Luigi
Speranza -- Grice e Calabresi: il deutero-esperanto – la scuola di
Montepulciano – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Montepulciano). Filosofo italiano. Montepulciano, Siena, Toscana. Muore a Sarteano.
Filosofo, medievista, paleografo e linguista italiano. Un appassionato studioso
d'istituzioni del basso Medioevo, con particolare riguardo a Montepulciano e
alla Valdichiana in generale. La sua
opera principale è sicuramente il glossario giuridico dei testi in volgare di
Montepulciano. Tale lavoro e realizzato per conto dell'Istituto per la
documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche, oggi Istituto
di teoria e tecniche dell'informazione giuridica. Come linguista, correda, con Fiorelli (vedasi),
co-autore del Dizionario d'ortografia e di pronunzia della RAI, della
trascrizione fonematica tutti gl’esponenti di Zingarelli. La trascrizione usa
l'alfabeto fonetico, ed è il primo esempio d'applicazione su larga scala di
quel sistema alla lingua italiana. Altri saggi: El breve de la Conpagnia de'
chalçolari di Monte Pulciano, Firenze, Istituto per la documentazione giuridica
del Consiglio nazionale delle ricerche. Il Chiaro o Lago di Montepulciano:
appunti storici con documenti inediti e riproduzioni di carte antiche,
Acquaviva o Montepulciano, Cartolibreria P. Pellegrini; Cenni sulla storia di
Chianciano Terme e sull'arme del Comune, Chianciano Terme, Amministrazione
comunale; Contributi alla conoscenza delle arti e delle corporazioni nei secoli
17°-18°. Dalle fonti documentarie degli archivi privati e delle persone
giuridiche minori (specialmente della Toscana orientale e meridionale),
Firenze, Istituto per la documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle
ricerche; Un vocabolario della lingua parlata in un codice della
Magliabechiana, Firenze, La Crusca; Strade, storia e tradizioni popolari nella
Valdichiana senese: archeologia e storia del territorio nei nomi delle vie
d'Acquaviva. Il folklore della strada, Acquaviva; Montepulciano: contributi per
la storia giuridica e istituzionale. Edizione delle quattro riforme maggiori
dello Statuto, Siena, Consorzio universitario della Toscana meridionale; Glossario
giuridico dei testi in volgare di Montepulciano: saggio d'un lessico della
lingua giuridica italiana, Firenze, Pacini. Biografie Per il Dizionario
biografico degli italiani della Treccani, C. inoltre cura le biografie di Buonmattei,
Cenni (vedasi), e Cenni Fondazione In suo onore è stata istituita la Fondazione
C., con sede nella frazione di Acquaviva, suo paese natale. La scomparsa di C.,
su biblioteca.montepulciano.si.it. In memoria di C., su ittig.cnr.it. Cataloghi
e collezioni digitali delle biblioteche italiane, su internetculturale.it.
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italiani Italiani Nati a Montepulciano Morti a Sarteano Biografi italiani [altre]
Il senese C., dipendente del C.N.R., inventa una lingua ausiliaria
internazionale che chiama Omnlingua, caratterizzata sul piano morfologico dal
recupero della declinazione, con sette casi nella declinazione primaria
(nominativo, genitivo, dativo, relativo statico, relativo dinamico o
accusativo, vocativo, locativo statico) e sei in quella secondaria (derivativo,
fautivo, strumentale, locativo dinamico, invocativo, locativo stabile), dall'adozione di cinque
generi grammaticali, di dieci coniugazioni, di tre tipi di preposizioni
semplici e di prefissi ottenuti con tre diverse vocali finali, ecc., e dall'uso
di alcuni segni particolari, come il segno «"» che indica aspirazione; «-»
rafforzamento o raddoppiamento non
enfatico sulle consonanti e allungamento sulle vocali; «^» addolcimento di
certe consonanti, ecc. La molla che
spinge Calabresi a creare l'Omnilingua è, da un lato, la constatazione del fallimento
del Volapük e dell'Esperanto, dall'altro il desiderio di «affratellare i popoli
di tutto il mondo», dopo le orrende devastazioni della seconda guerra mondiale,
in cui per altro C. perde il padre. Omni-lingua. Nome compiuto: Ilio Calabresi.
Calabresi. Keywords: omnlingua. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, “Grice e Calabresi,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Calais: la setta di Reggio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio).
Filosofo italiano. Calais. Giamblico di Calcide, a Pythagorean. Refs.: Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Calcide,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Calboli:
l’implicatura conversazionale della langue e la parole – Grice e Gardiner -- de
parabola – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo Italiano.
Grice: “I like Calboli – he philosophised on much the same subjects I did –
colour words (‘that tie seems/is light blue’) – the philosophy of perception,
and parabola, i.e. expression. If I use ‘utterance’ broadly so does Calboli
with his ‘parabola.’ One big difference is that he is a nobleman, who owned a
castle that he ceded to Firenze – I did not!” Altre opere: “Exercitatio philosophica” (Romae, Giovanni Zempel). Étymol.
et Hist.I. Faculté d'exprimer la pensée par le langage articulé -- «expression
verbale de la pensée» (Roland, éd. J. Bédier: De sa parole ne fut mie hastifs,
Sa custume est qu'il parolet a leisir); spéc. ling. distingué de langue (Sauss.).
action de parler» metre a parole «faire parler» (Wace, Conception N.-D., éd.
Ashford). C. Le langage oral considéré par rapport à l'élocution, au ton de la
voix cde sa pleine parole «à haute voix» (Pèlerinage de Charlemagne, éd. G.
Favati); parole basse (Benoît de Ste-Maure, Troie, ds T.-L.);(Wace, Rou, éd. Holden: Sa voiz e
sa parole mue). D. ca «faculté
d'exprimer sa pensée par le langage articulé» (Guillaume d'Angleterre, éd. M.
Wilmotte, De joie li faut la parole). «art de parler, éloquence» employer sa
parole à gagner argent (Nicot); (Boileau, Art poétique, chant IV ds OEuvre, éd.
F. Escal); avoir le don de la parole (Ac.). F.
«droit de parler» (Bruyère, Caractères, De la Cour, OEuvre, éd. J. Benda:
Ils ont la parole, président au cercle). II. Son articulé exprimant la pensée
A. Suite de mots, message, discours, propos exprimant une pensée (Roland: De
cez paroles que vous avez ci dit...;: Bon sunt li cunte e lur paroles haltes);
(Wace, Rou: [Li evesque] Ne fist pas grant parole ne ne fist grant sermon). B.
spéc. «discussion, dispute» (Wace, Brut,
éd. I. Arnold); avoir des paroles ensemble (Perceforest) «promesse» doner parole (Benoît de Ste-Maure);
prisonniers pour la parole (E. Pasquier, lettre 21 août, ds Lettres hist., éd.
D. Thickett); (croire) sur vostre parole (Guez de Balzac, lettre 11 déc. ds
OEuvres); homme de parole (Id., lettre).
«expression verbale d'une pensée remarquable» (Thomas, Tristan, éd.
Wind, fragm. Douce: Oïstes uncs la parole).
«belle, vague promesse» (Proverbe au vilain, T.-L.: De bele parole [var.
promesse] se fait fous tout lié); paroles sourdes «paroles en l'air, mensonges»
(Gace de La Buigne, Deduis.);«phrase creuse, vide» paroles pleines de vent
(Chastellain, Chron., éd. Kervyn de Lettenhove). «enseignement» (Aimon de
Varennes, Florimont, ds T.-L.); spéc. 1ertiers xiiies. (Vie de St Jean
l'Évangéliste, 567, ibid.: avint ke li ewangelistes en une chité vint, Où il
dist la parole [Luc]) la parole de Dieu «l'Écriture sainte» (Pascal, Pensées, OEuvres,
éd. J. Chevalier: Quand la parole de Dieu... est fausse littéralement, elle est
vraie spirituellement); 2. fin xiies. la parole «le Verbe, la Parole faite
chair» (Sermons de St Bernard, éd. W. Foerster,: cil [li troi roi el staule]
reconurent la parole de deu lai ou il estoit enfes). Issu du lat. chrét.
parabola (devenu *paraula par chute de la constrictive bilabiale issue de -b-
devant voy. homorgane) «comparaison, similitude», terme de rhét. (Sénèque,
Quintillien); puis, chez les aut. chrét.: 1. «parabole» (Tertullien, St
Jérôme); 2. «discours grave, inspiré; parole», ce double sens étant dû à
l'hébreu pārehāl (Job, 1: assumens parabolam suam«reprenant son discours»;
Num.: assumptaque parabola sua, dixit; par la suite: Gloss. Remigianae: in
rustica parabola «en lang. vulg.»), v. Ern.-Meillet, Blaise, Vaan., Löfstedt,
Late Latin, pp.81 sqq. Le lat. est empr. au gr. παραβολη «comparaison [par juxtaposition],
illustration» empl. dans les Septante au sens de «parabole» (Marc). Parabola a
supplanté verbum dans l'ensemble des lang. rom. (sauf le roum.) grâce à la
fréq. de son empl. dans la lang. relig., verbum étant spéc. utilisé dans cette
même lang. pour traduire le gr. λογος, v. verbe. Nome compiuto : Marchese. De Calboli. Paulucci.
Paolucci. Francesco Giuseppe Paulucci di Calboli. Francesco Paulucci di
Calboli. Keywords: de parabola, parabola, parola, parlare, hyperbola, cyclo,
ellipsis. exercitatio philosophica. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice e Calboli,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Calcidio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library.
(Roma). Filosofo italiano. Commenta il "Timeo" di Platone. Per
impulso di un OSIO al quale con una lettera CALCIDIO dedica l’opera sua,
è un platonico con forti tendenze eclettiche o dilettanti.Secondo la
tradizione manoscritta, C. si dove identificare il dedicatorio del lavoro a
quell’Osius o Hosius di Cordova che prende parte ai concili di Nicea e di
Sardica.Nella stessa epoca e vissuto C., che viene detto diacono o arcidiacono
della stessa diocesi. In ogni modo, nel Commento del Timeo, C. mostra di
conoscere bene il Testameno ebreo, che ritiene ispirata da Dio, cita Origene e
accenna a credenze dei galilei.Il Commento al Timeo di C. deriva in ultimo da
quello di Posidonio, mediato però da uno del liceale Adrasto d’Afrodisia per la
parte matematica, astronomica e musicale e da uno di seguace del Platonismo dal
quale sembra provenire anche lo pseudo-plutarcheo "De fato."Non è
escluso, anzi, che il secondo commento sia stato l’unica fonte di C.. C. sopra
tutti i filosofi ammira Platone, di cui cita passi di diversi
dialoghi.Inoltre, C. menziona molti altri autori (stoici, neo-pitagorici,
Filone d'Alessandria, Numenio), che probabilmente conosce soltanto
indirettamente. Queste citazioni svariate sono l’espressione estrema del
suo eclettismo o dilettantesimo a base platonica. Con Platone, C. parla di
tre principi delle cose, Dio, il modello (cioè la idea) e la materia.In ciò si
accorda con Albino, col quale riduce la idea a un pensiero divino.Con lo
Stoicismo, C. identifica il divino al principio attivo, la materia al principio
passivo. Però, mentre fa della materia un principio originario e sostiene
che il mondo non è stato creato nel tempo, C. si sforza di affermare che in
questi argomenti l'origine di cui si parla non ha carattere cronologico, ma
designa una dipendenza. C. si esprime quindi in modo improprio quando
ammette l'eternità dell’origine delle cose e della materia. Dalla materia,
in cui Dio impone le immagini dell'idea, e provenuto il corpo. Mentre in
questa parte, in complesso, predomina il pensiero di Platone, nello studio
delle potenze divine si presentano dottrine del Platonismo, che preparano
quelle neo-platoniche, ma in alcuni punti essenziali ne differiscono
fortemente. Al vertice sta il divino supremo o il sommo bene, che, con
Platone, è posto sopra ogni sostanza e dichiarato superiore all’intelletto e
ineffabile. Al disotto di esso sta un secondo divino, la provvidenza,
identificata al vobis, che è la volontà e insieme l'eterno atto
della mente divina. Le cose divine intelligibili e quelle prossime ad
esse, sottostanno soltanto alla provvidenza, le naturali e corporee sono
soggette al fato, o serie delle cause, che deriva dalla prima ed è una legge
divina promulgata per reggere ogni cosa. Di questa legge è custode un terzo
divinito, l'anima cosmica, che C. chiama la seconda mente o il secondo
intelletto. Questa tri-partizione del divino riprende uno schema di Albino
e si allontana dal neo-Platonismo perchè non denomina Uno il primo principio,
gli attribuisce la volontà che Plotino gli nega e non parla della derivazione
della materia nei termini caratteristici di quel sistema. La teoria della
provvidenza e del fato (affine a quella dell’opera pseudo-plutarchea) sembra
pure attinta a una fonte platonica. Le teorie sui demoni e sul destino
delle anime dopo la morte concordano con quelle della scuola platonica e di
Posidonio. In complesso C. giustappone teorie svariate senza
ri-organizzarle.La filosofia di C., però, sebbene priva di ogni originalità, e
l’unica via di accesso alla filosofia platonica di cui potè disporre la
civilizazione occidentale e costituì per esso una delle fonti maggiori della
storia del pensiero romano antico. Calcidio Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Manoscritto medievale del Timeo di Platone,
tradotto da C. Filosofo romano. Della vita di C. sappiamo pochissimo. C. traduce
il Timeo di Platone in LATINO, corredandola di un ampio Commento. La datazione
della traduzione è dibattuta. Tra gli elementi più importanti utilizzati per
collocare C. nel tempo e nello spazio c'è la lettera introduttiva all'opera,
dedicata ad OSIO, al quale egli fa riferimento più volte nel suo Commento.
Nella lettera C. racconta come OSIO gli abbia affidato un incarico tanto arduo
come la traduzione e il commento del Timeo al LATINO, impresa, secondo C., mai
tentata fino a quel momento (operis intemptati ad hoc tempus). Una subscriptio
trovata in alcuni manoscritti fa luce sul problema della datazione dell'opera:
"Osio Calcidius ". Dalla subscriptio si evince, quindi, che Ca. era
l'arcidiacono di un vescovo Osio. Nel periodo tardo imperiale è noto un Osio,
diocesi di Cordova, figura importante del cristianesimo occidentale. Nei
Concili di Nicea e Sardica, Osio giocò un ruolo decisivo nella difesa
dell'ortodossia contro l'arianesimo. Se si tratta di questo Osio, Calcidio
avrebbe realizzato la sua traduzione del Timeo. Waszink, l'editore di C. si
oppone a questa ipotesi, che è sempre stata quella tradizionalmente più
accettata, e ritiene che C. debba essere collocato intorno alla fine del IV
secolo o all'inizio del V. Secondo Waszink, l'ambiente in cui sarebbe stato
redatto questo trattato neoplatonico e cristiano sarebbe quello della Milano
della fine del IV secolo, quando la città italiana era un fiorente centro di
platonismo sia pagano che cristiano, e l'Osio cui si fa riferimento nella
lettera introduttiva potrebbe essere un alto funzionario imperiale attivo a MILANO.
Tuttavia non esistono prove dell'esistenza dell'Osio ipotizzato da Waszink. La
teoria di Waszink è stata respinta da Dillon, che ha ripreso la datazione
tradizionale dell'opera, ed è oggi generalmente abbandonata dagli
studiosi. Il “Timeo” era già stato tradotto in latino da CICERONE. La
traduzione di C. differisce notevolmente da quella di CICERONE, che forse C.
non conosce. Il Commento – L’UNICO COMMENTARIO LATINO ad un'opera di Platone
pervenutoci - riguarda solo il testo da 31c4 a 53c3. Per il suo commentario C.
fa abbondante uso di fonti greche antiche. Si basa probabilmente sul Commento
al Timeo di Adrasto e sulle opere di Albino, Numenio, Porfirio e Filone. Il suo
Commento riporta gran parte del capitolo sull'Astronomia della Matematica utile
per comprendere Platone di Teone di Smirne. C. vi espone le conoscenze
astronomiche del primo secolo e, accanto ai modelli di Eudosso e Ipparco,
descrive anche il modello attribuito a Eraclide Pontico, che sostiene che
Venere e Mercurio ruotano intorno al Sole. C. concepisce la materia come
sostanza pura e vuota, o anche come l'essenza priva di qualità (in greco:
apoios ousìa) del PORTICO, che con l'Ápeiron di Anassimadro condivide l'essere
infinita e illimitata, priva delle determinazioni qualitative e quantitative
che invece caratterizzano gli enti che si muovono al suo interno. Tale materia
primordiale è necessaria per spiegare il molteplice colto dai sensi, che è
mobile e divisibile, ma essa in sé e per sé non può essere oggetto di
percezione sensibile; al contrario, gli organi di senso possono percepire
soltanto la materia unita a una qualche forma intellegibile, ed è poi compito
dell'analisi delle mente astrarre la materia pura dalle forme che sono
congiunte ad essa dal Demiurgo artefice del mondo. La sintesi della mente
umana giunge così a identificare i tre principi primi: Dio assimilato al
Demiurgo platonico, l'idea (exemplum) e la materia (in latino: silva,che rende
il greco antico ulē), da non confondersi con i quattro elementi, che sono
qualitativamente determinati[6] e nemmeno con la loro unità primitiva, come
Diogene Laerzio aveva inteso la materia prima. Il Timeo nella traduzione
di C. è l'*unica* opera di Platone nota agli studiosi dell'Occidente latino
fino a quando Aristippo traduce in latino il “Menone” e il “Fedone”. Traduzione
e Commento furono molto diffusi durante tutto il Medioevo, al punto che se ne
sono conservate più di cento copie manoscritte. Furono realizzati vari commenti
alla traduzione di C. tra i quali quello di Isdoso e quelli dei teologi della
scuola di Chartres, come Bernardo di Chartres e Guglielmo di Conches. I maestri
di Chartres danno al fatto della creazione un'interpretazione filosofica.
Partendo dagli assunti di base del platonismo, cercano di dimostrare
l'esistenza di una corrispondenza tra la visione del mondo espressa nel Timeo e
quella descritta nel racconto biblico della creazione. Bernardo è considerato
l'autore delle Glosae super Platonem, un anonimo commentario al Timeo nella
versione di C. sotto forma di glosse.[10] Il filosofo e poeta Bernardo
Silvestre fu una delle personalità di questo periodo che furono maggiormente
influenzate dalla filosofia platonica. La sua cosmologia e antropologia
rivelano la profonda influenza del pensiero di Calcidio. Anche il poema De planctu
Naturae di Alano di Lilla contiene idee tratte dal Timeo e dal commentario
calcidiano. L'opera di C. fu molto apprezzata anche nel periodo
rinascimentale, iniziato in Italia alla fine del XIV secolo. L'interesse per C.
è testimoniato dalle numerose copie manoscritte dell'opera risalenti a
quest'epoca - almeno 40, 28 delle quali provengono dall'Italia. Una parte dei
manoscritti contiene solo la traduzione del Timeo, una parte solo il commento,
una parte traduzione e commento insieme. La maggior parte delle principali
biblioteche pubbliche e principesche d'Italia e numerosi umanisti ne avevano
una copia. PETRARCA (si veda) annota la
sua copia dell'opera, oggi conservata presso la Bibliothèque Nationale a Parigi.
L'umanista FICINO (si veda), più tardi divenuto famoso come traduttore e
interprete dei dialoghi platonici, fa una copia manoscritta del commento,
corredandola di un gran numero di note sulla lingua, sui contenuti e sulle
fonti. Più tardi, quando realizzò una nuova traduzione latina del Timeo, fece
solo occasionalmente ricorso a Calcidio, perché il suo latino non soddisfaceva
gli elevati standard degli umanisti. Anche l'amico di Ficino PICO (si veda) ha una
copia dell'opera di C., annotata di suo pugno. L'editio princeps della
traduzione e del commento del Timeo fu pubblicata a cura dell'umanista
GIUSTINIANI, vescovo di Nebbio. Nella lettera di dedica, Giustiniani esprime il
suo entusiasmo per la cultura e l'imparzialità di C.. Secondo Giustiniani,
infatti, C. scrive in un modo così oggettivo che dalle sue parole non si poteva
evincere nemmeno se fosse attamente romano pagano. Più tardi, alcuni studiosi
considerarono C. ebreo, altri - come il filosofo Cudworth e il filologo
Fabricius - lo ritennero, al contrario,
cristiano. Un'altra ipotesi fu avanzata dallo storico Mosheim che giunse alla
conclusione che C. non è né un cristiano né un ebreo, né un platonico puro, MA
UN ROMANO pagano che ha arricchito la sua filosofia platonica con altri concetti.
