi si suppone avessero molto
interesse di far autore di un saggio anti-cattolico romano un
erudito e dotto italiano - siccome era da tutti considerato G.. Non però verun
altro Letterato ha posto nel Catalogo delle sue opere V accennato libro D'
altronde è cosa più che certa, che si può scrivere dei caratteri dell'
Anticristo anche dalla più religiosa e zelante penna cattolica: ed è certo di
più, che Calvi, o non averebbe registrato un così fatto libro, o
non averebbe mancato di scriverne qualche parola in detestazione del medesimo.
Ma di più ancora quanto al Papadopoli, probabilmente questi non averà
nemmeno veduta quest’opera, essendosi intieramente riportato al Padre
Calvi, siccome egli stesso scrive nella sua storia dell' Università di
Padova parlando di G.. Avendo in oltre riportati i titoli delle
altre sue opere senza data, alterati, e confasi notabilmente, non sarebbe
stato egli il primo a giudicare di un libro mai veduto, nò letto. A
me stesso è accaduta la medesima sorte y non solo di poterlo trovare ma neppure
di averne fondata contezza, per quante ricerche abbia usate non
sola in Italia, ma altresì nella Germania e nell’Olanda. Sostengo
finalmente, che se quest’opera esiste, che io non credo, o se fu composta
da Gulielmo G., non doveva essere tanto malvagia e perversa, quanto
alcuni senza ragione sospettano; mentre che tutte le opere di G. è
vero che sono poste nell’indice de' Libri proibiti? ma con la semplice
cautela; Quandiu emendata non prodierint. Dal che si è da presumere che
se que- sto fosse stato un libro veramente Eterodosso, Santa Romana
Chiesa lo avrebbe posto nella classe dei libri empj e malvagi di prima
classe. Confilium de Proe fervanone a Vcnenis . G. Aucìore .
Hamburgi in 8. Ecco registrate tutte quelle opere che mi è
riuscito di raccogliere, le quali sono composte da questo dottissimo
Medico e Filosofo : ora passerò alla seconda classe delle opere
tradotte e fatte stampare dal medesimo. J. Joannis Braccfchi de
Alchimia, cum proposìtionibus Idem argume ri- rum compendiofa
brevitatc compleclens ex Italico Aucloris Autographo in latinum
verni - et edidit G. Basilea, in folio. Apud Petri. Non mi è noto dove sia
stata stam- pata la prima volta questa traduzione; ma solo ne ho
trovata un' altra ed zione fatta in Amburgo. Chirurgico rum quorundam Auclorum
Libros Galiice fcriptos latine reddidit ? et in cap'-ta difiribuit G. Lugduni
in 8. Apud Gabrielem Coterium, Classe terza delle opere d* altri
Scrit- tori fatte stampare con prefazioni, note y e commenti da G.. I
Ve ree Àlchymìce Scriptores aliquota cum Praefationibus et D celar
ationibus col- Ifgit y et una edidit Gulielmus Gratarolas. Basilea?, apud
Henricum Pctri in folio. II. Vetri Apone njls de Vene ni s
eo- rumane Remediis, cum Additionibus G.. Francofurti, apud Joan- n
ìm Velici; Hermannl a Ncunare de novo haclenufque inaudito Germanice
morbo pompar* idcft judatoria febre, quern vulgo fudorem
Britannicum vócant, libellus a G. editus. Colonia. Ermanno Ncunare era Conte e
Prevosto della Cattedrale di Colonia . Simeonis Riquinii Judicium
doclijjimum duabus epijìolis contentimi de fiutato r ice Febris cura t
ione editum a G. Medico e FILOSOFO B ergo mate. Colonia; Joackini Schdlerii o
come altri scrivono Sckilfeni de Pejìe Britannica Commentariolus
aureus a G. FILOSOFO editus. Basilea; Apud Henricum Petri. Alexandri Benedicii
de Pejlilen tioe Caujjls s Proe fervanone et auxiliorum Materia Liber
Jingularis : Omnia ex ma- nufcriptis exemplaribus auxit y et illujìravit
Gulielmus Gratarolus Medicus 9 e FILOSOFO. Basilea. Ibidem in folio apud
Henricum Petri .Correcliones, et Additiones ad librum Italicum, falfo
tributum Fallopio 7 inscriptum, Secreta Fallopii. Francofurti
irfoò. in folio, e i6"o£. cum operimi Appendice G.. Girolamo
Mercuriali da Forlì coetaneo di G., soprannomato Mercurio e Trimegisto per la
vastissima sua medica scienza, nell' erudita opera : De ratione
dijcendi Mediana/?!, edizione d’Argentina m proposito dei libri
falsamente attribuiti a Fallopio, racconta che vi furono alcuni, i quali
o per malignità, o per sordido lucro cacciarono fuori opere sotto il
nome di Fallopio, che affatto non sono sue, come il libro dei
Secreti. Opere indegne del suo maestro, e soltanto capaci a toglierli
quella vera, e soda gloria, la quale si era acquistata presso i dotti Vili.
Cenjura et Additiones in Libruni Alexii Pedemontani, ubi de Quinta
effentia funplici. Per G. Venetiis apud Jun£hs in 12. Conjìha, et Curationes
variorum doclijfimorum Medicorum de Sudore Anglico a G. edita. Colonia
apud Franciscum Hofmannum. Thaduei F/orenini, che 1'Alidosio chiama Taddeo
Aledrotto^ et Guliclnù a Brixia Conjìlia
Colonia, Apud Iranciscum Hofmannum in 4. Per G. Johannis de Kupecijja de
Extratione Quinte? ejfentioe omnium rerum prò u fu Medico. Venetiis apud
Juntìas; Theatrum Galeni hoc est univerjlv medicince a Galeno diffupz
fpar- f inique traduce Promptuarium completimi et in meliorem ordinem redaclum per Ludovicum
Luride llum a G. Philojbpho editimi . Basilea, Apud Henricum Petri in folio Hamburgi
apud Joanneni Neumannum et Georgium Volfium \6j2. in foiio. Petri
Pomponacii de Incantationibus libri in quibus dijficilUma Capita et Quefliones
Theologicoe, et Philosophicoe ex jana Orthodoxoe /idei doclrina
explicantur et multis rarìs Hijìoriis et Glojfulis illujlrantur. Per G. Philojbpkum
Bergo- matem > qui fé in omnibus Canonica^ Scriptum et Janclorum
Dociorum Judicio fubmittit . Basilea?
Kalendis Martii ex Officina Henripetrina in 8. cum Csesarea Majestatis gratia
et privilegio. Quesra edizione del trattato deeli Incantesimi
di &4 Pomponacio tu consagrata dal G. a Federico Conte
Palatino con una nobilissima, e giudiziosissima dedicatoria impiegata parte in
encomj della virtù e meriti di quel Principe, e parte in difendere Y
opera di quel filosofo mantovano del quale afferma e sostiene che e a
torto impugnato e perseguitato; e che se fosse stadio con prudenza e carità
Cristiana trattato, sarebbe riuscito uno dei più zelanti e forti
Apologisti della Chiesa Cattolica, come riferisce essere avvenuto a
Giustino Martire, al grande Agostino, ed a moltissimi altri difensori
della nostra santissima religione. Di fatti Pomponacio per attestato di
tutti gli Scrittori della sua vita mori cattolicamente. Voglio sperare che
Pomponacio prima di mandare fuori l’ ultimo suo spirito, siasi per singolare
grazia delia divina providenza e misericordia ravveduto e pentito e che
non abbia perseverato neir ateismo. Imperocché tale essere stato il
Pomponacio Y ho udito spesse fiate a rammentare da Elideo Medico di
Forli chiarissimo ornamento della medica scienza, ed uno de suoi più cari
discepoli. Ho ricopiato questo sentimento dui G. acciocché si conosca quanto
grande fosse Sa sincerità e l’attaccamento verso la Chiesa Cattolica. Gisberto
Voet, o Voezio dotto Professore di Teologia, e delle lingue Orientali
neìl' Università di Utrecht, inimico capitale della Filosofia e di
Cartesio, parla con molta lode della suddetta edizione, dicendo G., li di
cui scritti vengono coitimendaci per lo zelo di pietà e di religio- ne
che vi traspirano, e per li encomj de’ quali lo ricolma Teodoro Beza nelle
sue lettere, e per li suffragj di molti altri uomini dotti, che lo
trattarono nelle sue opere stampate in Basilea difende Pomponacio contro
li suoi caluniatori, ed afferma, che abbia terminati i suoi giorni assai
piamente. Dalla medesima dedicatoria di Gulielmo da esso scritta un anno
solo prima del suo paesaggio all'altra vita si rileva, che già dieci anni
innanzi egli aveva fatto stampare r senza che mi sia riuscito di sapere
in qua! parte il Trattato De ìncantationibus di Pomponacio, perchè
così scrive al Principe suo Mecenate. La
parte di questo saggio che tratta delle cause, e degli effetti naturali,
o sia degli Incantesi- u mi fatta da me stampare sono già più
di dieci a, T avevo dedicata e spedita air Illustrissimo Principe
Ottone Enrico Elettore di felice memoria, e S. A, non sdegnò di
ringraziarmi con lettere di suo proprio pugno. Mi è piacciuto di
nuo- vamente riportare quanto G. scrive in quella sua elegante dedicatoria,
perchè dalla premura e zelo da esso dimostrato sino agli ultimi periodi della
sua vita, e dalla universale estimazione, che hanno sempre costantemente fatta
palese in faccia di tutto il mondo tanti letterati del primo ordine, d’ogni
nazione e d' ogni religione, della dottrina, della probità, e dell' amore
del vero, e del giusto, che ha conservato in tutte le sue
operazioni, possa invogliarsi qualche valente ed erudita penna della sua,
e mia patria a tessere, ed in assai miglior modo ordinare una più
compiuta istoria scevra dai difetti, dei quali questa mia pur
troppo è ripiena, di un Filosofo e Medico j che ha impiegati e
consagrati tutti i suoi talenti, e tutti i momenti de' tuoi giorni
a benefizio e vantaggio della languente umanità, ammaestrando ed
illuminando il mondo tutto con le numerose produzioni del sublime suo
ingegno, trasportando nella lingua più universale moltissime opere in diversi
altri idiomi composte da più dotti e famosi scrittori ed in fine
illustrando ed arricchindo di utilissimi riflessi e profittevoli commenti
un numero immenso di interessanti volumi i quali contengono ogni genere
di scienze e di cognizioni, siccome ne forma una evidentissima prova il
copioso catalogo delle sue opere da me coordinato ed esteso. Guglielmo G.. G.. Keywords:
sulla memoria, de balneis, turba philosophorum. Grice e G.: filosofia lombarda
– filosofia bergamesca – scuola di Bergamo -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Bergamo). Filosofo italiano. Filosofo lombardo. Filosofo bergamesco.
Bergamo, Lombardia. Bergamo, Basilea è
stato un medico e filosofo italiano. Ritratto di G. dalla biografia di
Gallicciolli G. nacque a Bergamo, in una famiglia benestante dedita al
commercio di tessuti di lana con la città di Venezia. Questa, originaria del
borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco in val Brembana, oltre a
possedere gran parte della contrada e dei terreni circostanti (tra cui anche
l'edificio che attualmente ospita la casa di Arlecchino), annoverava tra i suoi
membri una folta schiera di medici (al tempo chiamati "phisici"), tra
i quali si segnalarono Simone, fondatore del collegio dei medici di Bergamo, e
Pellegrino, medico presso la città orobica, rispettivamente nonno e padre di
Guglielmo. Gli studi di G. sono quindi indirizzati fin dall'inizio verso
l'arte esercitata dal padre, che lo educa e lo indirizza allo studio della
stessa. Proseguì quindi gli studi a Padova presso la locale facoltà di
medicina, dove si laurea e vi assunse la cattedra. Nella città veneta,
oltre a pubblicare la sua prima opera, una piccola dispensa inerente
osservazioni sul mondo della natura, entra in contatto con studenti e docenti
provenienti da ogni parte d'Europa, venendo contagiato dalle dottrine religiose
predicate da Lutero e Calvino. Si dedica quindi alla professione
esercitando prima a Milano e poi a Bergamo dove si iscrive al locale ordine dei
medici. Dopo aver pubblicamente manifestato le proprie idee in ambito
religioso, che stridevano non poco con il pensiero cattolico e che si
avvicinavano notevolmente a quelle proprie della riforma protestante, si dedicò
attivamente ad un gruppo eterodosso, del quale prese la guida in seguito
all'arresto, con l'accusa di eresia, di Pesenti, il precedente
reggente. Anch'egli venne più volte redarguito dalle gerarchie cattoliche
e costretto a comparire davanti ai tribunali ecclesiastici di Bergamo e Milano.
Questi lo invitarono a ritrattare tutte le sue affermazioni considerate
eretiche tanto da costringerlo ad abiurare. Non rinunciando alle proprie idee,
fu nuovamente sottoposto al giudizio dell'autorità canonica. Il
degenerare della situazione lo obbliga a fuggire dalla città, riparando a
Tirano nel Canton Grigioni, dove dichiarò di non riconoscere l'autorità
dell'inquisizione. Qui trovò ospitalità da esponenti della nobiltà locale
presso i quali ebbe la possibilità di insegnare e praticare la propria
disciplina. Nel frattempo il tribunale ecclesiastico di Bergamo lo
dichiara, in contumacia, eretico colpevole di aver molto straparlato de
le cose pertinenti a la fede et di essa fede et de la autorità del papa...
negare il purgatorio, le indulgenze, i suffragi per i defunti, la venerazione
dei santi, la presenza del corpo di Cristo nell'eucaristia heretico pertinace
et scandaloso et infame peste contra la fede vietandogli il ritorno nella città
orobica, pena la decapitazione ed il rogo, ponendo sulla sua testa una somma
pari a cinquecento lire e confiscando tutti i beni suoi e della moglie, nel
frattempo rimasta in città. G. comincia quindi a spostarsi in numerose
città d'Europa, tutte poste in ambienti riformati. Si stabilì prima a Strasburgo
ed in seguito a Basilea, città nella quale ebbe modo sia di praticare medicina
(salvando la vita, tra gli altri, a Cardano), che di assumere la cattedra nella
locale università, presso l'ingresso della quale ancor oggi è presente un suo
busto che ne testimonia l'importanza ricoperta. Muore in terra elvetica,
che nel frattempo era diventata la sua nuova patria. Le sue teorie, che gli
valsero la fama di medico e scienziato tra i più illustri dell'Europa, toccano
numerosi punti in ambito filosofico e medico. Noti sono i suoi trattati sul
potenziamento e il mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle
proprietà del vino, su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti
inerenti all'alchimia, disciplina abbondantemente sviluppata da Paracelso, che
insegnò nell'università di Basilea soltanto qualche anno prima di G.. Si
segnala nel medesimo ateneo sia per le ricerche che per gli elaborati sulla
teoria fisiognomica, in seguito sviluppata da Lombroso. Menzionato anche
in poesie del conterraneo Calvi, scrive varii saggi filosofici. Tra le altre si
segnalano argomentazioni sulle dottrine del medico greco Galeno di Pergamo e
del filosofo ed umanista POMPONAZZI (si veda), consigli medici per letterati e
magistrati, ma anche indicazioni sia per il mantenimento della salute che per
l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi
viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo. Saggi: De memoria
reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium,
vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda. Turba Philosophorum.
De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda
praeservandaeque valetitudine compendium, Pietro Perna, Basilea, Veræ alchemiæ
artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque, Pietro Perna,
Basilea, De fato, libero arbitrio et providentia Dei Pietro Perna, Basilea
Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae, doctrina, certusque modus Pietro
Perna, Basilea, De balneis, Bergamo, Della vita degli studi e degli scritti di
G. Quaderni brembani Storia di Milano Caroli, Storia della fisiognomica Arte e
psicologia da Leonardo a Freud Meriggi e Pastore Le regole dei mestieri e delle
professioni Castoldi (coordinamento di), Bergamo ed il suo territorio. Dizionario
enciclopedico, Bergamo, Bolis eGallizioli, Della vita degli studi e degli
scritti di G. filosofo e medico, Bergamo, Stamperia Locatelli, Meriggi, Le
regole dei mestieri e delle professioni: Vasoli, Le filosofie del Rinascimento,
Bottani e Wanda Taufer, Storie del Brembo. Fatti e personaggi dal Medioevo al
Novecento, Ferrari Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, Nella
Stamperia de' classici, Maclean, Ian. "Heterodoxy
in Natural Philosophy and Medicine: Pietro Pomponazzi, Guglielmo G., Girolamo
Cardano," in Heterodoxy in Early Modern Science and Religion, edited by
John Brooke and Ian Maclean. Oxford. Voci correlate
Fisiognomica Mnemotecnica Peste Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Alessandro Pastore, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere su MLOL,
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italiani Filosofi italiani Medici Nati a Bergamo Morti a Basilea Scienziati
italiani [altre]. G. in sospetto di avere abiurata la fede ortodossa, e divenuto reo presso i
sacri inquisitori del santo offizio
P vedendosi vicino
ad essere carcerato, siccome ben
si meritava, prese
il par.tiro di
fuggirsene, e mendico
si trasferì nella
Rezia » .
Ma salva la stima e
la venerazione, che
si deve alF
autorità di cosi
riputati Istorici, esigge
V amor del
vero > che
io faccia riflettere
a miei lettori,
che siccome nessuno
de' medesimi ha
citato verun documento
in prova di
quanto hanno riferito,
così io non
sono tenuto a
con formarmi alle
loro asserzioni, e
specialmente a quelle
del Papadopoli, perchè
secondo che lo stesso
scrive, il Vermilli
abbandonò Padova Tanno
1527., tempo nel
quale il G.
non solo per
anco era stato
in quella Città,
ma di piti
non contava allora
se non Y
undecimo anno di sua età .
Prescindendo adunque dall'
autorità dei nominati scrittori
sulla condotta del G., sono
d' opinione, che
non abbia giammai
abiurato la cattolica
religione, né che
mai abbia scritto
proposizioni contrarie alle
dottrine della medesima;
bensì varie circostanze di
sua vita, ed
in oltre quanto
hanno scritto di
lui parecchi oltramontani,
possano cagionare gravissimi
sospetti che ancor
esso sia sortito
dall' Italia per motivo
di religione .
Ma certa covi ò
che qualora fosse
stato gravemente sospetto
di errori contro
la nostra Santa
Cattolica Chiesa, e molto più
disseminatore palesemente di quelli
di Lutero e
de' Sacramcntarj, non
sarebbe stato aggregato
al Collegio de' Medici
dalla sua patria,
non averebbe potuto
vivere sicuro e
tranquillo in Bergamo
per lo spazio
di undici anni
-> quanti ne
scorsero dall' anno
della sua aggregazione pìV almo
Collegio de' Medici
si no all' anno
.^ in cui
sortì d'Italia; essendo
senza alcun dubbio
il sacro Tribunale della Santa
Inquisizione in quel
tempo vigilantissimo, e la
nazione Bergamasca zelantissima
essendo stata in
qualunque tempo dei santissimi
Dogmi della Chiesa
Romana . Di più
ciò, che deve
maggiormente convincere i miei
lettori, che il
nostro Giilielmo non
abbia abbiurata la
sua religione • pubicamente,
si è il
leggersi nella Dedicatoria
dell' altre volte
citato libro »
Re girne n
Omnium iter agentium
» questa protesta
» : riguardo
alla mia persona P
che mi trovo
profugo > e lontano dalla
mia patria, dalla
quale sono più
di dieci anni,
che per la
Dio mercè mi
trovo absente per puro
amore della verità,
e della giustizia
»: dunque non
per abbiurare la
religione ; che
anzi sulla fine
della medesima Dedicatoria
dopo di avere
narrato che ancora la
famiglia del Principe
suo mecenate si
era già da
un secolo stabilita in
Germania, ed abbandonata
V Italia, fa
il seguente voto
»: voglia però
il potente e giustissimo
Dio^ che per
la maggior sua
gloria, se così
piacerà anche a
sua Divina Maestà
un giorno si
possano rivedere le
nostre patrie -(24),
Oltre di che
12 niente si
trova negli scritti
del Grataroìi, che
lo dimostri o
seguace degli errori
che infierivano in
quello sfortunato secolo,
o contrario a
verun dogma Cattolico
Romano ; anzi
air opposto posso
con ragione dedurre
dalla Prefazione premessa
dal medesimo nel principio
della seconda edizione del
suo libro De
Incantationibus di Pietro
Pomponacio che egli
per io meno
sino air anno
., cioè a dire
sino al
penultimo della sua
vita si conservasse,
e si pregiasse
di vivere attaccarissimo alla
religione Ortodossa: poiché
ec« co la
sua dichiarazione »
ivi, cosi parla de'
suoi commenti ai
libri di Ponijxmacio,
si spiegano secondo
le più sane
dottrine della Fede
Cattolica varj dei
più difficili capi
e quistioni di
Teologia e di Filosofia, e
da per tutto
vengono illustrate da molti
diversi tratti d'
Istoria dall' Autore,
il quale si
sottomette intieramente al giudizio
delle Scritture Canoniche
e elei Santi
Dottori ». Ora
come mai dopo
una cosi pubblica
protesta e dichiarazione, si
deve scrivere, che
il Grataroìi abbia
abbi arato il Catolicismo,
e professata la
rene Protestante, Ma
quella poi che
sovra ogni altra ragione
mi fa credere
ohe f;li sopracittati
scrittori abbiano preso
sbaglio, si è
che il Padre
Donato Calvi, aitretanto
religiosissimo quanto minutissimo
compilatore della Storia
di Bergamo e
della maggior parte degli
Uomini di lettere
Bergamaschi nella sua
Scena Letteraria (27),
e nelle sue
Effemeridi, avendo diffusamente
parlato con molta
lode della vita
e delle opere
di questo eccellente
Medico, e Filosofo,
non scrive che
per abbiurare la
religione abbia abbandonata
la sua patria
; anzi ne
parla in modo,
dando moltissimi encomj anche
alle sue virtù
morali, che non
lascia alcun luogo
di dubitare, che
creduto non Io
abbia Cattoli. co,
e che avesse
il menomo sospetto,
che si fosse
portato in Germania
per professarvi T eresia:
perchè ecco come
dice: » Non
si ponno di
questo virtuoso descrivere
le azioni senza
levarsi dalla strada
battuta delle dozzinali lodi
» . Quando
air opposto di
parecchi altri, quantunque
dottissimi Letterati, tra'
quali Girolamo Zanchi,
che avendo per
loro infelice sorte
abbandonata la Romana Cattolica
Religione per professare tra"* Luterani
la pretesa riforma,
non solo non
ne ha fatti
gli Elogi, siccome kcc
del G., ma
neppure ha vol
34 luto registrare
i loro nomi
nelle sue Opere .
Né la pia
e religiosa penna
del colto Poeta
Antonio Tirabosco Dottore
di Sacra Teologia
^ e Rettore
titolato di S.
Michele dell'Arco averebbe
scritto ed unito all'
elogio del G.
composto dal Padre
Donato Calvi il
leggiadro Sonetto, quantunque
lo stile del
medesimo sia secondo il
genio del suo
secolo, che incomincia :
» Questa tomba
non è funesto
avello » Conviene
però altresì confessare,
che la sua
improvvisa partenza dalT
Italia, il suo
stabilimento nelle Città
infette d' eresia,
il commercio epistolare
che mantenne con
Girolamo Zanchi, e
con Teodoro Beza,
ed ugualmente con
molti altri de*'
più fanatici novatori di
que' tempi, come si
raccoglierà nel progresso di
questa vita, ed
il latte infetto
succhiato nella sua
fresca età nello
studio di Padova,
abbiano dato motivo
di giudicare, che
facilmente si fosse accomodato ancor
esso a pensare
e parlare, siccome
facevano tutti quelli,
i quali nel suo
secolo desideravano d'
essere riputati sublimi e
peregrini ingegni, e
che però presso
gli imperiti zelanti,
e gli invidiosi
de' suoi talenti, e
del suo sapere
35 cadesse in
grave sospetto che
avesse solennemente
abbiurata la Cattolica
religione, e pubblicamente
professata la protestante;
e questo sia
stato il vero
motivo, che lo
constringesse a ricoverarsi
in Germania •
Non voglio in
oltre ommettere un'
altra ragione, che
hanno tutti quelli
che pretendono, che
il G. abbia
abbandonata la patria
per motivo di
religione, senza però
che abbiano dimostrato,
che egli giammai
insegnasse errori, o
abbracciasse la setta
di qualche eresiarca,
sebbene lo suppongano li
sopraccittati scrittori .
Questa nuova ragione
è perchè Girolamo
Zanchi scrive quanto
segue a Giusto
Voltejo Mi congratulo con
voi della pace,
e della concordia, che
tranquillamente godete, e
che al numero
degli ottimi e
dottissimi Uomini, di
cui abbonda la
vostra scuola abbiate
aggiunto il veramente
pio e veramente dotto Medico
Gulielmo G. .
Spero che ancor
esso sia per
diportarsi presso di voi in
modo che non
abbiate da pentirvi
di averlo costì
chiamato, e che
voi altresì siate
per trattarlo in
guisa, che non
abbia giammai di
lagnarsi di esservi venuto
. Nella mia,
e sua patria
era tenuto in
molta stima e
venerazione, ed era
3* molto ricco
. Il zelo
soltanto per la
pietà e per
la religione lo
rese povero in
modo j che ultimamente
gli è stata
confiscata persino la
dote alla di
lui moglie, che
ascendeva a coronati
ottocento, unicamente perchè volle
seguire il marito
e la sua
religione . Non
dubito pertanto, che
se vi sta
a cuore la
pietà' e la
virtù, vi sarà carissimo questo
uomo illustre sì per la
pietà, che per
la virtù. State
sano ». Ad
ogni modo mi
confermo maggiormente, che
non abbia abbandonata
la patria per
abbiurare la religione,
mentre non poteva
essere malcontento della
medesima 5* poiché
era molto onorato
ed assai stimato,
godendo tutte le comodità
possibili, ritrovandosi
molto ricco e
bene accasato con
una moglie virtuosa
ed amorosa, che
con raro esempio volle
seguirlo in Germania
col sacrifizio di
quanto possedeva . Si è
veduto chiaramente da quanto
ne scrive il
Zanchi nella riferita
lettera, in grazia
della quale giacche si
è dovuto rapportare
Y azione virtuosa
della leale compagna
di Gulielmo .
Diro adesso, che
questa era Barbara Nicosi : ma il
tempo in cui
avesse seco contratto
matrimonio, e la
Città nella quale fosse
nata,, per quante ricerche
ab 37 bia
usate non mi
è riuscito di
averne precisa notizia «
Non posso affermare
con sicurezza in
quale Città della
Germania siasi primieramente ricoverato appena
sortito dair Italia: nulla di meno potrei credere che la
risoluzione presa di
abbandonare la patria
sia nata nel
G. unicamente per
quel genio che
hanno tutti i
letterati per la
quiete e per
la tranquillità ;
e queste non poteva
sicuramente godere in
nessuna parte dell'
Italia, perchè era piena
di confusione e
di disordini cagionati
dalle passate guerre,
dalie innovazioni de*
governi, e per
la vigilanza e
timori in cui
viveva la Corte
di Roma, acciocché
non s' introducessero in
queste nostre parti
gli errori di
Lutero e le
oltramontane opinioni %
siccome ne parlano
tutte le Istorie
di quel secolo
• Essendo in
quel tempo le
Città della Rezia
libere dalle guerre
e da' stranieri
governi ^
godevano tanta pace
e sicurezza, che
sembravano divenute V asilo
di tutti i
più arditi genj
amanti di pensare
e di parlare
con libertà •
Così Guglielmo sedotto
dair esempio di
parecchi suoi amici
e conoscenti, forse
per questa unica
ragione ^ avrà
abbandonata la patria,
indirizzando i suoi
2« passi in
quelle parti . Tanto
più che rilevo aver
sempre conservata una
costante amicizia ed
una continuata corrispondenza con
Girolamo Zanchi sino
dalla sua prima
gioventù, e ritrovo
una lettera nelle
opere dello stesso
Zanchi allora dimorante
in Marpurgo, nella
quale parla del G. di
fresco arrivato in
Germania. Con questo
fondamento, posso stabilire,
che il primo
piede T abbia
posto in Argentina,
e colà fosse
raccomandato dal Zanchi
a Giovanni Garnero
pubblico Professore in
quella Università, mentre
nella detta lettera,
che quasi intiera
dal latino ho
tradotto, perchè rara, perchè
interessante per le
notizie che in essa
si leggono, e
perchè fa egualmente
onore al buon
animo dello Zanchi,
ed alle virtù
del G., si
legge: Ecco finalmente, carissimo
compare, che se
ne giunge presso
di voi il
tanto desiderato non
dirò mio, ma
piuttosto vostro Gulielmo G.,
personaggio veramente,
siccome in fatti
non dubito che lo
troverete, in materia
di religione purissimo ed
irreprensibile, e nello
stesso tempo nella
medica scienza eccellentissimo . Voi
ben vi rammentare
te, come allorché
avevo la bella
sorte di trovarmi
39 presso di
voi, non cessava
di commendarlo, e
che ve lo
raccomandava appunto per
coteste due sue
doti e singolari
virtù. Non dubito
punto, e sono
pieno di fiducia,
che tosto che
Y averete veduto,
concorrerete con tutti i
vostri voti ad
approvare gli encomj giustamente al
medesimo tributati. Egli
è a dire
il vero piuttosto
bruno e fosco
di colore e
di capelli ;
ma lo sperimenterete in
tutto, sì ne
suoi discorsi, che
nelle sue azioni
ed affari candidissimo,
onesto e sincero,
in guisa che
sovente a cagione
di tale troppo
suo sincero carattere incontra
Y odiosità e
la disapprovazione degli uomini
di corta penetrazione e di
poca esperienza del
mondo . Voi
stesso, Compare carissimo,
vi trovate in
un consimile ruolo
; e per
verità ciò non
ostante, conforme voi
medesimo avete imparato dall'
uso e dalla
esperienza, è necessario,
o per lo
meno giova più
nei giornalieri nostri
discorsi e conversazioni
saper dissimulare e serbare
le nostre giustificazioni a tempo
e luogo più
commodo e più
opportuno, non essendo
tutti gli uomini dotati
dello stesso candore,
della stessa onoratezza, e
della medesima probità
# Sarà dunque
vostrp impegno adesso, veneratissimo Compare, giacché avete per cosi
lungo tempo costì dimorato, e che avere conosciuto i costumi ed il naturale di
tatti assai meglio di questo medico, istruirlo e diriggerlo come debba condursi
cok tutti, conforme avete usato con esso meco, allorché giunsi in Argentina:
sostenere, difendere il di lui onore ed estimazione, e prestargli ogni buon
servigio, come si
conviene dall' amico air
amico, e dal
fratello al fratello .
Mi e nota
la vostra pietà,
so quale sia
il vostro amore
per i vostri
simili : conosco quale
sia il candore
dell' animo vostro:
so in fine,
ed ho sperimentato quanto sia
grande la vostra
beneficenza verso tutto il
mondo . E
però non dubito
che voi non
siate per giovare
ai G. assai
più di quello
eh' io non
saprei da voi
ricercare • Concedetemi
che io vi
rammemori, che mentre
si trovava ancora
in Francia Pietro
Vermilli, appena ricevette
le mie commendatizie
presso il Beza
a vostro favore,
( che effettivamente molto aggradì
quanto di voi
scrivevo in vostra
lode ), vi
fece ogni buon
accoglimento e buon trattamento,
e si consolo di
aver scoperto •>
che tutto ciò,
si era sparso
contro la vostra
persona % erano
4i prette calunnie;
e non dubito
che se non
vi hanno ancora
invitato -> presto
non siano per invitarvi,
perchè abbisognano di
soggetti di merito
simili a voi »
. Dopo
diverse altre materie, che
non appartengono a Gulielmo,
così termina questa
lettera » Averete nuove
del mio stato,
e di questa
Città dal nostro
G.. State sano, e
salutatemi anche la
Comare in nome ancora
della mia Conserte
. Trattenutosi poco tempo
il G. in
Argentina, T amico
suo Zanchi efficacemente lo raccomandò
a Teodoro Beza
^, che allora
dimorava in Basilea
> dove era
in grandissima riputazione,
e godeva un
sommo credito, e
con il quale
contrasse strettissima amicizia. Benché il
Beza fosse assai
cauto e circospetto
nelf elezione de*
suoi amici ;
siccome osserva il
Maizeaux Commentatore del
Critico ed Istorico
Dizionario di Pietro Bayle
all' articolo Beza
j ove riporta
le seguenti parole
di S. Francesco d«
Sales »: non
faceva ( parla de!
Beza ) passo
senza un cumulo
grande di precauzioni, e
senza pigliar cento
e mille misure
., non costumando
di praticar nessuno senza
esser sicuro d'
una inveterata conoscenza
; pure divenne
suo 42 intimo
confidente, come appare
dalle lettere del Beza
Latine trasportate in
lingua Italiana, che
qui credo cosa
necessaria di intieramente
riportare, essendo le
medesime rarissime, ed assai
difficili in queste
nostre parti a ritrovarsi
A G. FILOSOFO.
Mio caro G.
ho ricevuto la
vostra graditissima lettera unitamente
ai consaputi libri, dei
quali vi rendo
infinitissime grazie; ma averei
anche assai più
gradito, se nello
stesso tempo mi
aveste spedita queir opera
del nostro Celio,
» Dell Amplerà
del regno di
Dio » stampata nella Rezia
^ che vi
avevo ricercata %
e vi prego
che mi giunga
più speditamente vi sarà
possibile. L' importo della
medesima vi sarà contato
da questo nostro
Crispino . Circa il
libro di Pomponacio
non ho ancora
avuto tempo di
vederlo : subito
che Y averò
letto, vi scriverò
cori piena libertà
il mio sentimento
• Riguardo alla
connota confessione (35)
intanto io non
ve ne ho spedito la
copia, in quanto che
supponevo ne andassero
intorno da 4?
per tutto, perche
di questa mi
sono state da
diverse parti scritte
moltissime lettere Vi auguro
perfetta salute ottimo
mio Fratello .
(3 gli prenderanno
i Librari suoi
compagni di viaggio,
e con loro
comodo mi saranno
portati • Vedete
adesso in che
modo > e
con quanta libertà
mi prevalgo delle vostre grazie
: comandate ancor
voi scambievolmente tutto ciò
che io possa
fare per voi,
ed in vostro
nome, e vivete
sicuro ^ che
siete da me
sommamente stimato ed
amato » Appena
arrivato in Basilea ^
non tanto per le
raccomandazioni, quanto ptrr
la sua virtù
fu ricevuto Professore
di Medicina in quella
Città, in cui
esercitando pubblicamente T
arte sua fece
mostra del suo
perspicace talento e
della sua profonda dottrina, non
solo con le
erudite opere j che
diede alle stampe
^ ma eziandio
colle prodigiose cure
che fece . Onde in
brevissimo tempo in
tanta fama salì
^ che 4*
passato appena il
corso di circa
due anni venne
ricercato con grande
impegno dal!' Accademia
di Marpurgo a
coprire la Cattedra di
medicina, essendo mancato
di vita Corrado Kuvnero
: il che
diede giusto motivo
al Zanchi di
congratularsi con il
Voltejo, come si
è veduto neir
enunciata lettera, del fortunato
acquisto, che fatto
avevano i Marpurghesi
di un cosi
famoso Professore .
Non fece lunga
dimora il G.
in Marpurgo, quantunque
assai stimato ed amato
.> poiché appena
passato il corso
di un anno,
con universale dispiacere di
quella Città a
Basilea fece ritorno .
Quali fossero i
veri motivi, per
i quali così presto
abbandonasse una Città
nella quale era da
ogni sorta di
persone gradito amato
e ben veduto,
dove copriva una
luminosa Cattedra, e
godeva un abbondante provvisione, non
mi è sortito
di rinvenirli . Se
presto però fede a Nigidio,
il quale per
la particolare stima,
che professava alla
virtù ed alle
rare doti di
questo celebre Medico
Filosofo ne scrisse
in versi la
vita, sembra che
abbia abbandonata la
Città di Marpurgo,
o perchè l'aria troppo
rigida di quel
clima non fosse
coufacevolc al suo
temperamento, o 47
perchè avesse impressi
nell' animo i piaceri, i
comodi, ed i
vantaggi, che goduti
aveva in Basilea,
ove fece ritorno. Ecco i suoi
versi : Nobilis
hunc mìfit Catàs
Bafilea «, fed
anno » Vix
ferrici exacio rurfus
eo redìit :
Sire quodHaJJiaco non
pojjet vivere coe/o>
» Sive quod
in votis urbs
Bajìlea forct. Non
si deve però
credere, che dopo H
suo ristabilimento in
Basilea siasi Gulielmo
abbandonato all'ozio ed
alla quiete > e
che abbia trascurato
il lodevole metodo
de' suoi studj
e delle sue
fatiche, perchè anzi
le erudite Opere
date alla luce
in ciascun anno in
cui visse, sono
una prova evidente,
che tutto il
tempo nel quale
non era occupato
alla cura degli
infermi > o
pure ad istruire
dalla Cattedra i
suoi scolari, lo
impiegava a comporre
delle opere di varie
qualità, che versavano
sopra materie ed
argomenti utili e
necessarj air umanità,
per soddisfare al
vivo desiderio, che
sempre nudrì di recare giovamento
alle persone d' ogni
classe e d'
ogni età • Molte furono
le opere, che
fece sortire da^
pubblici torchj di
Basilea, e tra
que 48 ste
la prima a
me nota fu
quella, che ha
per titolo »
Prognostica natura Ila de terri~
porum tnutatìonè perpetua
ordine litterarum »
impressa da Jacopo
Pareo Y anno
., che con
qualche aggiunta nel
successivo anno fu parimenti
ristampata in Basilea
da Michele Episcopio,
indi in Zurigo dal
Gesnero nell'anno *
5 $• e
^a Gabriele Coterio
in Lione nell*
anno istesso, ma
più vicino a
noi da Giovanni
Vechelio in Francfor
Tanno . Questo
erudito utilissimo libro
con elegante e
giudiziosa lettera
dedicatoria primieramente lo
indirizzò alla Maestà
di Odoardo VI.
Re d' Inghilterra
rapito nello stesso
anno ai viventi
. G., che
bramava per questa
sua fatica un
Mecenate coronato e
potente, dedicò la
seconda edizione assai
più corretta ampliata
e perfezionata a
Massimiliano II. Re di
Boemia, del quale
onore fece prevenire quel
Monarca col mezzo
di Giuseppe Salando
Archiatró della Serenissima sua Sposa,
e da lungo
tempo intrinseco amico ed
affezionato suo concittadino,
come si rileva
dalla lettera dedicatoria de7 suoi Opuscoli,
dove scrive (41)»
Raccomando poi umilmente
alla vostra Maestà,
e tutta intieramente
consagro la 49
mia persona .
Quale io mi
sia^ se da
altri per la
troppa distanza dei
luoghi non vi
fosse noto *
lo potrete agevolmente
sapere da Giuseppe
Salando eccellente e
perspicace Medico della Reale
vostra Sposa, col
quale già da
lungo tempo ci
siamo famigliarmente trattati
» . Non
rincresca al lettore di
questa vita n
se interrompo 1'
ordine della Storia per
inserire alcune notizie
relative ad un
mio Compatriota di
sommo grido e
d' inestimabile merito
nell' arte medica y
e che fece
molto onore alla
Città in cui
nacque. Sortì i
suoi natali Giuseppe
Salando in Bergamo,
nella sua fresca
età studiò medicina
in Padova, conseguì
la laurea dottorale,
coprì nell'anno 1540,
in quella Università
la Cattedra della
seconda scuola di
medicina pratica straordinaria
nei giorni di
vacanza, che tre
anni innanzi era
stata occupata da
Guglielmo G. (42).
Dopo due annij succedette il
Salandi a Girolamo
Donzellino nella Cattedra della
seconda scuola di
medicina teorica straordinaria
: esercitò la
medicina in diversi luoghi
e Città della
Lombardia : indi passò
nella Stiria, in
cui per la
felicità delle sue
cure si rese
così celebre e rinomato,
che Ferdinando Impera4
tore verso gli
ultimi anni di
sua vita lo
fece venire alla
sua imperiai Corte
^ e fu
dichiarato Archiacro Palatino
sotto Massimiliano II. Passato
a miglior vita
Massimiliano, il Salando
si trasportò in
Milano, dove esercitò
per lungo corso
di tempo con
favorevole sorte la sua professione
• Finalmente carico
d' anni, ma
nello stesso tempo forte
e vigoroso, si
ritirò in Salò territorio Bresciano,
in cui stabilì
il suo soggiorno,
e dove mori
Y anno 1 6;
o. nella sorprendente
età di cento
e più anni,
Ebbe un figlio
professore anch' esso
di medicina chiamato
Ferdinando, il quale
asserisce, che il
padre suo diede
alle stampe in Milano
un volume di
consulti medici, ed
in Venezia un
erudito trattato »
De Panacea, feti
clixìr vitti? »,
e dicesi essere
lui stato il
primo, che un
cosi efficace rimedio ritrovasse
» Ritornando alle opere
di Gulitlmo stampate
in Basilea trovo che
con le stampe
Heripetrine diede alla
luce il libro
di Pomponacio »
De Incantino nìhus »
che in quel
secolo ed in
que* tempi faceva
grandissimo strepito, siccome
a nostri giorni è
s:guito delie opere
di Voltaire e
di Rousseau appresso
di coloro, che
non ama 5*
no le letture
troppo serie e
profonde, e lo
dedicò a Federico
Conte Palatino suo
protettore, siccome aveva
fatto dieci anni
prima dell' opera
stessa con il
Principe Ottone Enrico Elettore
Palatino, benché accresciuta e
decorata la prima
di molte note,
ed osservazioni eruditissime; per
le quali si
rileva dalla dedicatoria premessa
alla seconda edizione,
che venne il G.
onorato di obbliganti
ringraziamenti fatti con
graziosa lettera scrittagli
di proprio pugno da
quel magnanimo Elettore,
dove dice »
La parte di
questo libro, che tratta
delle cause degli
effetti naturali, o
sia degli Incantesimi, fatta
da me stampare,
sono già più
di dieci anni,
T avevo dedicata
e spedita air
Illustrissimo Principe Ottone
Enrico di felice
memoria, e sua
Altezza non isdegnò
di ringraziarmi con lettere di
suo proprio pugno,
e di assicurarmi
di esserne memore
in avvenire, lo
che potrà seguire
nell' altra vita,
poiché poco dopo
per grave infermità
cessò di vivere ».
L'altra vantaggiosissima fatica {
che nel tempo
stesso sorti da
torchj di Vindelino
Richelio in Argentina, fu
quella, che ha
per titolo »
Regimen omnium iter
agentiurn » consagrata
ad Ege 52
nolfo Barone, e
Signore di Bapolstein
Hochen Ack e Gerolzeck presso
Vassichin # Scelse
quesxo Principe per
suo Mecenate, essendo
originario anch' esso
d' Italia, e
sortitone per i
medesimi motivi di
Gulielmo, benché in
tempi assai più
rimoti, leggendosi nella
sopracitata Prefazione .
Finalmente lo splendore
della vostra nobiltà, che
non va disgiunto
da una sincera
pietà e da
un rispettabile dominio,
è penetrato sino
nelle mie stanze
; ed essendo
ancor' io Italiano,
ho potuto agevolmente avere contezza
anche della forza
dell' antichissima Italiana
vostra origine ;
e se fosse
lecito paragonare le
picciole cose con
le grandi, vedo
che nei siamo
stati costretti ad
abbandonare le proprie
abitazioni per motivi
non affatto dissimili .,
benché in tempi assai
differenti . Faccia però
1' onnipotente e
giustissimo Dio per
la maggiore sua
gloria, se così
piacesse anche a
sua Maestà, che
un giorno si
possano rivedere le nostre
patrie. Fu stampato
ancora in Basilea
da Lodovico Lucio
il dottissimo suo
trattato, che intitolò
Po jlis Dcjcripuo
i Caujja y
Signa omnigena *
et Vrocjervaùo », il quale
venne dedicato al
Nobile,, e Magnifico
Ascanio Marzo Ani
5? basciatore Cesareo
presso gli Svizzeri,
amicissimo sino da lungo
tempo di Gulielmo.
Devo altresì alle
sopracitate Opere aggiungere un
libro sopra un
importantissimo argomento, quale
è quello della
sanità dei Letterati,
con questo frontispizio
» De hitte
rato rum, et
eorum qui Magiftratum
gcrunt confervanda valetudine.
Questi ebbe così
fortunato incontro, che
venne tradotto da Tommaso
Neuton nella lingua
Inglese, e fatto
stampare in Londra
Tanno. Effettivamente il
Grataioli ha trattato un
tale argomento del
tutto nuovo sino
a sue i
tempi con tanta chiarezza e
giusto criterio, che
non la cede
né al Ramassini,
né al Pujati,
né al Tissot;
i quali hanno recentemente
versato sopra una
così rilevante materia .
Dal Catalogo dell*
altre sue opere,
che per minor
noja del lettore
riporterò terminata che
sarà interamente la presente
vita, si vedrà
essere queste in sì
copioso numero, che
recherà sor^ presa
a chiunque in
quale maniera le
abbia potute scrivere, massimamente
riflettendo che questo celebre
Medico dalla sua
giovanile età d'
anni ventiuno sino
all' ultimo giorno di
sua vita, si
trovò sempre nel
gravissimo impegno di
parlare daila, Cattedra
con incomodissima fatica,
che reca irreparabile danno
al petto ed
ai polmoni, ed
a tutto questo
aggiungendo i disagi
dei lunghi e
disastrosi viaggi da
esso fatti, la mutazione
del clima, la
passione di dover vivere
lontano dagli amici,
dai congiunti, e
dalla patria, e
sopra ogni altra
cosa le continuate
esperienze chimiche, alle
quali era veementemente
inclinato, secondo che me
lo rappresenta il
Lindenio, (46*) accusandolo
di essere proclive air
Alchimia » In
Alchimia proclivis »,
si conoscerà che
questo infaticabile Filosofo non
poteva godere lunga
vita . In
fatti, benché avesse
sortito un sano
e robusto temperamento, e
sempre fosse vissuto
assai moderato, lontano
dalle brighe politiche, e
dai dissidj scolastici
a segno che
in que' torbidi
tempi di controversie
ripieni egli non impugnò
giammai la penna
contro alcuno, né
si trova eh'
altri abbia scritto
contro di lui e che
anzi moltissimi Apologisti
si ritrovano, patrocinatori
de' suoi scritti,
e delle sue
opinioni : ad
ogni modo contratte
alcune infermità, alle
quali vanno soggette
le persone di
lettere, conforme egli stesso
aveva istrutta l'umanità)
dovette soddisfare dopo
una penosa inalar
ss tia di
molti mesi all'
ultimo tributo della
natura nel maggior
v'gore de' suoi
anni * e nel
tempo appunto della
sua più lusinghiera fortuna nell'
ancor fresca età
d' anni cinquantadue, quattro
mesi, e ventitré giorni, avendo
cessato di vivere
neli' anno 15
£8. il giorno
decrmosesto di Aprile. Da ogni classe ed ordine di persone, non solo
della città di Basilea e di tutta la Germania, ma ovunque era giunta la fama
della virtù e della dottrina di Gualielmo, fu compianta la sua morte, poiché
avevano perduto uno de'più esperti medici, ed uno de’più riputati FILOSOFI di quel secolo. Dove si
tratta degli uomini di singolare virtù e di non ordinaria dottrina tutto deve
interessare: non ommetterò per ciò di far osservare, che G. era di una figura
assai bene proporzionata, ed aveva la cute e la barba di colore bruno, per
quanto ha lasciato scritto Zanchi nella sopracitata lettera a Garnero.
Argomento incontrastabile della celebrità, che si era acquistata, si è il
ritatto, che trovasi nella biblioteca calcografica di Boissard degli uomini
illustri per virtù ed erudizione di
tutta l’Europa starapata iti Francfort. a spese di Ammonio, inciso in rame da
Furehio, sotto del quale ritratto si leggono i due seguenti latini versi: i'ìG.V
atriaw linquens, acque Itala nira,
Germano^ inter clami t arte viros. Da questa calcografica biblioteca
appunto ho tratta l’effigie di Gulielmo, che ho posto nel frontespizio di
questa vita. Sopra tutti gli altri però che
maggiormente si addolorassero per questa perdita fu f inconsolabile sua
fedele sposa Barbara Micosi, che dopo di avere continuamente seguite le varie
vicende del marito, abbandonando amici, congiunti, patria, e persino la sua
dote istessa, intraprendendo lunghi e disastrosi viaggi., dovette dell'amato
sposo restarne priva. Cotanto però fu sensibile ad una cosi improvvisa
disgrazia, la quale era senza alcun
dubbio la maggiore che le potesse accadere, che con raro esempio di costante
benevolenza coniugale questa grata e virtuosa moglie per dare anche dopo morte
al marito un durevole testimonio dell'amore, che gli aveva sempre conservato, fece chiudere le
fredde sue ceneri in un avello di marmo, sopra del quale fece scolpire la
seguente iscrizione. G. BERGOMENSI ARTIUM AC MEDICINA DOCTORI MEDICIQUE FILIO IN
MEDICORUM BASILIENSIUM COLLEGIUM COOPTATO OB RELIGIONEM EXUI4 CONIUGI CARISSIMO
BARBARA NICOSIA F. C, OBIIT j£TATIS SU E Non fu soltanto G. onorato e stimato
finche visse, ma ancora dopo che più non si trovava tra i viventi ha
costantemente e senza alcuna inteìruzzione
goduta la stima, e si è tenuto in altissimo pregio da tutto il mondo dotto.
Nessun medico di grido, nessuno bibliografo, e nessuno scrittore di storia letteraria
di qualunque nazione e religione ha tralasciato di fargli giustissimi elogi e
di profondergli infiniti encomj sino a questi ultimi secoli. Nigidio il Seniore
Iia composto un latino poema per decantare la virtù e la dottrina di
questo filosofo. Boissard lo chiama filosofo
eccellentissimo e sagacissimo. L’erudito Signore de Thou l'appella famoso medico
di Bergamo. Teissier lo caratterizza per un uomo di una pietà e di una dottrina
straordinaria. Moreri gli dà il titolo di filosofo degno di celebrità. Il
Signor d'Eloy scrive che fosse uno de'più celebri medici del suo secolo.
Papadopoli gli da l'elogio, qual soggetto nobile, di profondissima dottrina, e che ha decorata
Padova. I dotti autori del dizionario storico portatile lo nominano medico
valoroso. Il nostro Padre Calvi benemerito raccoglitore della civile e
letteraria storia di Bergamo gli dà i gloriosi epiteti di profondità di sapere
e di sublimità di dottrina, di lume della medicina, e di virtù e di azioni
superiori ?d ogni lode. Tributarono simili meritati panegirici a Gulielmo G., dovunque ebbero l'opportunità di
rammentarlo nelle loro opere anche a
dottissimi Michele Gulielmo
Linghelscheim. Abramo Bucholcer;
Elia Rusnero {do);
Ermanno Coniugio (£1)5
Pasquale Gallo; Paolo
Frehero ; Giovan
Antonio Vander Linden ;
Giorgio Abramo Mercklino (6 f)
; GiovanfranCesco Niceron;
Ermanno Boerhave; Alberto
Haller (6"8) ;
GiovanJacopo Mangett; Antonio
Kiccoboni (70): Filippo
Tomasini; Jacopo Facciolati;
1/ autore delle Amenità
Letterarie; Il celebratissimo Andrea
Pasta; ed innumerabili
altri dotti scrittori,
che fatica troppo
lunga sarebbe il
yoìerli qui tutti
riportare . Mi
sia nulladi meno
concesso di chiudere
la numerazione di tanti
valorosi Letterati, e
nello stesso tempo terminare
la vita di Gulielmo
G., col riferire
quanto in lode
del medesimo hanno
lasciato scritto il
veramente erudito e sommo
critico Pietro Bayle,
ed il dotto
Signor Maizeaux suo
illustratore . Il
primo lo chiama
sa-* pientissimo Medicò,
ed eccellentissimo nella scienza
fisonomica ; il
secondo chiude il
Commento all' articolo
» Gratarolus n
? con questo
onorifico e meritato
encomio, il quale
acciocché nulla perda
della forza 6o
ed energia io
trascriverò nella lingua
originale, in cui
fu scritto dall'
autore medesimo • »
On ne lui
fcauroit refusar l"
èloge d! avoir cu
à coeur le
bien public ^
puisqà il à
cherchè non feulement
les remedes^ qui
peuvent jervir aux
Magifrats, mais aujjl
ceux qui font
propres a toutes
forte s de
vojageurs . Il
ri a pas
oubliè les Hommes
dy etude, il
a tachè de
leur fournir des
fecours et pour
la confervation de
la fantè, et
pour la confervation,
et V angine ntation de
la me moire.
Un homme qui
leur fourniroit la
deffus ce, de
quoi ils ont
befoin, mèriteroit les
honneurs divins dans
la republìque des
lettres . La mèmoire
y ejl prefquc
auffi nèceffaire que
la vie »«,
€i CATALOGO DELLE OPERE DI G. CON VARIE ANNOTAZIONI. Non avendo potuto aver ne vedere
se non una
piccola parte dei saggi di questo dotto filosofo ho dovuto formare il
presente catalogo sopra altri cataloghi e notizie de’suoi scritti lasciati dagli
Scrittori della sua
vita, i quali
per essere di
differenti nazioni, di
religione e di
professione diversa, e
perchè scrissero in
tempi assai distanti
V uno dair
altro, t loro
Cataloghi si trovano
mancanti, alterati, confusi,
senza data né
di luogo ^
nò di stampatore,
e quello che
è peggio pieni di
difetti e di
errori. Sono perciò
assai lontano dal
lusingarmi, che quello
il quale io qui
sottopongo sotto ai
riflessi deir erudito
leggitore, sia riuscito
compito e perfetto,
sebbene non abbia
mancato né di
fatica } ne di
diligenza; ma tutti
i miei sforzi
sono stati infruttuosi ritrovandomi in
una Città quasi
dei tutto sfornita
di 62 antiche
opere oltramontane .
Prevenuto dalle riferite
circostanze chiunque leggerà
questo Catalogo siccome
era necessario, aggiungerò
al medesimo alcune
note, che credo
indispensabili, e lo
dividerò in ire
Classi . In
primo luogo le
opere dal Grata roli
composte, in secondo
luogo le Traduzioni da
esso fatte, e
per ultimo le
altrui fatiche, che in
diversi tempi con sue note
ed illustrazioni fece
stampare . I. »
Prognojlica naturalia de
temporum omnimoda mtuatione,
perpetua et cerùjjìma
Jigna rerum, quoe
in Aere, Terra,
aia Aqua funt,
aut Jìunt, krevìter,
et dare, ordine que
alphabetico de J cripta per
Gulielmum Gratarohun Medicum
P/iy/icum y cuni
Addinone undcam fìgnorum
Motus Terra:, ex
Antonio Mi^aldo . Basilea?
apud Jacobum Pareum apud
Nicolaum Episcopium Tiguri
Argentorati apud Iacobum Ofemianum
. V opera
indicata, con le
altre due »
De Memoria reparanda
t e »
De Prjediclione morum
» > si
trovano unite tiell*
accennata edizione di
Argentina alli Trattati di
Chiromanzia, e di
Astrologia naturale di Giovanni
Indagine, o sia
Giovali ni Hagen
dotto Certosino del
decimoquinto secolo ? ed al libro
» De Sculptura
» di Pompeo
Gauricio Matematico Napolitano .
Perchè il G.
non venga tacciato di
superstizione o di
puerile credulità a
motivo delle cose
da esso scritte
parlando dei Pronostici naturali
e della Predizione dei costumi,
credo cosa necessaria
fedelmente trascrivere la
Protesta, o sia
Avvertimento al Lettore,
che si trova
nella edizione di Argentina
Devi poi »
avvertire, che generalmente
parlando le »
cose dette si
verificano nella gente
gros» solana y
vale a dire
di coloro, i
quali » non
sono rigenerati dallo
spirito e dalla
» grazia di
Dio, perchè di
questi è vero
» ciò che
dicesi della depravata
natura in »
Adamo, che » Naturce fequitur
femina quifque fucc » :
Ma air opposto
i rigenerati »
dallo Spirito Santo
mortificano la pro«
pria carne con
i suoi vizj,
e con le
» sue concupiscenze, sebbene
la concu» piscenza
ed il fomite
del peccato vi
re» stino sempre,
e da moltissimi,
o Dio, »
anche pur troppo
si riducano alla
pra» tica », A gloria
di Gulielmo riporterò
anche la sua
opinione sopra la
causa del flusso
e riflusso del
mare r avendo
preco 6A Aizzato
più di due
secoli prima quasi
intieramente il sistema del
rinomatissimo Cavaliere
Isacco Neuton circa
lo stesso fenomeno :
opinione approvata ed
insegnata da quasi
tutti i Filosofi
posteriori a quel
subitine Geometra »
: Il moto
periodico delia Luna ha
grande predominio sopra
li corpi fluidi,
quindi fa che
il mare s
innalzi e si abbassi
^ singolarmente per
una particolare di
lei influenza, e
ne segua il
flusso, ed il
riflusso secondo i
differenti aspetti relativi
alla medesima, e
secondo che questi
accadono nella maggiore
-> o minore
forza della sua
influenza : Accade
ciò perchè la
Luna ha bensì
certa influenza coir Oceano,
ma non già
coi laghi e coi
mari di poco
estesa superficie .
Per la qual
cosa mentre quel
Pianeta si muove
dall' Oriente verso
il mezzo giorno,
fa che la
superficie del mare
s' innalzi, e
che conseguentemente ne
segua il riflusso
medesimo . Quando
poi si muove
dal mezzo giorno
verso Y occidente
fa che il
mare si abbassi,
e però ne
nasce il riflusso .
Similmente allorché la
Luna si muove
dall' occidente verso
V angolo della
notte, o sia
da settentrione verso
V oi icnte,
ne segue nuovamente
il riflusso r>
II. » Guliclmi
G. Bergomatis Artium
> et Mediani?
Docloris de Memoria reparanda, augenda
> fervandaque, Liber
omnimoda Remedia >
et Pnzceptiones continens
cujufivis facultans jhuliofis
apprime utilis «,
immo maxime necejjlvius,
Tiguri ? apud
Andream Gesneruni .,
Basilea apud Nicolaum
Episcopium . in
8., Lugduni, apud
Gabrielem Coterium Francofurti
apud Joannem Vichelium
apud Viduam Petri
Fischeri, Argentorati Nel
frontespizio dell'accennata
edizione di Argentina
si trovano queste
parole : Omnia
ab Anafore correcla P
ancia finis >
6' ultimo edita «.
La stessa Opera
» De Memoria
reparanda » è stata
stampata unitamente all'
altro libro del G. »
De confervanda Valetudine da
Enrico Rantzovio .
Ili De Prcediclione
morum ^ naturaque
hominum, cum ex
infipeclione par* tìum
corporis > tutu
aids modis «>
Anelare Gulielmo G.
Medico, et Philojopho
B ergo mate
• Basilea ., Tiguri apud
Andream Gesnerum .
., Lugduni apud
Gabrielem Coterium, &*
Argentorati » Li
tre accennati libri
S De memoria reparanda: De
Temporum omnimoda mutatìone
Prognofìica: De Prce*
diclione morum »
furono dati alla
luce per la
prima vo?ta dal G. in
Basilea, e dedicati
ad Edoardo VI.
Re d'Inghilterra; siccome
pure la seconda
edizione di tali
Opuscoli fatta nella
medesima Città fu consagrata
a Massimiliano II. Re di
Boemia lutto questo
evidentemente si rileva
dal primo periodo
della Dedicatoria medesima
al secondo dei
commendati Sovrani, la quale
cosi incomincia »
Nello scorso anno,
ottimo Re, per
le pressanti istanze
degli amici e
delio stampatore > sono
stato costretto a
dare alle stampe
assai più presto
di quello che
averei desiderato tre
miei libretti intorno
ai quali erano
già molti mesi
che affaticava, e
perchè essendo assente,
molti errori corsero nello
stamparli, però riveduta
di nuovo queir
opera, non solo
ne corressi i
difetti, ma in
oltre impiegando ogni
possibile diligenza ed
applicazione, e prestandovi,
come si suol
dire, V ultima
mano, F ho
accresciuta di parecchie
belle aggiunte a
segno, che la
presente edizione è superiore
alla prima siccome
lo è un parto
di nove mesi
a quello di
soli sette, *7
o pure Toro
fino ali* argento
• Avevo dedicata la
prima ad Edoardo
VI. Re d' Inghilterra, il
quale innanzi anche
di averne notizia, non che di
averla potuta vedere, fu
costretto infelicemente a
cambiare la vita
con la morte
. Tale Dedicatoria
fu scritta in- Basilea
nel mese di
Febbrajo deiranno. Nondimeno
non posso accertare
in quale città
siano stati stampati li
sopradetti Opuscoli la
prima volta che
dal G. furono
indirizzati alli due
già nominati Sovrani .
» Pejlis Defcrìptio,
Caujjoe > Signu
omnigena > et
Proefervatio . Anelare
Guliclmo G. Medico.
Basilea? ; per
Ludovicum Lucium Anno
Salutis Humana? , Mense
Augusto; Lugduni, apud
Gabrielem Coterium .
• La prima
edizione di tale
veramente aureo Trattato
fu dedicata ad
Ascanio Marzo Ambasciatore Cesareo presso
i sette Cantoni
della Svizzera. Personaggio
di molte cognizioni
e virtù fornito
ed amico di
Gulielmo ; e
questi appunto furono
i motivi, che
lo spinsero a
sceglierlo per Mecenate
con scrivergli :
» La vostra
conosciuta virtù, e
la non volgare
vostra mansuetudine, non
meno che il
vostro amore £8
per tutte le
sane dottrine, e
per la pietà,
mi hanno costretto
a dedicarvi quest'
opera » . Perchè
si veda quanto
amava le massime
di pietà e
di religione conviene
notare, che dopo
di aver egli
prescritti neir indicata
sua opera li
rimedj fisici contro
la Peste, raccomanda
con fervore li
spirituali con queste
parole Ma per brevemente
indicare li remedj
più forti, più
giovevoli e generali,
prima di tutto
allontanate da voi la paura
della morte, ma non già il santo timore
di Dio
. Non perciò
doverete amare il
pericolo, né incorrervi temerariamente, se
non sarete sforzati o dalla carità cristiana del prossimo,
o dalla gloria
di nostro Signore Gesù
Cristo > il
quale devesi anteporre
a tutte le
cose De Litteratorum
> et eorurn
qui Magijlratibus funguntur
confermando, proefervandaque valetudine,
illorum prcecipue qui
oetate confiftentìoe 0
vel non lunge
ab ca ab funt
> curn ex
probatioribus Auctoribus 3 tum ex
ratione, et fideli
praxi > et
experientìa concinnatum . Basilea
apud Henricum Petri
. in 8.,
Francofurti apud Ioanncm Vchel
; Ibidem apud
Nicolaum Hofmannum La stessa
opera è stata
tradotta nella lingua
Inglese da Tommaso
Neuton P e
stampata in Londra
Tanno Questa dottissima opera
è riferita dal
rinomatissimo Medico Ermanno
Roerhave nel suo
» Methodus (ludii
Medicorum De Confervanda
valetudine . Francofurti
apud Henricum Randzov
. Questa opera
fu stampata unitamente
all' ultima registrata
dallo stesso Randzov
• » Re
girne n omnium
iter agentium .
Basilea? apud Hemicum
Petri Argentorati per
Vendelinum Rihelium 1
s6%. Colonia? apud
Petrum Hofmannum V
edizione fatta di
tale utilissima opera in
Argentina fu dedicata
dal G. alla
vera pietà, e
nobiltà del chiarissimo Egenolfo
Barone, e Signore in
Rapolstein Hochen Ack
e Gerolzeck in
Vassichin » 0
e nel frontispizio
della medesima vi si leggono
i seguenti latini versi . Ut
peregrìnands vita ejl
jubjecla procellis Aeris,
et varìis undique
prejja malis ;
No/ira procelle* fi vario
jìc turbine mundi
Volpi tur incertis
anxia vita rnodis. 7°
Hoc bene pericolo
Jervans prò tempore
litro Tutìor utque
voles carpe Vìator
iter. VIII# De
Laudibuj Medicina 0
ejus origine >
progrejju ? militate
. Argentorati De Pefle
Thefes. Basilea Apud Henricum
Petri. De Vini
natura, Artificio, et
Ufu, deque omni
re potabili .
Basilea, Apud Henricum
Petri Equorum P et
Domejlicorum quorundam Ànimalium
remedia $ senza
data in tutti
i Cataloghi da
me veduti •
XII. Lapidis Philojbphici
nomenda~ turoe .
Basilea La medesima opera
trovasi inserita nel
Volume in foglio
stampato in Colonia
Tanno . da Pietro
Orstio, con il
titolo Veroe Alchimia?
Scriptores De janitate menda
. Argentorati Trovo
quest’opera citata dal
Mercklino nel suo
Lindenius renovatus. De Thermis
Rhoctias, et Vallis
Tranjc/ierìi Agri Bergomenjis
. Si trova
stampata tale opera
per la prima
volta da Tommaso
Giunti in Venezia
Tanno nella sua copiosa
raccolta di tutti
quelli y fi
che sino alla
detta epoca avevano
scritto sopra i
Bagni, ed
è riportata con
questo titolo Guìlhdmus
G. ad Corradum
Gefnerum Medicum Tis'urimim
de Thermìs Jxhoetìcìs Tutti
o quelli i
quali a mia
cognizione hanno parlato di
questo trattato di
Guliclmo, sia neir
occasione di dare
il Catalogo delle
sue opere, o
• sia per
semplice erudizione, e
perfino il nostro
Padre Donato Calvi,
non hanno citata
nessun' altra edizione
della stessa opera,
che quella dei
Giunti % e
tutti ne fecero
sempre autore il G., senza
mai mettere in
dubbio questo punto
d' Istoria letteraria . Ciò
nondimeno non deve
recare maraviglia, particolarmente delli scrittori
oltramontani, e specialmente di quelli
del decimosesto secolo
: ma fa
bensì stupore, che
siasi continuato ad
attribuire al G.
un simile trattato,
dopo la nitida
e ben corretta
edizione fatta dal valoroso
Cornino Ventura X
anno . in
4. di tutti
i dotti Medici
Bergamaschi, che avevano
scritto sopra i
Bagni di Tres^ore
; poiché apparisce,
ed è anche
evidentemente provato da
quel diligente stampatore,
e dagli eruditi
e perspicaci fratelli
Licini suoi direttori,
che il trattato,
che porta quel
titolo, appartiene sicuramente a
Bartolommeo Albani Medico
Collegiato della Città
di Bergamo., scritto
dal medesimo sino
dall'anno ., vale
a dire quasi
un secolo prima
della indicata edizione
Veneta di Tommaso
Giunti • Di fatti T
Opuscolo dell' Albani
termina precisamente con questa
data : anno
mìllejìmo quadrigentefimo y
et feptuagefimo de
menje Julii die
vìge fimo Ceptimo .
Per
ExeelL Artìum 0
et Me dicince
Dociorcm Bartholomceum de
Albano. Si fa
ancora assai ' più
manifesta tale verità
da quanto afferma
il Cornino alla
decimaquarta pagina della sua
edizione degli Scrittori
Bergamaschi circa li Bagni
Trescoriani, nella annotazione
seguente posta in
fine dell* Qpuscolo
del sopracitato Bartolommeo
Albani per maggiore
sua giustificazione »
Da un antichissimo
esemplare manoscritto ritrovato
nella libreria de"
Padri Domenicani, il
quale si vede
eziandio trasportato nella
lingua Italiana, sotto
il nome dello
stesso Bartolommeo Albani,
nelieCase di Bartolommeo Colleoni, lasciato
al Luogo de
Ha Pietà, conservato sino
a questo tempo
». Non si
deve adunque più
dubitare, che il
vero Autore di quel
trattato non sia Albani,
mentre anche il
Padre Calvi così ha
lasciato scritto nella
sua Scena Letteraria Bartolommeo Albano
della Medicina celebre
Professore fiorì verso
la metà del
passato secolo ->
e fu il
primo y che
scrivesse sopra i nostri
Bagni di Trescore
j leggendosi le
sue degne fatiche
con quelle d5
altri Autori nel
libro » De
Balneis Tranfchcrii Oppiai
Bergomatis . Bergomi .
» Questa è
T accennata edizione di
Cornino Ventura. Si
noti in questo luogo,
che lo stesso Bibliografo
indicando l'opera del G.
(85) sopra io
stesso argomento, dopo
di avere scritto
De Thermìs Rhoeticis,
et Vallìs Tranfcherii
agri ìSergomatis »
aggiunge » Questo
si trova nell'
opeia Veneta De
Balneis » »
Adunque al Calvi
era nota tanto
V edizione dei Giunti,
quanto quella del
Cornino : dopo tutto
questo, in quale
maniera si potrà difendere
il G. dalla
taccia di plagiario y e di
un plagio domestico ?
Ma niente dì
più facile, Ricercato
Gulielmo da Corrado
Gesnero suo grande
amico, che si
chiamava il Plinio
dell* Alemagna, perchè
gli facesse avere
delle notizie circa le
Terme, o Bagni
della Rezia, e
della Provincia Bergamasca,
egli per fare cosa
grata ad un
amico di tanta
rinomanza, prese in
mano il manoscritto
dell' Albani, vi
aggiunse qualche cosa
del proprio, ed
ancora molte cose
di quelle che
aveva scritto sopra
i Bagni di
Trescore il dotto
Medico Lodovico Zimalia,
levando alcune cose che
gli sembravano superflue,
o inesatte, con
purgato stile la^inò,
e con veri
termini tecnici rifuse
il manoscritto dell'
Albani, e cosi
riformato ed ordinato
lo spedì all'
amico, unitamente ad una
erudita lettera relativa
alle Terme della Rezia
: e siccome
in quei giorni
il Gesnero si
trovava in Venezia
per descrivere i Pesci,
ed i Crostacei
del mare Adriatico,
averà consegnato questo
scritto a Tommaso
Giunti s che
in quel tempo era occupato
a pubblicare la sua grande
edizione di tutti
li Scrittori sopra
i Bagni e
le aque Termali
n siccome ho
già di sopra notato
. Indubitata cosa
ella è che
il G. chiude
il suo scritto
con queste parole
Ho raccolte brevemente,
e con chiarezza
tutte le soprascritte
cose a benefizio,
e sollievo del
mio prossimo^ io
Gulielmo G. Dottore
di Medicina :
frutto tutto questo
delle mie oculari
osservazioni, e della
lettura di parecchi
amichi Medici della
mia patria Appunto questa
sua protesta dalle
persone oneste e
giudiziose deve essere
considerata una confessione
del fatto, ed
ancora del diritto che
aveva acquistato di
appropriarsi quello scritto
; tanto più
che il G.
nello spedirlo al
Gesnero, lo previene
con la seguente
onorata e sincera
dichiarazione (87):» Vi spedisco
l'intiera Descrizione delie Terme
Bergamasche, le quali
non sono lontane
dalla Rezia più
di due giornate di
cammino • Di
queste niente sino
al presente trovasi
pubblicato con i
toreh) ; onde
mi giova sperare,
che diverranno celebri anche
in avvenire, siccome
lo furono in
passato, dopo che
Y occulta, e quasi
intieramente ignorata loro
virtù sarà fatta nota
con le stampe
; purché non
vi rincresca accoppiare
le erudizioni Italiane
alle Tedesche » .
Poteva qui esprimersi Gulielmo con
più candida, ed
onesta sincerità ? Confessa
di essere semplice
raccoglitore d^gli altrui
scritti, mentre dice
» Ho raccolto
dagli scritti di
altri antichi Medici
Bergamaschi » Non
chiama sua quella
fatica, ma dice
semplicemente Vi spedisco T
intiera descrizione delle
Terme Bergamasche delle quali niente sin
ad ora è
stato pubblicato Non si
deve dunque condannare
di plagiario il G. $
e certamente non
conviene, che egli
abbia avuto rimorso
di avere commesso una
cosi vile, e
detestabile impostura, mentre
essendo sopravissuto quasi
quindici anni dopo
l'edizione Veneta di
queir opuscolo, sicuramente
non averebbe mancato
di giustificarsi presso
il mondo erudito
circa il preteso plagiato
. Ecco tutto
quello, si può
dire in difesa
di questo Medico
Filosofo sopra tale inssusistente
accusa, né altro
posso aggiungere «>
se non che
far noto al
mio Leggitore, che
per quante diligenze
abbia usate «>
non mi è
giammai riuscito di
ritrovare i due
citati manoscritti, e
che in oltre
il Padre Donato
Calvi, a cui
era nota Y
edizione di Cornino Ventura, non ha nella sua Scena Letteraria
dimostrato di sospettare dell' onestà
letteraria di Gulielmo
G. . Prima di
terminare il presente
articolo dei Bagni
di Trescore, riferirò
il zelante umanissimo Voto, con
il quale Gulielmo
chiude la sua opera
stampata dal Giunti
Faccia Iddio, che
la Bergamasca Repubblica abbia diligente
cura di rimettere
nel primiero loro
stato questi saluberrimi 77
Bagni, che certamente
lo può, e
lo deve fare »
. Faccio io
pure fervidi e sinceri voti, perchè
abbia effetto tutto
ciò che caldamente
raccomanda il G.
; e per
maggiormente incoraggire la
mia Città, ed
i miei Cittadini
a procurare alla patria
un vantaggio così
rimarcabile, vivamente li
supplico a leggere
T erudita ed
elegante latina lettera
di Lodovico Zimalia,
premessa al suo
dottissimo Trattato dei
Bagni di Trescore,
dedicato al suo
magnanimo Mecenate Bartolommeo
Colleoni Capitano Generale
degli Eserciti della
Serenissima Veneta
Repubblica, nella quale
prova con una
evidenza che sorprende,
e che deve
intenerire chiunque senta
amore per la
sua patria, che
quello famosissimo Eroe
deve senza alcun
dubbio essere ugualmente
ammirato, e commendato sì
per le sue
azioni militari, che
per le sue
virtù politiche, a
benefizio «> ed
eterno vantaggio, e
decoro di tutta
la sua amata
nazione Bergamasca .
De Notis Antichrìfli,
senza data, senza luogo,
e senza nome
dello stampatore . Tuttavia
nominerò ancor io
tra le opere
di Gulielmo un
libro con tale
titolo, ritrovandolo registrato
dal Calvi, e
dal Papadopoli suo
copiatore, ma non
dal Frehero, non
dal Bayle, non
dai Maizeaux suo
illustratore, non dal
Merci: lino, non dall'
Eloy, mentre tutti
questi si suppone avessero
molto interesse di
far autore di
un libro Anticattolico
Romano un erudito
e dotto Italiano
siccome era da tutti
considerato il G..