Fabricius pubblicò una nuova edizione della traduzione e del commento del Timeo
ad Amburgo. La filosofia antica, Adorno, Feltrinelli; Moreschini
(ed.): C.: Commentario al “Timeo” di Platone, Milano; Bakhouche (ed.):
Calcidius: Commentaire au Timée de Platon, Parigi; Dupuis : Préface à la
traduction de Théon de Smyrne, Exposition des connaissances mathématiques
utiles pour la lecture de Platon, Hachette, 1892. ^ Pierre Duhem, Le
système du monde; Moro, Francesca Menegoni e Giovanni Catapano, Il concetto di
materia nei commentari alla Genesi di Agostino; Università di Padova-FISSPA; Caiazzo,
La materia nei commenti al Timeo, in Quaestio. Annuario di storia della
metafisica; Grant, Science and Religion, Greenwood; Waszink, (ed), Timaeus, a
Calcidio translatus commentarioque instructus; Warburg Institute et Brill,
Londres-Leiden, 1962: Secondo Waszink, il periodo in cui l'opera fu
maggiormente copiata fu tra il XII e il XV secolo. Secondo Raymond Klibansky: This dialogue [Timaeus], or rather its first
part, was studied and quoted throughout the Middle Ages, and there was hardly a
mediaeval library of any standing which had not a copy of Chalcidius’ version
and sometimes also a copy of the fragment translated by Cicero. ^ Terence Irwin;
Classical philosophy: collected papers, Taylor et Francis. Sulla questione
della paternità si veda Béatrice Bakhouche (ed.): Calcidius: Commentaire au
Timée de Platon, Vol. 1, Parigi; Dronke: The Spell of C., Firenze; L'adorabile
vescovo di Ippona": atti del Convegno di Paola, Franca Ela Consolino,
Rubbettino; Hankins: The Study of the Timaeus in Early Renaissance Italy. In Hankins:
Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, Bd. 2, Rom; Hankins: Plato
in the Italian Renaissance, Leiden; Wrobel: Platonis Timaeus interprete
Chalcidio, Frankfurt (Ristampa dell'edizione Leipzig); Bronislaus W. Switalski:
Des Chalcidius Kommentar zu Plato’s Timaeus, Münster; Wrobel: Platonis Timaeus
interprete Chalcidio, Frankfurt
(Leipzig); Bronislaus W. Switalski: Des C. Kommentar zu Plato’s Timaeus,
Münster; Vgl. Jan Hendrik Waszink: Calcidius. In: Reallexikon für Antike und
Christentum, Supplement-Lieferung, Stuttgart; Vedi Eginhard P. Meijering:
Mosheim on the Difference between Christianity and Platonism. In:
Vigiliae Christianae; Commentario al «Timeo» di Platone, a cura di Moreschini,
con la collaborazione di Bertolini, Nicolini,
Ramelli, Bompiani, Il Pensiero Occidentale, Milano; Commentaire au Timée
de Platon, Parigi, Traducción y Comentario del Timeo de Platón, Zaragoza; Magee
(ed.), Calcidius. On Plato's' Timaeus, Cambridge (Mass.) - London,
Harvard; Studi BOEFT, J. DEN, Calcidius on fate. His doctrine and sources,
Leiden, 1970. BOEFT, J. DEN, Calcidius on demons (Commentarius), Leiden,
CICERÓN, Sobre la adivinación, Sobre el destino, Timeo, introd., trad. y notas
de Ángel Escobar, Biblioteca Clásica Gredos, nº 271, Madrid, GERSH, Stephen,
Middle Platonism and Neoplatonism: The Latin Tradition, Publications in
Medieval Studies, vol. 23. University of Notre Dame Press, 1986. MACÍAS
VILLALOBOS, C., "La influencia de C. en la obra y el pensamiento de
Ficino", Crítica Hispánica; WASZINK, J. H., Studien zum Timaioskommentar
des Calcidius, I. Die erste Hälfte des Kommentars (mit Ausnahme der Kapitel
über die Weltseele), Leiden, Brill, WINDEN, Calcidius on Matter. His doctrine
and sources. A chapter in the history of Platonism, Leiden, Brill, Donato
Tamilia, De C. aetate, in Studi italiani di filologia classica, Bronislaus
Wladislaus Switalski, Des C. Kommentar
Zu Plato's Timaeus, Münster, Steinheimer, Untersuchungen über die Quellen des C.,
Aschaffenburg 1912. C., su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana; Calogero, C., in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, C., in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, C., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. C., su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata
(LA) Opere di Calcidio, su Musisque Deoque. Opere di C., su PHI Latin Texts,
Packard Humanities Institute. Opere di C., su digilibLT, Università degli Studi
del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di C., su open MLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di C., su Open Library, Internet Archive. su V · D · M Platonici Portale Biografie
Portale Filosofia Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Filosofi
cristiani Neoplatonici Traduttori dal greco al latino Commentatori di Platone [altre]
Calcidio or Chalcidius translated the Timeo, and produced a commentary on it
that still survies. In his understanding of matter and form, he appears to
have borrowed substantially from Aristotle. His commentary is also a valuable
source of information on the Porch physics as he makes several references to
what Zeno of Citium, Crisippo di Soli and Cleante thought about such issues as
fate and substance. He may also have been familiar with the works of Giamblico
and Porfirio. Nome compiuto: Calcidio. Keywords: Cicerone. Calcidio. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Calcidio,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Calderoni:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bene comune,
bene summon – Remigio di Gerolami e il bono comune (koinon agathon) di
Aristotele—scuola di Ferrara – filosofia ferrarese – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Ferrara). Filosofo
emiliano. Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Grice:”Calderoni knew
everything – he corresponded with Lady Viola, as I didn’t – and he pleased the
lady, because the lady knew that Calderoni was using all the right words – none
of the heathen ‘mean,’ but all about ‘segno’ and ‘segnare’ and ‘intenso,’ – It
is drawing from the Calderoni tradition that I arrive at the
meaning-as-intention paradigm I’m identified with! And note that sous-entendue
is Millian for implicatura!” -- Grice: “Calderoni is a genius; he is, like me,
a verificationist – I mean, read my ‘Negation’: the two examples I give relate
to sense data: “I’m not hearing a noise,’ and ‘That is not red.’ Calderoni
tries the SAME! He founded a verificationist (or ‘pragmatist’ club at Firenze),
and he corresponded with Peirce when I only decades later, tutored my tutees on him!” -- Grice: “Calderoni is serious about
truth-conditivions having to be understaood as ‘assertability’ conditions – and
these assertability conditions providing much of the ‘sense;’ admittedly, he
uses ‘sense’ more loosely than I do – but on the good side, he uses ‘nonsense’
in a tigher way than I do!” Teorico del diritto italiano (pragmatismo
analitico italiano). Studia a Firenze e si laurea a Pisa, con “I
postulati della scienza positiva ed il diritto penale”. Collabora alle riviste
Il Regno e Leonardo, su cui scrive una serie di saggi, in autonomia o in
collaborazione col maestro Vailati. Presenta comunicazioni in diversi Congressi
internazionali: Monaco, Parigi, e
Ginevra. Mantiene contatti e scambi con Halévy, Boutroux, Russell, Couturat,
Brentano, Ferrari, Pikler, Mosca, Pareto, Croce, Juvalta, Peirce e molti altri.
Il saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali”. Successivamente ottiene
una libera docenza a Bologna, dove tiene
un corso sul pragmatismo dal titolo “L’assiologia, ossia, la Teoria Generale
dei valori”. Scrive in collaborazione con Vailati “Il Pragmatismo” raccolta di
tre articoli introdotti nella Rivista di Psicologia applicata (“Le origini e
l'idea fondamentale del Pragmatismo”; “Il Pragmatismo ed i vari modi di non dir
niente” – “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica”. Trascorsa
l'estate a Rimini a curare i sintomi d'una bruttissima depressione, ritorna a
Firenze, dove inizia nuovamente il corso universitario su Teoria Generale dei
valori all'Istituto di Studi Superiori, senza riuscire a terminarlo, dal
momento che, a causa di un aggravamento repentino dell'esaurimento mentale,
abbandona la docenza. Muore in una casa di salute ad Imola. Mette sotto analisi
e in correlazione senso comune e scienza attraverso lo strumento
meta-discorsivo della filosofia, intendendo costruire conoscenza e scienza coi
mattoni della teoria della mente, e usando come riferimenti culturali analisi
brentaniana di stati mentali e teoria dinamico-funzionale della mente di James
e di Pikler. Saggi di riferimento sono due: è con “La Previsione nella teoria
della conoscenza” che intende analizzare
condizioni di verità e condizioni di validità della conoscenza, sia discernendo
enunciazioni sensate da non-sensi sia indicando un metodo di verificazione,
nell'istanza verificazionista di illustrare a fondo i meccanismi della
conoscenza (verificazione e verità), oltre all'obiettivocome accade anche nel
Peirce di avvicinare teoria della conoscenza e semantica dei discorsi (verità e
senso); ed è col successivo saggio, “L'arbitrario nel funzionamento della vita
psichica” che, accettata l'eredità vailatiana, intende mostrare l'esistenza di
una stretta connessione tra attività conoscitive dell'uomo comune ed attività
conoscitive dello scienziato, accostando tale saggio teoria della mente e
teoria della scienza. La lettura sinottica dei due testi conduce a riconoscere la
tendenza a costruire una teoria dell’animo caratterizzata da riferimenti
costanti alla teoria della conoscenza e alla teoria della scienza.
Precorrendo semiotica moderna e verificazionismo schlickiano, costuisulla scia
di una certa tradizione continentale e americana indicata dal maestro Vailati-
riconosce nei discorsi umani un trait d'union irresistibile tra senso e verità,
e ri-definisce la norma di Peirce come norma di senso e norma di verificazione
[articoli di riferimento sono due: col breve Il senso dei non sensi, intende esaminare cosa sia senso di una
enunciazione e se esista un unico criterio idoneo a differenziare enunciazioni
sensate da non-sensi o a costruire un concreto metodo di verificazione, unendo
all'istanza semantica di attribuire un senso ai vari modelli di mezzo
comunicativo inter-individuale (intersoggetivo) il sincero desiderio analitico
di rinvenire rimedi sicuri contro l'indeterminatezza naturale di termini,
enunciazioni e discorsi e la conversazione umana, ed essendo cassa di risonanza
all'obiezione contestualistica vailatiana contro l'atomismo semiotico
dominante. Nel successivo saggio Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente
totalmente debitore alla prolusione vailatiana al corso di Storia della
meccanica “Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della
scienza e della cultura”, mostra di essere abile concretizzatore dell'eredità
vailatiana tentando di mettere in stretta combinazione intuizione dell'artificialità
della conversazione umana e nozione di analisi semantica come rimedio all'indeterminatezza
dei mezzi di comunicazione. La lettura sinottica dei due saggi conduce a
riconoscere in Calderoni tendenze a costruire una teoria della conversazione
umana caratterizzata da riferimenti a convenzionalismo e contestualismo, a
rifiutare derive essenzialistiche nell'uso di termini ed enunciazioni e a
sottolineare la valenza farmaceutica o terapeutica dell'analisi
semantica. Nella posizione giusfilosofica, l'etica, nella sua dimensione
totale, è tematica centrale nella sua filosofia, introducendo costui una
modalità rivoluzionaria di considerare tale materia; In lui e in altri autori
d'ambiente simile come Juvalta e Limentanila tradizionale distinzione tra etica
normativa o prescrittiva ed etica descrittiva o meta-etica è considerata
insufficiente. Si mostra sostenitore di un orientamento innovativo in merito al
discorso sullo statuto dell'etica. Se l'etica normativa o materiale domina
l'intero corso della storia dell'etica umana, il riconoscimento della valenza
descrittiva o metaetica o formale dell'etica è ricorrenza teoretica dell'intero
ottocento, avendo effetto sulla cultura ottocentesca la tendenza rinascimentale
a considerare l'etica come una scienza o un calcolo more geometrico.
L'Ottocento concretizza antecedenti tendenze ad estendere all'ambito dell'etica
i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Questa intuizione e il
riconoscimento della centralità dell'analisi lo conducono ad introdurre e
sostenere un nuovo modello di statuto dell'etica: etica è una scienza
costituita dai tre rami della meta-etica, dell'etica descrittiva e dell'etica
normativa. Più che al discorso meta-etico, si orienta verso l'etica descrittiva
e normative. In merito alla meta-etica non esiste un discorso diretto dei
nostri due autori, laddove invece etica descrittiva e etica normativa sono
esaminate coàn riferimenti diretti ed attraverso articoli mirati. Saggi a cui
si rinviasenza tener conto della tesi di laurea I Postulati della Scienza
Positiva ed il Diritto Penale dove è comunicata una visione immatura e non
ancora coerente dell'etica- sono: con Du role de l'évidence en morale, del Calderoni
introduce una coerente critica dell'etica normativa tradizionale mettendo sotto
esame utilitarismo e kantismo etici, e con il saggio successivo “De l'utilité
“marginale” dans les questions d'etìque, introduce un tentativo di indicare
un'etica descrittiva che si serva dello strumentario dell'economia; tali
tentativi si concretizzano nel saggio “Disarmonie economiche e disarmonie
morali” contenente estesi accenni a tutti i rami della nuova scienza e mirando
ad estendere in maniera definitiva all'etica lo strumentario della recente
scienza economica;. In “L'imperativo categorico” c'è la reazione al neokantismo
etico e ad un saggio di Croce in cui si recensiva, con molte riserve,
Disarmonie; con i brevi La filosofia dei valori ed Il filosofo di fronte alla
vita morale, ci si limita a riassumere tematiche e discussioni antecedenti,
introducendo chiarimenti ed attuando delucidazioni. La lettura sinottica dei
testi di Calderoni e Vailati conduce ad indicare l'esistenza di tre aree
tematiche essenziali: un discorso sulle funzioni e sullo statuto dell'etica
(meta-teoria etica); un dibattito sul
senso di termini, enunciazioni e discorsi morali e; una discussione su
funzionamento effettivo ed ideale di un sistema morale (etica descrittiva e
normativa). Ssi chiede cosa sia l'etica, che senso abbiano i suoi discorsi e
che modello di normatività essa abbia, e si domanda come descrivere in maniera
esauriente i cosiddetti mercati etici o come massimizzare l'incidenza dello
scienziato della morale nella modificazione delle scelte sociali. Più che
Vailati, è lui ad estrinsecare l'«atteggiamento» giuridico del Pragmatismo
italiano, nella sua riflessione ius-criminalistica sulle nozioni di volizione,
libertà e responsabilità. La discussione in merito alle relazioni tra volizione
e diritto è fervente all'interno della cultura italiana dell'Ottocento. Secondo
Scuola Classica del diritto criminale, volizione umana è base del momento
d'attribuzione della sanzione, in connessione al libero arbitrio. Secondo la Scuola
Positiva del diritto criminale è necessario sconnettere tale nozione dal
concetto di libero arbitrio, non esistendo azioni incausate (scevre da co-azione)
e cadendo volizione insieme a libero arbitrio. Affronta il dilemma della
volizione (distinzione tra atto volontario e involontario) all'interno del suo
cammino di chiarimento e ridiscussione dei termini di discorso ordinario e
discorsi tecnici, stimolato da alcune antecedenti intuizioni di Vailati; e
analizza tale dilemma in due diversi momenti della vita, in I Postulati della
Scienza Positiva ed il Diritto Penale, e sia nel saggio leonardiano Credenza e
volontà. Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari, sia in un
successivo contributo su altra rivista La volontarietà degli atti e la sua
importanza sociale. Il saggio introduce un'analisi culturale ricchissima di
riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del conflitto
ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra scuola
classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche del
diritto criminale evidenzia il suo tentativo conciliazionista di mediare tra
due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo scientifico,
ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione tanto caro a Vailati e
all'intera analitica novecentesca. Pescando dalla metodica analitica lo
strumento della ri-definizionemutuato dal maestro Vailati e riassunto con
estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della
nazione del diritto di Del Vecchio -, avvia un tentativo di «conciliazione» tra
scuola classica e positivisti, in cui, la riflessione sul libero arbitrio e il
diritto di punire costituisce la premessa per affrontare con un chiaro apparato
concettuale l'ulteriore questione dei metodi di studio del diritto penale, attraverso
un'esaustiva ridiscussione dei binomi libertà/ causazione (momento di
attribuzione del delitto), tutela/ difesa (momento di esecuzione della
sanzione) e metodo astratto/ concreto (momento di determinazione del delitto).
Rconosce due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si
pone come avversaria alla classica. L'uno è rappresentato dalla questione del
libero arbitrio, l'esistenza del quale la scuola classica postula come
fondamento della imputabilità, mentre è dall'altra scuola negata. L'altro punto
è la gius-tificazione del diritto di punire, che l'una pone nella giustizia,
l'altra nell'utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi
dai suoi nemici. Per misurare la nozione di responsabilità introdotta
nell'orizzonte culturale italiano d'inizio secolo scorso da lui è necessario
muoversi tra i sue due contribute scarsamente esaminati dalla dottrina moderna
(I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale e Forme e criteri di
responsabilità, senza trascurare come tale concetto mai si distacchi dalla
distinzione vailatiana tra atto volontario e atto involontario o dal binomio
libertà/causazione, tanto cari al dibattito ottocentesco tra Positivisti e
scuola classica italiana del diritto criminale. Gli accenni vailatiani e
calderoniani ai temi della volizione, causazione, libertà confluiscono alla
luce di suo attento ed autonomo esame in
un'assai moderna definizione del concetto di responsabilità, in cui il negatore
del libero arbitrio che non sia vittima di equivoci sul valore di tal
negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità, qualità
esistenti nell'uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere studiate nella
loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni infinite, e
subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti, a concepire in
altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente,
che staticamente. Pur se tale concetto sottenda contaminazioni etiche
d'inaudita modernità e benché in Forme e criteri di responsabilità sia
delineata l'idea dell'esistenza di un confine sottile tra morale e diritto, nascendo
come teorico del diritto- si mantiene saldo nel declinare come il termine
“responsabilità” si usi all'interno dell'universo di diritto criminale e
diritto civile; nella trattazione calderoniana «responsabilità» si immettecome
in Hegel/Weber nel contesto della vita statale o sociale e si smarcacome nel
«marxismo occidentale» moderno e in Lévinasdai risvolti individualistici
dell'etica antica. C. nell'incipit di Forme e criteri di responsabilità-
scrive: Pochi termini trovano, in ogni campo della vita sociale, così
larga applicazione come il termine responsabilità. L'andar soggetto a
responsabilità è la sorte, spiacevole o piacevole, di chiunque vive nella
compagnia dei propri simili e si trovi in una data compagnia di dati suoi
simili. Nulla potrebbe meglio servire a distinguere l'uomo vivente in società
da un ipotetico uomo vivente in stato di natura” che l'essere il primo avvolto
in una fitta rete di responsabilità. Responsabilità se ne trovano dovunque gli
uomini vengano in urto o in conflitto fra di loro. La riflessione calderoniana
incentrata sulla strada della critica sia nei confronti del nazionalismo
corradiniano sia nei confronti del socialismo rivoluzionario si innesta su un
contesto storico e culturale come l'Italia di Giolitti d'inizio Novecento caratterizzato
dalla intensa dialettica civile tra nazionalismi e socialismi, e, all'interno
di essa, tra visioni moderate (nazionalismo liberale e socialismo riformista) e
concezioni estreme (nazionalismo estremo e socialismo rivoluzionario). Gli auoi
interventi di pubblicati sulla rivista di Corradini scrive M. Toraldo di
Francia- possono distinguersi dal punto di vista dei contenuti e cronologicamente
in due gruppi. Del primo fanno parte gli articoli polemici nei confronti del
nazionalismo propagandato dalla rivista, nel secondo invece si collocano gli
ultimi due scritti, di impronta nettamente “anti-socialista”. La via
dell'analisi sul nazionalismo moderato (liberale e liberista) sondata nelle
recensioni vailatiane a Pareto, Dumont, Trivero, Tombesi, Pierson, Einaudi, Rignano
e Landryè battuta da lui in maniera minuziosa alla luce dei due saggi “Nazionalismo
antiprotezionista? e Nazionalismo borghese e protezionista” nella direzione
d'una estesa accusa al nazionalismo di Corradinia. Moderati dall'interesse
vailatiano verso il socialismo riformista, internazionalista, e non
materialista di darwinismo sociale kiddiano e anti-materialismo effertziano, I
suoi moniti critici nei confronti del socialismo rivoluzionario si estrinsecano
invece con consueta chiarezza nei due contribute, “La questione degli scioperi
ferroviari” “e La necessità del capitale”. Dalle colonne della rivista
corradiniana Il Regno, isulla scia del moderatismo del maestro Vailatitenta di
maturare una concezione intermedia tra estremismi di destra e di sinistra,
idonea a sacrificare valori e ideali della borghesia italiana alla tutela del
bene comune dell'intera nazione e stato italiano, in nome della necessaria
vitalità di un'industria e di un'economia in inarrestabile ascesa internazionale;
a dettacontra Prezzolini- si deve sacrificare il “bene comune” dei ceti sociali
abbienti sull'altare del bene nazionale: Per me personalmente, che mi
sento anzitutto italiano e poi borghese, mi auguro che l'Italia sappia
sbarazzarsi di tutti gli elementi dannosi ed infecondi che la dissanguano e la
opprimono. Dovesse anche, in questo processo di eliminazione, andar sacrificata
buona parte della borghesia attuale, per essere sostituita (attraverso il
meccanismo democratico) da elementi più vitali e più utili che sono veramente
gli interessi della Patria. Scritti, Firenze, La Voce. voll. I e II M. Toraldo di Francia,
Pragmatismo e disarmonie sociali. Scritti sul Pragmatismo (Roma) Pragmatismo
analitico. Dizionario biografico degli italiani. Il riferimento esordiale
alle tragiche contingenze politiche è per il G. ponte logico ai fondamenti
filosofici del trattato: in Firenze sprovvista di giustizia e onestà, i
cittadini sono come oggetti inanimati esteriormente simili, ma la cui essenza,
isolata nella propria individualità, non stabilisce tra loro alcun legame
sostanziale. Essi sono semplici simulacri di cittadini, poiché non sono in
grado di percepire l'altro e percepirsi collettivamente, dunque di amare il
bene comune più del proprio. Quest'ultimo tema ("bonum commune preferendum
est bono particulari et bonum multitudinis"), motivo fondamentale del
trattato remigiano, e argomento comunissimo nelle coeve trattazioni di
filosofia morale e politica, discende dall'Ethica Nicomachea aristotelica. Il
tema ha in Aristotele, come nel G. e nei filosofi medievali che da Aristotele
dipendono, una dimensione ontologica - l'intero ha più essere della parte, la
quale esiste solo in subordine a esso - che è stata sviluppata in direzioni
alquanto diverse: la realizzazione d'una potenzialità intellettiva comune a
tutto il genere umano, che sembra asservire all'argomento politico
l'interpretazione monopsichistica dell'intelletto attivo, è per esempio la via
percorsa d’ALIGHIERI (si veda) in Monarchia. Nel G. quest'idea ha una decisa
impronta dionisiana - l'amore del singolo verso il tutto è mezzo di superamento
dei limiti dell'individualità, uscita da sé (extasis) e congiungimento con Dio
(Dionigi, De divinis nominibus) - e agostiniana - la congruenza della parte col
tutto coincide con la bellezza dell'universo (Agostino, Confessiones) -.
Tuttavia, come è merito del Panella aver chiarito, questo organon filosofico,
applicato alla realtà comunale, determina nell'opera il passaggio dal concetto
di bene comune alla concreta formulazione del bene del Comune, ch'è il tratto
più originale del pensiero politico remigiano.Totalitas Ante Partes ovvero sul
Bene Comune: spunti aristotelici, tomistici, marxiani,
senesi e dal secondo emendamento della Costituzione
americana Materiali di studio per Master Class Morigi Guercino, AQUINO
(si veda) scrive assistito dagli angeli, Basilica S. Domenico, Bologna, Aristotele,
Politica: sulla naturalità della famiglia: «La comunità che si
costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, icui membri
Caronda chiama «compagni di tavola», Epimenide cretese «compagni di
mensa», mentre la prima comunità che risulta da più famiglie in vista di
bisogni non quotidiani è il villaggio. Nella forma più naturale il
villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni
chiamano «fratelli di latte», «figli» e «figli di figli». Per questo gli
stati in un primo tempo erano retti da re, come ancor oggi i popoli barbari:
in realtà erano formati da individui posti sotto il governo regale - e,
infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano, e lo
stesso, quindi, le colonie per l’affinità d’origine.»: pp. 2-3 di
Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su
Internet Archive agli URL archive.org/ details/ politica-aristotele-
file-creato-da-massimo-morigi-per-master-class-13-f1 e //ia601403 Aristotele,
Politica: Lo stato è un dato di natura, ma un dato di natura generato
dall’aggregarsi di altre subunità sociali, la famiglia e poi il
villaggio, anch’esse naturali e che lo precedono. Inoltre, lo stato, come
queste subunità, esiste non solo per rendere possibile la vita ma una
vita felice, intendendo per felice non dal punto di vista meramente
edonistico ma per realizzare in ogni uomo la sua entelechia che è il
vivere associati e in armonia, cioè di realizzare la propria
totalità umana nella totalità sociale: «La comunità che risulta di
più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il
limite dell’autosufficienza completa: formato bensì per rendere possibile
la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Quindi
ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime
comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fine,: per esempio quel
che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua
natura, sia d’un uomo, d’un cavallo, d’una casa. Inoltre, ciò per cui una
cosa esiste, il fine, è il meglio e l'autosufficienza è il fine e il
meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un prodotto
naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori
della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o
è superiore all'uomo, proprio come quello biasimato da Omero «privo di
fratria, di leggi, di focolare»: tale è per natura costui e, insieme,
anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi:
p. 3 di Aristotele, Politica, Aristotele, Politica: La chiusura di quanto
sopra affermato con un assai attuale insegnamento intorno alla retorica
dei diritti (individuali, politici e/o sociali). Per Aristotele è
evidente che quanti cercano di far prevalere i propri diritti a
discapito dell’interesse comune, dell’interesse cioè della totalità
sociale (che lo stagirita definisce come bene assoluto) sono pervasi
da spirito di dispotismo, vogliono fare di sé stessi despota che
comanda e/o ignora ogni altra istanza e necessità sociale. In realtà, ci
dice Aristotele, il despota politico, altro non è che un despota privato
che ha avuto maggior successo degli altri. Un grande ed attualissimo
insegnamento riguardo a coloro che si piegano o praticano l’attuale
retorica su una democrazia basata sulla dirittoidolatria a discapito
della totalità sociale. Tutto ciò altro non fa che a pavimentare le strade
del dispotismo e della morte, prima solo morale e poi anche ocrazia.
Il bene comune è sempre in antitesi a tutte le forme di demagogia:
«È evidente quindi che quante costituzioni mirano all'interesse
comune sono giuste in rapporto al giusto in assoluto, quante, invece,
mirano solo all'interesse personale dei capi sono sbagliate tutte e
rappresentano una deviazione dalle rette costituzioni: sono pervase da
spirito di despotismo, mentre lo stato è comunità di liberi: p. di
Aristotele, Politica, documento caricato per Aristotele, Politica. Qui si
ribadisce che lo stato è un fatto totale che presuppone dei dati
fisico-geografici e/o economico- militari (scambi commerciali e difesa
comune) ma che in questi non si esaurisce perché esso esprime una
totalità sociale il cui fine è vivere felici, non però attraverso una
felicità egoistica ed edonistica ma una felicità che solo si può
realizzare realizzando sia a livello individuale che sociale attraverso
una vita libera e una vita dedita alla realizzazione di opere buone e
della amicizia fra tutti i membri della società. Siamo distanti milioni
di anni luce dall’homo homini lupus di hobbessiana memoria e
dall’individualismo metodologico e dalla socievole insocievolezza (Smith,
Locke, Kant) di liberalistica memoria: «È chiaro perciò che lo stato non
è comunanza di luogo né esiste per evitare eventuali aggressioni e
in vista di scambi: tutto questo necessariamente c’è, se deve esserci uno
stato, però non basta perché ci sia uno stato: lo stato è comunanza di
famiglie e di stirpi nel viver bene: il suo oggetto è una esistenza pienamente
realizzata e indipendente. Certo non si giungerà a tanto senza abitare lo
stesso e unico luogo e godere il diritto di connubio. Per questo sorsero
nelle città rapporti di parentela e fratrie e sacrifici e passatempi
della vita comune. Questo è opera dell’amicizia, perché l’amicizia è
scelta deliberata di vita comune. Dunque, fine dello stato è il vivere
bene e tutte queste cose sono in vista del fine. Lo stato è comunanza di
stirpi e di villaggi in una vita pienamente realizzata e indipendente: è
questo, come diciamo, il vivere in modo felice e bello. E proprio in grazia
delle opere belle e non della vita associata si deve ammettere l'esistenza
della comunità politica. Perciò uanti giovano sommamente a siffatta
comunità hanno nello stato una parte più grande di coloro che sono ad
essi uguali o superiori per la libertà e per la nascita ma non uguali per
la virtù politica, e di coloro che li superano in ricchezza e ne sono superati
in virtù.»: Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su
Internet E che Aristotele fosse agli antipodi della concezione liberale
dell’individualismo metodologico lo vediamo dal seguente passa della
Politica dove il concetto di economia, che nella semantica dei moderni ha
solo l’accezione del metodo su come accrescere la ricchezza, viene scisso
fra oikonomé techné e kremastiché techné, la prima dedita a procurare
alla casa e alla propria famiglia tutte le risorse per vivere bene ed in
armonia col resto della società mentre la seconda, la kremastiché
techné, è animata dal desiderio smodato dell’arricchimento personale e
senza limiti. Per Aristotele, concludendo, la oikonomé techné è naturale
e contribuisce al miglioramento della società contribuendo al
miglioramento del suo telos olistico e volto al bene mentre la seconda è
innaturale configurandosi piuttosto come un vizio che corrode le
basi olistiche del vivere associato. Nulla di più distante dalla visione
liberale e smithiana dove il macellaio non mi fornisce la carne per
benevolenza nei miei confronti ma solo ed unicamente per averne un
tornaconto personale: «Per ciò cercano una ricchezza e una
crematistica che sia qualcosa di diverso, ed è ricerca giusta: in realtà la crematistica
e la ricchezza, naturale sono diverse perché l'una rientra
nell’amministrazione della casa, l’altra nel commercio e produce
ricchezza, ma non comunque, bensì mediante lo scambio di beni: ed è
questa che, come sembra, ha da fare col denaro perché il denaro è principio e
fine dello scambio. Ora, questa ricchezza, derivante da tale forma di
crematistica, non ha limiti e, invero, come la medicina è senza limiti
nel guarire, e le singole arti sono senza limiti nel produrre il loro
fine, (perché è proprio questo che vogliono raggiungere soprattutto)
mentre non sono senza limiti riguardo ai mezzi per raggiungerlo (perché
il fine costituisce per tutte il limite), allo stesso modo questa forma
di crematistica non ha limiti rispetto al fine e il fine è precisamente
la ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni. Ma della crematistica che
rientra nell’amministrazione della casa, si da un limite giacché non è
compito dell’amministrazione della casa quel genere di ricchezze. Sicché
da questo punto di vista appare necessario che ci sia un limite a ogni
ricchezza, mentre vediamo che nella realtà avviene il contrario: infatti
tutti quelli che esercitano la crematistica accrescono illimitatamente
il denaro. Il motivo di questo è la stretta affinità tra le due forme di
crematistica: e infatti l’uso che esse fanno della stessa cosa le
confonde l’una con l’altra. In entrambe si fa uso degli stessi beni, ma non
allo stesso modo, che l’una tende a un altro fine, l’altra
all'accrescimento. Di conseguenza taluni suppongono che proprio questa
sia la funzione dell’amministrazione domestica e_vivono continuamente
nell’idea di dovere o mantenere o accrescere la loro sostanza in denaro
all'infinito. Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma
non di vivere bene e siccome i loro desideri si stendono all’infinito,
pure all'infinito bramano mezzi per appagarli. Quanti poi tendono a vivere
bene, cercano quel che contribuisce ai godimenti del corpo e poiché anche
questo pare che dipenda dal possesso di proprietà, tutta la loro energia si
spende nel procurarsi ricchezze, ed è per tale motivo che è sorta la
seconda forma di crematistica. Ora, siccome per loro il godimento
consiste nell’eccesso, essi cercano l’arte che produce quell’eccesso di
godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano per
altra via, sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale. Così non
s’addice al coraggio produrre ricchezze ma ispirare fiducia, e
neppure s’addice all'arte dello stratego o del medico, che proprio della
prima è procurare la vittoria, dell’altra la salute. Eppure essi fanno di
tutte queste facoltà mezzi per procurarsi ricchezze, nella convinzione
che sia questo il fine e che a questo fine deve convergere ogni cosa.»:
Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su Internet
Archive agli URL
archive.org/details/politica-aristotele-file- creato-da-massimo. Passiamo
ora ad AQUINO (si veda), dove sulla scorta dell’insegnamento aristotelico
la legge deve essere gerarchicamente sottoposta al concetto di bene
comune, bene comune che cristianamente (ed olisticamente secondo
l’insegnamento di Aristotele) si deve risolvere nella ricerca del bene
della società e non nella soddisfazione degli egoismi individuali:
«Lex est quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui
curam communitatis habet promulgata»: Summa Theologica, Prima Secundae, q.
90, art. 4 [La legge è un ordinamento di ragione volto al bene comune,
promulgata da chi abbia la cura della comunità]. Citazione riassuntiva
da: http://www.unife.it/giurisprudenza/giurisprudenza-
magistrale-rovigo/studiare/storia-del-diritto-medievale-e-moderno/materiale-
didattico/sovranita-moderna, Wayback nza-magistrale-rovigo/ studiare/storia-del-diritto-
medievale-e-moderno/materiale-didattico/sovranita-moderna ma che con citazione
completa: «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, lex imponitur aliis
per modum regulae et mensurae. Regula autem et mensura imponitur per hoc
quod applicatur his quae regulantur et mensurantur. Unde ad hoc quod lex
virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod
applicetur hominibus qui secundum eam regulari debent. Talis autem
applicatio fit per hoc quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione.
Unde promulgatio necessaria est ad hoc quod lex habeat suam virtutem. Et
sic ex quatuor praedictis potest colligi definitio legis, quae nihil est
aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam
communitatis habet, promulgata.»: CORPUS THOMISTICUM AQUINO (si veda) Opera
Omnia, opera omnia dell’Aquinata on line all’URL E che AQUINO (si veda)
fosse totalmente compreso nell’olismo di stampo aristotelico non lo
dobbiamo certo noi scoprire ma giova forse leggere il seguente passo, dal
Dionysii De divinis nominibus expositio, Caput II, Lectio I, dove
Tommaso arrischiando una definizione di Dio, arriva a definirlo
“Totalitas ante partes ?: «Totum autem hic non accipitur secundum quod ex
partibus componitur, sic enim deitati congruere non posset, utpote eius
simplicitati repugnans, sed prout secundum Platonicos totalitas quaedam
dicitur ante partes, quae est ante totalitatem quae est ex partibus;
utpote si dicamus quod domus, quae est in materia, est totum ex partibus
et quae praeexistit in arte aedificatoris, est totum ante partes». Alla
stessa stregua di Dio come “Totalitas ante partes”, per Tommaso anche la
società deve essere considerata come “Totalitas ante partes” (Summa
Thologiae), una Totalitas che non deve schiacciare l’individuo ma che lo
precede consentendogli, appunto, alla fine del processo dialettico
della sua paideia culturale e sociale che si svolge e si deve
svolgere sempre in società, di essere un individuo libero e non
soggiacente ai più bassi istinti egoistici e distruggenti il bene
comune. Tema da sviluppare: Tommaso erede di Aristotele sia
nelle categorie più prettamente teologico-filosofico-teoretiche sia
nelle categorie sociali, economiche e politiche, categorie in entrambi i
casi dominate dal primato della Totalità sulfinitiitane atomistico
avverso al bene comune e rifiutante questo individualismo sul piano
filosofico-teologico il concetto di totalità-Dio (e quindi di Dio tout
court) e su quello socio-economico il concetto, altrettanto totale — o se
ci fa paura il totalitario lemma ‘totale’, impieghiamo il termine
‘olistico’ — di bene comune che deve soggiacere all’atomismo filosofico e
socio-economico (individualismo metodologico. Campioni di questa
Weltanschauung: Adam Smith Hobbes, Locke, Kant). Altro tema: Marx e i suo
libro primo del Capitale come controcanto materialistico-dialettico (ma
in realtà alla fine di un assai ingenuo materialismo e assai poco
dialettico, facendo Marx la stessa fine e epi ingenui materialisti
illuministi che egli tanto giustamente critica) sul piano filosofico
all’olismo idealistico della Du hegeliana e sul piano
socio-economico alla Politica di Aristotele, nel senso della
sottolineatura marxiana della società vista come una totalità e
nell’adozione della critica aristotelica alla crematistica (Denaro
Merce Denaro della società capitalistica mentre lo schema economico
della Politica aristotelica era Merce Denaro Merce, cioè lo
sviluppo ed il rafforzamento della oikonomé techné). Fallimento del marxismo
perché ’ricaduto proprio nell’atomismo filosofico e socioeconomico degli
economisti classici che voleva criticare (Marx, cioè, alla ricerca di
una totalità che viene trovata nell’economia ma siccome l'economia
marxiana dal punto di vista analitico si riduce sempre e solo nella
critica alla crematistica, cioè alla critica agli economisti classici (Smith,
Ricardo, Malthus), cioè alla critica della moderna Kremastiché techné e
non sviluppa sufficientemente (o meglio per niente) dal punto di vista
teorico la portata olistica e volta al bene comune della oikonomé techné
tutto il suo progetto frana miseramente. Ora tema iconologico: Gli affreschi
allegorici diLorenzetti del Buon Governo, conservati nel Palazzo Pubblico
di Siena. In realtà gli affreschi originariamente erano intitolati al
Bene comune od anche della Pace e della guerra e solo in seguito
all’illuminismo presero il nome di Affreschi del buon governo: Riflettere
non solo sull’allegoria in questione ma anche sugli slittamenti semantici
delle varie epoche. Infine sul Secondo emendamento della
Costituzione degli Stati uniti, un saggio che compie una traslazione del
concetto di bene comune dai “buoni” dei mass media nazionali ed
internazionali che situano i desiderosi del rafforzamento dei
vincoli comunitari in coloro che combattono in quel paese il libero
possesso delle armi (in realtà secondo l’ autore questi non fanno altro
che voler accelerare i processi di globalizzazione e di disintegrazione
dei vincoli comunitari) ai “cattivi” che vogliono mantenere la vigenza
del secondo emendamento che garantisce tale diritto, dove però il
portare le armi non rappresenta un diritto ad uccidere ma è il
simbolo del diritto di opporsi ad uno stato dispotico e che vuole
eliminare i vincoli comunitari, uno stato, quindi, che va contro il bene
comune, se per bene comune intendiamo il mantenimento di un concetto
olistico del vivere associato. Il saggio in questione è Campa, Verso la
guera civile. Il tramonto dell’impero USA, e rinviamo infine alla
riflessione del secondo emendamento recita come segue. A well regulated Militia, being necessary to the security of a free
State, the right of the people to keep and bear Arms shall not be
infringed.» (Esortazione
certamente non applicabile alla situazione italiana ed anche europea,
tutte nazioni-stato che, comunque, nella loro travagliata mai videro il
sorgere di un federalismo conflittuale, molto conflittuale, come negli
Stati uniti, ma ricordiamo che AQUINO (si veda), proprio perché
intriso dell’aristotelico concetto di bene comune e di prevalenza
della totalità sull’individuo egoista affermava che il tiranno
che andava contro le leggi di Dio poteva anche essere ucciso. Colui che
allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato
quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere
dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto
ciò, quando non è possibile il ricorso a un’istanza superiore,
costituisce una lode per colui che uccide il tiranno»: AQUINO, Commento
alle sentenze E, il tiranno per Aristotele come per Tommaso
era colui che aveva fatto prevalere la legge del suo egoismo particolare
sulle leggi naturali che regolano la vita della comunità (quando
“non è possibile il ricorso ad un’istanza superiore”: cioè quando il
tiranno non rispetta la legge degli uomini che è stata data ed ispirata
da Dio). Il tiranno quindi non come un mostro che non ha nulla in comune
con noi, ma come un egoista che ha avuto maggiore successo degli altri
nella pratica della kantiana socievole insocievolezza. Il tirranno
pubblico o privato che sia, quindi, nella nostra situazione originata non
dalla nascita violenta di una federazione come negli Stati uniti ma da un
passato poco glorioso di altrettanto sanguinari totalitarismi politici,
non certo un nemico da abbattere fisicamente (coloro che vogliono
compiere violenza in realtà altro non mirano che a sostituirsi,
peggiorandolo, all’abbattuto, lo si vede nella grande storia delle
rivoluzioni moderne e contemporanee ed anche nella piccola,
piccolissima storia o cronaca politica di questi giorni, per farla breve
dalle stelle alle stalle...) ma un modello psicologico prima ancora
che sociale dal quale affermare interiormente e pubblicamente la siderale
distanza.) Quelibet enim pars id quod est totius est, cum extra totum non
sit pars nisi equivoce, sicut diffusius ostenidums in tractatu DE BONO COMUNII.