Non però verun
altro Letterato ha
posto nel Catalogo delle
sue opere V
accennato libro • D'
altronde è cosa
più che certa,
che si può
scrivere dei caratteri
dell' Anticristo anche
dalla più religiosa
e zelante penna cattolica
: ed è
certo di più,
che il Calvi,
o non averebbe
registrato un così
fatto libro, o
non averebbe mancato di
scriverne qualche parola
in detestazione del medesimo .
Ma di più
ancora quanto al Papadopoli,
probabilmente questi non
averà nemmeno veduta
quest* opera, essendosi
intieramente riportato al
Padre Calvi, siccome
egli stesso scrive
nella sua storia
dell' Università di
Padova parlando di
Gulielmo G. .
Avendo in oltre
riportati i titoli
delle altre sue
opere senza data,
alterati, e confasinotabilmente, non sarebbe
stato egli il
primo a giudicare
di un libro mai veduto, nò letto
• A me
stesso è accaduta
la medesima sorte y
non solo di
poterlo trovare >
ma neppure di
averne fondata contezza,
per quante ricerche
abbia usate non
sola in Italia,
ma altresì nella
Germania e nell*
Olanda . Sostengo
finalmente, che se
quest* opera esiste,
che io non
credo, o se
fu composta da
Gulielmo G. -,
non doveva essere
tanto malvagia e
perversa, quanto alcuni
senza ragione sospettano
; mentre che
tutte le opere
del G. è
vero che sono
poste nell* indice
de' Libri proibiti
? ma con
la semplice cautela
; Quandiu emendata
non prodieri nt
(92) « Dal
che si è
da presumere che
se questo fosse stato
un libro veramente
Eterodosso, Santa Romana
Chiesa lo avrebbe
posto nella classe
dei libri empj
e malvagi di prima
classe. Confilium de Proe fervanone a
Vcnenis . Gulielmo
G. Aucìore .
Hamburgi Ecco registrate
tutte quelle opere
che mi è
riuscito di raccogliere,
le quali furono composte da
questo dottissimo Medico
e Filosofo :
ora passerò alla
seconda classe delle
opere tradotte e
fatte stampare dal
medesimo . 8o J.
Joannis Braccfchi de
Alchimia, cum propofìtionibus. Idem
argume rirum compendiofa
brevitatc compleclens ex
Italico Aucloris Autographo
in latinum verni
-> et edidit
Gulìelmiù Gratarolas .
Basilea 156*1. in
folio. Apud Henricum
Petri . Non
mi è noto
dove sia stata
stampata la prima volta
questa traduzione; ma
solo ne ho
trovata un' altra
ed zione fatta in
Amburgo Chirurgico rum quorundam
Auclorum Libros Gali
ice fcriptos latine
reddidit ? et
in cap'-ta difiribuit
Gulielmus Gratarolas •
Lugduni . in
8. Apud Gabrielem
Coterium, Classe terza
delle opere d*
altri Scrittori fatte stampare
con prefazioni, note
y e commenti
da Gulielmo G.
. I. Ve
ree Àlchymìce Scriptores
aliquota cum Praefationibus 9 et D celar ationibus colIfgit y
et una edidit
Gulielmus Gratarolas. Basilea?,
apud Henricum Pctri
. in folio
. II. Vetri
Apone njls de Vene ni s
eorumane Remediis, cum
Additionibus GuUdini G. .
Francofurti, apud Joann
ìm Velici . in
8. 8i III.
Hermannl a Ncunare
de novo haclenufque inaudito
Germanice morbo ^pompar*
idcft judatoria febre,
quern vulgo fudorem
Britannicum vócant, libellus
a Gulielmo Gratarolo
editus. Colonia Ncunare era
Conte e Prevosto
della Cattedrale di
Colonia . IV.
Simeonis Riquinii Judicium
do~ clijjimum duabus
epijìolis contentimi de
fiutato r ice Febris
cura t ione editum a
Gu~ lielmo Gratarolo
Medico > et
Philofopìio B ergo
mate . Colonia Schdlerii ^
o come altri
scrivono Sckilfeni de
Pejìe Britannica Commentariolus aureus
a Gulielmo Gratarolo Medico et
Philofopko editus .
Basilea? 1 5
c> 3. Apud
Henricum Petri Alexandri
Benedicii de Pejlilen*
tioe Caujjls s Proe
fervanone > et
auxiliorum Materia Liber
Jingularis : Omnia
ex manufcriptis exemplaribus
auxit y et
illujìravit Gulielmus G.
Medicus 9 et
Pialofophus . Basilea apud Petri .
VII. Correcliones, et
Additiones ad librum
Italicum, falfo tributum
Fallopio 7 infcriptum,
Secreta Fallopii .
Francofurti irfoò. in
folio, e i6"o£. cum
operimi Appendice Guliehni
G. Medici Bcrgomatis.
Girolamo Mercuriali da
Forlì coetaneo del G.,
soprannomato Mercurio e Trimegisto
per la vastissima
sua medica scienza,
nell' erudita opera
: De ratione
dijcendi Mediana/?!, edizione
di Argentina m
proposito dei libri
falsamente attribuiti a
Gabriele Fallopio, racconta
che vi furono
alcuni, i quali
o per malignità,
o per sordido
lucro cacciarono fuori
opere sotto il
nome del Fallopio,
che affatto non
sono sue, come
il libro dei
Secreti . Opere
indegne del suo
maestro, e soltanto
capaci a toglierli quella vera,
e soda gloria,
la quale si
era acquistata presso
i dotti •
Vili. Cenjura et
Additiones in Li*bruni
Alexii Pedemontani, ubi de Quinta
effentia funplici . Per G. Venezia apud Jun£hs Conjìha, et Curationes
variorum doclijfimorum medicorum de sudore anglico a G. edita. Colonia apud
Hofmannum Thaduei Fiorenini, che 1'Alidosio chiama Taddeo Aledrotto et Guliclnù
a Brixia Conjìlia Colonia Apud Hofmannum Per G. Johannis de Kupecijja de
Extratione Quinte ejfentioe omnium rerum prò u fu Medico VENEZIA apud Juntìas
Theatrum Galeni hoc eft univerjlv
medicince a Galeno diffupz fparf inique traduce Promptuarium completimi et in
meliorem ordinem redaclum per Ludovicum Luride llum a G. Medico et PHILOSOPHO editimi
Basilea Apud Petri Hamburgi apud Neumannum et Volfium POMPONAZZI (vedasi) de incantationibus
libri in quibus dijficilUma Capita et QUAESTIONES theologicoe et PHILOSOPHICAE ex
jana orthodoxoe /idei doclrina explicantur et multis rarìs Hijìoriis et
Glojfulis illujlrantur Per G. Medicum et PHILOSOPHVM Bergomatem qui fé
in omnibus canonica scriptum, et Janclorum
Dociorum Judicio submittit Basilea ex officina Henripetrina cum Caeesarea
Majestatis gratia et privilegio. Quesra edizione del saggio deeli Incantesimi
di POMPONAZZI (vedasi) è consagrata da G.a Federico conte palatino con una
nobilissima e giudiziosissima dedicatoria impiegata parte in encomj della virtù
e meriti di quel principe, e parte in difendere l’opera di quel filosofo mantovano,
del quale afferma e sostiene, che è a torto impugnato e perseguitato e che se è
stadio con prudenza e carità trattato, è
riuscito uno deipiù zelanti e forti apologisti
della chiesa cattolica, come riferisce essere avvenuto a GIUSTINO
(vedasi) martire, al grande Agostino, ed a moltissimi altri difensori della
nostra santissima religione. Di fatti POMPONAZZI
per attestato di tutti i filosofi della sua vita muore cattolicamente. Voglio
sperare che POMPONAZZI prima di mandare fuori l’ultimo suo spirito, siasi per
singolare grazia della divina providenza e misericordia ravveduto e pentito –
cfr. H. P. Grice: “Poor A. G. N. Flew, my pupil!” --, e che non persevera nell’a-teismo. Imperocché
tale essere stato Pomponacio Y ho udito spesse fiate a rammentare d’Elideo medico
di Forli chiarissimo ornamento della medica scienza, ed uno de suoi più cari
discepoli. Ho ricopiato questo sentimento dui G. acciocché si conosca quanto
grande fosse Sa sincerità e l’attaccamento
verso la Chiesa Cattolica. Gisberto Voet, o Voezio dotto professore di teologia
e delle lingue orientali a Utrecht, inimico capitale della filosofia e di
Cartesio, parla con molta lode della suddetta edizione, dicendo. G. filosofo italiano,
li di cui saggi vengono coiti mendaci per lo zelo di pietà e di religione che
vi traspirano, e per l’encomj de’quali lo
ricolma Teodoro Beza nelle sue lettere, e pelli suffragj di molti altri
uomini dotti, che lo trattarono nelle suoi saggi stampate in Basilea difende
Pomponacio contro li suoi caluniatori, ed afferma, che termina i suoi giorni
assai piamente. Dalla medesima dedicatoria di G. da esso scritta un anno solo
prima del suo paesaggio all’altra vita si rileva, che già dieci anni innanzi
egli fa stampare e senza che mi è riuscito di sapere in qual parte il saggio De
incantationibus di Pomponacio, perchè così scrive al principe suo mecenate. La
parte di questo saggio che tratta delle cause e degl’effetti naturali, o sia
degl’incantesi- u mi fatta da me stampare sono già più di dieci anni, T
dedicata e spedita all’illustrissimo principe Ottone Enrico elettore di felice memoria,
e S. A, non sdegna
di ringraziarmi con lettere di suo proprio pugno. Mi piacce di nuovamente riportare quanto G. scrive in
quella sua elegante dedicatoria, perchè dalla
premura e zelo d’esso dimostrato sino agl’ultimi periodi della sua vita,
e dall’universale estimazione che hanno sempre costantemente fat-
ta palese in faccia
di tutto il
mondo tanti letterati
del primo ordine,
d* ogni nazio-
ne, e d'
ogni religione, della
dottrina, della probità, e dell'amore del vero, e del giusto,
che ha conservato in tutte le sue operazioni, possa invogliarsi qualche valente
ed erudita penna della sua, e mia patria a tessere, ed in assai miglior modo
ordinare una più compiuta istoria scevra dai difetti, dei quali questa mia pur
troppo è ripiena, di un FILOSOFO j che ha impiegati e consagrati tutti i suoi
talenti, e tutti i momenti de'tuoi
giorni a benefizio e vantaggio della languente umanità, ammaestrando ed
illuminando il mondo tutto con le numerose produzioni del sublime suo ingegno,
trasportando nella lingua più universale moltissime opere in diversi altri
idiomi com- poste da
più dotti e
famosi scrittori ^
ed in fine
illustrando ed arricchindo
di uti- lissimi riflessi e
profittevoli commenti un
numero immenso di
interessanti volumi ^
i quali contengono
ogni genere di
scien- ze e di
cognizioni, siccome ne
forma una evidentissima
prova il copioso
Cata- logo delle sue
opere da me
coordinato, ed esteso .
ANNOTAZIONI (i) Sommario
di antichi Protocolli
esistente nella Pubblica
Libreria della Città
di Bergamo compilati
da Giuseppe Mozzi Ex
libro extimi M.
Civitatis Bergomi .
Àrbore prodotto da!
Nobile Signor Francesco
G. Tanno Sommario
di alitici Protocolli
compilati da Giuseppe
Mozzi . ($)
Creatus fiat Civis
Piligrinus de G.s .
An- no . Die
12. Novemb Ex
Filtia Rclationum, et Registro
Conciliorum Donato Calvi Effemeride Diario del Beretta sotto li 1?. ijh. Papadopoli Hist. Gymnasii
Patavini. Apud Sebastianum Coleri Facciolati Fasti Gymnasii Patavini. Typis
Seminarli apud Ioannem Manfrc Papadopoli Hist. Gym. Pat. Papadopoli Hist. Gym.
Pat. Facciolati Fasti Gym. Pat. Calvi Scena Letteraria. Bergamo per li
Figliuoli di Marcantonio Rossi
Argentorati per Uvendelinum Richelium io. dì) Memini ante annos fexdecim cum
Mediala ni publico in quodam divergono vemociarem nomai aut in/igne nunc non
fuccurrit, sed si Mie ejfe/n, inverti*rem, aique alìquot Mie ut fere semper
Junt in ea ampia civitate, lufores, et miri truffatores ejfent ex Ma ìiominum
fdd, qui tamen sibi aliquid ejfe videi
an-«9tur, quod domefiici urbis
forcnt, cum hojpes mihi lecbum indie a fl et fatis bene flratuin, in (tuia rei
cubiculo, ubi quanto r aia quinque ali) leòli non incornino de parati t aliquis
ilio rum furciferorum feiens quis mihi Uclus efì'et ajfignatus, dunque
cubiculum intrans, nam fere fem-\ :r patent et lodice cum liriteamine Juperiure
detratta, vini frufla fatis magna et tenuja per le cium depofuit a fummo ad
imum inter duo linteamina, putaris me
fine Zumine, incautumque intraturum
lectum, ac vulneratum iri debere, ac ita fé habiturum occasionem cum focijs ri-deridi,
Sed curri more meo prius lumine leclum antequam decumbam colluftrem, facile
fcclus inveni, ac hospiti licet fruftra indicavi: nemo enim fateri voluit sé
fuisse. Certo vero feio me ne per somnium quidem iliorum quenquam l&fiffc: nisi l&dere fit non ludere,
aut perpotare cum talibus, pag. i £ f
., e li 6. Anno isso, menje Majo in
Valle Camunica agri Brixiani, cum effern sub horam Coen a in hospitium pluvia
onustus Ò* equo feffo venissem, ubi plures erant hospiti inservientes semifamuli
adolescentes ccenatus funi fatis y prò loco, laute, Ù* cum fitirem, non
peper-ei vino opthno et potenti, sed cura
omnem ebrietatem. dunque eo vesperi cum quodam equos venales ex Germania
puto, vel ex Foro VARRONE (vedasi) vulgo Vare fio, deducente mercatore, equum
meum parvurn cum magno et iuvenc permutassem,
additis aliquot Coronatis, crurnenarn, ubi non minus coronatis quìnquaginta
erant, IU bere, ut in loco de quo mali quidquam non suspicabar, evagino, Ó*
Coronato s UH numero. Parum pò fi itur
dormitum. Datur mihi proprius leclus, famulus hospitis exuit caligas, suppono
cervicali ac capiti, eo tamen vidente, peram: Dormio in utranque aurern, ut
ajunt, Ó* profunde, prater more ni fefjus. Cum in aurora furgendum efi,
qu&ro crumenam, non iuvenio; hospitem clamito, enfemque arripio 9 meque eo
nudo in porta fifio; minitor me neri permiffurum quenquam egredi, nisi quod meum erat inveniam:
erant ibi advenA aliqui. Interea hospes e lecio furgit, qu il profejfeit, il fé
vit reduit a une grande pauvrete, et ainfi ce fut fa pieté, qui le rendit miserahle
dizionario storico della Medicina. Napoli per Gessari e yo8. Bibliot. Medica
Script. Veter. et Recent Genevae At Petrus Vermillius in hac ipsa vera fapicn-
iu fede juvenem veneno infecit, atque
ita injecia tabe iorrupity ut regressus in paviani sacra omnia despicercty Ó*
emendatioris religionis velamento, qua Lutheranorum, qua Sacramentariorum
dogmata ciani palam disseminaret: ergo in suspicionem G. Bergomi venit cjuratA
OrthodoxA fidei, reusque apud Jacros Qus fitorc s factus, prò- pe in cancreni,
quem utique mcrebatur, conijciendus, fuga sibi confululi, atque inops, et vùfer ad Rhcetos fcccffit
Papadopoli Mihi autem ex Italia supra decem annos, oh ram Da gratta veritatem
et iufiitiam peregrino Faxlt Omnipotens U* jufiifftmus Deus, ut in glorìam
[nani edam fi ita fu& Mtj e fiati vifum fucrh, cas 7 ep etere
poffiumus Ex Officina Henripetrina,
Basilea: Pomponacii de Incantationibus Libr. in. {zG" In quibus diffidi
lima capita, et Qua filone $ TheolcgicA,
Ó* Philofopiiic* ex sana Ortodoxsi fidei
dottrina explicantur, et multis raris hifioriis paffim illufirantur per
auciorem, qui fé in omnibus Canonica Scrittura, Sanftorumque Doc^orum judicio submittit.
Scena Letteraria. Bergamo Effemeride Sacra Profana di Bergamo. Milano per
Francesco Vigone Calvi Scena Letteraria nell’Elogio del G. G. vobis veflram
pacem et concordiam, quodque
docliffimis, et optimis viris, quibus veflra schola abundat, mine edam aecedat
et vere plus, ) Rammenta la sua Professione di Fede diretta prima in forma di
lettera a Melchiorre Voi mar suo Maestro, quindi stampata in lingua latina in
Ginevra T anno 1 rèo. G. PHILOSOPHO Mi G. gradarti tibi habeo prò tua in me benevolentia,
rogoque ut si modo quo fieri pojfit, id
mihi pr&fies, de quo postremis tuis literis ad me scripftfti, ui tempeftive
respondeam. Ab ilio nihil fané metuo, immo cupidissime hanc occacionem
amplecìar, improbi/pimi hominis nomiti aùm appellandi, quod adhuc facere noluì,
ne omnem ci refipifcienù& f petti viderer pr&cludijfe. Veruni hoc
amabo, referibe si quam fecero in mea responsione mentionem, Belli/, Ò* Thcologisi Germanica, 9 Óf* Me se eorum
librorum autorem inficiami, num id poffit ita secure affannare, ut si neccie
fuerit tefiibus etiam, atit idoneis argumentis convinci possit. Nam de re ipsa id est, quin revera libros illos, ac
pr&fertim Prafationent Bcllianam ediderit, non dubito. Sed videndum nobis est,
ut non tantum detegatur iste, veruni etiam convincatur, ut tandem omnes norint qua. fu fancii iftius viri confeien» ùa. Coeterum quia venturus est ad
nos iste qui has literas reddidit, rogo ut ci committas duos ex meis libellis 9
quos apud te habes, nempe Aeschili, Ó* Pindari qu&-dam y sìcut ex titulis
cognosces. Iis vero si adjunxeris tuum illum Pomponacium, et Ccelii librum De
Amplitudine regni Lei gratissimum mihi feceris. Sed et hoc rogo ut mlhi prApes, ncmpc ut perconteris ex Oporino, num
Henricus Stephanus ifihac nuper transiens ab eo accepcrit aliquot Etìlico
rum Græco-Latinorum exemplaria, quo! si
ita esse compereris, vellem, et illud ex Conradi Re*fchìj Viàna refeires, ubi
nani ea reliquerit. Mea enim funi, quod idi affifmare poteris, et commode per
hos ad me afferentur. Quod si nulla acceperit, tum iflì recipiente et ad me perjerent. Vides quo/nodo, et quam
facile opera tua mar. Tu viciffim impera, quìdquid a me prdfiari tuo nomine
peffe credideris, £r te a me pluvimimi diligi, ubi persuade. Genève Apud
Eufiachium Vignon i$7$. Epifl. Era costui Claudio de Santis suo nemico, il e in
certo suo scritto contro il Beza, che si legge nelle Opere del suddetto Beza
gli fece questo rimprovero. Qeneva pedem non audes efferre, ne te quifquis
invcneril, ut alterimi Cain occidat. A questa minaccia, così
rispose il Beza. Et si mihi appofuos a tuis illis et veneficos Calvi. Scena
Letteraria. Hac ego G. Dottor Medicxs, cum ex mea oculata observatione, tum
aliorum Bergomatum Medicorum veterum scriptis, Ó* longa prati, brevita, et non
obscure collegi ad proximi conu modum Cttemrn
mino descriptionem integram Bergo matura Thermarian, quéi a Rhcetia non
plus quam lidia itinere difiant; de his nihil unquam typis excusum :ji, ac spero,
ut antea fuere, in smunirti quoque famosas futuras, pr&fertim, cum pene
occulta earum virvis palam fatta literis cernetur, ni te pigeat Italica
Gcrmanlcis miseere. De Baìneis Omnia qnx extant. Venetiis; apucl Jundks Tum
aliorum Bergomatum Medicorum Veterum scriptis,
Ó* lunga praxi breviter, et non obscu- ì e collegi. Mino deferiptionem integram Bergomatum Thermanim de
quibus nihil unquam typis excusum est. Faxit Deus ut Respublica Bergomatum in
priftinum re fimi bue faluberrima Balnea fedulo cui et, quod tquidem et potest,
et debet. Ludovici Zimalire Bergomènsis Medici Descriptio Balneorum Vallis Transclierii. De Balneis Transcherii
Oppidi Bergomatis cjux extant omnia. Bergomi anno ifSi* Typis Gpmini Ventane
Typographi Index L'brorum Prohibitomm. Roma: 17 il. ex
Typographia Rev, Cam. A post, Pomponatium ante redditum spintus extremi halitum
refìpuiffe ex singulari Dei mi] esattone, nec perni anfuiff e Atheum sperare
volo. G. Medicus Italus ( quem propria scripta
uno volumine in ottavo Basìlea edita, O* tefiimonium Beza in epistolis, et
ut in dedicationc Libelli cuiufdam,
aliorumquc pr&terea dottorum virorum suffragia, quorum fa millantate B a
file a, Ò* alibi
ufus eft, ac pietatis \elo
covnnendant ) cum contra calumniatores tuetur, IT pie prò co tempore vitam cum
morte, commutale scribìt. Voétius: Dlsputat.
Thcolog. Huius libri partati eam> qu& de naturalìbus effettuum
causis, feti de Incantationibus a me alias ante annos decem Adita ni
nuncupaveram, ac miferam II- luftnjfimo
foelicis memoriti Principi
ditoni Henrico eh:
(lori, cuius Celfitudo haud dedignata est literis fuis nu- li ì grati as
agert > loo Neil5
esaminare che ho
fatto tutti i
libri degli Istorici
dell' Università di
Padova per ritrovare qualche notizia intorno alla Vita,
agli Studj, ed agli Scritti di Gulielmo G.,
ed ancora per
rammentare tutti quelli,
i quali nella
medesima furono suoi
Precet- tori, o
suoi Comprofessori, molti
ne ho trovati
spet- tanti alla mia
patria, onde ne
ho trascritti tutti
i loro nomi
dalla istituzione di
quel celebratissimo Studio
sino ai nostri
giorni, ed ho
creduto di fare
co- sa piacevole agli
eruditi miei Concittadini
formarne un Catalogo,
ed aggiungerlo alla
presente Vita di
Gulielmo G., intorno
al quale registro
io non ho
altro da avvertire,
se non che
per la Cronolo-
gia non mi sono
servito di verun
altro Scrittore fuorché
dell' eruditissimo Jacopo
Fa:ciolati nei suoi
Fasti dello Studio
di Padova. CATALOGO DE’RETTORI,
SINDICI, E PUBBLICI PROFESSORI DI PADOVA di nascita o d’origine bergamaschi.
Sago, Rettore Suardo Ret. Prof,
di Legge Barziza. Ret. PROFESSORE
DI FILOSOFIA MORALE Torre Ret.
Prof, di Medicina Avogadro, Prof,
di Legge Piceni. Ret.
Prof, di Teologia, e d'Eloquenza Radici. Prof, di
Legge Barziza. Prof- di Medicina Carrara Agostini Albani Odasi Ragazzoni Regio
Corradino Carrara Marchesi Barziza Carrara Albano Tebaldi Benzoni Albrici. 1
Sebastiano di Bergamo G. Botani Vitalba. Marcantonio Cucchi.
x f li.
Scipione Boselli
Gio.BattistadiMartinengo. 1 yii.BernardinoCardinaleMarfei ijxi.
Ventura Foresti Agazzi Gandino. 1514,
Flavio Querenghi. Francesco Albani
Girolamo Rivola. Gio. Pietro
Giordani . Girolamo Tirabosco Mozzi. Giacomo Salvetti FrancescoVittorio Memoria
Lovere Assonìca. Francesco
Gaioncelli. Monaci. Rct. Prof,
dì Filosofia. Ret.
Prof. di Medicina. Ret.
Prof, di Medicina .
Ret. Prof, di
Medicina, Prof, di
Filosofìa. Prof, d’Eloquenza.
Prof, di Teologia .
Ret. Prof, di
Legge. Ret. Prof,
di Legge. Ret.
Prof. di Medicina. Ret. Prof,
di Legge. Ret. Prof,
di Medicina. Ret.
Prof, di Legge.
Rettore. Prof, di
Legge. Prof, di
Legge. Prof, di
Filosofia. Prof, di
Legge. Ret. Prof,
di Medicina. Prof,
di Legge . Prof,
di Legge. Prof,
di Legge. .
Prof. d'Eloquenza. Prof,
di Medicina. Prof,
di Legge .
Prof, di Medicina.
Prof, di Filosofia Morale. Prof,
di Medicina . PROFESSORE DI FILOSOFIA MORALE Prof, di
Filosofìa Mo« rale, Prof,
di Legge. Prof,
di Medicina. Ret.
Prof, di Legge .
Prof, di Legge.
. Prof, di
Medicina. Prof, di
Legge . Prof, di
Legge. Prof, di
Legge. Prof, di
I-eggc. lei Marcantonio Passeri.
i j 3 i.
Cristoforo Federici. i
f Bernardino Licini.
M51» Domenico Albani
Fini. Alessandro Cannelli.
Paganelli . Paolo Calvi Galeazzo Lano
Gio. Elice Piceni Giovanni Marinoni. Giordano. 1 H
j. Lodovico della
Torre . Gio. Battista Rota G..
Simone Vertova Passeri. i^3^.
Girolamo Lolini Gio. Battista
A migoni. 1 Bravi Olmo Olmo Solza Salandi G. Albani. f
ft Paolo Lanzi. Francesco Cima .
ifyj. Gio* Battista
Manara Mozzi Mozzi Tiraboschi .
Giovanni Terzi. Pietro
Mazzoleni. lyél. Pietro
Alzano. Antonio Cerri. Giulio Passera.
Antonio Zonca .
ij^ì- Niccolò Cologni.
Prof, di Medicina
» Prof, di
Medicina. Prof, di
Medicina. Prof, di
Legge. Prof, di
Legge. Prof, di
Legge* Prof, di
Legge. Prof, di Legge. Prof,
di Chirurgia. Prof,
di Medicina. Prof, di Medicina. Prof,
di Medicina. Prof,
di Legge. Ret.
Prof, di Legge.
Prof, di Medicina.
Prof, di Legge.
Prof, di Legge. PROFESSORE DI FILOSOFIA Prof, di
Legge. Prof, di Legge.
Prof, di Medicina.
Prof, di Legge .
Prof, di Legge .
Prof, di Medicina.
Prof, di Medicina.
Ret. Prof, di
Medicina. Prof, di
Medicina. Prof, di
Medicina. Prof, di
Legge. Prof, di
Filosofìa. Prof, di
Legge . Prof, di Legge. Prof, di Teologia. Prof,
di Legge. Prof,
di Legge. Prof,
di Legge. Prof,
di Medicina. Prof,
di Legge. Prof.
di Filosofa Morale. Agostino Mozzi. Mario
Mazzoleni. Benedetto Baselli Bossi Albani Zilioli Agosti Rota Cima
Viscardi. Graziani Ceffis Ceffis. Voipi Fantino Maria
Donati. Volpi. Antonio Terzi Schiavetti. Barca PROFESSORE DI FILOSOFIA e d
Legge . Prof,
di 1 ilosafia.
Prof, di Medicina Sindico Rettore
v Sindico Rettore.
Prof, di Filosofai.
Sindico Rettore. Sindico
Rettore. Sindico Rettore. Prof,
di Logica. Prof, eli Filosofìa, d'
Istoria. Prof, di Legge.
Prof, di Legge.
Prof, di Eloquenza Sindico Rettore.
Prof, di Anatomia.
Prof, di Legge.
Prof, di Metafisica*
Prof! di Legge. NOI RIFORMATORI DELLO STUDIO DI
PADOVA, XX vendo veduto per la Fede di
-Revisione, ed Approvazione del P F. Serafino
Bonaldi Inquisitor General del
Santo Ofrizio di
Bergamo nel Libro
intitola- to Della Vita,
degli Studi* e
degli Scritti di
Gvlielmo G. MS,
non vi esser
co- t a
alcuna contro la
Santa Fede Cattolica,
e parimen- ti per
attestato del Segretario
Nostro, niente contro
Principi, e Buoni
Costumi, concediamo Licenza
a Fraiicefco Lo
catelli Stampator di
Bergamo, che possa
essere stampato, osservando
gli ordini in
materia di Stampe,
e presentando le
solite Copie alle
Pubbliche Librerie di Venezia, e
di Padova. Dat. li io. Andrea Qverini Riformat. Cav. P. Morosini Riformat. Zaccaria Vallaresso Riformat.
Registrato in Libro a Carte. a, l num.
zooS. Gradcnigo Segr. Nome compiuto: Guglielmo
Grataroli. Gratarolo. Grataroli. Keywords: implicature. Abstract. Grice e
Grataroli. Luigi Speranza. Grataroli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Grataroli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza: GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Grazia: Grice, Grace, e Grazia -- la ragione conversazionale e implicatura
conversazionale -- il principio di benevolenza conversazionale – filosofia
calabrese – la scuola di Mesoraca -- la scuola di Crotone – filosofia crotonese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mesoraca). Abstract. Grice fought for
years about how to qualify conversational benevolence. Is it a desideratum? Is
it an axiom? Is it a principle? Is it an imperative. Grazia just speaks ABOUT
conversational benevolence, without judging much where it features! Keywords:
la benevolenza conversazionale. Filosofo italiano. Mesoraca, Crotone, Calabria.
Grice: “Grazia is important to understand Galileo, whom Italians consider a
philosopher!” Grice: “Grazia also wrote about architecture – a truly
Renaissance man!”. Studia a Napoli
dove venne condotto, dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini.
Si laurea a Napoli. Studia filosofia. Si oppose al Criticismo kantiano e
all'Idealismo hegeliano in nome dell'esperienza. Saggi: Discorso
sull'architettura del teatro, Napoli: Giordano; La scienza umana, Napoli:
Flautina; Logica speculativa (Napoli: Gemelli); “Filosofia: eterodossa ed
ortodossa” (Napoli: Poliorama); “Considerazioni sopra 'l discorso di Galilei
intorno alle cose che stanno su l'acqua, e che in quella si muouono.
All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici (Firenze, Pignonj).
“Della vita e delle opera: Dizionario Biografico degli Italiani. Classe
Appetito; Volere. Condizione di ogni appetito è l'andarsi rinvigorendo con la
reiterazione degli atti fino a rendersi dominante su gl’altri appetiti.
Condizione della volontà è l'andar con l'esercizio acquistando maggior potere
su i moti del corpo sog Classe- Molori primitivi della volontà: Tendenza
istintiva delle nostre forze all'azione; appetito istintivo del piacere nella
sua triplice forma, e avversione al dolore; amor di sè stesso co'tre caratteri
di concentrazione, di reazione, di espansione spontanea. Classe Oggetti dell'amor
proprio diconcen nale, onore esterno. Reazione dell'amor proprio: Emo
sentimento. Espansione spontanea. Benevolenza. Il benessere è certamente
oggetto dell'amor proprio; ma nella classe va distinto dall'amor proprio
l'appetito istintivo del piacere, e l'avversione al dolore. Non è perchè a mi a
mono i stessi, che desideriamo il piacere e fuggiamo il dolore. L'amor proprio
si pronunzia nel cercare I mezzi per procurarci l'uno, e per sottrarci
all'altro, fino a contrastare a tale uopo altri appetiti. L'appetito quindi del
benessere, una delle esigenze dell'amor proprio,é precisamente quel principio,
in cui Stewart ha fatto consistere tutto il nostro amor proprio. Un tale
appetito abituale non è getti al suo comando, come anche su l'attenzione
riflessiva. Seconda condizione dell'appetito è l'essere accompagnato da
piacere, quando è soddisfatto; e da dolore, quando essendo istigato non è
soddisfatto. È questo esclusivamente il piacere e il dolore morale. trazione:
Benessere, dignità. perso IL METODO. Classe Stati diversi dell'appetito:
Desiderio, o contento; godimento, o afflizione, o rammarico; speranza, o
timore; pentiinento; disperazione. zione benevola di riconoscenza; ri
invero irreducibile. Ammettendosi in un essere dolori e piaceri, e
ragione e volontà, esso prevedendo le conseguenze delle sue azioni, non
mancherà di formarsi un piano di condotta per evitare il dolore, per pro
cacciarsi il piacere; e la repressione di altri appetiti entrerà come mezzo in
questo piano. Noi intanto a b biamo notato tra fenomeni irreducibili l'appetito
del benessere a sola mira di esibire intero nella 4. classe ildominiodell'amorproprio.
E lapresenteosserva zione basta a far riguardare con tutto rigore l'addotto
esempio di classificazione. Abbiam già completato il quadro de' fenomeni pri
mitivi del pensiero, distinguendolo in tre categorie corrispondenti a'
fenomeni, Sensazione, Giudizio, Volontà ; e tenendo conto delle condizioni loro
comuni. Pria di progredire nel nostro divisamento, daremo fine a questo
articolo con la seguente generale osservazione. La semplicità di una
classificazione di fenomeni primitivi non si dee giudicare su la classe
suprema. Il numero de' princip jignoti è eguale al numero de' fenomeni distinti
nella totalità della classificazione. Può quindi avvenire, che due
classificazioni sieno nel fondo identiche, mentre si offrono sotto aspetti
assai diversi. Se, per esempio, alla prima classe, che comprende i tre fenomeni
-- sensazione, giudizio, volere – si fosseanche ascritta la memoria, esi fosse
distinta nella riproduzione degli atti mentali, e nel riconosciinento; non si
sarebbe nulla cangiato uel nu Inero de' fenomeni irreducibili. Ciò non dimeno
un tal cangiamento non sarebbe del tutto indifferente .Nella classificazione da
noi preferita i fenomeni della prima classe sono i più differenti di natura. Ma
ciò che si riproduce nella memoria non perde la sua natura primitiva. Le idee
astratte si riproducono nella loro perfetta integrità. Le sensazioni perdono
estremarnente di vivacità al riprodursi nella immaginazione. Niente altro
cangiano di loro condizione primitiva. E lostesso avviene nella riproduzione delle
affezioni morali. La memoria quindi, presa nel suo più ampio significato, non
reca fenomeni di natura differente da que' della sensibilità, dell'intelletto,
e della volontà. Queste ultime facoltà somministrano materiali fra loro
differenti, e la memoria è addetta a ritenerli in deposito. Cosi la prima
classe ha potuto segnalare la prima divisione della scienza ne' tre rami
logica, etica, estetica. Non è certamente questo un vantaggio di allo rilievo,
ma non v'era alcuna ragione per disprezzarlo. Si supponga or che
invece di esibire in più ordinii fenomeni primitivi, si fossero enumerati in
una sola lista, come è costume: sensazione, giudizio, attenzione,
immaginazione, reminiscenza, analisi, sintesi, astrazione, generalizzazione. Il
numero de'fenomeni primitivi potrebbe rimanere lo stesso, ma senza esservi
marcata la dipendenza tra I medesimi. L'attendere è proprio dell'intelletto.
L’immaginazioneè una legge della sensibilità. La reminiscenza o riconoscimento
è un giudizio. L'analisi, la sintesi, l'astrazione, la generalizzazione,
appartengono all'intelletto. Una tale dipendenza è una condizione di più nel
fenomeno: è propriamente una ulteriore parziale riduzione. Così per altro
esempio, se i motori della volontà si enunciassero come segue: Tendenza
istintiva delle nostre forze all'azione; appetito istintivo del piacere;
appetito razionale del benessere; appetito della dignità personale; appetito
dell'onore esterno; emozione benevola di riconoscenza; risentimento;
benevolenza ; si avrebbe completo il numero de' motori primitivi, ma niente
apparirebbe della loro dipendenza. L’enunciazione non darebbe ultimata la loro
riduzione, non si esprimerebbe completo, per quanto a noi si scopre, il sistema
della natura de' fenomeni della volontà. Vedula primordial nelle ricerche della
origine e della reulià della scienza umana. Sula ipotetica origine a priori
delle idee e IL METODO IL METODO VELLA SCIENZA DELLA NATURA. primitivi
..realtà delle conoscenze. delle conoscenze. Si annunziano I principj, trattida
osservazioni parlicolari, su la origine e Classificazione de’ fenomeni
primitive. Riduzione de'fenomeni particolari a' esempio tratto dalla estetica
Classificazione delle scienze nell'ordine logico. Metodo inventivo nelle
scienze nat. Metodo inventivarella scienza delpen Melodo di esposisione nelle
varie. Metodo di esposizione nella scienza del pensiero - poche idee sul metodo
Utilità in ultimar le riduzioni Classificasione delle scienze. ESPERIMENTI DEL
METODO PER LA SCIENZA PRIMA. CORSO PROGRESSIVO DELLA FILOSOFIA PRIMA [cf.
GRICE, LA PRIMA FILOSOFIA], E SUE DEVIAZIONI. Posizioni diverse nella
quistione del Metodo. Esemplare classico del metodo speculativo. Primo
esemplare del metodo di pura osservazione. Deviazioni del metodo nel periodo
sco. Metodo di pura osservazione nella parte psicologica della Filosofia
ortodossa. Progresso della osservazione analitica nella Filosofia, ad onta che
i sistemi: declinassero o al sensualismo, o al’ idealismo. Idealismo
assoluto de’ discepoli di Kant. Declinazione della osservazione analitica, e
rifiuto de’ suoi prodotti precedenti, surrogandovi una supposta percezione
de’.sensi, e una dimessa ma ra soggettività, e per ultimo rivisioni
ontologiche. Sut-nesso detta discorsa Rassegna ci con la seguente.
ESPERIMENTI DELLA FILOSOFIA SPECULATIVA. SULLA LOGICA DI HEGEL. Su
l'identità de’ due contrarii. Le idee fondamentali dell’ intimo senso
Vanno snaturate in ogni panteismo . Su le categorie, e l'Idea assoluta. . vo
nella scienza prima — tende di continuo ad alterare il genuino
valore delle idee fondamentali. SU LA FILOSOFIA SPECULATIVA. SULLA IMPOTENZA
DELLA RAGIONE INDIVIDUALE, SECONDO IL LAMENNAIS. . ="Sv-t5 EINE DI Dio,
DEL cinite, SISI L'ATTO CREATIVO, SECONDO IL Gro- SERIE input » Sul
secondo a della formola. IN. Su Te altre parti della Formola, cioè T Enie
e l'alto creativo. .Sulla Visione delle idee in Dio indipendentemente dalle
altre parti della iu DETTE IEEE SU LE CONDIZIONI DELLA
FILOSOFIA. Sul concetlualismo, perenne caasa delle deviazioni della
Filosofia. Hi. Su i recenti proget di nuova Filosofia OROCO: cs. iu » Influenza della sacks tedesca su la
Filosofia. Sulle più famose obbiezioni prodotte da’ moderni contro la Teologia
naturale. Riassunto degli articoli precedenti e conseguenze per le scuole
d’insegnamento. ÈNTE IN UNIVERSALE, LUME PERENNE DELL'UMANO INTELLETTO, SECONDO
ZL ROSMINI. Su i modi dialettici adoprati da SERBATI nel mostrar conforme al
suo sistema la dottrina insegnata d’AQUINO. Wl, già un anno decorso che uno dei
più profondi filosofi di questa italiana provincia fa da noi dipartila! Niun
periodico della capitale fra i tanti che pur trattano di futilità e di non
nulla, o tutt'al piú di celebrità di teatro, fa alcun motto di lui: il solo Omnibus
annunziandone la grave perdita, promette una biografia dell'estinto: ma tale
promessa insino ad ora non l'abbiamo veduta recare in atto Noi per mera carità
di patria e senza pretenzione letteraria di sorta, diamo questi pochi cenni per
come abbiamo potuti raccogliergli frugando nella nostra memoria. A quella
regione ferace d’eletti ingegni ed in ispecie di grandi filosofi da Pitagora a
GALLUPPI (tralasciando tanti altri illustri nomi) appartenne il nostro FILOSOFO,
avendo avuto i natali verso nell'antica Reazio, oggi Me Ahi sugli estinli
Non sorge fiore ove non sia d'umane Lodi onorato e d'amoroso pianto. soraca, in
Provincia di Calabria ultra 2. Da baronale ed agiata famiglia. Passa l'infanzia
nella terra natale, ima mostrato avendo svegliato ingegno, è pensiero di un suo
zio, religioso dello insigne ordine de'Teatini di condurlo in Napoli per fargli
apparare belle lettere e filosofia appo que 'RR. Padri. Quivi dedicandosi
alacremente a tali studi, ha a con discepolo il famoso ex Generale de Teatini, Ventura,
che se tutti ammirano per non comune facondia, per vasto sapere,per rettitudine
ed illibatezza di costumi, gl’Italiani lo avrebbero a ragione desiderato
continuatore dell'opera progreditrice e liberale da lui cominciata a propugnare.
Con lui G. legossi con tale intima amicizia e scambievole stima, che le m e
morie di quella loro prima età insieme trascorsa, dopo tanto volgere d'anni non
più cancellaronsi, abbenchè pel diverso stato da essi prescelto, vivuto
avessero quasi sempre l'un dall'altro discosti. Escito G. da quelle scuole,
diessi con tutto ardore agli studi severi delle matematiche, non pure tra
lasciando qnelli della FILOSOFIA, pe’ quali monstra inclinazione grandissima. Milita
per qualche tempo nel Genio; ma poscia, smesso il cingolo militare, esercito
professione d'Ingegnere, entrando nel Corpo detto allora de' Ponti e Strade. Si
nell'una che nell'altra carriera adempi lode volmente ai doveri della sua
carica, e procacciossi giusta estimazione. Ed abbenchè per lasua indipendenza
di pensamenti e per la sua modestia, non venisse adoperato come avrebbesi
dovuto, pure quello che in varie pro vincie per suoi elaborati disegni in opere
pubbliche ed in fatto di edifizi vari, venne eseguito, riusci di universale
contentamento, e rivelar seppe la sua valentia, tanto da essere ricercato e
consultato dagli stessi suoi compagni ed emoli nella professione. Ma nel paese
di G. da piú tempo non costruisconsi più quelle opere grandiose da potersi
rivelare il genio artistico di un'architetto; e se pure alcuna fiata qualche
notevole edifizio debbesi costrurre, l'ingegno si rimane fra pastoje; perché
condannato a grame proporzioni di una architettura borghese, od a meschine
economie che sovente lasciano le opere pel volgere di più anni incomplete, ovvero
menate a compimento, ma di gran lunga variate dagli originali disegni. G.,
omettendo i lavori per ponti e strade e smessa ogni altra cura ed applicazione,
si dedica con tutto ardore a quegli STUDI FILOSOFICI che sempre avea mostrato
di molto prediligere. Frutto delle sue lucubrazioni e speculazioni filosofiche
è la grave opera: Saggio sulla realtà della scienza umana; lavoro sapiente e
profondo, che pubblicossi a Napoli e che Silvestri in Milano e Fontana a Torino
voleano ristampato pe’ loro tipi, ma non vedendosi incuorati
da chicchessia a tale pubblicazione, e la stampa tacendo su di un'opera di
tanta mole, ne smisero il pensiero. Non è scopo nostro venire in disquisizione
sul suo sistema filosofico e sulle opere di lui, secondo che ne facciamo qui
menzione, pon sentendoci da tanto, e lasciando a’ profondi pensatori un tale
incarico. Solo diciamo, ch'egli rifuggendo da’ sistemi oltramontani e
dallaservile imitazione, ha tutte leproprietà dell’ITALIANO FILOSOFO, per
quella sua maniera di studiare il mondo esteriore, e per quel pratico senno che
lo conducono dall'esperienza alla induzione, per modo da congiungere sempre
l'osservazione di fatto colla generalità delle idee. In ciò fare egli segue in
gran parte le dottrine del sommo AQUINO (si veda) Aquinate, gloria d’ltalia e
della Chiesa; senza aver letto ancora Opera alcuna di questo santo dottore. Per
caso in confutando talune teoriche dell'altro nostro celebre italiano, SERBATI,
il quale in un luogo delle sue opere iva esponendo molte sentenze d’AQUINO in
conferma de'suoi detti, sorse vaghezza a G. di leggere la somma di esso santo;
e grandissimo è il suo compiacimento in rilevare l'accordo delle loro dottrine
in ciò che concerne il principio di rifuggire da ogni ipotesi speculativa, e di
ricondurre la scienza fondamentale al puro metodo di osservazione; e pieno di
rispetto e di ammirazione pel santo d'AQUINO (si veda), iva seco stesso facendo
le più alte maraviglie del quanto poco abbia progredito la scienza filosofica
in questi u l timi sei secoli. Oltre a molti altri scritti minori, pubblicati
in parecchi giornali specialmente nel Progresso e nel Calabrese, altra grave
sua opera è quella intitolata: Discorsi sulla logica di Hegel e sulla filosofia
speculativa, ove adoprandosi dimostrare l'assurdità di tale Logica, confuta que’
filosofi che han cercato con malizia o senza addarsene d'intede scare la
filosofia italiana. Per chi le opere di G. punto non conosce, riuscendogli
per avventura nuovo un tal nome, potrebbe di leggieri riputare sospetti i
nostri elogi, se non altro, per troppa carità di patria: noi a renderlo
persuaso del contrario, e che anzi, il lodato resta sempre al disotto delle
nostre umili laudazioni, citeremo l'autorità di un giudice assai competente ed
in nulla sospetto, qual'è il celebre Professore di Heidelberg Mittermaier.
Questi nel suo Condizioni d'Italia pubblicato e precisimente nella Lettera di
appendice indiritta al chiaro Mugna, dopo aver parlato delle celebrità
letterarie e scientifiche d'Italia, e mostrando desiderio che le opere
filosofiche degl’italiani fossero meglio studiate dagli stranieri ed in ispecie
da’ suoi connazionali, venendo a parlare di Napoli dice. Il genio della
filosofia napoletana è la copiosa e fina analisi dello spirito umano, sempre
unito a grande dovizia d'idee e ad una tendenza pratica. Ad esso appartengono le
opere di GALLUPPI e di G., peculiarmente l'opera di questo: Saggio sulla realtà
della scienza umana. Esaminando l’A. Gli scritti de’ suoi predecessori, non che
de’ filosofi tedeschi ed entrando in minute particolarità intorno a' vari pensamenti
sulla origine delle idee, seguesi con piacere lo stesso A. nel suo ingegnoso
sviluppo e si ammira la sua fina analisi intorno alla natura delle conoscenze
pure intuitive, e conoscenze dimostrative. Fin qui il Mittermaier. Le parole di
un tant’uomo sono più che sufficienti a testificare sul merito filosofico del
nostro concittadino, ed altre singole illustri testimonianze potremmopurqui
addurre; ma le opere di lui per chi vuole e può leggerle parlano abba stanza. Solo
non vogliamo tralasciare di dire che è in grand'estimazione tenuto da
quell'antico uomo di stato e scienziato profondo il Conte de’ Camaldoli,
Ricciardi, e che il suo grand'emulo
Galluppi (la cui fllosofia è stata in qualche parte di G. confutata
perché non severamente italiana, nè in tutto da lui trovata scevra di straniere
dottrine) richiesto un giorno del suo parere sul Saggio della realtà della scienza
umana, rispose: l'opera procede molto bene, secondo il sistema seguito
dall'autore. E qui di volo ci si permetta domandare a noi stessi: chi raggiun
se piú il vero de' due chiari concittadini nei loro rispettivi sistemi? chi più
possedette geniocreatore? A ciò rispondiamo esser paghi di rilevare in ambidue
il positivo progresso della filosofia appo noi e possiamo riguardarli come
continuatori delle dottrine sviluppate da' due filosofi calabresi TELESIO e
CAMPANELLA che cercano di richiamare la filosofia del secolo decimo settimo a’ suoi
veri principi facendo appello all'esperienza, alla propria ragione ed
all'esatto studio del mondo, quale si offre alla osservazione, e sopratutto
cercando di sceverare la filosofia dalle quisquiglie scolastiche del tempo; per
il che ebbero a sostenere aspra guerra per parte de' loro avversari, seguaci
delle dottrine del LIZIO, più in quanto alla forma che alla sostanza. Or nella
gran serie di sistemi de' filosofi d’Europa, ognuno dei quali nasce per
distruggere l'antecedente, e per essere poi a sua volta distrutto dal
successivo, i sistemi seguiti da' due grandi calabresi, GALLUPPI e G, sono
sistemi italiani, sopratutto quello del secondo, e sopravviveranno a'posteri
assai più, se non c'inganniamo, dell'eccletismo di Francia e del razionalismo
puro di Germania, il quale ultimo sistema argutamente G. chiama: poema
filosofico; abbenchè de' filosofi tedeschi egli fa stima grandissima,
especialmente di Kant, ch'è il primo nella serie di quelli che formano la
moderna scuola, per la mente profonda, vasta e unicamente originale fra tutti i
filosofi di Germania, per maturo giudizio, fervida imaginazione, esottilissimo ingegno
analitico, ma lamenta che il suo genio batté la via dell’eccletismo scettico e
del dommatismo razionale. Ma benché per noi sian grandi tutt'e due i nostri con
cittadini, nondimeno sembra rilevarsi dalle suespresse parole del professore di
Heidelberg che nell'opera, da lui citata e da noi di sopra più volte riferita, la
penetrazione filosofica e la fina analisi del nostro G. abbiano richiamato la
sua attenzione assai più che nol fecero le opere filosofiche di Galluppi.
Eppure questi, sebbene tardi, è almeno ricordato da quel governo, essendo stato
nominato professore di filosofia a Napoli e nella morte di lui furon vi
pubbliche esequie e recitaronsi funebri elogi ma G. vive e muore ignorato, e
non è noto che alla calabra terra, che videlon ascere, ed a qualche singola
celebrità nostrana e straniera. Di chi la colpa? Forse de' tempi? del governo?
o della propria sua indole? Noi crediamo esservi concorse tutte e tre le su indicate
cagioni. Circa il governo cui appartenne G., il merito non è merce cui è andato
per ordinario ed unquemai in traccia; ma nel tempo presente solo il pensarlo è
utopia. E finalmente l'indole di lui rifuggente dallo adulare potenti, dal cercar
mecenati, dal raccomandare o dedicare i suoi scritti a chi chessia, mantenendosi
sempre in dignità Il secolo che corre: e che appellasi posilivo non ha
altri pensieri dominanti che il credito, la borsa, le speculazioni commerciali,
o tutt'al più qualche progresso materiale da solletitare l'ardente brama del
guadagno (peste della società presente) che di continuo lo stringe ed
arrovella; epperò non è secolo che occupar puotesi di filosofia e
modestia, coltivando la scienza per abitudine contratta agli studi severi e per
naturale inclinazione del suo genio inventivo e calcolatore, senza avere
unquemai tenuto scuola (che gli scolari molto influiscono alla fama ed a
rendere popolare il nome de’loro maestri) e menando per conseguenza vita
laboriosa e ritirata; fesi tutte le cosi fatte ragioni che il nome suo rimanesse
ignoto all'universale. Ma qui non possiamo fare a meno di non osservare che in
questa epoca di generale centralizzazione governativa negli stati di reggimento
assoluto sopratutto, ne' quali ė spesso negato a privati di fare puranco il
bene o altra innocentissima cosa, senza previa superiore autorizzazione, o
sovrano beneplacito; ove nullapuossi mandare a stampa senza preventiva revisione
econtro revisione; non rebbe uu richieder troppo da cotali governi se alla
mania di voler lutto sapere ed operare aggiungessero un pò di buona volontà e desiderio
di conoscere le grandi intelligenze, tenerne nota ed applicarle a vantaggio
della nazione. E grata cosa sarebbe riuscita a G., abbenchè dell'indole qui
sopra descritta, e sempre abborrente dalla servitù e dalla vanità, se il
governo in modo qualunque avessegli addimostrato di tenerloin pregio, o
nominandolo professore di filosofia, dopo la morte di Galluppi, non essendovi
in tutto il reame altri che più diluine fosse stato degno, o mostrandogli di pregiarlo
in altra guisa qualunque, ma sempre per moto spontaneo, essendo stata sua
massima indeclinabile che il merito de savesi conoscere volenterosamente
dagli altri, senza sforzo di sorta per parte propria. Sono vi però di momenti
nella vita de' popoli in cui l'opinione pubblica si addimostra regina e
manifestasi con tutta la possibile spontaneità. Un tale momento si è quando G.,
non pure senza brigarlo, ma senza avervinemmeno pensalo, vide il suo nome con
migliaia di voti sortire dalle urne elettorali, qual deputato calabrese nel
Parlamento napoletano. Molto egli si compiacque per tale dimostrazione di stima
e di fiducia da parte dei suoi concittadini; ed accetatone il grave mandato, pieno
di buon volere e di coraggio si parti con gli altri deputati per alla volta
della capitale. Lu singavansi gli elettori suoi nella speranza di vederlo
presto discendere dalle astrattezze filosofiche, alla realtà della vita
politica: ma tanto non avvenné, Equicisi permetta no per poco
talune reminiscenze, riandando un tempo, che già è per i liberali onesti e di
buona fede che credeno alla santità ed alla osservanza di giuramenti e del cui
gran numero fanno parle quasi tuttii liberali delle provincie, tra quali G.,
que' tre primi mesi, con assai più ragione di quello che uno scrittore francese
dice del suo paese furono giorni deliziosi, in cui la generazione nostra conosce
quell'allegrezza, quella speranza, quel non so che si raro nell'umana storia
che ci fa dimentichi del peso della vita. L'avvenire non più
rappresentavasi triste a’ nostri sguardi, scoprivasi un'orizzonte sconosciuto,
tutto è color di rosa, perché credevasi al progresso indefinito dell'umanità, e
al compimento insperato di tutte le promesse della filosofia. Quelle notizie
sempre succedentisi di libertà di popoli, di cessazione di ogni dispotismo e
tirannide in quasi tutta Europa, d'indipendenza ed autonomia di nazioni, eccede
vano l'immaginazione e fanno degl’uomini tanti inna morati viventi in
un'atmosfera inebbrianto. Tempi felici! e che non più ritorneranno perocchè a
tutte quelle nobili aspirazioni (forse perché non provegnenti nella gran
maggioranza da vero disinteressamento, abnegazione e pura virtú) sono troppo
rapidamente succedute le idee finanziarie e di materiali interessi, che stan
materializzando tutti gli spiriti e dimmergendoli in un profondo letargo da impedire
di addarsi della lenta, ma sempreognor crescente propagazione del dispotismo; e
che per sopras sello invece di farei indefinitamente progredire, ci ha fatto, e
ne sta facendo precipitosamente indietreggiare. E cio di passaggio. Ma
ritornando al nostro Vincenzo, egli era uno di quei tanti filosofi che hanno il
coraggio del pensiero e non quello dell'azione. Uomo adusato da tanti
anni а star chiuso nella rocca della sua mente per dare corpo e vita a’suoi
pensamenti filosofici, riputavasi vestito del lusbergo del più saldo proposito:
ma arrivato al contatto della fredda realità, divenne esangue ed impallidi.
Difatto giunto in Napoli, tosto avvidesi del come furono conce I
fatti che vide al primo scio gliersi della
Camera de’ Rappresentanti della nazione, non che nel tempo successivo (da
superare fin ancole sue previsioni e che iscusano la sua condotta inverso chi
volle accagionarlo di timidità) fanno d' allora in poi addive nirlo più
solitario e ritirato di prima. Lui felice! che puo col pensiero allontanarsi
dalla triste realtà che cir condavalo, e vagare tra i nobili e pacifici campi
della filosofia. E verso quel torno che rivedemmo per l'ultima volta G., il quale
ci fa aperto diesser egli tutto applicato al compimento di un lavoro già
concepito quando legge la Somma dell'Aquinate. A questo no megli dichiarammo
francamente il desiderio nostro, e di altri suoi amici ancora, che siccome
dalle sentenze filosofiche scelte dalla Somma presentar volea la Filosofia d’AQUINO,
coll'esame comparativo delle dottrine del nostro secolo; cosi dalla scelta di
tutte le sentenze politiche, di che abbonda quell'aureo libro, ci fa conoscere
la politica di quel santo dottore, in tutto tendente a fare che la suprema
autorità non trasmoda in dispotismo e tirrannide, e che la macchina governativa
è tutta intesa a formare il benessere della gran maggioranza della codute le
improvvisate riforme; col suo sguardo scrutatore s'impossesso della situazione
politica del momento, e misurandone tutta la portata, promise a sé stesso di
non porre piede nell'aula del Parlamento napoletano. e mune Patria;
che simili scritti, soggiugnevamo, potrebbero servire di freno al potere, affinché
ne'suoi atti non degenerasse in forza brutale. Al che il nostro filosofo (cui
sembravagli ancora di sentire il fragore delle artiglierie) mestamente rispose:
L'eloquenza della bocca de'cannoni fa ammutolire ogni lingua, e fa cadere la
penna dalle paralizzate mani. E noi dirimbecco: se il cannone distrugge, la
penna può e sa riedificare. E dunque che il cennato suo lavoro col titolo di: Prospetto
della filosofia ortodossa, venne stampato in Napoli. Fra le molle lodi che
questo saggio ha dalla stampa periodica di diverse parti, sono quelle
tributategli con molto calore dalla perma'osa Civiltà Cattolica connostra
grande maraviglia e satisfazione. Ma la maggior lode che ridondar possa a
vantaggio di G., si è, che per il primo cerca di far rivivere la filosofia
d’AQUINO, e che il suo pensiero è stato poscia seguito dall’università parigina
e da parecchie di Germania. E sua intenzione comporre un'opera d’estetica ed
un'altra d'istituzioni filosofiche, questa sopratutto, per esservene secondo
lui, gran difetto nelle scuole: ma tale divisamento non potè mandare ad
effetto: sono si trovati, è vero, de’ manoscritti nella sua casa, ma forte
temiamo che andranno perduti. Ferale morbo mina da più tempo i suoi giorni, ed egli
vide approssimare il suo fine con la serenità di un fanciullo e con
l'impassibilità di un filosofo e cessa di vivere. E G. di ordinaria statura e
di gracile complessione; di aspetto nobile e dignitoso, ed insieme di tratti
gentili, e cortesi epperò riusce piacevole nella conversazione. Nel suo incesso
vedevasi grave e pensoso come se ruminasse qualcosa col cervello, o talmente e
assorto da suoi filosofici pensieri, da non por mente alle cose esteriori, e da
non addarsi degl’amici che passavangli allato, se questi nol riscuotevano
chiamandolo per nome. Vive sempre celibe. Lascia un'unico nipole, erede de’ suoi
beni, mostrandosi pur generoso nelle ultime dis posizioni verso due suoi
antichi compagni ed i suoi domestici. Or un tant’uomo disparve dalla scena di
questo mondo senza che nemmeno un fiore si fosse sparso sulla sua tomba; senza
che nè pietra pè parola additassero ove han riposo le sue ceneri e ricordassero
il nome di lui agli avvenire! A voi Italiani, che amate gl'illustri figli della
comune sventurata patria nostra, e che vi distinguete per nobili sentimenti di
nazionalità, abbiamo rivolta la nostra parola: inscrivete, per come é debito,
il nome di G. tra quei grandi nomi che passar denno alla Posterità! Tu,
illustre Mittermaier, che nel fare menzione in semplice lettera, de'chiari
Italiani, non potesti fare a meno di non dire parole di lode sul merito
filosofico del nostro eroe: spendine altre poche or ch'ei è trappassato, por
vendicare l'ingiusto silenzio tenuto dal paese ovo naace e muore. E tu, o
venerando P. Ventura, che non mai dimenticasti il tuo condiscepolo, abbenché
sempre gran distanza da lui ti divise, e che forse ignori ch'ei non è più, in
rilevare la sua dipartita, scrivi alcun motto per quell'ingegno sdegnoso di
ogni schiavitù massime se straniera, che co'suoi scritti fè sempre aperta
guerra alla filosofia che non attinge i suoi lumi alle fonti del Cristianesimo,
ciò influirà non poco a farsi che il nome del tuo antico amico sia conto
all'universale. Le nostre rozze e disadorne parole rassembreranno talco o mica
in ruvida roccia, ma le vostre saranno ripetute dagli echi, lontani e
renderanno al virtuoso obbliato, dopo morte quel merito che in vita gli è
negato. Sopra un'amena collina distante una diecina di chilometri dal mar
Ionio è situata Mesuraca, paesello che conta un due migliaia e mezzo di
abitanti. Uno scrittore che sognasse, vegliando, gl'irrevocabili portenti della
Magna Grecia, nei ruderi che ingombrano il vicino monte Matonteo, crederebbe di
scorgere gli avanzi di un vetusto tempio, sacro a Venere; e nel nome
tradizionale della montagna non mancherebbe lo appiglio di ricordare il riso e
gl’amori, fidi compagni della vezzosa Dea di Amatunta. Noi, nella nostra modesta
prosa, ci contentiamo a più vicine, e più certe memorie. Egli adunque contava
quindici anni meno del suo illustre compaesano, di Galluppi, ch'è nato nella stessa provincia di Catanzaro, in una
piccola cittaduzza posta quasi in riva dell'opposto mare; e, vedi caso, è nato
anche lui di casa baronale; sicchè pare che su lo scorcio del passato se colo
lo stemma gentilizio non è così ostinatamente avverso agli studi In quel
paesello appunto, nasce quel G., di cui vogliamo esporre la dottrina
filosofica. Nasce di casa baronale; ma non è quel che ci preme; nè pare
importasse neppure a lui, che ha il buon senso di segnare a fronte de'suoi saggi
il proprio nome e cognome asciutto asciutto, e senza nessun prefisso. Ancora
lascio, o meglio gli è fatto lasciare il paese nativo, ed è condotto a Napoli,
e quivi chiuso nel collegio di San Carlo alle mortelle, dove continua a
studiare, come sisuole. Tra le poche carte, non disperse o distrutte, dalle
quali ho potuto raccogliere qualche scarsa notizia della vita di lui, avanza
una lettera del rettore di quel collegio, certo Misa, con cui si raggua gli ava
il padre della buona riuscita de' pubblici saggi dati dai figliuoli di lui. Questa
lettera giova non tanto a testimonianza del profitto; chè un baroncino, si sa,
fa sempre bene; e di fatti il buon rettore si loda non solo di Vincenzo, ma del
l'altro fratello Domenico; quanto ad assodare la data della nascita. Arnoni,
che laboriosamente s'ingegna di scrivere le memorie della Calabria, lo fa nato:
se si da pubblici esami, quella data è dunque sbagliata; e rimane accertata
quella che ho trovata scritta io nel volume su la logica di Hegel, insieme con
l'altra concernente la morte di G.. Il volume appartiene alla famiglia del
filosofo, ed io l'ho potuto avere, insieme con gli altri documenti, perla
cortese premura di Serravalle, valoroso giureconsulto, e caldo promotore della
gloria del nostro paese: qualcuno di casa vi ha registrato certamente quelle
due date. Forniti i primi studi, diessi a coltivare le matematiche, e divenne
ingegnere. Il napoletano conquistato dalle armi francesi, dove allora, per
l'imitazione de'conquistatori, correre dietro al mestiere delle armi. Il nostro
G. trovavasi arruolato da sotto-tenente nel genio, quando con decreto reale
comunicatogli da Campre dona nominato ingegnere aspirante di ponti e strade.
L'anno appresso, con decreto, è promosso ad ingegnere ordinario di seconda
classe. Qui i documenti, che abbiamo avuto sott'occhio, finiscono; nè sappiamo,
se, cessato il decennio, e i ritirossi di sua scelta, o se è licenziato
dal Borbone restaurato sul trono. Ci è forza saltare. La Società Economica di
Calabria Ultra 2.a lo propone a socio: la nomina ha luogo. E lentezza, o si sono
incontrati ostacoli? Non si sa, e fa meraviglia, come di un uomo di vaglia,
vissuto tra di noi, s'ignorino tante circostanze, che ci aiuterebbero a
lumeggiarne meglio la figura. Vero è che le abitudini del filosofo sono molto
casalinghe, che dalla famiglia ei vive diviso, che per le vie raro si fa
vedere. E di o mi ricordo, che andato studente a Catanzaro benchè mi si dicesse
che G. è allora, benchè io avessi desiderio di vederlo, non mi venne mai fatto
d'imbattermegli per via. Questa riservata usanza, e'l non avere mai insegnato, fecerosì,
che poco si dilatasse la sua fama, e ch'ei passasse quasi sconosciuto. Quando
Serravalle mandommi le sue carte, credevo di trovarci copiose notizie, od
almeno un frequente carteggio: m'ingannai: corrispondenze non mantenne, o non
conservo; più facilmente però non mantenne, perchè non ci sarebbe sta ta
ragione di conservare alcune lettere, e di distruggere le altre. Nè ciò provenne,
a parer mio, da non curanza,ma da impossibilità; correndo tempi fieramente
avversi ad ogni a c comunamento degli animi, pieni di paure e di
sospetti. Due o tre nomine d’accademie gli vennero, che noi abbiamo
trovate fra le sue carte, con una certa cura custodite: una, a socio onorario
della Valentini di Napoli, che ha a protettore il conte di Siracusa. Una
seconda, a socio corrispondente de' peloritani. Una terza, più tarda, ma non
più celebre, a socio onorario della R. Società Economica di Cosenza, sotto la
data Ecco gli scarsi onori fatti ad uomo meritevole di maggior fama!
Mittermaier, di Heidelberg, scrive intanto a Mugna, che aveva voltato in
italiano il suo saggio sulle condizioni d'Italia, quest'onore vole giudizio sul
nostro filosofo, Il genio della filosofia napoletana è la copiosa e fina
analisi dello spirito umano, sempre unita a grande dovizia d'idee e ad una
tendenza pratica. Qui appartengono le opere di Galluppi, e di G. peculiarmente
l'ultima di questo. Esaminando l'autore i saggi de'suoi predecessori, anche de
filosofi tedeschi, ed entrando in minute particolarità, intorno a'varî
pensamenti sul l'origine delle idee, seguesi con piacere nel suo ingegnoso
sviluppo,e si ammira la sua fina analisi intorno alla natura delle conoscenze
pure e cono scenze dimostrative. Così scrive il giureconsulto tedesco. L'opera di
G., a cui egli allude, e che preferisce a quelle dello stesso Galluppi, e
appunto il Saggio su la realtà della scienza umana, Napoli. Della importanza di
quest'opera, e della mira che l'autore vi si prefisse, discorreremo ampiamente:
per ora giova avvertire, che gli stranieri leggeno ed ammirano un saggio che
gl’italiani quasi ignoravano, e che i contemporanei, per non far torto ai loro
maggiori, continuano ad ignorare. Escludo da questo numero Ferri, che nel suo saggio
sulla storia della filosofia in Italia lo riporta nel catalogo dei libri
filosofici (degnazione non piccola); guardandosi, ben inteso, di accennarne
almeno lo scopo. Forse non lo ha letto. G. passa il più del suo tempo a Napoli,
dove Galluppi tene la cattedra di filosofia ed attira a sè i italiani si per
l'insegnamento vivo, come per la popolarità de'suoi elementi. A G. mancal'una
cosa e l'altra, perciò non gli riuscì di avere seguaci. E che desiderasse
farsene, l'ho raccolto da una lettera che gli scrive Zaccaro. Nel saggio
medesimo da lui pubblicato le allusioni a Galluppi sono frequenti; ma velate, e
senza citarlo di nome. La fama del suo illustre concittadino turba i suoi
sonni; ma all'emulazione non simesce nessun senso d'invidia, e molto meno
obblique arti per soppiantarlo. Tulelli anzi mi ha raccontato, che, vacando per
la morte di Galluppi la cattedra, a G. non sarebbe stato difficile ottenerla, se
l'avesse chiesta. Mostratagli questa agevolezza, ei ricusa di chiederla, benchè
la desiderasse, e non lo nascondesse: offerta l'avrebbe accettata; ma il governo
napoletano par che non lo vedesse di buon occhio. G., intanto, al pari del Galluppi
si è tenuto appartato, nè si era mescolato nei rivolgimenti politici: entrambi,
per usare una frase del Bonnet, s'erano fabbricato un ritiro dentro il proprio
cervello. Galluppi vede le stragi, gli spergiuri, ed continua tranquillo le sue
meditazioni: pubblica, in mezzo a que rimescolio, i suoi elementi di
filosofia. G. non avrebbe potuto prender parte ai casi; avrebbe potuto, ma nol
fa: la filosofia civile e battagliera e finita col patibolo di PAGANO; da indi
in poi, nel mezzogiorno d'Italia, prevalsero le speculazioni solitarie fatte ne'penetrali
della coscienza subbiettiva. GIOIA (si veda) e Romagnosi scontano nello
Spielberg il delitto di aver applicato l'ingegno alla statistica, ed al dritto
pubblico: nel Napoletano i filosofi sono esclusivamente psicologi. Non so se
bisogna far eccezione per quel Borrelli, che, sotto lo pseudonimo di Pirro. Trovavasi
G. avanti negli anni, dedito agli studi filosofici, stimato, se non celebre;
adatto adunque a rappresentare decorosamente alla camera la sua provincia. Pare
che questi numeri gli meritassero i suffragî degl’elettori politici, ed egli
riuscì eletto con molti voti, terzo fra i nove deputati di Catanzaro. L'esito
gli è comunicato dal presidente Larussa, valoroso giureconsulto, e scelto deputato
anche lui, con queste parole: Tal verbale, nell'essere il mandato legale de
poteri a Lei conferiti, è in pari tempo la testimonianza più luminosa delle Sue
eminenti virtù. G. però non fa a tempo di saggiarsi nella vita politica. La
mala fede del principe aiutata dalla inesperienza politica del popolo
insanguina le vie di Napoli e sgomenta naturalmente l'animo di chi è fatto per
la quiete dello scrittoio, anzi che pei clamori e per le zuffe delle piazze. G.,
senza infamia e senza lode, torna agl i studi. Lallebasque, scrive a Lugano la genealogia
del pensiero, e che quivi pare balestrato da contrario e prepotente destino.
Dopo la morte di Galluppi, contro la cui filosofiaa veva assiduamente
armeggiato nel saggio, è nel mezzo dì in valsa quella di Rosmini e di Gioberti,
ed, oltre a queste italiane, quella straniera d’Hegel: i due ultimi filosofi hanno
principalmente il sopravvento. Ciò da molestia a lui, costante e schietto
sostenitore della FILOSOFIA DELLA SPERIENZA. Se gli è parsa incauta e
sdrucciolevole quella che ROVERE (si veda) chiama la riservatissima filosofia di
Galluppi, è da immaginare quanti pericoli non temesse dalle ardite sintesi di Gioberti
e Hegel. In un volume raccolse adunque le critiche di questi sistemi, e di
quello di Lamennais, e pubblicollo. Pur lodando l'impresa di G., Padula
non gli dissimula però che la critica fatta d’Hegel e di GIOBERTI è scarsa al
bisogno: insta, che ci torna sopra, e che raddoppiasse i colpi; sollecita da
ultimo il filosofo a pubblicare la filosofia del pensiero, opera da G. dovuta accennare come in via di esser
composta. Quest'opera però non venne, nè la critica contro a Hegel ed al
Gioberti è rinforzata: venne bensì fuora il prospetto di filosofia ortodossa.