Quilibet autem homo particularis est PARS COMUNITATIS. Unde in hoc quod se
ipsum interficit iuniuriam comunitati facit ut Pptet per Philosophum in V
Ethicorum qui dubdit, ‘Propter quod CIVITAS dampnificat scilicet sicut potest
et quedam inhonoratio adest se ipsum corrumpenti ut civitati iniustum faciendi’
idest quasi ipse faciat iniuriam civitati puta quia fact trahi cadaver eius vel
iubet quod non sepeliatur vel aliquid tale. Citato da Alighieri C cc 278r-b
–va. Il comune di Firenze – studeat ergo civis quantumcumque sit miser in se ut
comune suum FLOREAT quia ex hopc ipso et ipse FLOREBIT – l’impiego di FLOREO
allude al gioco etimologico FLOS FLORENTIA di guittoniana memoria. Dal bene
comune al bene del comune – del bono comune al bono del comune – Qualem enim
delectationem poterit haberet CIVIS FLORENTINUS videns status civitatis sue
trisabilet et summon plenum merore? Nam plate sun explatiiate idest evacuate
domus exdomificate, casata sun cassata … poderia videntus expoderat quia ARBORE
EVOLUSE vine precise palatia destructa et non est iam poderne, idest posse ut
in eis habietus vel eatur ad ea nisi cum timore et tremore. Firenze e come un
albero fiorito – aria di tenore con interpolazione di o mio babbino caro -- Incerta
è la data della fondazione della colonia di Florentia che nel tempo è stata
variamente attribuita, a parte riferimenti mitologici, a Silla, a Gaio Giulio
Cesare o a Ottaviano. Gli storici sono concordi nel datare la fondazione della
colonia romana di Florentia. Il Liber Coloniarum attribuisce ad una lex Iulia agris
limitandis metiundis, voluta da Gaio Giulio Cesare, la volontà di far nascere
un nuovo impianto urbano in questo tratto della valle dell'Arno, là dove
traversava il fiume all'altezza di Ponte Vecchio. Al secondo triumvirato
risale invece l'effettivo impianto della città e la centuriazione del suo
territorio, per poter sistemare i veterani per mezzo dell'assegnazione di
terreni. Come consueto nella fondazione di nuovi insediamenti, la città
ed i suoi dintorni vennero definiti secondo un preciso piano che coinvolgeva
l'impianto urbano ed in territorio agricolo. Per la città fu seguita la regola
ideale dell'orientamento secondo gli assi cardinali, mentre il territorio
circostante fu sistemato tenendo conto della conformazione idraulica, ruotando gli
assi secondo quanto conveniente. Dalle foto aeree, ancora oggi, si possono
distinguere il cardo massimoorientato Nord-Sud (da Via Roma all'Arno), e il
decumano massimo orientato Est-Ovest (l'attuale percorso di Via Strozzi e Via
del Corso) che si incrociavano all'altezza dell'attuale Piazza della Repubblica
sede del Foro della città e del Campidoglio, circondati dai principali edifici
pubblici e templi. Durante i secoli dell'Impero infatti, la città si arricchi
di tutti quegli edifici ed infrastrutture che caratterizzano le città romane:
un acquedotto (dal Monte Morello), due terme, un teatro e un anfiteatro, sorto
fuori dalle mura, come era consueto. Nome compiuto: Mario Calderoni. Keywords:
fascismo, politica italiana, stato italiano, comunita, bene comune, bene, bene
superiore, bene summo, summum bonum, superior bonum. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Calderoni,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Callescro: gl’accademici di Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia. He was
the unclde of Tito Flavio Glauco. Nome compiuto: Tito Flavio
Callescro. Callescro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Callescro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Callia: la setta di Velia -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Velia). Filosofo italiano. Callia was a pupil of Zenone di VELIA (si veda) –
another Velino (si veda). Callia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, “Grice e Callia,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Callicratida: la setta di Girgenti. Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. The brother
of Empedocle di GIRGENTI (si veda). His name is
attached to some fragments of Pythagorean writings preserved by Stobeo. Callicratida.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e
Callicratida,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Callifonte: la setta di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofi italiano. A pupil of
Pythagoras. Callifonte. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Callifonte,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Calò (Francavilla Fontana). Filosofo italiano.
Lecce. è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi di Firenze. Rivolse la
sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma con preferenza a quelli che più
direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e
metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al
Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che
contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del
contingentismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il
neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà
come attitudine propria dello spirito individuale, presup¬ posto indispensabile
della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della
coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e
irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia
produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari
tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX,
premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie
forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella
letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma
l’obiettività e universalità dei valori mo¬ rali, riconosce insieme che questi
non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente
della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la
sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati
lavori, costituiscono la conclu¬ sione o i principii ispiratori dell’esame
critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e
sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume
Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col De Sarlo e
scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immedia¬ tezza
dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici
fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a
necessità d’altro genere — al che C. dedica anche altri scritti minori, tra cui
notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in «
Atti del V Congresso Internazionale di psicologia » Roma). Vi sono inoltre
definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va-
ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine
particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si
fa consistere da C. come, l’abbiamo
visto, dal De S. nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da
elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente espli¬
cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della
discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella suc¬ cessiva
soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e nello
sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ lutazioni sintetiche;
nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più
larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il
suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ tevoli, p. es., i
suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ dizio tetico e intorno
alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ recchi saggi storici e
critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.).
Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico,
e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra
esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime
basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia del¬
l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Coope¬ rativa);
Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema
della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri);
L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla
scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie
di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau,
premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca
pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere
dell’opera pedagogica del Calò furono rilevati, con giudizio non sospetto, dal
Codignola, che nel 1916 afermò essere C.
« il più serio avversario della pedagogia idealistica in Italia » (1). Invero,
C., mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la
fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina
dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo
delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle
organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla
conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono
all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano
dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬
porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono infine tipi e
norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche.
Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la
sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una concezione la quale,
correggendo e integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le
leggi psicologiche in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui
pur sempre fatto essenzialmente spirituale, che si distingue da ogni altra
forma di sviluppo o di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera
attività del soggetto edu¬ cando, e porta a un sempre più pieno uso della
propria libertà e all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla
persona. Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo
solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove
i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera
determinazione del soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non
più il processo educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo,
l’educazione appare al C. come un processo di formazione nel quale le attività
del sog¬ getto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della
materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano,
sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in (1) Kant nella storia
della pedagogia e dell'etica, Napoli 1916, p. 31. — Nonostante ciò o forse appunto per ciò — il Codignola,
facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe
Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze,
p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M.
Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo
raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta
nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la
personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui
diritti della cultura Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli
acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo
formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva
necessità e in¬ sostituibilità della cultura umana e storica e di quella
realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa,
elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale
nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale
dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello
spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non
essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità
traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo
forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di
vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto
quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ zione,
l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello
Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia
conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha
discusso — e non sol¬ tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove
egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬
l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma
universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc.,
mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ ne dei termini essenziali di
ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali,
calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Nome compiuto: Calò. Calò. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, “Grice e
Calò,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Caloprese: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazinale degl’encanti di Orlando furioso
– Orlando innamorato -- il filosofo delle encantatrice esperienze – scuola di
Cosenza – filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Scalea). Filosofo cosentino. Filosofo calabrese. Filosofo
italiano. Scalea, Cosenza, Calabria. Grice: “Strictly, Caloprese taught
Metastasio to be a Cartesian – I know because I relied on him for my ‘Descartes
on clear and distinct perception.’” “I love Caloprese; he brings philosophy to
Arcadee – The keyword is ARCADIA – or GLI ARCADI, if you must – Caloprese
tutored Metastasio – Arcadia is like Oxford – et in Arcadia ego – or Cambridge
– the other place – it’s a bit of a utopia – of course, Arcadia as a REAL place
is in the Pelopponesus, as any Lit. Hum. Oxon. schoolboy knows! – But Caloprese
brings it to civilisation, i.e. to the Roman-Italian tradition! Figlio di Carlo e da Lucrezia Gravina, che si
sposarono a Roggiano, cade così la leggenda che fosse nato quando i suoi
genitori ancora non si conoscevano. Da onestissimi parenti, di condizione
cittadina, nella terra di Scalea, posta nel paese dei Bruzii, trasse i suoi
natali. Celebre pel suo ingegno, e per l'universale sua letteratura. Visse
molto tempo in Napoli, e in Roma; finalmente tornato alla patria vi morì. I
suoi genitori si resero presto conto dell'intelligenza del loro figliolo e lo
avviarono a studiare a Napoli sotto la guida di Porcella Si laurea
successivamente nel campo a lui più congeniale della medicina. Rimase sempre in
rapporto da Scalea, dove si era ritirato, con i centri intellettuali di Napoli
e Roma dove risiedeva suo cugino e dove lo stesso Caloprese soggiorna. A Scalea
fondò una scuola che ebbe una certa rinomanza e partecipò all'attività
culturale dei Medinaceli traendone ispirazione per i suoi interessi
antiautoritari e antidogmatici scientifici e filosofici che lo fecero schierare
dalla parte di coloro che subordinavano l'indagine naturalistica al metodo
razionale di tipo cartesiano. Vico, Metastasio, Giannone lo qualificano come
gran renatista ma la sua reale posizione filosofica è piuttosto da rintracciare
in chi era a lui più vicino: il suo discepolo Spinelli che racconta come
Caloprese, tornato da Napoli a Scalea visse dei proventi di alcune sue
proprietà praticando la medicina solo per i suoi amici e i poveri e che descrive
la scuola di C. come fondata sullo studio letterario e scientifico e
l'esercizio fisico nella convinzione del rapporto tra corpo ed animo. Alla
lettura dei testi di Cartesio si associava quella di Lucrezio e Bacone secondo
l'ideale teorico di una sintesi di sperimentalismo e atomismo, razionalismo e
mentalismo. Altre opere: “Dell'origine degli imperi. Un'etica per la politica”.
Uomini illustri delle Calabrie”. Meravigliosa vivezza d'ingegno ed acume
d'intendimento comparvero in lui sin dai più teneri anni, e gran diletto di
apprendere; per cui gli avveduti genitori, solleciti di coltivare in lui si
belle doti, apparati nella patria i primi rudimenti delle lettere lo inviarono
di buon'ora in Napoli per imprendervi l'usato corso degli studii. Ebbe da prima
a maestro delle lettere umane Porcella insigne filosofo a quel tempo, e non
ignobil poeta. Sotto la costui disciplina molto si approfittò, congiungendo
alla fertilità d'ingegno fervente non interrotta applicazione; di modo che egli
fece la soddisfazione del Maestro e dei suoi genitori, e l'emulazione dei
compagni. Nella sua patria intanto per qualche tempo era egli stato, dove date
avea le prime letterarie istituzioni al celebratissimo suo cugino per madre,
Gravina,.ed ebbe il vanto d'istruire nelle materie filosofiche, in cui era
versatissimo, il gran Metastasio, che seco avea per ciò condotto alla sua
patria, come attesta il Metastasio medesimo in una sua lettera scritta da
Vienna. Godeva gran fama come uno dei maggiori cartesiani italiani ('gran renatista'
lo dissero, fra gli altri, il Vico e il Giannone). Teorico e critico della
letteratura. Calopresiane. La civil società e il viver civile: una lettura
sociologica delle Lezioni dell'Origine degli Imperij di in «Rivista di Studi
Politici», n. 4, Roma, Editrice Apes,.Dizionario biografico degli italiani. Pn
di Fabri^o Lomonaco 1 Introduzione Scalea il paese del C. 1; La vita del C. 11;
L'estetica e la poetica 15; II pensiero filosofico, politico e
"civile"; C. educatore 33. 37Bibliografia Edizioni delle opere di
C.37; Studi generali sul periodo e sull'ambiente calopresiani 38; Studi sul
Caloprese 45; Articoli brevi sul C. 47; Opere in cui viene trattato C. 47;
Recensioni sulle opere e sugli studi del C. 52. “Questa è tutta l'idea colla
quale questi maestri della civil prudenza si sono ingegnati di far altrui
concepire la natura del uomo; dopo la quale, non accorgendosi di haver buttato
a terra tutti gli fondamenti della pace e della concordia, e che, se i loro
insegnamenti fossero veri, i pericoli sarebbon in[e]vitabili, tutto il loro
studio non si raggira in altro che in dare precetti di sicurtà, come se
gl'accidenti humani stessero tutti sottoposti a i loro consigli.” Chi è C.? Un
altro Carneade, meritevole di interesse speciale per quegli studiosi, accreditati
e no, in cerca del minore, soddisfati o illusi, a seconda dei casi, del nuovo
per il nuovo nel vasto campo della ricerca storico-filosofica? Questo lavoro di
Mirto, vivace studioso della cultura italiana tra Seicento e Settecento,
esperto delle relazioni epistolari tra librai-stampatori europei (dai Borde
agli Arnaud, dai Blaeu agli Janson, dagli Huguetan agli Anisson e agli
Associati lionesi) ed eruditi italiani (da Magliabechi a Cassiano Dal Pozzo, da
Dati a Leopoldo e Cosimo III de’ Medici) smentisce un fortunato stereotipo,
offrendo agli studiosi questa Bibliografia del filosofo calabrese, articolata
in sei dense sezioni (scritti di e su C., opere sul periodo e l’ambiente.
ORLANDO FURIOSO LODOVICO ARIOSTO CORREDATO DA NOTE STORICHE E FILOLOGICHE E ILLUSTRATO
DADORÈ CON INCISIONI INTERCALATE NEL TESTO. MILANO. FRATELLI TREVES, EDITORI LA
PROPIETÀ ABSOLUTA DEI DISBONI SD IN0I8IONI DI GUSTAVO DORÈ È RISERVATA VR
ITALIA E PER LA LTlTOnA I'.LIANA AI FRATELLI TREVEB. Milano.Treves. Lodovico
Ariosto, che air Heyse "è sempre parso la personificazione di tutto quanto
si comprende col nome di poesia non fu soltanto la più bella e compiuta figura
letteraria del nostro Rinascimento, ma avanzò di molto il suo tempo nel quale
l’Italia avanza in civiltà ogni altra nazione d'Europa. Ercole I, della
famiglia d'Este, figlio di Borse investito del ducato di Modena e Reggio dair
imperatore e di quello di Ferrara dal papa, teneva in questa ciCtà chiamata dal
Burkhart " la prima città moderna d' Europa "una corte le di cui
magnificenze precedettero di mezzo secolo quelle delle quali si circondarono
poi i sovrani de' grandi stati. N. Ariosto, della nobile famiglia degli
Ariosti, oriunda bolognese e trapiantata a Ferrara alla metà del XIV secolo,
creato conte da Federico III fu nominato capitano della cittadella di Reggio,
dove tolse in moglie Daria Malaguzzi e n'ebbe il primo figlio battezzato con i
nomi di Ludovico Giovanni. A sette anni il fanciullo seguì il padre tramutato
al comando di Rovigo che non seppe difendere dai Veneziani. Il duca rimandò il
capitano Niccolò a Reggio dove rimase, mentre il figlio restava con la madre a
Ferrara studiando grammatica e metrica col celebre Luca della Ripa. Costrettovi
dal padre incominciò lo studio delle leggi e della giurisprudenza, sotto
Sadoleto modenese. Dopo cinque anni, ottenuto il titolo di dottore, Lodovico
Ariosto potè tornare ai geniali e diletti studii della poesia avendo a guida
Gregorio EUio o Elladio da Spoleto, e compagni Strozzi e poi il Bembo, conobbe
tutte le bellezze de' poeti latini, compresi i comici; e come portava l'indole
del tempo, nel quale gì' influssi cristiani non erano spenti ma infievoliti dal
risorgente paganesimo delle lettere e delle arti, alternava allo studio de'
poeti i facili amori. Il padre di Lodovicp stato prima tramutato da Reggio a
Modena, poi da Modena a Lugo, e privato dell'ufficio, venne a morte nel
febbraio del 1500. Il giovine spensierato dovette allora pensare alla madre
amatissima, a duo sorelle da marito e a quattro fratelli ancora in giovine età,
per provvedere a' quali non bastavano le rendita) dello scarso patrimonio
paterno composto della casa di Ferrara e di non molta terra nel circondario di
Reggio. Gli convenne mutare .in squarci e in vacchette Omero e farsi nominare
castellano di Canossa, continuando a passare parto dolFanno a Ferrara e non
dimenticando le bolle. Aveva già avuto parte in alcune rappresentazioni
drammatiche alla corto del duca Ercole, e nel 1502 dettò il bel carme
catulliano per le nozze di Alfonso con Lucrezia Borgia. Sulla fine del 1503
entrò ai servigi del cardinale Ippolito fratello d'Alfonso, stato creato
vescovo a setto anni, cardinale a quattordici, amantissimo delle belle donne ed
a suo modo anche dei letterati. Gli obblighi dell'Ariosto presso il cardinale non
erano bene deter minati, come non furono, almeno ne' primi anni, precisamente
stabiliti gli emolumenti. Cortamente all' ufficio suo presso Ippolito il poeta
non consacrava gran tempo e gliene rimaneva tanto da potere incominciare V
Orlando Furioso nel 1506. Mandato nel 1507 a Mantova per congratularsi, a nome
del cardinale, con la marchesa Isabella d'Este Gonzaga d' un felice parto,
lesse alla gentildonna alcuni canti del poema già scritti. Nel maggio di quello
stesso anno accompagnò a Milano il cardinale Ippolito, titolare dell'
arcidiocesi Ambrosiana, che andava ad ossequiare Luigi XII re di Francia
ridivenuto padrone del Milanese. Nel carnevale del 1508 faceva rappresentare al
teatro di corte la sua Cassandra e nel carnevale seguente Suppositi. Il duca Alfonso
associandosi alla lega di Cambrai, aiutato da' Francesi, riprese ai Veneziani
il Polesine di Rovigo. Ma i Veneziani, al cadere dell' autunno, mandato un
esercito alla riscossa, questi giunse a breve distanza da Ferrara. L'Ariosto
mandato a Roma, con Teodosio Brusa, a chiedere aiuto al papa, partì da Ferrara
il 16 dicembre. Tornò a Roma precedendo il cardinale Ippolito, accusato
d'essersi intruso nell' abbazia di Nonantola dopo morto il cardinale Cesarini e
di aver forzato i monaci ad eleggerlo abate commendatario. Giulio II, sdegnato
contro il cardinale e contro gli Estensi, ligii al re di Francia contro il
quale preparava la famosa lega, fece cattiva accoglienza all' Ariosto. Pure
questi giunse a pla carne l'ira. Tornato a Ferrara nel giugno, era di bel nuovo
a Roma nell'agosto, e Giulio II minacciava di far buttare in Tevere lui o
qualunque altro oratore gli si presentasse a nome del cardinale d'Este. Furono
quei giorni ben tristi per la famiglia Estense, le cui truppe erano vinte dai
Veneziani sul Po, mentre i soldati del papa minacciavano la città, di Ferrara.
Alcuni biografi dell' Ariosto affermano eh' egli combattesse a Polesella, ma
tale opinione sembra da lui stesso contradetta nel canto XL del suo poema.
Certo da ambasciatore diventò in queir occasione soldato ed egli stesso dico
d'aver combattuto a Padova. Dopo la battaglia di Ravenna, gli Estensi, che
avevano contribuito alla vittoria con le loro artiglierie, desiderarono la
pace. Il duca Alfonso, ottenuto dal papa un salvacondotto, per mezzo di
Fabrizio Colonna suo prigioniero, andò a Roma a rabbonire Giulio II. L'Ariosto
lo seguì nelle pericolose avventure delle quali il principe fu vittima. Non
ostante il salvacondotto, Alfonso potè scampare a stento all'ira del pontefice,
rimanendo nascosto per tre mesi nel castello dei Colonna a Marino, e poi
salvandosi travestito ora da frate, ora da cacciatore, a traverso la Toscana: e
1'Ariosto fu sempre fedele compagno del suo signore in quei travestimenti ed in
quella fuga. Giunse a Ferrara la nuova della morte di Giulio II; e venti giorni
dopo, la nuova deirelezione del cardinale Giovanni de' Medici, che prese il
nome di Leone X. Quando il nuovo papa era stato legato di Bologna, l'Ariosto lo
avea pregato di dispensarlo dagli ordini sacri permettendogli di conseguire un
benefizio che gli veniva ceduto da un consanguineo. Gli Estensi mandarono il
loro poeta ad ossequiare il papa, ma questi non fece all'Ariosto alcuna offerta
né tampoco gliene fecero i di lui amici tt divenuti grandi". Di ritomo a
Ferrara, fermatosi a Firenze per le feste di San Giovanni, s' innamorò di
Alessandra Benucci vedova di Tito Strozzi, ed a quell'affetto dedicò per il
rimanente della vita V animo suo, già nelle passioni amorose tanto mutevole.
Per non perdere egli il godimento de' beneficii ecclesiastici, essa la tutela
dei figli del primo marito, tennero nascosta la loro unione e vissero per le
stesse ragioni separati di casa. Con l'Ariosto viveva Virginio, figlio suo
diletto, avuto da un Orsolina Sasso Marino. Il cardinale Ippolito aveva in quel
tempo preso stanza a Roma dove avrebbe voluto che l'Ariosto lo raggiungesse,
sollecitandolo a farsi prete. A tale invito l'Ariosto rispondeva, come egli
stesso ha detto nella Satira I: Io né pianeta mai né tonicella Né chierca vo'
che in capo mi si pona. Pare che il cardinale non si curasse neppure di far
pagare all'Ariosto i suoi emolumenti. Pensava bensì liberalmente alla spesa di
stampa dell' Orlando Furioso, che il poeta cominciò nel 1515 a consegnare allo
stampatore maestro Giovanni Mazzocco da Bondeno, che teneva bottega in Ferrara.
Il 21 aprile 1516 la prima edizione dell'Orlandò vide la bice e l'Ariosto
sperava di riceverne dal cardinale lauto compenso per avergliela dedicata.