L'autore fin dalle prime mosse è dovuto parere sospetto di sensualismo, e
quindi pericoloso alle credenze religiose: a lui l'appunto rincrebbe, e si risolse
di scagionarsene. Divisa quindi invocare a soccorso la filosofia d’AQUINO,
valido usbergo a proteggerlo dai colpi frateschi, ed amettere in salvo la
pericolante ortodossia. Il prospetto, invero, piacque al clero napoletano, piacque
ai gesuiti; rassicura l'autore medesimo, che dove sentirsi in disagio. Padula, il
solo, credo, che leggesse allora i saggi di G. in Calabria, gli batte le mani
da Acri, suo paese nativo. Le lettere del Padula G. conserva; gradito applauso
in tanto silenzio. Padula però gli dipingeva il trionfo delle idee giobertiane
appresso i calabresi, ed in una lettera da Acri, gli scrive, non senza un certo
sgomento, così, Sia comunque, l'epopea giobertiana ha sedotto molti lettori; ed
io invano mi vado adoperando a disingannarli. Altro frutto non colsi, che di
essere chiamato bestia. A tergo di una lettera del Padula c'è una bozza di
risposta dove G. racconta le liete, e non sose oneste, accoglienze fatte al suo
ultimo saggio da Sanseverino. Ricopio le sue medesime parole, Oltre l'articolo
inserito nella Civiltà Cattolica, al quale accenna la sua pregiatissima
lettera, un altro forse se ne pubblica nel Periodico la Scienza e la Fede. E parmi
che anche il clero napolitano ha accolto con favore il mio piccolo lavoro; il che
io debbo precipuamente alla imparzialità e dottrina di Sanseverino, professore
di filosofia a Napoli, il quale ha una meritata riputazione presso il clero
anzi detto. È ben sì indipendente data l favorevole opinione il suffragio de'
redattori della Civiltà cattolica. Ho detto di dubitare, che queste accoglienze
sono oneste, quanto sono liete. Il clero napoletano allora, e i gesuiti
specialmente mirano ascalzare la filosofia di GIOBERTI, a denigrarla, ametterla
in mala voce. Gioberti filosofo non e forse la secreta n:ira de'loro strali: tirano
al filosofo per colpire l'uomo politico: guerreggiano la costui filosofia per
vilipendere quel senso d'italianità che traspirava da tutte le pagine
dell'illustre torinese. In quella che Padula aveva chiama l'epopea giobertiana,
la filosofia non e se non un episodio solo; e se gran parte d’italiani corse
dietro ai pensamenti di Gioberti, vi cor eso spinta da quel caldo
patriottismo, onde il filosofo sa ravvivarli. Gl’italiani hanno più sicuro, che
non gl’uomini fatti, il presentimento dell'avvenire. I gesuiti se ne sono
accorti, e festeggiano l'opera di G., perchè vi trovano un poderoso aiuto. Non
dico che G. sospetta le riposte intenzioni de'suoi lo datori; egli accetta la
lode, perché la crede di buona fede. Nell'annunzio che ne dà a Padula, e che
noi abbiamo ri ferito, c'è la ingenuità, e direi quasi il candore di un
fanciullo che non ha pratica del mondo. Ecco ora l'intonazione dell'articolo
della Civiltà cattolica: ne cito solo il primo periodo: ex ungue leonem. Lode
al cielo! Mentre tanti italianissimi fanno di tutto per intedescare la
filosofia italiana, intenebrandola colle larve di quell'assoluto che sfuma nel
vacuo del possibile, e colla nullità di una logica che teorizza la
contraddizione, sorge all'estremità d'Italia, nella patria degli Archita, dei
Zenoni, dei Campanella, dei Galluppi un ingegno sdegnoso di tale
schiavitù, che tenta richiamare gl’italiani a pensamenti meno aerei spezzando
gl’idoli adorati oggi dì dalla filosofia eterodossa, e congiungendo
l'osservazione di fatto colla generalità delle idee. Qui la frecciata va agli
hegeliani; e'l contrapposto fra italianissimi e tedescanti non puo essere più
abilmente, o più gesuiticamente messo in rilievo: non basta però a colorire
intero il disegno dell'articolista, ed ecco un 'altra frecciata, che mira più
addentro. Oh questo sì, che potrà dirsi un vero rinnovamento di filosofia italica!
e ne gode l'animo di poter vaticinare alch. A. esito migliore e maggior
riconoscenza per parte dei suoi concittadini, di quella che sperar possono
certi rinnovamenti di filosofia italica, i quali tentano di ri-suscitare i
sogni di Pitagora e di Zenone per fingersi italiani, mentre in verità altro non
sono che triste imitazioni del protestantesimo tedesco, o dell'eccletismo
francese. Mentre costoro per dare lo scambio a gl’italiani vanno nella Magna Grecia
ad invocare la Pitonessa, perchè risusciti dalla tomba i profeti del
paganesimo, all'estremità della magna Grecia presso la calla del cattolico GALLUPPI
la provvidenza fa sorgere un ingegno singolare, che passando dalla milizia alla
scuola sembra con trapporsi al Renato, che abbandona la milizia per combattere
la scuola. Fin qui il gesuita. Ordunque, notoio, quando si vuol filosofare alla
tedesca, l'Italia è la patria degl’ARCHITA DI TARANTO e di ZENONE DI VELIA, e non istà bene curvarsi
a gioghi stranieri: quando poi si risale a Pitagora, ch'e stato modello ad Archita,
ed allo stesso Zenone da voi indicato, ecco che questi diventano a un tratto
profeti del paganesimo. Potremo sapere a quali filosofi bisogna ricorrere per
aver il vostro pieno beneplacito, padre reverendo? La lettura della bella
sua opera mi fa sentire anche più la perdita che io ho fatta; e che sarebbe per
me irreparabile se non mi riuscisse di vederla nelle poche ore che passerò in
Napoli prima di ripartire per Roma. Se in tale occasione potessi ricevere l'onore
di una sua visita, mi stimere i felice di conoscere il ristoratore della
filosofia ortodossa. Mi son fermato su questi giudizî, perchè qualcuno ne ave
va indotto, aver G. nel suo saggio cangiato via, ed essersi accostato ad
AQUINO. G., qui come nel saggio, rimane saldo nella sua DOTTRINA SPERIMENTALE:
se di fetto v'ha in lui, è la ripetizione quasi puntuale delle medesime idee, e
delle medesime parole stemperata in molti volumi; ma cangiamenti non glisi possono
imputare. Quel che si trova dippiù nel prospetto di filosofia ortodossa è lo
sforzo di far parere tomistica la sua filosofia. Perchè ciò gli premesse, non
indovino: e per tranquillità della propria co scienza? e per capacitare gli
altri? e per aver dalla sua il clero, e col mezzo di questa cooperazione
diffondere la sua dottrina? nol saprei dire: certo la sua filosofia rimane
quasi sconosciuta, nè le lodi del clero napoletano e de'gesuiti le valsero
allora, e forse le nocquero più tardi: successe di lei ciò ch'era succeduto di
un teatro da lui disegnato, e costruito a Cosenza; il quale e disfatto per
impiantarvi un collegio di gesuiti. Ma lasciamolo là il gesuita, che non
siaccorge, quanto la filosofia di G. possa arrecar di nocumento alla sua fede: il
critico non va a cercare tanto per lo sottile, e si appaga dell'autorità d’AQUINO,e
del titolo del saggio: più in là non vede. Nè più in là vidi Taparelli, contutta
la fama di dotto, perchè in una lettera scritta al nostro G. da Sorrento lo
saluta, senz'altro, ristoratore della filosofia ortodossa. G., saputolo a
Napoli, e stato a fargli visita: non lo ha trovato, e di Taparelli,
informatone, gli scrive così. Merita egli quest'obblio? Certo che no; e
noi ci studieremo di dimostrarlo, facendo una rapida esposizione delle sue
dottrine contenute ne'saggi finora accennati. E prima di tutto: quali sono le condizioni
filosofiche delle provincie meridionali, quando egli dassi a filosofare? Quale
fine si propose egli? Quali mezzi aveva sotto mano? Queste notizie sono
indispensabili per valutare equamente il risulta to delle sue ricerche. G. ha una
coltura matematica; e, come porta questa coltura, il suo spirito ne ha attinto
un bisogno di dimostrazioni rigorose, ed un'avversione alle conclusioni
frettolose, ed alle sintesi arrischiate. Da parecchie testimonianze si
raccoglie, ch'ei diessi alla filosofia molto, quando già la fantasia è manco
vivace purne gl’uomini che più ne abbondano. E l'educazione adunque e l'età lo
attirano per quella via piana e sicura, dove un pie de va innanzi l'altro,
senza intoppi, e senza bisogno di salti. Quando all'incirca ei simise a filosofare,
Galluppi lastrica quella via, ed
additatala ai suoi con cittadini. LA FILOSOFIA SPERIMENTALE e in voga. È in
voga, male sta sempre di fronte, temuta avver saria, quella filosofia che
rivendica all'attività dello spirito un'attività produttrice ed indipendente,
benchè sotto varie forme. Locke combatte l'innatismo cartesiano, ma e stato
alla sua volta combattuto da Leibniz: l'Innatismo ricompariva sotto altro aspetto.
Non dico giàche le figure siano bell'e disegnate nel marmo, dice Leibniz; ma il
marmo non è però liscio e schietto, c'èuna certa venatura, che messa in risalto
si accosta assai alle linee che ti occorrono a figurarle. Bonnot di G.
muore a Napoli, quasi ignorato. E attorno ad altri saggi, fra i quali
un’estetica, e le Istituzioni di filosofia. Ma di questi manoscritti forse
lasciati a Napoli non si è potuto avere nessuna notizia. Condillac
ripiglia l'impresa del filosofo di Wrington, e non contento di divolgarlo tale
quale, come fa Voltaire, lo semplifica, lo facilita, sicchè la sola sensazione
fa a lui quell'ufficio, pel quale al Locke sono occorsi due coefficienti: la
riflessione del filosofo inglese era sbandita come soverchia. Condillac ha, come
suole succedere, cominciato con ricalcare fedelmente le orme di Locke, poi
aveva rifatto a modo suo: e la sua semplicità maravigliosa piacque in Francia
più della circospetta indagine del filosofo inglese. Onde, morto lui, il suo
filosofare continua, interrotto appena dallo strepito della rivoluzione, che
tenne dietro alla sua morte. Cessato, difatti, il terrore, l'anno appresso i
condillachiani ri-apparvero padroni del campo filosofico, e debbero in mano la
scuola normale, e l'istituto, che allora sorge per decreto della convenzione
attuato dal direttorio. Questo gruppo detto degl'ideologi conta nomi celebri:
Cabani s il fisiologo della scuola, Tracy l'ideologo propriamente detto,Volney
il moralista, Garat professore alla scuola normale e difensore del sistema; e
poi con loro altri che dipoi deviarono, chi più chi meno, ma che allora stano
per la medesima dottrina. Biran, Gerando, La Romiguière. Nel decennio corso fra
la cessazione del terrore e la fondazione dell'impero questo gruppo di
valent’uomini si aduna nei giardini di Auteuil, e l'amicizia degl’animi
siaccoppia ne'loro convegni alla concordia delle dottrine. Sotto l'Impero, il
cielo per loro si annuvolo. Tutti sanno il dispregio in cui il primo Napoleone
tene l'I deologia; non tutti ne sanno il motivo. Napoleone non l'odia tanto
come dottrina, quanto come partito. Cabanis, Volney, Garat, DeTracy, che hanno
visto di buon occhio il Nettuno che placa le onde tempestose della rivoluzione,
non sono più contenti, quando lo videro troneggiare da Giove. Gli tennero il
broncio, ed ei si vendica nel rimpastare l'istituto, scartando la sezione
delle scienze morali, e destituendo l'ideologia, secondo la frase di Damiron.
Villemain racconta gli scoppi della collera napoleonica contro quegl'innocenti
ideologhi, che poi non lameritavano davvero. All'ideologia Napoleone imputa di
scandagliare le fondamenta dello stato col fine di scalzarle. Vera o falsa che
fosse l'accusa, l'ideologia ne scapitd, almeno perdendo la veste di filosofia
ufficiale, e lo spiritualismo, che ne spia le mosse, la soppianto nella scuola
normale, dove Collard l'introduce. Seguace del keid, questo eloquente filosofo
sa vincere la preoccupazione invalsa, che filosofare liberamente non si potesse
fuori dell’ideologia; e che quindi o bisogna accettare lo spirito teologico del
De Maistre, o schierarsi tra gl'ideologi con a capo Tracy. Con Collard
l'alternativa e evitata, ed inaugurata la nuova scuola filosofica della
Francia, quella ch'è stata da indi in poi sempre al potere con Cousin, con
Rémusat, con Barthélémy de Saint Hilaire, con Waddington, con Simon. In ITALIA
lo spiritualismo, rinfiancato dall'eccletismo cousinjano, benchè tradotto dal
Galluppi, non fa fortuna. Gl’italiani o tennero la via degl'ideologi, o se ne
scostarono per ben altra filosofia, che non fosse l'eccletismo. Più che la
filosofia del senso comune proposta da Reid per fronteggiare lo scetticismo di
Hume, ed accettata da Royer-Collard per combattere l'ideologia, diè da pensare
agl'Italiani la filosofia trascendentale di Kant. Galluppi se ne mostra
profondo conoscitore fin da quando incomincia la pubblicazione del saggio su la
conoscenza umana; sebbene avesse dovuto studiarla nelle scarse esposizioni di Villers.
Più tardi soltanto, traduce la Critica Mantovani; ma Lallebasque e in grado di
STUDIARLA SULL’ORIGINALE, come dimostra di saper fare nella esposizione che ne
dà nella sua Introduzione alla filosofia del pensiero: caso degno di nota per
quel tempo, quando nè la lingua, né la filosofia tedesca sono divolgate, come
oggidì, non dico in Italia, ma neppure nella rimanente Europa. Le due vie
aperte, da indiin quà, sono adunque, almeno per noi, queste due: il SENSISMO ed
il criticismo. Tra queste cerca di aprirsi un varco intermedio Galluppi; al
sensismo propende Borrelli, al criticismo Colecchi. Borrelli scrive e stampa a
Lugano, quasi contemporaneamente a Galluppi, ch'ei conosce però soltanto di
nome. Colecchi insegna pure in quel torno, ma le sue questioni filosofiche non
sono pubblicate, se non piu tardi. Che G. non quindi conosce gli scritti di
Colecchi, è certo; di Borrelli si può dubitare, benchè a certi segni, che
appresso additeremo, si possa credere di averne avuto sott'occhio le opere.
Indubitato è però che siasi formato su Galluppi, e che siasi prefisso di
camminare su la via dischiusa dal suo gran concittadino, evitando gli
sviamenti, in cui l'altro era incorso, e tirando più dritto alla meta. Più
dritto e difilato procedette in realtà; ma verso dove? Parve a G. che Galluppi,
scambio di fondare LA FILOSOFIA DELLA SPERIENZA, come si era proposto, per
incaute concessioni al kantismo, e finito con darsegli in preda. Cotesto
sviamento ei combatté a tutt'oltranza ne'primi saggi, come nell'ultimo; prima copertamente,
e senza pronunziar ne il nome, poi alla svelata. Onde a me non piccola sorpresa
ha cagionato il giudizio di certi nostri storici e critici ad orecchio, i quali
confondono Galluppi con G., come se professassero la medesima dottrina. Capisco
che il titolo, comune ad entrambi, di FILOSOFIA SPERIMENTALE, ha potuto trarre
in errore i prelo dati giudici; ecompatirei lo sbaglio, s'ei fossero
dilettanti; ma è da condannare severamente in loro, che si danno l'aria di
scrivere storie e critiche, senza leggere neppure i saggi istoriati e
criticati. Tornoora a G.. Per dimostrare il processo storico de'due
opposti avviamenti, ei ricorre alla sorgiva: rifà quindi la storia de sistemi
filosofici moderni, ed ammaestrato dagl’errori altrui ripropone il problema, e
si accinge a risolverlo. Anche qui l'influenza di Galluppi è manifesta, avendo
questi pel primo rimesso in onore appresso di noi la storia della filosofia, e
dato il più lucido esempio d'innestare le ricerche proprie con le indagini fatte
prima da altri sul medesimo soggetto. G tuttavia ritesse la medesima storia con
altro intendimento; perciò la sua non è ripetizione di quella fatta da
Galluppi, e vale il pregio di essere esposta e conosciuta in disparte. La
filosofia per G. si aggira sul problema della scienza umana, nè più né meno,che
per Galluppi: il titolo delle due opere capitali scritte dai due filosofi
calabresi accusa la medesima intenzione. Il Galluppi scrive il saggio
filosofico sulla critica della conoscenza; G., il saggio su la realtà della
scienza umana . Questa similitudine ha tratto in errore alcuni storiografi da
frontispizî, perchè dalla intestazionesono corsi,senz'altro, ad asserire che
Galluppi e G. professanol a medesima dottrina. Se non che, questa volta l'hanno
sbagliata; chè se il problema è lo stesso in entrambi, la solu zione è diversa
non solo,ma opposta. G scrive col manifesto divisamento di combattere la
soluzione gallup piana. Già nella stessa intestazione il filosofo di Mesuraca
accenna a questo punto capitale del suo saggio, ch'è la real tà della
scienza,compromessa,a parer suo, dalla spiegazione accettata dal filosofo di
Tropea. Ma seguiamo ilprocesso storico delproblema,com'è espo sto da G.
Galluppi aveva dato l'esempio di accoppiare alla sua Ancora non gli eran potute
essere note le tre epoche distinte da Comte, che par di non aver conosciuto n e
p pure dopo, e già egli tripartiscela storia della filosofia, a un di
presso,con un criterio analogo a quello del filosofo francese. Nella prima
epoca la ragione, baldanzosa per inesperta filosofia, silibra a volo,e tenta
costruzioni metafisiche, tenendo scarsissimo conto della scienza principale, e
facendo ne quasi un'appendice delle sue fantastiche cosmogonie. Nella
seconda,ella piglia per verità le mosse dal proble ma del conoscere; matostolo
abbandona, sedottadallame tafisica. Nella terza, la ragione rinsavita si
propone chiaro il suo cômpito, ed'altronon sibriga; se non che, pur nelle
soluzioni del problema conoscitivo, di quando in quando, fa capo lino il
razionalismo. Insomma l'esosa metafisica, lo scapestrato razionalismo sono per
G. il vero ostacolo, che non lascia passar la vera scienza per la sua via. Alle
tre epoche egli assegna questi intervalli di tempo:la prima si stende dai primi
abbozzi ionici fino a Socrate, il fondatore della definizione, e
de'ragionamenti d'induzione; la seconda da Platone e da Aristotele corre fino a
Locke; in terrotta qua e là dai tentativi di GALILEI, di Bacone, e
CARTESIO; la terza dura ancora, e dè nel meglio delle sue conquiste. 16-
dottrina la genesi storica del problema da lui riproposto; e sirifàda Cartesio
a questa parte, da Cartesio che per lui è il padre della filosofia moderna. G.
risale più in su, fino ai primordî della filosofia greca, senza perder d'occhio
però il problema della scienza. Il suo criterio storico è semplicissimo: v'è
due filosofie, una che ritiene l'osservazione de'sensi,un'altra che l'impugna;e
quest'ultima, comechè si argomenti di ricostruire la impugnata testimonianza,
merita sempre il nome di razionalismo. È mestieri, dice G., distaccar del tutto
le metafisiche speculazioni dalla scienza del pensiero, per forzar la ragione
al metodo di pura osservazione. La ragione, secondo lui, ha una tendenza
precisamente contraria; ingegnandosi di rimenare all'ordine a priori quel che
trovasi dato da induzione. È necessario adunque che la filosofia n e infreni l'
impeto, e ne moderi la foga; e, per non esservi riuscita ancora, la metafisica
è rimasta stazionaria, piena zeppa di ambiziose vedute, non avvalorate
da'fatti. Positivo progresso della filosofia d'oggi dì è quello di essersi
ridotte le ricerche metafisiche, che untempo formava no la sterile ricchezza
degli scritti filosofici. La stessa avversione ha G per lo spirito teologico.
L'intervento divino nella spiegazione de'fenomeni na turali vale quanto la
macchina nello scioglimento del nodo diuna tragedia. Perocchè è ben facile
espediente ilriporta re ad una causa sovrannaturale quegli effetti, che non siè
saputo ricondurre alle cause naturali. Soggiunge innota una riserva, èvero;
dichiara di non voler impugnare i miracoli: il punto principale non è mensaldo
però, l'esclusione loro dalla scienza. Qui G., sia che lo conoscesse, o che
s'incontras se con Comte, si mostra cosi aperto avversario dell'intervento
divino, come delle ipotesi metafisiche: teologia, e razionalismo sviano dalla
vera scienza. Il tradizionale metodo della filosofia telesiana rivive dopo tre
secoli in G.: fondamento della scienza è la sola osservazione; e nondimeno
riserva di ossequio verso l'autorità religiosa, da parte degli autori. G.
rivolge ai fenomeni del pensiero quella osservazione, che TELESIO aveva rivolto
a'fenomeni naturali. Il metodo ch'ei si traccia, e che si studia di seguire, è
il seguente: osservare i fenomeni primitivi, ridurli fino agli elementi
irreducibili. La filosofia intellettuale, ei dice, dopo aver riconosciuto i
fatti attuali di coscienza dee saggiar di risalire di riduzione in riduzione al
fatto primitivo, alla pura veduta intellet Quali sono i fenomeni primitivi del
pensiero a cui si ferma? Sono tre, la sensazione, il giudizio, il volere;
quindi tre parti principali della filosofia, estetica, logica, etica. Lasciando
di vedere se questi tre sono proprio i fenomeni irreducibili, certo è però che
il metodo da lui seguito è precisamente quello tenuto dalle scienze esatte.
L'autore non dissimula il bisogno da lui sentito di applicare alla filosofia il
metodo delle matematiche, alle quali s'era da prima ad detto, e dal cui studio
deriva in gran parte il riscontro che si può scorgere tra la sua filosofia e
quella che nel torno medesimo si coltivava in Francia sotto il nome di
filosofia positiva. Eppure, esclama G., non v'è chi passando dalla evidenza
delle matematiche alle ricerche filosofiche non senta irrequieto il bisogno di
sortir fuori delle incertezze, in cui vede implicato il sistema della scienza.
Come dalla semplice osservazione lo spirito possa sollevarsi alla riduzione
scientifica de’ fenomeni, G. descrive in modo molto preciso; e tale che merita
esser riferi to con le sue stesse parole. Ma l'esperienza non è l'osservazione
empirica, che si arresta a'fenomeni isolati. Il metodo sperimentale si giova di
tutti i nostri mezzi per iscovrire la connessione de' fenomeni; del
ragionamento astratto, della induzione, delle sperienze artifiziali, delle
ipotesi. Con sì varî mezzi la fisica lavora alle classificazioni de'fenomeni
esterni,a ridurre i fenomeni particolari a'generali, a rilevare dal corso della
natura le sue leggi, cioè le costanti condizioni de'fenomeni, le une costanti e
permanenti, le altre costanti nel cangiar dei fenomeni. In tal divisamento non
mira soltanto a minorar tuale. l'ignoto, che resta limitato
a'fenomeni irreducibili, ma ad uno scopo più positivo, a quello diprevenir
l'esperienza, e somministrar così preziosi materiali a tutte le arti. Chi
ricorda il motto del Comte: savoir c'est prévoir riconosce di leggieri il
riscontro de due filosofi. Nè risalta meno la comune mira di ridurre i fenomeni
fino all'estremo limite, affine di minorare l'ignoto. Trasportando ora il metodo
teste descritto alle investigazioni filosofiche, G. procede cosi; osserva,
cioè, i fatti della coscienza, qual'è attualmente, e di riduzione in riduzione
risale fino ai primi elementi, ond'ella è stata generata. Egli stesso formola
il suo problema in questi termini: coi mezzi che sono in nostro potere,
ritrovar la generazione delle verità, di cui siamo in possesso. Questo metodo
ei lo chiama genealogico; e la parola ed il concetto si trovano inun altro
filosofo italiano, noto a G., in Borelli, che intitola la sua filosofia,
Principii della genealogia del pensiero. Fino a che punto s'accordino nel loro
intento, toccheremo appresso. Qui basta notare, che la filosofia vera, la
filosofia seria per G. comincia con quest'analisi minuta degl’elementi primi
del pensiero. Dimodo chè sebbene ei lodi Aristotele di aver ammesso la realtà
delle idee universali,e più ancora di essersi fondato sul senso, nondimeno, poiché
lo Stagirita vi arrivo quasi di lancio, e per un'affrettata generalizzazione, il
nostro filosofo non ripigliala vera storia da lui. Il primo saggio genealogico
del pensiero sembra a lui, essere stato il Saggio sul'intelletto umano di
Locke, che pure Galluppi chiama immortale. Quel saggio, caduto poi
indiscredito, ha una meritata rinomanza; e la fama è più fondata del
discredito. La filosofia inglese mette capo tutta quanta in esso; la francese
del secolo trascorso ne deriva; alla tedesca, iniziata da Kant, di è il primo
urto per mezzo di Hume. Oggi di, appresso di noi. Il principal merito del
filosofo di Wrington – cf. Grice, il filosofo d’Oxford – vade buoi --, il
filosofo di Harborne -- è agl’occhi di G. quello di aver combattuto ad oltranza
le idee innate. Ritenere tutte, o alcune idee per innate, porta necessariamente
per conseguenza di non ricercarne l'origine; e quindi impedisce il progresso della
filosofia, che tutta si dee travagliare attorno a questa ricerca. Cartesio e
Leibniz, che si credono di averle ammesse, in realtà le ritennero come semplici
disposizioni; e è per colpa di una improprietà di linguaggio se s'imputa a loro
diaverle accettate. E qui da una toccatina a Galluppi. Ma il sistema lockiano,
nel rintracciare la genealogia del pensiero, omise moltissimi atti mentali che
vi concorrono; ed è omissione scusabile in un primo tentativo, ed in ricerca
cotanto complessa. Locke da, per dir così, una formola generale, alla quale sono
applicabili più valori: Condillac si avvisa di darle un valore preciso; ma
precisando, disvia. Locke, difatti, aveva riconosciute due sorgenti delle
nostre idee, la sensazione, e la riflessione: quest'ultima non è ben definita,
è una funzione che accoglie un po'di tutto, giudizio, astrazione, ragionamento,
volontà, è in definita, si confonde con la coscienza: Condillac dà un va si è
più giusti verso del modesto, del sincero, del pazientissimo Locke; smessi i
superbi fastidî delle sintesi frettolose: al tempo che scrive G. le
invettive giobertiane sono accolte senza molti scrupoli; ed al filosofo
calabrese è gloria non esser se ne lasciato smuovere. Galluppi lo pregia assai,
ma i consigli del buon vecchio cominciano ad aver poca presa su gli animi de'
filosofi. Fuori d'Italia Herbart fa tanta stima del Saggio lockiano, che a Clemens,
il quale lo richiede intorno alla filosofia da insegnare ne’ginnasi,
risolutamente risponde: dal maestro di filosofia ne'ginnasi anzi tutto ed
assolutamente richiederei che avesse letto Locke. ore preciso, riduce
tutto alla sensazione, o semplice, otra sformata: sentire è giudicare. G. fa
della sensazione e del giudizio due fenomeni irreducibili; egli non può dunque
nè contentarsi dell'ambiguità della riflessione lockiana, ne molto meno della semplicità
della sensazione condillachiana. All'osservazione de'fatti gli pare che
Condillac ha sostituito la tortura del fare sistematico. Gran merito di Kant è
quello di avere scorto l'importanza del giudizio, di questo fenomeno
irreducibile, stato da Condillac confuso con la sensazione. Pel filosofo di
Koenisberg gl’ultimi elementi delle nostre idee sono da una parte le
sensazioni, dall'altra i giudizî – potch e cotch: i due elementi appunto che al
nostro filosofo paiono indispensabili alla soluzione del problema che si è
proposto. Ma con questo gran merito egli imputa a Kant una gran colpa, la
soggettività de’rapporti; vizio che gli sembra infettare la filosofia. La
soggettività di Kant però, e G. ne conviene, è una necessità storica. Locke dice
che tutte le nostre idee nascono dalla sperienza, e che un'idea originale
semplice non può derivare quindi da un ragionamento: Hume accetta le premesse,
e continua: ma l'idea di causa non. Per lui, come per d'Alembert, la facoltà
distintiva dell'essere attivo e intelligente, è quella di poter dare un senso
alla parola è: ora Condillac questa distinzione l'ha distrutta; i J tà el Se
elementi soggettivi, egli nota, simescono co'dati sperimentali, in tale ipotesi
non conosceremmo quel ch'è nel fatto osservato, ma quelcheci apparisce esservi;
tal chese spogliamo il fatto di ciò ch'è nostra proprietà, la nostra conoscenza
svanisce.Si vuol che siano elementi soggettivi le idee di spazio, di tempo, di
sostanza, di causa? Togliete via dunque dagl’oggetti esterni e dal proprio
essere siffatti elementi; e la scienza della natura, e dello spirito è
distrutta, può derivare dalla sperienza; dunque non c'è. Cosi tutta
la scienza della natura anda in aria, e Reid sirifugiò nel senso comune, in una
credenza irresistibile, istintiva: Kant ammise degl’elementi aggiunti
dall'attività dello spirito. G. nota con molto accorgimento, che in sostanza il
senso comune, di cui tanto si compiacciono certi filosofi anche oggi di, non
salva nulla; che per giunta è pieno di contraddizioni, perchè introduce
classificazioni e distinzioni arbitrarie, mentre si è prefisso di accettare le
comuni credenze tali quali si trovano nella coscienza volgare; che tra Reid e
Kant, per ciò che riguarda la realtà della scienza, non c'è punto di di vario.
Kant nello spiegare il fenomeno lo sfigura, e lascia sco vrire il dubbio: la scuola
scozzese tiene occultato il dubbio perchè non imprende la spiegazione del
fenomeno. È Bravo G.! Egli non si lascia appagare dalle parole, e ci vede ben addentro;
e sel'ha conKant, sa rendergli giustizia, nè condannando lui, assolve quelli
che sono intinti della stessa pece. Ed ora viene il buono.Nella dottrina
kantiana ei capisce subito, che non il numero degl’elementi soggettivi aggiunti
dallo spirito, ma l'aggiunzione sola, quanta che fosse, è sufficiente a
compromettere la realtà della scienza umana. Certi nuovi critici, che in
filosofia credono poter servirsi della stadera, han detto, per esempio: Kant
ammette intuizioni pure, categorie ed idee, tutte a priori, Galluppi, invece,
appena appena dà per soggettivi i due rapporti d'identità e di diversità, dunque
è lampante ch'ei si an discosti le mille miglia uno dall'altro. sta
dunque la differenza, in quanto alla realtà delle nostre conoscenze, tra il
proscritto sistema kantiano, e la favorita dottrina della scuola di Reid! que
G. scrive così: basta il supporre una pura veduta dello spirito il solo
rapporto d'identità e di diversità, apporto fondamentale delle
nostre conoscenze, per ricadere nel realismo empirico del sistema kantiano. Nè
contento acid, altro ver incalza la sua osservazione in questi termini.
Mettiamo ora in disparte il sistema kantiano; cangiamo la sua ripartizione tra
gl’elementi soggettivi e gl’oggettivi accordando più largamente alla sperienza;
o anche tutte le idee diciamole derivate dalla sperienza, e riteniamo bensi
solamente che non sono condizioni oggettive i rapporti anzidetti appresi tra le
sensazioni; noi ricadiamo apertamen te nel realismo empirico della filosofia
critica. Per G. il kantismo consiste nell'applicazione d’elementi soggettivi
alle sensazioni: dovunque riscontra questo medesimo processo ei riconosce
ritenuto il fondamento della filosofia kantiana. Ei si maraviglia anzi che gli
altri non siansi accorti di questa medesimezza. La storia nota a stupore della
posterità, che i filosofi tutti hanno accusato d'idealismo il sistema kantiano,
e che niuno ha avvertito, l'idealismo esser nella supposta natura soggettiva
delle idee di rapporto. Quale sarebbe stata la maraviglia di G., se avesse
vistoche, quando ebbe notata cotesta somiglianza SPAVENTA, contro lui gridarono
tutte le oche, vigili sentinelle della rocca filosofica. Parve denigrazione
della filosofia italiana, quella ch'è critica aggiustata e seria: parve così a
coloro, iquali se ne predicano sostenitori, quando non l'hanno studiata,e forse
neppure letta. Ma torniamo a G.. Ei non cita Galluppi in tutto quanto il saggio,
se non una volta sola; egli però scrive il saggio per combattere la dottrina
del suo gran concittadino, che gli pare derivata a dirittura da quella di Kant.
Che però miri a Galluppi, apparisce da un'apposita nota al saggio. La dottrina
degl’elementi soggettivi, ei dice, è stata da noi detta soggettivismo per
denotarla qual vizio radicale del metodo filosofico. Può anche dirsi formalismo,
riferendosi alle forme pure di Kant, che sono gl’elementi soggettivi. Noi
abbiamo preferito finora la prima espressione per la considerazione, che nelle
dottrine attualmente in vigore si abbraccia l'ipotesi degli elementi
soggettivi,e non vi si parla di forme. E siccome credono alcuni di non
incorrere nell'idealismo di Kant,tuttochè adottano quella ipotesi;noi nel
combatterla sotto qualunque aspetto,dovevamo ritenere il nome or generalmente
adottato, quello di elementi sogget tivi.Se cifossimoinvecediretticontro
ilformalismo, po teasi credere che prendevamo di mira il solo sistema kantia
no.Insostanza,ladistinzionedimateriaediformaintal sistema serve a render più
potente l'idealismo,che si rac chiude nella dottrina degli elementi
soggettivi.Quindi si son messe in disparte le forme kantiane, e si sono
adottati gli elementi soggettivi che Kant appello forme. Ecco come da taluni si
è creduto evitare l'idealismo kantiano! Per G. adunque il divario fra Kant e Galluppi,
ed anche tra Kant e Rosmini,come vedremo appresso, era più dinomeche d'altro.
Che cosa ne dirà Acri? checo sa ne diranno tutti quei ciarlatani grandi e
piccini,che sen zaaverlettoneppureifrontispizîdelleopereche citano,lo
mitriarono vindice della filosofia italiana ? Ai ciarlatani è inutile rivolgere
nessuna domanda;al pro fessore Acri domando che cosa voleva dire,quando scrisse
a proposito di Galluppi il seguente giudizio ricavato da G. Ma perciò che
Galluppi e Kant affermano tutt'e due che questeidee (identità e diversità) sono
soggettive es'accordano nelleparole,ne vuoi dedurre che Galluppi sia kantia n o
? Il tuo argomento sarebbe questo nè più né meno: quell'anima le lì è cane;
quella costellazione lì è cane: quello abbaia; dunque quell'altra deve pure
abbaiare. Se si considera ilpensiero di Galluppi su questo argomento,quantunque
non molto lucido e netto, come ha notato quel nostro G. degnodimaggiorfama,
sivedesubitochel'idea diidentitàhavalore oggettivoereale, perchènasce dall'i
dentità reale dell'io come cosa,non altrimenti che l'idea di unità (Acri,
Critica). Quando lessi questa scappata d’Acri, mi misi a ridere: tralasciai
pero di tenerne conto nella risposta che gli feci, non volendo entrare nella
esposizione di G.,che sa pevodidovere scriveredopo:eccomioraapoternefartoc care
con mano la falsità. Stando all'Acri, adunque,quel nostro G. aveva notato
benissimo che per Galluppi le idee di identità e di di versitàerano oggettive;
chesoltantonellaespressioneave va questi mancato di lucidezza. Ha ACRI (vedasi)
letto davvero il Saggio di G.? Io credo, edebbocrederedino, perchè intutt'iquat
tro volumi,quel nostro valoroso concittadino d'altro non biasimail
Galluppi,pursenzacitarlodinome,che diaver accettato dal kantismo la
soggettività de'rapporti, segnata mente poi di questi due d'identità e di
diversità. Acri, seavesselettoillibro,non sarebbeuscitoin quella
citazione,inesatta non solo,ma assurda ;chi pensi, che G. ad altro fine non
scrisse,che a rilevare la medesimezza de'risultati, per rispetto alla realtà
della n o stra scienza,si delle forme kantiane, come degli elementi soggettivi
di Galluppi. Capisco che Acri potevafar a fidanza con l'ignoranza assoluta
de'suoi ammiratori in fatto di storia della filosofia, ma egli non doveva
contare per niente,dunque,neppure isuoi contraddittori? Padronissimo di
creder lui,che que'rapporti per Galluppi sianooggettivi,ma perchè volertirare
dallasua anche G.,che tutta la vita scrisse appunto per dimostrare il
contrario? È un po'troppo, parmi. Finchè visse Galluppi, G. non riflni dal com
batterne la dottrina, congrandeinsistenzaforse, delche si scusava;ma con
profonda convinzione, edopo averne lunga mente ponderato quelli che a lui
parevano inconvenienti gravissimi. Nol nominò però mai,altro che una volta
sola, e per lodarlo. Morto che e Galluppi, scrivendo egli l'ultima sua opera
col titolo di Prospetto della filosofia ORTODOSSA, smette laprima riserva, elocombatte
no minatamente . Ripetendo le antiche obbiezioni,egli scrive cosi. Su tutto
quel che abbiamo qui osservato intorno alla dottrina della sensazione
essenzialmente percettiva, e della soggettività delle idee di rapporto, dobbiamo
anoistessiil far noto a'nostri cortesi lettori,che le stesse osservazioni, più
estesamente sviluppate,furono fatte di ra gione pubblica, e non abbiam poi
cessato di riprodurle in parte,e ripetutamente in varii articoli pubblicati in
diversi giornali. Dimodochè rimane fuori di ogni controversia, che G. ha inteso
combattere la dottrina di Galluppi su la soggettività de'rapporti, e che ha
creduto essere questa dot trina conforme a quella del criticismo. Potrei anzi a
g giungere,che la soggettività de'rapporti parve a G. concedere più di quel che
Kant medesimo ricercasse:«tutto, egli avverte, si accordava a Kant, anzi ancor
più di quanto questiesigea,quando gli si accordava,che le idee di rap porto
sono elementi soggettivi. E perchè dippiù? Perchè Kant limitava almenoilnumero
delle sue forme; mentre la tesi galluppiana della soggettività spaziava più
largamente. Ecco le strette in cui G. pone questa filosofia. Finché
siritiene,eidice, da'filosofilanatura soggetti vadelleideedi rapporto,
restainconcusso ilprincipio,che isensi non possono altrodarcichenude
sensazioni. Questo principio o rovescia per intero il sistema sperimentale, o
deve ammettersi che tutte le nostre idee sono sensazioni:ad un estremo
èilformalismoassoluto, all'altroestremo è il sensualismo. Nelle forme pure
dello spirito si modella in ideel'informemateriasensibile,dice ilformalista:tutte
le nostre idee sono sensazioni, o primitive o trasformate, dice il sensualista.
O Kant,o Condillac:eccoilbivio della filosofia, secondo il nostro filosofo.
Perchè questo bivio? Perchè due soluzioni sono possibili, quando non si tien
conto di tutti nostri mezzi del conoscere. Questi mezzi sono due :sentire,e
giudica re;ridurli entrambi ad un solo,importa o lasensazione tra sformata di
Condillac, o ilformalismo kantiano. Formalista è dunque Galluppi, formalista
Rosmini ; entrambi costretti ad ammettere tutt'igiudizi come sinteti ciapriori.
Se l'idea di identità fosse un elemento soggettivo,come essi opinano,e perciò
addizionale alle due idee,il nostro giudizio sarebbe in tutti casi sintetico a
priori. Ma Galluppi combatteigiudizîsinteticiapriori,sidi ilcorollario previsto
da G. non lo tocca dun que .Così ragionerebbe chi si fermasse alla
buccia delle q u e stioni;noncosì G., ilquale vipenetraaddentro. È una
contraddizione, eglidice,dicuiilfilosofonon s'èac corto, perchè la vera dottrina
è quella che non dipende dal la intenzione, o dalla professione di fede che fa
un autore, ma quellachesifondanellalogica. Avete un bel dire che giudizi
sintetici a priori non volerà; Non si è dunque avvertito, che son due tesi
contraddit torie, il non esservi giudizî sintetici a priori, e l'essere ele
mento addizionale l'idea d'identità ». (loc.cit.). te
ammetterne,quando poisostenete che ogni rapporto è un'identità o totale o
parziale ; e quando soggiungete che questa identità è un'aggiunta dello
spirito. Quale dottrina contrappone ora G. a quelle del Condillac, e del criticismo?
L'uno dice: giudicare è sentire; l'altro, seguito da Rosmini e da Galluppi,
diceva:giudicare è aggiungere; G., discostandosi dal primo e dal secondo,
dice:giudicare èosservare. Ma prima d'intendere il significato nuovo,ch'ei dà
alla funzione del giudizio,necessita ricordare com'egli abbia in teso la
sensazione. Né Locke, nè Condillac distinsero abbastanza la sensazio ne dalla
percezione ; Condillac anzi le confuse affatto. Alla stessa confusione fu
sforzato Galluppi.Tralascio le osser vazioni sui primi due,mi fermo a quelle
che vanno dritte contro la spiegazione galluppiana,ch'è lamira principale di G.
Due sbagli commette Galluppi,uno di confondere ilsen - timento con la
coscienza; l'altro di confondere la sensazione con la percezione. « Il
sentimento e la coscienza del sentimento sono nel n o stro spirito cosi
abitualmente congiunti,che più filosofi han confuso i due fatti affermando, che
sentire ed esser conscio di sentire non sono che una operazione medesima dello
spi rito. Confondendo la coscienza della sensazione con la sensazione, non si
sono avveduti que'filosofi, che ciò era un confondere il conoscere, il
percepire col sentire, con fusione che essi medesimi rimproverano a'sensualisti.
Queste due confusioni erano state fatte veramente dal
Galluppi,avendoeglicompresosottoilnome disensibilitàin Il simile si
dica della idea dell'ente, che Rosmini aggiunge ad ogni giudizio; su la quale
torneremo altra volta. Sentire il me sensitivo di un fuordime,
glidice G., è la più forzata contrazione, che potea darsi all'e spressione del
fatto di coscienza. L'industria adoperata da Galluppi per nascondere questi
giudizî elementari e primitivi proviene,a parer del nostro fi losofo, dal
perchè egli li aveva tenuti per sospetti di sogget tivismo.Questo medesimo
motivo lo indusse ad ammettere le sensazioni oggettive, senza bisogno di
spiegare il passag gio dal sentire al percepire . Leibniz e d'Alembert,
entrambi geometri, e prima di loro anche il Malebranche, avevano riconosciuto
il bisogno di spiegare il passaggio dal me (cf. GRICE, PERSONAL IDENTITY) al
fuor di me: i due primi avevano anzi proceduto più avanti,additando come mezzo
l'induzione; Galluppi tagliòcorto, negò ilproblema stesso; affermando non esservi
luogo a passaggio, quando la sensazione coglie immediatamente l'oggetto. Doppio
sbaglioadunque da parte di Galluppi: primo, aver disconosciuto igiudizî
primitivi;secondo,aver rifiutato,per la conoscenza del mondo esteriore, il
soccorso della induzio ne . Contro i giudizî lo aveva prevenuto la dottrina
kantiana de'rapporti soggettivi ; contro l'induzione,il presupposto che
nessun'abitudine posteriore avrebbe potuto fare ciò che un atto primitivo non
aveva potuto.Se una prima sensazio ne non mi fapassare all'oggetto
esterno,come, diceva il Galluppi, mi ci potrebbe abilitare una seconda od una
terza? Eppure de'giudizî abituali che si frammischiano alle sensa zioni aveva
toccato prima Malebranche, poi Condillac ; - terna il sentimento e
la coscienza del me; esottoil nome di sensihilità esterna la sensazione e la
percezione . Perchè dal sentimento si va daalla coscienza, edallasen
sazionealla percezione ci vuole il giudizio; non il giudizio galluppiano che
aggiunga rapporti soggettivi, ma ilgiudi zio che osserva,ed osservando
distingue i rapporti reali delle cose. e della forza dell'abitudine Hume, e
della efficacia della in duzione avevano accennato Leibniz e D'Alembert! G.
riassume e tesoreggia isaggi de'suoi prede c essori, e li compi e così .
associazione adunque spiega l'origine : l'induzione as sicura la realtà; come
si può assicurare, beninteso, una ve rità contingente, la quale non esclude mai
la possibilità del l'opposto. Coloro i quali han posto mente alla sola
abitudine fonda ta su l'associazione,han detto :ma qual garantia ci porge ella
della sua realtà ? Così son rimasti nel circolo descritto da Hume. G., s chi
vale prime e le seconde difficoltà, e formola il processo genealogico cosi:
l'associazione comincia, senza badare alla realtà;l'induzione legittima ciò che
trova, senza doversi brigare del cominciamento. In siffatta guisa il nostro
filosofo fa capitale di tutt'i saggi parziali tentati prima di lui, licollega, liordina,
licompie uno con l'altro :la sensazione e igiudizî abituali, intrave duti da
Malebranche e da Condillac ;l'osservazione, indefi nitatralemanidi Locke,
edalui meglio precisata; lamas sima aurea del criticismo:pensare è giudicare
;la virtù dell'abi tudine,messa a rilievo da Hume;la induzione accennata da
Bacone in generale,additata da Leibniz e da D'Alembert a scenze
provvisorie. La sensazione dà iprimi dati, il giudizio osserva i rapporti chevisonocontenuti;
l'associazione delle idee ci for nisce leconoscenze prime concernenti ilmondo
esterno,in via provvisoria ;l'induzione,più tardi,legittima le cono Gli
altri,invece,ponendo mente alla tardiva comparsa della induzione, hanno
osservato, come Galluppi: ma la induzione vien troppo tardi a farmi passare
alla realtà ester na,richiede troppi congegni,troppe industrie,dicuil'in fante
non si può supporre capace. proposito della conoscenzadelleveritàdifatto.Bacone,di
fatti,dicendo:sensus tantum 'de experimento, esperimen tum de rejudicet,aveva
enunciato un canone applicabile piùaifenomeninaturali, chealnostromodo
diconoscerli: l'applicazione speciale alla nostra conoscenza si deve a'due
geometri filosofi, cioè a Leibniz ed ad Alembert. La storia intanto invece di
attribuire agli anzidetti filosofi la debita lode di essersi accostati sempre
più alla soluzione delproblema delconoscere, ricorda le macchine artificiose
de'lorosistemi,l'occasionalismo, l'armonia prestabilita,e simili deviamenti
dalla salda filosofia. Galluppi poiagli occhisuoihailtorto non solodinon aver
profittato de'saggi antecedenti, ma di essere indietreg giato anche al di là di
quel che aveva avvertito ilCondillac. Questi aveva ritenuto per obbiettivo, o
percettivo il solo tatto: Galluppi estese l'obbiettività a tutti i sensi,
occultan do la difficoltà invece di scioglierla.La realtà oggettiva de gli
esseri esteriori,ei dice,ha bisogno di essere legittimata: ciò che non veggono
alcuni odierni scrittori,iquali sup ponendo naturalmente percettivi dell'oggetto
esterno i nostri sensi, credono con ciò avere abbastanza legittimata la realtà
dell'oggetto esterno. Galluppi diffidando di tutto ciò che ci viene in origine
per mezzo de'giudizî, trasporta alla sensazione quanto im mediatamente
siapprende con l'atto del giudizio. Ei non s'accorge che c'è una contraddizione
manifesta tra la realtà oggettiva delle idee e la natura soggettiva de'rap
porti Ondechesquadrilaquestione, G. torna,edin siste sempre su
questo vizio radicale della dottrina gallup piana;vizio che apparve chiaro in
Kant,e che in lui rimase occulto per aver dichiarate oggettive
leidee,contraddicendo alla loro provenienza. In Galluppi rivive la tesi del
concettualismo, che il n ostro filosofo combatte aspramente; in Galluppi, e più
anco ranel Rosmini.G. fautore del realismo,non del platonico però,spende molte
pagine nel rilevare gl'inconve nienti del concettualismo medioevale,e più del
moderno;ed in questa disputa,trattata largamente in una rassegna appo sita
pubblicatail1850, eidifende SanTommaso dallataccia di concettualista, ed
impugna la somiglianza che SERBATI vuol trovare tra la sua teorica dell'ente
possibile, e quella d’AQUINO. Di questa particolare ricerca diremo appresso :
continuiamo intanto ad avvertire, con la scorta di G., le lacune ch'egli addita
ne'sistemide'suoi avversarî. La critica dello stato attuale fu fatta
maestrevolmente da Kant. G. è larghissimo di lodi al fondatore del Criticismo,
filosofo per questo verso inarrivabile. Della origine però il criticismo non
occupossi, dichiarandoaggiunti a prior itutti quegli elementi, di cui gli
pareva arduo rintracciare la ge nerazione. Quanto sitoglieaiverimezzi
diacquistar cono scenze, tutto si attribuisce ad una supposta origine a priori,
a questo vasto serbatoio di tutte le perdite dell'analisi . Cosi, con una
similitudine arguta,ei battezza per vere lacune, per difetto di analisi ogni
forma a priori. Nella stessa maniera han combattuto,dopo di G., l'apriori
ifilosofi po sitivisti. Siricasca inquesto metodo dunque,sempre che,
abbandonata lagenesisperimentale, siricorre allospedien te di addizioni di
forme pure; sia qualunque ilnome con cui si travestiscano. D'accordo col
criticismo, dice G., che la conoscenza risulti da sensazioni e da giudizî; ma
giudicare, per me, semplicemente osservare,e non è punto aggiungere. La veduta
èprora quando siosserva nell'oggetto,non già quando - Il metodo
daseguire, nelproblema dellaconoscenza,era questo: esaminare lo stato della
coscienza, qual'è attualmen te;risalirealle origini delle idee che ora
vitroviamo;legit timarne la realtà. O si aggiunge dal
soggetto. Aggiunta chel'avretevoi,non è più da discorrere della sua realtà.
Sicché delle tre analisi da fare, Kant fece benissimo la critica della
coscienza attuale; arrestossi per via nel rintrac ciare le origini della
coscienza primitiva;e conseguentemen te non potè legittimare la realtà della
nostra scienza. La realtà della scienza è collegata con la dottrina del giu
dizio:se questo è una mera osservazione,la realtà è assicu rata; se,invece,è
una funzione addizionale, la realtà non si può a nessun patto legittimare. Ed
ora noi siamo perfettamente in grado dicomprendere, perchè G. combatta con
tanta insistenza la filoso fia di Galluppi, ed insieme di valutare,quanto poco
la mira di G. sia statas corta da quellichenehannofinora discorso.
Egli ritorna spesso su la critica da noi esposta, con una prolissità,ch'è stata
non piccola causa dell'esser passatainavvertita, perchè dileggereiseivolumi delle
sue opere i più si sono sgomentati. Il significato però di tutta la sua
discussione si può ridurre a quest'alternativa in cui egli trovòimpigliatala
ricercadellaumana cognizione: gliuni avevan detto con Condillac: giudicare è
sentire ;gli altri a vevan ripetuto con Kant :le idee di rapporto sono elementi
soggettivi: egliavevarisposto: è falsal'una el'altraspiega zione. Il giudicarenon
èsentire,ma osservare; irapporti sono oggettivi,non soggettivi. Galluppi
intanto, destreggiandosi tra le due spiegazioni, aveva di ciascuna ritenuto una
parte.Pur discostandosi dal la dottrina condillachiana, pur distinguendo
ilgiudiziodal la sensazione,aveva però ammesso de'rapporti, iquali era no
sentiti:tali erano il rapporto tra modificazione e sostan za,ed ilrapporto tra
effetto e causa. Similmente,pur promettendo divolersi appartare da Kant, pur
professandosi fedele al metodo sperimentale, aveva accettato due rapporti come
soggettivi affatto,quello d'identi tà,e quello di diversità. La sottile e
giusta critica di G. aveva messo in e videnza le due capitali contraddizioni
della filosofia di Galluppi.La consapevolezza piena,profonda,ch'egli ha delle
obbiezioni mosse al suo grande avversario, ve lo fa insistere forse
soverchiamente ;ma non senza rivelare una grande perspicacia di mente
nell'applicazione che ne fa alle singole questioni. L'idea di azione,di
connessione,egli scrive,è idea di rapporto;eirapportisigiudicano,non
sisentono.Sièdi menticato in questa occasione,che una sensazione non è più che
una nostra modificazione, e per se stessa non può darci altra idea che quella
di un particolar nostro modo di esistere. L'anno appresso, che
G. finisce la pubblicazione del suo Saggio, cioè, un dotto
abbruzzese, Colecchi, pubblicava in due volumi le sue Quistioni filosofi che,e
vi rifaceva lacritica di Galluppi,muovendo da un criterio opposto a quello del
nostro G.,ed intanto somigliantissima nel significato. Il Colecchi segue la
filosofia kantiana nel concetto fonda mentale, ma
senediparteinmoltiparticolari.Riduceleca tegorie tutte quante a quelle di
sostanza e di causa; le deduce non già dalle forme del giudizio, come aveva
fatto Kant, ma dalle anzidette nozioni di sostanza e di causa, congiun te con
quelle di spazio e di tempo ; rifiuta lo schematismo kantiano, che gli parve
complicato, e superfluo ; e finalmen te crede, che la realtà della nostra
scienza non ne sia punto compromessa. Colecchi adunque biasima Galluppi
d'incoerenza per averammesso alcuni rapporti oggettivi, edaltrisoggettivi;
senonche, invece disoggiungere com G: dove vateri tenerli tutti per oggettivi,
corregge lacontraddizione io galluppiana in un modo opposto,
soggiungendo: dovevate ammetterli tutti per soggettivi. Tralasciando ora le
modificazioni arrecate da Colecchi alla filosofia kantiana,
eraffrontandolesueobbiezioni contro Galluppi in ciò che s'accordano con le
altre antece dentemente mosse dal nostro G., citiamo in compro va testualmente
le parole del filosofo abbruzzese,perchè il lettore ne vegga l'accennata
somiglianza. Dopo aver egli ricordato la soggettività de'rapporti d'i dentità e
di diversità ammessa da Galluppi contro di Locke, continua così. Posto ciò si
domanda ora:se rispetto a quelle idee che sono un prodotto dell'analisi che le
separa da'sentimenti, e che sono perciò oggettive,venga lo spirito assistito o
no dalledue ideed'identitàedidiversità?seno,nonpotràegli separarle punto dai
sentimenti;perocchè un bambino puran che ne ha bisogno,per distinguere lasua
nutrice da uno stra niero;e tale distinzione è fuor di dubbio un atto di
analisi : se sì, le due idee d'identità e di diversità devono precedere le
sensazioni:sono dunque per anticipazione,ed anteriori ai sentimenti; e perciò
nell'ordine cronologico delle nostre co gnizioni non possono essere posteriori
alle sensazioni, ne presupporle come condizioni indispensabili.Come dunque so
stenere: che ogni nostra cognizione incomincia con l'analisi, e termina con la
sintesi, se per fare qualunque spezie di a n a lisi,ha bisogno lo spirito delle
due idee d'identità edi diver sità,le quali, per avviso del nostro autore, sono
un prodotto della sintesi che le aggiunge ai prodotti dell'analisi? Quistioni
filosofiche, Napoli. Potreicitarealtri luoghi, concui COLECCHI (vedasi) nota il
di un li ne ato Biasima inoltre Galluppi di aver detto che sono
soggettive solo leideedirapporto,perchèegliammette leideedi spazio,
ditempo,disostanza,dicausa,sottoilnome dileggi della intelligenza,che sono
soggettive,senza essere rapporti. verso valore che debbono avere nella
ipotesi di Galluppi le idee di identità e di diversità quando si applicano o
agli o g getti dellamatematica, o aquelli della sperienza; ma usci
reifuoridelmiotema. Amepremeasso dare chele contraddizioni, in cui s'era
avvolta la filosofia galluppiana per manco di coerenza,erano state rilevate con
mirabile acume da G. e da Colecchi. FERRI (vedasi), il quale scrive due grossi
volumi sulla storia della filosofia italiana, non trovòaltro spazio per
ricordare idue anzidetti nostri filosofi, che questo, occupato dalle seguenti
parole: « Il faudrait enfin mentionner les écrits de G., e de COLLECCHI
(vedasi), Napolitains, qui, tout en modifiant, ou en combattant Galluppi, n'ont
cependant pas dépassé le point de vue de l'expérience ou de la philosophie
critique. Essais sur l'histoire etc.. Certo così FERRI (vedasi) non si
compromette. En modifiant, en combattant, sono frasi tanto diplomatiche che par
che dicano, e non dicono. G. modifica Galluppi, COLECCHI (vedasi) lo combatte:
ci ho gusto : sta bene; ma che cosa han detto? Questo è il punto; e su questo,
silenzio perfetto.E poi G. non l'ha punto modificato, l'ha combattuto pure :
l'avesse combattuto, qual lume si ricaverebbedaquestemezzeparole?
Nonerameglioconfes sare di non averne letto sillaba ? E perchè non occuparsene?
Forsechè erandameno ditanti altri? Io,peresempio,sen za far torto a nessuno, e
salvo la disparità per altri riguar di,trovo più ingegno filosofico in G. e nel
Colecchi, che non in ROVERE. L'ho detta grossa? Chiedo scusa a tutti quelli che
ne prenderanno scandalo ;certo di aver con mecoloro, che sen'intendono davvero;
eche intendendo sene ardiscono dire il proprio parere. Del silenzio su Colecchi
Ferri si scusa quasi,scri vendo in una nota così. Les écrits de Collecchi
dispersés dans les recueils litté raires n'avaient pas encore été publiés en un
seul corps il y a quelques années, Pardon, .Ferri: gliscrittidel Colecchi
furono stampati in due volumi, che io ho qui sul tavolo, ed hanno
questaindicazione: Napoli, all'insegna di Manuzio, Carrozzieria Montoliveton.
Qualgiro di anni comprendete voi nell'il y a quelques années ? Venticin que non
vi bastano? E perchè non una parola su G., che doveva es servi noto,poichè ne
registrate ilSaggio nell'indice delle opere filosofiche pubblicate in Italia in
questo secolo ? Forse non entrava nel disegno vostro, ch' era di d e scrivere
il pensiero italiano tutto inteso a cercare ciò che poi ha finalmen te trovato,
l'idealismo temperato ? ed allora perchè accusare diparzialità Spaventa,
cheavevatrascuratinon soquali filosofi, indotto dal suo criterio hegeliano ? Ma
passiamo oltre, avvertendo soltanto, poichè siamo su questo argomento, che il
cognome di G. non va scritto “G.”; e che Colecchi non va rinforzato come l'ha
rinforzato Ferri, che lo scrive Collecchi. Sarebbero minuzie, se non
attestassero la poca diligenza nello scrivere la storia. Morto chefuil
Galluppi, G,, benchèricordiqua e là gli sforzi sostenuti nel combatterne le
dottrine, rivolge però altrove la propria attenzione. Ne'discorsi pubblicati ei
se la piglia con la filosofia,che in Italia aveva preso
ilsopravvento,echenonsicuravadinascondereildispre gio in cuiteneva
l'esperienza.Oramai non si tratta più di scoprire un Idealismo,tutto studioso
di occultarsi sotto il nome difilosofiasperimentale, com'erastatoilcasodel
Galluppi, ma di combattere un Idealismo che si presentava alla svelata, eche,sottonomi
diversi,s'eraguadagnate lementi della nuova generazione. G. comprende tutti
questisistemisotto un nome solo,sottoquello difilosofia spe culativa .
Traquestisistemiperò,secondolavaria importanza,al cuni combatte più
acremente,altri accenna soltanto.Accen na pure del consenso del genere umano du
Mennais, del tradizionalismo di VENTURA (vedasi). Del primo un po'più distesa
mente, perchè s'accorda col sistema di Gioberti nel rifiu tare la testimonianza
e l'autorità della coscienza subbiettiva. Quanto a VENTURA (vedasi), poco
seguito trova in Italia, nè merita importanza, nè G. glie ne dà molta. Mente
severa, educata alle scienze matematiche, G. la giustizia sommaria di tutti
questi sistemi in un fa scio,ai quali a suo avviso mancava e la base solida, ed
il rigoroso ragionamento. «Una volta,eiscrive,erascrittoall'ingressodellascuo.
la:nemo accedat, nisigeometra; igiovanetti oggi leggono: nemo
accedat,sigeometra.E non hanno torto, perché ove si tratta di creare enti, o di
manifestazioni del Dio-Cosmo, e di ispirazioni,e di intuiti,o di nuove logiche
trascenden tali,non può esservi luogo pe'geometri:non è arena per le loro forze
». Ce n'è per tutti, come si vede, e non risparmia né i si stemi tedeschi,nè i
francesi,né i nostrani ;ma vediamo quali obbiezioni particolari muova a
ciascuno; e basterà ac cennarle,perchè oramai abbiamo abbastanza conosciuto il
suo criterio. « Più dilettevole trattenimento ci dà Mennais nel ravvisar per
ogni dove un riflesso del d o m m a religioso ; che Contro del La Mennais
nota che la ragione umana collet tivaèun'astrazione,che solo l'individuo
esiste;e quindi il consenso universale non ha altro valore, che quello
degl'individui, da cui proviene. Con non dissimulata derisione trat ta poi le
spiegazioni fantastiche de'fenomeni naturali per mezzo del
domma. Punzecchiando Gioberti, siricordadelGalluppi,cheper liberarsida
ogni molestia sularealtàde'corpi,concepi ob biettive le sensazioni, e scrive .
Le sue celie su la commodità di questi spedienti sono fre
quenti;senoncheglisembra che nègl'intuiti,néleispi razioni, nè gli istinti, nè
le idee inerenti allo spirito, benchè talvolta simulino l'evidenza,bastano però
a surrogarla pie namente. Se G. tralascia gl'influssi divini, cið avviene
perchè il Mamiani non li aveva ancora escogitati. Ma torniamo agli appunti
ch'ei muove al Gioberti. Come ! eidice,l'intuitoèpresente,enon sivede!È
ecclissato,sirepli ca,estabene;ma comeunmotivofinito basta adecclissarlo? G.,
per questo inesplicabile ecclisse, s 'insospet d'altronde doveasi toccare con
più rispettoso contegno. Fino ne' sette colori del prisma scorge il ternario,
da che tre soli secondo l'autore sono iprincipali. Che cosa avrebbe detto G.,se
avesse letto la Vita di Gesù Cristo da Fornari ? Gioberti si studia di
sostenere col ragionamento la dot trinaquasiispirata di Mennais: G. rendegiu
stizia al filosofo italiano,nè lo confonde con l'autor dell’Abbozzo. Eccoperòlasommadegliappunticheglimuove.
Gioberti, perlui, esclude ogni analisi delle idee, eper dispensarci dalle
minute inchieste psicologiche, ci accorda l ' immediata veduta delle idee
divine. Certamente, ripigli a G., eivalmegliocontemplarlenellalorointegritàri
flesse dal lume divino su le parole, che attentarsi di rima neggiarle con
profana analisi ! « Per togliersi da ogni impaccio basta oggi il dire : io
sento i corpi esterni, le mie sensazioni sono percettive de'corpi
esterni;ovvero per risolvere con un solo atto tutte le qui stioni di ontologia
e di psicologia : io intuisco il creato,il creatore,el'atto
creativo!» tiscedellaesistenza dell'intuito.E poi,esso nèsipuòvedere
dalla coscienza,nè dimostrare dalla ragione, come fare dun que a verificarlo?
Nè più plausibile è ilsussidiochedovrebbearrecarelapa rola, affinchè
dall'intuito si passasse alla riflessione. Il potere della parola, dice G, è
misterioso: non circoscrive l'idea,su la quale non ha presa n è punto nè poco ;
e non accresce la nostra facoltà intellettiva. Sicchè, tutto ragguagliato,
ilGioberti cilasciacon una virtù intellettiva in potenza, e con una riflessione
a nude parole. Dove però G. va più addentro nel sistema giober tiano,è,a parer
mio,nella seguente osservazione. Ma la ricerca fondamentale, dicuisièsempre
taciuto, concernelapossibilitàdella visione in Dio. La stessanonè
solamenteunfattogratuitamentesupposto,ma neppurciè dato sapere, se un essere
può vedere le idee di un altro es sere. Questa obbiezione di G. equivale a
quella dello Spaventa,quando osservava,che l'Ente veduto dall'intuito
giobertiano non può essere uno spirito. Diciamo ora della critica di Rosmini.
Della teorica rosminiana il nostro filosofo s'era occupato nel Saggio ; ci
torna di poi nelle opere posteriori alla morte di Galluppi con più larghezza.
G. continua:vedere le idee in Dio, presuppone assodato, cheIddioleabbia;ora,cheilmodo
dellacono scenzadivinanonsiaconformealnostro;echequindinon si faccia per idee
molteplici e rappresentative, pare più ac cettato dalla filosofia ortodossa . E
qui riscontra la dottrina giobertiana non solo con quella di Malebranche, ma
con quella di Agostino,e non la trova somigliante,e quin di non la tiene per
ortodossa. Nel Galluppi G. aveva combattuto il concettualismo, aveva combattuto
l'asserzione, che le nostre idee non siano rappresentative.A proposito del
Rosmini ripiglia la controversia del concettualismo . Il concettualismo si
fonda su la subbiettività de'rapporti, onde risultano le idee:contro
ilconcettualismo adunque ba sta contrapporre questa sentenza di san Tommaso : relatio
nem esserem naturae. Or qual dottrina segue SERBATI? Forse quest a
dell'Aquinate, fondatasulpiùschiettorealismo? No; nesegueuna ambigua, e per tal
ambiguità cerca tirar dalla sua l'autorità d’AQUINO. L'ente ideale di Rosmini,
dice G., è bifronte; da un lato offre l'idea universale di esistenza,
dall'altro un ente esistente. Basterebbe questa profonda osservazione, per
dimostrare diquantaperspicaciafossefornito G.; ma egliva più in là ancora,ed
addita un riscontro, che rivela la forza della sua critica. « M a, ci si dirà,
qui non trattasi di una esistenza sostan ziale, o di accidenti di una sostanza,
bensi di una esistenza ideale, qual può competere ad una idea.Si,ciò ricorda
l'Idea di Hegel, con la differenza che questa contempla sè stessa, e l'idea
universale di esistenza è l'oggetto contemplato da tutte le intelligenze,
differenza che gli hegeliani farebbero sparire.Quanto allanaturadellaesistenza,
l'entedi Rosmi ni non è meno lucido e trasparente, che l'Idea hegeliana, perchè
altro non è che l'idea di esistenza, o la
possibilità Sipongaormente,eglidice, cheiduepuntimessia
maggiorrisaltonelnostro librosono:che ilconcettuali smo è la causa principale
delle deviazioni della filosofia,e la grande abilitazione de'sistemi
speculativi; che AQUINO, tenendosi
immune dal concettualismo,ha felicemente seguito il metodo di pura osservazione
». dell'esistenza,come lo stesso Rosmini ripetutamente va ri cordando a'suoi
lettori. Se quindi si ammette una esistenza attuale e indetermi nata;attuale e
non reale; se si ammette la possibilità dell'e sistenza essere un'attuale
esistenza,si avrà il caso proprio di una identità de'due contrari. Esperimenti
della filosofia speculativa, Napoli, Rassegna). Ho notato l'ultima conclusione
di G., perchè il lettore rifletta su la somiglianza da lui additata tra l'Ente
rosminiano,e l'Idea dell'Hegel. Quando SPAVENTA (vedasi), dopo di G., e senza
sapere forse delfilosofo calabrese, lecuiopere, specialmente leul time,erano
rimaste sconosciute,mise in rilievo con più larghezza quel riscontro, la cos
aparve strana, e ci si vide uno stiracchiamento forzato de'sistemi in servizio
di un criterio preconcetto.Piùtardi,coloro chesieranoarrogatalarap presentanza della
filosofia italiana, levarono lavoce,epro testarono contro il malvezzo di voler
far parere la nostra filosofia un'imitazione della filosofia tedesca. Sietematti,si
dice ! Galluppi critico! SERBATI idealista! Le son cosedaridere: voiconfondeteitipicon
gliectipi;voi non sapete che in Italia c'è un'abbondanza straordinaria di tipi,
e che voi altri li sfigurate barbaramente per poterli tramu tare in ectipi.
Questa brava gente,veramente tipica,ignorava,che ilri scontro era tanto poco
sforzato, da esser apparso manifesto ad un filosofo, il quale non era punto
tenero della filosofia tedesca,e che di tutto si poteva accusare, salvo che
della smania divoler costruire la storiaapriori. G., difatti,aveva a chiare
note, e con grande insistenza,segna latoilkantismonelsistema di Galluppi; econ
menodiffu sione,ma con non minor chiarezza,l'hegelismo nel sistema di Rosmini. Oh!come
dunqueivindici,glistoriografi,i rappresentanti
dellafilosofiaitalianaignoravanotuttalacri tica che si era esercitata nel
nostro paese su la nostra filo sofia nazionale? Ma torniamo a Rosmini. G., dopo
avvertita l'ambigua natura dell'ente rosminiano, dopoaverbiasimatoil Rosmini
dinonaverte nuto fermo in una sola e medesima sentenza, di averlo una volta chi
amato un lume datoda Dio, un'altravoltaillume divinomedesimo, eidimostra uguale
accorgimento nelrile vare altri difetti. L'origine delle nostre idee è
doppia,una l'idea dell'ente, l'altra lapercezionesensitiva; ma G. s'accorge,
che la vera sorgente,l'unica sorgente rimane quest'ultima, e domanda. A che
serve il contrarre l'espressione di quanto si vuol che noi percepiamo
immediatamente con una sensazione? Il participio sostituito al verbo potrà mai
avere ilvalore di nasconderei moltigiudizî, chesicontengono nella formola «enteagentesuimieisensi»?
Il participio sostituito al verbo è difatti il ripiego della ideologia
rosminiana: G. ha colto a maraviglia. La percezione sensitiva, ei
continua,è,o no, un atto del pensiero? Se lo è,siavrà un pensare identico
alsentire; senonloè, siavràunapercezione, allaqualeilnostrospi rito non pensa
!O cade in sensualismo, o è nulla pel nostro pensiero. La percezione sensitiva
adunque non si vede in che diver sifichi dalla sensazione, posto che in lei non
debba concorre re traccia di pensiero: nè molto proficua è la ragione, che il
De Grazia chiama potenza terza e neutrale. Non è intellet to,non è
senso:applica ildato dell'intelletto ai dati della sensibilità; d'altro non
brigasi;ma chimallevaallorala realtà ?Non l'intelletto che ha da fare col
possibile ; non il senso che non può cogliere altro che nostre
modificazioni. La capacità di sentire e la facoltà di percepire sono due
potenze così differenti,che dee tenersi per ugual controsenso l' attribuire la
percezione alla sensibilità, e l'attribuir la sensazione all'intelletto. SERBATI
con la percezione sensitiva attribuisce al senso più che la costui capacità non
comporti ; ricasca quindi nel difetto di Galluppi, che fece la sensazione
immediatamente percettiva.A questo sbaglio ecco tener dietro un altro,che a noi
piace riferire con le stesse parole di G. Un'altra opinione sui generis è di
ammettere nel fatto la percezione immediata del nostro essere, e dell'essere
ester no, m a il fatto aver bisogno di venire autenticato da una idea innata,
per quanto concerne la vera esistenza, perchè altri menti quella da noi appresa
nella coscienza potrebbe dirsi apocrifa ! Meglio non poteasi rilevare la
superfluità dell'ente rosmi niano,dopoaverammesso
lapercezionesensitivapercoglie re l'esistenza immediata e reale. Come impugni
G. le interpetrazioni date dal Rosminialsistemadi san Tommaso
vedremoaltravolta; chè tal ricerca non è semplicemente storica,e meglio si
collega allaesposizione della dottrina del nostrofilosofo,ilquale altro non
pretende di aver fatto, che di aver rinnovata la filosofia del sommo
Aquinate,stata per tanti secoli o scono sciuta o frantesa. Venghiamo al
giudizio su l'Hegel. Già per G. tutt'i sistemi nati in Germania dopo del Kant
sono « romanzi filosofici »;questo d'Hegel fra gli altri, anzi a capo degli
altri. Ignaro della lingua tedesca,egli tanto sa de'sistemi tede schi, quanto
ne ha appreso dal libro di Ott,ch'era stato pubblicato a Parigi. Non è da recar
maraviglia adunque, A G. non isfugge nessuno dei tortuosi giri dell'ideo
logia rosminiana. s'ei qui non possa penetrare sempre addentro nel pensiero
dell'Hegel,come ha fatto coi filosofi francesi, e coi nostri. Onde,mentre
lasuacritica della filosofia del Galluppi,del Rosmini edelGioberti,
benchèprolissaestemperata,abbon da di osservazioni sode e profonde, la critica
dell'Hegel rie sce monca e superficiale. A lui mancava la cognizione pie na ed
esatta del sistema; pur tuttavia di alcuni appunti non sipuò ameno diammirare
lasagacia,elaserietà. Attraverso alle incertezze di una esposizione,dove trovan
luogo metafore più proprie ad abbuiare un concetto,che a
lumeggiarlo,èdifficilecogliere ilsignificato genuinodiun sistema . Così a G. il
divenire hegeliano sembra uno strofinamento dell'essere col non-essere. Par che
baleni il sospetto di qualche alterazione a G. stesso,ma tosto si ripiglia, ed
afferma che « si può esser sicuro che le pro posizioni fondamentali della
Logica hegeliana non valgono in tedesco più di quel che valgano in italiano o
in qualsiasi lingua ».Una tal sicurezza veramente fa un poco a calci col metodo
d'osservazione adottato dal nostro filosofo. Il quale se avesse conosciuto
iltedesco, si sarebbe accorto che non trattavasi nè di movimento, nè molto meno
distrofinamento. L'accusaperò, chemuove allaLogicahegelianadiessere un sistema
di rapporti senza termini,è molto più fondata. Senonchenella
Logica,itermininonsonoenonpossono essere altro,che relazioni anch'essi ; ma non
è vero però, ch'e i siano un mero niente, e che tutto il processo hegeliano
riesca al postutto ad un movimento da niente a niente. Cotesta esagerazione è
in lui derivata dal non aver compreso bene il valore del Nicht - sein, che non
egli soltanto, m a parecchi si sono incaponiti ad intendere per un bel nulla.
Fisso in questa interpetrazione, ei continua a biasimare questo modo di far
della scienzaun tessuto disiedino, lontano da ogni realtà salda,e solo
conveniente a quella fi losofia,che riduceirapportiapurevedute
dellospirito.Qui, come si può scorgere,ei non vuol lasciarsi fuggir l'occasio
ne di scagliare un'altra frecciata alla tanto combattuta filo sofia di
Galluppi, accennando la simiglianza che corre tra la soggettività de'rapporti e
l'Idealismo trascendentale,che poi siassolvette nell'Idealismoassoluto. G.
confino accorgimento perseguita il suo illustre avversario sino alle ultime e
non sospettate conseguenze del suo principio. Un rapporto ideale senza i termini
è appreso dalla nostra mente, se si ammette la supposizione che i rapporti sono
pure vedute dello spirito, alle quali nulla corrisponde nelle cose. Hegel è agl’occhi
di G. un elevato e perspicace filosofo, ma il suo sistema è una perpetua
ironia. La sola istruzione che se ne puo cavare è quella di capacitarsi dell’impotenza
della filosofia speculativa a cogliere ed a spiegare la realtà. Ecco dunque
l'istruzione che Hegel ci dà in forme le più solenni: volete voi passare dal
cerchio delle idee astratte al mondo reale ? vi è forza porre innanzi tratto,
che il reale è lo stesso che l'ideale! In altri termini, dalle idee astratte
non si può derivare la realtà. E questa massima può servir di lezione
pe'tentativi, in cui con minori proporzioni, o più propiamente, con meno di
purità speculativa, si vuole maneggiare il metodo ontologico. I due
principii che lo informano sono l’idealismo, e la con traddizione. Dall'uno il
sistema hegeliano piglia le prime mosse. Coll'altra procede avanti. Che cosa se
ne inferisce? Questo soltanto, che il concettualismo è falso. Ma la vera
filosofia rimane illesa dai suoi colpi. Il valore che G. attribuisce ad Hegel è
lo stesso, benchè egli nol dica espressamente, di quello che Socrate ha verso
la sofistica. L'ironia socratica svela le contraddizioni della sofistica, come
l'ironia hegeliana tira le ultime conseguenze del concettualismo. Hegel,
secondo il giudizio di G., addito il rimedio contro le forme subbiettive del
criticismo, deducendo da quelle pre messe, che dunque i fenomeni del pensiero
sono la sola verità assoluta. Tutta la storia della filosofia si spiega, adunque,
e si rannoda intorno al problema della conoscenza. Tre domande si possono fare.
Qual è lo stato presente della nostra coscienza? Qual è stata la sua origine? Qual
è la sua realtà? Il criterio con cui il nostro filosofo giudica tutt'i sistemi
è il seguente, ciò che la nostra mente vede in un fatto o è realmente nel fatto
o la nostra veduta è su tal riguardo illusoria. Da un lato adunque c 'è il
realismo, a favore del quale egli si schiera. Dall'altro lato il
concettualismo, che pigli a diverse forme, finchè non diventi idealismo
assoluto, ossia l'ironia hegeliana, che mette a nudo le coperte magagne
de'sistemi antecedenti. Benchè i sagi di G. sono piuttosto polemiciche
dottrinali, pure in essi,e nel saggio principalmente, si scorgono le linee di
una soluzione del problema genealogico delle idee. G. fa consistere in questa
soluzione tutta la sostanza della filosofia. Ma a lui la genealogia non ha lo stesso
significato che ha a BORELLI (vedasi), dal quale tolge probabilmente il nome. BORELLI
(vedasi), quasi al modo stesso che fa Spencer, studia la genesi del pensiero
sotto l'aspetto fisiologico – cfr. Grice on psycho-LOGY, bio-LOGY, fisio-LOGIA.