Pochi mesi dopo invece il cardinale pretendeva che l'Ariosto andasse seco lui
in Ungheria; ed essendo visi questi rifiutato " per molte ragioni e tutte
vere " r eminentissimo andò sulle furie, non volle ascoltarne le scuse,
gli intimò di non comparirgli più innanzi, e gli fece togliere le rendite di due
beneficii ecclesiastici. L'Ariosto tornò di bel nuovo a Roma per ottenere che
non gli fossero tolti " certi bajocchi " ch'egli prendeva a Milano
" ancorché non sian molti " e trovò Leone X assai meglio disposto a
di lui favore. Poco dopo il duca Alfonso lo comprendeva nel numero dei suoi
stipendiati in qualità di famigliare, e con Y assegno mensile di sette scudi d'
oro cinquantadue lire italiane, più il vitto per tre servitori e due cavalli.
Un caso inaspettato avrebbe migliorate molto le non liete condizioni economiche
dell'Ariosto se non vi si fosse opposta la prepotenza. Rinaldo Ariosto, cugino
del poeta, essendo morto ab intestato, la ricca tenuta detta delle Ariosto, a
Bagnolo, passava nelle mani di Lodovico e de' suoi fratelli; Ma ne furono
spogliati da Alfonso Trotti, amministratore del duca, che dichiarò quei beni di
proprietà camerale, e non ottenne alcun risultato la lite promossa dagli eredi
naturali, per ricuperarli. Anche Leone X s'intromise,ma invano, in quella
faccenda dell' eredità. Dopo V ultimo viaggio dell' Ariosto a Roma0 la
pubblicazione deir OHando, il papa s' era degnato di rammentarsi T antica
benevo lenza verso il poeta, e fece rappresentare in Vaticano i Supponiti y con
grande apparato. L'anno seguente l'Ariosto, avendo terminato il Negromante, lo
spedì al papa sperando ma non ottenendo eguale fortuna. Pochi mesi dopo, il
cardinale Ippolito tornato dall'Ungheria moriva a Ferrara d'' una indigestione
di gamberi e di vernaccia. Sebbene molto male ricompensato dal cardinale, r
Ariosto, anche dopo la di lui morte, non tolse dall' Orlando alcuna delle
troppe lodi che gli aveva tributate, e continuò ad intitolare al di lui nome il
poema. Nominato commissario ducale nella Garfagnana e partì, con pochi soldati
di Ferrara per Cstelnuovo, dove andava ad occupare un ufficio, onorevole e
molto più lucroso di quello dì famigliare di cort". Prima di partire fece
testamento a rogito di Andrea Succi. Giunse a Castelnuovo il 2G. Nell'Elegia
III ha descritto il disastroso viaggio fatto a traverso l'Appennino, in tempo
d'inverno; e nella Satira F, nella quale parla lungamente del suo governo,
lasciò scritto che La novità del loco è stati tanta C'ho fatto come augel che
muta gabbia Che molti giorni resta che non canta. ' Paragonava il paese da lui
governato a " una fossa " dolente di trovarsi sempre in mezzo ad
Accuse e liti Furti, omicidii, odii, vendette ed ire. Gli parve da prima
impresa superiore allo proprie forze il pacificare quella provincia che in meno
d' un secolo aveva cambiato cinque o sci volte padrone: ma, messo amoro al
proprio ufficio, dette prova di molta energia. Se non che dal Governo ducale
aveva scarso appoggio e spesso anche contrarietà, dello quali si lamentava
scrivendo direttamente al duca ed invitandolo a mandare altri al suo posto se
non voleva aiutarlo " a difendere Toner dell'ufficio " ma, dovendo
rimanere od andarsene, egli aggiungeva: " sempre desidererei che la
giustizia avesse luogo. " Del governo dell'Ariosto nella Garfagnana ha
scritto una bella ed erudita monografia il marchese Campori, secondo il quale
la storia di quel governo " ci mostra come il più a fantastico de' poeti
possa annoverarsi fra gli statisti più positivi, n Lasciò, dopo tre anni e
quattro mesi " l'asprezza di quei sassi e quella gente inculta " e se
ne tornò a Ferrara. Era morto Leone X e gli era succeduto un altro Medici col
nome di Clemente VII. Il duca Alfonso, desiderando di avere in Roma un oratore
autorevole e stimato, aveva fatto scrivere all'Ariosto offrendogli quel posto.
Ma X Ariosto se ne schermì, non sperando più nulla dai Medici nò dai papi.
Ritornato dunque a Ferrara, acquistò alcune fabbriche e ritagli di terreno in
via Mirasele e vi formò un giardino, delizia ed amore dei suoi ultimi anni. Si
occupava della correzione Orlando e di ridurre a spalliera a siepe una
boscaglia che aduggiava il suo orto. Cottvivova col padre il figlio Virginio,
dio delle abitudini paterne di questi ultimi anni ha lasciato molte memorie.
Dalla corte ducale ora sempre, in ogni occasione, onorato come poeta e tenuto
in conto di abile politico. Nel 1528, per festeggiare l'arrivo degli sposi
Ercole Estense e Renata di Francia, fu rappresentata la sua commedia hLena; nel
1529 fu nuovamente rappresentata la Cassarla, prima d' una lautissima cena
offerta da Ercole d' Este al marchese ed alla marchesa di Mantova. Nella
contesa fra Carlo V e Francesco I, il duca Alfonso cercava di barcamenarsi a
proprio vantaggio, ed ottenne dall' imperatore Y investitura di Modena e
Reggio. Essendo a Mantova Don Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, comandante
delle truppe imperiaU, il duca gli mandò Lodovico Ariosto per pregarlo a
concedergli aiuto sufficiente a mantenere sotto il proprio dominio la contea di
Carpi che Clemente VII gli contrastava. L'Ariosto raggiunse il marchese del
Vasto a Correggio, in casa di Veronica Gambara, ed il marchese, concesso Taiuto
al duca, fece dono al poeta di cento scudi annui d'entrata, per lui ed i suoi
eredi, di un lapislazzolo bellissimo legato in oro e di una collana d' oro.
Pubblicò a Ferrara, con i tipi di Francesco Rosso da Valenza, una nuova
edizione del suo poema con V aggiunta di nuovi canti. Questa edizione fu
cronologicamente la diciottesima, essendone state stampate dopo la prima del
1515, un' altra a Ferrara, tre a Milano, una a Firenze, e undici a Venezia. Di
questa nuova edizione in XLVI canti presentò, il 7 novembre, un esemplare a
Carlo V che trovavasi in Mantova, reduce dalla guerra d'Ungheria contro i
Turchi e diretto a Bologna. L'imperatore mostrò il desiderio di ricompensare
l'Ariosto incoronandolo col lauro " onor d'imperatori e di poeti " .
Ma l'incoronazione solenne non potè effettuarsi per la sollecita partenza di
Carlo V che lasciò bensì all'Ariosto il diploma di poema laureato. Aveva allora
cinquantotto anni, e dai quaranta s'era cominciata a guastarglisi la salute, G
lo travagliavano il catarro e la debolezza di stomaco. I suoi medici gli
avevano proibito Fuso del vino e ogni cibo troppo condito di aromi: gli era
molto nocivo.il calore della stufa. Verso la fine del dicembre 1532 ammalò di
ostruzione alla vescica alla quale sopravvenne una febbre di consunzione. Dopo
lunghi patimenti spira assistito dalla moglie Alessandra, dal figlio Virginio e
dal parroco ed amico suo Alberto Castellari. Dopo il primo testamento, fatto
partendo per la Garfagnana, ne dettò un secondo nel 1532, istituendo erede
universale il figlio Virginio, che conservò per tutta la vita la casa e r orto
paterno e lo fece abbellire con statue ed ornamenti di marmo. Lodovico Ariosto
fu alto di statura ed ebbe capelli neri e ricciuti, spaziosa la fronte ed alte
le ciglia, gli occhi neri e vivaci, il naso grande e aquilino, i denti bianchi
ed eguali, il colorito olivastro, le, guance scarne, rada la barba. I suoi
contemporanei lo dicono riguardoso, prudente, gioviale cogli amici, ma d'
indx>le facilmente inchinevole alla mestizia. Fu d'animo buono e retto:
costretto dalla necessità a lodare mecenati poco meritevoli d' encomio,
adattandosi all' uso de' tempi del quale sa rebbe errore giudicare con le idee
moderne d'indipendenza e di dignità, sopportò sempre a malincuore il giogo dei
potenti. Piuttosto che il desiderio d' arricchire sentì quello dì vivere in
quiete con i suoi libri, dichiarando di non volere " il più bel cappel eh'
in Roma sia " con scapito della libertà. Modesto in ogni desiderio fu
altresì temperato ne' cibi e nelle bevande; schietto e sincero con tutti, e per
quanto consapevole del proprio valore, non vanitoso né avido d'onori. in vero
onore è ch'nom da ben ti tenga Ciascuno, e che tu sia. Provò, come allora era
possibile, e seppe esprimere un sentimento di dolore vedendo r Italia divenuta
" ancella di quelle genti stesse che le furon serve " e s' augurò di
vederla risorgere all' antica grandezza, aggiungendo che ciò si sarebbe
ottenuto soltanto a quando sarem migliori. " Intorno allo scopo dell'
Orlando molto si è scritto e non concordemente da tutti. Certo non erra il
Carducci quando dice che la finalità del poema romanzesco è in sé stesso e nel
raccontar piacevole a ricreazione delle persone d'animo gentile; ed aiunge che
l'Ariosto fu più che altri di per sé lontano dall'intenzione di una finale
ironia contro l'ideale caval leresco. In questa ipotesi dell' ironia insiste
invece particolarmente il Gioberti. Egli crede che l'Ariosto, frammischiando
continuamente l'elemento giocoso al serio, abbia voluto mettere in luce "
il vizio principale degli ordini cavallereschi, cioè la sproporzione fra la
pompa e il rumore degli apparecchi, e la pochezza o vanità dei risultamenti, e
quindi mo strando la nullità finale di tale istituzione ".... Il Furioso è
dunque ad un tempo, se condo r autore del Primato, la a poesia e la satira del
medio evo e tiene un luogo mezzano fra il romanzo del Cervantes e T epopea del
Tasso, " della quale però V Or lando è assai più moderno benché T abbia preceduto
d'una generazione. L'Ariosto infatti presente più d'una volta le idee de' tempi
moderni, mentre subisce le influenze pagane dell' antica letteratura che da
poco tempo era, in Italia prima che altrove, rimessa in onore quando egli
intraprendeva i suoi studii. A tali influenze pagane si deve dar colpa se la
sbrigliata fantasia del poet abbellisce di vivi colori le non rare pitture
erotiche. Ma anche di tale licenza bisogna in gran parte ricercare la causa nel
l'indole de' costumi e del tempo, nella quale, a detta di Bernardo Tasso, non
era fanciullo, a né fanciulla, né vecchio, né dottore, né artigiano " che
si contentasse d'aver letto l'Or lando più d'una volta. Il Voltaire ha detto, e
lo ha confermato il Carducci, che V Orlando é poema politico e religioso con
Carlomagno ed Orlando, e privato e famigliare con Ruggiero e Bradamante. Vito
Fornari vede rappresentata nella follia d'Orlando, l'indole della società
cristiana nel tempo descritto dall' Ariosto, indole che fu d'universale follia.
Il De Sanctis dice non essere " nulla uscito dalla fantasia moderna che
sia comparabile a questo limpido mondo omerico, n Al Settembrini parve che,
mentre il poema di Dante, più che all'Italia appar tiene a tutto il mondo, 1'
epopea dell' Ariosto appartenga all' Italia ed egli sia il primo poeta
italiano. Fra i classici é senza dubbio il più naturalista e nessuno ha saputo
meglio di lui ottenere ai suoi tempi la rappresentazione oggettiva del mondo
esteriore. Da quasi tre secoli il poema romanzesco dell' Ariosto è uno de'
libri più ricercati e più letti. Ulisse Guidi ne novera quattrocentotrentuna
edizioni italiane, oltre le numerose versioni. A quest'orale edizioni italiane
hanno probabilmente passato il mezzo migliaio. Nessun altro poeta ha saputo
ispirare quanto l'Ariosto la fantasia de' pittori: nessun altro offre occasione
di far mostra di vario ingegno pittorico, mettendo nel suo poema rOriento a
tenzone con rOccidente, il Cristianesimo con rislamismo; intrecciando gli
elementi della mitologia greca con quelli delle favole asiatiche; descrivendo,
con V aiuto della storia, la valle del Po, Parigi, il Cairo, Damasco,
Alessandretta; e con l'aiuto della fantasia il sog giorno delizioso di Alcina e
di Logicilla, la vasta Sericana, il Catajo ed altri paesi ignoti od appena
sospettati al principio del XVI secolo. Mai fantasia d'artista, matita di
disegnatore, non seppero indovinare il pensiero e l'ar ditezza altamente
poetiche dell' Ariosto come il Dorè che ne illustrò l'intiero poema. I disegni
di Gustavo Dorè non solo riproducono le imagìni del poeta, l'ispirazione
vertigi nosa, il carattere fantastico MVOrlando, ma sono il più completo
commento di quel mondo meraviglioso.Angelica, fnsffiirlo (liti piìi tritono cU[
(luca di Bnvìera, s incuritrn in RiimliLo ch va in tvartia k| [H'oprio invailo
levita a Umù putcnt 1 tuli osti aTnH.Jite,c trova rollila riva dun fiume il
jinuo Fiirran, (uivi Ri iiJiMo. itr oagiaiu' d'A u galliti, viene alle mani eoi
Saeìno; ma eome i cine rivali ai accorguno cht la iluuKlIa è hjiJiriU, cessano
rial eumbattere. Fenaù intanto si studia di iTen[H:rara l>lmo cadut(i|>li
nel llame: Angtliia s imbatte in Sauripante, il i]uale coglie ropportunità
dipigliaitii il cavallo di Rinaldo; e qnt'sti so fragili une? minaccioso. 1 Le
doiiiie, i eavalier, l'iimie, gii amori, Le ciiriesie, T audaci inipree io
canto, Che furo al tempo the passa ri> i AI ori D'Africa il lìjare, e in
Francia iiocquer tanto, Seguendo l'ire e i ipoveni! furori DVAgromante lor re,
die si die Tanto Di vendicar la morte di Troiano Sopra re Carlo impera tor
romano. 2 Dito d Orlando in un medesmo tratto Cosa non detta in prosa mai, né
in rima; Che per amor venne in furore e matto, Duom che si saggio era stimato
prima: Se da colei che tal quasi m'ha fatto, CheU poco ingegno ad or ad or mi
lima, Me ne sarà però tanto concesso, Che mi basti a finir quanto ho promesso.
3 Piacciavi, generosa Erculea prole, Ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole E darvi sol può Fumil servo vostro. Quel
ch'io vi debbo, posso di parole Pagare in parte, e d'opera d'inchiostro: Né che
poco io vi dia da imputar sono Che quanto io posso dar, tutto vi dono. 4 Voi
sentirete fra i più degni eroi, Che nominar con laude m'apparecchio. Ricordar
quel Ruggier, che fu di voi E de' vostri avi illustri il ceppo vecchio. L'alto
valore e' chiari gesti suoi Vi farò udir, se voi mi date orecchio, E vostri
alti pensier cedano un poco. Si che tra lor miei versi abbiano loco. 5 Orlando,
che gran tempo innamorato Fu della bella Angelica, e per lei In India, in
Media, in Tartaria lasciato Avei infiniti ed immortai trofei, In Ponente con
essa era tornato. Dove sotto i gran monti Pirenei Con la gente di Francia e di
Lamagna Re Carlo era attendato alla campagna, Per far al re Marsilio e al re
Agramante Battersi ancor del folle ardir la guancia, D'aver condotto, l'un,
d'Aitìca quante Oenti erano atte a portar spada e lancia; L'altro, d'aver
spinta la Spagna innante A destmzion del bel regno di Francia. E così Orlando
arrivò quivi a punto:Ma tosto si pentì d'esservi giunto:7 Che vi fu tolta la
sua donna poi: (Ecco il giudicio uman come spesso erra!) Quella che dagli
esperii ai liti eoi Avea difesa con sì lunga guerra, Or tolta gli è fra tanti
amici suoi. Senza spada adoprar, nella sua terra. Il savio Imperator, ch'estinguer
volse Un grave incendio, fu che gli la tolse. 8 Nata pochi dì innanzi era una
gara Tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo; Che ambi avean per la
bellezza rara D'amoroso disio l'animo caldo. Carlo, che non ave tal lite cara,
Che gli rendea l'aiuto lor men saldo, Questa donzella, che la causa n'era,
Tolse, e die in mano ai duca di Baviera; 9 In premio promettendola a quel
d'essi. Ch'in quel conflitto, in quella gran giojpata. Degli Infeieli più copia
uccidessi, E di sua man prestasse opra più grata. Contrari ai voti poi furo i
successi; Ch'in foga andò la gente battezzata, E con molti altri fu'l Duca
prigione, E restò abbandonato il padiglione. 10 Dove poiché rimase la donzella
Ch'esser dovea del vincitor mercede, Innanzi al caso era salita in sella, E
quando bisognò le spalle diede. Presaga che quel giorno esser rubella Dovea
Fortuna alla cristiana Fede: Entrò in un bosco, e nella stretta via Rincontrò
un cavalier eh' a pie venia. 11 Indosso la corazza, l'elmo in testa. La spada
al fianco, e in braccio avea lo scudo: E più leggier correa per la foresta,
Ch'ai palio rosso il villan mezzo ignudo. Timida pastorella mai sì presta Non
volse piede innanzi a serpe crudo. Come Angelica tosto il freno torse, Che del
guerrier, eh' a pie venia, s'accòrse. 12 Era costui quel paladin gagliardo,
Figliuol d'Amon, signor di Montalbano, A cui pur dianzi il suo destrìer Baiardo
Per strano caso uscito era di mano. Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
Riconobbe, quantunque di lontano, L'angelico sembiante e quel bel volto Ch'ali'
amorose reti il tenea involto. La donna il palafreno addietro volta, E per. la
selva a tutta briglia il caccia; Né per la rara più che per la folta, La più
sicura e miglior via procaccia: Ma pallida, tremando, e di sé tolta,Lascia cura
al destrìer che la via faccia. Di su, di giù nell'alta selva fiera Tanto girò,
che venne a una riviera. 14 Su la riviera Ferraù rovoese Di sudor pieno, e
tutto polveroso. Dalla battaglia dianzi io rimosse Un gran disio di bere e di
riposo: E poi, mal grado suo, quivi fermosse:Perchè, delP acqua ingordo e
frettoloso, L elmo nel fiume si lasciò cadere, Nò Tavea potuto anco riavere.
Quanto potea più forte, ne veniva Gridando la donzella {spaventata. A quella
voce saita in su la riva II Saracino, e nei viso la guata; E la conosce subito
eh' arriva, Benché di timor pallida e turbata, E sien più di che non n'udì
novella, Che senza dubbio eli' è Angelica bella.stanza 17 . 16 E perchè era
cortese, e n' avea forse Non men dei due cugini il petto caldo, L'aiuto che
potea tutto le porse, Pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:Trasse la spada, e
minacciando corse Dove poco di Ini temea Rinaldo. Più volte s' eran già non pur
veduti, a al paragon dell' arme conosciuti. 17 Cominciar quivi una crudel
battaglia, Come a pie si trovar, coi brandi ignudi:Non che le piastre e la
minuta maglia, Ma ai colpi lor non reggerian gì' incudi. Or, mentre l'un con
l'altro si travaglia, Bisogna al palafren che '1 passo studi; Che, quanto pud
menar delle calcagna, Colei lo caccia al bosco e alla campagna. 18 Poi che
s'aff&ticàr gran pezzo invano I due guerrier per por l'un l'altro sotto:
Quando non meno era con l'arme in mano Questo di quel, né quel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Montalbano, Ch'ai cavalier di Spagna fece motto. Si
come quel e' ha nel cuor tanto foco. Che tutto n'arde e non ritrova loco. 19
Disse al pagan: Me sol creduto avrai, E pur avrai te meco ancora oifeso: Se
questo avvien perchè i fulgenti rai Del nuovo Sol t' abbiano il petto acceso,
Di farmi qui tardar che guadagno hai? Che quando ancor tu m' abbi morto o
preso, Non però tua la bella douna fia; Che, mentre noi tardiam, se ne va via.