G. si arresta ai tre fe nomeni primitivi del sentire, del pensare, e del
volere, e di quivi soltanto piglia le mosse. Qual è ora per lui l'immediato, o
il fatto primitivo sul quale riposa la filosofia sperimentale? GALLUPPI
(vedasi) risponde: questo immediato è il sentimento del me (Grice, Personal
Identity) e del fuor di me. G. risponde: il vero immediato è il sentimento del me
– Grice, Personal Identity -- solo. Questa prima discrepanza si può dire la
origine di ogni divario che corre tra la filosofia de due filosofi calabresi.
Entrambi vogliono partire dalla esperienza immediata, ma i limiti di questa
immediatezza non sono tracciati al modo medesimo. Il metodo d'osservazione,
dice G., ci guida a riconoscere che il campo dell’immediata percezione –
cfr. Grice, The Causal Theory of Perception -- di fatti reali è la sola
esperienza interna, ove l'oggetto è in noi, è la nostra esistenza, e quanto
apprendiamo nelle nostre maniere d’essere. Gl’oggetti esterni non sono esposti
alla immediata nostra percezione, ma noi li percepiamo col mezzo di più atti
mentali. Questa confusione sembra al nostro filosofo tanto più inescusabile in
GALLUPPI (vedasi), quanto più questi si è chiarito contrario alla tesi della
sensazione trasformata. Potrebbe mai credersi, ei dice, che mentre Galluppi combatte
avivamente il principio sensualista, giudicare è sentire, poi ritiene che il
sentire è una speci e del pensare? G. scorge manifesti gl'inconvenienti della
spiegazione galluppiana, e li addita così. Quando si ammette che le realtà
esteriori sono dano i sentite, e che poi l'analisi, distinguendo i sentimenti
che da prima sono confusi, ci dà le idee, non si può sfuggire alla conseguenza che
dette idee non sono altro che sentimenti distinti. L’analisi non ha cangiato la
loro natura primitiva. Tutto il capitale della esperienza esterna è costituito
da ciò che si sente, e da que'rapporti che il nostro spirito ha in pura sua
seduta, ma che non sono nelle cose. Si fatte conseguenze vengono poi confermate
ed ampliate con essersi detto che la coscienza – Grice, Personal Identity – è la
sensibilità interna, cioè All'acume di G. non isfuggi la conseguenza che
porta il principio galluppiano. Se la realtà esteriore è colta immediatamente,
dunque il sentire è lo stesso che il percepire – Grice, POTCHING --; è lo
stesso, che il pensare – Grice, COTCHING. Galluppi sen'è aperto con molta
chiarezza. La sensazione, per lui, suppone l'oggetto sentito – Grice, VISUM -- come
il pensare suppone l'oggetto pensato – Grice on J. L. Austin and the
‘that’-clause --. Il sentire è dunque una specie del pensare. Sentire e pensare
non sono più due fenomeni primitivi, ed irreducibili, come G. sostiene. la
conoscenza de'fatti interni è sensibilità. Vedesi quindi che con questi
principî il sentire [Grice SENSING, PERCEIVING, AND KNOWNING – ed. Schwartz -- non
è distinto dal pensare. Gl’estremi, tra cui si studia di librarsi G., son
questi due. Da una parte quello che raccorcia la portata della coscienza – il
me di Grice in “Personal Identity.” Dall'altra quello che la dilata oltre il
convenevole. Chi dice: la coscienza non coglie la nostra esistenza, e chi dice:
la coscienza si estende alla realtà esterna, dice ugualmente cosa inesatta. Per
difetto, la prima osservazione; per eccesso,la seconda. GALLUPPI (vedasi) ammette
un doppio immediato: i lme – cfr. H. P. Grice, “Personal Identity” – ed il non
me – cfr. H. P. Grice, “Negation and privation.”. G. ne ammette uno, il me SOLO:
donde proviene siffatto divario? Eccolo, con le parole stesse di G., le quali
compendiano e chiariscono la dottrina galluppiana. Il dir che partendo dalle
nostre modificazioni sensibili, noi veniam per via di giudizî acquistando la
conoscenza del mondo esteriore, val quanto il dir che lo spirito umano con i
suo i proprii elementi compone il mondo, La filosofia sperimentale su questo
punto va a coincidere coll’idealismo del criticismo. E perchè?
Perchè Galluppi non si affida ai giudizî per cogliere la realtà; perchè i giudizî,
secondo lui, sono pure vedute dello spirito. Di modo ché, se il mondo non ci è
apparso dal bel principio così, come oggi lo apprendiamo, quello costruito di
poi è una mera relazione del nostro spirito, a cui nulla è corrisposto di reale
nella natura. Diffidente della sincerità de'nostri mezzi di conoscere, Galluppi
quindi appigliossi al partito di Reid, ed
ammette l'immediatezza della sensazione, confondendola con la percezione – cf.
Grice, “The Causal theory of PERCEPTION” -- esterna. Si è quindi detto,
osserva G., che nel fatto io sento non è contenuto il proprio essere (“Being,
and Seeming” by H. P. Grice), e si è terminato d'altra parte con dire che nel
fatto io sento si contiene l'essere straniero, il non io – “That pillar box
SEEMS RED to *me* -- H. P. Grice. G. ritiene la sincerità del giudizio, ritiene
i rapporti come reali, e quindi non alla sensazione, ma ad un processo spontaneo
dell'intelletto, e dal concorso di giudizîdi venuti abituali ed indiscernibili
attribuisce le idee de'corpi, quali nello stato presente le troviamo nella
nostra coscienza. Esclusa da G. l'immediatezza della sensazione, non per questo
ei mena buoni que'sillogismi, i quali si credeno più spedito passaggio dalle
nostre sensazioni al mondo esterno. G. nota che il modello di questi
ragionamenti risale fino al nostro CAMPANELLA, il quale lo formola così. Siamo noi
che mutiamo. Dunque, sentiamo solo noi stessi, e non già le cose. Noi sentiamo
le cose esterne, solo perché ci sentiamo mutare. Ma non siamo noi che ci mutiamo.
Dunque, altra cosa ci muta. Questo sillogismo, che, variamente rimaneggiato, è
rimasto in sostanza il gran ponte di passaggio dal mondo interno all'esterno –
cf. H. P. Grice on Moore and the external world --, non è parso abbastanza concludente
al nostro filosofo. Le lacune, ch'egli vi ha scorte, non si possono logicamente
colmare. Anzitutto: chi vi dice che il principio di ogni nostra mutazione è la
volontà? L'associazione delle nostre idee talvolta NON È VOLONTARIA, ed intanto
è mutazione nostra. E poi, poniamo che la mutazione vi additi alcunchè di
esterno, chi vi garantisce che il principio esterno è un corpo? A
tali obbiezioni non c'è da replicare. Il sillogismo è impotente a discoprire un
fatto. Esso è utile soltanto a discoprire verità di ragione. Tolta
l'immediatezza della sensazione, tolto il sillogismo, G. torna alle
rappresentazioni, come immagini – SEGNI, SIMBOLI -- delle cose esterne, ed alla
induzione, la quale, travagliandosi su quelle immagini, va legittimando la
realtà delle immagini complesse, che l'associazione ha spontaneamente ed
abitualmente formate. Non è una dimostrazione necessaria -- nelle verità di
fatto non si dà mai l'assoluta impossibilità dell'opposto – cf. Grice on
CANCELLABILITY: “Those spots mean measles but he doesn’t have measles” -- ,e
bisogna contentarsi della certezza morale. L'associazione collega insieme le
immagini visive – il VISUM di Grice -- e le tattili. I giudizî abituali colgono
i rapporti quali realmente – cfr. H. P. Grice on J. L. Austin on ‘real’ as a
trouser-word – cf. Keith Arnatt – esistono. Noi adunque venghiamo componendo lo
spettacolo del mondo esterno non con vedute subbiettive, ma con elementi dati
dalla realtà stessa delle cose. Questa è pure la dottrina d’AQUINO, e di tutta
la filosofia ortodossa (vale a dire, ITALIANA). Nell'ultimo saggio pubblicato
col titolo di “Prospetto della filosofia ORTO-dossa,” – cf. G. P. Baker, of St.
John’s, Oxford, on H. P. Grice, of St. John’s Oxford, on ‘heterodoxy is other
people’s orthodoxy” -- ilnostro filosofo si fa forte dell'autorità d’AQUINO
(vedasi) per tutte le parti fondamentali della sua dottrina, salvo i miglioramenti
ch'ei crede di avervi arrecato, supplendo a quelli ch'ei chiama desiderata
della filosofia d’AQUINO. G. non è abbastanzaversato nella filosofia del LIZIO
(il modo d’scrivere LICEO), da accorgersi che il meglio di quella, che ei
battezza per dottrina ortodossa, è mutuato dal LIZIO. Vediamo intanto quali
principii ei ne accoglie, e ne tesoreggia. Primieramente G. avverte la
differenza che AQUINO mette tra isensibili proprî, ed i comuni; differenza, che
noi sappiamo appartenere al LIZIO. Con molto acume AQUINO avverte di fatti che
i sensibili proprî sono qualità -- come odori, sapori, suoni, colori – Grice:
That pillar box seems red to me -- ,e simili; e che i sensibili comuni, invece,
sono quantità o estensiva, o intensiva, o discreta, come figure, distanze, movimenti,
successione. SENSIBILIA PROPRIA SUNT QUALITATES. SENSIBILIA COMMUNIA OMNIA
REDUCUNTUR AD QUANTITATEM. Finalmente cita la sentenza che accenna alla
formazione delle immagini corporee, e che attribuisce allo spirito, e non Dipoi
ricorda la dottrina su i rapporti, che AQUINO ha riconosciuto come reali, come
RES NATVRAE e non già come res rationis. già ai corpi. Imaginem corporis non
corpus in spiritu, sed ipse spiritus in se ipso facit. Alla quale ultima
sentenza G. aggiunge questa avvertenza . E l'avvertenza mira visibilmente a
cansare l'equivoco delle forme soggettive, e degl’elementi A-PRIORI (cfr.
GUASTELLA – Grice/Strawson, In defense of a dogma -- da lui con grande
perseveranza combattuti. Lo spirito si compone egli le immagini de'corpi
esterni, l'idea di ‘corpo’ è un prodotto della SINTESI a-posteriori, contro
alla opinione di Galluppi, ma in questo raccoglimento non c'è mistura d’elementi
soggettivi. Tutti i dati sono reali.In questo significato, e non altrimenti va
intesa la proposizione d’AQUINO (vedasi), che ad altri puo parere intinta di CRITICISMO
kantiano, e che suona così. ANIMA DAT eis formandis quiddam substantiae suae. AQUINO
(vedasi) adunque traccia le prime linee di quella filosofia sperimentale di cui
G. si dà per continuatore. I due filosofi cadono d'accordo sui seguenti
risultati. Nel senso non v'è altro che il cangiamento del senso. L’immagini
de'corpi si van componendo con elementi nostri. Noi giudichiamo, essere i corpi
simili a quelle immagini. Se non che AQUINO s'è fermato qui. G. domanda inoltre.
Con quali operazioni si son formate quelle immagini? Con qual criterio le
giudichiamo simili ai corpi esterni? Alla prima domanda risponde. L’operazioni
sono i giudizî accoppiati alle sensazioni. L’associazione dell’immagini visive
con le immagini tattili – cf. H. P. Grice on MOLINEUX – some remarks about the
senses --. Giudizi ed associazione che si uniscono spontaneamente ed
abitualmente. Alla seconda domanda poi ha risponde. La
legittimazione Quanto però AQUINO enuncia, non lascia dubbio che nella
formazione dell’immagini de'corpi esterni ha inteso non mettersi in opra altri
elementi che que’del senso e della imaginazione. Quando, difatti, io
applico ai fenomeni della estensione le verità della geometria euclideana, e
l'applicazione riesce, allora è chiaro che alla esistenza de'corpi si aggiunge
tutta la forza della dimostrazione induttiva. Mal si è creduto che ogni nerbo
di logica dimostrazione consiste soltanto nel sillogismo e nelle sue forme. Se
l'estensione corporea, dice G., è reale, la trovo costantemente conforme alle
leggi geometriche d’EUCLIDE, ma se è un'illusione de'sensi, mi si puo
presentare nelle volubili forme in cui apparisce ne’sogni o nelle geometrie
non-euclideee. Nella ipotesi affermativa v'è la necessità assoluta di trovarsi
avverate le verità matematiche, come si ha nell'esperienza (cf. Mill on 7+5=12
come sintetico a priori). Nella ipotesi negativa, l'evento che ne dà
l'esperienza, è uno degli infiniti eventi possibili. Questo cenno può far
presentire, a qual grado si eleva la pruova induttiva di Leibniz, riguardandola
dal solo lato delle verità matematiche. Esposta in questi termini la mente del
nostro filosofo, proseguiamo a raffrontare le differenze conseguenti tra la sua
dottrina, e quella di Galluppi. Galluppi pareggia la sperienza interna con
l'esterna, e quindi ammessa una doppia relazione colta immediatamente, quella
tra sostanza e modificazione, e l'altra tra causa ed effetto. G., invece, distingue
le idee pri - si fa non per la immediatezza della sensazione, e neppure per
sillogismo, ma per via d'induzione, secondo l'addita mento di Leibniz, e d’Alembert,
i due filosofi matematici, mal trascurati dai filosofi posteriori. Non è
dimostrazione apodittica cotesta, certamente: anche un incontro fortuito
potrebbe essere causa di quella corrispondenza che noi verifichiamo nella sperienza
tra i rapporti quantitativi ideali, e i rapporti quantitativi reali dei corpi; ma
a qual estremo sia ssottiglia questa possibilità di un incontro fortuito, e di
quanta forza non s'ingagliardisce l'ipotesi della realtà de'rapporti tra corpo
e corpo! mitive dalle derivative; chiama primitive quelle che sono
ricavate dal fatto immediato della coscienza, da lui circoscritto nel solo io sento
– Grice, sense datum --; e chiama derivative quelle che na scono poi dalla
sperienza esterna. Si sono messe, ei dice, in una medesima classe, tanto le
idee primitive di numero, di sostanza,e di modificazione, di affermazione e
negazione, quanto le idee derivative di causa, di azione mutua, del contingente,
del necessario, del possibile; e non si sono mentovate le idee derivative di
spazio, di tempo, per essersi supposto venirci date dalla sensibilità senza
previo lavoro dell'intelletto. L'originale dell'idea di sostanza è dunque il nostro
proprio essere: delle modificazioni si dice impropriamente che esistono: ciò ch’esiste—the
value of the variable – Grice, Vacuous names -- è la sostanza. Però se un
essere esistente (Marmaduke Bloggs) non ha punto di modi, ei non è nè in moto, nè
in quiete; nè pensante, nè non pensante, e ci è un mezzo tra l’esseree d il non
essere; il che è assurdo. Cosi dice egli parlando delle forme del criticismo, e
l'appunto si può volgere pure al Galluppi, che alla sostanza ed alla causa
attribuì, come abbiamo visto, la medesima origine. Per G. la coscienza è l'io
sento (SENTO ERGO SUM – Someone, viz I, is hearing a noise), e in questo fatto
permanente della propria esistenza lo spirito apprende la sostanza, come la
modificazione nelle sensazioni in cui si sente esistere. Il modo di esistere non
si può dispiccare dall’esistenza, e G. chiama una RIVOLUZIONE filosofica quella
avvenuta in occasione dello scetticismo di Hume, quando si comincia ad
affermare che nel fatto di coscienza v'è il solo modo d’essere, enon già l'essere.
D'allora in poi si cerca di supplire a questo difetto supposto per via di
aggiunzioni provenienti da altre sorgenti. Così SERBATI suppone che al fatto di
coscienza si dovesse aggiungere l'i dea dell'essere. Pee G. il fatto della
coscienza nella sua integrità dà l'uno e l'altro; se non che a cogliere questo
rapporto non è atta la sensazione, siveramente il giudizio. Senza avere
sperimentato il fatto del passaggio da una modificazione ad un'altra, noi non
avremmo potuto affermarlo: dopo la sperienza però, noi essendo in un dato modo
pensiamo la tendenza di passare ad un altro; e cotesta tendenza chiamiamo
forza, la quale è dunque ciò che han no di costante gli stati successivi della
sostanza. Nella origine dell'idea di causa – PARIDE AMA ELENA, caso causativo
-- noi abbiamo bisogno di altri dati. a Non si avverte, dice il nostro filosofo,
che la causa che produce le sensazioni è quella che mette in esercizio la
sensibilità; la causa che produce i pensieri non è la potenza di pensare, ma è quella
che mette in esercizio la potenzadi pensare; la causa che produce i voleri non
è la volontà, ma è quella che mette in esercizio la volontà. Chi ricorda ora
che a queste tre classi di fenomeni riduce egli tutta la nostra attività spirituale,
vede chiaramente che per lui se la coscienza porge il modello della sostanza, non
è però bastevole a spiegare l'idea di causa. Qui occorrono più sostanze, di cui
una determina l'altra. Nella sostanza la mutazione sopravvenuta è determinata
dallo statoanteriore; nella causa essa mutazione è deter minata e dallo stato
anteriore e dalla mutua azione. G. riassume la sua dottrina su queste due idee
capitali nel seguente modo. La sostanza persiste nella sua immutabile natura al
cangiar delle modificazioni. Nell'ordine naturale nè possono prodursi nuove
sostanze, nè le attuali annientarsi. I cangiamenti di una sostanza sono cosi
connessi tra loro, che in ogni istante il suo stato è determinato dal suo stato
antecedente, cioè nel corso de'suoi cangiamenti ha per modificazione costante una
tendenza al cangiamento che immediato va seguendo, e questa tendenza è quelche
noi conosciamo della forza interna di una sostanza. La diversa natura di queste
forze ci viene manifestata dalla esperienza, cioè dai diversi cangiamenti della
sostanza. Così distinguiamo le varie forze interne di una sostanza, e le varie forze
interne delle diverse sostanze. Una sostanza, che trovasi in uno stato
permanente non può da sè stessa, cioè per propria forza, passare ad altro
stato. Oltre la connessione tra i cangiamenti di una stessa sostanza v'è anche
una connessione tra i cangiamenti di diverse sostanze – cf. Grice’s seminar on
Wiggins, “Sameness and substance” -- ,cioè una mutua azione tra le medesime.
Tutti gl’avvenimenti dell'universo sono necessarii, e l'azzardo non è che
l'incontro di avvenimenti non connessi tra loro.Ma questo incontro medesimo è
necessario, in quanto son necessarie le serie de’cangiamenti anteriori, che han
determinato quegli stessi avvenimenti che s'incontrano. Ecco la somma della sua
dottrina, la quale, intorno alla causalità specialmente, è la traduzione
filosofica delle leggi del moto d iNewton. Queste leggi, osserva G., ed a
ragione, non sono vere leggi degli esseri naturali, se è falsa l'ipotesi della
mutua azione. Locke intanto nega l'idea di sostanza, Hume la connessione
richiesta dalla mutua azione nella causalita; entrambi per lo stesso motivo, che
noi cioè non conosciamo adeguatamente nè quella, nè questa. Pare al nostro filosofo
che il ragionamento di Hume si riduca a questo entimema. Noi non abbiamo ide aadeguata
di azione. Dunque non ne abhiamo punto. Le ricerche, dalle quali Hume è stato
indotto a questa conclusione, la quale tronca i nervi ad ogni attività
scientifica, si possono brevemente esporre così. L'esperienza non dà connessione,
ma semplice congiunzione: il ragionamento non dà idee nuove: l'abitudine non
cangia la natura della prinda percezione, come una serie di zeri è
impotente a co stituire una quantità. Colla coscienza colghiamo le mutazioni nostre,
e legiu dichiamo appartenere alla nostra sostanza: coll'astrazione noi rendiamo
generale questa connessione interna. La sperienza esterna dipoi ci mostra fatti
in congiunzione, ma con tal costanza, che noi ci avvezziamo a riferire un
fenomeno alla presenza di un dato oggetto: noi induciamo che questa
congiunzione è una vera dipendenza. E perchè? Una contraria supposizione, ei
risponde, implica l'assurdo, che due sostanze con le stesse modificazioni sono
condizionate ad e sercitare una mutua azione in un tempo più tosto che in
altro;in un luogo più tosto che in altro luogo. In tal guisa tutte quelle funzioni
del pensiero,che isolate non sarebberostatebastevoliafornircilaconnessionecau
sale, intrecciateabilmente insieme bastano. Kant,come sappiamo, dalle premesse
di Hume, lasciate correre senza contrasto, inferi che dunque l'idea di causa è
a priori; evitando con questa origine le scabrose ricerche dell'analisi. Altri
aveva inferito che il principio di causalità è, non già sintetico a priori, ma
analitico adirittura, come tra i nostri Galluppi e Rosmini. Il nostro G.
riconosce che nella idea dell'AVVENIMENTO [cfr. Grice, “Actions and events –
section: “Cause”] non è racchiusa l'idea della sua causa. Dà ragione alla
filosofia critica di averlo sostenuto per sintetico. Ma crede di coglierla poi
in flagrante contraddizione nel valore che Kant attribuì a tal principio. Giova
esaminare quest'ultimo aspetto della questione. G. replica. Altro è il non
avere una idea adeguata, il non conoscere il come dell'azione; ed altro il non
averne la menoma idea. Vero è inoltre, che nè la sperienza, nè il sillogismo, nè
l'abitudine bastano da soli, ma intrecciati insieme forsebasteranno: e poi si è
lasciata fuor di conto l'induzione, la quale è d’un aiuto inestimabile. Ed
eccocome. Kant ha attribuito al principio di causalità un'origine a priori,
e poi aveva attribuito allo stesso un valore oggettivo – PARIDE AMA ELENA –
ELENA ‘caso causativo’: G. interpet r a oggettivo nel senso della filosofia
sperimentale, ed affibbia a Kant una contraddizione che proviene da una poco
esatta cognizione della Critica della Ragion pura. Da una parte si ammette, che
i nostri concetti e i giudizî sintetici a priori (“This sweater is green and
red all over – no stripes allowed” – Grice) hanno un valore oggettivo nella
natura. Dall'altra parte si sostiene che la causalità non è legge degl’esseri,
ma legge de'lor cangiamenti sommessi alla nostra esperienza. Per Kant
l'oggettivo non è punto nella natura, ma era semplicemente ciò che si trovava
in ogni coscienza, non come questa o quella coscienza empirica ed individuale, ma
in ogni coscienza umana in universale, in ogni coscienza uma na come tale. Onde
Fischer esponendo questa significazione della parola oggettivo – cf. Grice,
obble -- nel sistema kantiano scrive appunto cosi. Nun heisst verknüpft sein in
reinen bewusstsein soviel als OBJEKTIV verknüpft sein. Ma di tali inesattezze è
causa non la poca penetrazione della mente, si l'aver lui ignorato la lingua
tedesca – OBJEKTIV – “What’s German about it? – Grice -- ; il che lo costrinse
a servirsi di poco sicure traduzioni – cf. Grice’s ABBOTT! -- Nell'esame del
modo, come G. spiega l'origine dell'idea di sostanza, e quella di causa – cf.
PARIDE AMA ELENA, caso causativo -- noi abbiamo indicato tutto quanto il suo
processo analitico nella genealogia del pensiero, perchè la prima idea è
primitiva, la seconda derivativa. Pure d’altre principali toccheremo un cenno
per chiarezza maggiore, ma prima alleghiamo testualmente la formola del suo
metodo. Pura osservazione di fatto nelle idee primitive; pura osservazione di
concetti astratti nelle idee derivative; ecco i due cardini del suo saggio. La
natura oggettiva delle idee di rapporto, e i giudizî parte integrante d’alcune
idee sono le due vedute primordiali nella quistione della origine e realtà
delle nostre conoscenze. Con questo criterio ora il nostro filosofo si fa ad
esaminare il fatto, ed iquivi per via diastrazione, ossia per via del giudizio,
attinge ogni nostra idea. Percepire il possibile val giudicare ciò ch'è
possibile, come percepire il necessario val giudicare ciò ch’ènecessario, e
percepire il generale (horseness) val giudicare ciò ch'è generale. È una falsa
opinione il credere che la necessità, la possibilità, l’universalità, come
altre sì l’identità, la diversità (‘otherness’) non sono contenute tutte quante
nella realtà che ci sta davanti. Il giudizio non aggiunge nulla di suo. Esso è
un puro mezzo di osservazione, e nulla più. Il nostro spirito ha la virtù di
apprendere l'identità e la diversità, con cui si offrono le idee alla nostra
percezione – cf. Grice, “The causal theory of perception” – the gappy link to
be provided by a scientist, not a philosopher – ecco quanto devesi solamente dire
dal filosofo. L'infinito non è pel nostro autore, se non la quantità infinita,
e la origine di questa idea è anch'essa dovuta alla esperienza (“I know that
there are infinitely many stars.”). Partendo dal principio che il positivo dee
precedere il negativo nell'ordine genealogico – Grice, “Negation and
privation,” “Lectures on negation” -- , abbiamo conchiuso, la quantità che ha
limiti dover precedere la quantità che non ha limiti. Il finito dover precedere
l'infinito. Il si [Roman ‘sic’]– l’apofansi d’Abbagnano -- avanti al no [cf.
‘non’ – Grice: “Italian ‘non’ e ‘no’]. L'equivoco è nel credere che una
quantità infinita non è negativa. Che se si osserva, la quantità infinita comprendere
in se tutte le finite, è da osservare altresì ch'essa le comprende non come
negazione, ma come quantità. La negazione si riferisce al limite. Tra quelli
che AQUINO chiama sensibili comuni ci sono l'estensione e la successione, rapporti
quantitativi, mentre i sensibili proprî sono qualità. Ora lavorando. Più complicata
è la genesi delle idee di spazio e di tempo – Grice, on Strawson on individual
as spatio-temporal continuant. Sopra questi due dati, vale a dire
considerando come assoluta la posizione de'punti nella estensione, e
degl'istanti nella successione, si ha nel primo caso lo spazio, nel secondo il tempo
– cf. Grice on “Personal identity” as a temporal succession of mnemonic states..
La pura estensione non è tutta intera l'idea dello spazio. In questo v'è dippiù
il valore assoluto de'suoi punti. L'idea di successione non è tutta intera
l'idea del tempo. In questo v'è dippiù il valore assoluto de’suoi istanti. Che
cosa vuol dire questo valore assoluto? Ecco. L’estensione consiste nella
postura de'punti; e cotesta postura è di sua natura relativa. Se ora la postura
non si riferisce ad alcuni punti soltanto, ma a tutt'i punti assegnabili, si ha
non più una data estensione, ma lo spazio. Cosi dicasi del tempo per rispetto alla
successione – cf. Luigi Speranza, “Grice e Bergson nella filosofia italiana”.
C'è successione, se un istantes iriferisce ad un istante dato. C'è tempo se la
relazione si allarga a tutti gl'istanti assegnabili. Di modo chè lo spazio si ha
negando il limite della estensione finita; il tempo negando il limite della
successione finita. Ma l'estensione e la successione, si puo domandere, donde
provvengono? G., che li chiama sensibili comuni, ritenendo la nomenclatura d’AQUINO
(vedasi) nel Prospetto della filosofia ortodossa [italiana: auttotona], nel
Saggio ne attribuisce l'origine non alla sensibilità, ma all'intelletto. Egli
anzi combatte la dottrina critica delle forme pure della sensibilità, osservando
che non si può dare estensione e successione senza apprendere delle sensazioni
come moltiplici, e quindi come diverse, o me identiche; sicchè numero, diversità,
identità sono condizioni dell'apprensione di questi due nuovi rapporti, che si
dicono estensione e successione. Il criicisimo che le attribuisce alla
sensibilità non si accorge del concorso indispensabile dell'intelletto che vi
si richiedeva; ed anzi si contraddice ammettendo che la materia sensibile
prende un primo ordine nelle forme pure della sensibilità, e che per esse forme
la varietà e la moltiplicità della rappresentazione acquista un certo ordine.
Questa contraddizione è vvertita da BORRELLI (vedasi) prima di G., e forse
questi l'ha mutuata dall'autore della Genealogia del pensiero. Il criticismo, dice
BORRELLI (vedsi), tiene per categorie dell'intelletto la diversità e la moltiplicità:
ed intanto ammette una varietà ed una moltitudine anche nella sensibilità: come
va ciò? Nè BORRELLI (vedasi), né G. s'accorsero però che il divario tra
categoria, ed intuizione pura consiste non già nel supporre entrambe una
moltiplicità; ma nel diverso modo del legame categorico, ed intuitivo. Ma è
tempo omai di giudicare nel suo insieme il tentativo del nostro filosofo.
Propostosi di scoprire le lacune della filosofia di GALLUPPI (vedasi) principalmente,
e d’additare i costui sviamenti dal metodo sperimentale, egli si studia di
evitare ogni spiegazione, la quale non si desumesse dal fatto reale. La ragione
c'è non per produrre, ma per osservare: il più che puo fare è di astrarre. Per
questa disposizione d'animo gli ando a sangue la filosofia d’AQUINO (vedasi),
che, foggiata sul LIZIO, gli parve battesse la stessa via. Ripetendo l'antico
adagio el LIZIO che il pensare è o fantasia, o non senza fantasia, AQUINO
(vedasi) procede difatti d’astrazione in astrazione, ma senza dispiccarsi mai dal
fatto sensibile. Che cosa è il fantasma? Similitudine dellacosa particolare. Similitudo
rei particularis. Che cosa è l'atto dell'intendere? È la specie intelligibile, species
intelligibilis, che si torna ad astrarre dal fantasma: un'astrazione a doppio grado.
E che cosa vuol dire illuminare i fantasmi, e quel famoso lume divino, sul quale
tanto disputa SERBATI, se è il divino stesso, o un suo riflesso? Per G. non è altro,
se non l'effetto dell’attenzione, che vi si presta. Il giudicare è a
G. un fatto irreducibile, da non confondere con la sensazione – cf. Grice on
cotching and potching --, ma insieme è un puro mezzo d’osservazione. Osservare
adunque è la parola che compendia tutta la sua filosofia. Per questo verso la
filosofia di G. è più moderna di quella di Galluppi, e rasenta assai
da presso il positivismo, che in quel torno si sta concependo. Il Corso di
filosofia positiva dettato da Comte è pubblicato in Francia. G. puo averne
notizia, ma tutto induce a credere, ch'ei non l'abbia avuta. L'educazione prima
della sua mente, che al pari di quella di Comte è stata avvezza alle scienze esatte,
e la poca propensione per le spiegazioni trascendentali poteronlo però
sospingere per la medesima via. G. al pari de’positivisti dichiara sconosciute
le essenze delle cose, limitata ad una mera riduzione di fenomeni tutta la
nostra scienza. Crede anche lui doversi applicare alla filosofia il metodo
delle scienze esatte e delle sperimentali, e da qui la grande importanza che
attribuisce all’induzione – cf. Grice on third-degree induction in Kneale --,
la scarsa che attribuisce al sillogismo Barbara – citato da Grice, Aspects of
reason. Se non che all'osservazione immediata ei seppe accoppiare l'induzione,
ch'è l'osservazione mediata. Della induzione ha un concetto preciso, nè la volle
ristretta al semplice radunamento de'fatti osservati, ma ne estese la portata
oltre ai limiti della sperienza. In questo allargamento però essa non genera
nell'animo quella evidenza, che scintilla soltanto dalla osservazione
immediata, o dalle verità di ragione; ma una certezza morale, la quale ammette
la possibilità dell'opposto. Tutte le scienze sperimentali debbono tenersi
paghi di quello stato, ch'è pure tanto discosto dal dubbio tormentoso lasciato in
eredità dạ Hume – Grice, Hume projection, a treatise on Humean nature --, il quale
disconobbe l'efficacia della induzione. Ecco difatti alcune sentenze, le quali
si potrebbero credere imitate da Comte. Il metodo è il ridurre i fenomeni
particolari (particularised implicature) a’fenomeni generali (generalised
implicature), e questi ad altri più generali fino ad arrestarsi a pochi
fenomeni irreducibili. La riduzione viene operata a lume delle verità
necessarie da un lato, e dalle accurate osservazioni dall'altro lato. E un
fenomeno generale che resiste agli incessanti rigorosi tentativi di riduzione –
cf. Grice on reductionist vs. reductive --, non è perciò dichiarato
assolutamente irreducibile – cannot be reductive, cannot be reductionist -- alle
note forze primarie delle sostanze corporee, note però negl’effetti, e per noi
sempre ignote nella loro essenza. I nostri mezzi sono impotenti a scovrir la
natura degl’esseri. Tutto quel che può scovrire la nostra ragione nella scienza
della natura è riposto nel classificare i fatti sperimentali con andarrisalendo
da’fatti individuali a’generali, e da questi a'più generali fino a raggiungere
i fatti primiti vi, ov'è forza l'arrestarsi. Ma al lato a queste somiglianze troviamo
in G. dei tratti, che lo differenziano dal fondatore del positivismo; ne addito
due come principali. Comte trascura affatto il problema della conoscenza, ed
invece questo problema rimane per G. il primo ed il capitale. Comte attribuisce
alla metafisica un valore storico soltanto, G. è per sua soche la metafisica
possa rimanere accanto alla scienza sperimentale.Così,sebbene dichia ri
inconoscibilel'essenzadell'anima,enotasolalasuama nifestazione nel pensiero,non
esita poi di affermare che la metafisica ne ha stabilito la spiritualità,
l'immortalità, la vita futura. Questa oscillazione fra le esigenze del suo
metodo e le tra dizioni di quella ch'ei chiama filosofia ortodossa (italiana
autottona) fa sì che in lui si può ravvisare ora un tomista sequace d’AQUINO
(vedasi), ed ora un positivista, secondo i casi. Se non che il tomismo stesso
d’AQUINO (vedasi) a lui or balena 9 va come riflesso dalla filosofia
del LIZIO, or come lume raggiante dalla rivelazione divina; e della ortodossia
del credente si fa schermo a nascondere gl’ardimenti del filosofo. Noi ignoriamo
quali accuse gli sono mosse, e quali rimproveri fatti. Certo apparisce da
alcuni luoghi dei suoi saggi che qualcosa di simile ci dove essere stato:
eccone uno per esempio. Ci crediamo abbastanza fortunati di aver veduto
protrattii nostri giorni, fino all'istante di rassicurarci che il nostro
comunque debole lavoro è sotto la guarentigia d’AQUINO (vedasi), contro le
avventate odiose imputazioni. Ed altrove dice esplicitamente ch'ei ricorre
all'autorità di AQUINO (si veda) per iscagionarsi della taccia d'incredulita.
Lo studio d’Aquino, e d il Prospetto della filosofia ortodossa che ne è il risultato,
ebbero adunque per fine la difesa della propria dottrina. Meglio forse fa a
dispregiare il vano cicaleccio del volgo, che d’ogni ricerca filosofica
s'adombra e s'insospettisce; ma l'indole del nostro filosofo è dimessa e
circospetta, e preferi di ripararsi sotto l'egida di un dottore di santa
Chiesa; come se un altrettal espediente è giovato a SERBATI (si veda) e da
GIOBERTI (si veda). Senza il bisogno di quest’apologia della sua dottrina a
vrebbe potuto por mano a quella filosofia del pensiero, a cui accenna; imperciocchè,
con tutt'i suoi volumi, il suo sistema rimane appena delineato nel principio e nel
metodo; nè delle applicazioni all’estetica, o all'etica si trova più di un
semplice accenno. La logica – blue-collar -- stessa non vi è di stesa
pienamente, sebbene tutto i'l saggio non s i occupi di altro che di logica.
Stando ai brevi accenni noi sappiamo che le parti della filosofia per lui
sarebbero state la logica, l'etica, l'estetica, perchè i tre fenomeni
irreducibili del pensiero – cf. Grice, psicologia razionale -- sono il giudicare,
il volere, il sentire. Il sillogismo è giudizio pure; ma un giudizio
fondato sopra idee astratte, mentre il giudizio primitivo è la osservazione
immediata della realtà concreta. Il sillogismo è applicabile alle sole verità
di ragione. La prova induttivá si adopera a slargare la cerchia della sperienza
immediata: essa però presuppone la realtà delle idee di numero, identità,
diversità, sostanza, modificazione, necessità, possibilità. Queste idee non si
possono ricavare per induzione, altrimenti ci sarebbe un circolo. Sono ricavate
per astrazione dalla osservazione immediata fatta per mezzo del giudizio.
L'associazione è la sorgente spontanea, ma illegittima delle nostre idee:
l'induzione di poi legittima – cf. Grice, deem --, confermandole, quelle
relazioni, che l'associazione delle idee aveva per ipo tesi anticipato. Ecco
adunque delineato il compito della logica: analisi del senso comune – i
linguaggio ordinario --, e giustificazione delle credenze spontanee che quello
contiene. E dell'etica? Solo per intramessa sappiamo, ch'egli, a differenza di
Elvezio, il quale dà per originario il solo desiderio del proprio utile,
ammette appetiti disinteressati originalmente, non credendo che l'abitudine
potrebbe andare fino al punto di snaturare la qualità stessa del desiderio (cf.
Grice, morality cashing on desire and interest. Or se noi abbiamo nella
coscienza attuale de motivi disinteressati, è necessità che questi motivi SI
FONDANO sopra appetiti primitivameute tali. Anche quia dunque G. adotta
lo stesso procedimento della conoscenza: lo spirito avrebbe legittimato con la
ragione ciò che la natura spontaneamente avesse in Prima la mente
crede, perchè non ragiona ancora; poi crede, perché la ragione ha legittimato
la sua credenza. Fin chè il dubbio non l'assale, la mente riposa sicura sui nessi
stretti spontaneamente dall’associazione naturale delle sue idee: quando il
dubbio sottentra, la induzione ne la libera, giustificando la spontanea
credenza. origine operato. Se non che, egli seneri mette a quella
filosofia del pensiero, che poio non scrive, o non arria sino a noi. Meno
preciso è il disegno, del quale si sarebbe dovuto toccare dell’estetica. Noi
sappiamo solo, che il bello è per lui l'oggetto della percezione – cf. Sibley,
second-order quality --, quando ci riesce piacevole il contemplarlo.
Ma, oltre a questo effetto prodotto dalla bellezza nello spirito contemplatore,
in vano si cercherebbero altri schiarimenti. Nei voluminosi saggi che scrive ha
G. potuto colorire intero il disegno della sua filosofia, se non si fosse
allargato troppo in polemiche ed in apologie, soventi superflue, e se usa
maggior parsimonia nello stile, ch'è diffuso, stemperato, e ridondante
d'interminabili ripetizioni. I suoi saggi si sarebbero potuti restringere in un
solo, o in un paio al più, senza nessun danno per le idee che vi esprime; e
forse con questo guadagno dippiù, di aver potuto trovare maggior numero di
lettori. Dobbiamo in questa occasione ricordare, che il sensualismo è la
dottrina favorita degl’italiani, pria di comparire il saggio sulla critica
della conoscenza, che in parte colla forza del ragionamento, e in parte con
quella autorità che il nostro GALLUPPI (si veda) venne mano mano acquistando
pel valore della sua opera, egli riuscì a sradicare l'errore dalle menti, ed
avviarle a’sani principi della morale e della religione. Quindi le sue
istituzioni di filosofia, del tutto conformi ai suoi principi del saggio,
furono adottate per quasi tutte le scuole d'insegnamento in Italia. Un tal
positivo giovamento recato alla [G. combatté la filosofia di
GALLUPPI (si veda), finché que sti vive e professa a Napoli: la combattè perchè
la credette sbagliata e perniziosa. Morto che e il suo grande avversario, ei,
pur rimanendo saldo nella sua sentenza, scrive di lui queste parole sua patria
è la gloria maggiore cui aspirar mai si possa da un filosofo. Così
G. giudica Galluppi morto nel Prospetto di filosofia ortodossa. Ed
il giudizio ci rivela il carattere integro, leale, generoso di chi lo porta.
Combattendo le dottrine di un avversario, ei rispetta, ei loda le intenzioni ;
ei non disconosce l'utilità che aveva arrecato al suo paese. Talvolta anzi ei
par che non agogni, che non cerchi altra gloria che quella conseguita dal suo
valoroso avversario: dispera quasi di conseguirla vivo, pur se l'augura dopo
morto, non tanto per sè, quanto a pro della sua patria. Ese non può goderne chi
l'ha meritata, pur questa tar da gloria si riflette sula sua patria, serve
disprone a’ suoi concittadini sopra tutto, nella faticosa carriera filosofica,
e riesce di nobile compiacenza per tutti gli spiriti fatti per a m mirare, per
amar la virtù. Chi scrive queste magnanime parole ha certamente un cuore non
minore della mente, e la tarda gloria da lui invocata è un tributo ben meritato
da chi non stimolato da bisogno, non allettato da premio, passa la vita, non
fragliagi ereditati, ma nella faticosa palestra dello studio filosofico, dove
s'invecchia e si muore anzi tempo, ma dove si ha al meno il dritto di credere
che, morendo, non si muore del tutto. Nome compiuto: Vincenzo Di Grazia.
Grazia. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grazia” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Grecino: la ragione conversazionale alla Roma antica -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
FIlosofo
italiano. An amateur philosopher. Seneca describes G. as man of distinction, but with little serious
philosophical ability of interest. However, G. responded that it was SENECA – “a
mere Spaniard” – who had no philosophical talent. In Antiquity, this was
referred to as, as Grice reminds us, “The Grecino heterological paradox”! -- Nome
compiuto: Giulio Grecino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grecino”.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e
Gregorio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’arte
grammatica degl’angeli – filosofia italiana – filosofia lazia – filosofia
romana – scuola di Roma -- Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice, like Gregorio, disliked the term
‘grammar’ – or letteratura – a letter is only a SIGN of a VOX SIGNIFICATIVA –
Writing is totally Unphilosophical subject for discussion! Now, it is different
when ANGELS speak. Jarman’s The Angelic Conversation. Keywords: grammatica razionale -- Filosofo italiano. Filosofo
Lazio. Filosofo romano. Roma, Lazio. Da roma -- il grande: Grice: “For one, he is the
punning Pope!” Grice: “What WAS
Gregorio’s implicatura? A complex one, since he uses the counterfactual: “si
angeli fuessent.” Grice: “In The Sellars/Yeatman rewrite, the meta-implicata is
that you must have read Bede!” Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with
the Lonbards, and the sad thing is he lost!” -- Grice takes inspiration
on Shropshire’s argument for the immortality of the soul from Gregorio Magno
(Dialogo). Figlio di Gordiano, appartenente
all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante di Roma che mantene prestigio
economico e sociale, nonostante la caduta dell'Impero. La sua "ars
grammatica" e limitata e lo stile
che denota i suoi scritti è in linea con quello dei filosofi tardo-antichi. Di questi imita, in
particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto
dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto si
centra in CICERONE, da cui riprende anche definizioni e nozioni filosofiche del
PORTICO. Insegna su colle Celio. Secondo la tradizione, mentre Gregorio
attraversa, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del
Vaticano con il resto della città (chiamato allora "Ponte Elio" o
"Ponte di Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ha la visione
dell'Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfodera la sua spada.
La visione (che secondo alcune fonti e condivisa da tutti i partecipanti alla
processione) venne interpretata come un “segno” celeste pre-annunciante
l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i
romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana Castel Sant'Angelo e, a ricordo
del prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di un angelo in
atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Campidoglio è conservata una
pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la tradizione, sarebbero
quelle lasciate da Michele quando si ferma per annunciare la fine della
peste. Vede alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita,
bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato, rammaricato. Non
Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati. Comunque in meno di II anni
diecimila Angli, compreso il re del Kent Ethelbert – e la famiglia di Grice --
si convertirono. Obietta invece sulla proibizione ai soldati imperiali di
diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero. G.
detta suoi canti a un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause. Il
monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo
separava dal pontefice, per vedere cosa egli fa durante i lunghi silenzi,
assistendo così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo
Spirito Santo), posata su una spalla del papa, che gli detta a sua volta i
canti all'orecchio. Opere: “Expositio super Cantica canticorum – “Cantico dei
cantici”; “Moralia in Job (Giobbe); “Homiliae in Evangelia”, omelie sui
Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetam, oomelie su Ezechiele; A
Sacramentarium Gregorianum con cui riformò il canone della messa, rendendola
più semplice ma più solenne; Antiphonarius centola nuova redazione del libro
dei canti liturgici; Dialoghi; Libro su santi italiani a lui coevi; “San
Benedetto da Norcia” “Sul destino dell'anima” “Su alcune profezie”; “Regula
Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro
che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum,«12 marzoA Roma
presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto il grande, la cui
memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione.» «3
settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere
intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a
Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le
questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre.”“Si
mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i
bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque
la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale. Il
proprio del santo in rito romano contiene la seguente colletta: Deus, qui
populis tuis indulgentia cónsulis et amore dominaris, da spíritum sapiéntiae,
intercedénte beáto G. papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu
sanctárum óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dominum nostrum Iesum
Christum La Chiesa di Manduria custodisce un frammento d'osso del suo braccio
destro. La Chiesa di Casola custodita un frammento d'osso della sua mano
destra. G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, Dizionario Biografico degl’taliani, Roma,
Mareschini, G. Magno e la cultura classica” G. scrisse di sé ego quoque tunc
urbanam praeturam gerens pariter subscripsi, ma poiché in una variante del
testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue epistole non è
possibile sapere con esattezza se è prefetto dell'urbe o piuttosto pretore
dell'urbe. Gasperri, ITALIA LONGOBARDA,
Laterza, Dialogi, Roma, Tipografia del Senato, Dizionario biografico
degl’italiani, Opera Omnia dal Migne patrologia Latina con indici analitici. Grice: “Gregory did not know
what those were: ‘angeli,’ his companion answered. Adamant, Gregory corrected
him: “No. They are Anglicans, they are not angels!” -- The grammatical
structure of Latin of the seventh to eighth centuries had changed in comparison
with the Latinitas of the fourth century. Although Bede builds his argument on
the grammar textbooks of Antiquity, he adopts G. the Great’s directive to
subject the grammar rules to the language of the Scriptures and not to ancient
grammar textbooks. G. THE GREAT, Moralia in Iob, PL -- quia indignum uehementur
existimo, ut uerba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati’ (‘I
consider it strongly unworthy to restrict the words of divine revelation to the
rules of Donatus’). G. did NOT write an ‘ars grammatica’ – Bonifacio did! – G.
does mention the ‘sub regulis Donati’ – which is worth transcribing: “sed tam
pueriliter istum labi non indignum fortasse fuit, qui litteras fastidit et pro
nugis habet, iisque studere episcopum, impium et profanum putat – et alibi pene
gloriatur se artem loquendi, quam magisterial disciplinae exterioris insinuant,
servare despexisse, non barbarism confusionem devitare, situs motusque
praepositionum, casusque servare contemnere, quia indignum (inquit) vehementur
existimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati – quasi vero
humani divinique sermonis leges addiscere et observare, id sit caelestia
oracular subiiere. Non metacismi collisionem fugio, non barbarism confusionem
devito, situs motusque et praepositionum casus servare contemno, quia indignum
vehementer exisitimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati. Non rifuggo dalla collisione del metacismo, non evito
la mescolanza di barbarism, non tengo conto della posizione, degli spostamenti
e delle preposizioni con I casi che esse reggono, perche repute cossa assai
indegna coartare le parole del celeste oracolo entro le regole di Donato. Ep.
Miss. C. PL. Cio che a G. sembra indegno non e l’obbedire alle regole della
grammatica – anche in questo e uomo di disciplina – ma la retorica di Donato,
che teoreizza e prescribe, contro la LIBERTA dell’espresione originale, il
capriccio del maestro. Ructat corde bonum sine lege Donati verbum. La parola
buona erompe dal cuore senza le leggi di Donato. Sommamente disdicevole
assogettare le parole dell’oracolo celeste alle regole di Donato. L’esegeta del
libro di Giobbe non trascura di continuo le norme grammaticali. G. sa scegliere
tra due letture di un medesimo vesetto, indicare i tropi di paragone e di
metonimia, il valore della congiunzione di coordinarzione, l’etimologia di una
parola. Insomma, G. non esclude dall sua esegesi il ricorso ai metodoi di i
spegazione grammaticale classica. Facendo mostra di una conosenza ostentata
della tecnologia grammaticale G. si preoccupa evidentemente di far comprendere
che il suo NON-VOLERE non e un NON-Sapere. It was said a pigeon dictated his Gregorian chants.
Not only did he see the angel land on ponte sant’angelo, but was able to
retrieve the stone and give it to the Campidoglio – he joked on the anglii
being potentially angels, should they were Roman!” – I limite dei arti liberali
in Gregorio. Grice: “It was a good thing for Western civilization that Gregorio
could care less about Greek!” – Nome compiuto: Gregorio il Grande, Gregorio I –
Gregorio Magno. Gregorio. Gregorio da Roma. Keywords:
angeli, ars grammatica – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gregorio: implicatura
e grammatica” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Gregory: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale clandestina – filosofia lazia
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice reflected on where the criterion lies
for a division of signification. He concluded that it’s best to deal with a
REALM as being ‘central’ signification – the other non-central. But a very
clandestine implicature would be a misnomer – since the most covert you get the
least likely you are bound to ‘communicate’ anything! Cf. the best kept secret.
Keywords: implicatura clandestina. Filosofo italiano. Fellow of the British
Academy. Grice: “I like Gregory; being a Roman, he studied Roman philosophy in
one of the most interesting epochs: the thirties! Then he explored what he
calls the ‘lessico filosofico,’ which Austin detested – “Why do we need the
philosopheer’s ‘volition’ when we have ‘would’??” Si laurea a Roma con Nardi. Insegna a Roma. Direttore
di Ricerche storico-filosofiche. Direttore della sezione di Storia della filosofia
Lessico Italiano. Diresse la collana "I filosofi.” Saggi:“Anima mundi”
(Firenze, Sansoni); “Platonismo” (Roma); “Scetticismo ed empirismo” (Bari,
Laterza); “L'idea di natura”, “La filosofia della natura (Passo della Mendola, Firenze, Sansoni); “L’atomismo”,
“Aristotelismo” “Il genio maligno”; “Il demonio maligno”; “Mundana sapiential”;
“Theophrastus redivivus”; “Erudizione e ateismo” (Napoli, Morano); “Il
libertinismo”; “La filosofia clandestina” (Firenze, La Nuova Italia), “L’Etica
della critica libertina” (Napoli, Guida); “Forme di conoscenza” (Roma, EStoria
e Letteratura); “Lo spazio come geografia del sacro” Della sobria ebbrezza”;
“La terminologia filosofica” (Firenze, Olschki); “Speculum natural” (Roma,
Storia e Letteratura); “Principe di questo mondo”; “Il diavolo” (Roma, Laterza);
“Della modernità, Pisa, Torre); “Vie della modernità” (Firenze, Monnier
Università). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ALIOTTA,
CAPITINI, CARABELLESE ETC., Il problema di Dio, cur. Savio e G., Roma,
Universale di Roma, Centro Romano Studi presso l’Università degli Studi di Roma
nell’A.A. NARDI, Storia della filosofia. Il naturalismo del Rinascimento, a
cura di G., Roma, Universitarie, NARDI,
La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano, cur. G., Roma, La Goliardica, NARDI, Il problema di Dio
nella filosofia medioevale, cur. G., Roma, La Goliardica, Sull’attribuzione a
Conches di un rimaneggiamento della Philosophia mundi, Giornale critico della
filosofia italiana; L’anima mundi nella filosofia, Giornale critico della
filosofia italiana, NARDI, Le meditazioni di Cartesio, cur. G., Roma, La
Goliardica; L’idea della natura nella Scuola di Chartres, Giornale critico
della filosofia italiana; Cattolicesimo e storicismo. La polemica sulla nuova
teologia, Rassegna di filosofia; Gli studi italiani sul pensiero del
Rinascimento, I. La polemica sul Rinascimento, «Rassegna di filosofia», I, NARDI,
Il dualismo cartesiano, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica; Note sul
platonismo della Scuola di Chartres. La dottrina delle specie native, «Giornale
critico della filosofia italiana»; Diventa, corretto e aumentato, il quarto
capitolo di Platonismo medievale insieme ai saggi Note e testi per la storia
del platonismo medievale e Nuove note sul platonismo medievale; Gli studi
italiani sul pensiero del Rinascimento, II. Platonismo e Aristotelismo,
«Rassegna di filosofia», NARDI, La filosofia di Dante, a cura di G., Roma, La
Goliardica; L’ESCATOLOGIA cristiana nell’Aristotelismo latino; Ricerche di storia
religiosa»; Anima mundi”. La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di
Chartres, Firenze, Sansoni, («Pubblicazioni dell'Istituto di filosofia
dell'Università di Roma», La vita e le
opere di Guglielmo di Conches; La teologia; L’anima del mondo e l’anima
individuale, L’idea di natura; Gli
ideali culturali della Scuola di Chartres; Indice dei manoscritti; Indice dei
nomi; L’Apologia e le “Declarationes” di Patrizi, in Medioevo e Rinascimento.
Studi in onore diNardi, I, Firenze, Sansoni; Note e testi per la storia del
platonismo medievale, «Giornale critico della filosofia italiana» Diventa,
corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo medievale insieme ai
saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres e Nuove note sul platonismo
medievaleIl maestro interiore nel pensiero d’Agostino, in BRUNO NARDI, Il
pensiero pedagogico del Medioevo, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine-
Sansoni («I Classici italiani della pedagogia, Il De magistro d’AQUINO (si
veda), in NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze,
Edizioni Giuntine- Sansoni I Classici
italiani della pedagogia La reductio
artium da Cassiodoro a FIDANZA (si veda), in NARDI, Il pensiero pedagogico del
Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine-Sansoni («I Classici
italiani della pedagogia; Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e
franco-italiani, a cura di Viscardi, Nardi, Vidossi, Arese, con la collaborazione
di Barni, Brusotti, Luca, G., Ronga,
Milano-Napoli, Ricciardi, («La letteratura italiana. Storia e testi», I capitoli in cui G. ha curato la nota
introduttiva sono: Dalla epistola ad Drogonem philosophum; LANFRANCO DA PAVIA (AOSTA,
si veda) (nota introduttiva), Anselmo di AOSTA (si veda) (nota introduttiva),
Gioacchino da FIORE (si veda) (nota introduttiva) Il volume è stato
successivamente ristampato da Einaudi Nuove note sul platonismo medievale.
Dall’anima mundi all’idea di natura, «Giornale critico della filosofia
italiana», Diventa, corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo
medievale; insieme ai saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres e Note
e testi per la storia del platonismo medievale Platonismo medievale. Studi e
ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, Studi storici
dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo» Il commento a BOEZIO di
Adalboldo di Utrecht, L’Opusculum contra Wolfelmum e la polemica antiplatonica
di Manegoldo di Lautenbach; La dottrina del peccato originale e il realismo
platonico: Odone di Tournai, Il Timeo e
i problemi del platonismo medievale, Note sul platonismo della Scuola di
Chartres; Note e testi per la storia del platonismo medievale (Nuove note sul
platonismo medievale Giornale critico della filosofia italiana. Sulla
metafisica di Eriugena, «Giornale critico della filosofia italiana», Con
revisioni e aggiunte è diventato il primo capitolo d’Eriugena: tre studi La
polemica antimetafisica di Gassendi. I, Rivista critica di storia della
filosofia, La polemica antimetafisica di Gassendi, «Rivista critica di storia
della filosofia» Entrambi i contributi sono stati stampati, con numerazione
continua, in un estratto unico: G., La polemica anti-metafisica di Gassendi,
Firenze, La Nuova Italia Editrice, Mediazione e incarnazione nella filosofia
dell’Eriugena, Giornale critico della filosofia italiana, Con modificazioni e
aggiunte è diventato il secondo capitolo di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi Scetticismo
ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, Biblioteca di Cultura Moderna,
La polemica antimetafisica, Scetticismo ed empirismo, Empirismo e metafisica; L’opera
di Nardi, «L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca, Escatologia e
aristotelismo nella scolastica medievale, «Giornale critico della filosofia
italiana, L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo” e
pubblicato negli atti, Diventa il capitolo di Mundana Sapientia; Platone e
Aristotele nello “Speculum” di Enrico Bate di Malines. Note in margine a una
recente edizione, Studi medievali; ESCATOLOGIA e aristotelismo nella scolastica
medievale, in L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del
medioevo, atti del Convegno del Centro di Studi sulla Spiritualità medievale, Todi,
Todi, Accademia Tudertina, Apparso sul
«Giornale critico della filosofia italiana, Mundana Sapientia; Laterza,
Belfagor, conferenza tenuta in occasione dell’inaugurazione della Mostra
storica della Casa Editrice Laterza, a Roma; Discussioni sulla doppia verità,
«Cultura e scuola», Eriugena: tre studi, Firenze, Le Monnier, «Quaderni di
letteratura e d'arte» Dall’uno al
molteplice, Mediazione e incarnazione,«Contemplatio teologica» e storia sacra. Sulla
metafisica di Giovanni Scoto Eriugena. Il secondo capitolo è una
rielaborazione, riveduta e corretta del saggio Mediazione e incarnazione nella
filosofia d’Eriugena, entrambi apparsi sul «Giornale critico della filosofia
italiana». Diventano i primi tre capitoli del volume Scoto. Quattro studi Note sulla dottrina delle «teofanie» in
Giovanni Scoto Eriugena, Studi medieva; L’idea di natura nella filosofia
medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Firenze, Sansoni, Testo
presentato al Terzo Congresso di Filosofia Medievale La filosofia della natura
nel Medioevo, Passo della Mendola, Convegno, Mundana Sapientia; Aristotelismo,
in Grande Antologia Filosofica, diretta da Sciacca, coordinata da Moschetti e
Schiavone, Milano, Marzorati, Einleitung, in GASSENDI, Opera Omnia,
Faksimile-Neudruck der Ausgabe von Lyon mit einer Einleitung von G., I,
Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann Holzboog, De Homine. Filosofia e teologia
nella crisi del XIII secolo, Belfagor, Instytut filozofii i socjologii della
Polska Akademia Nauk di Varsavia edito in polacco con il titolo Filozofia i
teologia wdobie kryzysu XIII wieku, Mundana Sapientia; Pierre Gassendi, De
Homine, Opera Omnia; Studi sull’atomismo, Basson, Giornale critico della
filosofia italiana, Goorle e Sennert, Cudworth e l’atomismo, Genèse de la
raison classique; AQUINO, De magistro, commento a cura di G., Roma, Armando, AQUINO
(si veda) NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo Sull’escatologia di FIDANZA
(si veda) e AQUINO (si veda), Per la storia della cultura in Italia. Omaggio a
Dante nel VII centenario della nascita, «Studi medievali», Diventa il decimo capitolo
di Mundana Sapientia; L’idea di natura nella filosofia medievale prima
dell’ingresso della fisica di Aristotele. La filosofia della natura nel
Medioevo, atti del Terzo Congresso Internazionale di Filosofia Medievale, Vita
e Pensiero, Milano, Mundana Sapientia; Studi sull’atomismo del Seicento, II.
David van Goorle e Daniel Sennert, «Giornale critico della filosofia italiana»,
Basson. Cudworth e l’atomismo. Genèse de la raison classique; TONELLI, World
Soul, in Catholic Encyclopedia, New York, McGraw-Hill; La saggezza scettica di
Charron, De Homine, Vie della modernità, Genèse de la raison classiquel Studi
sull’atomismo. Cudworth e l’atomismo, «Giornale critico della filosofia
italiana», Il saggio è preceduto da una prima parte su Sebastiano Basson, Goorle
e Daniel Sennert; Genèse de la raison classique; Filozofia i teologia w dobie
kryzysu XIII wieku, «Studia Mediewistyczne», Testo edito in polacco di una
lettura tenuta all’Instytut Filozofii i Socjologii della Polska Akademia Nauk
di Varsavia il Traduzione a cura di Ryszard Palacz e Juliusz Domański. Il testo
in italiano è apparso su «Belfagor» Pierre Gassendi, in Grande Antologia
Filosofica, diretta da Michele Federico Sciacca, coordinata da Michele
Schiavone, Milano, Marzorati, Vorwort, in SCOTUS, Opera Omnia, Reprogr.
Nachdruck der Ausg. Lyon, 1mit einem Worwort von G., I, Hildesheim, Olms, Gli
scritti di Nardi, a cura di G. e Mazzantini, «L’Alighieri. Rassegna
Bibliografica Dantesca, Nardi, Giornale critico della filosofia italiana, Due
interventi sull’Università, Problemi, Il primo intervento è di Salvatore
Valitutti; Vom Einen zum Vielen. Zur Metaphysik des Johannes Scotus Eriugena,
in: BEIERWALTES, Platonismus in der Philosophie des Mittelalters, Darmstadt,
Wissenschaftliche Buchges, Das Opusculum contra Wolfelmum und die
antiplatonische Polemik des Manegold von Lautenbach, in BEIERWALTES, Platonismus
in der Philosophie des Mittelalters, Darmstadt, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, Platonismo medievale. Studi e ricerche Opera e studi di Nardi,
La Provincia di Lucca, NARDI, Saggi sulla cultura veneta, cur.. Mazzantini,
Padova, Antenore, Tre opinioni sulla riforma. Interviste a Gismondi, G., Spirito,
a cura di Chiusano, Riforma Universitaria, Gassendi e GALILEI (si veda), in
Saggi su Galilei, cur. Maccagni, Firenze, Barbéra, Erudizione e ateismo nella culturam Il
Theophrastus redivivus, Giornale critico della filosofia italiana, Theophrastus
redivivus; Abélard et Platon, «Studi medievali», Comunicazione presentata
alla Conference “Peter Abelard” tenutasi
presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Lovanio, atti, Mundana
Sapientia; ADORNO, G., VERRA, Storia della filosofia. Con testi e letture
critiche, Bari, Laterza, Dal Rinascimento a Kant, cur. G. Considerazioni su
ratio e natura in Abelardo, Studi medievali, Colloque Abélard, Pierre le
Vénérable, Abbaye de Cluny, atti, Mundana Sapientia, Abélard et Platon, in
Peter Abelard, proceedings of the Conference, Louvain, ed. by Buytaert,
Leuven-The Hague, University Press Leuven; Studi medievali; Mundana Sapientia; Dio
ingannatore e Genio maligno. Note in margine alle “Meditationes” di Descartes,
«Giornale critico della filosofia italiana», Mundana Sapientia, Genèse de la
raison classique; L’idée de nature et de savoir scientifique, in The cultural
context of Medieval learning, proceedings of the First International Colloquium
on Philosophy, Science, and Theology in the Middle Ages, edited with an
introduction by John Emery Murdoch and Edith Dudley Sylla, Dordrecht-Boston,
Reidel Discussion, Mundana Sapientia; Considérations sur ‘ratio’ et ‘natura’
chez Abélard, in Abélard, Pierre le Vénérable: les courants philosophiques,
littéraires et artistiques en Occident, Colloques Internationaux du Centre
National de la Recherche Scientifique (Abbaye de Cluny), Paris, Éditions du
CNRS, Discussion). Versione in
francese del saggio Considerazioni su «ratio» e «natura» in Abelardo apparso su
«Studi medievali», Mundana Sapientia; Scoto Eriugena, in Questioni di
storiografia filosofica. Dalle origini all’Ottocento, a cura di Vittorio
Mathieu, I, Dai presocratici a Occam, Brescia, La Scuola, L’escatologia di
Scoto, Studi medievali, Colloquio Erigène et l’histoire de la philosophie
(Laon). Mundana Sapientia; Scoto. Quattro studi; La filosofia medievale, a cur.
G., Maierù, Alessio, in Storia della filosofia, diretta da Mario Dal Pra, VI,
Milano, Vallardi, La cultura filosofica, Alberto Magno, la Scuola di Colonia e
il neoplatonismo medievale, FIDANZA e l’agostinismo, Aquino e le origini del
tomismo, L’averroismo latino; Bacone e Raimondo Lullo; Gand, Goffredo di Fontaines, Egidio Romano, Le
grandi enciclopedie, Rapport sur les activités du «Lessico Intellettuale
Europeo», in I Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti
a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo,
Centro di studio per il lessico intellettuale europeo, Roma. Attività
scientifica svolta nel 1975, «La ricerca scientifica», CNR, Scritture e
scrittori del secolo XI, a cura di Antonio Viscardi e Giuseppe Vidossi; con la
collaborazione di G., Nardi e Ronga, Torino, Einaudi, Questa edizione riproduce
esattamente parte del volume Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e
franco-italiani, Dalla epistola ad Drogonem philosophum (note); Lanfranco da
Pavia (nota); Anselmo di AOSTA (si veda) (nota); Scritture e scrittori, a cura
di Viscardi e Vidossi, con la
collaborazione di Arese, G. e Nardi, Torino, Einaudi, Questa edizione riproduce
esattamente parte del volume Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e
franco-italiani; Gioacchino da FIORE (si veda) (nota). L’eschatologie de Jean
Scot, in Jean Scot Erigène et l’histoire de la philosophie, Colloques
Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, Laon, Paris,
Éditions du CNRS, Studi medievali» con un apparato di note più ampio ed è
diventato il capitolo 8 di Mundana Sapientia; “Theophrastus redivivus”.
Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, Collana di filosofia, Gli
dei figli degli uomini, La storia naturale della religione, Le citazioni di MACHIAVELLI,
Erudizione e ateismo nella cultura; VICO, Principj di una scienza nuova intorno
alla natura delle nazioni, Napoli, Roma, Edizioni dell’Ateneo, G., PETROCCHI,
Nardi, con sue pagine autobiografiche, Roma, Casa di Dante ALIGHIERI; La
conception de la philosophie au Moyen Age, in Actas del Congreso de Filosofía
Medieval, Madrid, Editora Nacional; Pour un Thesaurus mediae et recentioris
latinitatis, in Ordo; Colloquio del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura
di Fattori e Bianchi, Roma, Ateneo, Lessico Intellettuale Europeo, Ordo.
Colloquio del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cur. Fattori e Bianchi,
Roma, Ateneo; Gouhier, in Allocuzioni pronunciate durante la cerimonia di
consegna di lauree honoris causa. Allocuzioni di Ruberti, Nardis, G. Muscetta,
Gouhier, Filippo, Roma, Università degli Studi di Roma, Facoltà di Lettere e
Filosofia; Ricerche sul Lessico Intellettuale Europeo, Convegno sulla
lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità
(Torino), a cur. di Lana e Marinone, Torino, Accademia delle Scienze; PAGANINI,
CANZIANI, FARACOVI, PASTINE, Ricerche su letteratura libertina e letteratura
clandestina, atti del Convegno di studio di Genova, Firenze, La Nuova Italia; Il
libertinismo: stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in G.,
PAGANINI, CANZIANI, FARACOVI, PASTINE,
Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina, atti del Convegno
di studio di Genova, Firenze, La Nuova Italia, Genèse de la raison classique; Le
biblioteche universitarie, in La riforma universitaria e le biblioteche
dell’Università, atti del Convegno su
“Le biblioteche universitarie e i loro problemi di struttura, coordinamento,
unificazione”, Roma, Roma, Bulzoni, Relazione sulle attività del Lessico
Intellettuale Europeo; Res. Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale
Europeo, atti a cur. Fattori e Bianchi, Roma, Ateneo, Foreword, in Global
linguistic statistical methods to locate style identities, proceedings of a Seminar,
Gallarate, ed. Busa S.I., Roma,
Ateneo; Omnis philosophia mortalitatis adstipulatur opinioni”: quelques
considérations sur le Theophrastus redivivus, in Le matérialisme et la
littérature clandestine, actes de la table ronde organisée à la Sorbonne avec
le concours du CNRS par le Groupe de recherche sur l’histoire du materialisme,
Bloch, Paris, Vrin; Aristotelismo e libertinismo, Giornale critico della
filosofia italiana, Convegno di Studi sull’Aristotelismo veneto e scienza
moderna, Padova, Vie della modernità, Genèse de la raison classique, La
tromperie divine, Studi medievali, Table ronde su Preuve et raisons à
l’Université de Paris. Logique,
ontologie et théologie”, organizzata dal Centre d’Études des religions du livre
(Laboratoire associé au CNRS) a Parigi, atti, Mundana Sapientia Aristotelismo e
libertinismo, in Aristotelismo veneto e scienza moderna, atti, Centro per la
storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di Olivieri, Padova,
Antenore, Giornale critico della filosofia italiana, Vie della modernità; NARDI,
Dante e la cultura medievale, a cur. di Mazzantini, Bari, Laterza, Collezione
storica, Biblioteca Universale Laterza» La tromperie divine, in Preuve et
raisons à l’Université de Paris. Logique, ontologie et théologie, actes de la Table Ronde
internationale organisée par le Laboratoire associé au CNRS (Paris) ed. Kaluza
eVignaux, Paris, Vrin. Pubblicato su
«Studi medievali» Mundana Sapientia; Temps astrologique et temps chrétien, in
Le temps chrétien de la fin de l’Antiquité au Moyen Age; Colloques
Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Paris), Paris,
Éditions du CNRS; Mundana Sapientia; INSTRVMENTA LEXICOLOGICA Instrumenta
Latina: verso un «Thesaurus Patrum Latinorum», «Studi medievali»; Bacon. Terminologia e fortuna, Seminario, Roma, a cur. Fattori,
Roma, Edizioni dell’Ateneo; Architettura in Provincia. Il centro storico di
Sacrofano, a cura di Guidoni e Pascalino, Roma, Kappa, Filosofi, Università,
Regime: LA SCUOLA DI FILOSOFIA DI ROMA, Mostra storico documentaria, a cura di G.,
Fattori, Cumis, Roma-Napoli, Istituto di Filosofia della Sapienza-Istituto per
gli studi filosofici; I sogni nel Medioevo, Seminario, Roma, Ateneo; Il Lessico
Intellettuale Europeo, in Lo storico e il suo lessico. Atti del Convegno di
Prato, a cur. di Cicala. Rosa, Società degli storici italiani, Messina, La
Grafica; NARDI, Dante e la cultura medievale, nuova edizione a cur. Mazzantini,
Roma- Bari, Laterza, Biblioteca Universale Laterza», Collezione storica Laterza;
I sogni e gli astri, in I sogni nel Medioevo, Seminario Internazionale (Roma),
Roma, Ateneo, Mundana Sapientia; L’uomo di fronte al mondo animale nell’Alto
Medioevo, atti della Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’alto
medioevo (Spoleto), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo,
Mundana Sapientia; L’importanza dei filoni tradizionali, in Cento anni Laterza,
Testimonianze degli autori, Bari, Laterza, Trasmissione dei testi a stampa nel
periodo moderno, I seminario Internazionale, Roma, a cur. Crapulli, Roma,
Ateneo, Etica e religione nella critica
libertina, Napoli, Guida («Interventi»,
Il libertinismo erudito, Il «libro scandaloso» di PCharron, Nota bibliografica,
Testi di due lezioni tenute all’Istituto Suor Orsola Benincasa, riveduti per la
stampa e arricchiti delle note a piè di pagina e della nota bibliografica. Il
volume è stato pubblicato tradotto in polacco con il titolo Etyka i religia w
krytyce libertyńskiej; Vie della modernità, Charron’s ‘Scandalous Book, Atheism
from the Reformation to the Enlightenment, Genèse de la raison classique
Ideologia e programma dell’Olimpiade delle civiltà, a cur. G., Tartaro, Venezia, Cataloghi
Marsilio; Le platonisme; Revue des sciences philosophiques et théologiques»,
Paris, Librairie philosophique Vrin; Collège de France, The Platonic
Inheritance, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy, ed. Dronke, Cambridge, Mundana Sapientia; Forme di
conoscenza e ideali di sapere nella cultura medievale, «Archives d’histoire des
sciences»; Congresso di filosofia medievale (Helsinki, “Conoscenza scientifica
e scienze nella filosofia medievale”. Giornale critico della filosofia italiana,
atti del Congresso, «Il veltro» Mundana Sapientia, Forme di conoscenza e ideali
di sapere nella cultura medievale, «Giornale critico della filosofia italiana»,,
Helsinki, Conoscenza scientifica e scienze nella filosofia medievale, Archives
internationales d’histoire des sciences, atti del Congresso, «Il veltro», Mundana
sapientia, Lessico Intellettuale Europeo: recherches sur la terminologie
intellectuelle du Moyen Age, in Actes du colloque Terminologie de la vie
intellectuelle au Moyen Age, Leyden/La Haye, edité par Weijers, Turnhout,
Brepols; Sémantique, in Image et Réalité du Vin en Europe, Actes du Colloque
pluridisciplinaire sur le vin et les sciences, Organisé par l’Université
Catholique de Louvain, en collaboration avec l’Institut Italien pour le
Commerce Extérieur, Louvain-la-Neuve; Necessità di programmare le carriere
amministrative in funzione della specificità dei profili professionali. Il
ritorno alla selettività e alla preparazione scientifica, in Memorabilia: il
futuro della memoria. Beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici
e storici in Italia. Confronti per l’innovazione, a cura di Clementi e Perego,
Bari, Laterza; Vignaux, «Giornale critico della filosofia italiana», Théologie
et droit dans la science politique de l’Etat moderne” organizzata dall’École
française de Rome; Vignaux, atti; Il
calcolatore in lingua, «Il pensiero informatico»; Ideali di sapere nella
cultura medievale, «Il veltro. Rivista della civiltà italiana»; Conoscenza
scientifica e scienze nella filosofia medievale” (Helsinki, Giornale critico
della filosofia italiana» atti del Congresso, Archives internationales
d’histoire des sciences, Mundana Sapientia; BRUNO [si veda], SVMMA TERMINORVM
METAPHYSICORVM, Marburg, Nota e indici di Canone, Roma, Ateneo; Nardi, cur. G.
e Mazzantini, NARDI, Lecturæ e altri
studi danteschi, cur. Abardo con saggi introduttivi di Mazzoni e Vallone,
Firenze, Le Lettere; Forme di conoscenza e ideali di sapere nella cultura
medievale, Knowledge and the Sciences in Medieval Philosophy, Congress of
Medieval Philosophy, Helsinki, cur. Asztalos, Murdoch, Niiniluoto, I, Helsinki,
Societas philosophica Fennica, Acta Philosophica Fennica», Giornale critico
della filosofia italiana», Archives internationales d’histoire des idées», «Il
veltro», Mundana Sapientia; Théologie et astrologie dans la culture médiévale:
un subtil face-à-face, «Bulletin de la Société Française de Philosophie»; Prima
comunicazione del saggio che poi diventerà il capitolo 11 di Mundana Sapientia,
dal titolo Astrologia e teologia nella cultura medievale; Missione scienza,
«Ulisse», Etyka i religia w krytyce libertyńskiej, przelozyla Tylusińska,
Warszawa, Polska Akademia Nauk Instytut Filozofii i Socjologii («Renesans i
Reformacja», Versione in polacco del volume Etica e religione nella critica
libertina, Libertynizm erudycyjny, Księga skandaliczna Charrona, Nota
bibliograficzna; Sul lessico filosofico latino, Lexicon philosophicum. Quaderni
di terminologia filosofica e storia delle idee, cur. Lamarra e Procesi,
Firenze, Olschki; Congresso Internazionale di studi sull’uso scritto e parlato
del latino dal Rinascimento ad oggi, Roma, Origini della terminologia
filosofica moderna. Linee di ricerca; Per la storia del «vissuto religioso».