SO Quanto fia meglio, amandola tu ancora, Che ta le venga a traversar la
strada, A ritenerla farle far dimora. Prima che più lontana se ne vada! Come r
avremo in potestate, allora Di chi esser de' si provi con la spada. Non so
altrimente, dopo un lungo affeinno, Che possa riuscirci. altro che danno. Al
pagan la proposta non dispiacque: Cosi fu differita la tenzone; E tal tregua
tra lor subito nacque, Sì r odio e r ira va in oblivione, Che '1 pagano al
partir dalle fresche acque Non lasciò a piedi il buon figlinol d'Amone; Con
preghi invita, e alfin lo toglie in groppa. E per Torme d'Angelica galoppa. Oh
gran bontà de' cavalieri antiqui ! Eran rivali, era n di fé diversi, E si
sentian degli aspri colpi iniqui Per tutta la persona anco dolersi; Eppur per
selve oscure e calli obliqui Insieme van, senza sospetto aversi. Da quattro
sproni il destrier punto, arriva Dove una strada in due si dipartiva. E come
quei che non sapean se Tuna 0 V altra via facesse la donzella, (Perocché senza
differenzia alcuna Apparia in amendue l'orma novella), Si messero ad arbitrio
di fortuna, Rinaldo a questa, il Saracino a quella. Pel bosco Ferraù molto s
avvolse E ritrovossi alfine onde si tolse. 24 Pur si ritrova ancor su la
riviera, Là dove l'elmo gli cascò neli' onde. Poiché la donna ritrovar non
spera, Per aver l'elmo che '1 fiume gli asconde, In quella parte, onde caduto
gli era, Discende nell' estreme umide sponde:Ma quello era si fitto nella
sabbia. Che molto avrà da far prima che V abbia. 25 Con un gran ramo d'albero
rimondo, Di che avea fatto una pertica lunga, Tenta il fiume e ricerca sino al
fondo, Né loco lascia ove non batta e punga. Mentre con la maggior stizza del
mondo Tanto l'indugio suo quivi prolunga, Vede di mezzo il fiume un cavalìero
lusino al petto uscir, d'aspetto fiero. 2f) Era, fuorché la testa, tatto
armato, Ed avea un elmo nella destra mano; Avea il medesimo elmo che cercato Da
Ferraù fu lungamente invano. A Ferraù parlò come adirato, E disse: Ah mancator
di fé, marrano ! Perchè di lasciar V elmo anche t' aggrevi Che render già gran
tempo mi dovevi? Ricordati, pagan, quando uccidesti D'Angelica il fratel, che
son queir io:Dietro ali altre arme tu mi promettesti Fra pochi di gittar Telmo
nel rio. Or se Fortuna (quel che non volesti Far tu) pone ad effetto il voler
mio, Non ti turhar; e se turbar ti dèi, Turbati che di fé mancato sei. 28 Ma se
desir pur hai d'un elmo fino, Trovane un altro, ed abbil con più onore; Un tal
ne porta Orlando paladino, Un tal Rinaldo, e forse anco migliore:L'un fti
d'Almonte, e V altro di Mambrino:Acquista un di quei dui col tuo valore; E
questo, e' hai già di lasciarmi detto, Farai bene a lasciarmelo in effetto. 32
Non molto va Rinaldo, che si vede Saltare innanzi il suo destrier feroce:Ferma,
Baiardo mio, deh ferma il piede ! Che Tesser senza te troppo mi nuoce. Per
questo il destrier sordo a lui non riede, Anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e dMra si distrugge:Ma seguitiamo Angelica che fogge. 33 Fugge
tra selve spaventose e scure, Per lochi inabitati, ermi e selvaggi. Il mover
delle frondi e di verzure, Che di Cerri sentia, d'olmi e di faggi, Fatto le
avea con subite paure Trovar di qua e di là strani viaggi; Ch' ad ogni ombra
veduta o in monte o in valle, Temea Rinaldo aver sempre alle spalle. 34 Qnal
pargoletta damma o capriola, Che tra le fronde del natio boschetto Alla madre
veduta abbia la gola Stringer dal pardo, e aprirle 1 fianco o '1 petto, Di
selva in selva dal crudel s invola, E di paura trema e di sospetto; Ad ogni
sterpo che passando tocca. Esser si crede all empia fera in bocca. 29
All'apparir che fece all'improvviso Dell' acqua l'ombra, ogni pelo arricciosse,
E scolorosse al Saracino il viso: La voce, eh' era per uscir, fermosse Udendo
poi dall' Argalia, eh' ucciso Quivi avea già (che l'Argalia nomosse), La rotta
fede cosd improverarse, Di scorno e dira dentro e di fuor arse. 30 Né tempo
avendo a pensar altra scusa, E conoscendo ben che '1 ver gli disse, Restò senza
risposta a bocca chia; Ma ]a vergogna il cor si gli trafisse, Che giurò per la
vita di Lanfdsa Non voler mai ch'altro elmo lo coprisse, Se non quel buono che
già in Aspramente Trasse del capo Orlando al fiero Almonte. 31 E servò meglio
questo gi\iTamento, Che non avea quell'altro fatto prima. Quindi si parte tanto
mal contento, Che molti giorni poi si rode e lima. Sol di cercare è il Paladino
intento Di qua di là, dove trovarlo stima. Altra ventura al buon Rinaldo
accade, Che da costui tenea diverse strade. 35 Quel dì e la notte e mezzo
l'altro giorno S'andò aggirando, e non sapeva dove: Trovossi alfin in un
boschetto adomo . Che lievemente la fresca aura move; Dui chiari rivi
mormorando intorno, Sempre l'erbe vi &n tenere e nove; E rendea ad ascoltar
dolce concento, Rotto tra picciol sassi, il correr lento. 36 Quivi parendo a
lei d'esser sicura, E lontana a Rinaldo mille miglia, Dalla vìa stanca e dall'
estiva arsura,Di riposare alquanto si consiglia; Tra' fiori smonta, e lascia
alla pastura Andare il palafìren senza la briglia; E quel va errando intomo
alle chiare onde, Che di fresca erba avean piene le sponde. Ecco non lungi un
bel cespuglio vede Di spin fioriti e di vermiglie rose. Che delle liquide onde
al specchio siede, Chiuso dal Sol fra P alte quercie ombrose; Co vóto nel
mezzo, che concede Fresca stanza fra l'ombre più nascose; E la foglia coi rami
in modo è mista. Che '1 Sol non v'entra, non che minor vista. £8 Dentro letto
vi fan tenere erbette, Ch' invitano a posar chi s' appresenta. La bella donna
in mezzo a quel si mette; Ivi si corca, ed ivi s'addormenta.Ma non per lungo
spazio cosi stette, Che un calpestio le par che venir senta. Cheta si lieva e
appresso alla ri vera Vede ch'armato un cavalier giunt'era. 39 S' egli è amico
o nemico non comprende; Tema e speranza il dubbio cor le scuote; E di quella
avventura il fine attende, Né pur d'un sol sospir l'aria percuote. Il cavaliero
in riva al fiume scende Sopra l'un braccio a riposar le gote; Ed in un gran
pensier tanto penetra, Che par cangiato in insensibil pietra. 40 Pensoso più
d'un' ora a capo basso Stette, Signore, il cavalier dolente; Poi cominciò con
suono afflìtto e lasso, A lamentarsi si soavemente, Ch'avrebbe di pietà
spezzato un sasso. Una tigre crudel fatta clemente:Sospirando piangea tal eh'
un ruscello Parean le guancie, e 'i petto un Mòugibello. 41 Pensier, dicea,
che'l cor m'agghiacci ed ardi, E causi '1 duol che sempre il rode e lima, Che
debbo far poich' io son giunto tardi, E ch'altri a córre il frutto è andato
prima? Appena avuto io n'ho parole e sguardi. Ed altri n'ha tutta la spoglia
opima. Se non ne tocca a me frutto né fiore. Perchè affligger per lei mi vo'più
il core? La verginella é simile alla rosa Ch'in bel giardin su la nativa spina.
Mentre sola e sicura si riposa. Né gregge né pastor se le avvicina; L'aura
soave e l'alba rugiadosa, L'acqua, la terra al suo favor s' inchina :Gioveni
vaghi e donne innamorate Amanu averne e seni e tempie ornate. 43 Ma non si
tosto dal materno stelo Rimossa viene e dal suo ceppo verde. Che quanto avea
dagli uomini e dal cielo Favor, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che
'1 fior, di che più zelo Che de' begli occhi e della vita aver de'. Lascia
altnd corre, il pregio eh' avea innanti, Perde nel cor di tutti gli altri
amanti.44 Sii vile agli altri, e da quel solo amata,A cui di sé fece si larga
copia. Ah Fortuna crudel. Fortuna ingrata! Trionfan gli altri, e ne moro io
d'inopia. Dunque esser. può che non mi sia più grata? Dunque io posso lasciar
mia vita propìa? Ah piuttosto oggi manchino i di miei, Ch' io viva più, s' amar
non debbo lei ! 45 Se mi dimanda alcun chi costui sia, Che versa sopra il rio
lacrime tante, Io dirò ch'egli é il re di Circassia, Quel d'amor travagliato
Sacripante:Io dirò ancor, che di sua pena ria Sia prima e sola causa essere
amante, E pur un degli amanti di costei: E ben riconosciuto fa da lei. 46
Appresso ove il Sol cade, per suo amore Venuto era dal capo d'Oriente; Cile
seppe in India con suo gran dolore, Come ella Orlando seguitò in Ponente: Poi
seppe in Francia, che l'Imperatore Sequestrata l'avea dall'altra geiite, E
promessa in mercede a chi di Icfro Più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
Stato era in campo, avea veduta quella, Quella rotta che dianzi ebbe re Carlo.
Cercò vestigio d'Angelica bella, Né potuto avea ancora ritrovarlo. Questa è
dunque la trista e ria novella Che d'amorosa doglia fa penarlo, Affligger,
lamentare, e dir parole Che di pietà potrian fermare il Sole. Mentre costui
cosi s' affligge e duole, E fa degli occhi suoi tepida fonte, E dice queste e
molte altre parole,Che non mi par bisogno esser racconte; L'avventurosa sua
fortuna vuole Ch'alle orecchie d'Angelica sian conte: E cosi quel ne viene a
un'ora, a un punto, Ch'in mille anni o mai più non è raggiunto. 49 Con molta
attenzion la bella donna Al pianto, alle parole, al modo attende Di colui eh'
in amarla non assonna; Né questo é il primo di eh' ella l'intende:Ma, dura e
fredda più d'una colonna, Ad averne pietà non però scende: Come colei e' ha
tutto il mondo a sdegno ' non le par eh' alcun sia di lei degno. 50 Par tra
quei boschi il ritrovarsi sola Le f& pensar di tor costui per guida Che chi
nell'acqua sta fin alla gola, Ben è ostinato se mercè non grida. Se questa
occasione or se V invola, Non troverà mai più scorta si fida; Ch'a lunga prova
conosciuto innante S'avea quel re fedel sopra ogni amante. 51 Ma non però
disegna dell afinno, Che lo distrugge, alleggerir chi Fama, £ ristorar d'ogni
passato danno Con quel piacer eh' ogni amator più brama:Ma alcuna fizì'one,
alcuno inganno Di tenerlo in speranza ordisce e trama; Tanto ch'ai suo bisogno
se ne serva, Poi tomi all' uso suo dura e proterva. 52 E fuor di quel cespuglio
oscuro e cieco Fa di sé bella ed improvvisa mostra, Come di selva o fuor
d'ombroso speco Diana in scena, o Citerea si mostra; E dice all' apparir: Pace
sia teco; Teco difenda Dio la fama nostra, E non comporti, contro ogni ragione,
Ch'abbi di me si falsa opinione. 53 Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
Levò gli occhi al figliuolo alcuna madre, Ch' avea per morto sospirato e
pianto, Poi che senza esso udì tornar le squadre; Con quanto gaudio il Saracin,
con quanto Stupor r alta presenza, e le leggiadre Maniere, e vero angelico
sembiante. Improvviso apparir si vide innante. 54 Pieno di dolce e d'amoroso
affetto, Alla sua donna, alla sua Diva corse, Che con le braccia al collo il
tenne stretto, Quel eh' al Catai non avria fatto forse. Al patrio regno, al suo
natio ricetto, Seco avendo costai, l'animo torse: Subito in lei s'avviva la
speranza Di tosto riveder sua ricca stanza. 5.5 Ella gli rende conto pienamente
Dal giorno che mandato fii da lei A domandar soccorso in Oriente Al Re
de'Sericani Nabatei; E come Orlando la guardò sovente Da morte, da diraor, da
casi rei; E che 1 fior virginal cosi avea salvo, Come se lo portò del materno
alvo. 66 Forse era ver, ma non però credibile A chi del senso suo fosse
signore; Ma parve facilmente a lui possibile, Ch'era perduto in via più grave
errore. Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile, E l'invisibil fo veder
Amore. Questo creduto fii; che'l miser suole Dar facile credenza a quel che
vuole. 57 Se mal si seppe il Cavalier d'Anglante Pigliar per sua sciocchezza il
tempo buono, Il danno se ne avrà; che da qui innante Noi chiamerà Fortuna a si
gran dono; (Tra sé tacito parla Sacripante) Ma io per imitarlo già non sono,
Che lasci tanto ben che m'è concesso, E eh' a doler poi m'abbia di me stesso.
58 Corrò la fresca e mattutina rosa, Che, tardando, stagion perder potria. So
ben eh' a donna non si può far cosa Che più soave e più piacevol sia, Ancorché
se ne mostri disdegnosa, E talor mesta e flebìl se ne stia:Non starò per
repulsa o finto sdegno, Ch'io non adombri e incarni il mio disegno. Cosi dice
egli; e mentre s'apparecchia Al dolce assalto, un gran ramor che suona Dal
vicin bosco, gì' introna l'orecchia Sì, che mal grado l'impresa abbandona, E si
pon l'elmo; eh' avea usanza vecchia Di portar sempre armata la persona. Viene
al destriero, e gli ripon la briglia:Rimonta in sella, e la sua lancia piglia.
Ecco pel bosco un cavalier venire, Il cui sembiante è d'uom gagliardo e
fiero:Candido come neve è il suo vestire. Un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripanter, che non può patire Che quel con l'importuno suo sentiero Gli
abbia interrotto il gran piacer eh' avea, Con vista il guarda disdegnosa e rea.
Come è più appresso, io sfida a battaglia; Che crede ben fargli votar
l'arcione. Quel, che di lui non stimo già che vaglia Un grano meno, e ne fa
paragone, L'orgogliose minacce a mezzo taglia, Sprona a un tempo, e la lancia
in resta pone. Sacripante ritorna con tempesta, E corronsi a ferir testa per
testa. Non 8i vanno i leoni o i tori in salto A dar di petto, ad accozzar si
erodi, Come li dni gnerrìerì al fiero assalto, Che parimente si pass&r li
scndi. Fe lo scontro tremar dal basso all' alto L'erbose valli insino ai poggi
ignndi; E ben giovò che far bnoni e perfetti Gli usberghi si, che lor salvare i
petti. stanza Già non fero i cavalli un correr torto, Anzi cozzaro a guisa di
montoni. Quel del guerrier pagan morì di corto, Ch' era vivendo in numero de'
buoni:Queir altro cadde ancor; mafii risorto Tosto ch'ai fianco si sentì li
sproni. Quel del Re saracin restò disteso Addosso al suo signor con tutto il
peso. 64 V incognito campion che restò ritto, E vide l'altro col cavallo in
terra. Stimando avere assai di quel conflitto, Non si curò di rinnovar la
guerra; Ma dove per la selva è il cammin dritto, Correndo a tutta briglia, si
disserra; E, prima che di briga esca il Pagano, Un miglio 0 poco meno è già
lontano 65 Qual istordito e stupido aratore, Poi eh' è passato il fdhnine, si
lieva Di là dove l'altissimo firagore Presso alli morti buoi steso l'aveva; Che
mira senza fronde e senza onore n pin che di loutan veder soleva:Tal si levò il
Pagano a pie rimase, Angelica presente al duro caso. 66 Sospira e geme, non
perchè 1' annoi Che piede o braccio s' abbia rotto o mosso, Ma per vergogna
sola, onde a' di suoi Né pria né dopo il viso ebbe si rosso; E più, ch'oltra il
cader, sua donna poi Fu che gli tolse il gran peso d'addosso. Muto restava, mi
cred' io, se quella Non gli rendea la voce e la favella. 67 Deh ! disse ella,
signor, non vi rincresca; Che del cader non è la colpa vostra, Ma del cavallo a
cui riposo ed esca Meglio si convenia, che nuova giostra. Né perciò quel
guerrier sua gloria accresca; Che d'esser stato il perditor dimostra. Così, per
quel eh' io me ne sappia, stimo, Quando a lasciar il campo è stato il primo. 6B
Mentre costei conforta il Saracino, Ecco, col corno e con la tasca al fianco.
Galoppando venir sopra un ronzino Un messaggier che parca afflitto e stanco;
Che come a Sacripante fu vicino. Gli domandò se con lo scudo bianco, E con un
bianco pennoncello in testa Vide un guerrier passar per la foresta. 69 Rispose
Sacripante: Come vedi, M'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora; E perch' io
sappia chi m' ha messo a piedi, Fa che per nome io lo conosca ancora. Ed egli a
lui: Di quel che tu mi chiedi, 10 ti satisfarò senza dimora: Tu dèi saper che
ti levò di sella L'alto valor d'una gentil donzella. 70 Ella é gagliarda, ed é
più bella molto; Né il suo famoso nome anco t'ascondo: Fu Bradamante quella che
t' ha tolto Quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. Poich' ebbe così detto a
freno sciolto 11 Saracin lasciò poco giocondo. Che non sa che si dica o che si
faccia, Tutto avvampato di vergogna in faccia. 71 Poi che gran pezzo al caso
intervenuto Ebbe pensato invano, e finalmente Si trovò da una femmina
abbattuto, Che pensandovi più, più dolor sente; Montò r altro destrier tacito e
muto:E senza far parola, chetamente Tolse Angelica in groppa, e differilla A
più lieto uso, a stanza più tranquilla. 72 Non foro iti duo miglia, che sonare
Odon la selva, che li cinge intx)mo, Con tal rumor e strepito, che pare Che
tremi la foresta d'ogn' intomo; E poco dopo un gran destrier n' appare, D'oro
guemito e riccamente adomo, Che salta macchie e rivi, ed a fracasso Arbori mena
e ciò che vieta il passo. Stanza 74. 73 Se r intricati rami e V aer fosco,
Disse la donna, agli occhi non contende, Baiardo è quel destrier che in mezzo
al bosco Con tal ramor la chiusa via si fende. Questo è certo Baiardo: io '1
riconosco:Deh come ben nostro bisogno intende ! Ch' un sol ronzin per dui saria
mal atto; E ne vien egli a satisfarci ratto. 74 Smonta il Circasso, ed al
destrier saccosta E si pensava dar di mano al freno. Colle groppe il destrier
gli fa risposta, Che fu presto al girar come un baleno; Ma non arriva dove i
calci apposta; Misero il cavalier se giungea appieno ! Che ne calci tal possa
avea il cavallo, Ch avria spezzato un monte di metallo. 75 Indi Ta mansueto
alla donzella, Con umile sembiante e gesto umano, Come intorno al padrone il
can salteUa, Che sia due giorni o tre stato lontano. Baiardo ancora avea
memoria d'ella, Ch' in Albracca il servia già di sua mano Nel tempo che da lei
tanto era amato Rinaldo, allor crudele, allora ingrato. 78 E questo hanno
causato due fontane Che di diverso effetto hanno liquore, Ambe in Ardenna, e
non sono lontane:D'amoroso disio Tuna empie il core; Chi bee de V altra senza
amor rimane, E volge tutto in ghiaccio il primo ardore. Rinaldo gustò d'una, e
amor lo struse; Angelica de V altra: l'odia e fugge. 76 Con la sinistra man
prende la briglia, Con r altra tocca e palpa il collo e il petto. Quel
destrier, eh' avea ingegno a maraviglia, A lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia: Monta Baiardo, e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella Lascia la groppa, e si ripone in sella. 79
Quel liquor di secreto venen misto, Che muta in odio l'amorosa cura, Fa che la
donna che Rinaldo ha visto, Nei sereni occhi subito s'oscura; E con voce
tremante e viso tristo Supplica Sacripante e lo scongiura Che quel guerrier più
appresso non attenda . Ma eh' insieme con lei la fuga prenda. 77 Poi rivolgendo
a caso gli occhi, mira, Venir sonando d'arme un gran pedone. Tutta s'avvampa di
dispetto e d'ira; Che conosce il figliuol del duca Amone. Più che sua vita
l'ama egli e desira; L' odia e fugge ella più che gru falcone. Già fd eh' esso
odiò lei più che la morte; Ella amò lui: or han cangiato sorte. 80 Son dunque,
disse il Saracino, sono Dunque in si poco credito con voi, Che mi stimiate
inutile, e non buono Da potervi difender da costui! Le battaglie d' Albracca
già vi sono Di mente uscite, e la notte eh' io fui Per la saluta vostra, solo e
nudo, Contro Agricane e tutto il campo, scudo?81 Non rispond' ella, e non sa
che si faccia, Perchè Rinaldo ormai 1' è troppo appresso, Che da lontano ai
Saradn. minaccia, Come vide il cavallo e conobb' esso, E riconobbe l'angelica
faccia Che l'amoroso incendio in cor gli ha messo. Quel che segui tra questi
due superbi Vo'che per l'altro Canto si riserbi. Ariosto si propone di narrare
la gaerra Ara Carlo Magno e Agramante re d’AfHca, argomeuto di antiche leggende
e di romanzi cavaUeresohi. Ascri vere ai tempi di Carlo Magno le geste e le
avventure di cavalleria eh' egli vuol raccontare, proprie solo ai secoli dopo
il 100, ò un anacronismo; ma a poeti come l'Ariosto è lecito. v.4. L'Ariosto
immagina che i Mori invadessero la Francia ai tempi di Carlo Magno. Anche
questa ò favola. v.6. Agramante, re dei Mori, che . secondo la leggenda, cinse
d' assedio Parigi. V.7. Trojano, padre d'Agramante. Egli era stato ucciso dal
paladino Orlando. v.8. Re Carlo, Carlo Magno. St. 2. V.1. Orlando o Rolando,
era prefetto delle frontiere di Bretagna: fu ucciso in Roncisvalle; sup ponesi
figlio di Milone conte di Anglante. St. 3. Qui si contiene la dedica del Poema
al car dinale Ippolito d'Este, figlio di Ercole I, secondo duca di Ferrara;
nella corte del quale porporato visse il Poeta. St. 5. Suir innamoramento di
Orlando e sulle imprese di lui in varie parti dell' Asia ò da vedersi il poema
del Boiardo. Qui basti il dire che Angelica e suo fratello Argalia, figli di
Galafrone re del Cataio (paese ora riconosciuto nelle sette provinole
settentrio nali dell impero chinese), fìurono mandati dal padre in Francia,
afflnohò, per forza o per inganno, gli conduces sero presi i paladini di Carlo.