Gli scritti di Rosa. Interventi di Goichot, G., Liliana Billanovich, Antonio
Cestaro, Fulvio Tessitore, Pasquale Villani, Cosimo Damiano Fonseca, Vicenza,
Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa; L’intervento di G. è
stato tenuto per la presentazione del volume di Rosa Tempo religioso e tempo
storico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1987, avvenuta a Vicenza,
presso la Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, per iniziativa dell’Istituto
per le ricerche di storia sociale e religiosa, con il patrocinio del Comune di
Vicenza; Gli studi di filosofia medievale fra Ottocento e Novecento.
Conclusioni, in Gli studi di filosofia medievale fra Otto e Novecento.
Contributo a un bilancio storiografico, atti del convegno Roma, a cur. Imbach e
Maierù, Roma, Storia e Letteratura, Speculum naturale; Vignaux, in Théologie et
droit dans la science politique de l’Etat moderne, actes de la Table ronde
organisée par l’École française de Rome, CNRS Roma, Rome, École française de
Rome, Collection de l’École française de Rome; Giornale critico della filosofia
italiana; Cultura umanistica e istituzioni, La rivista dei libri; Le discipline
umanistiche. Analisi e progetto, Supplemento al Bollettino Università Ricerca,
Roma, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato; Rapporto finale della Commissione
Nazionale per la formazione e la ricerca nelle scienze umane, del Ministero
dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, redatto dal
Professor Gregory in qualità di coordinatore della Commissione; Mundana
sapientia”. Forme di conoscenza nella cultura medievale, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, saggi sulla storia della filosofia medievale pubblicati
in sedi e anni diversi. Il saggio Astrologia e teologia nella cultura medievale,
Société française de philosophie; Avvertenza, Forme di conoscenza e ideali di
sapere nella cultura medievale; Filosofia e teologia nella crisi; L’idea di
natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele;
La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique; The Platonic Inheritance;
Abélard et Platon; Considération sur ratio et natura chez Abélard, Studi
medievali; L’escatologia di Scoto; Escatologia e aristotelismo nella scolastica;
Sull’escatologia di FIDANZA ed AQUINO (si veda); Astrologia e teologia nella
cultura; Temps astrologique; I sogni e gli astri; La tromperie divine; Dio
ingannatore e genio maligno. Nota in margine alle Meditationes di Descartes; L’uomo
di fronte al mondo animale nell’alto medioevo; Indice dei nomi; Charron’s
Scandalous Book, in Atheism from the Reformation to the Enlightenment, ed. Hunter
and Wootton, Clarendon; Etica e religione nella critica libertina; Genèse de la
raison classique; Atti del Convegno di Lecce: prospettive degli studi
cartesiani, in GIULIA BELGIOIOSO, a cur., Cartesiana, Galatina, Congedo, Università
degli studi di Lecce, Istituti di Filosofia. Testi e Saggi; Utopia e scenario
del regime; Ideologia e programma dell’Olimpiade della città, a cura di G. e
Tartaro, Catalogo della mostra Archivio centrale dello Stato, Rom, Venezia,
Marsilio; Pierre Gassendi explorateur des sciences. Catalogue de l’exposition,
quatrième centenaire de la naissance de Pierre Gassendi (Musée de Digne),
rédigé par Turner avec la contribution de Gomez; préface de G.,
Digne-les-Bains, Musée de Digne; Gassendi, Archives Internationales d’histoire
des sciences, Discorso d’apertura al Colloquio Gassendi (Digne-Les- Bains), Atti
col titolo Pourquoi Gassendi? Giornale
critico della filosofia italiana», Genèse de la raison classique; Gassendi, Giornale
critico della filosofia italiana, Colloquio internazionale Pierre Gassendi
(Digne-Les-Bains), Vie della modernità, Archives d’histoire des sciences», Atti
del Colloquio Pourquoi Gassendi? Lessico Filosoficom Sezione latina, cur. Fattori,
con la collaborazione di Bianchi, I, a- aetherius, coordinamento di Canone e Spinosa,
Roma, Edizioni dell’Ateneo; Storia dell’Italia religiosa, a cura di Gabriele De
Rosa, G., André Vauchez, 3 v., Roma, Laterza, Il secondo volume è a cura di G.;
L’eclisse delle memorie, a cura di G., Morelli, prefazione di Salvini,
traduzioni di Morelli, Roma-Bari, Laterza; L’età moderna, a cur. Rosa e G., in Storia dell’Italia
religiosa, a cur. Rosa, G., Vauchez, Roma, Laterza; Pourquoi Gassendi?, in
Quadricentenaire de la naissance de Gassendi, actes du Colloque Gassendi, Digne-les-Bains,
Société Scientifique et Littéraire des Alpes de Haute-Provence; Discorso di
apertura del Colloquio. Pubblicato con un
titolo diverso negl’archives Internationales d’histoire des sciences; Giornale
critico della filosofia italiana; Gli studi di filosofia medievale di Rovighi,
in Sapientiae studium. La giornata operosa di Rovighi, a cur. Sina, Milano,
Vita e Pensiero; L’ordine della natura e l’ordine del sapere, in Storia della
filosofia, cur. Rossi e Viano, II, Il Medioevo, Roma-Bari, Laterza; Riscoperta
della natura e nuove scienze, Speculum naturale; Considerazioni conclusive in
Descartes metafisico, cur. Armogathe e Belgioioso, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana; RETORICA E FILOSOFIA IN VICO, Le INSTITUTIONES ORATORIAE:
un bilancio critico, cur. di Crifò, Napoli, Guida, Conclusioni, in Ricerca e
terminologia tecnico-scientifica, Adamo, Lexicon philosophicum, Quaderni di
terminologia filosofica e storia delle idee»; Dell’Elefante. Parole pronunciate
in occasione della mostra Res Libraria alla Biblioteca Casanatense di Roma,
Roma, Edizioni dell’Elefante; Opuscolo in edizione limitata. Pubblicato in Bibliomania
Perennis; Università e Beni Culturali, ricerca – formazione. Relazione della
Commissione Nazionale per il Corso d Laurea e Facoltà in Conservazione dei Beni
Culturali, Supplemento al Bollettino «Università Ricerca», Roma, Istituto
Poligrafico Zecca dello Stato, Relazione finale della Commissione Nazionale per
il Corso di Laurea e Facoltà in Conservazione dei Beni Culturali, del Ministero
dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, redatta da G., in qualità di coordinatore della Commissione; Fabula
in tabula. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico, cur. Leonardi,
Morelli, Santi, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, I «thesauri» dei Padri latini, Studi
medievali, ADORNO, G., VERRA, Manuale di storia della filosofia, Roma, Laterza.
Cura. Pensiero medievale e modernità, Giornale critico della filosofia
italiana, Relazione, Lincei, Convegno di studio su Pensiero medievale e
modernitàm Roma, Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale, Speculum
naturale Natura e Qualitas planetarum, Micrologus; Il teatro della natura, Speculum
naturale; Album. I luoghi ove si accumulano i segni, cur. Leonardi, Morelli, Santi,
Spoleto, Centro di Studi sull’Alto Medioevo; Accademia nazionale dei
Lincei-Archivio centrale dello Stato- Consiglio nazionale delle ricerche; Marconi
e l’Italia. Mostra storico-documentaria (Roma), catalogo a cur. Paoloni e
Simili, prefazione di G., introduzione di Simili, Roma, Accademia nazionale dei
Lincei, Prólogo, in MONTAIGNE, Ensayos selección, Prólogo de G., Barcelona,
Círculo de Lectores, Giornale critico della filosofia italiana; Vie della
modernità Apertura dei lavori, in Il vocabolario della republique des Lettres.
Terminologia filosofica e storia della filosofia. Problemi di metodo, atti del
Convegno Internazionale in memoriam di Dibon, Napoli, cur. Fattori, Firenze,
Olschki; Les nouveaux outils d'analyse textuelle, in Le Plurilinguisme dans la
Société de l’Information, Actes du Colloque International (Paris), Paris,
UNESCO Publications, Per una lettura di Montaigne, «Giornale critico della
filosofia italiana», Testo italiano della prefazione spagnola all’antologia
degli Essais di Montaigne; Nel mondo semantico del virtuale, «if. Rivista della
Fondazione IBM Italia»; Bibliotheca encyclopaedica: catalogo del fondo storico
della Biblioteca dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Treccani,
a cura di Mauro e Menna; presentazione
di Rita Levi-Montalcini, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana,
Introduzione, in DESCARTES, Discorso sul metodo, Roma, Laterza; Vie
spéculative, vie méditative et travail manuel à Chartres au XIIe siècle (autour
de Thierry de Chartres et des introducteurs de l’étude des arts mécaniques
auprès du quadrivium), Chartres, Association des Amis du Centre Médiéval
Européen de Chartres; Discorso, colloquio ‘Libertinisme erudit’ in Seventeenth
Century France and Italy: The Critique of Ethics and Religion, British Journal
for the History of Philosophy, Il libertinismo erudito, Etica e religione nella
critica libertina, Le Dictionnaire de l'Académie Française et la Lexicographie
Institutionelle Européenne, Actes du Colloque, Paris), Quemada, Pruvost, Paris,
Champion, Nature, in Dictionnaire raisonné de l’Ocident médiéval, cur. Goffe e Schmitt,
Paris, Fayard; Speculum naturale, restituendo in latino i testi tradotti in
francese. Per una fenomenologia del cadavere. Dai mondi dell’immaginario ai
paradisi della metafisica, Micrologus, Il cadavere, Speculum naturale; Sapor
mundi: scritti sulla civiltà dei sapori da Il Sole 24 Ore, Roma Raccolta degli
articoli di carattere gastronomico, Il Sole 24 ore. Genèse de la raison
classique de Charron à Descartes, traduit par Raiola, préface de Armogathe,
Paris, Presses Universitaires de France, Épiméthée», Sono raccolti in questo
volume alcuni saggi dedicati alle figure e ai problemi appartenenti alla prima
metà del XVII secolo francese e europeo, pubblicati in sedi e anni diversi. Di
seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già pubblicati. Indice del volume: Notice de G.,
Préface de Armogathe, La première crise de la conscience européenne; Le
libertinisme; Aristotélisme et libertinisme; Ethique et religion dans la
critique libertine; Le livre scandaleux» de Charron; La sagesse sceptique de
Pierre Charron; Perspectives sur Gassendi à l’occasion du IVe centenaire; Basson;
Goorle et Sennert; Cudworth; Dieu trompeur et malin génie; Vers un Thesaurus
totius latinitatis: problèmes et perspectives, in L’élaboration du vocabulaire
philosophique au Moyen Age, actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve
et Leuven, Société pour l’étude de la Philosophie Médiévale, éd. Hamesse et Steel, Turnhout, Brepols; Informatica e
analisi testuale, in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti.
Appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana; I cieli, il tempo, la
storia, in Sentimento del tempo e periodizzazione della storia nel Medioevo,
atti del Convegno storico, Todi, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto
Medioevo; Speculum naturale; Il liber
creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio, in Le
vie del medioevo, atti del Convegno internazionale di studi (Parma), a cura di
Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa; Speculum naturale Scrittura, fondamento di civiltà, in Duemila.
Verso una società aperta; Istruzione, scienza, linguaggio, a cur. Moussanet, il
Sole 24 ORE, Milano, Apologeti e libertini, «Giornale critico della filosofia
italiana», Vie della modernità; Per i cento anni della Casa Laterza. Il
sodalizio Croce-Laterza nella cultura italiana del Novecento, «Accademie et Biblioteche
d’Italia», Testo del discorso pronunciato al Teatro Comunale Piccinni alla
presenza del Capo dello Stato, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario
della Casa Editrice Laterza; Come cucinare un filosofo, «l’Erasmo»; CORRADO,
Del cibo pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ Nobili e de’ Letterati. Opera
meccanica dell’oritano Corrado; seguito dal Trattato delle patate per uso di
cibo, opera del medesimo autore. Con una introduzione di G. e una nota alle
illustrazioni di Abbate, Roma, Donzelli, testi autobiografici di Bruno, in
Memoria di Bruno Atti del convegno
(Roma) con il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche del Comune di Roma, a
cura di Mantello, Roma, VE.GRAF,
Dell’Elefante, in Bibliomania Perennis. Mostre delle Edizioni dell’Elefante.
Prologhi e testi di occasione, Roma, Edizioni dell’Elefante; Res libraria alla Biblioteca Casanatense di
Roma GEORGE TATGE, Al di là del tiglio. Un ritratto di Todi. G., Firenze, Fratelli
Alinari; Il valore di una cultura comune. Il ‘nuovo mondo’ dei dotti del
Seicento, l’Erasmo, Lo spazio come geografia del sacro nell’occidente
altomedievale, Giornale critico della filosofia italiana, Centro Italiano di
Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, Uomo e spazio nel medioevo. atti del
Convegno; Speculum naturale; TATGE, Al di là del tiglio. Un ritratto di Todi,
Alinari, Firenze; Experientia. Colloquio (Roma), atti a cur. Veneziani,
Firenze, Olschki Noè ovvero della sobria ebbrezza, in L’ebbrezza di Noè. Artisti
per San Gimignano, a cura di Zattini, Cesena, Il vicolo; Catalogo della Mostra
tenuta a San Gimignano; Lo spazio come geografia del sacro nell’occidente
altomedievale, in Uomo e spazio nell’alto Medioevo: settimane di studio del
Centro italiano di studi sul Medioevo, Spoleto, Centro italiano di studi
sull’alto Medioevo; Discussione sulla lezione G., Giornale critico della
filosofia italiana» Speculum naturale; Nani sulle spalle dei giganti.
Traduzioni e ritorno degli Antichi nel medioevo latino, Studi medievali; Convegno
Intemazionale di Studi su Medioevo: il tempo degl’antichi, Parma, Atti, Origini
della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, Speculum naturale; Un
cibo da Bengodi. Viaggio nel mondo della pasta, l’Erasmo; Istituti culturali e
territorio: i problemi della ricerca e della formazione, «Accademie et Biblioteche
d’Italia», Apertura dei lavori, in Informatica e scienze umane. Mezzo secolo di
studi e ricerche, a cura di Marco Veneziani, Firenze, Olschki; IMPLICATURA: alle
origini della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi,
Giornale critico della filosofia italiana, Convegno Nazionale della Società di
Filosofia del Linguaggio, Milano, Atti del Convegno, Origini della terminologia
filosofica moderna. Linee di ricerca; SIMONAZZI, La malattia inglese. La
melanconia nella tradizione filosofica e medica dell’Inghilterra moderna,
Bologna, Il mulino; FINOCCHIARO, Dall’Apiarium alla Μελισσογραφια. Una vicenda
editoriale tra propaganda scientifica e strategia culturale, Atti
dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze Morali,
Storiche e Filologiche, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei; Alle origini
della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi in
Significare e comprendere. La semantica del linguaggio verbale. Atti del Congresso,
cur. Frigerio e Raynaud, Roma, Aracne, Convegno della Società di Filosofia del
Linguaggio, Milano, Giornale critico della filosofia italiana, Origini della
terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca; Origini della terminologia
filosofica moderna. Linee di ricerca, Firenze, Olschki; Lessico intellettuale
europeo, Opuscula; Nani sulle spalle di giganti. Traduzioni e ritorno degli
Antichi nel Medioevo latino, Convegno Intemazionale di Studi su «Medioevo: il
tempo degli antichi», Parma, Atti del Convegno, Studi medievali, Speculum
naturale; Alle origini della terminologia filosofica latina: traduzioni,
calchi, neologismim Convegno, SOCIETA DI FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO, Milano, Atti,
Giornale critico della filosofia italiana; Sul LESSICO FILOSOFICO ITALIANO, Congresso
di studi, Roma, Lexicon philosophicum, Referenze bibliografiche, Indice dei
nomi, Nani sulle spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli antichi nel
Medioevo latino, in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del Convegno di
studi, Parma, a cura di Quintavalle, Milano, Electa, Studi medievali, Origini
della terminologia filosofica. Linee di ricerca, Speculum naturale; Vignaux
storico del pensiero medievale, Studi medievali, Vignaux historien et
philosophe, Sorbona Colloquio Vignaux citoyen et philosophe; Speculum naturale.
Percorsi del pensiero medievale, Roma, Storia e Letteratura, saggi sul pensiero
medievale. Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già
pubblicati. Nature au Moyen Âge; Riscoperta della natura e nuove scienze; Il
Liber creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio; Natura
e qualitas planetarum; I cieli il tempo la storia; Lo spazio come geografia del
sacro nell’Occidente altomedievale, Per una fenomenologia del cadavere. Dai
mondi dell’immaginario; Nani sulle spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno
degli Antichi; Pensiero medievale e modernità; Cosmologia biblica e cosmologie
cristiane; Gli studi di filosofia medievale fra Ottocento, Gusto del cibo,
itinerario storico sentimentale, L’attimo fuggente, Presentazione, in SCHINO,
LUCCICHENTI, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la Confraternita
dei cuochi e dei pasticceri, Roma, Gangemi, Per una Storia delle filosofie
medievali. Congresso di Filosofia Medievale, Palermo, promosso dalla SIEPM,
Studi medievali, Atti. Le acque sopra il firmamento. Genesi e tradizione
esegetica, in L’acqua nei secoli altomedievali, Spoleto, Fondazione Centro
italiano di Studi sull’Alto Medioevo; Spazio sacro, spazio profano. I confini
simbolici nel cristianesimo altomedievale, in Frontiere. Politiche e mitologie
dei confini europei, a cura di Altini e Borsari, Fondazione Collegio San Carlo
di Modena; Cosmogonia biblica e cosmologie cristiane, in Cosmogonie e
cosmologie nel Medioevo. Atti del Convegno della Società italiana per lo studio
del pensiero medievale; Catania, cur. Martello, Militello e Vella,
Louvain-La-Neuve, Brepols; MATTEI, Il CNR e le scienze umane, Attività della
Vice Presidenza Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Allocution, in Remise
de l’Épée d’Académicien à Marion, par Fumaroli de l’Académie française de
l’Académie des Inscriptions et Belles- Lettres, en Sorbonne, Salon d’honneur de
la Cancellerie; Translatio studiorum, Quaderni di storia, Society for
Intellectual History su “Translatio Studiorum”. Ancient, Medieval, and Modern
bearers of Intellectual History (Verona); XXI Secolo-Norme e idee, direttore G.,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma; ALIGHIERI (si veda) e la
Commedia, in Dante e l’Islam. Incontri di civiltà, Biblioteca di Via del Senato
Edizioni, Milano; Nardi, storico della filosofia. Uno sguardo d’insieme
(Convegno di Pescia), in Per ricordare Nardi, a cur. Varanini, Firenze,
Galluzzo; G. incontra Cartesio, Le interviste immaginarie, Milano, Bompiani,
Ristampato in appendice alla raccolta di saggi Vie della modernità; Il lessico
Intellettuale Europeo, in Lectio Brevis. Anno Accademico Atti della Accademia
Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Memorie, Roma, Lincei, Testo della Lectio brevis tenuta ipresso l’Accademia dei
Lincei, in apertura dell’anno accademico Garin: un ricordo in Normale,
«Quaderni di storia; Leonardi medievista, Rinascimento. Rivista dell’Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento», L’ascesa del Poeta è una vera Rinascita,
«La Biblioteca di via Senato – Milano», Postfazione, in MARIANI, Farfalla e
segno. Poesie, Milano, Crocetti Prefazione, in FOFFO, E le stelle stanno a
mangiare. La Dolce Vita continua, Roma, Sovera; La libraria di Franchi, in RANCHI,
Studiolo Crispolti, cur. Scalmati, Roma, Gangemi, Scoto. Quattro studi,
Premessa di Menestò, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo,
Uomini e mondi medievali, Scoto Eriugena Le carte di Lorenzetti, relazione
tenuta presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, in occasione
dell’inaugurazione della mostra di Lorenzetti; Vi esorto alla Bibbia», in
Bibbia, cultura, scuola. Alla scoperta di percorsi didattici interdisciplinari,
a cura di Vertova, Carocci, Roma; Alle origini dell’etica, in Per un’Etica
civile. Tema di approfondimento culturale a cura di Ferro, Roma, Liceo Classico
Orazio, Natura, in Dizionario dell’Occidente medievale. Temi e percorsi,
Letteratura/e-Violenza, Torino, Einaudi, Il tema della fortuna in Montaigne, Giornale
critico della filosofia italiana; Il gusto sullo scaffale, in IBC Dossier. Lo
scaffale dei sapori, a cura di Campioni, Bologna, Istituto per i beni artistici
culturali e naturali della regione Emilia Romagna, IBC. Informazioni, commenti,
inchieste sui beni culturali, L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, «Nuova
informazione bibliografica», Il gusto sullo scaffale, in Lo scaffale del gusto.
Guida alla formazione di una raccolta di gastronomia italiana per le
biblioteche, di Pensato e Tolo, con la collaborazione di Blundo, contributi di G.
e Montanari, Bologna, Compositori, Montaigne e la fortuna, Modena, Consorzio
Festival filosofia, Paginette; Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, in
Le Accademie nazionali e la storia d’Italia, Atti del Convegno Linceo, Napoli,
Roma, Scienze e Lettere Editore Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei,
in Quintino Sella Linceo, a cura di Guardo e Romanello, Roma, Lincei, Per una
Storia delle filosofie medievali, in Universalità della ragione. Pluralità
delle filosofie nel Medioevo, Atti Congresso di Filosofia Medievale (Palermo),
Sessioni plenarie, a cura di Musco, Schede medievali, Palermo, Officina di
studi medievali, Studi medievali; Les sources oubliées d’une Introduction à
l’Ethica, Giornale critico della filosofia italiana», Quasi una Prefazione,
in FOFFO, Il dolce della vita, Roma,
Sovera; Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari, Laterza, I
Robinson / Letture. La caduta di Lucifero. Apparenza e realtà, La via del nero,
Il principe di questo mondo, Satana e
modernità; Translatio Studiorum, iSGARBI, Translatio Studiorum. Ancient,
Medieval and Modern Bearers of Intellectual History, Studies in Intellectual
History, Leiden, Brill, Paul Vignaux, Historien et Philosophe, in Vignaux,
Citoyen et Philosophe, sous la direction de Boulnois, avec la collaboration de
Armogathe, Turnhout, Brepols, Fondazione Franceschini, Firenze, Studi
medievali, Presentazione, in
FINOCCHIARO, La biblioteca di Trisulti. L’ordine dei codicim Roma,
Scienze e Lettere, Presentazione, in Accademia nazionale dei Lincei. Inventario
dell’archivio a cura di Azevedo, Roma, Ministero dei beni e delle attività
culturali, Le carte di C. Lorenzetti,
Discorso pronunciato nel Salone Borromini della Biblioteca Valliceliana in Roma
per l’inaugurazione della mostra Carte e libri d’artista” di Lorenzetti, Città
di Castello; Le plaisir d’une chasse sans gibier. Faire l’histoire des
philosophies: construction et déconstruction, «Giornale critico della filosofia
italiana», in apertura dell’incontro promosso a Roma dall’Institut de
Philosophie sul tema “Les relations de la philosophie avec son histoire; in
italiano diventa il primo capitolo di Vie della modernità il Lessico
Intellettuale Europeo compie cinquant’anni, in Locus-spatium. Colloquio, Roma,
Atti a cura di Giovannozzi e Veneziani, Roma, Olsckhi Prefazione,
FRANCHI, PICCARI, SCALMATI, Ricette preziose dal gioiello al pane, Terni;
RUBERTI, Le ricette di Luisa. La cucina campana a modo mio, Firenze-Milano, Giunti;
Lorenzetti e il Lessico, in Segno e parola. Lorenzetti e il Lessico
Intellettuale Europeo, Catalogo della mostra a Roma, a cura di Adamo e Marras,
Firenze, Olschki, La rinascita nel dopoguerra, in Treccani, anni di cultura
italiana, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana; Dubbio, fede e religioni
in Montaigne, Giornale critico della filosofia italiana; Prefazione, La cultura
e il mondo. Aggiornamento della Enciclopedia Italiana, Nona appendice, Roma,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Montaigne o della modernità, Pisa, Normale;
Variazioni; Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze,
Olschki, Lessico intellettuale europeo, Opuscula; Vie della modernità, Firenze,
Monnier, Centro di Studi su Descartes, Saggi; Il piacere di una caccia senza
preda. Fare storia delle filosofie: costruzione e decostruzione, Roma, Institut
de Philosophie sul tema Les relations de la philosophie avec son histoire, Giornale
critico della filosofia italiana; Montaigne ou le plaisir de la variété; La saggezza
scettica di Charron, De homine; Il libro scandalosodi Charron; Etica e
religione nella critica libertina; Gassendi, Colloque Gassendi, Giornale
critico della filosofia italiana; Il libertinismo erudito; Etica e religione
nella critica libertina, Aristotelismo e libertinismo, Giornale critico della
filosofia italiana», atti del Convegno di Studi su “Aristotelismo veneto e
scienza moderna; Apologeti e libertini, Giornale critico della filosofia
italiana», G. incontra Cartesio. Commentario (direzione scientifica) in SIDERI e
CALAPODA, Portolano; Roma, Treccani; Ereditare e tradurre, Modena, Consorzio
Festivalfilosofia, 2016 («Paginette»); La cultura del vinom MASI, TOLFA,
Signori del vino, prefazione di Petrini, Roma, Rai Eri; L’ambigua dignità
dell’uomo moderno, Quaderni di storia; Considerazioni per una storia del
pensiero scientifico altomedievale, «Studi medievali», Veritates in mensa,
Modena, Consorzio Festival filosofia («Paginette»), La biblioteca dei Lincei:
percorsi e vicende, Letture corsiniane, Roma, Bardi, Fra i miei libri, Giornale
critico della filosofia italiana, Fra i miei libri, Voci, Istituto Enciclopedia
Italiana, Sapida scientia. Percorsi gastronomici da Il Sole 24 ore; Roma,
ILIESI; articoli di carattere gastronomico, Il Sole 24 ore. Nome compiuto: Tullio Gregory.
Gregory. Keywords: implicatura clandestina, clandestino – cognate with celare
and occolto -- terminologia filosofica, libertinismo, filosofia clandestine, il
libertino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gregory: l’implicatura” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Griffero: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inter-soggetivo – la
scuola d’Asti -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Abstract. Grice: “At Oxford, ‘object’ is sometimes
misused to mean ‘thing’ – but an object is sait to come to exitence only in
opposition to a subject. Thus, in all my writin, there is always an agent, call
it A, who does things, notably things like hearing a noise, etc. – in all
cases, the verb is represented by a psi-operator. What follows it is the ‘that’-clause
– or object. However, object and subject are only one contrasting dyad. There’s
subject and subject, as in inter-soggetivo – and of course, subject and predicate.
So what we need is an idiom search, as to when ‘object’ became a piece of
philosophical jargon and why it never should! In philosophical discourse,
especially within the philosophy of mind and epistemology, the distinction
between ‘object’ as the content of a psychological attitude and ‘thing’ as an
independent entity is crucial.Kant’s philosophy emphasizes the distinction
between the phenomenal world (the world as it appears to us, structured by our
categories of understanding) and the noumenal world (things-in-themsleves,
independent of our experience). An object, in Kant’s sense, is a structured
representation of appearances, while a thing-in-itself remains unknowable.
Brentano famously introduced the concept of INTENTIONALITY, the ‘aboutness’ of
mental states. He argued that every mental act is directed towards an
intentional object, which may or may not correspond to a real, existing thing.
For example, one can think about a unicorn, even though unicons don’t exist in
the external world. The unicorn is the intentional object of the thought but
not the real thing. This distinction continues to be relevant in contemporary
debates within the philosophy of mind and language – particularly when
addressing issues of representation, consciousness, and the relationship
between mind and world. While the common usage of ‘object’ often overlaps with ‘thing,’
lexicographers acknowledge the specific philosophical usage, especially in
technical contexcts like philosophy and psychology. The term ‘attitude object,’
in social psychology refers to the target of an attitude, which can be a
person, group, idea, or even a tangible ting. In this context, the attitude
object is not necessarily a real, existing entity but rather what the attitude
is directed toward. While the everyday usage of ‘object’ to mean ‘thing’ is
widespread and unlikely to be ‘corrected’ in causal speech, philosophers and
those working in related fields often maintain a more precise distinction for
theoretical clarity. Soggetivo would not be AS important a word in philosophy,
Grice notes, if it were not for the INTER-soggetivo, that Aristotle, and indeed
Kant – his beloved Kantotle denied. The soggetto was the old Roman
hypokheimenon, or substratum. Subiectum. Thrown UNDER. It doesn’t look like the
place holder for what Grice, after Broad, calls the EGO. Yet, when coupled with
the TU – rather tha, as Gentile prefers, the non-io – you do get the
INTER-SOGGETIVO. There is no other word in the philosophical lexicon for it! Keywords:
inter-soggetivo. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Asti, Piemonte. Grice:
“I like Griffero; for one, he has a taste for neologisms, like his
atmospherelogy – He has understood that aesthesis, qua sensatio, is the basis
for aesthetics, and he has explored the philosophies of Tarso, Spranger, and Schelling!”
Insegna a Roma. Studia a Torino sotto Vattimo
su“L’ermeneutica.” Studia Betti (“Interpretare. La teoria di Betti e il suo contesto”
– Rosemberg,Torino) ed il concetto di spirito e forma di vita. La filosofia della
cultura (Angeli, Milano). Si dedica al rapporto tra arte e mito, scrivendo
poi Senso e immagine. Simbolo e mito (Guerini, Milano), Cosmo Arte Natura.
Itinerari (Cuem, Milano), nel quale si
concentra sulle caratteristiche del real-idealismo, e infine una ricostruzione
dell'apporto dato da questo autore all'estetica filosofica (Estetica -- Laterza,
Roma). La nozione d’immaginazione transitiva è invece affrontata in Immagini
Attive: beve storia dell'immaginazione transitiva, Monnier, Firenze. Ricostruisce
la storia della credenza secondo cui una fantasia particolarmente forte sarebbe
in grado di agire, cambiando o addirittura generando la realtà esterna. In
Realismo e Idealismo, Nike, Segrate, analizza il Pietismo Speculativo. La
corporeità spirituale è il "fine ultimo delle opere di Dio. L'ampia storia
del concetto e esposta in Il corpo spirituale. Ontologie sottili"
(Mimesis, Milano). La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della
percezione e l'estetica delle atmosfere è affrontata in “Atmosferologia.
Estetica degli spazi emozionali (Laterza, Roma). Nel libro Quasi-cose. La
realtà dei sentimenti (Mondadori, Milano ) indica e analizza sulla scorta dei
un'estetica neo-fenomenologica i sentimenti atmosferici, il dolore, la
vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo vissuto come quasi-cose, entità
aggressive e decisive per la nostra esistenza senza essere riducibili al
paradigma cosale tipico della tradizione occidentale Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica
patica (Guerini, Milano) delinea, a partire dalla nozione estetico-fenomenologica
d’atmosfera, i contorni di un'estetica orientata non allo gnosico ma al patico,
che non tematizza un oggetto come una espressione speciali come le opere d'arte
ma il modo in cui ci si sente quando ci si espone, soprattutto
involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante. Il
tema è sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità del linguaggio, sulla
presenza e la inter-soggettività re-interpretate in chiave fenomenologica.
Altre opera: Storia dell'estetica (Nuova Cultura, Roma). Quali atmosfere per
quali spazi? Dicendo, con precisione tutt’altro che metaforica (cfr. G.) che,
ad esempio, l’aria si è fatta pesante e il suono opprimente, l’odore penetrante
e il silenzio solenne, ci si riferisce non certo allo spazio locale ma allo
spazio assoluto e predimensionale (più o meno transitorio) delle “isole”
leiblich. Ne viene – ed è ciò che ovviamente più interessa nel nostro più
generale progetto atmosferologico (cfr. Böhme, G. e G. – che lo spazio non
locale del sentimento (Gefühlsraum), permeato cioè da sentimenti o tonalità
emotive (Gefühle o Stimmungen) (cfr. Schmitz), intesi ora come atmosfere, come
quasi-cose caratterizzate (quanto meno nella loro forma 12 Una spazialità a
rigore non solo non tridimensionale, ma neppure bidimensionale (superficie),
monodimensionale (retta) o non-dimensionale (nel senso in cui lo è il punto).
L’abitare è per Schmitz, propriamente, cultura-coltivazione dei sentimenti in
uno spazio recintato. La tesi secondo cui «i sentimenti sono spazialmente
estesi [sarebbe inconcepibile o addirittura comica se si riferisse allo spazio
locale», giacché in tal caso «un sentimento sarebbe forse una sorta di sfera o
un triangolo nel ventre o in prossimità della testa» (Schmitz). SpazioFilosofico
prototipica e cioè oggettivo-distonica) da direzioni abissali, costituisce
l’apriori di ogni nostra esperienza, specialmente involontaria. Come le valenze
espressive delle singole cose e persone possono invitarci a fare o respingere
qualcosa, così le affordances dello spazio del sentimento, irriducibili
all’assetto ottico e agli effetti solo pragmatici cui pensa Gibson, portano
infatti in luce l’articolazione decisamente anisotropa atmosferica della nostra
Lebenswelt. Ma, se avvertire un’atmosfera significa avvertire la qualità
affettiva e leiblich “espressa” (un termine da non concepire, in una radicale
Erscheinungswissenschaft, nel senso dell’estroflessione di un interno) dai
nostri intorni, occorre da ultimo interrogarsi sulle atmosfere specifiche dei
tre livelli di spazialità menzionati. Allo spazio della vastità c)
corrispondono le atmosfere letteralmente s-confinate delle Stimmungen pure,
come tali alla base dell’intero edificio della vita emozionale. Troviamo qui da
un lato l’estensione piena della soddisfazione, concepibile non come gioia ma
come quieto equilibrio (nel senso, ad esempio, dell’intimità famigliare), e
dall’altro l’estensione vuota della disperazione, concepibile più come la
medioevale acedia o l’ennui (nel senso, ad esempio, della lieve noia che ci
coglie nelle stazioni o al cospetto del graduale impallidire serale delle cose)
che non come un cruccio opprimente. Allo spazio direzionale b) corrispondono,
invece, tre forme di atmosfere vettoriali. Anzitutto b1) le Erregungen pure,
vale a dire emozioni strutturate e tuttavia diffuse e prive di un vero tema
specifico (per questo abgründig per Schmitz), le quali, contrariamente alle
fondamentali direzioni leiblich, possono essere anche centripete, aggredirci ab
extra pur in assenza di una fonte precisa (cosa o quasi-cosa che sia) e quindi
di una “ragione”. E poi b2) le emozioni centrate, le cui terminazioni e condensazioni
in un oggetto (quando la Sehnsucht, ad esempio, si precisa come amore), in
quanto tali responsabili della (secondo Schmitz fuorviante) teoria
dell’intenzionalità dei sentimenti15, possono essere unilaterali (esaltanti o
deprimenti), onnilaterali, centrifughe (come la Sehnsucht), centripete (come la
paura e la sfiducia indeterminate), ma anche indecise, come nel caso del
presentimento. Allo spazio locale a), infine, corrispondono16 le atmosfere
generate dagli oggetti e dalla loro collocazione, relativa fin che si vuole
nella spazialità locale eppure su di noi intensamente attiva, ad esempio in
virtù di qualità espressive che, eccedendo di gran lunga l’ufficio delle
proprietà − in linea di principio accidentali e parassitarie rispetto a un substrato
sostanziale (nei sentimenti atmosferici assente in linea di principio) −,
fungono da vere e proprie “estasi” (cfr. Böhme). Quasi fossero i “punti di
vista” con cui le cose in un certo senso escono da se stesse (cfr. G.) e che
appaiono inspiegabili come mera espressione di un interno (qui propriamente
inesistente), le atmosfere o estasi delle cose paiono analoghe a potenze 15 I
presunti sentimenti intenzionali – l’ira, ad esempio − sarebbero meglio
spiegabili, come sentimenti atmosferici centrati, chiamando in causa una
dissociazione tra punto di ancoraggio (lo stato di cose che suscita l’ira) e
zona di condensazione (l’uomo o l’oggetto con cui si è adirati): due elementi
di solito poco connessi sotto il profilo causale o logico (gestalticamente:
figura/sfondo), visto che – ed è forse illogico ma adattivamente funzionale! –
si teme, ad esempio, più la persona che potrebbe ucciderci (condensazione) che
non la morte come tale (cfr. Schmitz). Ma Schmitz qui obietterebbe che, le
atmosfere non essendo per lui intenzionalmente producibili e riducibili a cose
singole (giusta una più generale campagna contro la forma mentis singolaristica
su cui non possiamo qui fermarci), le impressioni suscitate dalle cose non
sarebbero autentiche atmosfere demoniche (numinose) indipendenti dalla nostra
volontà. Sono, in altri termini, qualità espressive (inviti, affordances),
nella cui manifestazione in certo qual modo le cose si esauriscono, esattamente
come il vento coincide col proprio soffiare (cfr. Griffero). Sono modi-di-essere
pervasivi (cfr. Metzger) che, generando lo spazio affettivo cui il soggetto
accede, danno vita a una co-presenza (proprio-corporea, anzitutto, ma anche
sociale e simbolica) di soggetto e oggetto, a un tra, un tema caro a Böhme, anteriore
alla distinzione soggetto/oggetto, a una relazione che paradossalmente (per la
logica ordinaria, s’intende) dev’essere anteriore ai suoi relati, pena una
ricaduta nel dualismo aborrito. Nome compiuto: Tonino Griffero. Griffero. Keywords:
l’inter-soggetivo, Betti, ermeneutica, fenomenologia, Vico, il circolo
dell’implicatura, implicatura ammosferica-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Griffero” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Grimaldi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale anti-peripatetica – filosofia
campanese – la scuola di Cva de’Tirreni -- scuola di Salerno -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Cava
de’ Tirreni). Abstract. Grice
would often play magical tricks – and he criticized others for playing the bad
– ‘Bosanquet is in a position to deliver rabbits but Bosanquet doesn’t!’ When
confronted with his highly idealistic account of ‘communication’, Grice would
retort to TWO types of magic – the one on the carpet and the one that moves you
from one place to the other. He felt that the philosopher should not restrict
himself to boring Unmagical transitions! Keywords: magia. Filosofo italiano.
Cava de’ tirreni, Salerno, Campania. Grice: “I have spoken of ‘magic’ – “two
kinds of magic’ – actually, for Grimaldi there are THREE: ‘black magic,’
‘artificial magic,’ and my favourite, ‘natural magic’!” Nacque da nobile famiglia locale di origini genovesi.
Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui fu seguace e fece parte del
gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli Investiganti. Consigliere
Regio. Scrive numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don
Costantino Grimaldi, scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si
possono elencare le “Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del
Regno di Napoli” (Napoli), le “Discussioni filosofiche” (Lucca), la “Dissertazione
sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (Roma). Il figlio gli dedicò
"Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia Grimaldi del Sig. Cons. D.
Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di Seminara, e con quelli patrizj
di Catanzaro" F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani, indica
Napoli come città natale. Memorie di un anticurialista del Settecento. Testo,
introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca dell'«Archivio
storico italiano», Franco Aurelio Meschini,
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Anticurialismo. GRIMALDI, Costantino. –
Nasce a Napoli. Ha come maestro per le belle lettere e l'oratoria Taurini.
Spinto dallo zio, sacerdote secolare, a frequentare le Scuole pie di largo
dello Spirito Santo, vi strinse amicizia con il padre Tommaso d’AQUINO, dal
quale apprese la filosofia aristotelica. Dopo l'anno di logica, al termine del
quale sostenne alcune pubbliche conclusioni, proseguì gli studi non di
metafisica, come avrebbe voluto, bensì, per volere paterno, di legge, sotto
Radesca e Lellis. Lesse poi, per proprio conto, Tesauro, Piccolomini e, per i
casi di coscienza, la summa di Diana e l'opera di Bonacina. Otenne la
laurea. Prese quindi a frequentare il foro, senza tralasciare, tuttavia,
lo studio delle belle lettere sotto la guida del leccese Giordano che lo avviò
alla lettura dei moderni: Capua, Cornelio, Boyle, Gassendi, e Cartesio. Non
trascura i classici, CICERONE e Quintiliano sopra tutti, studia il francese, i
rudimenti della geometria su Euclide e la medicina sotto la guida di Donzelli.
Di lì a poco prese a frequentare il circolo di Valletta e strinse amicizia con
diversi personaggi illustri: Billio, Anastasio, Lucina, Grazini, Greco,
Monforte, Cristofaro, Capasso, Cirillo, Egizio, Vitagliano, Danio,
Stocchetti. È di questi anni l'idea, cara all'ambiente vallettiano, di
una storia universale della filosofia, che il G. concepì in contrapposizione a Benedictis.
Questi, sotto lo pseudonimo di Benedetto Aletino, aveva dato alle stampe a
Napoli le Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della
filosofia peripatetica: cinque lettere indirizzate a personaggi fittizi (ma
facilmente identificabili) e reali dell'ambiente investigante. La necessità di
una risposta al gesuita fu immediata; lo stesso G. fornisce l'elenco di quanti
risposero o manifestarono l'intenzione di rispondere: Lucina, Filippo
Anastasio, Andrea, Greco e Magrino. Da parte sua il G. in un primo momento (è
lui stesso a ricordarlo) pensò di rispondere indirettamente, compilando la
sopra ricordata storia, che avrebbe dovuto seguire lo sviluppo della filosofia
nelle singole nazioni, soprattutto nel suo sorgere presso i Greci, nel
passaggio ai Romani, quindi agli Arabi e infine ai moderni. Quando
apparve chiaro che le risposte attese o annunciate non avevano raggiunto lo
scopo o che addirittura erano destinate a restare allo stato di progetto,
mentre peraltro l'Aletino e i suoi sostenitori continuavano nell'offensiva
contro i moderni, il G. si accinse a rispondere al gesuita. Le tre
risposte di G. videro la luce. Nella prima (Risposta alla lettera apologetica
in difesa della teologia scolastica di Aletino. Opera nella quale si dimostra
esser quanto necessaria ed utile la teologia dogmatica e metodica, tanto
inutile, e vana la volgar teologia scolastica, stampata a Ginevra per
l'interessamento di Musitano, presso Tournes, ma datata da Colonia presso
Hecht), pubblicata anonima, il G. muove dalla distinzione (già in Valletta) tra
una buona e una cattiva (volgare) scolastica: la prima che non si discosta
dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione, dai Padri, dai concili, dall'autorità,
la seconda che, al contrario, non fa debitamente ricorso alla tradizione e
pretende di provare le verità di fede con la sola ragione umana, muovendo dalla
filosofia. Cartesio, che secondo uno schema consueto ai novatoresnapoletani
viene accomunato spesso a Gassendi, è presentato come estremamente rispettoso
nei confronti della sacra dottrina, in contrapposizione a quei filosofi che
dialettizzavano la teologia. La Risposta, di cui ben presto si conosce il
nome dell'autore, procura a G. notevole fama e apprezzamento anche fuori del
Regno e lo mise in contatto con letterati illustri, tra cui Gravina, Muratori,
Magliabechi, e Mabillon. Nella seconda risposta (Risposta alla seconda lettera
apologetica di Benedetto Aletino. Opera utilissima a' professori della FILOSOFIA,
in cui fassi vedere quanto manchevole sia la peripatetica dottrina), non più
anonima, data la favorevole accoglienza della prima, e stampata realmente a
Colonia "perché trovò le stamperie occupate in Ginevra", sono
affrontati più direttamente i problemi della filosofia aristotelica e del suo
rapporto con la fede e con la dottrina cristiana. Con abile mossa il G.
trasforma questa seconda risposta in un serrato attacco ad Aristotele, proprio
sul terreno più caro all'Aletino, l'affidabilità teologica dello Stagirita.
Sulla base di un sapiente incastro di testi (Patrizi, Ramo, Gassendi, ma anche
gesuiti come Maldonado, Possevino, Elizade o domenicani come Cano) e di abili
argomentazioni, G. dimostra come alla luce dei principî aristotelici diventino
insostenibili i cardini della fede cristiana: la provvidenza, la creazione, l'immortalità
dell'anima; e, sul versante della scienza, la corruttibilità dei cieli.
Diversamente, i moderni, Cartesio sopra tutti, hanno professato dottrine non in
contrasto con le Scritture: ne è esempio l'impegno del filosofo francese per
conciliare la dottrina eucaristica con la sua concezione della res
extensa. Alla terza risposta (Risposta alla terza lettera apologetica
contra il Cartesio creduto da più d'Aristotele d’Aletino. Opera in cui
dimostrasi quanto salda e pia sia la filosofia di Renato delle Carte e perché
questa si debba stimare più d'Aristotele), stampata questa volta in Napoli da
Rosselli, ma sempre con l'indicazione di Colonia (perché senza la licenza
dell'arcivescovo), è affidata la difesa di Descartes dagli attacchi
dell'Aletino. Questa risposta, più ancora delle prime due, rappresenta uno fra
i più importanti documenti nella diffusione del pensiero e delle opere di
Descartes in ambiente napoletano. G. appare, anzi, come uno dei più attenti, se
non il più attento interprete partenopeo del filosofo francese, sia per la
conoscenza pressoché integrale del corpuscartesiano allora disponibile,
comprese le lettere e gli Opuscula postuma, sia per l'acume interpretativo.
Descartes, "il miglior filosofante di ogni tempo", viene visto
soprattutto muovendo dalla sua metafisica: "È ben noto che non solamente
il metafisico sistema cartesiano s'aggiri tutto intorno alla cognizione d'Iddio
ma il sistema ancor fisico tutto quanto è, suppone necessariamente per fabro, e
regolatore il supremo facitore" sicché "togliendosi per ipotesi il
darsi Iddio, caderebbe e si ridurrebbe a nulla la macchina del Cartesiano
sistema. Questa piegatura metafisica, nuova rispetto a pensatori come Valletta
e D'Andrea e più in generale all'ambiente investigante e a quello
dell'Accademia di Medina Coeli, permise a G. di allontanare da Descartes la
pericolosa accusa di collusione con l'atomismo antico, e di inserirlo
nell'alveo della tradizione di Platone e di Agostino, di cui, in particolare,
Cartesio è detto fido seguace. Tutti i temi e i testi della metafisica
cartesiana, in un discorso che è al tempo stesso giustificazione e
ricostruzione del moto rinnovatore napoletano che da quei testi aveva tratto
alimento, sono passati in rassegna: il dubbio, il cogito ergo sum, il criterio
dell'evidenza (ove grande importanza è data al momento dell'intuitus, il
"guardo"), le dimostrazioni dell'esistenza del divino. Esaminata e
così difesa la metafisica, la fisica cartesiana, di cui G. discute il ruolo
delle ipotesi (diverse dalle supposizioni dei poeti e degli astronomi, spesso
impossibili), appare se non più agevole, certo più sicura. G., che difende al
tempo stesso Descartes e CAPUA (si veda), polemizza non solo con Aletino ma
anche con talune sue fonti come Daniel e soprattutto l'astronomo Petit, che
Aletino aveva indicato come propria guida. Vengono così discusse, cogliendone
precisamente i nessi, le principali concezioni fisiche del filosofo francese:
il corpuscolarismo legato al rifiuto delle forme sostanziali (concetto
applicabile solo all'anima "ragionevole"); la riduzione della materia
a estensione e negazione del vuoto; l'universo indefinito (non infinito come
gli attribuiva l'Aletino), costituito dal moto che il divino ha impresso alla
materia; l'accettazione del principio inerziale, da cui discende che il cosmo è
retto dalle leggi del moto e liberato da ogni visione antropomorfica e
finalistica. Con questo cosmo materiale l'uomo, non più centro dell'universo,
intrattiene un rapporto grazie alle sensazioni e alle passioni, che sono in
vista della conservazione e della salvaguardia del composto anima e
corpo. Usce una replica dell'Aletino alla risposta di G., la difesa della
scolastica teologia, ed ebbe inizio anche lo scambio di accuse tra i due presso
il sant'uffizio, che diede il via a una serie di relazioni e controrelazioni.
Nonostante ciò, G. trova a Roma un clima non del tutto sfavorevole, soprattutto
tra i prelati filogiansenisti, e l'opera poté liberamente circolare; anzi,
grazie soprattutto all'interessamento di Magliabechi (cfr. lettera del G. a
Magliabechi, Firenze, Biblioteca nazionale, Magl.), ebbe una notevole
diffusione in Italia e fuori. G. abbozza le risposte contro la IV e la lettera
del gesuita. Venne colto da un colpo apoplettico e l'anno dopo l'Aletino
(insinuando che Ignazio avesse colpito G. perché aveva osato malmenar la sua compagnia)
intervenne nuovamente con una Difesa della terza lettera apologetica di ALETINO
(si veda). La morte del gesuita -- G. non manca qualche anno più tardi di
vendicarsi delle insinuazioni d’Aletino, collegando la sua morte a una
punizione celeste -- la sua stessa malattia, la denuncia alla congregazione
romana delle tre risposte, il fatto che altri avessero risposto alla replica
dell'Aletino (Filippo Anastasio da fuori uno scritto, che non venne pubblicato,
ma G. ebbe modo di leggerlo), sono tra i motivi per cui G. non volle dar
seguito allora alla polemica; nello stesso periodo, tuttavia, mise mano a
un'Analisi del modo di teologare, il cui bersaglio era pur sempre la teologia
scolastica, che l'autore non portò a termine perché chiamato (direttamente
dalla corte di Barcellona, su consiglio di Caravita) a difendere gli editti
regi in materia di benefici ecclesiastici nel Regno di Napoli contro la Curia
romana. G., che aveva già ricoperto cariche in seno all'amministrazione
(governatore dell'arrendamento dei ferri in Terra di Lavoro e deputato
dell'arrendamento del tabacco), venne chiamato a questo incarico. La pretesa di
Carlo d'Asburgo, espressa negli editti, di conferire benefici ecclesiastici
solo a regnicoli, contro la pretesa della curia romana, venne dunque sostenuta
da G. nelle Considerazioni teologico-politiche fatte a pro degli editti di s.
maestà cattolica intorno alle rendite ecclesiastiche del regno di Napoli, che
furono recensite nel supplemento degl’acta eruditorum. La risposta di Roma non
si fa attendere. La Curia emana una bolla che colpe, con le opere di Riccardi ed
Argento, la prima parte del trattato delle considerazioni teologico-politiche,
mentre la seconda parte venne raggiunta dalla censura neppure un mese dopo. G.,
che è nominato consigliere straordinario del tribunale di S. Chiara (divenne
ordinario piu tardi), prepara contro il testo della censura (la cui stesura si
doveva al benedettino tedeschi) un avviso critico et apologetico intorno alla
bolla, et alla censura fatta a’ saggi intitulati Considerazioni
teologico-politche, che circola manoscritto negli ambienti anticuriali
napoletani. Morto l'Aletino, la polemica con i gesuiti non cessa. In un
processo che li riguarda essi ricusarono G. come giudice, facendo leva sulla
passata polemica con il loro confratello e ottennero poi, con l'appoggio del
reggente Biscardi, l'esclusione di G. da tutti i processi in cui fosse
coinvolta la Compagnia, con una sentenza del Collaterale. G., che cerca inutilmente
di ottenere la revoca del decreto (facendo anche intervenire Muratori presso il
vice-ré Arese, di cui l'abate modenese era amico), ha tuttavia dalla sua parte
Argento e il reggente Rubini. Numerosi consulti negli anni successivi
testimoniano la sua attività di consigliere. In questi stessi anni G. riprende
in mano le risposte all'Aletino con l'intenzione di pubblicarne una nuova
edizione. Le controverse vicende della stampa sono documentate dal G. stesso
nelle sue Memorie, ora pubblicate, a cura di Comparato, con il titolo Memorie
di un anticurialista, Firenze. Terminata la stesura dell'opera G. chiese la
licenza di stampa al Collaterale (non all'arcivescovo, precisa lo stesso G.,
per l'illegittimità, a suo avviso, della licenza ecclesiastica); si rivolse
quindi allo stampatore Parrino, che, iniziata la stampa, la sospese di lì a
poco su pressione di ambienti curiali. A questo punto G., secondo una prassi
invalsa, ottenuti dallo stesso Parrino i caratteri, continuò la stampa in casa
propria. Gli ostacoli e gli equivoci erano, tuttavia, ben lungi dall'essere
superati: il cardinale Pignatelli, arcivescovo di Napoli, cercò, infatti, di
far interrompere la stampa, senza però riuscirci; d'altro canto il viceré,
cardinale Althan, che in un primo momento aveva fatto intendere che avrebbe
gradito che l'opera gli fosse dedicata - cosa che G. fa - solleva mille
difficoltà, cui G. risponde punto per punto, finché "vidde, ed odorò che
il signor viceré non facea più da viceré, le cui parti altre certamente
sarebbero state, ma da ministro di Roma, e da esecutore delle voglie altrui,
non ascoltando altro che gl'impulsi venutigli da colà. I volumi, già stampati,
vennero sequestrati, salvo quelli che il G. aveva fatto circolare tra gli
amici. Tre copie vennero inviate a Roma per il tramite di Cienfuegos, ministro
plenipotenziario austriaco. Una di queste venne fatta pervenire direttamente al
pontefice. Arriva la condanna della congregazione dell'Indice, che colpiva sia
la prima sia la seconda edizione delle Risposte. Il G. affidò la sua difesa a
un memoriale in cui rivendicava il fatto che la prima edizione delle Risposte
fosse passata immune per ben tre volte all'esame del Sant'Uffizio. La
nuova edizione, intitolata Discussioni istoriche, teologiche, e filosofiche di G.
fatte per occasione della risposta alle lettere apologetiche di Benedetto
Aletino (Lucca), contiene, in realtà, alcune importanti aggiunte, che danno
conto soprattutto delle letture che in quegli anni G. andava facendo e di nuovi
legami maturati anche al di fuori dell'ambiente napoletano: in particolare Mabillon
e Muratori, Jean Le Clerc e Noël Alexandre. Gli interventi più significativi
sono nella prima risposta, con una più convinta difesa del giansenismo, che è
al tempo stesso presa di posizione per un cristianesimo nutrito delle sacre scritture.
Ciò significa anche, nel momento in cui veniva tolta alla ragione la
giurisdizione sulla fede, liberare il campo della filosofia dalle intrusioni
teologiche e difendere quella libertas philosophandi che era stata e continuava
a essere la bandiera dei novatores. Le risposte alla quarta e alla quinta
lettera, rimaste manoscritte e ora conservate presso la Biblioteca nazionale di
Napoli, furono redatte in un lasso di tempo che presumibilmente va dagli anni
immediatamente successivi alla pubblicazione della terza risposta a dopo il
1724. Nella quarta risposta G. attinge a filosofi come Bayle e Simon, a
libertini come Vayer e Naudé, alla cultura investigante, sempre a Descartes, ma
anche a Malebranche. E, tuttavia, è soprattutto Muratori, con le sue
Riflessioni sopra il buon gusto, a rappresentare in questa fase, in cui la
polemica con l'Aletino è ormai piuttosto un pretesto, un punto di riferimento.
La scolastica è attaccata sia nel suo interprete più ortodosso, AQUINO (si
veda), la cui valorizzazione di Aristotele non può servire ai sostenitori del
filosofo greco perché filologicamente non sorretta dalla conoscenza del greco,
sia nel suo ispiratore principe e cioè Aristotele stesso, di cui G. passa in
rassegna gli errori nelle varie scienze. A essi, tuttavia, G. non contrappone
un nuovo corpus dottrinale, bensì, con un atteggiamento caro ai moderni, il
metodo, aprendosi a una vera e propria apologia della ricerca. Non
mancano altresì affermazioni che nella sostanza suonano anti-cartesiane,
soprattutto nella direzione di un certo vitalismo della tradizione
naturalistica meridionale. Nella quinta risposta, Per la scelta d'Aristotele in
maestro contro a' libertini ed atomisti, G. affronta il tema dell'ateo virtuoso
e, per spezzare la relazione tra atomismo e ateismo, cavallo di battaglia
dell'Aletino, ribalta l'accusa di ateismo su Aristotele, che per di più è
giunto in Occidente attraverso la mediazione irreligiosa di Averroè ed è
all'origine sia degl’errori di POMPONAZZI (si veda) sia, ancor più, di Spinoza.
La fortuna della filosofia aristotelica, d'altro canto, era nata, secondo G.,
dalla crisi della cultura nel Medio Evo e ora era in declino proprio per
l'avanzamento della verità, grazie, soprattutto, alle scienze
sperimentali. L'opera, che si conclude con un'apologia della ragione e
dell'esperienza, contiene anche i germi di quel riformismo cattolico che
troverà in Muratori più compiuta maturazione: diminuzione delle feste
religiose, superamento della condanna sull'usura, rifiuto del magico e del
diabolico. Rinnovamento che passa - ciò è una costante nelle opere del G. -
attraverso la comprensione critica della storia ecclesiastica, meglio,
attraverso la storia ecclesiastica quale strumento critico della disciplina se
non della dottrina. Dall'uscita di scena del viceré d'Althan all'avvento
degli Austriaci, G. trascorse uno dei periodi più tranquilli della sua vita e
al tempo stesso più intensi per la sua attività politica. Insieme con Garofalo
compila la lista delle proposizioni ingiuriose alla potestà de' principi nelle
Riflessioni morali e teologiche, scritte da Sanfelice contro Giannone, prende
parte al progetto di riforma dell'Università di Napoli, appoggiò la candidatura
di Garofalo a teologo del Collaterale e di Galiani alla cappellania maggiore
del Regno. Il ritorno a Napoli degli Spagnoli con l'avvento di Carlo di Borbone
segna una nuova svolta negativa nella vita di G., nei cui confronti venne
aperta un'inchiesta, ancora una volta in base alle accuse della corte di Roma e
dei gesuiti, in seguito alla quale perse la carica di consigliere, non senza,
tuttavia, che il re riconoscesse il suo valore: gli venne, infatti, concesso
"l'onor della toga e l'intiero soldo". È in questo momento che
G. pone mano all'Istoria de' libri di Costantino G. scritta da lui medesimo,
con l'intento di difendere il suo operato; fonte preziosa che permette di
seguire la genesi delle sue opere e delle polemiche in cui fu impegnato. Per
ottenere il passaggio delle sue opere censurate dalla prima alla seconda categoria
dell'Indicedovette adoperarsi con tutte le forze, ricorrendo agli amici,
facendo appello a tutta la Curia romana e giungendo, infine, a una
ritrattazione che, a sua insaputa e con suo disappunto, venne pubblicata l'anno
successivo nelle Novelle letterarie di Venezia. Negli anni successivi
visse appartato, continuando a intrattenere rapporti epistolari con vari
rappresentanti della repubblica letteraria, in particolare G.M. Mazzuchelli. A
questo invierà l'Elogium che gli aveva dedicato il padre Casto Innocente Ansaldi,
insieme con le Discussioni storiche e una versione abbreviata dell'Istoria de'
libri cui aggiunse le notizie relative agli anni successivi e cenni sulla sua
giovinezza, materiali questi che Mazzuchelli utilizzerà per le Notizie storiche
e critiche intorno alla vita e agli scritti di C. G., pubblicate l'anno dopo
della morte del G. nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di A.
Calogerà. G. E ARRESTATO con l'accusa di intrattenere corrispondenza con
gli Austriaci. G. resta in carcere quaranta giorni (Vat. lat.). Dello stesso
anno è una Lettera apologetica indirizzata a Paoli sull'involuzione della
liturgia nel Medioevo (tema ripreso in due lettere a Mazzuchelli). Polemiche
attardate, come quella durante la crisi napoletana del Sant'Uffizio
allorché G. compose il trattato Sciagura
maggiore, rimasto manoscritto, in cui ripropone la lotta anticuriale a favore
del sovrano e CONTRO L’INTRUSIONE DEL POTERE DI ROMA. L'ultimo scritto di G.,
pubblicato postumo (Roma, Milano) a cura del figlio, è una Dissertazione in cui
si investiga quali sieno le operazioni che dependono dalla magia diabolica e
quali quelle che derivano dalle magie artificiale e naturale. G. muore a
Napoli. Dei tredici figli gli sopravvissero Gregorio e Ginesio, Bernardo,
chierico e abate di S. Maria della Misericordia a Itri, Aniceto e Teodosio,
monaci olivetani. G. intrattenne un'ampia corrispondenza: in particolare le sue
lettere al Magliabechi sono conservate nella Biblioteca di Firenze, quelle al
Muratori nell'Archivio Muratoriano di Modena, quelle al Bottari, infine, presso
la Biblioteca Corsiniana di Roma. Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat.:
Viri clarissimi G. senatoris Neapolitani elogium authore P. C.I. A. O.P.
[Ansaldi]; G., Lettera di Claristo Licenteo [Licunteo] scritta a Grandini, in
cui si essaminan due luoghi del signor Francesco Maradei in persona del regio
consiglier d. C. G.; Lettere dal Regno a Magliabechi, a cura di A. Quondam - M. Rak,
Napoli; Scarfò, Opuscoli, III, Napoli; Mazzuchelli, Notizie storiche e critiche
intorno a G., in Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici,
Venezia; Index librorum prohibitorum, Roma; Delfico-CIVITELLA, Elogio di C. G.,
Napoli; Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di
Napoli, III, Napoli; Schipa, Il Muratori e la coltura napoletana, Arch. stor.
per la provincie napoletane; Sposato, Le "Lettere provinciali" di
Pascal e la loro diffusione a Napoli durante la rivoluzione filosofica, Tivoli;
Badaloni, Introduzione a VICO, Milano; Boscherini Giancotti, Nota sulla
diffusione della filosofia di Spinoza in Italia, Giorn. critico della filosofia
italiana; Ajello, Il pre-illuminismo giuridico, Napoli; Comparato, Ragione e
fede nelle discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di G., Saggi e
ricerche, Napoli; Giovanni, "De nostri temporis studiorum ratione"
nella cultura napoletana, in Corsano et al., Omaggio a VICO, Napoli; Giovanni,
Il ceto intellettuale a Napoli e la restaurazione del Regno, Napoli; Venturi,
Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino; Comparato, Valletta e
le sue opere. Un intellettuale napoletano, Napoli; Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di Giannone, Milano-Napoli; Lauro, Il giurisdizionalismo pre-giannoniano
nel Regno di Napoli. Problema e bibliografia, Roma; Osbat, L'Inquisizione a
Napoli: il processo agli ateisti; Roma; Ricuperati, G., Nota introduttiva, in
Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti, Milano-Napoli, Garin, STORIA
DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Torino; Ferrone, Scienza natura religione. Mondo
newtoniano e cultura italiana, Napoli; Torrini, La discussione sullo statuto
della scienza, in GALILEI a Napoli, a cura di Lomonaco - Torrini, Napoli, Cacciapuoti,
Il processo agl’ateisti: dalle discussioni teologiche al gius-naturalismo, in
Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. Cartesio e Napoli, Napoli, Belgioioso,
La variata immagine di Descartes. Gli itinerari della metafisica tra Parigi e
Napoli, Lecce; Lojacono, Immagini di Descartes a Napoli: da Valletta a G., II,
in Nouvelles de la république des lettres. Grice: “There is something to be said about what
Italians, in connection with Grimaldi, call ‘anti-curialismo,’ as opposed to
the more general, and more revolutionary, ‘anti-clericalismo.’ My father being
a non-conformist, would love Grimaldi on both counts!” – Nome compiuto: Costantino
Grimaldi. Grimaldi. Keywords: magia naturale, magica
naturale, magica artificiale, magica diabolica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Grimaldi: implicatura peripatetica”– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Grimaldi: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione – la scuola
di Seminara -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Abstract. Consider what Grice calls a conversational
dyad: Romolo and Remo. Romolo kills Remo. Some say because the idea of a Reman
empire did not sound THAT good! Keywords:
compassione, Romolo bruto. Filosofo italiano. Seminara, Reggio Calabria,
Calabria. Grice italiano:
“Grimaldi for some reason did some deep research on cynicism – a wonderful
etymology, too!” -- Esponente dell'illuminismo. Fratello minore di Domenico G., filosofo. Nato in una
famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota
famiglia di Genova, dei principi di Monaco, ricevette la prima educazione dal
padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a
introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere
(peraltro non molto estese). Inviato a Napoli, conosce Genovesi. Comincia a
interessarsi alle vicende culturali e politiche della Repubblica di Genova:
volle anch'egli essere iscritto fra i patrizi di Genova, esprimendo la
convinzione che l'aristocrazia genovese avrebbe dovuto riprendere la funzione,
svolta nei secoli precedenti, di classe dirigente della Repubblica. Studia il
diritto testamentario romano. Fu pertanto fautore del “fedecommesso”
istituzione risalente a Roma antica e prediletta dalla classe
aristocratica. Maestro venerabile della
loggia massonica di Genova. Partendo dalla filosofia romana, cerca di
analizzare l’interazione umana. Al di fuori della società l'uomo, in balia dei
"sentimenti fisici", diventerebbe “un vero bruto” – “como Romolo” --.
Tali riflessioni saranno approfondite nel "Saggio sull'ineguaglianza
umana”. Sostenne che, in natura, gli uomini non sono uguali e che le
differenze, sia fisiche che morali, ha origini soprattutto ambientali, per es.,
il clima, la diffusione delle malattie. La inter-azione non e uno stato di corruzione, ma lo stato
naturale dell'uomo. La struttura gerarchica dell'Ancien Régime è giustificata
dall'ineguaglianza degli uomini. L’educazione non sarebbe riuscita ad appianare
tale disuguaglianza. Scrive gli Annali del Regno di Napoli. Fa una Descrizione
de' tremuoti accaduti nella Calabria. Altre saggi: De successionibus legitimis
in urbe Neapolitana systema. Pars prima in qua ius Graecum Neapolitanum vetus, et
ius omne Romanum a 12 tabulis ad Iustinianum vsque absolutissime expenditurm Napoli:
Simoniana; Lettera sopra la musica all'eccellentissimo signore Agostino
Lomellini già doge della serenissima repubblica di Genova Napoli; “La vita di
Ansaldo G. patrizio genovese, illustrata con riflessioni politiche, e morali, e
con una brieve narrazione del governo politico della Repubblica di Genova dalla
sua origine” (Napoli: Raimondi); La vita di Diogene Cinicom Napoli: Vocola; Riflessioni
sopra l'ineguaglianza fra gli uominim Napoli: Vocola). (Franco Crispini, Vibo
Valentia: Sistema Bibliotecario Vibonese, Annali del Regno di Napoli dedicati a
Ferdinando IV. re delle Due Sicilie. Dal primo anno dell'edificazione di Roma, Napoli:
Porcelli); “Annali del Regno di Napoli, Napoli: Porcelli; “Descrizione de'
tremuoti accaduti nelle Calabriem Napoli: Porcelli. (Saverio Napolitano,
Bordighera: Manago. La vita di Ansaldo G. patrizio Genovese Napoli: Raimondiana;
“De successionibus legitimis in urbe Neapolitana” (Napoli: Simoniana); “Nico
Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della
rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo,
Sellerio); Tessitore, G. e l'ineguaglianzam Nuovi contributi alla storia e alla
teoria dello storicismo, Roma: Edizioni di storia e letteratura, Tallarico,
CESTARI Cestaro. In Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crispini,
Appartenenze illuministiche: i calabresi Salfi e G., Cosenza: Klipper, Dizionario
Biografico degl’Italiani, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Boccanera,
«G. In: E.Tipaldo, Biografia degl’italiani illustri nelle scienze, lettere ed
arti, e de' contemporanei, compilata da letterati italiani di ogni provincia e
pubblicata per cura di Tipaldo” (Venezia, Alvisopoli)’ CIVITELLA, Elogio di G.,
dei signori di MESSIMERI, patrizio di Genova e assessore di Guerra e Marina,
Napoli: Orsino (in Opere complete di CIVITELLA, a cura dei Pannella e
Savorini, Teramo: Fabbri. Ubbidiente, Il
pensiero e l'opera dei G.. Tesi di Laurea in Filosofia italiana. Salerno. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dell’ineguaglianza
degl’esseri organici. Dell ineguagliang? del [effe, 9 deir età degli ejferf
organici . Della dissimilitudine fisica che vi è traglt nominile gl’altri esseri
organici, Dell' ineguaglianga fisica tra gl’uomini . Dell' ineguaglianza della senfìbìlità
3S» degli esseri organici. Dell’ineguaglianza della senfibilittà tra gl’uomini
. Dell ineguaglianza delle facoltà intellettuali; Dell'ineguaglianza delle
pajjio; Dell’ineguaglianza della volontà; Principio generale intrinseco dell'
ine- *, gli uomini Si sono ritrovati dopo della generale inondavo- Uh cietà
familiari; delle tribù de’selvaggi; delle nazioni barbare; delle nazioni civili;
dello Sviluppo delle facoltà intellettuali nelle Nazioni civili relativamente
all’arti, ed al. /e fetente; Dello sviluppo delle pajjioni de- uomini ctvilt; Della
maniera come dicare dell’ homo morale nella civile società . U"T^XEl? ineguaglianza naturale; Della
libertà e della serviti civile; De Governi; Della legge di Natura; Del diritto
delle Genti; Del Diritto Civile; Della maniera come fi giudica da noi; L’ineguaglianza
politica de’ diritti e dell’obbligazioni degli uomini; Questa breve ricordatila
dell’ illustre cittadino, questo semplice monumento alla memoria d’un Uomo
celebre nella Repubblica delle Lettere, questo esempio «i« • l*» ttttmalv m
»!tX4 «m ITlUvl/1C ifflHllU tato dalla sincera e disinteressata amidkia. Possa
egli contribui- re ad alleviare il dolore d’ una perdita nazionale, servire per
ricordo di gratitudine a’ concittadini, per motivo d’imitazione agli Uomini di
Lettere, e somministrare un modello a coloro che bramano di conservar nel loro
cuore i più rispettabili sentimenti, che istillar possono concordi la Natura e
l’ Educazione. Nascita, Grimaldi t 4*4 vi 44 ed 'TT'L nome Grimaldi
contemporanco alla Storia Moderna d’ Europa stat0 scmPrc SECONDO d’ Eroi. Un
ramo di questa illustre Famiglia si trova da più secoli trapiantato in estraneo
suolo, cioè, nella Città di Scminara in Calabria (<z) . Ivi da Pio Grimaldi
e Porzia Grimaldi nacque Francescan- tonìo; Le emigrazioni delle famiglie da
uno stato all'altro in Italia furono frequentissime quando per la debolezza
delle Costituzioni de’ Governi non regnavano le leggi ma i partiti. Genova
soffre forse più lungamente che qualunque altra Città d’Italia queste politiche
concussioni. I G. Guelfi di partito, hanno de' tempi di disdetta; ma non e ni
per disgrazia ni per delitto che Bartolomeo G. si spatrio. Figlio
sccotiAoeenìio di Ranieri, PRINCIPE DI MONACO, venne colle sue galee in ajuto
del Re Roberto a ri-acquistar la Sicilia, e forma il ramo de’ Grimaldi Signori
di Messirneri. Per più d' un secolo, ciol, fino ai tempi di Giovanna II. essi si
conservarono in grande stato; ma le non insolitejiccnde di famiglia, più
frequenti ancora sotto quel Regno, ridussero i G. in più umile grado di fortune.
Perdute le grandi ricchezze,' e ridottisi -in urta - Città- di Provincia,
conobbero chi vi può sere una grandezza nella virtù che forse frequenta più le
private abitazioni che quelle de' grandi. Piccola consolazione nel
Cinsuperabile ineguaglianzal » -~-4» ionio (a), che ha accresciuto nuovo lustro
agli allori -de' suoi maggiori. L’onestà, la virtù, e le lettere, che avevano
fatto sempre la principal caratteristica di questa famiglia, fecero
l'educazione di colui che abbiamo per duco. 11 di lui savio genitore, memore di
partecipare all’autorità suprema d’ una republica illustre, non conserva solo
nel suo cuore le comuni doti d’ordine degne d’un membro di senato aristocratico
t ma nato in una libera monarchia riconosce altre più vere idee della virtù,
che sa imprimere nell’animo di quelli a’quali aveva dato l’esistenza. Conosce
egli che la severità della virtù passa agevolmente in difetto quando non è
accompagnata da quei sentimenti d’umanità che devono costituire il benefico
carattere dell’uonjo sociale; e che questo perfezionamento della virtù non si
acquista che coltivando lo spirito, e perfezionando la ragione. Per tal modo
quel tavil>«tUirJatJ»***-!r «<* *mi ri no que’ semi virtuosi, che vennero
poi vigorosamente a germogliare. L’esempio stesso della di lui vita fu per esso
una continua lezione di que’ doveri che accompagnano l’uomo ne’suoi varj
rapporti e situazioni. Qual raro e piacevole spettacolo è in latti, il vedere
un amico genitore occuparsi gradatamente a perfezionare l’instabile e
balbettante lingua de’ suoi fanciulli e condurli quindi alla conoscenza e
varietà de’ linguaggi; mostrar «M vili
H» Strar. loro ora l’ indole degl’idiomi, ora le bellezze dello stile t ora la
verità de’ fatti ed ora quelle della ragione! Questa e la vera e rara
educazione, che G. ha la sorte di godere. Il solo padre e il suo istitutore. Nato
con una costituzione vigorosa, sana, e di sanguigno temperamento, ajutato da
una educazione corrispondente sviluppa prematuramente un carattere capace del
grande. E siccome sono le circostanze che determinano 1’attività nostra a tale
o tal’altra direzione, così le sue forze incapaci d’ un’inerzia vergognosa,
presto si determinarono al laborioso miglioramento delle facoltà intellettuali,
che duplicano quasi la nostra esistenza, facendo sviluppare lo spirito e
sublimando la ragione. Ciò che si chiama Corso di Stud) no» fu per esso, come
co* illunemente esser suole, una serie di lezioni consuetudinarie, che invoco
di mijlioi—• I—,p!n»A non famin rVm deteriorarlo. Egli studia le scienze con
quella vera attenzione, che meditando su le idee e verità conosciute vede
sbucciarne delle nuova, e richiamando per i varj e necessarj rapporti mol te
idee a quella che principalmente si medita, fa quasi sorgere crea nuove verità, che altrimenti
resterebbero in dubbio retaggio ai secoli futuri. Un’anima cosi elevata da
moltiplicità di cognizioni erra qualche tempo nell’immenso campo delle idee,
ora seguitandone arditamente una serie, ora poggiando su le adire per sentirle
quasi più da vicino j ma noa SÌ stabilisce finalmente e riposa che sopra quelle,
che sono d’ un vantaggio dichiarato per t* nomo. La Morale scientifica e
prattica no, non è per nostra sverrà tura un affar comune e volgare. £' il
risultato di meditazioni profonde, di cognizioni moltiplici, di quantità di
paragoni, che dopo d’averne quasi formato un corso d'esperienze, ritorna alle
cagioni e ne stabilisce i principj . E' la scienza dell» Felicità publica e
privata: fi chiunque non è nuovo nelle scienze converrà facilmente che questa
parte della FILOSOFIA è egualmente grande per l’ importar»»» •»» p»r hi sue sublimità. Questa fu, non dirò la
prescelta dal nostro G., ma quella verso della quale egli e trasportato dalla
forza del suo intendimento combinata con quella del suo cuore. I primi saggi
infatti del di lui spiritOi anche indirettamente, fecero subito riconoscerc
quésta naturale inclinazione» Un* -11° ra o nell’ immenso caos delle sensazioni
i principj di quell’armonia generale che donò il gusto del Bello ma fra le Belle
Arti la Musica é forse la più vicina e la più dipendente da codesti principj
non ancora interamente rivelati dalla Natura. Perciò allor quando il cuore è
più sensibile e l’anima più armonica è facile il trasporto al gusto musicale.
11 di lui savio educatore fin dalla prima infanzia profitta di questo stato
precoce della sensibilità del suo allievo. Quindi seppe insinuargli fc fargli
nascere il più sicuro senso dell’ordine, della proporzione, e dell'armouia,
coll’isiruirlo nei principj del Disegno, della a Pittura e della Musica. Non
vedeva egli ancora qua! parta avessero queste istruzioni nell’ istituzione
della virtù: onde seguitò lo studio della Musica per trasporto piuttosto che
per ragione. Ma allorché le altre cognizioni cominciarono ad accu»snidarsi nel
di lui spirito - quando cominciò a travedere ( che la Musica non è solamente
un’ arte, ma parte ancora delle scienze sublimi quando riconobbe gli effetti
sicuri e necessar}, della Musica, e che i principi dell' armonia sono
immediatamente dettati della Natura, non si ritenne più su la semplice
esecuzione, nè Sì contentò della sola parte imitatrice, ma volle esprimere le
proprie idee, ie mflhagini, i sentimenti; e ’l suo istromento rispose
perfettamente alle domande. I suoi progress* furono in breve meravigliosi,
giacché il gusto, 1’esattezza e i’ espressione vi si ravvisavano tanto nell
inventare che neU’eseguire. Per la perfezione meccanica dell’ arte si richiede
un esercìzio abituale C Continuo di, ma un taT-nt/. «OH fattO pCt rimanersi
alle porte del tempio della gloria prende delle Belle Arti quella parte che
serve al miglioramento della sensibilità, c trapassa ad altri più utili
oggetti. Egli nondimeno, trasportato k veder tutto per un lato morale, avendo
osservato colla scorta degli Antichi che la Musica ha tante influenza sul cuore
e sul costume, cioè sulla creazione di quei sentimenti fondamen- ti', che
caratterizzano gl’ individui e le nazioni, volle comnunicare al pubblico le sue
osservazioni, *i-»•«-*«...j j>*•t ** Sono secssoesaeeMieMfleM . > Ono esse contenute nella Lettera sopra
la Musica alt Lo- Lettera sopt4 ^ HSK*> cruentissimo LOMELLINI (si veda). A
quest' uo* no degno d’ eterna ricordanza volle G. indrizzare I» sue idee, non
solo perchè n’ era un giudice competentissimo ì ma per attestargli parzialmente
quella stima, della quale L’Europa tutta r onorava E‘ meraviglioso il vedere
come G. in questa operici ciuola abbia potuto combinare tanta abbondanza
d’erudizione è di ricerche, tante fona di wgtwaiMBta. Egli vede la musica come
una parte sublime dalla FILOSOFIA } che ha contribuito all’espansione della
virtù, alla regolarità de' Governi, alla conservazione del costumem alla
sublimazione de’sentimenti più convenienti per 1’uomo. Vede che in altri tempi
questa ch’era stata la miglioratrice degli animi, concorsi poi jJIk-Wo t»
«rwwf! r i- eroe»a- j zioni dèlia sua sensibilità, attenuò quasi «1 indebolì
finanche la fisica di lui costituzione. Tutti questi varj fenomeni sono
dimostrativamente provati dalla Storia amica, e dalle memorie cd osservazioni
de’ filosofi. La diversità degli e£* fotti pruova quelle delle cagioni, che il filosofò
ricerca, Eglg incomincia dal distinguere la Musica sotto tre forme: la prima [Napoli]
l! vx B2 * che chiama Naturale, la «*rr>nda Armoniea voluttuosa, e la terza
Armonica Filosofica. Per quanto siamo lontani dalla prima esistenza della
specie ì pure siamo in istato di giudicare della sua musica primitiva t perchè
tuttavia esistente. Le impressioni delle passioni sull’organo vocale, la
nascita degli accenti, la diversa prolusione di essi, la successione ora più
stretta ora più larga degli stessi tuoni, o di pochi di essi; ecco la prima
Musica naturale e vocale. L' imitazione dei rumori fece nascere l’ istromentale
; e una e 1’altra semplice e monotona, 1’una e l’altra conservata, nel civ
Aizzamento della Società e nel perfezionamento della Musica, con questa
differenza che quella restò sola presso le Nazioni barbare, ma nelle Nazioni culte
restò quasi per la parte barbara della Nazione. Quindi è che le cantilene
volgari portano quasi dappertutto questo carattere primitivo, La Musica
Armonica voluttuosa pare «V»* non H.-hha essct distinta dall’ altra detta
Filosofica, che per la qualità degli effetti, poiché l’una e l'altra ànno
bisogno di Filosofia nella com- posizione. Ma la prima sembra diretta a
soddisfare più 1’organo ecfj&itare le emozioni voluttuose, quanto 1’altra
lo è a far nascere de’ sentimenti cooperatori della virtù, affinando la
sensibilità non per una più estesa facilitazione di semplici piaceri corporali,
ma per rendere la macchina e l’anima stessa armonica, onde sentire agevolmente
1’Ordine, che deve essere la base delle virtù politiche ed il sostegno degli stati.
La Filosofia dunque della Musica dovrebbe consistere non solo nello stabilire
una qualità di Musica assoluta, i cui effetti fossero» necessar e costanti, ma
anche una relativa secondo il caratte- j re de’ popoli, che o si vogliono
richiamare dalla corruzione, o avviare alla perfettibilità, e secondo l'indole
o lo stato deità sensibilità lora Esaminando però U Storia, «cmlura-ch# qnesta
Musica Filoso- fica abbia albergato poco sul Globo te più culte ne inno fatto
più un oggetto di voluttà, che di costume. Questo però non toglie, che vi sia
una verità di prit> cip), che si palesa negli Atti. Lm virtù e i sentimenti
che le producono, possono avere un’espressione degna di esse : ecco la MUSICA
FILOSOFICA. Questa forse era quella, «olla quale si can- tavano le antiche
leggi, e le gesta degli Eroi ; questa, che det- tava i principi Morale, questa,
che eccitava, i cuori all» gloria, e che nudriva 1’ amor sociale. Ecco perchè i
più illustri fondaifijà delllumanitfc.|pci.Tl^., Al^nrio . oaio. Cadmo, Chirone
furono tutti stimati inventori della Musica, non solo .perchè la Musica è
l’emblema dell'armonia sociale, ma perchè ne è la conservatrice. Ecco perchè
ancora, i filosofi di primi ordine o fecero della Musica una parte della
Filosofia, o la caratterizzarono come uno dc^ più veri principi dell’ordine
socia- le, che solo può conservare il costume e la costituzione degli Stati; ed
ecco infine perchè il nostro Autore si duole che in tanto gTado di
miglioramento morale non si richiamila Musica ai suoi principi, e non si feccia
del piacere una strada alla virtù. Che se lasciasi ancora d’adoperarla con
vista immediata al pubblico ... b«»e» j giacchi tutte le Nazioni Vita
£Ansaldo G.. <H xiv H» mesacenomessat> cs>08e»OB <-B>ogs>ocr>opge>saeg>«o«"»aag
»a tene, può frattanto essere di grandissimo utile agli individui * giacché non
manca in parte di quegli effetti, che decisamente migliorano la nostra
sensibilità. Cosi egli, ad esempio de’ Filosofi antichi, moralizzò quest'
Oggetto, seguendo con ciò la più utile determinazione del suo spirito <e la
migliore applicazione delle proprie cognizioni. L gradimento dell’illustre
Tìxdoge LOMELLINI (si veda) è grandissimo: Ie maggiore anche il piacer di
vedere, che il nome Gri- maldi fuori del patrio suolo prometteva nuovo
splendore alla Patria ed alla famiglia. La Republica di Genova già ammira i
talenti del nostro G., quando dovett’essere più contenta nel vedere impegnata
la di luì penna a dimostrar anche da lontano il più vero spirito patriotico,
solo retaggio rimastogli dai tuoi antenati . Fu certamente 1’ effetto di questo
sentimento che 1’impegnò a pubblicaro 1» Vita -4n**IJ* CrtrrutUi ^4) I Eroe
della Patria e della famiglia. Chi legge questo libro par che non lo trovi
corrispondente alla prima idea che dal titolo ne viene eccitata ; perchè poco
vi si parla della vita d’Ansaldo. Sembrami però che due sono le mire principali
dell'Autore, che ben rettificano la sua intenzione. La prima di rilevare quelle
qualità d' Ansaldo, che gli fanno meritare il titolo di grande; la seconda, di
rischiarare diversi [in Napoli «H xv W versi punti importantissimi
delia Storia politica di Genova e di segnare il carattere della sua vera
Costituzione ed i principj veri e regolari della sua sussistenza. Quest'
oggetto rientra tutto nella Storia d’Ansaldo, non solo perchè esso fu il
Restitutore della libertà e del decoro ma perchè in quel tempo si scossero più
possentemente i cardini della Republkana libertà e si stabill la insino allora
di Stato è indivisa da quella dello Stato istesso . Non mancò dunque 1’Autore
se non tenne dietro a quelle particolarità che occupano ordinaria J. rwna
<Wi Biografi, ma pensa d’essere più utile col sostituire riflessioni s ed
alle personalità, donde poi provenivano quelle vicende, che tenevano lo Stato
in continua rivoluzione; e per quale suecessione di disordini si giunse
finalmente all’ordine, che tuttora vi regna. E codesta, che interpolatamente
contiene le gesta dell’Eroe, fa la parte principale dell’Opera. Ma siccome la
Storia delle Republiche è stata sempre la vera miniera delle poli- tiche e
morali osservazioni, cosi il nostro Autore non potè evitare quelle riflessioni
che il corso della Storia naturalmente gli presentava. Esse sono opportunamente
collocate, e formano quasi una «rie di tanti saggi Politici e Morali, ne’quali
benché vacillante Aristocrazia. La storia dell' uomo interessanti a fatti di
poco momento. Egli cosi ha divisa quest’Opera quasi in due parti . Nel Testo si
fa come' un quadro animato della Storia Politica di Genova scritta da vero filosofo
cagioni agli effetti. Fa veder come la mancanza di Costituzioni e **88* 1.10 .
metraggio, cioè, ravvicinando le thè r
uomo non sia risparmiato, poiché viene mostrato qual' è schiavo delle passioni
c delle circostanze, G. non lascia d’ indicare nel tempo stesso quei doveri,
che in. ogni circostanza •ono le leggi vere della condotta e della vita •
Bisogna assolutamente leggere quest’opera, che sotto semplice titolo contiene
tante nobili idee, e che è impossibile di dettagliare in un cir- coscritto
discorso . Torno per tanto all’oggetto principale, cioè, al Grande Ansaldo. Il
titolo di Grande, che dall’ adulazione è stato consacrato ai distruttori dell’umanità,
non si deve che ai^uoi Benefattori- La prima qualità per esser Grande è la
Beneficenza. Ansaldo generoso, benefico, illuminato, coraggioso, sensibile
meritò dunque questo titolo d'onore. Non ignoro che la grandezza consista nella
quantità dell’azione, e nell’effètto: ed ecco ciocché si realizza in Ansaldo.
Come uomo di Stato egli sostenne la Patria col vigore de’ suoi consigli, rolla
sublimità de’ suoi talenti, colle ric- chezze ammassate dalla sua temperanza.
Come semplice Cittadino, fu il benefattore di quanti potevano essere oggetti
d’una illuminata beneficenza, cui non si contentò di esercitare nel ristretto
tempo della sua durata, ma volle estendere all'avvenire e che ancora persiste.
Non solo vivendo fece codest’uomo il miglior uso delle sue ricchezze, ma fece
che la sua volontà restasse perpe- tuamente benefica nella serie de’secoli.
Incomincia egli dal con- tribuirc i mezzi che perfezionando la Ragione
perfezionano si- milmente la Morale, cioè, dal fare assegnamenti per la publica
istruzione, e stabili non solo delle Cattedre di Scienze, ma som- 4-i xvii
somministrò anche soccorsi a coloro che v’attendevano'. Egli non trascurò
moderatamente i luoghi religiosi, gli ospedali ed altre fondazioni di pubblica
pietà . Egli pensò da uomo libero e non da Aristocratico : volle che tutti
partecipassero della sua beneficenza ; quindi non solo ebbe in mira le opere
dan- neggiate dalle passate guerre, come la darsina, il porto, le mura, i ponti
e i mulini, ma lasciò altre somme considerabili per le ordinarie spese della
Republica; libera dai debiti Je gabelle che già troppo aggravavano il popolo genovese
nè gli stessi agricoltori furono obbUacì nelle sue liberalità e beneficenze. La
pubblica beneficenza non gli chiuse però il cuore ad una più propria e
particolare del suo nome e della sua famiglia . Le risoluzioni domestiche, si
osservano più facilmente nel tempo che quelle degli Stati. Ansaldo lo vide ; e
considerò che della sorte . Quindi da gran politico pensando che, nelle
Aristocrazie specialmente, dalla povertà de’Nobili incomincia la corruzione,
volle, per quanto potè, prevenire questi tristi rovesci della fortuna, formando
nella sua Casa una quantità di beni, che potesse decorosamente mantenerla, e
stabilendo per tutta la famiglia un Albergo che fosse atto a sostenere senza
avvilimento Io splendor del cognome Fece de’ legati particolarmente per i
Grimaldi che attendessero alle lettere, con pensione che durava per anni otto:
volle che le donzelle Grimaldi avessero nella loro collocazione un conveniente
soccorso; e nelle aeoaeeseueaaysa 4 xviu >4* le annue liberalità
che per i poveri stabili, volle che non fos- sero obbliati quelli del suo nome,
che una rivoluzione sventurata poteva in questa classe collocare Una cosi
estesa e perpetua generosità, un uso cosi giusto delle ricche, una liberalità,
che si propagava fino all'ultimo Cittadino riunite a tutte le altre qualità che
gareggiavano ad ornarlo fece dunque bea meritare ad Ansaldo il’ titolo di
Grande: e più lo merita a’ giorni nostri quando un lusso distruggi- tore à
estinto negli animi ogni sentimento di beneficenza. Ma se dall’antica veneranda
tomba alzasse il capo il Grande Ansaldo forse esclamerebbe: O Patria, ingrata
Patria, o Posteri più ingrati alla mia memoria ed ai miei sentimenti ! Io non
feci delle mie ricchezze un banco di commercio, ma di beneficenza Come l’amministraste
voi verso quella famiglia, che per virtù e per le circostanze diveniva la
prediletta nella mia intenzione ? Voi negaste al vostro sangue, al vostro nome
stesso quei soccorsi che lo Spirito di Patria, d' Umanità, di famiglia mi detta
contro i dispettosi rovesci della Fortuna. Ah! un nome illustre non ì che un
tormento se è accompagnato dal bisogno L Ma sento da un cupo oscuro Chiostra ì
teneri ed acuti accenti di cinque mie figlie, che rivolte all’antica patria
ridamano i diritti di quel sangue che loro scorre nelle vene. Possano queste
voci giugnere ai vostri cuori, ed onorarvi di meritata riconoscenza ! Genova, G.,
calmate l’ombra del vostro Benefattore -1 Il nostro G. MESSIMERI è veramente
desiderato molto dalla Republica per onorarlo personalmente e promuoverlo alle
su-- iy pren>£ «H x*x preme Magistrature ben meritate da’ suoi talenti
e dalla sua virtù; ma lé circostanze Napoletano non gli permisero d’accettare
il meritato invito si contentò di farsi più denza colla Filosofìa, e
l’esercizio di essa con quello della virtù. ta la Filosofìa par che debba
zione, cioè in tutti i rapporti degli individui fra loro e verso, di famiglia e
I» applicazione al Foro e desiderare, dando a conoscere con diversi Responsi
ch’egli sa combinare la sublime Giurispru- yjjpRapassera intanto leggiermente
su questa professione, eh* per qualche tempo ei volle esercitare. Chi considera
in1 Avvoca^a - Trattato Le- * astratto la qualità di Cù,reconsulto una migliore
applicazione de’talenti, per che non possa vedere nella Società dove vive. Tut-
servire a questo primo oggetto sociale. La conoscenza del Giusto in tutta ì
immensa sua esten- tutti gli oggetti coi quali sono in relazione, è I’ apice
delle umano ragiuuom_ 1-oaàc—o» .do!-«wo- Adwry, applicarvi le verità di dritto
è la più nobile operazione come ritrovar più i principj d’ una tranquilla della
Ragione. Ma multuose bolge del nostro Foro, ed in no? Quasi ognuno conviene
della deficienza delle nostre leggi della Giustizia, e della perniciosa
mancanza d una vera Approvazione nei Giusdicenti e dei difetti esistenti nell*
amministrazione nei Giureconsulti; e, per un effetto di vera dono di questi
mali c gli altri ne profittano. Quindi si moltiplicano all’infinito gli attori
di questa scena tragica per la società e per la Morale; e questo malore
contribuisce sempre più alla C a dete. ragione fra le tu- quel vertiginoso
frastuo- corruzione, i più ri- . «H xx deteriorazione del costume ed all’
affogamento de’ talenti, che nella loro freschezza rivolgono facilmente, come
le piante, le radici a quella parte ove più abbondantemente possono succiare
gli umori nutritivi G. MESSIMERI cautamente portò il piede su le sponde di
codeito baratro pericoloso. Senza immergevi nel bujo, vedeva dal- la
circonferenza a quali limiti bisognava rimancrfe. Non cupido d’una gloria
efimera e fugace, non avido di que’ lucri, che di rado sono il premio della
virtù e del valore, egli si contentò dell’ approvazione della Ragione piuttosto
che di quella del volgo ammiratore Se alcuno volesse dubitare, che si ritenesse
in tali limiti per mancanza di convenevoli talenti, l'Opera legale che egli
ancor giovine molto dettò, potrebbe facilmente sincerarlo . Publica il saggio
Dt Succ(s- sionihus legitimis in urhr Nfapolir.ina (a) - Qual differenza fra
questa e tante altre Opere legali uscite dal nostro Foro, che I opprimono il
buon senso ed oscurano la Ragione! Tutte le cognizioni antecedenti, necessarie
a formare non dirò un Giureconsulto ma un Legislatore, nonmancavanogià a G.. La
Storia e la Filosofia sono cosi amalgamate nel di lui spirito, che la
conoscenza prattica e teorica dell’Uomo e delle società gli era sempre presente
per conoscere [lo Napoli] le le cause delle sue idee e de’ suoi movimenti, e
per ravvisare quali fossero i piti convenevoli alla sua destinazione. Egli
dunque vide la materia delle successioni legittime come proveniente dai primi
dritti della Natura realizzati nelle società collo stabilimeuto della proprietà
e dei dominj. Dimostra come lo staro della legislazione civile d' una nazione
siegua la sua politica costituzione; e quindi in uno stesso popolo la
differente maniera di considerare gli stessi oggetti, secondocchè i rapporti si
alteravano. Venendo al suo oggetto, cercò rapidamente 1’origine deile
Consuetudini N«potetene' te rapporto alle successioni nell’antico stato
Uepublicano di questa Città, nell’ analogia di governo colle altre Greche
Republiche, e con una felice e nuova applicazione ne trovò la filiazione nelle
leggi dì Solone. L’erudizione sparsa in queste ricerche è ampia, ma non
lussureggiante; e cosi procede nel resto dell'esame, cioè nel mostrare quale fu
quecta pwrt* «talli cibilo JcgreUxione net 'SUCCOSsivi cambiamenti della Romana
Repubiica. L’aristocrazia espressa tutta nella legislazione decemvirale fissò
le agnazioni, e l’esclu- sione delle donne, avendo in mira la conservazione e
perpetui- tà delle famiglie Aristocratiche . I progressi alla Democrazia,
necessario frutto dell interno vigore dello Stato, che liberò i beni dalla
schiavitù, che sciolse gli individui dalla dipendenza dell’opinione e della
servitù personale; che strappò il codice arbitrario dalle mani sacerdotali,
cangiò anche questa parte di legislazione: e le donne furono riguardate come
parte della specie e della Società. Tutto cangiò coi cangiamento del ogverno; e
si serbarono i nomi mentre le cose non erano più. Le forinole e le
solennità de’Giudiy, che costituiscono fino ad un certo termine la libertà
civile, cederono a quelli detti impropriamente di Buonafede, che sembrano più convenienti
ad’un Governo meno complicato, facendo strada a quell’arbitraggio che è la
morte della civile libertà. Le alterazioni in questa parte della legislazione
si fecero insensibilmente sotto gl'imperadori fino a quelli, che con nuova
Religione portarono nuove leggi sul Tronno. Ma qui non è luogo di seguire
1’Autore in tutta la serifc. istruttiva delle tante idee utili e nuove, che s’
incontrano ad ogni passo della sua Opera. Tocca ai profondi Giureconsulti il
giudicarne con dettaglio e far vedere qual precisione e chiarezza egli seppe
portare nel pii oscuro legale labirinto, quante cognizioni seppe nobilmente
combinare alla dilucidazione del suo oggetto, e quale vera utilità debba
produrre la di lui Opera non solo nel giudicare, ma nel riformare questa
importante parte delle nostra legislazione* Ascia nondimeno G. MESSIMERI
immergersi nelle cure del gene. JSL Foro, nonriguardandolocomeoggetto,
chedovessein- tieramente assorbire il prezioso tempo delle sue applicazioni, ed
assoggettare il fervore de’ suoi tajpnti e la forza del suo spirito attirato da
oggetti più sublimi e più generali. Resta egli per alcuni anni nel silenzio, ma
non nel riposo, poiché l’ attitudine formatasi allo studio ed alla meditazione
tira il stato di piacere iella sua anima vigorosa, che quindi sentiva il più
vero bisogno di Vita di Dio- ‘TìT •H XXXIII K- di pascersi e nudassi d’
idee e sentimenti analoghi al stio carattere deciso. Questo vigore di
sensibilità, che sempre accom- pagna i talenti superiori perchè li crea, non
permette che lo spirito resti confinato dalla stretta circonferenza delle idee
e delle virtù comuni • Sorse quindi quel sentimento di perfezione unico scopo
del Genio e della Virtù, che fermentando nelle anime sublimi tenta tutte le vie
per aprirsi la strada all’ utile gloria ed alla verità. V" Nella vecchia STORIA
DELLA FILOSOFIA cioè de’ progressi della Ragione e degli errori, vide I! G. i
grandi sforzi degli amichi filosofi, che non più contenti d'una Morale di
proverbj, parabole e sentenze, si studiarono di ridurla a princlpj generali che
potessero condurre 1’uomo In tutto 1’uso della vita. Ma esaminando
particolarmente la dottrina e condotta loro, vide quanto è difficile una lunga
Epoca della Ragione. Trova nondimeno fra quegl» antichi Istitutori e maèstri
dBTMorale un FILOSOFO che fissa tutta la sua attenzione; e questi fu Diogene
del quale volle scrivere la vita. (<r) k Credè alcuno, eh’ egli imprendesse
quasi per giuoco, si, fatto assunto t ma chi ha letto questo nobile opuscolo,
può giudicare della verità della sua intenzione. Egli fece vede- re in Diogene
non quel Cinico descrittoci da Laerzio, non quell' impudente che ci dipinsero
gli altri, nè quello stravagante • '^''•'' _,i in Napoli, le che corrimunemente
è creduto; ma prova ad evidenza che quel FILOSOFO fu il più conscguente r
giacché le azioni .corrispo- sero sempre alla sua dottrina: e codesta era la
più vera, la più utile, la più giusta che è dettata insind allora. Sinope,
Corinto ed altre Città ono la memoria di quell’ illustre uomo coi bronzi e con
1 marmi, ma non poterono salvar la di lui fama presso l’invida posterità. G.
rinnalza Diogene su i monumenti erettigli da' suoi compatrioti e diviene il
Restitutore della di lui fama, e della di lui virtù. La Morale di Socrate era
divenuta puramente nominale, quando a Diogene sorse il talento di reintegrarla
ad uso dell’ umanità . 1! principio della Morale prattica par che consista
nella facilitazione della Virtù. Non basta il dipingerne le bellezIezze, l’
indicarle attrattive, ravvivarne il quadro col più vago colorito, se pei ci sì
mostra divisa ed isolata dall' insor- montabile vallo del dolore. Diogene volle
dimostrare, che questo divisorio è d'invenzione umana, è creato nella Società,
e che bisogna perciò ravvicinarsi alla Natura. Questa vera osservazione gl’
indicò la Temperanza per un principio fondamentale della Virtù. La Temperanza
non è un’ dea assoluta: essa ha una gradazione dì beni da un estremo ali’ altro
della 'sua lùtea. L’uomo, questo animale privilegiato, che può vivere in tutti
i climi e nudarsi di tutti gli alimenti, ha più facilità alla sussistenza. E
dunque un effetto dell’Educazione quello che gli dà quantità di bispgjù, che
non vengono dalla Natura. L’ uomo diviene cosi un aggregato di bisogni 6 di
desìdeij, che accrescono m ragion diretta la sua sensibilità al dolore, senta
proporzione relativa al piacere ed alla felicità. Se questo spiacevole
accrescimento di sensibilità è effetto dell’ educazione, esso è opera
dell’uomo, è di creazione sociale; vi è dunque tutta la possibilità d’
abolirlo. Si può essere decentemente coperto d’un Pallio senza infelicitarsi
per non avere in dosso le gemme ed i preziosi metalli; si può vivere bene e
sano senza esser velato dalle leggerissime spoglie dell' Oriente o soffogato
sotto i rarissimi velli del Settentrione: e, se dell’aria comune la più
respirabile è la più libera, si può vivere, e meglio, senta le stanze
ermeticamente chiuse, senza che sieno riccamente foderate, e senza richiamar
tutte le arti e tutti i climi ad estenuarci ed estinguerci nella mollezza Tutte
le eccedenti ricchezze s'acquistarono forse alle spese della virtù; aveva
dunque egli regione di veder I» Temperanza come la base principale di essa- Ma
se per la Vmù è necessaria quella tal disposizione abi- tuale dell’animo che si
chiama Tranquillità, questa è simil- mente figlia della Temperanza: L’animo
distratto dalle passioni disanaloghe alla natura dell’ uomo, cioè non
tranquillo, non può essere virtuoso. Diogene non diceva: fatti del dolore la
strada alla virtù tristo comando alla Natura umana. Non dice: divieni apato ed
insensibile, altro precetto peggiore e non conducente alla perfezione morale. Dice
solo: sii temperante che sarai tranquillo, ed essendo l’uno, e l’altro puoi
essere virtuoso. Finché 1’uomo è distratto da sensazioni vaghe immerso ne’
desiderj, lacerato dalle passioni non sentirà che se stesso; ma quando nè i
bisogni, nè le idee, nè le immaginazioni tumultuarie Io tormentano, egli deve
essere necessariamente benefico, cioè, virtuoso. Se le ricchezze fossero sempre
necessarie all’esercizio della beneficenza, la virtù sarebbe solo riposta
nell’uso de’ metalli, ed il non ricco non puo essere giammai Virtuoso. La
virtù, nel sistema di Diogene, non dove essere Un fantasma dell’immaginazione,
un’ astrazione per alimentare le dispute de’moralisti; ma bensì il partaggio
dell’ Umanità» il vero sistema della beneficenza universale. Se la virtù è
nell’azione, e quest’azione dev’ essere facile, equabile, pronta Diogene voleva
render l’uomo libero dagli inutili ceppi fabbricati a se stesso, per renderlo
attivo, benefico, virtuoso. Uno aguardo anche passaggiero su la Morale
esistente prova la verità e la profondità delle Ciniche osservazioni Qual era
diuresi la serie ragionata e conseguente delle idee morali di Diogene?
Temperanza, indipendenza, libertà, tranquillità, beneficenza; virtù tutte
nascenti 1’una dall’altra tutte conducenti per la più agevole strada alla meta
della Morale. La Vita di Diogene non ismentì i di lui principj. Egli visse
libero, tranquillo e contento, cioè virtuoso e felice. Apostolo della vtréi e
della virtù, egli non fece che predicarle . Un Re «d un llot^ erano eguali agli
occhi di lui : la verità e la virtù fa egualmente il loro bisogno. Diogene
rispetta le leggi e la pubblica Autorità da vero Filosofo, cioè, approvando
quelle che erano dirette al pubblico bene, ed indiziando quelle che mancavano
di questo fine. Venera la Religione; ma ne abominava l’intolleranza e l’abuso,
che conduce sempre alia superstizione. Ride di quei tanti Impostori, che anche
ia q-v «empi sotto vario manto e varie regole dividevansi il culto e le
sostanze de’ divoti . Si vuole che dissuadesse e disapprova il vincolo
conjugale; ma come fargliene un delitto? Che altro vedeva egli nelle Società
de’ suoi tempi che la trista alternativa di nobili, e plebei, di ricchi e
miserabili, di tiranni e di schiavi? Un FILOSOFO non può amare la moltiplicazione
e la riproduzione di queste razze degenerate dallo stato pteseritto loro dalla
Natura. Diogene non morì, come Socrate, martire della Verità e della Virtù:
egli ritorna nel seno della Natura così spontaneamente come n’ era uscito. La
distruzione e la riproduzione dei corpi organizzati è nelle sue immutabili e
costami leggi, che non «paventano il Filosofo, il contemplatore della Natura,
l’amico della Ragione. La vita di Diogene rettificata da una etilica imparziale
c» mostra un modello di vera vita virtuosa in tutte le circostanze e situazioni
. Non fu dunque nè per giuoco, nè per gloria per vanità che G. MESSIMERI imprese
a dettagliarne le azioni e la dottrina, ma per rendere un giusto tributo a quel
Filosofo cui ayeva cercato d’ imitare > o per partecipare al pubblico un
vero D a fiJCh, nè xxvm ^ tJtis»oe«cM» eé<Jsae« ^Qee=»oeH=>ee ^eg=aem^->gceg»oogrg>r'e)
gac modello di filosofica virtù. Egli si dichiara in più luoghi della sua Opera,
che Io stato attuale delle Società non comporta una vita esteriore come quella
di Diogene propone come un modello, al quale quanto più l’uomo s’accosta, più
s’avvicina alla perfezione. Non altrimenti fa G.. Le virtù di Diogene sono le
sue. Ne chiamo in testimonio gli amici, che lo anno veduto in tutti i punti
della sua vita. La temperanza de’ suoi desideri, la tranquillità dell’ animo
suo, la verità e la sincerità de’ suoi sentimenti, la libertà del suo spirito,
il coraggio e l’amore per la verità, la tolleranza de’mali, 1’armor della pubblica
beneficenza, il sentimento costante de' doveri, e tutto condito ed addolcito da
una sensibilità purificata, lo resero rispettabile come Diogene, ma più
amabile, perchè seppe combinare i principj e 1’uso della virtù, con tutta la
decenza della vita sociale, e coll'esercizio di quelle funzioni e doveri, che
formavano la sua civile esistenza Riflessioni so- FOn sono certamente le idee
astratte e le sublimi nozioni, pra rIneguaglianza. che possono far meritare il titolo
rispettabile di Filosofa . Se la virtù non è posta in azione, se le grandi idee
non diventano di qualche uso, se la fiaccola s’ asconde sotto il moggio, non
solo si è in colpa, ma si è reo di lesa umanità. colpa che meriterebbe maggior
castigo chel disprezzo e i’obblio. Sente G. MESSIMERI nel più vivo dell’animo
questa verità, e perciò veggiamo come la sua vita fu ima continua serie di me-
ditazioni e d’azioni tutte coordinate allo stesso fine di migliorarse; ma che
egli lo se stesso, e di essere utile
agli altri Quindi i suoi non interrotti srudj e le continue meditazioni lo
condussero alle più estese cognizioni e alle più utili che si possano
acquistare Or quando lo spirito è abbondantemente nudrito d’ idee e di
cognizioni varie, quando è gu lungamente abituato al difficile esercizio di
molti e conseguenti raziocinj, quando codesti sono specialmente diretti verso
qualche oggetto particolare, che perciò divicu dominante: l’animo prova una
certa inquietezza e quasi un’ oppressione da questa folla di pensieri, e par
che sia costretto a liberarsene . Chiunque ha scritto sopra qualche oggetto
particolare e lungamente meditato, ha dovuto provare in se questo sentimento
penoso. Quindi la volgare espressione dà chiamare le opere parti dello tpirin,
non manca di una ve- rità nella sua origine; ma non tutti i parti sono regolari
. Ho indicato antecedentemente la predilezione che il Grimaldi ebbe sempre per
le idee morali, e la facilità che aveva di richiamarle ai principi pid sublimi,
e di renderle più attive e feconde: ma dopo d’avere per più lungo tempo estese
le sue applicazioni su tali oggetti li vide in tutta 1’ampiezza della quale
sono capaci, e fra tanti fenomeni Morali che presenta la Socìtà, è specialmente
colpito da quello, che stende il suo dominio su tutti i punti dall’esistenza,
dico della Morale Ine guagliania A tutti sono note le riflessioni che
l’eloquente Giancomo porta su questo punto; ma la ragione trasportata
dall’entusiasmo lasciò de’gran ruoti fra le idee principali, balza agl’estremi
obbliando le idee intermedie e necessarie, guarda 1'oggetto lateralmente e
quindi fra molte vere e nobili osservazioni ci presentò de’paradossi in luogo
di tranquilli ragionamenti ed utili risultati. Vide intanto G. di quale utile è
il ritornare solidamente a quest’ oggetto che è quasi la base della Morale e
della Politica. Prescélse quindi un campestre ed isolato soggiorno; e lungi da
ogni distrazione, irapenetrabile anche agli amici ed alla famiglia, concentrato
lo spirito in questa idea principale, impetrava dalla Natura la rivelazione
delle verità più utili all’uomo. In codesto stato egli delineò il piano delle
sue Riflessioni sopra l’Ineguaglianza tra gl’uomini. Le sue prime
considerazioni gli scoprirono, che la base dell’ineguaglianza è nella Natura. L’Ineguaglianza
fisica la generatrice delle altre: è dunque legata ad un ordine: è per
conseguenza una legge immutabile ed eterna. Le stesse ricerche preliminari, che
fa su questo punto, portano f espresso carattere della novità. Colla più seria
attenzione poi assottiglia il suo Sguardo per penetrare nei più complicati
recessi di quest’ Essere sublimemente organizzato, che si chiama Uomo - I più
tenui rapporti non sono negletti; e combina una maravigliosa mol- tiplichi di
cognizioni per farsi strada all’ oggetto. La Fisica la Fisiologia, la Storia
Naturale, quella particolare dell’ uomo 00 In Napoli 1779-80. è perciò e delle
Società, tutto è da esso ordinatamente richiamato a dare il risultato, che si
era proposto, cioè, a far conoscere 1’essenza reale di questo composto
meraviglioso. Incominciando dal punto principale, cioè, dall’Ineguaglianza
generale degli esseri organizzati, passa all’esame particolare della
Ineguaglianza che nasce dalla diversa destinazione degl'ìnr dividui della
stessa specie. Osserva, che la differenza sessuale si va distinguendo a poco a
poco dagli esseri più semplici e meno complicati fino ai più composti e
perfetti. Che questa differenza porta per necessiti di natura una Ineguaglianza
distintissima nel temperamento, nella forza, nel carattere, nelle passioni, ed
in tutto ciò che si chiama meccanismo e sensibiliti. tv-: Si trattiene poi ad
osservare la dissomiglianza in ge^qfgjp» degli esseri organizzati; e riducendo
questo paragonerai ferenza che vf ha fra IV m+eeanlSrtto delTwnno
<fJ»!f$..rR|ljl'* altri corpi organici, rileva qual sia l’essenza fisica
pbitós’' aefc. la spezie umana. Si apre quindi la strada ad esaminéft geograficamente le differenze, e quindi 1’
Ineguag(^|5- de’ P|po- li e delle Nazioni. Egli scorre con abbondante."
-ed adatyy^fcrvp. . dizione la superficie tutta del Globo, indicando le cagioni
principali e le concause, che rendono gli esseri delIiL stessa specie tanto
dissimili gli uni dagli altri, e come questa dissomigliati? za fìsica porti nel
tempo la morale. Ha riflettuto e dimostra^', che la sola differenza di climi
non poteva-produrre questo tv* levantissimo effetto, ma che la situazione
locale, la quali$ -delP^- ’-;' ’,aria,
xxxii >4 •ria > le maniere diverse di vivere, di nudrirsi,
d' abiure vi concorrono necessariamente, e sono forse cause ed effetti nel
tempo stesso. La Natura ha prescritto dappertutto la legge dell* Ineguaglianza.
Gl’uomini sono ineguali, come le piante della stessa spezie in diverso dima ed
in diverso suolo, e come differenti sqno ancora gli alberi della stessa selva.
Le cagioni sono qualche volta impercettibili, ma gli effetti ne manifestano
resi- stenza. Da questa Ineguaglianza più apparente, par che divenga una conseguenza
necessaria quella della Sensibilità . Nel tempo stereo che 1’Autore sbandisce
la Metafisica delle Scuole, tratta i più malagevoli e spinosi punti della
Psicologia, e combattendo ora i sistemi ora le ipotesi e le sottigliezze, si fa
strada alla Realità. Per una lunga serie di osservazioni egli gradatamente
giunge a stabilire ; Chi la sensibilità negli esseri organici siegue i gradi
dfl loro meccanismo; e che la differenza che vi è fra il tertiro dell' uomo e
quello degli altri animali cossituisce la catatteristica essenziale della
nostra seusibiihd paragonata colla ion Che che ne sia della sensibilità
assolutaci sono de’corpi più meno conduttori, ma il più d’ogni altro è 1’uomo.
L’esame particolare degli organi de’ nostri sensi, paragonati con quelli degli
altri esseri sensibili, ne compruova maggiormente 1' assunto, che anche più
resta dilucidato colla dichiarazione di ciòche si chiama Senso interno, punto
centrale della sensibilità e he par che segua la gradazione dd meccanismo e
della sensibieoofesamj wegW BesaoexeBui-^BeSeeeaeeeaaetja sibiliti istessa.
Ciocché 1’Autore ha ridotto nella prima Parte basterebbe per fare un’Opera
illustre. L’esame che egli fa della sensibilità, riducendola quasi agli
elementi primitivi che la formano e la generano, dimostra che essa non può
essere eguale fra gli uomini; e rileva la dispia-» cevole verità, che il tuono
fondamentale della sensibilità è il dolore: tristo partaggio di quest’ essere,
di cui divien principio di moto, e di sviluppo d’ attività in tutu
1’estensione. 1 Alla sensibilità sicgue l’intelligenza come l’effetto alla
causa e che per conseguenza deve portar 1’istesso carattere della sua
genitrice. Questa è forse l' Ineguaglianza la piò espressa fra gli uomini; ma a
dir vero la meno fastidiosa. I piaceri dell’intelligenza sublime non
s’acquistano forse che alle spese dell' esistenza e della vita. Ne fu un
esempio funesto il nostro G. MESSIMERI medesimo Dalla sensibilità e dall’
intelligenza risultano le passioni e no portano il carattere . Chi non ne vede
continuamente l' Ineguaglianza? Due illustri moralisti, due nomi immortali per
i progressi dalla FILOSOFIA, Montesquieu ed Helvetius, sostennero le cause
uniche delle differenze generali fra gli uomini, 1’ uno rapportando tutto alle
cause fisiche, l’altro alle morali; ma l’amor del Sistema nascose alla loro
vista la chiara verità che rivela la Natura. Se la sensibilità e 1’intelligenza
fanno nascere le passioni sono queste che determinano la volontà. Tutto dunque
è Inegua- xxxiv eoaeeje Beasees aeesoee Beeaaeaoiyaeo >aiicjaL<ju<
quagliatila; dai primi composti fisici fino ai più sublimi risultati morali,
tutto siegue questa legge eterna ed inevitabile della llatura. Lo stato d’ineguaglianza
morale, cioè dell' uomo come essere pensante, è estesamente sviluppato nel
secondo Tomo di codest’Opera, dimostrandovisi che questa Ineguaglianza è in
ragion composta delle facoltà intellettuali dipendenti dai meccanismo
particolare degl'individui, e dalle cause esteriori, che più o meno si
combinano o si coordinano a svilupparla. L’Uomo è in relazione con tutti gli
esseri che lo circondano. Ogni sensazione o piacevole o dolorosa fa una parte
della sua vita o della sua esistenza; e questo è nell’ ordine eterno della
Natura, perchè i rapporti degli oggetti fra di essi e con f Uomo sono figli di
quella Essenza delle cose, che forse la Natura ci ha velata per sempre; ma sono
quindi necessari come la loro stessa esistenza. La sensibilità è il mezzo che
lega V uomo agli altri esseri. Questa facoltà che si estende, si nobilita, si
sublima, à dunque varj gradi relativi a se stessa ed agli effetti che la
percuo- tono . Quindi la diversità de’bisogni e quindi delle percezioni delle
idee c dei sentimenti, che colle necessarie attenzioni sviluppano le
intellettuali facoltà. Ora essendo riconosciuta l’ineguaglianza della
sensibilità dipendente dalla differenza del particolar meccanismo, zie siegue
necessariamente, che le impressioni degl’oggetti esteriori non sieno neppur
simili ed eguali negli individui. Ed ecco come la diversità di bisogni e di
desiderj, che forma l'ineguaglianza morale fra gli uomini contemporaneamente
questo principio d’ineguaglianza nella Natura stessa, cioè, nei bisogni
relativi alla sensibilità di ciascun individuo. Chiunque non vede altro
nell’Uomo in ultima analisi che il Sentimento e l’Espressione ravviserà in un
colpo la verità di fatto delle idee dell' Autore. Stabiliti tali principi, egli
rileva primamente colle più giuste osservazioni che l’indicazione dell’Uomo
Naturale è un’invenzione gratuita ed erronea è sempre lo stesso, e allorché
diversifica per le circostanze, sono anche codeste naturali, cioè, nell’ordine
della Natura che l’Uo- ; rao non à un carattere ase, maquellocheè lo è per la situazione
relativa alle circostanze giacché in esso vi è altro, che la sensibilità
modificabile dalle cahse esterne, e circoscritta dalla forza del meccanismo di
ciascun indiviuo. Che quia- di Io stato morale di ciascun individuo i relativo
alle circo- stanze sociali combinate con quelle, che sorgono dalla propria
sensibilità Con questi principj si apre la strada all’ esame morale dell’uomo.
Egli lo sottopone all’esperienza, non come un semplice Fisico farebbe, ma come
il chimico più esperto e sensato, sottoponendolo all’operazione di diversi
agenti, analizzandolo, ricomponendolo, e combinandolo, per vedere in quale
stato possa dare più felici risultati, risultati che caratterizzino la
differenza e l’neguaglianza morale degli uomini e delle Società. L’Uomo
solitario è 1’ oggetto di queste sperienze esposto alla E a sciti dei Filosofi;
perchè l’uomo per Natura, stabilisce ocsfleesaoejeeooo eaooesocsoc Booeaooeaoee'Mtoo
semplice vista ; ma nella Società egli è messo ad un vero cimento, giacché ivi
siscuoprono i varj gradi di rapporti, di affi- nità, di coesione Scc. su i
quali si può misurare la sua moralità. Dopo d’ aver considerato che i rapporti
dell’ Uomo solitario sono quasi negativi giacché sente appena i bisogni d’una
sussistenza che non conosce, per passare a considerarlo nello sta- to <Ii
Società, riflette primamente, che la sociabilità è un’qualità essenziale dell'
uomo; cosa dimostrabile per ragionamenti se non fosse una verità comune,
continua e coesistente colla stessa Umanità. Le Società anno intanto diversi
gradi alla perfezione. Il minimo par che lo conosciamo: ma il massimo, se vi può
essere per 1’uomo, è riserbato ad epoche più felici. Ma come tutti questi
immaginabili gradi di perfettibilità sociale mettono i componenti in 'rapporti
e circostanze diverse, cosi la sensibilità e la morale saranno del pari
differenti. Gli uomini posti vicino alle catastrofi del Globo dovettero avere
de’ sentimenti proprj ad essi, che nelle prime società di famiglia dovet- tero
provare cangiamento ed alterazione. Lo stesso dovè accadere quando le famiglie
cominciarono a moltiplicarsi, e la gran selva della Terra a popolarsi di
selvaggi, e poi per successivi e varj gradi prevenire allo stato di barbarie
ancor molto esteso e vergognoso per la specie. Tutti questi lenti passi dell’
umana perfettibilità sono partico- larmente osservati dall'Autore, sempre riportando
tutto ai suoi principi, e facendo vedere come naturalmente ne discendano. La
gradazione de’ bisogni porta quella delle idee e de’ rapporti, dal-
xxxvir .1 KiueBeteaaoe aeoeeaaoc ^>3frC-»o ccS3g>uce:!>o
ysra& dell affinamento della sensibilità, dello sviluppo delle facoltà in-
tellettuali. dell attività dello spirito, e finalmente della riflessione.
figlia necessaria di quell'olio, che susseguendo ai bisogni soddisfatti ne vede
o immagina gradatamente de' nuovi . In qnesy varj stati, per i quali passa
1'uomo, egli (à vedere come nascano l' indipendenza e la libertà, come si
alterino e si perdano, e come i sentimenti morali cangino d’aspetto al
cambiarsi dei rapporti e delle circostanze. In somma egli fa la Storia morale
della specie, se non comprovata da documenti che devono mancare, almeno qual
doveva essere per necessità di Natura. Scorsa cosi la Storia oscura dell
Umanità, dove sempre l'ineguaglianza domina e campeggia, perviene finalmente
allo stato di luce, all’ epoca della Società civilizzata ed ingentilita. E’
permesso al Poeta ed all' Uomo fortemente appassionato di risospirare le selve
al centro del vortice sodale, come è loro per- messo di evocar le Ombre e le
Furie, che io guidino nel perpetuo albergo dell’obblio. Ma il tranquillo FILOSOFO,
compassionando gli eccessi della sensibilità e della immaginazione, richiama l’uomo
ai suoi doveri rimostrandogli le beneficenze della vita sociale. Quando si
considerano le Società civilizzate, e la perfettibilità della quale sono
capaci, bisogna aver lo spirito falso per abborrirle, o per preferire ad esse
uno stato naturale, che non esistè giammai in Natura. Nelle Società solamente
si sviluppano le facoltà morali ed intellettuali dell’uomo: è dunque in esse
che si purifica o si perfeziona la specie. Diogene voleva ravvicinar l’Uomo
alla Natura, non col degradarlo minorando la sua esistenza, ma colla virtù
accrescendola e migliorandola ; e questa non è anch’ essa il più nobile ramo
dell albero sociale? E’ vero che nella Società si sviluppa e manifesta maggiormente
l’inegu3gliania morale; ma in che altro consiste essa che nei gradi di
miglioramento del carattere e dei sentimenti degl individui ! E se anche le
circostanze sociali portano delle cattive abitudini, che altrimenti non
esisterebbero, codeste sono mo- derate e ritenute dalle leggi conservatrici. Ma
questo rientra nell’esame dell’ineguaglianza politica, che 6 l’oggetto della
Terza Parte. Qual infinita differenza fra 1 selvaggio e 1 uomo civile! E' la
crisalide trasformata in farfalla. Questa metamorfosi, eh’ è un miracolo agli
occhi volgari, non è che un naturale svilup- po a quelli dell' attento
Naturalista. Tale è l’uomo sodale per chi medita la Natura umana. Ma qual
differenza ancora nel seno stesso della Società! Nel massimo della
civilitazione si trova spesso lo stolto selvaggio ed il barbaro feroce, l’uomo
di genio e lo stupido, il virtuoso filosofo, 1 imbecille superstizioso, l’opulenza
ed i cenci; il Frate ed il Militare esistono nella stessa società e sotto lo
stesso Governo. Ma fra i Governi ancora quai triste differenze ? "Lo
stupido Despota da un trono invisibile sacrifica milioni di schiavi ; mentre un
Rè vive da amico col popolo che lo adora . Un Senato Aristocratico a pas- si
lenti e regolari calpesta un popolo che crede degradato per Natura, e che lo è
spesso per sentimento ; mentre una Democrazia, sragionando quasi sempre nelle
sue risoluzioni opprime, «M-xxxix h* sooooeaaecaje e tiranneggia gli altri
popoli che le appartengono La tumultuaria libertà è al centro la schiavitù, e
l’oppressione alle circonferenze. Che strani misti ancora possono sostenersi,
senza un contrasto di forze resistenti l E quali specie di sentimenti nascono
ancora sotto queste varia- te forme! L opinione sostenuta tà il vessillo dei
ineguaglianza; e le leggi, sempre deboli contro quella dominatrice
dell’Universo, la vedono spesso lor malgrado de' varj Governi, che non dal
potere innalbera in mezzo alla Socie- trionfare. Ognuno si sforza per
avvicinarsi revole; e se tutti gli sforzi non sono egualmente felici, cosi nondimeno
si scuote l’inerzia fondamentale dell'uomo, così esso di’ viene un essere
attivo, così si sublima a un grado superiore a tutti gli altri esseri
senzienti. Le circostanze che s’incontrano, ael corso della vita, determinano
gli uomini diversamente in ragione della loro sensibilità; e quindi nella
riunione delle azioni formano un tutto, non di parti similari, ma differenti e
dissimili, che fermentando necessariamente rigenerano il moto e danno origine a
nuove trasformazioni Senza l’ineguaglianza le Società non sussisterebbero. Non
possono codeste distruggerla, ma non per questo essa porta un carattere
intrinseco di male: e quando siam persuasi che le idee mo- rali sono tutte
relative, e che esse traggono la loro sorgente dai rapporti immediati
dell'uomo, ci bisogna esser conseguenti iti riconoscere il bene che fa la
Società col moderare e rintuzza, a quell' insegna favo- 4 XL te i
disgustosi eccessi dell’ ineguaglianza che viene dalla Natu- ra . Nelle Società
sono nate le leggi protettrici della debolezza e direttrici della forza e della
Ragione ; e se le Società non danno sempre quegli effetti che dovrebbero per
loro natura, non parmi che sia per intimo difetto della cosa, ma della Natura
umana finora incapace d’ un sublime grado di perfezione Se nondimeno la
ragione, la sperienza e la Storia ci mostrano, che 1'uomo in società è sempre
determinato dalle cagioni e dalle circostanze ; e che queste sono in gran parte
in mano del legislatore e del Governo, basta far nascere queste circostanze,
per far prendere agl’individui quella determinazione, eh è più atta fare la
loro felicità relativa Alfonso 1. ama le lettere, è !’ amico de' valentuomini,
li premia, li onora, e durarono iìno al tempo de’suoi brevi successori La
legislazione moderna d'Europa manca ancora dima parte, cioè, del premio alla
virtù. Quindi ritieguaglianza divien più dolorosa, e le leggi non communicano
un moto sufficiente verso la beneficenza. Chi a caso s' avvia per questa
strada, vi si vede quasi isolato; e non potendo giugnere all’insegna
dell’opinione per la gran folla pervenutavi per istrade più brevi, si contenta
d’un piccolo tugurio su la via percorsa, e colà vive da eremita. Bisogna
assolutamente leggere i suoi saggi per avere le più giuste e vere idee della
Legge di Natura, del Dritto delle Genti e del Civile. J principj fattizj
d’alcuni Filosofi visono modestamente esaminati, col mostrareche essi non
s’adattano all’uso dell’umanità, e per conseguenza non sono tratti da quei
rapporti coesistenti colla specie, e che non si cangiano, che nei diversi punti
della naturale progressione. Le prime leggi di natura sono comprese nella
teoria della sensibilità tanto bene sviluppata dall'autore. Tutti i dritti
dell'uomo, in qualunque stato, sono una emanazione di quella qualità inerente
alla sua esistenza, e su di essa si devono misurare. Quindi dimostra infine che
non bisogna giudicare delle azioni morali col rapportarle all’ idea di utile,
perchè saremo sempre ingiusti; c clic l’archetipo al quale si devono riferire è
la Giustizia, che vale a dire, l’espressione perpetua ed eterna della morale
verità Ecco il secco scheletro d'un’ Opera pienissima, fatto solo col
ravvicinare il più che per me si è potuto le idee principali dell’autore
relative al suo titolo titolo che forse
per sola modestia volte Imporle; poiché i -parer mìo, è il più completo corso
di naturale filosofia, essendo tratta dalla vera natura dell’uomo, ed il più
utile, perchè applicabile a tutta la pratica della morale ed alla teoria della
Legislazione. Qual giustezza, qual vastità di spirito, qual’estensione di
cognizioni e quale su- blimità di genio abbiano avuto parte à quest’opera non
può rilevarsi in un estratto. I Giornali d'Europa fecero eco in celebrarla: e
questa e quella di FILANGIERI (si veda), facendo molto onore alla Nazione,
eccitarono le più lusinghiere speranze di veder presto in un nuoyo Codice
gir'effetti di questi lumi e di quella libertà che non si scompagna giammai
dalla ragione e dalla virtù. Una tale opera che è sufficiente per fare la
celebrità d'un uomo, che puo farne nascere delle altre utilissime, che non
pecca d’altro che d’abbondanza d’idee e profondità di pensieri, fa riposare lo
spirito dell’autore, se avesse travagliato pel solo desiderio della gloria. Ma
questo sentimento lo tormentava cosi poco, che non potè calmare l’attività
dello spirito sempre sollecito d; pensieri utili ed interessanti, e lo diresse
ad altr’oggetto, che doveva eternare la sua memoria colla gratitudine della
Nazione. Annali del TTL sentimento di Patria, soggetto ad estinguersi sotto’1
di- Regno JlL, spotismo, ricomparisce nello spirito e nel cuore sotto di- versi
aspetti ne' Governi moderati. li desiderio della Gloria e del Pubblico bene
accompagna costantemente questo sentimento nel- ie anime ben nate ; e ciascuno
brama nel suo interno, che, la sua Nazione sia la più rinomata e la più felice.
La nostra Nazione è come una illustre antica famiglia della quale si contano
tanti eroi nella storia e le cui glorie sono coeve del tempo htcsso s ma
ridotta in più povera fortuna ed umile stato, riclama solo per suo vanto le
imprese c le gesta de’ suoi maggiori. Vide G. MESSIMERI che nella folla de'
nostri Storici Scrittori si era mancato sempre a quella vista che l' ottimo
Storico deve avere, 1' utile cioè dell'umanità e della Nazione in particolare
per la quale si scrive. Vide che uu nudo racconto di fatti non sarebbe stato
che una inutile rapsodia atta ad occupare il tempo degli oziosi e degli
annojati. Vide che la Storia non è altro, che la vita morale delle nazioni.
Vide che i fatti che formano il materiale d' ogni Storia, non sono che
fenomeni, che devono avere delle cagioni. Vide finalmente che la Storia doveva
essere d’ un utile presente . Ecco ciocché gli fece nascere l’ idea di
compilare gl’annali del regno. L’apparato delle difficolti da scoraggiare
qualunque spirito non fecero arretrare il suo. Quel vigore di sentimento e
quella costanza ch'ei portava in tutte le sue intraprese, lo accompagnarono
similmente in questa pur troppo malagevole e difficoltosa. Egl’incomincia dalla
geografia, non col far una secca nomenclatura o una nojosa discussione critica
su i veri nomi a situazioni delle antiche Città e popoli : ma col dare
nettamente in risultato quello che vi era di piò verificato e che più importa di
sapere. Un FILOSOFO vede con occhio differente dal filologo gl;antichi fatti ed
i superstiti monumenti. Così egli non si fermava sn i fatti isolati, ma
combinandoli e riducendoli li richiamava quasi a nuova vita, e per tal modo con
.molta fatica ci ha dato la Storia de’ tempi quasi del tutto ignoti alla
Storia, stessa. Egli ha descritto Io stato barbaro del Regno prima che le
Colonie d' oltremare venissero a civilizzarlo : à fatto vedere l’azione
reciproca d qua.’ popoli fra loco, e per effetto delle j varie leggi, l’avanzamento
degli uni e la decadenza e di$truzione degli altri; i progressi della
perfettibilità Fi non sociale j Inforza teMPOeeOaaoa Boeeesoeieeae BOiuo^eeaooo»
non sempre accompagnata dalle ricchezze: la popolazione o le coltura crescer
col commercio e colle arti e poi divenir preda d’altri popoli più guerrieri.
Egli discese fino alla particolarità di quelle costumanze che allora si
chiamavano Religione, feroce o lieta secondo lo stato e carattere della
Nazione. Lo stesso Governo economico e politico non è stato trascurato,
mostrando come questi popoli liberi e divisi sapessero poi formare un unità ed
una forza concorde, che formasse di tanti voleri un so- lo, cioè, quella
volontà generale, che è la legge eterna delle nazioni. Le arti, l’agricoltura,
le Scienze anno anche meritato la sua particolare attenzione: e sebbene sembri
eh' abbia rab- bassati troppo i popoli autottoni d’ITALIA, pure chi considera:
attentamente, troverà, che si è egli voluto attenere più alla verità storica,
che alla vanità nazionale In tutto fi corso di questa Storia la di lui penna è
sempre animata dal cuore. La tirannia, il vizio t la superstizione, che entrano
pur troppo spesso nella Storia dell’ uomo, sono mostri che non si stanca mai di
combattere, smascherandoli anche dove li uova coperti e velati, per far via più
campeggiare la vera gloria e la virtù, sempre rara nel corso de’ secoli. La
libertà, parola volgare, poco ancora intesa, dritto prezioso dell’uomo e più
prezioso per la società, è sempre rilevata dall’ animo del vero FILOSOFO, che
non può far a meno d’amarla. Su questo gusto egli tratta la Storia de’nostri
progenitori. finché essi e l’ Italia tutta non perderotto la propria esistenza,
per diventare nou sudditi ma schiavi di Roma. la FORMA DEL GOVERNO cangia
il carattere morale de popoli. Niente di grande, niente di generoso sema 1’amor
della Patria e sema il sentimento di libertà. Un lusso distruggitore, il
languore dell’inerzia, la schiavitù e la spopolazione corteggiano sempre il
dispotismo. E questo è il quadro degl’antichi popoli sotto l' Impero de’ ROMANI
i barbari distruggendo l’ITALIA la rigenerarono. Essa non puo rinascere che
dalle sue ceneri: ma con qual progresso lento, con quali nuovi errori, con qual
nuova strage dell’umanità riprendesse questo corso, tutto è attentamente
rimarcato dall' Autore, a cui nulla sfugge di quanto deve far vergognar l’uomo
delle sue pretensioni o consolarlo ed istruirlo . Ma è inutile di parlare più
oltre di quest’Opera, che è nelle mani et ogni onesto cd illuminato cittadino.
E' stata vera disgrazia della patria, che lautore sia rimasto a mezzo ’l corso
della sua vita e del più utile prodotto, che potesse dare alla Nazione. Ecco
con quali Opere Fr. A. G. rese immortale il suo nome. Ecco con quali mezzi
cercò di essere un utile e benefico cittadina Ecco quali titoli abbiamo di
celebrare e piangere la sua memoria. La di lui vita si può dire compresa tutta
nelle Opere sue, non solo perchè le idee nuove e sublimi fanno quasi l’apice
dell’ esistenza d’ un uomo di lettere e d’un vero Filosofo ; ma perchè nelle di
lui opere morali souo espresse e manifestate quelle idee, e que’sentimenti
ch'egli esercitò in tutto il corso del suo vivere. Tuttavolta il mio cuore
sente ancora il bisogno di parlare, di qualche altra particolare circostanza.
Si inno ordinariamente delle strane idee s» la sensibilità del cuore umano. Si
dispensa e prodiga spesso il titolo di sensibile alle anime deboli o alterate,
credendosi volgarmente che la sensibilità non possa esser compagna della virtù
e della ragione. Bisognerebbe essere o stupido o affatto depravato per rimaner
insensibile ai più lusinghieri e naturali sentimenti; ma questi per essere
conformi alla loro destinazione) devono nascere da quella analogia d' idee, da
quella uniformità di sentimenti e da quel- ( la consensibilità di cuore) che
formano la base armonica dell' amore. Se un uomo sensibile resta indeterminato
a questo sen- timento, non è certamente per mancanza di sensibilità
fondamentale, ma dal non essersi ancora incontrato con un cuore v che possa
combaciarsi e quasi amalgamarsi col suo. Rari incontri, ma possibili, per
consolazione della spezie tonio G. fa abbastanza ragionevole e fortunato, per
collocare gli onesti sentimenti del suo cuore in quello della Contessa
tratteggiata dall' espressione della virtù c dei doveri, era poi quasi
alluminata Aurora Barnal a. Una fisonomia felice, fortemente da più soavi e
teneri sentimenti del cuore. La dolcezza delle -sue maniere, la facilità della
sua ragione il gusto per la verità, la superiorità ai pregiudizj desiderj (
virtù rara nel sesso ) faceva parere che fussero trasfase nella di lei anima le
virtù del suo compagno come spesso, il disinteresse, e la temperanza dei, una
maschile fisonomia ei conosce in più delicato volto e prende la morbidezza e ’l
carattere del sesso che investe- Con queste qualità fondamentali si potrebbe
mai dubitare, se D. Aurora ! Francescan-
ra facesse la feliciti della sua famiglia, se fosse la più teneri amica
del marito, la più saggia madre delle sue figliuole, la più atta all’incarico
delle domestiche cure? Non si conosceva interamente F. A. G. sema conoscere
ancora qual donna egli s’ avesse assortita. Gli amici e confidenti di lui erano
egualmente j suoi Lo spirito di ragione e ’l gusto ch’essa portava su varj
oggetti, ne rendevano la compagnia egualmente piacevole ed interessante . la
sua casa era quindi il punto di riunione di coloro che ai talenti accoppiavano
le Non è questo il luogo di fare il catalogo dei molti amici del G. tutti
conosciuti per merito e per probità; mi non posso trattenermi dal ricordar
colui la cui memoria dovrà esser mai sempre cara alla nostra Nazione, dico di
GENOVESI (si veda) m padre e creatore de’nostri ingegni. Quell’uomo egualmente
di . cuore benefico e di spirito sublime aveva assai punti di rapporto per
esser stretto amico del giovine G., che già in fresca età dava non dubbj segni
d’esser destinato a divenirgli successore nella pubblica stima, e nella
celebrità. G. MESSIMERI è un uomo che abbisognava d'amare per istinto; sincero
e semplice nelle sue maniere come ne’ suoi sentimenti, il suo cuore non era
chiuso nè dalla diffidenza nè dal disinganno. La libertà della sua ragione non
era mossa nè dallo spirito di dispuu nè dal gusto di primeggiare: ma ha il
giusto principio di richiamare tutte le idee allo scopo dì qualche utilità
morale. Con questa maniera di pensare, oh quanto d’inutile si trova negli usi
ordinar) della vita! Eppure essa dà il metodo più lodevoli qualità, del cuore-
xlviii do più vantaggioso per giudicare del bene reale delle cose e delle
azioni. I suoi più prediletti discorsi si raggirano su questo punto che tanto
facilmente ricorre nelle Capitali. dove la grandetta della scena è
proporzionata alla moltitudine degl’attori. Così quest’uomo nel tempo che si
sottraeva alle necessa- rie applicazioni' non si distraeya in inutili
trattenimenti, ma in compagnia d’eletti amici rilevava Io spirito con altre
idee era, gionamenti d’un utilità più ordinaria e generale. Non solo i
nazionali ma gli esteri ancora vollero avere il piacere di vedere dawicino
quest’uomo illustre, e restavano sorpresi nel riconoscere in una somma
semplicità di maniere quel filosofo, che in lontananza hanno altrimenti
immaginato. Egli però poco desideroso di essere conosciuto, niente avida» di
gloria letteraria, anzi pieno d’ una vera modestia che accresce il di lui
merito reale, evitava. le nuove conoscenze, e cercava di tenersi chiuso
eristretto fra’l numero di pochi amici, eh’ egli più che fraternamente amava.
Pare che non esiste veramente fuori della sua famiglia. Cosa rara nel secolo!
Le persone eccentriche ai sentimenti primitivi, che anno bisogno d’uria
esistenza adjettizia, che unicamente vivono in società estranee ad essi, o dnno
la disgrazia d’aver sonito circo- stanze infelici, o non esistono che per l’ambizione
e per la vanità. La prima morale comincia, dai primi vincoli e rapporti che ci
dà la Natura; e chi non sente questi non sentirà che in apparenza quelli della
società che sono più lenti. Chi non trova i germi delia sua felicità nella
prima società naturale, potrà difficil- jncu- euere39ee»au >jeeje Bg3eomjaoiie35e»-
c»iwieeao «ente rinvenirli altrove. Quindi egli menava il più che poteva la
vita domestica, e poco si estrinsecava, anche per non indebolire i vincoli del
cuore, che si spossano nelle troppo suddivise diramazioni. Non potè però
celarsi allo sguardo di chi lo cercava senza conoscerlo. Il Generale Afton,
desideroso d’avere al suo fianco un uomo, che all’estesa cognizione delle leggi
riunisse non ordinarj talenti e le più preziose qualità del cuore, non altrove
seppe porre il suo giusto sguardo e fermar la sua scelta che sopra G. MESSIMERI,
già molto conosciuto per nome e per i suoi saggi in Europa. Egli lo rese noto
alla maestà del sovrano che sempre amante dc'talenti dc’suoi sudditie voglioso
di riconoscerne il merito, fece che restasse impiegato nelia delicata carica d’assessore
de’ suoi reali eserciti, avendolo poi in mira per altre situazioni, dove più
utilmente e più estesamente avrebbe impiegato la forza de’ suoi talenti, e
l’attività del suo cuore. Io non devo estendermi sii! dìsiiBpegno particolare
della sii carica. Pieno di talenti, della più vera rettitudine di cuore, ed
esercitato alla virtù chi potrebbe dubitare se ben l’esercitasse è li publico
ne ha fatto l'elogio, e lo ha fatto colle lagrime. Nel rimanente della sua vita
privata era lo stesso cogli estranei e cogl’amicj. Ignoa sempre ciocché si
chiama lingua e tuono del mondo, non essendo stato giammai Cortigiano, nè
potendo esserlo pel suo carattere. La verità usce nuda e sincera dalla di lui
bocca, e la espressione di essa gli era cosi naturale come il sentimento. Mai
ricercato o ingegnoso, non isforzava lo spirito per mostrare d’ averne, e le
sue maniere non erano modellate, L eCJlMSty sooe^fle^oe^e ^nr^anp^sagsg^at x v^' * s^ey late sul gusto
o sulla moda, ma spontanee, cordiali e vere, In tal guisa egli faceva la
delizia di chi aveva la fortuna d' essergli vicino. In questi ultimi anni però
era poco il tempo che poteva con- sacrare all’amicizia. Pieno di sentimenti di
dovere pel suo impiego, ei s’occupa in gran parte di quello e compromesso; col
pubblico e con se stesso per l’opera degl’annali, travaglia e medita
assiduamente su quest’oggetto a lui caro. Ruba le ore necessarie al rinfranca
delle perdite giornaliere della macchina per soddisfare alle intense brame del
suo spirito. Ma questa combinazione eccessiva di fatiche alterò non poco la sua
robusta e valida costituzione, Gli accessi del male che soffrì più volte,
furono tanto ferali, che minacciarono la sua esistenza: ma fatto più per
abbandonare se stesso, che disposto a trascurare in menoma parte i suoi doveri,
non si diede mai un serio pansiere della propria conservazione. La sofferenza
che si aveva acquistata per i mali fisici passava qualche volta in neghittosa
noncuranza, nè voleva ricordarsi della pur troppo stretu dipendenza del no-
stro essere dallo stato delf organizazioue. Le rimostranze che gli si facevano
per questo, erano sufficienti per disturbarlo ; e se qualche volta si ridusse
per le amicali violenze a temperare alquanto le sue applicazioni, e a prendere
qualche cura della sua esistenza, ad ogni piccolo miglioramento ritornava
inconta- nente ai modi usasi senza badare, quanto la machina, indebolita prende
con faciliti le cattive abitudini, che ne portano la distruzione. Ma l’intemperanza
nelle applicazioni dello spirito, è stata in ogni tempo il difetto comune ai
grandi e sublimi talenti. In questo stato d’ assidue fatiche e di spossatezza,
un colpo terribile gli fece risentire la catastrofe, che nel disastro della
Calabria involse anche il luogo della sua nascita . Quel giorno di lutto comune
della Nazione fu terribile per lui, che colla ma- dre perde cinque altri
individui della sua virtuosa famìglia . La ragione non à fòrza di consolare il
cuore destinato a sentire e non ad essere comandato; e In inaura dell»
sensibilità so- no le più distruttive di questa nostra tenue e troppo
complicata organizzazione. In mezzo al più vivo dolore G. non da soltanto
sterili lagrime alla Patria. Egli per Sovrano commando è il primo descrittore
di quella fatale sventura, il primo a suggerire le necessarie viste d’una ben
intesa beneficenza, ed a sollecitare la sensibilità, del Trono per conservare
gli avanzi di quel popolo infelice. Dalle di lui carte ne nacquero altre molte,
che forse quanto inno di esattezza Io devono s quelle, eh’ egli per sua
modestia non volle publicare Ma forse nè per quel violento attacco di
sensibilità, nè in conseguenza delle nuove fatiche l’ arressimo immaturamente
pianto, S® il più terribile e fatai colpo non l’avesse sopraffatto in questo
sta'to di salute indebolita. Egli vedeva da più tempo la diletta compagna del
suo cuore perdere quell’espressione.ti «alm*. r: -1—lieta una fisonomia. Tutte
le attenzioni che trascurava per se medesimo, volle che fos- sero moltiplicate
per lo sospirato ristabilimento della sua consorte 1 td amica- L’insinuante
qualità del male, che già della di lei tersotia si era impadronita, dava luogo
a frequenti alternative di speranze e di timori: ferite mortali nell'animo di
chi ama. Chi è stato anche solo spettatore in si fatti casi conosce in qua- le
stato d’ orgasmo sia un cuore sensibile, ed a quali lacerazioni sia in
necessità di soggiacere. Il male che nel corso di circa due anni distrusse la
vita di Darnaba, fece anche crollare quella cfel suo illustre consorte. Le
anime sensibili e non infelici nel sacro nodo ronjugale possono forse sole
immaginare qual profonda acerbissima ferita dovè farsi nel cuore superstite. Gl’amici,
che gl’erano d’intorno, vedevano espressa su la di lui costretta fisonomia
l’immensità del dolore e P indifferenza alla vita. Il solo amor paterno puo ancora
rendergli non odiosa l’esistenza ; ma la macchina non resiste alla gravezza de’
mali dell'animo . ed O l’una o l’altro deve soccombere. Gl’incomodi, che prima l’hanno
travagliato ad intervalli, divennero continui; le medele perdeno la loro
attività; la macchina ora indebolita a segno, che un colpo solo tolse la più
preziosa esistenza per l’amicizia e per la virtù. La perdita del Pubblico e
degli amici è irreparabile; ma le cinque nobili ed afflitte pupille ànno
trovato nei cuori di Ferdinando E Carolina la sensibilità e l’affetto dei loro genitori
[cf. H. P. Grice, PROGRAMMA GENITORIALE] Possa «ampie hi BemeficenT» far I’
Elogio de’ nostri adorabili Sovrani! Questa è la vera riconoscenza eh’ essi
possono testimoniare alle ceneri dell’ Illustre Cittadino, come queste poche
pagine e questi sentimenti sono dopo le lagrime l' uniccr omaggio, che
1’amicizia puo consacrare ALLA MEMORIA ETERNA DI G. Nome compiuto: Francesco
Antonio Grimaldi. Francesc’Antonio Grimaldi. Francescantonio Grimaldi. Marchese
Grimaldi dei signori di Messimeri. Keywords: compassione, la compassione,
Romolo bruto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grimaldi: implicatura ed
inter-azione” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Gronda:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’intersoggetivo
di Vico – la scuola di Milano -- filosofia lombarda – filosofia milanese –
scuola di Milano. filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Abstract. Perhaps unlike any other Italian
philosopher, Gronda is a true Griceian. Vico would speak of the soggetto, but
Gronda goes on to speak of the ‘intr-subjective.’ In his Method in
philosophical psychology Grice explains why. His creatures – his pirots – need
to have a representation of this or that psychological concept – notably
intending, believing and desiring. Not so much because they need them for
THEMSELVES – since they are endowed with privileged access and indeed, they
don’t require a behavioural manifestation of it – but to impose a MANUAL – the
Immanuel – that will rule OTHER pirots. When a talking pirot expresses that p,
and means that p by it – he intends his addressee pirot to believe that the
uttering pirot BELIEVES or DESIRES that p. This is the beginning of what Gronda
refers to as the inter-soggetivo. Keywords:
intersoggetivo in Vico. Filosofo italiano. Grice: “I like Gronda – for one, he
helped me understand Vico when stating that what Vico is after is a ‘science of
the inter-subjective world;’ since I’m also into that I suppose I am Vico!” –
Profondo conoscitore delle lingue antiche (greco, latino, sanscrito, ma anche
pali e avestico) e di numerose lingue occidentali (ne parla sette ed è in grado
di leggerne dodici). Si laura con la tesi “Verità e storia: uno studio sulla
struttura della STORIA DELLA FILOSOFIA sulla base di un'analisi paradigmatica
dell'evoluzione da Parmenide di VELIA a Platone” (Milano, Guerini, A. Tassi,
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Hegeliana). Alla scoperta di H.
contribuì in modo determinante l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
che lo chiama a Napoli. Imposta in maniera originale il problema dei rapporti
tra dimensione sistematica (unita latitudinale) e dimensione storica (unita
longitudinale) della filosofia, analizzando lo sviluppo – dice progresso,
regresso, ‘evoluzione’ -- da Parmenide di Velia a Platone. In “Il compimento
della tragedia nell'opera tarda di Sofocle: un’osservazione storico-estetica”
(Gargano, Napoli, Bibliopolis, Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici) combina l'approccio estetico con l'approccio filosofico, cerca di
individuare una logica di sviluppo nella storia della tragedia e, in contrasto
con l'approccio consueto, considera Sofocle come il compimento sintetico di
questa storia. Il pensiero fondamentale espresso nell'opera tarda di Sofocle è
sintesi dei principi che sono alla base dell'arte di Eschilo e di Euripide,
principi che vengono fatti valere insieme da Sofocle e così portati alla loro
verità". Alievo di Toth, si occupa anche del problema della
matematica in Platone (“ I fondamenti dell'aritmetica e della geometria in Platone”
– Milano, Cattanei, Vita e pensiero). In “Interpretare Platone” (Milano,
Guerini, Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici), e in “Il dialogo filosofic:
poetica di un genere” analizza il genere del dialogo mettendo in connessione il
punto di vista filosofico con il punto di vista letterario. Al problema della
tragedia è dedicato “La gerarchia dei tragici. A Napoli tenne una serie di
seminari sull'idealismo (“Lo stato in Mussolini e in Hegel”, La città del
Sole). La riflessione sull'idealimo si sviluppa in stretta connessione colla
fondazione ultima riflessiva e con la soluzione fornita a tale problema dalla
pragmatica trascendentale. L'unica alternativa consistente al relativismo
scettico, dominante nel panorama della filosofia contemporanea ed assurto oggi
ad una sorta di principio dell'opinione pubblica, consiste nell'impostazione
riflessiva presente negl’idealisti, che è necessario sviluppare. Alla
pragmatica trascendentale – del tipo di Grice -- va riconosciuto il merito di
aver riproposto la fondazione ultima riflessiva. Tale fondazione va ripensata
nella sua portata ontologica, superando il formalismo nella direzione di una
formulazione ri-elaborata dell'idealismo (“La fondazione dell'idealismo” –
Milano, Guerini, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Hegeliana). Della
pragmatica trascendentale, in relazione al problema di questa fondazione ultima
riflessiva H. torna in “La crisi della contemporaneità e la responsabilità
della filosofia”. Apel viene analizzato all'interno delle più importanti tendenze
della filosofia, viene esposta in modo dettagliato la prova della fondazione
ultima riflessiva ("prova apagogica") e vengono discussi questioni
relative al linguaggio privato, alla controversia spiegare-comprendere e alla
fondazione dell'etica. Cura “La Scienza nuova” di VICO, compito
affidatogli dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La cura è
preceduta da “Introduzione a VICO: l’inter-soggetivo” (Milano, Guerini,
Istittuo Italiano per gli Studi Filosofici).