Angelica era fornita di somma bellezza e di arti astate a dovizia; il fratello
aveva Tarmatora fatata, una lancia d'oro ohe atterrava chiunque ne fosse
toccato; il cavallo Babicano più veloce del vento e cibantesl d'aria;
finalmente un anello che tenuto in bocca, rendeva invisibile la persona, e por
tato in dito disfaceva ogni altro incantesimo. Queste cose favoleggiate dal
Boiardo si notano qui, per non avere a ripeterle altrove. St. 6. y. 12.
Marsilio, rappresentato nel Poema come re di Gastiglia, è personaggio finto dai
romanzieri, òhe cosi nominarono un governatore dato a Saragozza dal re 0 califo
di Cordova, Abderamo Emir el Monmen]rm, voce convertita dagli Italiani in Hira
molino. St. a y. 1d. Binaldo, uno dei paladini di Carlo, ò detto cugino di
Orlando, perchè, secondo la genealogia degli eroi romantici, nacque da Aymon o Amone
di Darbena e da Beatrice figlia di Namo duca di Baviera. Amone poi, nato da un
Bernardo di Chiaramonte della stirpe dei Beali di Francia, era fratello di
Milone d'An glante. St. 12. y. 14. Rinaldo cioè, la cui famiglia aveva in
signoria il castello di Hontalbano (Montauban) in Linguadoca, e vi faceva
ordinaria residenza. St. 13. y. 16. n motivo del precipitoso fuggire di
Angelica da Rinaldo era una insuperabile avversione per lui, di che si
conoscerà il motivo nella St 78. St. 14. y. 18. Ferraù o Ferraguto denotarono i
ro manzieri come figliuolo di Marsilio. Era costui fortis simo pagano,
spagnolo. St. 19. y. 34. Lafirase fulgenti rai del nuovo Sol allude alla somma
bellezza dAngelica. St. 26. y. 6. Marrano o Marano, voce ingiuriosa che
sapponesi di origine araboispana, e vuol dire: aleale o maneator di parola.
Secondo alcuni, voleva dire, in ispagnolo: porco d'un anno. St. 28. y. 5. In un
poema intitolato Aspromonte e pubblicato la prima volta in Firenze, si trova
che Orlando, per vendicare la morte di suo padre uc ciso da Almonte, spense
costui in duello e gli tolse l'elmo con l'armatura incantata, il cavallo
Brigliadoro e la spada Durindana, Un altro romanzo, che ha per titolo
Innamoramento di RinaldOj parla di un pagano Mambrino, venuto con un esercito
contro Carlo, e uc ciso in battaglia da Rinaldo che si appropriò Telmo di lui
St. 80. v.5. Lanfbsa, madre di Ferrati v.7. Aspra mente, castello antico de
Pirenei. St. 88. y. et Nella St. 45 svelasi essere costui Sa cripante re dei
Circassi, amante di Angelica. St. 55. y. 4. è probabile che qui si accennino i
Seri (Seres) degli antichi, oggi conosciuti sotto il nome di Tartari Bodgesi.
Nabatei, eran detti propriamente gli abitanti dell'Arabia intomo al Mar Rosso;
ma dai poeti si prendono talora per i popoli tutti dell'Oriente, come qui
nell'Ariosto. St. 57. y. 1. Sacripante allude a Orlando. St. 81. y. 27. Far
vuotar Varetone significa toglier di sella, scavalcare. • Dicesi resta un ferro
attaccato al petto dell' armadura del cavaliere . ove si accomoda il calce
della lancia per colpire. St. 70. y. 3. Bradamante, sorella di Rinaldo, figlia
naturale del duca. St. 78. y. 13. Fontane d'Ardenna; selva ch'era la scena
favorita delle avventure romantiche. St. 80. Le battaglie d'Albracea, Àlbraeca,
terra forte, dove s' era rinchiusa Angelica per non venire in mano del re
Agricane, che n'era mirabilmente invaghito. Agricane vi si pone a campo.
Sacripante difende Ange lica. Malconcio dalle ferite è costretto a ritirarsi
nella rocca. Continuando gli assalti, Agricane nell'impeto del rinseguire il
nemico, rimane chiuso nella terra con tre cento cavalieri: mena tutto a
fracasso. Sacripante ch'ò in letto, chiesta e saputa la cagione del rumore
levato nella terra, si alza sebbene infermo e uccide 1 trecento cavalieri
nemici, e costringe Agricane a ritrarsi. Mentre Rinald 3 e Sacripante
combattono fra di loro per Baiardo, Angelica sempre fugante trova nella selva
un romito, il (juale con arte mafca fa che cessi la pugna dei due guerrieri.
Rinaldo monta Baiardo • va in Parigi, Ji dove Carlo lo manda in Inghilterra.
Bradamante, andando in cerca di Ruggero, si avviene in Pinabello di Maganza,
che, con racconto in parte mentito, e con animo di darle morte, la fa
precipitare in nna caverna. l Ingiustissimo Amor, perchè si raro Corrispondenti
fai nostri disiri? Onde, perfido, avvien che t'è si caro Il discorde voler
ch'in dui cor miri? Ir non mi lasci al facil guado e chiaro, E nel più cieco e
maggior fondo tiri:Da chi disia il mio amor tu mi richiami, E chi m'ha in odio
vuoi ch'adori ed ami. Rinaldo al Saracin con molto orgoglio Gridò: Scendi,
ladron, del mio cavallo:Che mi sia tolto il mio, patir non soglio; Ma ben fo, a
chi lo vuol, caro costallo:E levar questa donna anco ti voglio; Che sarebbe a
lasciartela gran ftJlo. Sì perfetto destrier, donna sì degna A un ladron non mi
par che si convegna. 2 Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella. Quando esso a lei
brutto e spiacevol pare. Quando le parea bello e l'amava ella, Egli odiò lei
quanto si può più odiare. Ora s'affligge indarno e si flagella: Cosi renduto
ben gli è pare a pare. Ella l'ha in odio: e l'odio è di tal sorte, Che
piuttosto che lui vorria la morte. Tu te ne menti che ladrone io sia, Rispose
il Saracin non meno altiero: Chi dicesse a te ladro, lo diria (Quanto io n' odo
per fama) più con vero. La pruova or si vedrà, chi di noi sia Più degno de la
donna e del destriero; Benché, quanto a lei, teco io mi convegna Che non è cosa
al mondo altra sì degna. stanza 2ó. Come soglion talor dui can mordenti, O per
invidia o per altro odio mossi, Avvicinarsi digrignando i denti, Con occhi
bieci e più che bracia rossi; Indi ammorsi venir, di rabbia ardenti. Con aspri
ringhi e rabbuffati dossi: Cosi alle spade e dai gridi e dall'onte Venne il
Circasso e quel di Chiaramonte. 6 A piedi è Pan, P altro a cavallo: or quale
Credete ch'abbia il Saracin vantaggio?Né ve n' ha però alcun; che così vale
Forse ancor men eh' uno inesperto paggio:Che '1 destrier, per istinto naturale,
Non volea far al suo signor oltraggio:Né con man né con spron .potea il Circasso
Farlo a volontà sua mover mai passo. 7 Quando crede cacciarlo, egli s arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta: Poi sotto il petto si caccia la testa,
Giucca di schiene, e mena calci in frotta. Vedendo il Saradn eh' a domar questa
Bestia superha era mal tempo allotta, Ferma le man sul primo arcione e s'alza,
E dal sinistro fianco in piede shalza. 8 Sciolto che fu il Pagan con leggier
salto Dair ostinata furia di Baiardo, Si vide cominciar hen degno assalto D'un
par di cavalier tanto gagliardo. Suona l'un hrando e l'altro, or hasso, or
alto:Il martel di Vulcano era più tardo Nella spelonca affumicata, dove Battea
all'incude i folgori di Giove. 9 Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
Colpi veder che mastri son del giuoco: Or li vedi ire altieri, or
rannicchiarsi; Ora coprirsi, ora mostrarsi un poco; Ora crescer innanzi, ora
ritrarsi; Ribatter colpi, e spesso lor dar loco; Girarsi intomo; e donde l'uno
cede, L altro aver posto immantinente il piede. 10 Ecco Rinaldo con la spada
addosso A Sacripante tutto s'ablMindona; E quel porge lo scudo ch'era d'osso.
Con la piastra d'acciar temprata e buona. Tagliai Fusberta, ancorché molto
grosso:Ne geme la foresta e ne risuona. L'osso e Tacciar ne va che par di
ghiaccio, E lascia al Saracin stordito il braccio. 13 Dagli anni e dal digiuno
attenuato. Sopra un lento asinel se ne veniva; E parca, più ch'alcun fosse mai
stato, Di consci'enza scrupolosa e schiva. Come egli vide il viso delicato
Della donzella che sopra gli arriva, Debil quantunque e mal gagliarda fosse,
Tutta per carità se gli commosse. 11 Come vide la timida donzella Dal fiero
colpo uscir tanta mina. Per gran timor cangiò la faccia bella, Qual il reo
ch'ai supplicio s'avvicina: ' Né le par che vi sia da tardar, s'ella Non vuol
di quel Rinaldo esser rapina. Di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava. Quanto esso
lei m'seramente amava. 12 Volta il cavallo, e nella selva folta Lo caccia per
un aspro e stretto calle; E spesso il viso smorto addietro volta. Che le par
che Rinaldo abbia alle spalle. Fuggendo non avea fatto via molta. Che scontrò
un Eremita in una valle, Ch'avea lunga la barba, a mezzo il petto, Devoto e
venerabile d'aspetto. La donna al faticel chiede la via Che la conduca ad un
porto di mare, Perché levar di Francia si vorria, Per non udir Rinaldo
nominare. Il frate, che sapea negromanzia, Non cessa la donzella confortare,
Che presto la trarrà d'ogni periglio; Et ad una sua tasca die di piglio. 15
Trassene un libro, e mostrò grande effetto; Che legger non fini la prima
faccia, Ch'uscir fa un spirto in forma di valletto, E gli comanda quanto vuol
che faccia. Quel se ne va, da la scrittura astretto. Dove i dui cavalieri a
faccia a faccia Eran nel bosco, e non stavano al rezzo; Fra' quali entrò con
grande audacia in mezzo. lt> Per cortesia, disse, un di yoi mi mostre,
Quando anco uccida l'altro, che gli vaglia: Che merto avrete alle fatiche
vostre, Finita che tra voi sia la battaglia, Se '1 conte Orlando senza liti o
giostre, S senza pur aver rotta una maglia, Verso Parigi mena la donzella Che
v'ha condotti a questa pugna fella? Vicino un miglio ho ritrovato Orlando Che
ne va con Angelica a Parigi, Di voi ridendo insieme, e motteggiando Che senza
frutto alcun siate in litigi. Il meglio forse vi sarebbe, or quando Non son più
lungi, a seguir lor vestigi; Che s'in Parigi Orlando la può avere, Non ve la
lascia mai più rivedere. Veduto avreste i cavalier turbarsi A quell'annunzio; e
mesti e sbigottiti. Senza occhi e senza mente nominarsi. Che gli avesse il
rivai cosi scherniti; Ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi Con sospir che
parean del faoco usciti, E giurar per isdegno e per farore, Se giungea Orlando,
di cavargli il core. E dove aspetta il suo Baiardo, passa, E sopra vi si
lancia, e via galoppa; Né al cavalier, ch'a pie nel bosco lassa. Pur dice
addio, non che lo 'nviti in groppa. L'animoso cavallo urta e fracassa. Punto
dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa: Non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
Far che dal corso il corridor decline. 22 Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
Per la gran selva innanzi se gli messe; Né lo volea lasciar montare in sella,
Perchè ad altro cammin non lo volgesse. Per lui trovò Rinaldo la donzella Una.
e due volte, e mai non gli successe, Che fu da Perraù prima impedito. Poi dal
Circasso, come avete udito. 23 Ora al demonio che mostrò a Rinaldo Della
donzella li falsi vestigi. Credette Baiardo anco, e stette saldo E mansueto ai
soliti servigi. Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo, A tutta briglia, e
sempre invér Parigi; E vola tanto col disfo, che lento. Non eh' un destrier, ma
gli parrebbe il vento 24 La notte a pena di seguir rimane Per affrontarsi col
signor d'Anglante; Tanto ha creduto alle parole vane Del messaggier del cauto
Negromante. Non cessa cavalcar sera e dimane. Che si vede apparir la terra
avante. Dove re Carlo, rotto e mal condutto. Con le reliquie sue s'era ridutto:
25 E perchè dd re d'Africa battaglia Ed assedio v'aspetta, usa gran cura A
raccor buona gente e vettovaglia. Far cavamenti e riparar le mura. Ciò eh' a
difesa spera che gli vaglia. Senza gran differir, tutto procura: Pensa mandare
in Inghilterra, e trame Gente, onde possa un novo campo fìEtme: 20 Signor, non
voglio che vi paia strano. Se Rinaldo or si tosto il destrier piglia, Che già
più giorni ha seguitato invano. Né gli ha potuto mai toccar la briglia. Fece il
destrier, ch'avea intelletto umano. Non per vizio seguirsi tante miglia. Ma per
guidar, dove la donna giva, n suo signor, da chi bramar l'udiva. 21 Quando ella
si friggi dal padiglione. La vide ed appostolla il buon destriero. Che si trovava
aver vóto l'arcione. Perocché n'era sceso il cavaliere Per combatter di par con
un Barone Che men di lui non era in arme fiero; Poi ne seguitò l'orme di
lontano. Bramoso porla al suo signore in mano. 26 Che vuole uscir di nuovo alla
campagna, E ritentar la sorte de la guerra. Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra. Ben dell'andata il Paladin si lagna: Non
ch'abbia cosi in odio quella terra; Ma perché Carlo il manda allora allora. Né
pur lo lascia un giorno far dimora. 27 Rinaldo mai di dò non fece meno
Volentier cosa; poi che fri distolto Di gir cercando il bel viso sereno, Che
gli avea il cor di mezzo il petto tolto:Ma, per ubbidir Carlo, nondimeno A
quella via si fri subito vólto. Ed a Calesse in poche ore trovossi; E giunto,
il di medesimo imbarcossi. 28 Contra la volontà d'ogni nocchiero, Pel gran
desir che dì tornare avea, Entrò nel mar ch'era tnrbato e fiero, E gran
procella minacciar parea. Il Vento si sdegnò, che dall'altiero Sprezzar si
vide: e con tempesta rea Sollevò il mar in tomo, e con tal rabbia, Che gli
mandò a ba'nar sino alla gabbia. Stanza 38. 29 Calano tosto i marinari accorti
Le maggior vele, e pensano dar volta, £ ritornar nelli medesmi porti. Donde in
mal punto avean la nave sciolta. Non convien, dice il Vento, ch'io comporti
Tanta licenzia che v'avete tolta; E soffia e grida, e naufragio minaccia S'
altrove van, che dove egli li caccia. 30 Or a poppa, or all'orza hann'il
crudele, Che mai non cessa, e vien più ognor crescendo: Essi di qua, di là con umil
vele Vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo. Ma perchè varie fila a varie tele
Uopo mi Bon, che tutte ordire intendo, Lascio Rinaldo e l'agitata prua, E tomo
a dir di Bradamante sua. 31 Io parlo di quella inclita donzella, Per cui re
Sacripante in terra giacque, Che di questo Signor degna sorella, Del duca Amone
e di Beatrice nacque. La gran possanza e il molto ardir di quella Non meno a
Carlo e tutta Francia piacque, (Che più d'un paragon ne vide saldo) Che '1
lodato valor del buon Rinaldo. La donna amata fd da un cavaliere Che d'Africa
passò col re Agramante, Che partorì del seme di Ruggiero La disperata figlia
d'Agolante:E costei, che ne d'orso né di fiero Leone usci, non sdegnò tal
amante; Ben che concesso, fuor che vedersi una Volta e parlarsi, non ha lor
Fortuna. • 33 Quindi cercando Bradamante già L'amante suo ch'avea nome dal
padre. Cosi sicura senza compagnia, Come avesse in sua guardia mille squadre: E
fatto ch'ebbe al re di Circassia Battere il voltx) dell'antiqua madre, Traversò
un bosco, e dopo il bosco un mont"; Tanto che giunse ad una bella fonte.