-- una introduzione filologica e teoretica in cui H. illustra il
significato della concezione vichiana per una teoria delle scienze della
cultura filosoficamente fondata. La rilessione culmina nella ri-formulazione
dell'idealismo: “L’intersoggettivo” (Napoli, La Scuola di Pitagora). Sostiene
che l'aporia di Hegel consiste nell'aver tras-curato l’inter-soggetivo nella
logica, la parte fondativa del Sistema. Questa lacuna comporta un grave
squilibrio nella struttura complessiva del sistema, in particolare, nel
concetto dello spirito oggettivo e nel concetto dello spirito assoluto – cf.
Grice, ABSOLUTES --, che restano scoperte sul piano logico, senza un
co-rispettivo categoriale in grado di fondare la struttura inter-soggettiva di
cui trattano. Questa aporia è alla radice di sub-aporie come, ad esempio,
l'appiattimento del “dover-essere” sull'”essere” con la conseguente visione
passatista e la questione della conclusione del sistema. Cerca di mostrare come
l'idea fondamentale dell'idealismo sia indispensabile sia per fondare in modo
rigoroso il“discorso” sia per superare la scissione tra scienze della natura e
scienze dello spirito che caratterizza in modo aporetico la filosofia, promossa
dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e per "La scuola di
Pitagora", è uscita una Postfazione. Sposta la sua riflessione dalla
"filosofia prima" di GRICE -- alla "filosofia seconda",
occupandosi di problemi morali e politici, tra cui ha un posto di rilievo la
questione dell'ecologia (“Filosofia della crisi ecologica” – Torino, Einaudi).
I suoi studi delle moderne scienze sociali, politologia ed economia
soprattutto, sono poi confluiti “Morale e politica. Fondamento di un'etica
politica”. Vanno ricordati, innanzi tutto, i lavori sul significato filosofico
della teoria dell'evoluzione (“Portata e limiti della teoria evoluzionistica
della conoscenza” – Napoli, La Città del Sole). Saggi: “Aristotele e il
dinosauro” (Torino, Einaudi); “Sulla comicità” a riprova del costante interesse
nutrito per le forme d'arte, come il teatro e il cinema, in cui l'inter-soggettività
-- la categoria centrale della sua riflessione -- gioca un ruolo
determinante. “Il concetto di filosofia della religione” (Napoli, La
Scuola di Pitagora); “La legittimità del politico” (Milano, Guerini, Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici); “Per una lettura non riduttiva di Platone”
(Napoli, La scuola di Pitagora). Eberhard Karls Tübingen; Habilitation.
Habilitationsschrift: „Subjektivität und Intersubjektivität. Untersuchungen zu
Hegels System“ Eberhard Karls Tübingen; Ph.D. summa cum laude; Major:
Philosophy; First Dissertation: “Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur
der Philosophiegeschichte unter paradigmatischer Analyse der Entwicklung von
Parmenides bis Platon“ Albert Ludwigs Freiburg, Ruhr Bochum, Eberhard Karls
Tübingen, Regensburg. Che cosa sono le scienze umane e a quale scopo si
studiano, La scuola di Pitagora: Napoli; Per una lettura non riduttiva di
Platone, La scuola di Pitagora: Napoli; Russland Kultur, Selbstbild und Gefahr,
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Regisseur und Philosoph der erotischen Liebe, appears Wilhelm Fink Verlag:
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Streitgespräch zwischen Boris Groys und H., ed. Blasi e Jongen, Turia+Kant:
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Die Philosophie und die Wissenschaften, C.H.Beck Verlag: München (= Beck’sche Reihe 21saegiui
gaeggoanjongoannyomron, Eco livres: Seoul Korean translation of papers Llull,
Lo desconhort/Der Desconhort, auf Grundlage der Ausgabe von J.Romeu i Figueras
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Klassische Texte des Romanischen Mittelalters in zweisprachigen Ausgaben;
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Cholhagi algosipojo, Munhak Sasang: Seoul Chugin Cholhakchadurui khaphe,
Woongjin: Seoul O Café dos Filósofos Mortos, Círculo de Leitores: Lisboa 1997,
Temas e Debates: Lisboa El Café de los filósofos muertos, Grupo Anaya: Madrid
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Café, Notre Dame: Notre Dame Ölü filozoflar kahvesi, Arion Yayinevi: Istanbul
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Shanghai Bertelsmann: Shanghai Das Café der toten Philosophen. Minum kopi
bersama Arwah Para Filosof dari Sokrates hongga al-Ghazali, Tannenbaum: Bekasi
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ed. by H. Kohli, Oxford El Mundo en el año 2050. En busca de una sociedad más
próspera, justa y armoniosa, ed. by. H. Kohli, Washington Einstieg in den objektiven
Idealismus, in: Idealismus heute, ed. by V. Hösle and F. Suarez Müller,
Darmstadt Macht und Expansion. Warum das heutige Russland gefährlicher ist als
die Sowjetunion der 70er Jahre, in: Blätter für deutsche und internationale
Politik Una poesia metafisica. Ludwig Steinherrs Lyrikband “Nachtgeschichte für
die Teetasse,” in: Stimmen der Zeit Der Wert des eigenen Glücks. Über
Selbstliebe und Anforderungen an sich selbst, in: Information Philosophie
Unbedingte Verpflichtung und Eudämonismus. Idealität und Realität in der
natural law, and politics in dealing with refugees, appears in a volume
edited by J. Althammer Ethik,” in: Idealismus heute, ed. by G. and F.
Suarez-Müller, Wissenschaftliche Buchgesellschaft: Darmstadt How did Western
culture subdivide its various forms of knowledge? Historical reflections on the
metamorphoses of the tree of knowledge, in: Forms of Truth and the Unity of
Knowledge, ed. by V. Hösle, Notre Dame Objektiver und absoluter Geist nach Hegel,
ed. by A. Kok and T. Oehl, Leiden/Boston 2017. 16.Charismatiker, Genie, Prophet
und dynamischer Unternehmer. Zum inneren Zusammenhang der Elemente einer
Begriffsfamilie, in: Scheidewege Philosophie als Beruf, in: Vereinigung der
Schweizerischen Hochschuldozierenden Bulletin The Search for the Orient in
German Idealism, in: Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft
Can a plausible story be told of the history of ethics? An alternative to
MacIntyre’s After Virtue, in: Dimensions of Goodness, ed. H., Newcastle upon Tyne; Síntese; Vermisste Tugend? Zur Aktualität der
Philosophie Alasdair MacIntyres, ed. by M. Kühnlein and M. Lutz- Bachmann,
Berlin Historical evolution of aesthetic theories, in: The Many Faces of
Beauty, ed. by V. Hösle, Notre Dame 2Why does the environmental problem
challenge ethics and political philosophy?, in: Selected Papers from the XXII
World Congress of Philosophy, ed. by M.-H. Lee Journal of Philosophical
Research, Special Supplement, Charlottesville Neun Reduktionismen in der
Hermeneutik als Vereinseitigungen der Momente des Verstehensprozesses, in:
Reduktionismen und Antworten der Philosophie, ed. by W. Grießer, Würzburg
Understanding Fiction. Knowledge and Meaning in Literature, ed. by J. Daiber,
E. Konrad, T. Petraschka and H. Rott, Münster; Reversals in Clint Eastwood’s Gran
Torino (together with Mark Roche), in: Religion and the Arts Why teleological
principles are inevitable for reason. Natural theology after Darwin, in:
Biological Evolution: Facts and Theories, ed. by G. Auletta, M.Leclerc, and
R.A. Martinez, Rome Post-Physikalismus, ed. by M. Knaup, T.Müller and P. Spät,
Freiburg/München Evolutionstheorie und Schöpfungsglaube, ed. by H.Ph. Weber and
R. Langthaler, Göttingen Ethics and Economics, or How Much Egoism Does Modern
Capitalism Need? Machiavelli’s, Mandeville’s, and Malthus’s New Insight and Its
Challenge, in: Crisis in a Global Economy. Re-planning the Journey, ed. J.T.
Raga/M.A. Glendon, Vatican Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie jus, ars,
philosophia et historia. Festschrift für Johannes Strangas Charalambis and Ch.
Papacharalambous, Baden-Baden/Thessaloniki/Athens Methodology, in: The SAGE
Handbook of Health Care Ethics: Core and Emerging Issues, ed. by R. Chadwick,
T. Ten Have, E.M. Meslin, Los Angeles Dante’s Commedia and Goethe’s Faust.
Similarities and Differences, in: The European Image of God and Man. A Contribution
to the Debate on Human Rights, ed. by H.-Ch. Günther and A.A. Robiglio, Leiden/
New York The Idea of a Catholic Institute for Advanced Study, in: The Idea of a
Catholic Institute for Advanced Study, ed. by G. and D.L. Stelluto (Notre Dame
Poetische Poetiken in der Neuzeit: Boileau, Pope, Friedrich Schlegel und
Adorno, in: Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft The
European Union and the USA: Two contemporary versions of Western „empires“?,
in: Transzendentale Konzepte in aktuellen Bezügen, ed. by H.-D. Klein and R.
Langthaler, Würzburg Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy
Italian translation in: Hermeneutica Inwieweit ist der Geistbegriff des
deutschen Idealismus ein legitimer Erbe des Pneumabegriffs des Neuen
Testaments?, in: Zeitschrift für Neues Testament Philotheos Humanitas Poetische
Poetiken in der Antike: Horaz‘ „Ars poetica“ und Pseudo-Longinos‘ Περι υψους, in: Poetica Soziobiologie,
in: Handbuch Anthropologie. Der Mensch zwischen Natur, Kultur und Technik, ed.
by E.Bohlken and Ch.Thies, Stuttgart/Weimar Symposium. Canadian Journal of
Continental Philosophy Ich kann immer noch nicht anders als kompatibilistisch
zu denken, in: Erwägen – Wissen – Ethik Inwieweit ist man dafür verantwortlich,
sich über sich selbst zu informieren? Moral- und rechtsphilosophische
Reflexionen im Zusammenhang mit der Aids- Pandemie, in: HIV/AIDS – Ethische
Perspektiven, ed. by S. Alkier and K. Dronsch, Berlin/New York Eine
metaphysische Geschichte des Atheismus, in: Deutsche Zeitschrift für
Philosophie Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy Hungarian
translation in: Mérleg Did the Greeks deliberately use the Golden Ratio in an
Artwork? A Hermeneutical Reflection, in: La Parola del Passato The Lost
Prodigal Son’s Corporal Works of Mercy and the Bridegroom’s Wedding. The
Religious Subtext of Charles Dickens’ Great Expectations, in Anglia Habitus
fidei – Die Überwindung der eigenen Gottlosigkeit, hg. von J. Alberg und D.
Köder, Paderborn Variationen, Korollarien und Gegenaphorismen zum zweiten Band
der “Escolios a un texto implícito” von Nicolás Gómez Dávila, in: Kritische
Theorie zur Zeit. Für Christoph Türcke zum sechzigsten Geburtstag, ed. by
O.Decker and T.Grave, Springe Dávila e la crisi dell’Occidente, ed. by F.Meroi
and S. Zucal, Pisa Eikasia Über den Vergleich von Texten. Philosophische
Reflexionen zu der grundlegenden Operation der literaturwissenschaftlichen Komparatistik,
in: Orbis Litterarum Wilhelm Meister and Mignon as models for Nicholas Nickleby
and Smike?, in: Neohelicon German translation in: Zwischen Sprachen und
Kulturen: Das kritische Wort. Festschrift für Italo Michele Battafarano, ed. by
Elmar Locher, Würzburg Dickens als Kritiker des Goetheschen Bildungsromans? Ein
Strukturvergleich von Wilhelm Meisters Lehrjahren und Great Expectations, in:
Germanisch- Romanische Monatsschrift Nach dem absoluten Wissen. Welche
Erfahrungen des nachhegelschen Bewußtseins muß die Philosophie begreifen, bevor
sie wieder absolutes Wissen einfordern kann?, in: Hegels Phänomenologie des
Geistes. Ein kooperativer Kommentar zu einem Schlüsselwerk der Moderne, ed. by
K.Vieweg und W.Welsch, Frankfurt Der Geist als Nostalgiker des Lebens. Was
verbindet und was unterscheidet Grillparzers „Sappho“ und Manns „Tonio
Kröger“?, in: Zeitschrift für deutsche Philologie; Scheitern angesichts der
Umweltvergiftung. Ein Vergleich von Henrik Ibsens En Folkefiende und Wilhelm
Raabes Pfisters Mühle, in: Wirkendes Wort De eenheid van het weten en de
werkelijkheid van de universiteit, in: Nexus Scheidewege; IL PIATTONE DI
CICERONE, Wiener Studien Pre-established harmony between parental and free
choice of the partners. Masked encounters in Ludvig Holberg’s Mascarade, Carlo
Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s Leonce und Lena, in: Komparatistik
Apologie der Postmoderne, in: Kritik der postmodernen Vernunft. Idealistische
Perspektiven, ed. by B.Goebel and F.Suárez Müller, Darmstadt Éticas convergentes
en la encrucijada de la postmodernidad, ed. by R.Salas Astraín, Santiago/Temuco
Erasmus The Idea of a Rationalistic Philosophy of Religion and Its Challenges,
in: Jahrbuch für Religionsphilosophie Wiener Jahrbuch für Philosophie Mérleg
Kann die Systemtheorie eine Ethik der Wissenschaft ersetzen?, in: Erwägen –
Wissen – Ethik Die Schönheit der Geometrie, in: Ein Buch, das mein Leben
verändert hat. Liber amicorum für Wolfgang Beck, ed. by D.Felken, München Erste
und dritte Person bei Burchell und Goethe: Theorie und Performanz im zehnten
Buch von “Dichtung und Wahrheit“, in: Goethe-Jahrbuch Religion of art,
self-mythicization and the function of the church year in Goethe’s Italienische
Reise, in: Religion and Literature Autoinvenienz, ed. by. R. Breuninger and
P.L. Oesterreich, Würzburg Was ist neohegelianisch an “Moral und Politik”?, in:
Wiener Jahrbuch für Philosophie
Platonism and Its Interpretations. The Three Paradigms and Their Place
in the History of Hermeneutics, in: Eriugena, Berkeley, and the Idealist
Tradition, ed. by St.Gersh and D. Moran, Notre Dame Videtur
Wissenschaftsentwicklung in den USA. Aus dem Archiv des Institute for Advanced
Study in Princeton, in: Stimmen der Zeit Encephalius. Ein Gespräch über das
Leib-Seele-Problem, in: Das Leib-Seele- Problem, ed. by Th. Buchheim und F.Hermanni,
München Mind and Matter Wie sollte eine synthetische Platondarstellung
aussehen? Einige Überlegungen angesichts von Kutscheras neuer
Platonmonographie, in: Philosophiegeschichte und Logische Analyse Erwiderung
auf die Replik Franz von Kutscheras in „Philosophiegeschichte und Logische
Analyse“ 9/2006 auf G.s Rezension seines Platonbuches, in: Wiener Jahrbuch für
Philosophie Religion, Religionsverlust und Erzählstrategien in einer neueren
Autobiographie. Zu Johannes Hösles “Vor aller Zeit. Geschichte einer Kindheit”
sowie “Und was wird jetzt? Geschichte einer Jugend”, in: Zur Sprache gebracht.
Philosophische Facetten. ... Festschrift für Peter Novak, ed by. N.Leißner und R.Breuninger, Ulm Psychologie
des Spielers und Ethik des Va-banque-Spiels. Zu Friedrich Schillers Die Verschwörung des Fiesko zu
Genua, in: Wege zur Politischen Philosophie und Politik. Festschrift für Martin
Sattler, ed. by G. von Sivers und U.Diehl, Würzburg Philosophy and its
Languages. A Philosopher’s Reflections on the Rise of English as Universal
Academic Language, in: The Contest of Languages, ed. by M.Bloomer, Notre Dame
Was kann man von Hegel objektiv-idealistischer Theorie des Beriffs noch lernen,
das über Sellars’, McDowells und Brandoms Anknüpfungen hinausgeht?, in: Allgemeine
Zeitschrift für Philosophie The Dimensions of Hegel’s Dialectic, ed. by N.G.
Limnatis, London Reasons, emotions and God’s presence in Anselm of Canterbury’s
Dialogue Cur deus homo (together with Bernd Goebel), in: Archiv für Geschichte
der Philosophie Die Frage nach dem Unbedingten. Gott als genuines Thema der
Philosophie, ed F.Resch and M. Klinkosch, Dresden Die Philosophie und ihre
literarischen Formen – Versuch einer Taxonomie, in: Das Geistige und das
Sinnliche in der Kunst, ed. by D.Wandschneider, Würzburg Berufsethik der
Geheimdienste und Krise der hohen Politik. Philosophische Betrachtungen zum
literarischen Universum von John Le Carrés Spionageromanen im allgemeinen und
zu Absolute Friends im besonderen, in: Deutsche Vierteljahrsschrift Replik auf
Ursula Hoyningen-Süess’ Kommentar, in: Pädagogik und Ethik, ed. by D.Horster
und J.Oelkers, Wiesbaden Platons “Protreptikos”. Gesprächsgeschehen und
Gesprächsgegenstand in Platons “Euthydemos”, in: Rheinisches Museum für
Philologie Great Books Programs.“ Die Rolle der Klassiker im Bildungsprozeß,
in: Kultur, Bildung oder Geist?, ed. by R.Benedikter, Innsbruck Interreligious
Dialogues during the Middle Ages and Early Modernity, in: Educating for
Democracy: Paideia in an Age of Uncertainty, ed. by A.M.Olson, D.M.Steiner, and
I.S.Tuuli, Lanham Dialog und Verstehen, ed. by G.Damschen and A.G. Vigo, Berlin
Eine Form der Selbsttranszendierung philosophischer Dialoge bei Cicero und
Platon und ihre Bedeutung für die Philologie, in: Hermes Graduate Faculty Philosophy
Journal Wie soll man Philosophiegeschichte betreiben? Kritische Bemerkungen zu
Kurt Flaschs philosophiehistorischer Methodologie, in: Philosophisches
Jahrbuch Wahrheit und Verstehen.
Davidson, Gadamer und das Desiderat einer objektiv- idealistischen Hermeneutik,
in: Logik, Mathematik und Natur im objektiven Idealismus. Festschrift für
Dieter Wandschneider, ed. by W.Neuser und V.Hösle, Würzburg Metaphysik und
Hermeneutik. Festschrift für Hans-Georg Flickinger zum 60. Geburtstag, ed. by
H. Eidam/ F. Hermenau/ D. de Souza, Kassel Between Description and
Interpretation: The Hermeneutic Turn in Phenomenology, ed. by A.Wierciński,
Toronto Hermeneutica Variationen, Korollarien und Gegenaphorismen zum ersten
Band der “Escolios a un texto implicito” von Nicolás Gómez Dávila, in: Die
Ausnahme denken. Festschrift zum 60. Geburtstag von K.-M.Kodalle, ed. by
C.Dierksmeier, 2 Bde., 13-VH Würzburg Jonas’ Stellung in der Geschichte
der deutschen Philosophie, in: Weiterwohnlichkeit der Welt. Zur Aktualität von
Hans Jonas, ed. by Ch. Wiese und E. Jacobson, Frankfurt Synthesis philosophica
Weltinnenpolitik für das 21. Jahrhundert, ed. by U.Bartosch, K.Gansczyk,
Hamburg Filozofska Istraživanja The Legacy of Hans Jonas: Judaism and the
Phenomenon of Life, ed. by H.Tirosh- Samuelson and Ch.Wiese, Leiden/Boston
Globalisierung und US-amerikanische Hegemonie, in: Ethik, Politik und Kulturen
im Globalisierungsprozess, ed. by R.Elm, Bochum Kritische Anmerkungen zur
Theorie des gerechten Krieges, in: Neue Gesellschaft/Frankfurter Hefte Videtur
Inferenzialismo in Brandom e olismo in Hegel. Una risposta a Richard Rorty e
alcune domande per Robert Brandom, in: Hegel contemporaneo, a cura di L.Ruggiu
e I.Testa. Milano Diskurs und Reflexion, ed. by W. Kellerwessel, W. J. Cramm,
D. Krause, H. C. Kupfer, Würzburg Graduate Faculty Philosophy Journal Is There
Progress in the History of Philosophy?, in: Hegel’s History of Philosophy, ed.
by D.A.Duquette, Albany, NY Interpreting Philosophical Dialogues, in: Antike
und Abendland Zum Verhältnis von Metaphysik des Lebendigen und allgemeiner
Metaphysik. Betrachtungen in kritischem Anschluß an Schopenhauer, in:
Metaphysik. Herausforderungen und Möglichkeiten, ed. by V.Hösle, Stuttgart-Bad
Cannstatt Könnte die Europaische Union als Bundesstaat funktionieren? Und kann
sie ein Bundesstaat werden?, in: Universitas Die Metaebene der bioethischen
Diskussion. Einige Bemerkungen zu Michael Neumanns Kirchentagsrede, in:
Scheidewege Eine moralische Politik? Vittorio Hösles Politische Ethik in der
Diskussion, ed. by B.Goebel und M.Wetzel, Würzburg Das Umweltproblem im 21.
Jahrhundert. Dimensionen einer Krise, in: Gedanken zur Nachhaltigkeit, ed. by
L. di Blasi, B.Goebel und V.Hösle, München Handbuch Generationengerechtigkeit,
ed. by Stiftung für die Rechte zukünftiger Generationen, München 2003, 125-150;
Italian tranlation in: Una nuova etica per l’ambiente, ed. by C.Quarta, Bari
Die Philosophie und ihre Medien, in „Platonisches Philosophieren“., Zehn
Vorträge zu Ehren von Hans Joachim Krämer, ed. by Th.A.Szlezák unter Mitwirkung
von K.- H.Stanzel, Hildesheim/ Zürich Platonismus und Darwinismus, in:
Freiburger Institut fur Palaowissenschaftliche Studien, Kleine Schriftenreihe
Universitas Philosophica Darwinism and Philosophy, ed. 14-VH 8/9/17 by G.
and Ch. Illies, Notre Dame Verfall der deutschen
Universitaten? Hochschulen in den USA und Deutschland, in: Stimmen der Zeit Die
Tagespost Ethik des Erwählten und Metaphysik des Geistes und des Lebens. Zu Thomas Manns Philosophie,
in: System der Philosophie? Festgabe für H.-D.Klein, ed. by
L.Nagl/R.Langthaler, Frankfurt a.M. Nós e o absoluto. Festschrift em homenagem
a M.Araújo de Oliveira, ed. by C.Cirne- Lima and C.Almeida, São Paulo
Theodizeestrategien bei Leibniz, Hegel, Jonas, in: Pensare Dio a Gerusalemme,
ed, by A.Ales Bello, Roma Leibniz und die Gegenwart, ed. by F.Hermanni und
H.Breger, München O Deus dos filósofos modernos, ed. by.C.Almeida and M.Araújo
de Oliveira, Petrópolis English translation in: Philotheos Mérleg Der Ort von
Kants Geschichtsphilosophie in der Geschichte der Geschichtsphilosophie, in:
Grundlage des Rechts. Festschrift für
Peter Landau, ed. by R.H.Helmholz, P. Mikat, J. Müller und M. Stolleis,
Paderborn u.a. LO SPIRITO E IL POTERE: QUESTIONI DI PHENUMATOLOGIA POLITICA,
cur. Nicoletti,
Brescia, Von Platon bis Fukuyama. Biologistische und zyklische Konzepte in der
Geschichtsphilosophie der Antike und des Abendlandes, ed. by D. Engels,
Bruxelles Why Do We Laugh at and with Woody Allen?, in: Film et Philosophy
Philosophy and the Interpretation of the Bible, in: Internationale Zeitschrift
für Philosophie Jahrbuch für Philosophie des Forschungsinstituts für
Philosophie Hannover Mérleg Itinerari as well as in: „Conservare
l’intelligenza“. Lezioni rosminiane, cur. Nicoletti and F. Ghia, Trento
Aufgaben der Naturphilosophie heute, in: Die Aufgaben der Philosophie heute,
ed. by V.Hösle, P.Koslowski, R.Schenk, Wien Zur Philosophie der Geschichte der
Sozialwissenschaften, in: Politische Deutungskulturen, Festschrift für K.Rohe,
ed. by O.N.Haberl/T.Korenke, Baden- Baden abbreviated version in: Essener
Unikate Erfahrung, QUADERNI DI TEORIA SOCIALE Religion, Theologie, Philosophie,
in: Auf neue Art Kirche sein. Festschrift für Bischof Dr. J. Homeyer, ed. by
W.Schreer und G.Steins, München Mérleg Veritas Philotheos Rationalism,
Determinism, Freedom, in: On Quanta, Mind and Matter. Hans Primas in Context,
ed. by H.Atmanspacher, A.Amann and U.Müller-Herold, Dordrecht Jahrbuch für
Philosophie des Forschungsinstituts für Philosophie Hannover Gerechtigkeit
zwischen den Generationen, in: Was steht uns bevor? 15-VH Mutmaßungen über das
21.Jahrhundert. Aus Anlaß des 80. Geburtstages von Helmut Schmidt, ed. by
M.Gräfin Dönhoff und Th.Sommer, Berlin Aktual‘nye problemy Ebropy: Ebropa i
mir, Moscow Chancen und Gefahren von Begabung und Begabungsförderung, in: epd-
Dokumentation Philosophieien aus dem Diskurs, ed. by H. Burckhart, H. Gronke,
Würzburg Pädagogik und Ethik, ed. by D. Horster and J. Oelkers, Wiesbaden Woher
rührt der außerordentliche literarische Wert der russischen Literatur des 19.
Jahrhunderts?, in: Communio Teologicky Sbornik Suszhnost' i slovo. Sbornik
nauchnukh statej k iubileiu professora N. V. Motroshilovoj, ed. by M. Solopova
and M. Bykova, Moscow Ökologie und Christentum, in: Begründete Hoffnungen, ed.
by Ch.Nickels, Frankfurt Philosophische Grundlagen eines zukünftigen
Humanismus, in: Erfurter Universitätsreden, ed. by P.Glotz, München Kultur und
Menschlichkeit. Neue Wege des Humanismus, ed. by F.Geerk, Basel Der Darwinismus
als Metaphysik (together with Ch.Illies), in: Jahrbuch für Philosophie des
Forschungsinstituts für Philosophie Hannover Science, Philosophy and Culture
Versuch einer Würdigung des Gesamtwerks Egil Wyllers, in: Henologische
Perspektiven II zu Ehren Egil A. Wyllers, ed. by T.Frost, Amsterdam/Atlanta, GA
Hegel und Spinoza, in: Tijdschrift voor Filosofie Im Sokjin gjosu
chongnyonginjomnonchong, Seoul The Intellectual Background of Reiner
Schürmann’s Heidegger Interpretation, in: Graduate Faculty Philosophy Journal
Jahrbuch für Philosophie des Forschungsinstituts für Philosophie Hannover
Kritik der postmodernen Vernunft. Idealistische Perspektiven, ed. by B.Goebel
and F.Suárez Müller, Darmstadt Mein Weg zum objektiven Idealismus, in: „... was
die Welt im Innersten zusammenhält Wege zur Philosophie, ed. by Ch. und
M.Hauskeller, Hamburg Rationalismus, Intersubjektivität und Einsamkeit: Lulls
Desconort zwischen Heraklit und Nietzsche, in: Constantes y fragmentos del
pensamiento luliano, ed. by F.Domínguez and J.de Salas, Tübingen Philosophy in
an age of overinformation, or: What we ought to ignore in order to know what
really matters, in: Aquinas Ethics of the Professions: Medicine, Business,
Media, Law, edited by I.Kucuradi, Berlin/Heidelberg Síntese Nova Fase
Philosophieren über Philosophie, edited by R.Raatzsch, Leipzig Bürgerverdruß
oder Bürgersinn? Von der Unabdingbarkeit republikanischer Tugend im Alltag der
Politik, in: Politikversagen? Parteienverschleiß? Bürgerverdruß?, ed. by
M.Schmitz, A.Trägler, Regensburg Mérleg Macht und Moral/Replik, in: Ethik und
Sozialwissenschaften Soll Entwicklung sein? Und wenn ja, welche Entwicklung?,
in: Entwicklung mit menschlichem Antlitz, ed. by K.Leisinger and V.Hösle,
München Desenvolvimento econômico ou humano?, ed. by Konrad- Adenauer-Stiftung,
Sankt Augustin Moralische Ziele und Mittel der Weltbevölkerungspolitik, in:
Dokumente. Tagungsberichte der Deutschen Welthungerhilfe e.V. Band 4:
Weltbevölkerung und Welternährung, Bonn epd- Entwicklungspolitik;
IBS-Materialien 37, Bielefeld Ontologie und Ethik in Hans Jonas, in: Im Dialog
mit der Zukunft, ed. by D.Böhler, München Graduate Faculty Philosophy Journal
Krizis individualnoj i kollektivnoj identic’nosti, in: Voprosy filosofii Individual
and collective identity crises, in: European philosophy of medicine and health
care CD-ROM as well as in: Diskurs und Leidenschaft. Festschrift für K.-O.Apel
zum 75. Geburtstag, R.Fornet-Betancourt, Aachen Individuelle und kollektive
Identitätskrisen, in: Studien in memoriam Wilhelm Schüle, ed. by D.Büchner und
dem Freiburger Institut für Paläowissenschaftliche Studien, Rahden Vico’s Age
of Heroes and the Age of Men in John Ford’s Film The Man Who Shot Liberty
Valance (together with Mark Roche), in: Clio Hollywood and American Historical
Film, ed. by J. Smyth, Basingstoke Zur Dialektik von strategischer und
kommunikativer Rationalität, in: Orientierung durch Ethik? Eine Zwischenbilanz,
ed. by J.-P. Wils, Paderborn Theoria Ethische Prinzipien der Friedenssicherung,
in: Rechtsphilosophische Hefte Hva er de sentrale forskjellene mellom den
antikke og den moderne filosofien?, in: Norsk Filosofisk Tidsskrift Die Idee
der Hochschule angesichts der Herausforderungen des 21.Jahrhunderts, in:
Hochschulen der Zukunft - Erneuert oder zweite Wahl. Jahresversammlung der Hochschulrektorenkonferenz
(=Dokumente zur Hochschulreform Bonn I første, andre og tredje person.
Festskrift til A.Øfsti, Trondheim DIE ZEIT Kan Abraham reddes? Og: Kan Søren
Kierkegaard reddes? Et hegelsk oppgjør med „Frygt og Bæven“, in: Norsk
Filosofisk Tidsskrift Belief and Metaphysics, ed. by. C. Cunningham and P.M.
Candler, 17-VH London The Third World as a Philosophical Problem, in:
Social Research Diskursethik oder Befreiungsethik?, ed. by R.Fornet-Betancourt,
Aachen Veritas Alibi Wirtschaftsethik?, ed. by J.-P-Wils, Tübingen Filosofía
para la convivencia, ed by R.Fornet-Betancourt and J.A.Senent, Sevilla Erasmus
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der „Grundlage des Naturrechts“ und ihre Stellung in der Rechtsphilosophie, ed.
by M.Kahlo, E.A.Wolff, R.Zaczyk, Frankfurt La verità come categoria
fondamentale della filosofia, in: Nuova Civiltà delle Macchine Versuch einer
ethischen Bewertung des Kapitalismus, in: Wirtschaftsethik, ed. by K.Giel und
R.Breuninger, Ulm Mérleg Heideggers Philosophie der Technik, in: Wiener
Jahrbuch für Philosophie Filosofija Martina Chajdeggera i sovremennost’, ed. by
N.V. Motrosilova u.a., Moskau Die Wiedervereinigung - Rückfall in die Politik
der Nationalstaaten oder ein Schritt zur Überwindung der Trennung Europas?, in:
Universalismus, Nationalismus und die neue Einheit der Deutschen, ed. by
P.Braitling und W.Reese- Schäfer, Frankfurt Sein und Subjektivität. Zur
Metaphysik der ökologischen Krise, in: Prima Philosophia Nature and Lifeworld,
ed. by C.Bengt- Pedersen and N.Thomassen, Odense Filosoficky Casopis 4Laval
théologique et philosophique Natur und Naturwissenschaft in Vicos neuer
Wissenschaft vom Geist, in: Die Trennung von Natur und Geist, ed. by R.Bubner,
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philosophischen Aspekten, ed. by K. Giel, R.Breuninger, Ulm Hegel-Yongu IL
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Society Was darf und was soll der Staat bestrafen? Überlegungen im Anschluß an
Fichtes und Hegels Straftheorien, in: Die Rechtsphilosophie des deutschen
Idealismus, ... ed. by V.Hösle, Hamburg Versuch einer Standort- und
Zielbestimmung für Aufgaben der geistig-politischen Führung, in: H.Bonus u.a.,
Herausforderungen für die Politik (=Perspektiven und Orientierungen.
Schriftenreihe des Bundeskanzleramtes, München Tragweite und Grenzen der
evolutionären Erkenntnistheorie, in: Zeitschrift für allgemeine
Wissenschaftstheorie Moralische Reflexion und Institutionenzerfall. Zur
Dialektik von Aufklärung und Gegenaufklärung, in: Hegel-Jahrbuch Etica -
Discurso - Conflictividad. Homenaje a Ricardo Maliandi, edited by D.J.
Michelini, J. San Martín, J.Wester, Río Cuarto Begründungsfragen des objektiven
Idealismus, in: Philosophie und Begründung, ed. by Forum für Philosophie Bad
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Studi Filosofici e la Scuola di Studi Superiori in Napoli, Numero speciale per
il decennale dell’Istituto, Schmitts Kritik an der Selbstaufhebung einer
wertneutralen Verfassung in „Legalität und Legitimität“, in: Deutsche
Vierteljahrsschrift Der Staat, in: Anspruch und Leistung von Hegels
Rechtsphilosophie, ed. by Ch.Jermann, Stuttgart-Bad Cannstatt LO STATO in
Hegel, Napoli Das abstrakte Recht Die Stellung von Hegels Philosophie des
objektiven Geistes in seinem System und ihre Aporie Raum, Zeit, Bewegung, in:
Hegel und die Naturwissenschaften, ed. by M.J.Petry, Stuttgart-Bad Cannstatt
Pflanze und Tier, Eine unsittliche Sittlichkeit. Hegels Kritik an der indischen
Kultur, in: Moralität und Sittlichkeit, ed. by W.Kuhlmann, Frankfurt Zur
Architektonik praktischer Vernunft – Hegel in Transformation, hg. von H. Rosa
19-VH und K. Vieweg, Berlin Die Transzendentalpragmatik als Fichteanismus
der Intersubjektivität, in: Zeitschrift für philosophische Forschung
Duchovnost’: tradicii i problemy, Ufa Fichte i konec XX veka, Ufa Filosofskaja
i sociologiceskaja mysl2 La antropología en Fichte, in: La evolución, el hombre
y el humano, ed. by R.Sevilla, Tübingen Philosophie der Subjektivität und das
Subjekt der Philosophie. Festschrift für K.Giel zum 70. Geburtstag, ed. by
R.Breuninger, Würzburg Hegels „Naturphilosophie“ und Platons „Timaios“ - ein
Strukturvergleich, in: Philosophia Naturalis Zu Platons Philosophie der Zahlen
und deren mathematischer und philosophischer Bedeutung, in: Theologie und
Philosophie Graduate Faculty Philosophy Journal Die Entäußerung der Idee zur
Natur und ihre zeitliche Entfaltung als Geist bei Hegel (together with
D.Wandschneider), in: Hegel-Studien Platons Grundlegung der Euklidizität der
Geometrie, in: Philologus The Other Plato, ed. by D. Nikulin, Albany Thies, Der
Sinn der Sinnfrage, Freiburg/München 2008, in: Wiener Jahrbuch für Philosophie
Krämer, Kritik der Hermeneutik, München 2009, in: Philosophische Rundschau
Krämer, Arete bei Platon und Aristoteles, Heidelberg Philosophische Rundschau
Searle, Mind, Oxford in: Deutsche
Zeitschrift für Philosophie Rinaldi, Teoria Etica, Trieste in: Humanitas Magazzino
di filosofia Illies, The Grounds of Ethical Judgment, Oxford Philosophisches
Jahrnuch Pinkard, Hegel. A Biography, Cambridge Internationales Jahrbuch zum deutschen
Idealismus Wetzel, Prinzip Subjektivitat. Allgemeine Theorie. Erster Halbband:
Ding und Person, Dingbezugnahme und Kommunikation, Dialektik, Wurzburg Wiener
Jahrbuch fur Philosophie Parmenide, Poema sulla natura, presentazione ... di
G.Reale, Saggio introduttivo e Commentario filosofico di L.Ruggiu, Milano 1992,
in: Wiener Jahrbuch für Philosophie Gnomon Kutschera, Vernunft und Glaube,
Berlin/New York 1990, in: Wiener Jahrbuch für Philosophie Kany, Mnemosyne als
Programm, Tübingen 1987, in: Comparatio Roche, Dynamic Stillness, Tübingen
1987, in: Germanistik Jaeschke, Die Religionsphilosophie Hegels, Darmstadt
1983, in: Hegel-Studien Böhler, Rekonstruktive Pragmatik, Frankfurt 1985, in:
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Lullus (Ramon Llull), in: Metzlers Lexikon der christlichen Denker, Stuttgart
Metzler Philosophen Lexikon, ed. by B.Lutz, Stuttgart/Weimar and in: Theologen,
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New Westminster Dictionary of Church History, Vol. I, ed. by R. Benedetto,
Louisville Apel, Transformation der Philosophie, Volpi, Dizionario delle opere
filosofiche, Milano Anonym, Peri hypsus, in: Lexikon der philosophischen Werke,
ed. by F.Volpi, 21-VH J.Nida-Rümelin, Stuttgart Articles for Newspapers
with Some Academic Content 1. Der
Champollion Platons. Zum Tode des Klassischen Philologen und Philosophen Hans
Joachim Krämer, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung Die Macht guter Verwaltung,
in: Süddeutsche Zeitung Der Witwer als Archivar, in: Süddeutsche Zeitung Kann
die von Iran angedrohte Existenzvernichtung Israels einen Präventivkrieg
rechtfertigen? Nein, in: Philosophie-Magazin Listen des Geistes. Zum 80.
Geburtstag des Philosophen Franz von Kutschera, in: Süddeutsche Zeitung Zeiten
des Übergangs. Die grüne Lehre: Die Politik muss soziale Gerechtigkeit der
Nachhaltigkeit unterordnen, in: Süddeutsche Zeitung Ethik des Rücktritts, in:
Rheinischer Merkur Brauchen wir Eliten?, in: UNOFOLIO (Süddeutsche Zeitung Mysterium
Mathematik. Polyglott: Zum Tode des Wissenschaftlers Imre Tóth, in: Frankfurter
Allgemeine Zeitung Rahmenbedingungen verändern Prioritäten. Ansichten eines Weltbürgers,
in: Das Parlament Was die koreanische Orthographiereform unserer voraushat, in:
Frankfurter Allgemeine Zeitung Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen.
Diesmal für: Silvio Berlusconi, blendend schön, in: DIE ZEIT Der Ethikrat.
Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Nackte Studenten, in: DIE ZEIT Der
Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Norbert Blüm, Rentner
und Philosoph, in: DIE ZEIT Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen.
Diesmal für: Paul Wolfowitz, plaudernder Stratege, in: DIE ZEIT Der Ethikrat.
Philosophische Hilfestellungen Wahlbetrugsuntersucher, in: DIE ZEIT Der
Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal für Ludwig Stiegler Deutsche
Sozialdemokraten, in: DIE ZEIT Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen
Diesmal für: UN-Delegierte, zwischen Austern und Austerität, in: DIE ZEIT Der
Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal für: Grüne Pazifisten,
Entscheidungsträger, in: DIE ZEIT oDer Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen
Diesmal fur: Rudolf Scharping und seine Kritiker, in: DIE ZEIT Die Irrtümer der
Denker, in: DER SPIEGEL Die Gegenwart der Vergangenheit, Heilung um jeden
Preis? Wer einem Kleinkind Grundrechte zuspricht, kann sie einem Embryo nicht
nehmen, in: DIE ZEIT reprinted in: ZEIT document Wenn Berlin Berlin bleibt,
muss Deutschland Deutschland bleiben. Eine philosophische Analyse des
Wahlspruchs der SPD, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung BS Das Prinzip der
Moral. Über die Zukunft der praktischen Philosophie, in: Basler Zeitung as well
as in: Frankfurter Rundschau Ist er nun zu Hause oder nicht? Die Moderne atmet
auf: Koreas Philosophen holen den Weltgeist an seinen Ursprung zurück, in:
Frankfurter Allgemeine Zeitung Zu Tode geheuchelt. Auf dem Weg zur Reue - Eine
Tagung fragt nach den sowjetischen Lektionen, in: Frankfurter Allgemeine
Zeitung Religion, State and Society Verzweifelte Suche nach Sinn. Einblicke in
die sowjetische Philosophie der Gegenwart, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung
Einstein filosofo, in: L’altra Campania Interviews and Contributions to
Discussions 1. Weil wir zur Wahrheit fähig sind. Ein Gespräch mit Ulf von
Rauchhaupt, in: Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung Metafisica, luogo delle
temporalità e in temporalità. Intervista
a Vittorio Hösle, in: Exagere Colloquio con G., in: L’Espresso Interview in
Chinese journal Legal and Political Philosophy Review L’etica ambientale e la
Laudato sì di papa Francesco.Intervista con Vittorio Hösle, in: Munera
Interview, in: Wenhui A propósito de „la moral de la política“, in: Postconvencionales:
Ética, Universidad, Democracia Die hohe Kunst des Verstehens. Interview, in: Die Furche
Interview, in: Cogito Ich freue mich über päpstliche Nähe (interview), in: Die
Tagespost Wenn die Moral Hobbes geht, in: The European Respecting Posterity,
in: Notre Dame Magazine Zur Lage der Philosophie, in: Zeitschrift für Ideengeschichte
Der Kapitalismus ist alternativlos (interview), in: The European Interview, in:
Shanghai review of Books Duli Yuedu Die ökologische Krise der Gegenwart und die
Philosophie, in: Denkanstöße. Dossier Interests, values, and recognition as
different dimensions in the efforts on nuclear disarmament and
non-proliferation, in: Nuclear Disarmament, Non-Proliferation, and Development,
Vatican with Discussion, Introducing G, in: Symposium. Canadian Journal of
Continental Philosophy Ein Gespräch mit Sven Drühl, in: Kunstforum Platon
heute, in: zur debatte The Idea of Justice and the Global Marshall Plan, in:
Towards a World in Balance, Hamburg Intervista a Vittorio Hösle, in: Phronesis
Wie klug sind die Grünen?, in: Grün. Lob und andere Wahrheiten, ed. by M.
Grammatikopoulos, R. Hoogvliet, Berlin 100 Et’udov o Kante, Istoriko-Filosofsky
Almanach Den objektiva moralen är förnuftig. Intervju in: Axess Was ist
Kultur?, in: think on. Das Magazin der ALTANA AG 1 think on. The Magazine of
ALTANA AG Zehn Thesen zur Universitätspolitik, in: Generationenvertrag in der
Wissensgesellschaft, ed. by O.Franz, Köln Größe nicht gleich Sicherheit, in:
FAZ Anima et corpo. Conversazione di Vittorio Hosle con Hans Jonas, in: Ragion
pratica Wider den Tod der Moral, in: Ethik-Letter LayReport 6/2 answer), in:
Quo vadis, Philosophie? Antworten der Philosophen. Dokumentation einer
Weltumfrage, ed. by R.Fornet-Betancourt, Aachen Zehn Thesen zum Sinn der
Arbeit, in: Vom Sinn der Arbeit, ed. by Franz, Köln Gesundheit und Krankheit:
Elementare Begriffe mit großen praktischen Konsequenzen - Ein Kommentar zu
Bernard Gert, in: Zukunftsentwürfe, ed. by J.Rüsen, H.Leitgeb, N.Jegelka,
Frankfurt Thesen zum neuen Grundsatzprogramm für BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, in:
Zur Politik zurück, ed. by BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, Berlin Versuch einer
politischen Ethik des 21. Jahrhunderts - Wem ist die Regierung verpflichtet?,
in: VISIONEN Einhundert persönliche Zukunftsentwürfe, ed. by
Brockhaus-Redaktion, Leipzig/Mannheim Keine Kriegserklärung, in: Was die
Republik bewegte, ed. by B.Hoffmeister/U.Naumann, Reinbek bei Hamburg
Mensenrechten: objectief idealisme. Interview met vooruitgangsdenker G., in:
Filosofie Magazine Optimist voor de tweeëntwintigste eeuw. Een interview met
Vittorio Hösle, in: Krisis Das Café der toten Philosophen“. Interview mit Nora
K. und Vittorio Hösle, in: Ethik et Unterricht Podiumsdiskussion „Kultureller
Wandel durch Wissen - Ethik und Werte“, in: Zukunft Deutschlands in der
Wissensgesellschaft, ed. by bmb+f, Bonn Podiumsdiskussion „Die Tatsache der
„Globalisierung“ und die Aufgabe Philosophie“ zwischen Apel, G., R.Simon-
Schaefer, in: K.- O.Apel/G. R.Simon-Schaefer, Globalisierung, Bamberg Interview
in: Munhak Sasang Norwegische Philosophie, in: Aletheia as well as in:
Information Philosophie SPIEGEL-Gespräch „Wir brauchen moralische Energie“, in:
DER SPIEGEL Podiumsdiskussion, in: Grenzen-los?, ed. by E.U. von Weizsäcker,
Berlin/Basel Letzte Gewißheit. Fundamentalismus in der Philosophie. Eine
Diskussion zwischen H.Brunkhorst, V.Hösle und Th.Kesselring, moderiert von
G.B.Achenbach, in: Philosophie heute, ed. vy Boehm, Frankfurt Interviews with
Paul K.Feyerabend (with Parascandolo), in: Telos Interview in: Science,
Philosophy and Culture Interview in: Munhak Sasang Podiumsdiskussion: Wieviel
Gentechnik, Tierexperimente, Umweltschutz brauchen wir?, in: Forschung in
Chemie, Biochemie und Molekularer Medizin - Zukunftschancen oder Verzicht, ed.
by Gesellschaft Deutscher Chemiker und Gesellschaft für Biologische Chemie,
Frankfurt Absoljutnyi racionalism i sovremennyi krizis, in: Voprosy filosofii E
giusta la ricerca sugli embrioni? Un’intervista
a G. in: Figli della scienza, a cura di V.Lanfranchi e S.Favi, introduzioni di
G.Berlinguer e L.Violante, Roma Prefaces to the Works of Other Persons 1.
Preface to: Maxim Kantor, Das neue Bestiarium/Le nouveau bestiaire, Köln
Postscript to: Ludwig Steinherr, Flüstergalerie, München Preface to: Ludwig
Steinherr, Das Mädchen Der Maler Ich, München 2012, 5-10 4. Preface to: Maxim
Kantor, Saint Petersburg Preface to: I.Tóth, Fragmente und Spuren
nichteuklidischer Geometrie bei 26-VH Aristoteles, Berlin Preface to: G.,
Al bivio.Gli anni milanesi, Milano 2009, 9-12 7. Preface to Wandschneider,
Naturphilosophie, Bamberg Überlegungen zur Reihe „Faszination Philosophie“, in Quine,
Philosophie der Logik, Bamberg Preface to: G.Scherer, Philosophische
Anthropologie, Bamberg Preface to: F.Suárez Müller, Skepsis und Geschichte. Das
Werk Michel Foucaults im Lichte des absoluten Idealismus, Würzburg Postscript
to: M.Kantor, New Empire, Bramsche Preface to: D.Wandschneider, Philosophie der
Technik, Bamberg Preface to: P.L.Oesterreich, Philosophie der Rhetorik, Bamberg
2003, 7-10 14. Preface to:
G.Münnix, Anderwelten, Weinheim Postscript to: M.Kantor. Ödland. Atlas,
Ostfildern-Ruit Kantor, Atlas, Ostfildern-Ruit Preface to: A.Weston, Einladung
zu ethischem Denken, Freiburg Preface to: D.Nikulin, Wissenschaft und Ethik,
München Preface to: G. Stelli, La ricerca del fondamento, Milano Dissertations,
books, and articles dealing with G.’s work (selection) Coser, Macht und Moral
im Ausgang von Vittorio Hösle, in: Disputatio philosophica. International
Journal on Philosophy and Religion Hackl, An den Grenzen von Hegels System. Die
ökologische Bedrohung im Anschluss an C. L. Michelet, K. Rosenkranz und Hösle,
in: Hegel-Jahrbuch Matijević, Hösleovo povećalo: Modeliranje ekološke
budućnosti ljudskoga društva, in: Društvena Istraživanja Mathias Schneider,
Vittorio Hösles Umweltphilosophie im Kontext der Nachhaltigkeitsidee, Berlin
Freiburg Luyckx, Crise cosmologique et crise des valeurs: la réponse höslienne
au double défi de la philosophie de l’écologie, in: Klesis – revue
philosophique Onnasch, G., in: De nieuwe Duitse filosofie, ed. by R. Celikates
et al., Amsterdam Engels,G. Einschätzung der VoreleatenalsVorlaufzum
klassischen Zyklus griechischer Philosophie. Überlegungen zu einer kritischen
Neubewertung, in: Revue de philosophie ancienne Wellistony C. Viana, Das
“Prinzip Verantwortung” vonJonas aus der Perspektive des objektiven Idealismus
der Intersubjektivität von Vittorio Hösle, Würzburg Munich Sousa, A metafísica
en quanto Teoria transcendentalabsoluta em Joseph Maréchal e Vittorio Hösle, in:
Síntese Oliveira, Filosofia política enquanto teoria normativo-material das
instituições em Hösle, in: Filosofia política contemporânea, ed, by M. A. De
Oliveira et al., Petrópolis Skjei, Kritikk av den sistebegrunnende fornuft: et
forsøk på å tolke og å vurdere Descartes’, Apels of Hösles gjendrivelser av
skeptisismen, dissertation Trondheim Goebel/Manfred Wetzel (Eds.), Eine
moralische Politik? G. Politische Ethik in der Diskussion, Würzburg Oliveira,
Ética intencionalista-teleológica em Vittorio Hösle, in: Correntes fundamentais
da ética contemporânea, ed. by M. A. De Oliveira, Rio de Janeiro Klier,
Umweltethik: wider die ökologische Krise. Ein kritischer Vergleich der
Positionen von Vittorio Hösle und Hans Jonas, Marburg Sikora,
Mit-Verantwortung: Hans Jonas, Vittorio Hösle und die Grundlagen normativer
Pädagogik, Eitorf Hadorn, Umwelt, Natur und Moral: eine Kritik an Hans Jonas,
Vittorio Hösle und Georg Picht, Freiburg/Munich KonstanzWerder, Philosophie und
Geschichte: das historische Selbstverständnis des objektiven Idealismus bei
Hegel und bei Hösle, dissertation Aachen Неллн B. Moтрoшилова, Bитторио Хёсле: наброски к философскому портрету, in: Bитторио Хёсле, Генин философии нового времени, Moskau Dellavalle, Soggetto morale o sostanza etica.
Riflessioni sui recenti contributi di
Vittorio Hösle alla fondazione di un’etica della società tecnologica e del
28-VH rischio ecologico, in: Teoria politica Documentary films about
myself 1. Hans Steinbichler, DerMoralist–G. entdeckt Amerika BR Boehm,
“Einganzgewöhnliches Genie.” Jung philosoph G. (WDR) Papers 1. “On the conection between
form and content in the philosophical dialogue” (at the 2. “On the Neoplatonic
Philosophy of Novum in Frascati The study of language as tool of the
reconstruction of values. Paul Thieme’s linguistic methododology and implicit
philosophy of language” (at the conference “ 4. “Principles of morals, natural
law, and politics in dealing with refugees” (at the conference “Solidarity in
global societies” in Munich in October 2016; repeated at the Plenary Session of
the Pontifical Academy of the Social Sciences How much is the interpreter of an
artwork bound by the author’s intentions?” (at the 20th International Congress
of Aesthetics in Seoul The Special
Nature of the Soviet Revolution: An Evaluation from the Point of View of the
Philosophy of History” (at the Max Planck Institute for Comparative Public Law
and International Law and at the University of Passau; repeated at the
University of Bamberg Objective idealism as an alternative to both naturalism
and constructivism” (at the University of Heidelberg Morals and Politics” (at
Fudan university in Shanghai in December 2014) 9. “Vocation between self-love
and demands regarding oneself” (at the Meckatzer Philosophy Award ceremony in
Bad Hindelang iWhat are and why does one study humanities?” (at the conference
“Humanities” in Vienna repeated at the Gadamer conference in Santiago de Chile
in April 2015, at the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in Naples (in
the following: IISFN) and at the Albertus Magnus Forum in Regensburg in February
Order and disorder in intercultural dialogue “ (at the conference “Order and
Disorder in the Age of Globalization(s)” in Johannesburg repeated at the Goethe
Institute Munich On the relation between Dante’s Commedia and Goethe’s Faust”
(at the conference “Philosophia transalpina” at the University of Munich
Academy Vivarium Novum in Frascati iMathematics” (at the Academy Vivarium
“Indology Nowadays: A Winter School on the Legacy of Paul Thieme”
at the university Tübingen What remains of Hegel’s theory of the social world?”
(at the University of Jena How did 20th century philosophy contribute to the
current crisis?” (at the conference “Volcano” at the University of Oxford How
did Western culture subdivide its various forms of knowledge? Historical reflections
on the metamorphoses of the tree of knowledge” (at the conference “Conceptions
of Truth and the Unity of Knowledge” at the University of Notre Dame
Reductionisms in hermeneutics” (at the workshop “Knowledge and Meaning in
Literature” at the University of Regensburg repeated at the University of
Vienna at Purdue University at Duke at the University of Nebraska in Omaha
Innovation and creative destruction” (at the Heidelberg conference “Genius and
Charisma” in Can a plausible story be told of the history of ethics? An
alternative to MacIntyre’s After Virtue“ (at the conference “Dimensions of
Goodness” at the University of Notre Dame Sociobiology” (at King’s University
College in London, Ontario Ethics and Economics, or How Much Egoism Does Modern
Capitalism Need? Machiavelli’s, Mandeville’s, and Malthus’s New Insight and Its
Challenge” (in the Plenary Session of the Pontifical Academy of Social Sciences
repeated at the University of Regensburg at the Lumen Christi Institute at the
University of Chicago at Michigan at the University of Munich iat Yale at Ulm
University in In which sense is the concept of spirit of German Idealism a
legitimate successor of the concept of pneuma of the New Testament?” (at the
Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in Interests, values, and
recognition as different dimensions in the efforts on nuclear disarmament and
non-proliferation” (at the conference “Nuclear disarmament, non- proliferation,
and development” in the Vatican in What are the main steps in the historical
evolution of aesthetic theories from ancient civilizations to the present and
the driving forces behind this evolution?” (at the conference “Beauty” at the
University of Notre Dame in January 2010) 24. “A metaphysical history of
atheism” (at the University Bamberg On the rank order of the three Greek
tragedians” (at the University of Jena repeated in Castelen near Basel Why
teleological principles are inevitable for reason” (at the Evolution Conference
of the Gregoriana in Rome in March 2009; repeated at the University of Vienna
at Duke University The USA and the European Union as two modern forms of
empire” (at the University of Bielefeld repeated at the University of Notre
Dame 30-VH and at the University of Uppsala in May 2009) 28. “Why does the
environmental problem challenge ethics and political philosophy?” (at the World
Conference for Philosophy in Seoul On the philosophy of history of the
philosophy of history” (at the conference “Pneumatologia politica” in Trento
Did Goethe influence Dickens?” (at Cambridge University Why do we laugh?” (at
the Casa Rosmini in Rovereto L’etica e il dialogo Urbino in Childhood and
philosophy” (at the Casa Rosmini in Rovereto in The Idea of a Rationalist
Philosophy of Religion” (at the Catholic Academy Berlin repeated at the
University of Trento in at the Antonianum in Rome in June 2008 and at the
Divinity School of Yale UExpectations and Grace. On Charles Dickens’ Great
Expectations” (at the Catholic Academy Berlin Gómez Dávila” (at the
Karl-Rahner-Akademie in Köln Plato today” (at the Catholic Academy in Munich in
Dickens as a critic of Goethe?” (at the University of Bamberg in Religion of
art, self-mythicization and the function of the church year in Goethe’s
Italienische Reise” (at the Theologische Fakultät Fulda Pre-established harmony
between parental and free choice of the partners. Masked encounters in Ludvig
Holberg’s Mascarade, Carlo Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s Leonce und
Lena” (at the Goldoni conference of Saint Mary’s College and the University of
Notre Dame iIL PLATONE DI CICERONE (at the Cicero conference of the University
of Notre Dame repeated at the MPSA in Chicago Politics of science and of
immigration in the USA” (at the DAI Heidelberg Space and Time of the
philosophical dialogue” (at the Theological Faculty Fulda in May 2005) 44. “On
the forms of the philosophical dialogue” (at the University of Bamberg repeated
at the University of Beijing inOn the history of the philosophical dialogue”
(at the University of Halle The role of the classics in education” (for the
500-year-anniversary of the Allbertus-Magnus-Gymnasiums in Regensburg
Schiller’s “The Conspiracy of Fiasco in Genua”” (at the University of Wisconsin
repeated at the University of Bielefeld What can one learn from Hegel’s objective-idealist
doctrine of the concept?” (at the University of Munich repeated at the
University Valencia What are philosophical dialogues, and why do people write
them?” (at the Institute for Advanced Study repeated at the University of Rome
A form of self-transcendence of philosophical dialogues in Cicero and Plato”
(at the New School University Intersubjectivity and subjectivity in Hegel” (at
the University of Venice “Interpreting
Plato” at the IISFN Plato’s Protrepticus” (at the Scuola di Heidelberg of the
IISFN The superiority of the American university system” (at the DAI Heidelberg
Philosophy and Its Literary Forms” (at the conference “Das Geistige und das
Sinnliche in der Kunst” in Aachen Philosophy and its Languages. A Philosopher’s
Reflections on the Rise of English as Universal Academic Language” at Circolo
Italo-Britannico in Venedig; repeated at Ehwa in Seoul Reasons, emotions and
God’s presence in AOSTA (si veda) “Cur deus homo”“ (at the University of Notre
Dame Jonas’ position in the history of German philosophy” (at the Northern
Institute of Technology in Hamburg repeated in Italian at the University of
Venice and in German at the Evangelische Akademie Tutzing What can we learn
from the interreligious dialogues of the Middle Ages and early Modernity?” (at
the conference “Paideia and Religion” in Boston in March 2003; repeated in
Italian at the IISFN The function of the classics in the process of education”
(at the University of Vienna Davidson, Gadamer and the necessity of an
objective-idealististic hermeneutics” (at the university of Vienna repeated at
the Scuola di Heidelberg of the IISFN and at the University of Notre Dame
Globalization and US-American hegemony” (at the DAI Heidelberg in repeated at
the IISFN at the University of Urbino and in Imperia Platonism and Its
Interpretations. The Three Paradigms and Their Place in the History of
Hermeneutics” (in German at the RWTH Aachen repeated at the University of
Heidelberg in January 2003 und in English at the conference “Eriugena, Berkeley
and the Idealist Tradition” in Dublin Philosophy and the Interpretation of the
Bible” (at Clemson University in South Carolina in February 2002; repeated at
Holy Cross College, Worcester and at the University of Trento Hegel’s and
Brandom’s inferentialism” (at the conference “Hegel contemporaneo” in Venice in
Platonism and Darwinism” (at the conference “The metaphysical implications of
Darwinism” in Notre Dame; repeated at the University of Vienna Is There
Progress in the History of Philosophy?" (at the conference on
"Hegel’s History of Philosophy" in New York Why Do We Laugh at and
with Allen?” (at New York repeated at Ohio University in Athens Interpreting
Philosophical Dialogues" (at the conference on Hermeneutics as Basic
Discipline" at Notre Dame; repeated at the New School for Social Research
On the relation between metaphysics of life and general metaphysics.
Reflections on Schopenhauer" (at the conference on metaphysics in
Hildesheim The environmental problem in the twenty-first century" (at the
lecture series "Gedanken zur Nachhaltigkeit" of the
Forschungsinstitut für Philosophie; repeated at the Casa Rosmini in Rovereto
and at the university of Louvaine Llull’a Desconhort”" (at the University
of Regensburgrepeated at the Medieval Conference in Kalamazoo On the philosophy
of history of the social sciences" (at the University of Essen repeated at
the University of Regensburg What constitutes the extraordinary value of the
Russian literature of the 19th century?" (at the Freie Akademie der Künste
in Hamburg Hegel’s Esthetics" (at National Seoul University Darwinism as
Metaphysics" (at Sogang University in Seoul repeated in English at the
University of Stanford Religion, Theology, Philosophy" (at the University
of Hannover Present and future tasks of a moral economy" (at the
University of Hannover in Chances and dangers of talent" (at the
celebration of the Evangelische Studienwerk Villigst in Villigst Theodicy
strategies in Leibniz, Hegel, Jonas" (in Italian at the conference on
monotheism in Jerusalem; repeated in Hannover Rationalism, determinism and
freedom" (at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover repeated at
the University of Mainz in English at the University of Notre Dame Universal
ethics and natural law" (at the second conference of the Universal Ethics
Project of the UNESCO in Naples; repeated at the Bucerius Law School in Hamburg
iThe state and its history" [at the IISFN in Italian Conditions of
multicultural societies and states" (at the University of Bielefeld
repeated at the Königsteiner Forum Philosophical foundations of a future
humanism" (in Basel; repeated in English at the University of Notre Dame
and at the University of Oslo at the Tübinger Stift iat the University of
Erfurt and at the University of Essen) Politics and morality facing global
challenges" (at the Hochschule für Philosophie in München; Moral und
Politik in the European Parliament in Brussels; repeated at the University of
Essen, at the Musikhochschule Hannover at the Korean Hegel Society in Seoul, at
the University of Greifswald as well as, in English, at the American
Philosophical Association in Boston at the University of Urbino at the
University of Bamberg Who has right?" (at the Hochschule für Wirtschaft
und Politik in Hamburg Just wars" (at the University of Hamburg; repeated
in English at Loyola University in Chicago Ethics and history" (at the
University of Nijmegen Hegel and Spinoza" (at the University of Tübingen
Biological presuppositions of moral behavior of humans" (at the
Forschungsinstitut für Philosophie Hannover On the concept of cratology"
(at the Kulturwissenschaftliche Institut Essen Rationalism, intersubjectivity
and loneliness: Heraclitus, Lullus, and Nietzsche" (at the Ohio State
University in Philosophy in an age of overinformation" (at the Philosophy
conference of the UNESCO in March 1995 in Paris, repeated at the Ohio State
University at the Goethe Institute Ankara at the University of Leipzig What are
presuppositions of a rational ethics?" (at the University of Essen in
November 1994) 96. "Vico’s sources" (at the Naples conference in
Bielefeld) Morality and politics" (at the IISFN in Italian Llull’s
rationalism" (in Spanish at the Lull conference in Trujillo; repeated at
the University of São Paulo On the indispensability of republican virtues"
(at the European Colloquium in Regensburg "Ought developing countries to
develop? And if yes, how?" (at the University of Marburg and the
University of Jena) The intellectual background of Reiner Schürmann's Heidegger
interpretation" (at the Reiner Schürmann Memorial Symposium in New York Moral
ends and means of global demographic policy" (at the symposium
"Weltbevölkerung und Welternährung" of the Deutsche Welthungerhilfe
in Bonn; repeated in English at the World Conference for Sociology in Bielefeld
and at the University of Münster Sociobiology and ethics" (at the
University of Essen; repeated at the University of Mainz at the University of
Witten- Herdecke at the ETH Zürich and at the University of Innsbruck at the
University of Ulm, in the Forschungszentrum Jülich, Ohio Oslo Jacksonville
Trento How much genetic engineering, protection of animals and of the
environment do we need?" (discussion at the Tagung der Gesellschaft
Deutscher Chemiker in Bonn Philosophy and its media" (in English at the
World Congress of Philosophy in Moscow; repeated at the Tübinger Symposium
"Platonisches Philosophieren" in Hannover and in English at the
University of Sankt Gallen Power and morality" (at the University of
Zürich; repeated in English at the University of Oslo and at the University of
Bergen; at the University of Hamburg at the University of Ulm Ethics and
ontology in Hans Jonas" (at the University of Konstanz repeated at the
Hofgeismarer conference on onas, in Italian at the Lateran in Roma, before the
Wissenschaftlicher Verein Mönchengladbach Ethics and system theory"
(discussion with Niklas Luhmann at the ETH Zürich Socrates, Plato and "The
essential differences between ancient and modern philosophy" (in English
and Norwegian at the University of Oslo; the last lecture was repeated at the
University of München, one of the lectures on Plato in French at the University
of Tours) Ethical principles of peace politics lecture during the award of the
price The Glass of Reason toWeizsäcker in Kassel repeated at the Salzburger
Humanismusgespräche at the University Witten-Herdecke in June 1993, in English
at the University of Trondheim Individual and collective identity crises"
(at the conference "Trauma and Tragedy" in Amsterdam; repeated at the
Philosophisch-Theologische Hochschule Walberberg, at Carleton and at the Ohio,
at the World Conference "Medicine and Philosophy" in Paris at the
University of Ulm, at the University of Notre Dame in French at the Ecole
Normale in Paris, Ultimate foundation and categories" (at the conference
"Letztbegründung als System?" in Prague, The idea of the university
in face of the challenges of the 21st century" (lecture at the conference
of the presidents of German universities in Rostock; repeated at Kiel at
Kaiserslautern, at Nimwegen, at Trondheim) Can Abraham be saved? And: Can Søren
Kierkegaard be saved?" (in Norwegian at the University Oslo; repeated in
German before the Leibniz-Society in Hannover at the University of Köln in
English at Notre Dame, Descartes and Spinoza" (in English and Norwegian at
Trondheim Being and subjectivity. On the metaphysics of the ecological
crisis" (at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen; repeated at the
University of Vienna, at the ETH Zürich in English at the Internordic
Conference in Odense in French at Laval in Québec, On the dialectic of
strategical and communicative rationality" (at the Dubrovnik Workshop
"Diskurs und Rationalität" The Third World as a philosophical
problem" (at the Ohio; repeated at the conference Transcendental
Pragmatics and North-South Ethical Problems in Mexico at Tromsrin and in
Spanish at the Javeriana in Bogotá and at the University of Fortaleza in April
Ethical aspects of capitalism” (at the conference "Wirtschaftsethik"
in Ulm; repeated at the Technische Hochschule Aachen, at the Technische Hogeschool
Twente in Enschede in June 1992 and in Spanish at the Javeriana in Bogotá and
at the University of Fortaleza lectures on "Vico’s philosophy of
culture" (at the Moscow State University MGU Five lectures on "The
philosophy of the ecological crisis" as well as five lectures on "The
Essence of Modern Metaphysics (Descartes, Spinoza, Kant, Fichte, Hegel)"
(at the Institute of Philosophy of the Academy of Sciences in Moscow during a
visiting professorship from April till June 1990; two lectures each were
repeated at the University of Rostov at Don as well as at the University of
Minsk and at the University of Novosibirsk in June 1990; one of the ecological
lectures was repeated at the New School for Social Research in New York at the
IISFN at Tromsö and Trondheim at the Center for the Study of Developing
Societies in Delhi at the Technische Hogeschool Twente in Enschede at the
Wuppertalinstitut at the National Seoul University, the Yonsei and the Myongji
Universität in Seoul, the Hannam University in Taejong and the Keimyung
University in Taegu at Essen; the lecture on Descartes was repeated at the
University Essen, the lecture on Spinoza at the Technische Hochschule Aachen;
Intersubjectivity and freedom of the will in Fichte’s System of Ethics""
(at the conference "Fichtes Rechtsphilosophie: Die ersten drei Lehrsätze
der Grundlage des Naturrechts in Frankfurt Heidegger’s philosophy of technology
at the conference on Heidegger in Moscow Why has technology become a
philosophical problem?" (at the University of Ulm; repeated at the
Technische Hochschule Aachen and at the ETH Zürich Three lectures "Hegel’s
System", "Morality and politics: Machiavelli’s problem",
"Transcendental pragmatics" at the Goethe Institute in Porto Alegre (in
Spanish; the first lecture was repeated at the University of Campinas, the
third at the Goethe Institute in Sâo Paulo) From Kant to Hegel" as well as
a three week seminar (4 hours a week) "Antinomies and dialectic"
(together with Cirne-Lima and Kesselring) (at the Universidade Federal de Rio
Grande do Sul in Porto Alegre/Brasilien during a visiting professorship in
Italian) "Vico’s idea of the
science of culture" (at the University of Vienna; repeated in Italian at
the IISFN and in French at the University of Tours; at the presentation of the
German and Spanish translations of Vicos "Scienza nuova" in the
European Parliament in Strasbourg Nature and natural sciences in Vico’s new
science of the spirit" (at the II. Colloquium "Natur in den
Geisteswissenschaften in Blaubeuren) The greatness and limits of Kant's
practical philosophy" (at the conference on "The Critique of
Practical Reason" at the New School for Social Research in New York;
repeated in German at the Technische Hochschule Aachen and at the Universität
Ulm, in English at the School of Architecture in London at the University of
Louisville and at Tromsö as well as before the Hegel Society of Korea in Seoul,
in Spanish at the Javeriana in Bogotá, the Centro de Extensno Universitaria in
São Paulo and the University Fortaleza; The philosophy of mathematics of
Nicolaus Cusanus" (at the conference of the American Cusanus Society in
Gettysburg) On the impossibility of a naturalistic foundation of ethics:
Idealism and Materialism" (at the conference "Die ethische und politische
Verantwortung des Wissenschaftlers" in Köln Morality and politics:
Machiavelli’s problem" (at the University of Saarbrücken; repeated in
English at the New School for Social Research, at Pennsylvania State
University, at the New York State University in Purchase in November 1988; in
Italian at the IISFN; in German at the University of Regensburg; in English at
Trondheim lectures on "La logica di Hegel" (at the IISFN Law and
history in G.Vico" (at Mannheim The figurative arts in the esthetics of
German idealism" (at the Hochschule für bildende Künste in Braunschweig, Hegel's
idea of right" (at the New School for Social Research; On the dialectic of
enlightenment in Vico’s philosophy of history" (at the University of
Frankfurt; CircoloSadoul in Ischia; An attempt to locate the historical
Socrates" (at Williams College, lectures on "The development of
German idealism" (at the IISFN in Italian, Foundational questions of
objective idealism" (at the conference "Philosophie und
Begründung" in Bad Homburg, Bergen; Moral reflection and decay of
institutions. On the dialectic of enlightenment and counter enlightenment"
(at the conference of the International Hegel-Gesellschaftm in Zürich; repeated
at Princeton; What may and what must the state punish? Reflections based on
Fichte’s and Hegel’s theories of punishment" (at the conference
"Moralität und Sittlichkeit in Hamburg) lectures on "Hegel’s lectures
on the philosophy of religion" (at the IISFN in Italian); Schmitts criticism
of the self-cancelation of a valuefree constitution in "Legalität und
Legitimität"" (at the conference "Il pensiero politico di
Schmitt" in Naples in Italian) Tasks of philosophy between relativism and
dogmatism" (at the conference "Per un pluralismo non relativistico in
filosofia" in in NAPOLI) An immoral ethical life. Hegel’s interpretation
of Indian culture" (at the conference "Moralität und
Sittlichkeit" in Frankfurt) lectures on "The development of Greek
philosophy from Parmenides till Platon", two lectures on "Principle
of contradiction and dialectic" and one lecture on "The so-called
Münchhausentrilemma" (at the Technische Hogeschool Twente in Enschede/ Netherlands
Anthropology in Fichte" (at the II European-Latin American symposium for
philosophical anthropology in Tübingen); The position of Hegel’s philosophy of
objective spirit in the system and its aporia"; "Abstract
Right"; "The State" (at the conference "Anspruch und
Leistung von Hegels "Rechtsphilosophie" in Naples Space, time,
movement"; "Plant and animal" (at the conference "Hegel und
die Naturwissenschaften" in October 1983 in Tübingen) L’estetica della
tragedia greca, IISFN; Theories of the history of philosophy" (at the
IISFN in Italian) At the University of Notre Dame: Nietzsche Political and
Constitutional Theory: Ancient and Modern (Aristotle, Locke, The Federalist
Papers) Schopenhauer, The World as Will and Representation The Philosophical
Importance of Darwin Mann Philosophical Dialogues (Plato, Abelard, Ficino,
Hume, Fichte, Kierkegaard, Feyerabend Theory of Comedy Philosophy of Power
Kant’s Political Philosophy; Core Course on Ecology and Ethics Heidegger,
Jonas, Ibsen, Callenbach) (Brown, Malthus, Bacon, Descartes, Philosophical
Dialogues (Plato, Cicero, Anselm of Canterbury, Bodin, Diderot, Schelling,
Murdoch) Hume’s Practical Philosophy Dramas on Political Conflicts (Aeschylus,
Sophocles, Euripides, Goethe, Schiller, Büchner, Grillparzer, Hebbel,
Dürrenmatt) Plato before the “Republic” Goethe’s Lives Aristotle’s “Nicomachean
Ethics”, “Politics”, “Rhetorics; Philosophy of mind in the twentieth century
(James, Freud, Husserl, Ryle, McGinn, Kim, Chalmers, Searle, Dennett) Ethics
and Politics in Italian Renaissance The German Quest for God from Goethe to
Nietzsche and Kafka Philosophical Autobiographies (Plato, Isocrates, Augustine,
Abelard, Petrarca, Vico, Rousseau, Hume, Mill, Newman, Nietzsche, Feyerabend)
Faust (Marlowe, Goethe, Grabbe, Mann) Hegel’s Political Philosophy. The Birth
of the Humanities from the Spirit of German Idealism (Schlegel, August Wilhelm
Schlegel, Schleiermacher, Schelling, Hegel) Vico (Autobiography, On the Method
of Studies of Our Time, New Science); Literary Criticism from Aristotle to
Jakobson (Aristotle, Horace, Longinus, Dante, Boileau, Pope, Schiller, Hegel,
Nietzsche, Adorno, Jakobson) Kant’s Three Critiques Faith, Hope, and Love:
Thomas Aquinas and Kierkegaard on Christian Ethics Plato, Republic and
Statesman German Philosophy in the 20th century (Husserl, Reichenbach, Gehlen,
Habermas) Aquinas on the Cardinal Virtues Humanities in the 20th century
(Dilthey, Freud, Ingarden, Panofsky, Strauss, von Wright, Foucault, Dworkin,
Sontag); The late Plato (“Cratylus,” Theaetetus, Sophist, Philebus) The essay
(Montaigne, Bacon, Hume, Kant, Schiller, Nietzsche, Eliot, Hans Jonas) The
German Quest for God (Hartmann von Aue, Meister Eckhart, Luther,
Grimmelshausen, Lessing, Hegel, Mann, Steinherr), STORIA DELL’ERMENEUTICA
(Philo of Alexandria, Origen, Augustine, Maimonides, Spinoza, Schleiermacher,
Droysen, Ricœur, H. P. GRICE, Auerbach); Neo-Platonism: Plotinus and Proclus;
Plato, Laws 38. Making Sense of a Life: Biography and Autobiography (Plutarch,
Tacitus, Hildegard of Bingen, Vasari, Boswell, Rousseau, Bismarck, Tolstoy,
Henry Adams) The late Husserl; Greek Drama (Aeschylus, Sophocles, Euripides,
Aristophanes); Ancient Drama (Aeschylus, Sophocles, Euripides, Aristophanes,
Menander, Plautus, Terence, Seneca) At Heidelberg; Hermeneutics Hegel,
Phenomenology of Spirit Plato, Parmenides (together with Jens Halfwassen) At
the University of Trento in Morals and Politics At the Northern Institute of
Technology in Hamburg Business Ethics in
a Globalized World At the Hamburg School of Logistics, Ethics of Power At
Kampala International University: 1. Ethics of Development At the Research
Institute for Philosophy in Hannover: 1Classics of the philosophy of biology
(Aristotle, Leibniz, Kant, Darwin, Bergson, Portmann, Mayr) Driesch, At Ohio:
Hegel's Philosophyof Right At the Universität Essen; Morals and Politics
Descartes, Meditations Jonas' philosophy of life and ethics; Aristotle, Physics
Rawls, A theory of justice; Hermeneutics Plato, Apologyof Socrates
Wittgenstein, Philosophical Investigations; Kierkegaard, Either – Or 10.
Ancient Philosophy; The fragments of Parmenides; Augustine, The City of God;
Plato, The Republic Sextus Empiricus 15. Epistemology; Locke, An essay
concerning human understanding; Leibniz, Discourse on Metaphysics Rationalism
and negative anthropology: Descartes's Les passions de l'âme, Pascal's Pensées,
La Rochefoucauld's "Maximes" (together with Galle) Gadamer, Truth and
Method Montesquieu, The Spirit of the Laws Concept and function of the
beautiful in Schiller (together with Galle) Hegel, Philosophy of Right .
Philosophy of history; Burckhardt, Considerations on World History; Heidegger, Being
and Time Early modern utopias, e Münch. Morals and Politics New texts on
determinism (Austin, Chisholm, van Inwagen, Planck, Strawson) Evolution, Knowledge, Ethics (together with
Wuketits and Klauer) Popper/Eccles, The Self and its Brain Interreligious
Dialogues in the Middle Ages (Abelard, Llull) Philosophy of Religion of the
Renaissance At the ETH Zürich: Ethics and Politics facing the ecological crisis
University Ulm, Transcendental Pragmatics and contemporary philosophy 2.
Aristotle, Nicomachean Ethics Philosophy of Technology: Heidegger, Gehlen,
Habermas, Jonas At the New School for Social Research: Plato's Unwritten
Doctrine; From Kant to Hegel; VICO, New Science Moral Philosophy since Kant 5.
Machiavelli, Discourses; Prince; Nicolaus Cusanus. Honors and Grants As Tutor:
Horkheimer Adorno, Dialectics of Enlightenment Plato, Late dialogues Theories
of the history of philosophy; Hegel, Encyclopedia of the philosophical
sciences; Hegel, Encyclopedia of philosophical sciences; Fichte, Foundations of
natural law; Schelling, Philosophy of art 8. Structural problems of objective
idealism After Accreditation as University Lecturer: Schopenhauer’s work on
freedom as an introduction to the debate on determinism VICO, On the method of
studies of our time Transcendental Pragmatics LUCREZIO, On the nature of things
Aristotle,Politics 6. Spinoza,Ethics; Hobbes, Leviathan; Scheler, Essence and
forms of SIMPATIA; Locke, TwoTreatisesof Government; Leibniz, Theodicy;
Tocqueville, On the democracy in America !Member of “Ethics in Action,”
founded, among others, by the Pontifical Academies of Sciences and of Social
Sciences as well as by the UN Sustainable Development Solutions Network Kant's
Moral Thought Professorship at Heidelberg, Meckatzer Philosophy Award Appointed
by Pope Francis as Ordinary Academician to the Pontifical Academy of Social
Sciences Taught Master Course at the University of Munich and Research Workshop
at the University Duisburg-Essen, Acquired together with Associate Director Don
Stelluto Templeton Foundation for fellowships at the Notre Dame Institute for
Advanced Study Offer to become Director of the Centro di Scienze Religiose of
the Bruno Kessler Foundation in Trent/Italy Offer to become member of the
Strategic Committee of the Wissenschaftsrat for the second part of the German
“Exzellenzinitiative”, (declined) !Best Teacher Award of the Northern Institute
of Technology, Research Achievement Award of
from the University of Notre Dame, Rosmini SERBATTI Chair at the
University of Trent/Italy Taught Master Course at the Forschungsinstitut für
Philosophie Hannover, Member at the Historical School of the Institute for
Advanced Study, Princeton, Key Professor at the Northern Institute of
Technology in Hamburg, Fellowship at the Erasmus Institute of the University of
Notre Dame, Offer of a chair position in Political Science from the University
of Regensburg, Offer of a Fellowship at the Kultur Wissenschaftliches Institut
Essen, Max Kade Distinguished Visiting Professor, Department of Philosophy
aService !Humboldt Professor at the University of Ulm, Visiting Professor at
South Korean universities, financed by DAAD !Fellow at the
Kulturwissenschaftliches Institut Essen, Fritz Winter Award for outstanding
academic achievements Visiting Professor at the Department of Ecology,
Eidgenössische Technische Hochschule Zürich, Affiliation with the Sociology
Department of the University of Delhi, Affiliation with the Philosophy
Department of the University of Trondheim, Affiliation with the German
Department of Ohio State University Visiting Professor at the Academy of
Sciences and at the Lomonossov University in Moscow (financed by DAAD)
!Visiting Professor in Ulm, Visiting Professor at the University of Porto
Alegre, Brazil (financed by DAAD)
!Heisenberg Fellowship, Fellow at the ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI
FILOSOFICI Visiting Lecturer at the Technische Hogeschool Twente in Enschede,
Research fellowship of the Deutsche Forschung Gemeinschaft, Fellowship of the
Studienstiftung des deutschen Volks, Fellowship of the Bavarian
Begabtenförderung, Member of the Commissione giudicatrice della valutazione
comparativa of the University Trento Director of the new Notre Dame Institute
for Advanced Study Member of the two Strategic Academic Planning Committees of
the University of Notre Dame Member of the UNESCO/COMEST group on the
precautionary Department of German, Ohio State University Member of the
Norwegian commission to promote candidates for full professorship in
philosophy Organized with Christian
Illies a conference on “The Metaphysical implications of Darwinism” at the
University of Notre Dame Editor of the series “Faszination Philosophie” with
the publisher C.C. Buchner Organized a conference on hermeneutics at the
University of Notre Dame Organizsd lecture series on sustainability in Hannover
in connection with EXPO Organized conference on metaphysics in Hildesheim
Member of the Board of Trustees of the European College of Liberal Arts in
Berlin Service in many committees at the University of Notre Dame (both departmental,
college and university level, among which in the Strategic Academic Planning
Committee) Organized lecture series on Leibniz in Hannover Member of the
Kuratorium of the Jakob-Kaiser-Stiftung
Responsible Director of the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover
Member of the Kuratorium of the Stiftung fur die Rechte zukünftiger
Generationen Member of the Stiftungsrat of the Petra Kelly-Stiftung Member of
the group “Coherence” of the Common Conference Church and Development Member of
the Kuratorium of the Akademie Gesellschaft und Wissenschaft Member of the
group “Economy and Ecology” of the state minister of ecology of
Baden-Württemberg Member of the Fachbereichsrat and the Konvent at the
University of Essen; Chair of the Magisterprüfungsasschuss des Fachbereichs
Member of the Wissenschaftlicher Beirat and corresponding member of the
Humboldt-Studienzentrum of the University of Ulm Editor of the monograph series
“Ethik im technischen Zeitalter” with C.H. Beck publishing house, Munich
Advisor for several dissertations and master’s theses at the New School for
Social Research, the University of Tübingen, the University of Essen Member of
the DAAD-Kommission for Southern Europe Languages Employment History Member of
the Commission on the Ethical Evaluation of the abortion pill (RU 486), Hoechst
Offered seminars on the Ethics of Business to Top Executives and Managers of
Beiersdorff, Hoechst, Bosch and other larger German firms Elaborated the
general plan for the Multimedia Encyclopedia of Philosophy for the Italian
State Television (RAI); directed interviews with leading philosophers such as
Apel, Feyerabend, Føllesdal, Rorty, Thieme, Goodman, Hintikka, Jonas, gave
interviews on the history of philosophy and on systematic issues Participation
in the administrative work of the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
including the review of manuscripts and the planning of conferences Wrote four
papers for the Office of the Chancellor, Federal Republic of Germany Organized
a Kant conference at the New School for Social Research Active knowledge of
German, Italian, English, Spanish, Russian, Norwegian, and French; passive
knowledge of Latin, Greek, Sanskrit, Pali, Avestan, Portuguese, Catalan, Modern
Greek, Swedish, and Danish Director of the Notre Dame Institute for Advanced
Study Paul Kimball Professor of Arts and Letters at the University of Notre
Dame (in the Departments of German, Philosophy, and Political Science); Fellow
of the Nanovic Institute for European Studies and of the Kroc Institute for
International Peace Studies Director of the Research Institute of Philosophy in
Hannover Professor, University of Essen Heisenberg Fellow, Deutsche
Forschungsgemeinschaft Visiting Professor, University of Ulm Associate
Professor with tenure, New School for Social Research Visiting Assistant
Professor, New School for Social Research. Vittorio Gronda-Hösle. Gronda-Hösle. Keywords:
“L’inter-soggetivo di Vico” “filosofia prima” “filosofia seconda”. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gronda-Hösle: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Gruppi:
la ragione conversazionale e la via italiana al socialismo – filosofia
piemontese – filosofia torinese – la scuola di Torino -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel gruppo di gioco di Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Torino). Abstract. Italians use ‘lingua’, tongue – but
‘linguaggio’ turns on the abusive. Grice at Oxford would NOT use ‘tongue’!
Gruppi explores what he calls the ‘egemonia della filosofia del linguaggio
ordinario.’ What he means of course is ‘lingua ordinaria’ – ordinary language,
as Grice calls it. Ordinary language has bcome a keyword, not to say a cliche.
Not so much because, as Grice wished, Austin’s influence, but RYLE’s promotion
of it to attract anglo-phone students to Oxford. It was also very relaxing to tutors,
since they did not have to READ – just venture on the incorrigibility with
which their native intuitions endowed him. Keywords; La via italiana al socialismo, egemonia
della filosofia della lingua ordinaria. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice:
“Gruppi is an Italian philosopher; at Oxford, someone who writes only on
politics is not considered usually one!” -- Il concetto di egemonia in Gramsci,
Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha
maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo
particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto
di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare
essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci
con Lenin. Citazioni La scienza si ha
quando si supera il dato immediato, l'apparenza; si ha con un salto dialettico.
In tutte le analisi che Gramsci conduce, io trovo la presenza di un filo rosso
che le guida, presente in tutti i Quaderni. G. Il concetto di egemonia in
Gramsci, Riuniti, Roma. Gramsci è senza dubbio quello che allaccia, se
così si può dire, congiunge il movimento operaio italiano agli insegnamenti di
Lenin, è giustamente il primo bolscevico italiano, come disse Togliatti, il
primo leniniano del nostro paese. Attraverso un processo che fu complicato e
che parte dalla sua comprensione non completa, ma sostanzialmente giusta del
valore della rivoluzione d'Ottobre, arriva ad affermare che la rivoluzione
d'Ottobre è una rivoluzione contro Il capitale di Marx, cioè contro
un'interpretazione meccanica, schematica del Capitale, secondo cui bisognava
aspettare lo sviluppo delle forze produttive del capitalismo, ecc. ecc. Già
coglie l'importanza dell'elemento soggettivo, della funzione del partito come
guida dei processi rivoluzionari. Gramsci sempre più si avvicina ad una
comprensione del pensiero di Lenin con un processo che anche nei Quaderni del
carcere è un approfondimento del pensiero di Lenin. Gramsci si aggancia
direttamente al concetto di dittatura del proletariato come si trova in Lenin,
individuando nella dittatura del proletariato, non solo un profondo mutamento
della struttura economica e politica del paese, ma una profonda rivoluzione
culturale, una profonda trasformazione del modo di pensare degli uomini non
solo in Russia, ma in tutto il mondo. Il pensiero degli uomini non può più essere
la stessa cosa dopo l'instaurazione della dittatura del proletariato in
Russia. La dittatura non è soltanto un fatto politico, ma di cultura e di
pensiero, secondo quello stretto nesso che Gramsci stabilisce tra politica e
filosofia affermando che la filosofia vera di ciascuno sta nel suo modo di
agire, sta nella sua politica più che nelle dichiarazioni teoriche. Da questo
egli ricava che il principio teorico-pratico dell' egemonia (e qui egemonia
significa dittatura del proletariato) ha anch'esso una portata gnoseologica,
cioè di conoscenza, e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico
massimo di Lenin alla filosofia della prassi, cioè al marxismo. Lenin
avrebbe fatto progredire la filosofia come filosofia in quanto fece progredire
la dottrina e la pratica politica. C'è stretto nesso, quindi, tra i due
elementi. In un altro punto dei Quaderni dice: «Tutto è politico, anche
la filosofia o le filosofie. La sola filosofia è la storia in atto, cioè è la
vita stessa. In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato
tedesco erede della filosofia classica tedesca, come aveva detto Engels, e si
può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da
Lenin, è stato anche un grande avvenimento metafisico, cioè nel senso di
pensiero generale, non nel senso negativo di filosofia astratta. Il
processo attraverso cui Gramsci nei Quaderni arriva a queste conclusioni è
complesso. Gramsci al tempo dell'Ordine nuovo parte da una riflessione sullo
Stato che non è una riflessione sullo Stato in generale, ma sullo STATO
BORGHESE ITALIANO, una individuazione della sua specificità. In un
articolo dell'Ordine nuovo scrive, Lo Stato italiano che - secondo un
parlamentare - starebbe alla repubblica dei Soviet come la città all'orda
barbarica, non ha mai neppure tentato di mascherare la natura spietata della
classe proprietaria. Si può dire che lo statuto albertino sia servito ad
un solo fine preciso: a legare fortemente le sorti della corona alle sorti
della proprietà privata. I soli freni che funzionano nella macchina statale per
limitare gli arbitri del governo dei ministri del re sono quelli che
interessano la proprietà privata del capitale. Soltanto qui si pongono limiti
all'esercizio del potere per garantire la proprietà, la libera
iniziativa. Lo statuto albertino non ha creato nessun istituto che
presidi almeno formalmente le grandi libertà dei cittadini: la libertà
individuale, la libertà di parola e di stampa, la libertà di associazione e di
riunione, mentre negli altri Stati democratico-borghesi almeno una garanzia,
almeno formale, esiste, in Italia non c'è neanche la garanzia
formale. Negli Stati capitalistici che si chiamano liberal-democratici
l'istituto massimo di presidio delle libertà popolari è il potere giudiziario.
Nello STATO ITALIANO la giustizia non è un potere, è uno strumento del potere
esecutivo, è uno strumento della corona e della classe proprietaria, cioè è
agli ordini del ministro della giustizia. Si pensi che ancor oggi la nomina del
pubblico ministero avviene ad opera del ministro della giustizia. La direzione
generale delle carceri, le direzioni particolari, gli agenti della pubblica
sicurezza, tutto l'apparato repressivo dello Stato dipendono dal ministero
degli Interni, si capisce perché in Italia il presidente del consiglio si
riservi sempre il ministero degl’interni, come era tipico nello Stato
prefascista, in modo che tutto l'apparato di forza armata del paese sia
completamente nelle sue mani. Il presidente del consiglio è l'uomo di
fiducia della classe proprietaria - alla sua scelta collaborano le grandi
banche, i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri e lo Stato
maggiore. Egli si prepara a conquistare la maggioranza parlamentare con la
frode e con la corruzione; il suo potere è illimitato non solo di fatto - come
è indubbiamente in tutti i paesi capitalistici - ma anche di diritto, il
presidente del consiglio è l'unico potere dello STATO ITALIANO. La classe
dominante italiana non ha avuto neppure l'ipocrisia di mascherare la sua
dittatura, il popolo lavoratore è stato da essa considerato un popolo di razza
inferiore che si può governare senza complimenti, come una colonia africana. Il
Paese è sottoposto ad un permanente regime di stato d'assedio: in ogni ora del
giorno e della notte un ordine del ministro dell'interno ai prefetti può fare
entrare in movimento l'amministrazione poliziesca, gli agenti vengono
sguinzagliati nelle case, nei locali di riunione, senza mandato dei giudici,
che sono passivi. In pura via amministrativa la libertà individuale e di
domicilio è violata, i cittadini sono ammanettati, confusi coi delinquenti
comuni in carceri luride e nauseabonde, la loro integrità fisiologica è in
difesa contro la brutalità ed i contatti, i loro affari sono interrotti o
rovinati. Per il semplice ordine di un commissario di polizia un locale di
riunione viene invaso e perquisito, una riunione viene sciolta, per il semplice
ordine del prefetto un censore cancella uno scritto il cui contenuto non
rientra affatto nelle proibizioni contemplate dai decreti generali [c'era la
censura sulla stampa] per il semplice ordine di un prefetto i dirigenti di un
sindacato vengono arrestati, cioè si tenta di sciogliere un'associazione,
ecc.. È un'analisi spietata dei limiti liberali e democratici dello Stato
liberale italiano, della sovrapposizione del potere esecutivo sul potere
legislativo, sul potere giudiziario, è una descrizione di questo ordinamento
che discende dall'esecutivo ai prefetti, ai questori e sospende in qualsiasi
momento ogni libertà. Ora a questa visione, a questa definizione, a
questa analisi dello Stato italiano, Gramsci ne contrappone un'altra che nasce
dal movimento reale. Anche per lui, come per Lenin, la conquista dello Stato
non è puramente un momento negativo, di distruzione, ma è il processo di
crescita di un nuovo tipo di Stato, che si organizza sin da prima della
conquista dello Stato. E la rivoluzione, come per Lenin, viene concepita come
un processo, non come un atto subitaneo che si compie in un determinato
momento. La domanda infatti, che egli si pone, la domanda da cui parte
con tutto il lavoro del giornale, dell'Ordine nuovo, è precisamente questa: se
ci sia in Italia, a Torino, un embrione di Soviet, un inizio di Soviet, e la
risposta è: sì, sono le commissioni interne. E aggiunge: bisogna trasformare le
commissioni interne in qualche cosa di piu, bisogna far nascere dalle
commissioni interne, cioè dall'esistenza dei Consigli di fabbrica eletti da
tutti i lavoratori indipendentemente o meno dalla loro iscrizione al sindacato.
Con rappresentanti quindi per reparti, per officina, per mestieri, e cosi via,
in modo che il Consiglio di fabbrica sia il momento non solo della difesa dei
diritti sindacali o delle conquiste sindacali, ma un organismo attraverso cui
gli operai si impadroniscono del processo della produzione, della
organizzazione del lavoro, intervengono sul processo della produzione,
stabiliscono un potere nella fabbrica, un potere democratico della fabbrica e
un potere che poi dalla fabbrica si irradi alle campagne e salga a diventare
potere nella società e nello Stato. indice I consigli di
fabbrica Gramsci dice che questo trasforma l'operaio da semplice
salariato - schiavo del capitale, non cosciente della funzione storica della
propria classe - in produttore (egli prende da Sorel questo termine), ma esso è
presente anche in Marx quando parla della Comune come l'autogoverno dei
produttori e non più degli operai salariati, cioè dell'operaio che ha superato
ogni limite corporativo, che non ragiona più come mentalità di categoria, di
classe sociale chiusa in sé, intesa solo alla difesa dei propri interessi
immediati di classe, ma che si sente come produttore, protagonista e interprete
degli interessi generali della società e quindi come componente essenziale,
forza dirigente del nuovo Stato che si vuole costruire. Egli scrive
nell'Ordine nuovo: l'officina con le sue commissioni interne, i circoli
socialisti e le comunità contadine sono i centri di vita proletaria nei quali
occorre direttamente lavorare, le commissioni interne sono organi di democrazia
operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai
quali occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le commissioni interne
limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di
arbitraggio e di disciplina, sviluppate ed arricchite dovranno essere domani
come organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le
sue funzioni utili di direzione e di amministrazione. Cioè bisogna imparare
prima a dirigere le fabbriche se vogliamo abolire il capitalismo. Fin
d'ora gli operai dovrebbero procedere già all'elezione di vaste assemblee di
delegati scelti tra i migliori e più consapevoli compagni sulla parola
d'ordine: tutto il potere all'officina, ai comitati d'officina, coordinata
all'altra: «tutto il potere dello Stato ai consigli operai e contadini.
Vi è, quindi, un tentativo di risposta alla domanda: come facciamo in Italia a
fare come in Russia, dove ci sono i Soviet? E i Soviet li inventa Gramsci: li
va a cercare nel movimento reale, li va a cercare in quello che già esiste,
cioè le commissioni operaie da sviluppare in organismi con molto più potere e
molta più capacità rappresentativa. A questa concezione di elevamento
della funzione dirigente della classe operaia prima della conquista del potere,
come condizione della conquista del potere, qui Gramsci ragiona già alla
leniniana, a questa sua concezione si contrappone un'obiezione di BORDIGA e del
suo giornale, Il Soviet, sul quale egli dice: è illusorio, utopico pensare che
la classe operaia possa avere una funzione dirigente nella fabbrica prima della
conquista del potere, fino ad allora resta subalterna ai capitalisti, solo
quando la classe operaia prenderà il potere essa potrà esercitare il potere
nella fabbrica. Ma BORDIGA non risponde alla domanda: il potere come lo
prendi? Questo perché Bordiga vede il processo sociale come il processo
di crescenti contraddizioni dell'economia capitalistica, finché si arriva alla
grande crisi che è il momento fatale della rivoluzione proletaria, a cui il
proletariato e il Partito comunista devono prepararsi mantenendosi puri,
intatti, non contaminando si in alleanze, in compromessi e in cose del genere.
Vi è cioè in BORDIGA una visione meccanicistica, di materialismo volgare,
meccanicistico del processo rivoluzionario che ignora la funzione del soggetto,
del partito. Non a caso BORDIGA (si veda) dice che non bisogna
partecipare alle elezioni parlamentari. Il parlamento è borghese e quindi non
interessa il proletariato. Riprende cioè una tesi di Bakunin e degl’anarchici
contro cui già Marx ed Engels polemizzano, come Lenin polemizza inEstremismo
malattia infantile del comunismo contro queste posizioni di BORDIGA. Per
Gramsci, invece, ripeto, la rivoluzione è intesa come processo. Non sto ad
illustrare tutte le vicende dell'Ordine nuovo, le grandi lotte, lo sciopero,
detto lo sciopero delle lancette, che poneva proprio la questione dell'autorità
e del potere dei consigli di fabbrica perché il padronato decise di passare dall'ora
legale, usata in guerra, all'ora solare senza avvertire i consigli di
fabbrica. Gli operai arrivarono in fabbrica e trovarono le lancette
dell'orologio spostate e fu lo sciopero. Era in gioco una questione di
principio: il potere democratico del consiglio di fabbrica. L'ingenuità fu il
non aver unito alla questione altre rivendicazioni piu sostanziose che
potessero legare a questa lotta le masse operaie. Fu solo una lotta di
principio che poi fini con una sconfitta grave, dopo di che la classe padronale
passò all'attacco e l'occupazione delle fabbriche fu, è vero, il momento più
avanzato della lotta, ma un momento di difesa. Funzionarono, però, i
consigli di fabbrica, diressero la produzione, tennero la disciplina, ma
nell'occupazione delle fabbriche appare chiaramente un elemento cioè il
movimento dei consigli fallisce per essere rimasto troppo torinese, non essersi
esteso alle altre regioni italiane, per essere rimasto chiuso all'interno della
fabbrica, e anche per una debolezza nel vedere un'alleanza con i contadini e
soprattutto una grave debolezza nel vedere l'alleanza con i ceti medi, tipico
limite dell'Ordine nuovo. Dalla sconfitta, quindi, del movimento dei
consigli con l'occupazione delle fabbriche si pone l'esigenza del partito, come
momento unificante di tutto il movimento a livello nazionale, cosa che Gramsci
aveva visto, ma in modo incompleto, e aveva privilegiato un movimento, aveva
privilegiato i consigli rispetto alla questione del partito stesso.
indice Necessità della ricognizione nazionale La riflessione di
Gramsci, però, va oltre e in un articolo: Che fare? scritto per una rivista di
studenti comunisti, si pone l'interrogativo: perché siamo stati
sconfitti? Siamo stati sconfitti perché il movimento operaio non conosce il
proprio Paese, non conosce l'Italia, non è uscito fino ad oggi un libro sulle
stratificazioni sociali, sulle classi in Italia, sulla storia delle classi, non
è uscito un libro sulla storia dei partiti italiani, c'è un'infinità di domande
a cui non sappiamo rispondere: perché in Sicilia i contadini sono autonomisti e
in Sardegna no, mentre in Sardegna sono autonomisti i latifondisti e in Sicilia
non altrettanto, perché dove son forti gli anarchici sono forti i repubblicani?
e così via. Non sappiamo rispondere perché non conosciamo il nostro Paese.
Eppure abbiamo un metodo, il marxismo, che Marx ed Engels hanno impiegato per
conoscere la realtà concreta. Ecco l'esigenza di usare il marxismo non come
strumento di propaganda, ma come strumento di analisi, di comprensione della
realtà. Certo, spiegare la sconfitta col fatto che non si conoscesse bene
l'ITALIA è insufficiente, è unilaterale, è polemico, però è senza dubbio uno
degli elementi della verità. Il gruppo dell'ordine nuovo, alla testa del
partito, cercherà di arrivare ad un'analisi dell'Italia, ad una conoscenza del
processo storico italiano. Le tesi del Congresso di Lione sono un'analisi del
processo attraverso cui si è formato lo Stato unitario italiano per individuare
da questa analisi concreta, storica, le forze motrici della rivoluzione nella
classe operaia del nord e nei contadini del mezzogiorno e delle isole. Si veda
il saggio sulla questione meridionale, contemporaneo alle tesi di
Lione. Gramsci riprende un concetto di egemonia che aveva già usato in
polemica contro BORDIGA dicendo: BORDIGA non ha capito il concetto leniniano
dell'egemonia, dell'alleanza della classe operaia con gli altri ceti e
soprattutto con i contadini e si è attenuto ad una posizione astratta per cui
la classe operaia deve restare chiusa in se stessa, ha temuto che ogni alleanza
fosse una contaminazione piccoloborghese della classe operaia, per questo non
ha capito l'essenziale di quello che è il leninismo, alleanza operai contadini,
costruzione dell'egemonia. Nella questione meridionale inoltre Gramsci
pone non solo la questione meridionale come elemento nazionale decisivo e
quindi chiave della egemonia della classe operaia, ma entra in una definizione
pili precisa della egemonia. Che la questione meridionale sia elemento decisivo
della egemonia è un momento molto importante, perché non aver capito questo
aveva reso il movimento socialista subalterno alla politica della borghesia e
di GIOLITTI GIOBETTI, cioè aveva accettato la politica di Giolitti assai
limitata, da un lato, e, dall'altro, riformistica senza riforme in un certo
senso, che però fa concessioni alle cooperative del nord, al diritto di
associazione, alla funzione dei sindacati, non interveniva come Stato nei
conflitti del lavoro, ecc., facendo pagare tutto questo al mezzogiorno. Nel mezzogiorno
fa la politica della camorra, degl’ascari, cioè dei deputati che andano in parlamento
per votare sempre Sì, reclutati attraverso le clientele, ecc. Il modo in cui si
spezza l'egemonia della borghesia è il modo in cui si rompe questo blocco
industriale e agrario tra la borghesia capitalistica del nord e i grandi
proprietari terrieri, latifondisti del sud, e si salva l'alleanza classe
operaia del nord e contadini del sud. A questo proposito Gramsci dice: il
proletariato può diventare classe dirigente e dominante, nella misura in cui
riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare
contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione
lavoratrice, il che significa in Italia (nei reali rapporti di classe esistenti
in Italia): nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle larghe
masse contadine. La questione delle alleanze, quindi, è vista come questione
decisiva per conquistare il dominio e la direzione, e la questione contadina
viene vista come essenziale. Ma non la questione contadina in generale (tra
l'altro non esiste). La questione contadina in ITALIA è storicamente
determinata, non è la questione contadina ed agraria in generale, in Italia la
questione contadina ha, dice Gramsci, per la tradizione italiana, per il
determinato sviluppo della storia italiana, assunto due forme tipiche e
peculiari: la questione meridionale e la questione vaticana, cioè il rapporto
con i contadini del Sud e con i contadini legati alla chiesa cattolica, di
ispirazione cattolica. Ora che cosa si può dire in proposito? Si può dire
che c'è un altro passo in cui egli si richiama alla dittatura del proletariato,
che l'egemonia viene vista come una direzione che si conquista nella società
civile e la dittatura del proletariato è concepita come la forma statale,
politica dell'egemonia, anzi essenzialmente come la forma.
statale. Inserisce qui una distinzione tra società civile e Stato. Nella
società civile l'egemonia, nello Stato la dittatura del proletariato, che però
in Gramsci non è così schematica. I due momenti sono fusi e Gramsci, nei
Quaderni, avverte che la distinzione tra Stato e società civile, società politica
e società civile è una distinzione puramente di metodo, metodologica, non
organica, perché in realtà questi due elementi sono fusi. Società civile e
Stato non SI separano nella realtà. Come è noto la parola egemonia deriva
da un verbo greco che significa dirigere, guidare, condurre. Gramsci usa il
termine egemonia non nel significato tradizionale che sottolinea soprattutto il
DOMINIO, ma nel senso originario, etimologico, greco: direzione, guida. Trae
questo termine da Lenin, perché Lenin l'aveva impiegato proprio per indicare la
funzione dirigente della classe operaia nella rivoluzione democratico-borghese,
Lenin non lo usa più quando usa ormai il concetto di dittatura del
proletariato. Ma non c'è dubbio che la capacità dirigente della classe operaia
nel processo rivoluzionario congiunge strettamente la rivoluzione democratica
alla rivoluzione proletaria, in modo che la dittatura del proletariato si
assume gli obiettivi della rivoluzione democratica, quegli obiettivi che la
borghesia non sa realizzare, e nella dittatura del proletariato vengono infatti
indicati, come obiettivi primi, obiettivi democratici e non obiettivi
socialisti: la terra ai contadini, la nazionalizzazione delle banche e cose di
questo tipo. indice Egemonia e blocco storico Gramsci riprende nei quaderni il
concetto di dittatura del proletariato, ma riferendosi alla dittatura del
proletariato teorizzata e realizzata da Lenin. Poiché l'egemonia della classe
operaia nella rivoluzione è sconfitta, significa che Gramsci usa il termine di
egemonia nel senso di dittatura del proletariato, quella teorizzata e
realizzata. Ora Gramsci sa bene che nella dittatura del proletariato c'è
il dominio e il consenso, la coercizione e la persuasione, ma perché la chiama
egemonia? La chiama egemonia perché vuole sottolineare nella dittatura del
proletariato la funzione dirigente, la conquista del consenso, l'azione di tipo
culturale e ideale che l'egemonia deve compiere, non c'è altra spiegazione a
questo diverso uso dei termini. Sottolinea questo elemento, nella dittatura del
proletariato, sia perché era quello rimasto più in ombra, quello che si era
capito di meno (si era sempre intesa la dittatura soprattutto come violenza,
limitazione delle libertà, e non come l'essenziale capacità dirigente, come
Lenin aveva sempre più sottolineato, man mano che veniva avanti la costruzione
del regime sovietico negli ultimi anni della sua vita). Gramsci usa questo
termine, la egemonia, perché egli conduce una riflessione sulle esperienze e si
pone ancora la famosa domanda: perché non abbiamo vinto? Non abbiamo
vinto, dice Gramsci, perché bisogna capire le differenze che esistono tra una
società e un potere politico come quello russo, zarista, e un potere politico
in una società come esiste in Italia e nei paesi capitalisticamente sviluppati.
La domanda - si poteva fare la rivoluzione? c'erano le condizioni oggettive?
non c'erano? cosa è mancato? - trova in realtà una risposta in questa analisi
di Gramsci. Gramsci dice: in Oriente, cioè in Russia, lo stato è tutto,
la società civile era primordiale e gelatina sa (ecco il punto). Nell'occidente
tra stato e società civile c'è un giusto rapporto e nel tremoli o dello stato
si scorgeva subito una robusta struttura della società civile, lo stato era
solo una trincea avanzata dietro a cui stava una robusta catena di fortezze, di
casematte (più o meno diversa da stato a stato) ma questo richiedeva
un'accurata ricognizione di carattere nazionale. Ecco la grande differenza: in
Russia lo Stato era tutto, ed era indubbiamente casi, in una società molto
fluida, gelatinosa, non articolata, non robusta, una enorme burocrazia zarista
gestiva ogni momento della vita statale per cui quando lo Stato andava in crisi
o in sfacelo a causa ovviamente della disfatta militare e durante la grande guerra,
dietro allo Stato non c'era più niente che resisteva. In Occidente è
diverso, dietro al tremolio dello Stato, e LO STATO ITALIANO trema fortemente,
c'era però la robusta struttura della società civile, c'era l'apporto del
capitalismo, le sue organizzazioni, la sua tenuta culturale e cosi via.
Questo, secondo me, è un tentativo di risposta di Gramsci al perché siamo stati
sconfitti, ma è al tempo stesso una riflessione molto più generale sul modo in
cui si pone il problema della rivoluzione in Paesi capitalisticamente
sviluppati. Di qui egli trae la necessità di una diversa strategia
rivoluzionaria, dice in altre pagine. Mentre in Russia la società civile era
fluida ed embrionale, gelatinosa, era possibile la guerra manovrata, cioè lo
scontro di classe rapidamente risolutivo, in Occidente è necessaria la guerra
di posizione, che qui non significa stare fermi. 'è un altro passo in cui con
guerra di posizione Gramsci indica una relativa staticità dei processi sociali
e politici, qui non significa questo, qui guerra di posizione è la guerra di
trincea, per cui vai all'assalto delle trincee, delle fortezze, delle
casematte, cioè individui i gangli essenziali della vita sociale e statale e
conduci quindi una politica (attualizzando un po') che investe la totalità della
società e che tiene conto di tutte le complesse articolazioni della società.
Cioè Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia rivoluzionaria, di un modo
nuovo di concepire la rivoluzione. Questo è l'enorme passo che egli ha
fatto partendo dall'Ordine Nuovo, attraverso La questione meridionale per
arrivare ai Quaderni, perché il problema dell'Ordine Nuovo era: come facciamo a
fare anche in Italia come in Russia? Ma il problema era fare come in Russia
partendo dal movimento reale, non astrattamente. Individuiamo che cosa
distingue la questione contadina in ITALIA dalla questione contadina in Russia.
Come noi risolviamo questo problema decisivo della egemonia proletaria che
Lenin risolse in Russia con l'alleanza con i contadini? Qui che cosa è
l'alleanza con i contadini? Qui è questione meridionale, qui è questione
vaticana che l'origina. Nei Quaderni del carcere Gramsci pone l'esigenza
di una strategia, cioè dice: non possiamo fare come in Russia, abbiamo bisogno
di una ricognizione del terreno nazionale, cioè di una analisi concreta della
situazione concreta italiana, di calarci nel processo storico, nella
originalità dei processi sociali, politici e culturali del nostro Paese.
L'interessante è, però, che egli si riferisca a Lenin quando dice: «mi pare che
Lenin avesse compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata)
applicata vittoriosamente in Oriente alla guerra di posizione che era la sola
possibile in Occidente, cioè Gramsci attribuisce alla tattica del fronte unico
della classe operaia, proposta dai bolscevichi, da Lenin alla Internazionale,
al suo congresso, la individuazione di un tipo diverso di lotta rivoluzionaria,
di lotta di posizione. Fa dire a Lenin, a mio parere, molto di più di quanto
Lenin non volesse dire, forza il suo pensiero, lo porta oltre. Lo porta
oltre però partendo da intuizioni che in Lenin ci sono, perché vi sono scritti
di Lenin che forse Gramsci nemmeno conosceva in cui Lenin dice: in Occidente
tutti i lavoratori sono organizzati, non è come in Russia dove non c'erano
sindacati, dove i partiti avevano scarse radici, non avevano avuto una vita
legale, ci sono cooperative, sindacati, partiti, municipi, ecc. Cioè Lenin
dice: in Occidente tutti i cittadini partecipano in qualche modo alla
democrazia, non è come in Russia, quindi Lenin intuisce delle diversità in
Occidente e propone una tattica, non una strategia, diversa, cioè il fronte
unico. Gramsci parte da questa intuizione di Lenin e la porta, secondo
me, molto oltre e sottolinea fortemente la necessità di una ricognizione del
terreno nazionale: una classe di carattere internazionale, cioè il
proletariato, in quanto guida strati sociali strettamente nazionali e anzi
spesso meno ancora che nazionali, particolaristici e municipalistici, come i
contadini, deve nazionalizzarsi in un certo senso, cioè deve calarsi
profondamente nella realtà nazionale se è internazionalista, in quanto è INTER-NAZIONALISTA,
se vuole dirigere i contadini, gli intellettuali, ecc., deve individuare la
specificità del processo rivoluzionario. Dove si vede che l'egemonia è
impensabile al di fuori della ricognizione nazionale, la egemonia è proprio la
capacità di individuare la specificità nazionale, i caratteri specifici di una
determinata società, l'egemonia è conoscenza, oltre che azione, e quindi è
conquista di un nuovo livello di cultura, scoperta di cose che non si
conoscevano. Questo nazionalizzarsi, questo calarsi nella realtà nazionale
e la conquista dell'egemonia sono in Gramsci strettamente congiunti. L'egemonia
è individuazione della tattica e della strategia nuove che si devono usare in
determinate situazioni. Come nasce in Gramsci l'idea dell'egemonia? Marx
aveva detto nella Ideologia tedesca che le idee dominanti in una società sono
le idee della classe dominante, cioè la classe dominante diffonde le sue idee,
la sua cultura, la sua ideologia in tutta la società. più esattamente Marx dirà
nella prefazione a Per la critica dell'economia politica del '59, che sono i
rapporti di produzione, quindi il modo di proprietà prevalente, che determinano
non solo le istituzioni politiche e statali, ma il modo di pensare, la
coscienza. Il modo di produzione però - i rapporti di produzione e il loro
nesso con le forze produttive - è contraddittorio e quindi questa
contraddizione, la contraddizione che esiste nel modo di produzione
capitalistico, tra classe operaia e capitalisti per esempio, pone in
discussione non solo la politica economica, le questioni sindacali immediate,
ma anche la politica e la cultura delle idee della classe dominante. Non
appena la classe antagonistica nel sistema capitalistico, il proletariato,
assume coscienza del suo antagonismo al sistema capitalistico, elabora non
soltanto delle lotte sindacali immediate, ma anche una linea politica e una
concezione del mondo, il marxismo, l'ideale socialista, una nuova morale che
contrappone ai valori ed alla morale della società dominante. Attraverso un
processo enormemente faticoso, attraverso una piccola avanguardia, poco alla
volta, cerca di strappare all'egemonia ideale e politica della classe dominante
una parte sempre più grande della classe operaia e dei suoi alleati, contadini,
ceti medi, cerca di conquistare gli intellettuali. Ora Gramsci si chiede
come si tiene insieme una determinata società, cioè un determinato blocco storico,
un nesso di forze politiche e sociali, come si tiene insieme questo rapporto
tra la struttura economica, i rapporti di produzione e di scambio, e lo Stato,
come si può spiegare insomma che un determinato Stato, una determinata classe
dominante tenga insieme e abbia il consenso di forze i cui interessi sono
opposti. Questo blocco storico trova il consenso tra gli operai, tra i
contadini, i cui interessi sono opposti a quelli della società capitalistica,
non solo con l'influenza politica, dice Gramsci, ma con l'ideologia. È
l'ideologia che tiene insieme il blocco storico, che lo salda, che consente di
tenere insieme classi sociali non solo di tipo differente, ma con interessi
addirittura opposti, antagonistici. L'ideologia è il grande cemento del blocco
storico, ed è momento della sua edificazione, che non è solo ideologica, è
culturale, è politica in primo luogo, ma non può essere dissociata dal momento
dell'ideologia e delle idee. Noi allora abbiamo un processo per cui le
classi, antagoniste per interessi, sono subalterne all'origine, Cloe non hanno
una propria concezione del mondo, una propria cultura, ma hanno assorbito la
cultura delle classi dominanti, in un modo eterogeneo, disorganico, passivo.
Cosicché, il modo di pensare delle classi subalterne è privo di organicità, di
capacità critica. Le classi subalterne sono però spinte alla ribellione, ma
tale ribellione è un sussulto che non riesce ad organizzarsi in una politica
perché c'è subalternità ideale, culturale. È necessario tutto un processo
perché le classi subalterne diventino autonome, si diano un partito, una linea
politica, una concezione culturale, e allora da autonome lottano per diventare
egemoni, dirigenti. Già prima della conquista del potere possono diventare
egemoni, cioè. diffondere la propria concezione non solo politica, ma
culturale, in tutta la società. L'egemonia si conquista prima della
conquista del potere ed è una condizione essenziale per la conquista del
potere. Il processo di egemonia è quindi un processo di unificazione del
pensiero e dell' azione perché - quando le classi sono subalterne - può esserci
per esempio una insurrezione contadina unita all'affermazione che i proprietari
della terra ci sono sempre stati, e magari sempre ci saranno, un'insurrezione
che spera nel re per sistemare le cose. Può accadere che gli operai di
Pietroburgo vadano in corteo al palazzo dello zar perché lo zar intervenga e
faccia finire le ingiustizie. E lo zar pensa bene di farli mitragliare e allora
gli operai cambiano idea. Prima erano subalterni, pensavano che lo zar fosse un
piccolo padre, il padre della chiesa ortodossa, che la soluzione delle
ingiustizie dipendesse da lui. Gramsci allora dice: c'è nelle classi
subalterne una filosofia reale che è quella della loro azione, del loro
comportamento. C'è una filosofia dichiarata che vive nella coscienza, che è in
contraddizione con la filosofia reale. Bisogna sogna congiungere questi due
elementi attraverso un processo di educazione critica per cui la filosofia
reale di ciascuno, la sua politica, diventi anche la filosofia cosciente, la
filosofia dichiarata. Per giungere a quel processo di unificazione di teoria e
pratica, di costruzione di una cultura nuova, rivoluzionaria, di riforma
intellettuale e morale. Le due cose sono strettamente congiunte per
Gramsci. Gramsci riprende questo concetto di riforma intellettuale e
morale ancora una volta da Sorel, ma cambiandone completamente i contenuti.
Riprende anche un tema tipico della cultura italiana del suo tempo che si
ritrova nella destra, in Alfredo Oriani, per esempio, come nella sinistra, in GOBETTI
(si veda): l'idea cioè che all'ITALIA sia mancato qualcosa di simile alla
riforma protestante, cioè una riforma della concezione del mondo e morale che
arrivasse in profondità, nel popolo. In Italia c'è stata invece la
controriforma, il distacco della chiesa dal popolo, la sovrapposizione del
dogma, l'irrigidimento gerarchico della chiesa, la limitazione della libertà
scientifica, di espressione artistica, c'è stata l'Inquisizione, l'ipocrisia,
che ha viziato profondamente il carattere degli italiani, ne ha fatto dei
cortigiani, ne ha fatto dei servi. È mancata una riforma protestante.
Gramsci dice che non solo è mancata una riforma protestante, ma è mancato
qualche cosa ben di più della riforma protestante; qualche cosa di analogo
all'illuminismo francese del settecento che preparò la rivoluzione francese,
qualche cosa di simile alla rivoluzione democratico-borghese. indice La nozione
di intellettuale Gramsci aggiunge: in Italia i laici hanno fallito il loro
compito che era di diffondere una nuova concezione culturale, un nuovo
umanesimo :fino agli strati più profondi e più incolti del popolo. Come era
necessario fare. Gli intellettuali democratici laici non l'hanno fatto perché
si sono mantenuti come una casta separata, con un suo linguaggio separato, con
una sua vita culturale separata. È mancato l'elemento essenziale della
costruzione democratica e di una riforma intellettuale e morale nel nostro
Paese, cosa che solo la classe operaia può fare, non la chiesa cattolica,
perché la chiesa cattolica tiene separati gli intellettuali e i semplici, parla
due linguaggi, uno per gli intellettuali ed un altro per i semplici, ma sta
bene attenta che gli intellettuali non rompano il rapporto con i semplici al
tempo stesso. Gli idealisti, Benedetto Croce, Gentile, hanno fatto una
riforma intellettuale per i grandi intellettuali, non per il popolo. Al popolo
lasciano la religione che è la filosofia di quelli che non hanno filosofia
cosciente. Questo processo di unificazione tra intellettuali e semplici
lo può fare la classe operaia guidata dal marxismo, grazie al marxismo, e
creando nuovi quadri intellettuali, organici alla classe operaia, che sono i
suoi quadri, i suoi dirigenti. Qui muta completamente la nozione di
intellettuale, l'intellettuale non è chi sa il latino o il greco, lo scrittore
o cose del genere, l'intellettuale è il dirigente della società, il quadro
sociale. Un caporale dell'esercito anche se analfabeta è un intellettuale,
secondo Gramsci, perché dirige i soldati, un intellettuale è il capo-lega
bracciante, anche se analfabeta, come tanti lo erano al tempo di Gramsci,
perché organizza i braccianti, perché li guida, perché li educa. Questi sono
gli intellettuali secondo Gramsci, il tessuto connettivo del blocco storico, gl’elaboratori
della egemonia della classe dominante la quale senza gli intellettuali non
potrebbe essere egemone, dirigente: sarebbe solo dominante e oppressiva e le
mancherebbe la base di massa, il consenso necessario per esercitare il suo
dominio. La cosa interessante è che Gramsci elabora queste idee
attraverso un'analisi del processo storico italiano. C'è sempre concretezza nel
suo pensiero. Ad esempio analizza come si sia formata in ITALIA l'egemonia dei
liberali, come i liberali con un'azione molecolare ed empirica abbiano
assimilato, isterilito le forze repubblicane, mazziniane, ecc., e disgregato il
blocco opposto con un'opera, egli dice, di direzione intellettuale e morale. Gramsci
sottolinea l'importanza di questo momento ideale e morale nella direzione dei
liberali moderati. Ed è qui che egli introduce il concetto di supremazia.
Un gruppo sociale, una classe ha una supremazia in quanto ha la direzione e il
dominio, la classe che è all'opposizione non ha ancora il dominio, ma deve
conquistare la direzione, cioè l'egemonia, se vuole conquistare anche il
dominio e una volta conquistato il dominio deve mantenere la direzione.
Come si presenta, quindi, per Gramsci la rivoluzione? La rivoluzione si
presenta in realtà come una c risi di egemonia, cioè come una crisi di capacità
dirigente da parte di coloro che hanno il dominio perché non riescono più a
risolvere i problemi del paese, non riescono più a tenerlo insieme con
l'ideologia. Pensate ai processi che oggi si sono compiuti. Lo spostamento a
sinistra degli studenti, pur caotico ed anche pericoloso che sia, contiene
molti elementi di individualismo borghese esasperato - e quindi resta nel
quadro dell' egemonia culturale borghese molto più di quanto non si pensi -, ma
è anche il segno della disgregazione di questa egemonia culturale, una disgregazione
che non riesce ad uscire da se stessa, che si rigira e si tormenta intorno a se
stessa. Ma che è il segno di questa crisi. Basta vedere come le idee del
marxismo si sono diffuse e si diffondono. Qui c'è un allargamento della
nozione di rivoluzione. Marx aveva detto: la rivoluzione si ha quando le
forze produttive entrano in una contraddizione incontenibile con i rapporti di
produzione. (Gramsci parte di qui, ma vede la totalità sociale). Lenin aveva
detto: la rivoluzione si ha quando la classe dominante non riesce più a
dominare, quando le classi oppresse non accettano più di essere dirette e
oppresse alla vecchia maniera e abbiamo una grande ribellione di massa.
Gramsci, in modo più preciso, la definisce la crisi di egemonia, come uno scollarsi
tra dominio e direzione, come il venir meno della direzione, quindi come una
crisi che investe tutta la totalità sociale, in cui il momento culturale,
morale, ideale ha un'enorme importanza. Noi stiamo vivendo un momento di
questo genere. Si è rotto il vecchio blocco di potere che aveva come asse la
Democrazia cristiana, è venuta meno la capacità dirigente del vecchio blocco di
potere (che è sempre stata molto limitata del resto), non si è ancora costruito
un nuovo blocco di potere che possa portare ad un nuovo blocco storico. Blocco
di potere è un'espressione che GRAMSCI non usa, la usa TOGLIATTI, intendendo la
fase di preparazione di un nuovo blocco storico e di una nuova società, di una
nuova base sociale, di un nuovo tipo di Stato, di un nuovo rapporto tra base
sociale e Stato. Il momento di questa crisi di egemonia è dunque un
momento anche di crisi ideale, di crisi culturale, di crisi morale. Gramsci dà
grande valore al momento del soggetto, della coscienza, delle idee nel processo
rivoluzionario. L'egemonia è iniziativa, è intervento sul processo e guida del
proletariato, come già Lenin aveva detto quando rimproverava ai menscevichi di
alterare il materialismo storico, di deformarlo perché non capivano la funzione
dei partiti i quali, avendo individuato e compreso la realtà oggettiva,
intervengono nel processo per condur1o in una determinata direzione. Lenin
dice: i menscevichi non hanno capito la prima tesi su Feuerbach, la funzione
del rapporto soggetto-oggetto. Non è a caso che Gramsci chiama il marxismo FILOSOFIA
della prassi, usando una terminologia che e usata da GENTILE (si veda). Però
Gramsci l'usa in tutt'altro senso; non la prassi dell'intelletto, come intende
GENTILE, ma la prassi trasformatrice, rivoluzionaria, unità di
soggetto-oggetto, intervento del soggetto sulla realtà. Attenzione però.
Gramsci parla sempre di egemonia della CLASSE operaia, non del partito, perché
Gramsci non ha mai rinnegato l'esperienza dei consigli di fabbrica e ritiene
che la classe operaia debba darsi una molteplicità di organizzazioni per
conquistare il potere. Mai Gramsci ha pensato che la classe operaia conquisti
il potere solo col partito, essa deve avere altri collegamenti, altre
organizzazioni, deve essere presente nelle istituzioni statali oltre che di
massa. Inoltre Gramsci non mortifica mai il movimento, dice che
l'elemento cosciente deve saper depurare il movimento spontaneo da quanto c'è
in esso di contraddittorio, di arretrato, di reazionario anche, deve depurarlo
e portarlo al livello della scienza moderna, cioè del marxismo. Ma non si deve
né disprezzare, né trascurare la spontaneità, che bisogna però aiutare. Bisogna
partire da quello che egli chiama il senso comune e vedere quanto c'è di sano
in questo senso comune, nelle sue contraddizioni, nelle sue superstizioni,
nelle sue posizioni arretrate. indice Il partito, moderno
«Principe» È compito del partito cogliere questo elemento sano, tirarlo
fuori dal guscio (il nocciolo razionale, direbbe Marx) e portarlo al livello di
una coscienza scientifica della realtà. Il partito è il momento decisivo della
formazione dell'egemonia della classe operaia; non è possibile egemonia della
classe operaia senza il partito, perché esso è l'unificatore dell'azione e del
pensiero, della FILOSOFIA istintiva, non consapevole, presente nell'azione, e
della filosofia consapevole che bisogna fare acquisire, dando la prospettiva,
dando la visione dell'insieme. In questo senso egli chiama il partito il
moderno principe, riferendosi a MACHIAVELLI e valorizzando enormemente MACHIAVELLI.
Un PRINCIPE moderno non più come individuo, perché nella società moderna questo
non è più possibile, ma come intelligenza e VOLONTA COLLETTIVA personificazione
di una grande volontà collettiva: il partito è il moderno principe. Del
partito Gramsci mette molto in rilievo l'elemento della coscienza e della
direzione. In ogni partito, secondo Gramsci, ci sono tre strati: uno di
dirigenti, molto ristretto, a livello nazionale, uno di base che aderisce
soprattutto per entusiasmo o per fede, e uno intermedio che collega questi due
elementi. Senza questi tre elementi il partito non c'è, però Gramsci dice:
attenzione, con l'elemento di base voi non formerete nulla, non formerete mai
il partito; occorre l'elemento dirigente. Ovvero, un esercito non forma il
capitano, ma alcuni capitani formano l'esercito. Per Gramsci la formazione del
partito va dall'alto in basso, come per Lenin, cioè parte dal congresso, parte
dal punto più alto della consapevolezza, il che non è una visione burocratica,
ma è una visione di intervento della coscienza, della direzione sul movimento
spontaneo. Educazione del movimento spontaneo, perché tutta la concezione
pedagogica di Gramsci, dell'educazione come sforzo, come disciplina, dello
studio anche come fatica, ci dice chiaramente come egli intenda la
direzione. Il partito è il grande riformatore intellettuale e morale,
quello che supera la vecchia concezione e ne costruisce una nuova. C'è in GRAMSCI
il superamento del meccanicismo materialistico tipico di BORDIGA, di tutto il
movimento socialista da cui lui veniva. Il suo ragionamento sul blocco storico
è un ragionamento sulla totalità sociale, su gli elementi sociali, politici e
culturali: l'egemonia costruisce un determinato blocco storico e il blocco
storico si tiene insieme grazie all'egemonia, grazie alla direzione. L'egemonia
è il momento di saldatura. Ecco quindi un'egemonia che rompe il
precedente blocco storico. Rompe il vecchio tipo di totalità sociale ormai in
crisi e costruisce un nuovo tipo di totalità sociale, anzi, direi, sociale,
politica e culturale. Dicevo che Gramsci pone l'esigenza di una nuova
strategia, non di più. A mio parere di più non poteva fare negli anni trenta:
ha smesso di scrivere i Quaderni, quando la sua malattia si era tanto aggravata
da togliergli la forza fisica di scrivere. In questa elaborazione noi
siamo andati avanti, cercando di dare una risposta a che cosa è la strategia
rivoluzionaria in paesi capitalisticamente sviluppati. L'abbiamo cominciato a
fare durante la guerra di Liberazione, parlando di democrazia progressiva, di
democrazia di tipo nuovo, come diceTogliatti. Secondo Togliatti non ci si
puo più rifare al modello russo della rivoluzione perché la rivoluzione ha modi
e scadenze diverse a seconda dei paesi, non c'è un unico modello. La ricerca
del nuovo modello avrebbe potuto avvenire attraverso l'azione dei Comitati di
Liberazione Nazionale che Togliatti valorizza quando dice: avremmo preso una
strada più rapida e più sicura se avessimo potuto mantenere in piedi questi
comitati. Lo afferma al quinto congresso del PCI. Lavorando su questa
indicazione di Gramsci, e non solo, lavorando sulla realtà oggettiva,
riprendendo l'esperienza della guerra di liberazione, siamo venuti costruendo
quella strategia che è, che chiamiamo la via italiana al socialismo. Questa
strategia non può grettamente rinchiudersi in una sola nazione, deve per forza
avere delle convergenze con la strategia di altri partiti, del movimento
operaio in altri paesi capitalistici. Quello che gli altri chiamano euro-comunismo
è fatto di accordi tra noi e il partito comunista francese, il partito spagnolo
ed altri partiti. Abbiamo naturalmente esteso il concetto di egemonia.Per
noi l'egemonia, la capacità dirigente della classe operaia è capacità di
realizzare tutte quelle alleanze che sono indispensabili affinché la classe
operaia abbia accesso al potere in una società di capitalismo monopolistico e
di capitalismo monopolistico statale. Perciò la classe operaia deve andare al
di là dell'alleanza operai-contadini poveri (tra l'altro i contadini oggi sono
solo il 15% della popolazione, comprendendo anche quelli ricchi), ma deve
arrivare ai ceti medi delle città e delle campagne, deve arrivare al settore
della piccola e media industria. Si tratta di un sistema di alleanze assai
articolate e, badate bene, contraddittorio. perché, tra gli operai della
piccola e media industria e il proprietario della piccola e media industria c'è
indubbiamente una contraddizione, una contraddizione che noi dobbiamo
indirizzare verso la contraddizione principale, come direbbe Mao-Tse-Tung,
ovvero contro il capitalismo monopolistico. Ora alleanze sociali cosi
ampie non possono che esprimersi a livello politico, cioè in partiti politici.
Questa è una cosa che GRAMSCI non aveva presente, per lui un partito solo
faceva la rivoluzione: il Partito comunista. Al Partito socialista bisognava
tagliare le radici.Gramsci non arrivava a questa visione cosi ampia delle
alleanze, non ci poteva arrivare. indice Quale pluralismo Per
noi invece questa visione si esprime in una pluralità di partiti, e d'altra
parte le democrazie popolari ci danno un esempio di pluralità di partiti. In
Polonia, nella RDT, vi sono partiti che hanno una scarsa autonomia forse, ma
esistono realmente. Come mandare oltre questa esperienza? Sviluppando un
sistema di alleanze, anche a livello politico, che è fatto di contrasto, che è
fatto di confronto, che è fatto di lotta. Ad 'esempio, la nostra alleanza col
partito socialista è anche lotta, è anche discussione non priva di asprezze,
naturalmente. Questo sistema lo possiamo chiamare pluralismo, pluralismo
sociale e politico, assumendo un termine che non è nostro, che è estraneo al
marxismo, ma che viene dalla sociologia cattolica e dalla sociologia
americana. La sociologia cattolica intende per pluralismo una pluralità
di istituzioni che si equilibrano l'uno con l'altra: la famiglia, la chiesa, lo
STATO ITALIANO, la scuola e cosi via. Il suo pluralismo è fondato
sull'interclassismo, cioè sulla collaborazione tra classe operaia e capitalisti
e sul superamento della contraddizione tra l'una e gli altri. La
sociologia americana dice: il pluralismo è una pluralità di istituti che
impedisce a una sola forza di avere l'egemonia, il dominio, la
prevalenza. Per noi il pluralismo è invece un'ampiezza di alleanze
sociali e politiche tale da isolare il grande capitale monopolistico, la sua
logica e la logica da cui oggi è dominato il capitalismo di stato in questa
società, 1ìno a sconfiggerlo. Cosi si realizza il vero pluralismo, perché noi
diciamo che fino a quando esiste il grande capitale il pluralismo reale nella
società non ci sarà mai, sarà sempre apparente. La costituzione è
pluralistica, ma il pluralismo reale della nostra vita è apparente. Invece vi è
il monopolio dei mezzi di informazione, dell'economia e cosi via. Ad
esempio il pluralismo della società americana nasconde la realtà di una società
in cui il potere economico e politico è al massimo grado concentrato, e la
partecipazione democratica dei cittadini è puramente formale. In realtà, devono
votare per due partiti che si confondo l'un con l'altro, che si mescolano, non
si sa bene che differenza ci sia tra democratici e repubblicani. A volte i
democratici su certe cose sono d'accordo con i repubblicani, su altre sono
d'accordo solo con certi repubblicani. Si può dire che negli Usa ci sia un
pieno trasformismo. Un reale pluralismo si ha quanto più si batte il
capitalismo, quanto più si avviano forme di autogoverno della società, di
partecipazione. Il nostro pluralismo è anche statale, di istituzioni statali e
sociali. L'autonomia del sindacato, poi, è un momento decisivo. Quando diciamo
pluralismo delle istituzioni statali intendiamo parlamento, regioni, comuni
autonomi, comprensori, consigli di quartiere o di circoscrizione, sino ad arrivare
ai consigli di fabbrica che non sono un istituto statale, ma sono sanciti dai
contratti e riconosciuti dallo Statuto dei lavoratori. Perciò pluralità di
istituzioni sociali e politiche. Inoltrel'autonomia dei sindacati significa che
il pluralismo è già dentro la classe operaia, che esso non caratterizza
semplicemente il rapporto della classe operaia con forze sociali non proletarie
e il rapporto del Partito comunista con partiti non proletari, ma che vive
nella classe operaia. Infatti nella classe operaia ci sono i comunisti, ci sono
i socialisti, ci sono anche i democristiani, c'è anche il sindacato autonomo,
c'è il consiglio di fabbrica, che ha anche esso una sua dialettica nei rapporti
col sindacato e coi partiti. Il pluralismo vive nella classe operaia e per
questo può attuarsi nella società. Egemonia nel pluralismo, dunque, e non:
egemonia e pluralismo, come diceva bene Ingrao, e fra i due termini c'è un
rapporto dialettico. Più egemonia c'è, e più c'è pluralismo, non come
confusione di forze, ma come forma di lotta, la più ampia, la più acuta, la più
caratterizzata dal punto di vista di classe oggi. D'altra parte, senza
pluralismo non si ha egemonia, ma isolamento della classe operaia e suo ritorno
a posizioni subalterne. Di tale nesso dialettica tra i due termini i nostri
avversari ovviamente non capiscono nulla, e dicono: se parlate di egemonia non
potete parlare di pluralismo, e viceversa. Dal punto di vista della
sociologia cattolica e americana hanno ragione, ma noi usiamo questo termine con
tutt'altro significato. Legato a questo si pone anche il tema della dittatura
del proletariato. Come ci collochiamo? Quando i socialdemocratici
escludevano la dittatura del proletariato, e anche Kautsky la escluse dopo la
rivoluzione d'Ottobre, in realtà dilatavano una concezione della democrazia
tale per cui nell'esercizio della democrazia si arriva al socialismo, ma
smarrivano la questione dell'autonomia e dell'egemonia della classe operaia,
concepivano il processo come puramente elettorale e non come un'egemonia che
rompe il blocco avversario, che aggrega e costruisce un nuovo fronte, quindi
un'egemonia fondata sull'iniziativa e sulla lotta. Noi abbiamo parlato di
dittatura del proletariato nella Dichiarazione programmatica del congresso per
sottolineare come cambino le forme della dittatura del proletariato a seconda
dei paesi. Abbiamo mantenuto il concetto, ma abbiamo sottolineato questo
elemento: cambiano le forme. Abbiamo ripreso questo concetto al decimo
congresso, per sottolineare che della dittatura del proletariato emerge sempre
di più l'elemento della direzione e del consenso. In seguito non abbiamo più
ripreso questa nozione, l'abbiamo lasciata cadere. Mi chiedo se sia
compito dei documenti del partito affrontare questa questione tipicamente teorica
o se invece non si debba sviluppare la discussione e il dibattito a livello
teorico su questo problema. Ad ogni modo la mia opinione, che altri
possono naturalmente confutare, è che la nozione della dittatura del
proletariato è nella situazione italiana dialetticamente superata, il che può
voler dire assunta ad un livello superiore. Cosa significa? Significa che
la classe operaia deve, at· traverso tutto un processo (oggi un accordo
programmatico, poi un governo unitario), costruire un nuovo blocco di potere in
cui essa sappia avere una funzione dirigente. D'altra parte, un nuovo
blocco di potere o si costituisce sotto la direzione della classe operaia o non
si costituisce. Blocco di potere certamente contraddittorio dal punto di
vista sociale e politico che dovrà saper risolvere le sue stesse contraddizioni
in modo progressivo se ne sarà capace. L'egemonia si conquista, la direzione si
conquista ogni giorno. Ecco allora che è il blocco di potere ad
esercitare la coercizione sulla società attraverso la legalità dello Stato.
L'elemento della coercizione non può essere eliminato, non si costruisce il
socialismo senza coercizione, anche dura, ma essa viene esercitata dal blocco
del potere, non direttamente dalla classe operaia. Del resto anche nella
concezione di Lenin e nella realtà, la classe operaia ha esercitato la
coercizione contro i nemici di classe e non verso i contadini poveri, non verso
gli intellettuali. Lenin diceva: gli specialisti li dobbiamo conquistare, qui
la coercizione non serve, li dobbiamo convincere a lavorare per noi, bisogna
pagarli molto, ecc. ecc. Anche allora nel blocco di potere c'è un elemento di
consenso e un elemento di costrizione. Se si allarga il blocco di potere,
come da noi deve allargarsi, si allarga anche la sfera del consenso, ma di un
consenso molto travagliato, ottenuto con le lotte, tra contrasti, anche,
tutt'altro che scontato. L'altro elemento è che non solo la classe operaia non
esercita direttamente la coercizione, ma non impone nemmeno il suo modello di Stato
a tutta la società. Nella rivoluzione russa è avvenuto questo: i Soviet, che
sono un istituto tipicamente operaio, nato dal movimento operaio russo, si sono
estesi ai contadini e ai soldati, e poi son diventati l'istituto statale. La
classe operaia ha creato cioè la società a sua immagine e somiglianza, per
riprendere una frase biblica, cioè ha impresso la sua visione statale su tutta
la società. Noi questo non lo facciamo e non lo proponiamo, noi assumiamo
il parlamento dalla storia della democrazia ateniese, noi assumiamo i comuni,
le stesse regioni derivano da una tradizione non nostra, e introduciamo, come
elementi nostri invece, i consigli di fabbrica, il decentramento nei quartieri
e cosi via, i quali sono gli elementi di una democrazia diretta che supera il
parlamentarismo. In questo senso allora mi pare che non si possa parlare
di dittatura del proletariato, perché della dittatura del proletariato cade un
elemento: la coercizione esercitata direttamente dalla classe operaia nelle sue
forme e nei suoi modi. La coercizione resta ma è di tutto il blocco di potere
che esercita anche la direzione sulla società, non sola la coercizione.
Inoltre all'interno del blocco di potere la classe operaia deve sapere
esercitare la sua funzione dirigente per costruire lo stesso blocco di potere,
per tenerlo insieme, per trasformarlo in senso progressivo. Mno a mano che si
va avanti nel senso del socialismo, anche il blocco di potere si trasforma e
diventa più avanzato, più omogeneo dal punto di vista di classe e cosi via. Allora
si mantiene della dittatura del proletariato questo elemento essenziale:
l'autonomia e l'egemonia o direzione della classe operaia, superando l'altro
elemento, lo elemento della coercizione inquadrandolo in un ambito più
ampio. Questa è soltanto la mia opinione in proposito. C’è in molti
giovani comunisti uno stile di serietà riflessiva, di maturità e di chiarezza
responsabile, che stupisce, se confrontato al tono un pò vacuo, avventato o
ciondolone, che è tradizionale di molta gioventù italiana. Sono giovani che,
usciti dalla dura scuola che i tempi impartiscono – sia pur con diverso
profitto – a ciascuno, son passati alla scuola del partito, e diventano in
breve dirigenti : acquistano quel piglio, quel polso, quella quadratura, quasi
non avessero fatto altro da molti anni, o come se tutto in loro da tempo
tendesse a farne dei quadri comunisti, o non altro. Un dirigente di questo tipo
è G., segretario della Federazione di Torino. Laureato in FILOSOFIA, e questa è
una delle chiavi della sua personalità, ma proprio in un senso che smentisce
nel modo più assoluto il concetto che del FILOSOFO s’ha volgarmente. Tutto in G.
è esattezza logica, ragionamento filato, rigore razionale. Un matematico,
potrebbe anche essere, se i numeri non fossero entità troppo astratte per il
suo bisogno di concretezza. Così Calvino, dalle pagine de l’Unità piemontese,
descriveva G. Mi sembra giusto rendere onore ad un grande compagno, anche
se non ho avuto la fortuna di conoscere se non attraverso i suoi scritti.
G. è stato per lungo tempo il responsabile della Sezione culturale del PCI e
successivamente direttore dell’Istituto di studi comunisti Togliatti, la famosa
scuola di Frattocchie. Pubblica saggi su Rinascita, su l’Unità, su Critica
marxista -- di cui è stato vicedirettore --, assieme ad altre pubblicazioni.
Il suo lavoro, nel partito ed all’istituto, è stato fondamentale nel costruire
quadri e militanti e nello sviluppare quella teoria rivoluzionaria che a noi,
comunisti del XXI secolo, così manca. Una testimonianza diretta da mio
padre Marco. “Conobbi G, alla scuola di Partito di Frattocchie, In quel
periodo il partito si era impegnato molto nella formazione dei gruppi
dirigenti. Io insieme ad altri compagni della gloriosa Federbraccianti delle
varie regioni d’Italia, avevamo partecipato, orgogliosamente, a quella
settimana di studi e approfondimenti sulla questione agraria e economica del mezzogiorno. Ci
colpi’ molto la preparazione e la competenza di G., ma soprattutto il suo
linguaggio e la sua dialettica, coerentemente alineata a sani principi
etico-morali. E uno che volava alto, ogni tanto si lasciava andare in
ragionamenti filosofici che a noi, ancora politicamente acerbi, sembravano un
pò difficili. Una settimana intensa e ricca che ci forni strumenti di analisi,
di critica e di proposta.” Qualche cenno biografico per i compagni che
non lo conoscono, dal sito biografico gestito dalla moglie e da suo nipote
Bonavoglia http://digilander.libero.it/lucianogruppi/ : Iscritto al
Partito comunista. Partecipa alla Resistenza. Dopo la Liberazione è membro
della Segreteria e responsabile della Commissione giovanile della Federazione
di Torino. Responsabile della Commissione giovanile, poi della Sezione di
stampa e propaganda, membro della Segreteria della Federazione di Milano.
Responsabile della Sezione d’organizzazione e vicesegretario della Federazione
di Torino. Segretario della Federazione di Torino. Fa parte della Segreteria
regionale del Piemonte. Membro della segreteria del Consiglio mondiale del
Movimento dei partigiani della pace a Praga e a Vienna. Vice responsabile
della Sezione di stampa e propaganda del Comitato centrale del PCI. Fa parte
della segreteria della Federazione di Torino ed è capogruppo consiliare al
Comune di Torino. Rappresentante del PCI nel Comitato di redazione della
rivista internazionale Problemi della pace e del socialismo, a Praga. Vice
responsabile della Sezione culturale del Comitato centrale del PCI. Dal
’64 al ’66 responsabile della Sezione per le scuole di partito. Vice
responsabile della Sezione culturale del Comitato centrale del PCI. Vicedirettore
della rivista Critica marxista. Direttore dell’Istituto di studi
comunisti Togliatti (Frattocchie). Presidente dello stesso
istituto. Membro del Comitato centrale, Membro della Commissione centrale
di controllo. Al congresso ha chiesto di non essere riproposto per organismi
dirigenti del PCI; Ha restituito la tessera dei Democratici di
Sinistra; Iscritto al Partito della Rifondazione Comunista; Nello
stesso sito è possibile trovare l’importantissimo “La concezione marxista dello
Stato”, che riunisce le lezioni tenute presso Frattocchie. digilander. libero.it/ lucianogruppi/
concezionedellostato/ la_concezione_dello_STATO ITALIANO. Per finire, la
commemorazione su “L’Ernesto” .marx21.it/rivista/- marx-dalla- democrazia-radicale-al-comunismo rivoluzionario.html
Un breve estratto da quest’ultimo articolo, ancora oggi attualissimo, di Torsi
e Giannini, che mi sento di condividere in pieno : “Due propensioni,
quella dello studio teorico e della formazione, quanto mai necessarie ed attuali
oggi, in questa fase caratterizzata sia dalla povertà teorica che segna di sé
una parte significativa del movimento comunista che dalla grave
sottovalutazione del valore della formazione politico-teorica ( la scuola quadri)
che si manifesta anche in Rifondazione comunista. G., dunque, non solo
nel ricordo: ma per il lavoro futuro, come è destino dei grandi. Grice: “In retrospect, I can
imagine that it may have been torture for my pupils to have to endure my
tutorials on ordinary language philosophy, when none of them ‘parled’ it!” – Nome
compiuto: Luciano Gruppi. Gruppi.
Keyword: la via italiana al socialismo, egemonia della filosofia del linguaggio
ordinario -- Refs.: Luigi Speranza: Grice e Gruppi” – The Swimming-Pool
Library.


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