34 La fonte discorrea per mezzo un prato, D'arbori antiqui e di bell'ombre
adomo. Ch'i viandanti col mormorio grato A ber invita, e a far seco soggiomo:
Un culto monticel dal manco lato Le difende il calor del mezzogiorno. Quivi,
come i begli occhi prima torse, D'un cavalier la giovane s'accorse; 35 D'un
cavalier eh' all'ombra d'im boschetto Nel margin verde e bianco e rosso e giaUo
Sedea pensoso, tacito e soletto Sopra quel chiaro e liquido cristallo. Lo scudo
non lontan pende e l'elmetto Dal faggio, ove legato era il cavallo; Ed avea gli
occhi molli e '1 viso basso, E si mostrava addolorato e 36 Questo disir, eh' a
tutti sta nel core, De' fatti altrui sempre cercar novella. Fece a quel
cavalier del suo dolore La cagion domandar da la donzella. Egli l'aperse e
tutta mostrò fuore. Dal cortese parlar mosso di quella, E dal sembiante altier,
ch'ai primo sguardo Gli sembrò di guerrier molto gagliardo, stanza 2& 37 G
cominciò: Signor, io condncea Pedoni e cavalieri, e venia in campo X dove Carlo
Marsilio attendea, Perch' al scender del monte avesse inciampo; K nna giovane
bella meco avea. Del cui fervido amor nel petto avvampo:B ritrovai presso a
Rodonna armato Un che frenava un gran destriero alato. 38 Tosto che U ladro, o
sia mortale, o sia Una deir infernali anime orrende, T'ede la bella e cara
donna mia; Come falcon che per ferir discende, Cala e poggia in un attimo, e
tra via Getta le mani, e lei smarrita prende. Ancor non mera accorto dell'assalto,
Che della donna io sentii grido in alto. 39 Cosi il rapace nibbio flirar suole
Il misero pulcin presso alla chioccia. Che di sua inavvertenza poi si duole, £
invan gli grida, e invan dietro gli croccia. Io non posso seguir un uom che
vole. Chiuso tra monti, appio d'unerta roccia. Stanco ho il destrier, che muta
a pena i passi Nell'aspre vie de'faticosi sassi. 40 Ma, come quel che men
curato avrei Vedermi trar di mezzo il petto il core, Lasciai lor via seguir
quegli altri miei Senza mia guida e senza alcun rettore:Per li scoscesi poggi e
manco rei Presi la via che mi mostrava Amore, E dove mi parca che quel rapace
Portasse il mio conforto e la mia pace. 41 Sei giorni me n'andai mattina e sera
Per balze e per pendici orride e strane, Dove non via, dove sentier non era,
Dove nò segno di vestigio umane: Poi giunsi in una valle inculta e fiera. Di
ripe cinta e spaventose tane. Che nel mezzo s'un sasso avea un castello Forte e
ben posto, a maraviglia bello. 42 Da lungi par che come fiamma lustri, Né sia
di terra cotta, né di marmi. Come più m'avvicino ai muri illustri. L'opra più
bella e più mirabil parmi. E seppi poi, come i demoni industri, Da suffimigì
tratti e sacri carmi. Tutto d'acciaio avean cinto il bel loco, Temprato
all'onda ed allo stigio foco. 4 Di si forbito acciar luce ogni torre. Che non
vi pud né ruggine né macchia. Tutto il paese giorno e notte scorre, E p"
là dentro il rio ladron s'immacchia. Cosa non ha ripar che voglia tórre:Sol
dietro invan se gli bestemmia e gracchia. Quivi la donna, anzi il mio cor mi
tiene, Che dì mai ricovrar lascio ogni spene. 44 Ah lasso! che poss'io più, che
mirare La rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso? Come la volpe, che '1 figlio
gridare Nel nido oda dell' aquila di giuso, S' aggira intomo, e non sa che si
fare, Poiché l'ali non ha da gir lassuso. Erto è quel sasso sì, tale é il
castello, Che non vi può salir chi non é augello. 45 Mentre io tardava quivi,
ecco venire Duo cavalier eh' avean per guida un Nano, Che la speranza
aggiunsero al desire; Ma ben fu la speranza e il desir vano. Ambì erano
guerrier di sommo ardire:Era Gradasso l'un, re sericano: Era l'altro Ruggier,
giovene forte. Pregiato assai nell'africana corte. 46 Vengon, mi disse il Nano,
per far pruova Di lor virtù col sir di quel castello, Che per via strana,
inusitata e nuova Cavalca armato il quadrupede augello. Deh, signor, diss'io
lor, pietà vi mova Del duro caso mio spietato e fello ! Quando, come ho
speranza, voi vinciate, Vi prego la mia donna mi rendiate. 47 E come mi Ai
tolta lor narrai. Con lagrime afifermando il dolor mio. Quei, lor mercé, mi
profferirò assai, E giù calare il poggio alpestre e rio. Dì lontan la battaglia
io riguardai, Pregando per la lor vittoria Dio. Era sotto il Castel tanto di
piano, Quanto in due volte si può trar con mano. 48 Poi che fur giunti appiè
dell' alta rocca. L'un e l'altro volea combatter prima; Pur a Gradasso, o fosse
sorte, tocca, Oppur che non ne fé' Ruggier più stima. Quel Serican si pone il
corno a bocca:Rimbomba il sasso, e la fortezza in cima. Ecco apparire il cavaliere
armato Fuor della porta, e sul cavallo alato. 94 stanza 41. 49 Ck)mmcìò a poco
a poco indi a levarse, Come suol far la peregrina gme. Che corre prima, e poi
vediamo alzarse Alla terra vicina un braccio o due; £ quando tutte sono
all'aria sparse, Velocissime mostra Tale sue. Si ad alto il Negromante batte
Tale, Cha tanta altezza appena aquila sale. 50 Quando gli parve poi, volse il
destriero. Che chiuse i vanni e venne a terra a piombo. Come casca dal ciel
falcon maniero ' Che levar veggia l'anitra o il colombo. Con la lancia
arrestata U cavaliere L'aria fendendo vien d'orribil rombo. Gradasso appena del
calar s'avvede. Che se lo sente addosso e che lo fiede. 51 Sopra Gradasso il
Mago Pasta roppe; Ferì Gradasso il vento e Paria vana; Per questo il volator
non interroppe U batter Pale; e quindi s'allontana. H grave scontro fa chinar
le groppe Sul verde prato alla gagliarda Alfana. Gradasso avea una Alfana la
più bella IB la miglior che mai portasse sella. 52 Sin alle stelle il volator
trascorse; ludi girossi e tornò in fretta al basso, E percosse Ruggier che non
s'accorse, Rnggier che tutto intento era a Gradasso. Bnggier del grave colpo si
distorse, E '1 suo destrier più rinculò d'un passo; E quando si voltò per lui
ferire. Da sé lontano il vide al ciel salire. Or su Gradasso, or su Ruggier
percote Nella fronte, nel petto e nella schiena; E le botte iì quei lascia
ognor vote, Perch' è si presto, che si vede appena. Girando va con spaz]fose
rote; E quando all'uno accenna, alP altro mena: AlPuno e all'altro si gli occhi
abbarhaglia, Che non ponno veder donde gli assaglia. 54 Fra duo guerrieri in
terra ed uno in cielo La battaglia durò sino a quella ora, Che spiegando pel
mondo oscuro velo. Tutte le belle cose discolora. Fu quel ch'io dico, e non
v'aggiungo un pelo; Io '1 vidi, io '1 so; uè m' assicuro ancora In dirlo
altrui; che questa maraviglia Al falso più ch'ai ver si rassomigUa. 55 D'un bel
drappo di seta avea coperto Lo scudo in braccio il cavalier celeste. Come
avesse, non so, tanto sofferto Di tenerlo nascosto in quella veste;
Ch'immantinente che lo mostra aperto, For74k è, chi '1 mira, abbarbagliato
reste, E cada come corpo morto cade, E venga al Negromante in potestade. 56
Splende lo scudo a guisa di piropo, E luce altra non è tanto lucente. Cadere in
terra allo splendor fd d'uopo, Con gli occhi abbacinati e senza mente. Perdei
da lungi anch'io li sensi, e dopo Gran spazio mi riebbi finalmente; Né più i
guerrier né più vidi quel Nano, Ha voto il campo, e scuro il monte e il piano.
67 Pensai per questo che l'incantatore Avesse ambedui còlti a un tratto
insieme. E tolto per virtù dello splendore, La libertade a loro . e a me la
speme. Cosi a quel loco, che chiudea il mio core. Dissi, partendo, le parole
estreme. Or giudicate s' altra pena ria, Che causi Amor, può pareggiar la mia.
58 Ritornò il cavalier nel primo duolo, Fatta che n'ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo D' Anselmo d'Altaripa, maganzese; Che
tra sua gente scellerata, solo Leale esser non volse né cortese, Ma ne li vizi
abbominandi e brutti, Non pur gli altri adeguò, ma passò tutti. 59 La bella
donna con diverso aspetto Stette ascoltando il Maganzese cheta:Che come prima
di Ruggier fu detto, Nel viso si mostrò più che mai lieta; Ma quando senti poi
eh' era in distretto, Turbossi tutta d'amorosa pietà. Né per una o due volte
contentosse Che ritornato a replicar le fosse. 60 E poi eh' alfiu le parve
esseme chiara, Gli disse: Cavalier, datti riposo; Che ben può la mia giunta
esserti cara, Parerti questo giorno avventuroso. Andiam pur tosto a quella
stanza avara, Che si ricco tesor ci tiene ascoso; Né spesa sarà invan questa
fatica. Se Fortuna non m'é troppo nemica. 61 Rispose il cavalier; Tu vuoi eh io
passi Di nuovo i monti, e mostriti la via?A me molto non é perdere i passi.
Perduta avendo ogni altra cosa mia; Ma tu per balze e ruinosi sassi Cerchi
entrare in pregione: e cosi sia. Non hai di che dolerti di me poi; Ch' io tei
predico, e tu pur gir vi vuoi. 62 Cosi dice egli; e toma al suo destriero E di
quell'animosa si fa guida. Che si mette a periglio per Ruggiero, Che la pigli
quel Mago o che la ancida. In questo ecco alle spalle il messaggiero. Che,
Aspetta aspetta, a tutta voce grida; Il messaggier da chi il Circasso intese
Che costei fu ch'alPerba lo distese. 3 A Bradamante il messaggier novella Di
Mompelieri e di Narbona porta, Ch'alzato gli stendardi di Castella Ayean, con
tutto il lito d'Acquamorta; E che Marsiglia, non v'essendo quella Che la dovea
guardar, mal si conforta, E consìglio e soccorso le domanda Per questo messo, e
se le raccomanda. stanza 65. 64 Questa cittade, e intomo a molte miglia Ciò che
fra Varo e Rodano al mar siede, Avea rimperator dato alla figlia Del duca Amon,
in eh' avea speme e fede; Perocché '1 suo valor con meraviglia Riguardar suol, quando
armeggiar la vede. Or, com'io dico, a domandar aiuto Quel messo da Marsiglia
era venuto. 65 Tra si e no la giovine suspesa. Di voler ritornar dubita un
poco; Quinci l'onore e il debito le pesa, Quindi l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi alfin di seguitar l'impresa, E trar Ruggier dell' incantato loco; E
quando sua virtù non possa tanto, Almen restargli prigioniera accanto. 66 E
fece iscusa tal, che quel messaggio Parve contento rimanere e cheto. Indi girò
la briglia al suo viaggio, Con Pinabel che non ne parve lieto Che seppe esser
costei di quel lignaggio Che tanto ha in odio in pubblico e in secretu:E già s'
avvisa le future angosce, Se lui per Maganzese ella conosce. 67 Tra casa di
Maganza e di Chiarmonte Era odio antico e inimicizia intensa; E più volte
s'avean rotta la fronte, E sparso di lor sangue copia immensa; E però nel suo
cor l'iniquo Conte Tradir l'incauta giovane si pensa; 0, come prima comodo gli
accada, Lasciarla sola, e trovar altra strada. E tanto gli occupò la fantasia
Il nativo odio, il dubbio e la paura, Che inavvedutamente uscì di via, E
ritrovossi in una selva oscura, Che nel mezzzo avea un monte che finia La nuda
cima in una pietra dura:E la figlia del Duca di Dordona Gli è sempre dietro, e
mai non l'abbandona. 69 Come si vide il Maganzese al bosco, Pensò torsi la
donna dalle spalle. Disse: Prima che '1 ciel tomi più fosco, Verso im albergo è
meglio farsi il calle. Oltre quel monte, s' io lo riconosco, Siede un ricco
castel giù nella valle. Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio Certificar con
gli occhi me ne voglio. 70 Così dicendo alla cima superna Del solitario monte
il destrier caccia. Mirando pur s' alcuna via discema, Come lei possa tor dalla
sua traccia. Ecco nel sasso trova una cavema, Che si profonda più di trenta
braccia. Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso Scende giù al dritto, ed ha
una porta al basso. 71 Nel fondo avea ima porta ampia e capace, Ch' in maggior
stanza largo adito daya; E fdor n uscia splendor, come di face Ch'ardesse in
mezzo alla montana cava. Mentre quivi il fellon sospeso tace, La donna, che da
Inngi il seguitava, (Perchè perderne Torme si temea) Alla spelonca gli
sopraggìungea. 72 Poiché si vide il traditore uscire, Quel eh' avea prima
disegnato, invano, O da sé torla, o di farla morire, Nuovo argomento
immaginossi e strano. Le si fé' incontra, e su la fé' salire Là dove il monte
era forato e vano; £ le disse eh' avea visto nel fondo Una donzella di viso
giocondo, Ch'a'bei sembianti ed alla ricca vesta Esser parea di non ignobil
grado; Ma quanto più potea turbata e mesta, Mostrava esservi cliiusa suo mal
grado; E per saper la condizion di questa, Ch' avea già cominciato a entrar nel
guado; E ch'era uscito dell'interna grotta Un che dentro a furor l'avea
ridotta. Bradamante, che come era animosa, Cusi mal cauta, a Pinabel die' fede;
E d'aiutar la donna, disìosa, Si pensa come por colà giù il piede. Ecco d' un
olmo alla cima frondosa Volgendo gli occhi, un lungo ramo vede, E con la spada
quel subito tronca, E lo declina giù nella spelonca. stanza 76. 75 Dove é
tagliato in man lo raccomanda A Pinabello, e poscia a quel s' apprende; Prima
giù i piedi nella tana manda, E su le braccia tutta si suspende. Sorride
Pinabello, e le domanda Come ella salti: e le man apre e stende, Dicendole: Qui
fosser teco insieme Tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme. 76 Non come
volse Pinabello avvenne Dell'innocente giovane la sorte: Perchè giù diroccando
a ferir venne Prima nel fondo il ramo saldo e forte. Ben si spezzò, ma tanto la
sostenne, Che '1 suo favor la liberò da morte. Giacque stordita la donzella
alquanto, Come io vi seguirò ne l'altro canto. NOTE. St. 5. V.8. Quel di
Chiaramonte, Rinaldo. Chia ramontey castello non molto lontano da Nantes. St.
10. V.5. Fusbei'fa, nome della spada di Rinaldo. St. 21. V.5. Ruggiero cioè,
come si ha dal Boiardo. St. 26. V.4. I Britanni inquietati dagli Scozzesi si
rivolsero per aiuto a quelli fra i Sassoni, che in antico chiamavansi Angli.
Questi, domati eh ebbero gli Scoz zesi, s'impadronirono della Bretagna, e la
nominarono Englishland, ossia terra degli Angli. I nativi allora, varcato il
mare, andarono a dimorare in quella parte di Calila che f quindi detta Bretagna
minore, per di stinguerla dall'altra maggiore Bretagna, a cui rimasero pure i
nomi di GranBretagna, Angliaterra e Inghilterra. St. 27. V.7. Calesse: Calais.
St. 32. V.18. Galaciella (di cui più distesamente ra gionerà il Poeta nel Canto
XXXTI) ebbe a padre Agolante o Aigolando. Costei da un Ruggiero di Risa ebbe il
Ruggiero di cui ora si tratta; ed é questi 11 cavaliere amante riamato di
Bradamante. St. 37. V.1. La storia del negromante che qui comincia, e seguita
per tutta la St. 57, è introdotta dal maganzese Pinabello con Tintendimento di
fare a Bra damante il mal giuoco che si vedrà verso la fine del Canto. Quell'incantatore
poi era Atlante, già educatore di Ruggiero; e con arti magiche sforzavasi
d'impedire al suo allievo di staccarsi dal partito moresco, per la ragione che
si dirà nella Stanza 64 del Canto XXXYI. St. 37. V.7. Rodonna o Roduniia città
posta <fa Tolomeo presso il Rodano. St. 45. V.6. Re Sericano: re di
Sericana. Serìcaca 0 Serica, o paese de' Seri, chiamossi dagli antichi nca
regione dell'Asia al nord dell'India cisgangetica.St 50. V.3. Con la voce
maniero, distingmevaa i falconi ohe tornavano sul pugno del padrone, sena
bisogno di richiamarli. St. 51. V.67. Gradasso cavalcava una giomecu (Alfana).
St. 58. V.5. La casa di Haganza è nei romasTi infame per tradimenti e perfidie.
St. 59. V.5. In distretto, cioè imprigioìiato. St. 63. V.24. Montpellier Narbona
e Acquamoru nella Linguadoca, ribellatesi a Carlo, si erano date a Marsilio re
di Castiglia e alleato di Agramante. St. 64. V.2. È la Provenza. St. 67. V.12.
L'odio fra la casa di Maganza ". quella di Chiaramonte nacque dall'essere
decaduto dalla grazia imperiale Gano o Ganellone capo dell'una, e sit entrativi
gl'individui della casa di Chiaramonte, a ci. apparteneva Bradamante. St. 68.
V.7. Doì'dona, castello edificato da Caria Magno nella Guienna sul fiume
Dordogna. Oggi vìes detto Fronsac. St. 73. V.6. Ch'area già cominciato:
intendasi Pinabello stesso. La caverna dove Bradamaiìt r livIuUi fomunira con
una grotta cìie con titano il MepoUro doli j in [uiratore Merlino. Ivi U maga
MélìsiL iÌV"l.L A !tr.i.l.iMi:iiir" .Ijn da lei e da Ruggiero uscirà
la pnsii'i' 3v<t 'ijs', ili i ni li moatra la immagini " prtìdircn done
Ifl glorio future. Nel randarstma poi dalla grotta Brada Riante ode fla Melissa
che Ruggiero è ritflnuto nel pulaKzo (ncauUto di Atlante, e viene iatmiU sul
modo di libaranmlo 1 Chi mi darà la voce e le parole Convelli enti a si nolil
"oggetto? Chi l'ale al verso presterà, che vole Tanto, eh arrivi ali' alto
mìo coiietto?Molto maggior di quel furor che suole, Ben or convien the mi
tìficahìi iì petto; Che questa parte al mio Signor si dehbe, Ohe canta gli avi
onde V origìu ebbe. Di cui fra tutti li Signori illustri, Dal Ciel sortiti a
governar la terra, Non vedi, o Febo, cbe l gran mondo lustri Più gloriosa
stirpe o in pace o in pruerra; Né che sua nohiltade abbia più lustri Sensata, e
serverà (s in me non erra Quel profetico lume che m' in'piri) Finché d'intorno
al polo il ciel s'aggiri. 3 E volendone appien diceif gli onori, Bisogna non la
mia, ma quella cetra Con che tn dopo i gigante! furori Rendesti grazia al
Regnator dell' etra. S ìnstmmenti avrò mai da te migliori, Atti a sculpire in
cosi degna pietra, In queste belle immagini disegno Porre ogni mia fatica, ogni
mio ingegno. 4 Levando intanto queste prime rudi Scaglie n' andrò collo
scarpello inetto:Forse eh ancor con più solerti studi Poi ridurrò questo lavor
perfetto. Ma ritorniamo a quello, a cui né scudi Potran né usberghi assicurare
il petto: Parlo di Pinabello di Maganza, Che d uccider la donna ebbe speranza.
5 H traditor pensò che la donzella Fosse nell'alto precipizio morta; E con pallida
faccia lasciò quella Trista e per lui contaminata porta. E tornò presto a
rimontar in sella:E, come quel eh' avea V anima torta, Per giunger colpa a
colpa e fallo a fallo, Di Bradamante ne menò il cavallo. 6 Lasciam costui, che
mentre all'altrui vita Ordisce inganno, il suo morir procura; "É torniamo
alla donna che, tradita, Quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura. Poi ch'ella
si levò tutta stordita, Ch'avea percosso in su la pietra dura, Dentro la porta
andò, ch'adito dava Nella seconda assai più larga cava. 7 La stanza, quadra e
spaziosa, pare Una devota e venerabil chiesa. Che su colonne alabastrine e rare
Con bella architettura era sospesa. Surgea nel mezzo un ben locato altare,
Ch'avea dinanzi una lampada accesa; E quella di splendente e chiaro foco Rendea
gran lume all' uno e all' altro loco. 8 Di devota umiltà la donna tocca, Come
si vide in loco sacro e pio, Incominciò col core e con la bocca, Inginocchiata,
a mandar prieghi a Dio. Un picciol uscio intanto stride e crocea, Ch' era all'
incontro, onde una donna uscio Discinta e scalza, e sciolte avea le chiome, Che
la donzella salutò per nome; 9 E disse: 0 generosa Bradamante, Non giunta qui
senza voler divino, Di te più giorni m' ha predetto innante n profetico spirto
di Merlino. Che visitar le sue reliquie sante Dovevi per insolito cammino:E qui
son stata itcciò ch'io ti riveli Quel eh' han di te già statuito i cieli. 10
Questa é l'antiqua e memorabil grotta Ch' edificò Merlino, il savio mago Che
forse ricordare, odi talotta, Dove ingannollo la Donna del Lago. Il sepolcro è
qui giù, dove corrotta Giace la carne sua; dov'egli, vago Di sodisfare a lei
che gli 1 suase, Vivo corcossi, e morto ci rimase. 11 Col corpo morto il vivo
spirto alberiga. Sin eh' oda il suon dell' angelica tromba, Che dal ciel lo
bandisca, o che ve l'erga, Secondoché sarà corvo o colomba. Vive la voce; e
come chiara emerga Udir potrai dalla marmorea tomba; Che le passate e le future
cose, A chi gli domandò, sempre rispose. 12 Più giorni son eh' in questo
cimiterio Venni di remotissimo paese, Perchè circa il mio studio alto misterìo
Mi facesse Merlin meglio palese:E perché ebbi vederti desiderio. Poi ci son
stata oltre il disegno un mese; Che Merlin, che'l ver sempre mi predisse,
Termine al venir tuo questo dì fisse. 13 Stassi d'Amen la sbigottita figlia
Tacita e fissa al ragionar di questa; Ed ha si pieno il cor di maraviglia, Che
non sa s'ella dorme, o s'ella è desta; E con rimesse e vergognose ciglia, Come
quella che tutta era modesta, Rispose: Di che merito son io, Ch'antiveggian
profeti il venir mio? 14 E lieta dell'insolita avventura Dietro alla Maga
subito fa mossa, Che la condusse a quella sepoltura Che chiudea di Merlin
l'anima e l'ossa. Era queir arca d' una pietra dura, Lucida, e tersa, e come
fiamma rossa; Tal eh' alla stanza, benché di Sol priva y Dava splendore il lume
che n'usciva. III. Stanza 8. 15 0 che natnra sia d alcun marmi, Che mnovin V
ombre a guisa di facelle; 0 forza pur di sufifumigi e carmi E Fegni impressi
air osservate stelle, Come più questo verisimil parmi, Disroprìa Io splendor
più cose belle E di scultnra e di color, ch intomo Il venerabil luogo aveano
adorno. Ariosto. 16 Appena ha Bradamante dalla soglia Levato il pie nella
secreta cella, CheU vivo spirto dalla morta spoglia Con chiarissima voce le
favella:Favorisca Fortuna ogni tua voglia, 0 casta e nobilissima donzella', Del
cui ventre uscirà '1 seme fecondo, Che onorar deve Italia e tutto il mondo. 84
17 L antiquo sangue che venne da Troia, Per li duo miglior rivi in te commisto,
Produrrà V ornamento, il fior, la gioia Dogni lignaggio ch abbia il Sol mai
visto Tra rindo e'I Tago eU Nilo e la Danoia, Tra quanto è n mezzo Antartico e
Calisto. Nella progenie tua con sommi onori Saran Marchesi, Duci e Imperatori.
18 I capitani e i cavalier robusti Quindi usciran, che col ferro e col senno
Ricuperar tutti gli onor vetusti Deir arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i Signor giusti, Che, come il savio Augusto e Numa
fénno, Sotto il benigno e buon governo loro Ritomeran la prima età delP oro. 19
Acciò dunque il voler del elei si metta In effetto per te, che di Ruggiero T'
ha per moglier fin da principio eletta, Segui animosamente il tuo sentiero; Che
cosa non sarà che s' intrometta Da poterti turbar questo pensiero, Si che non
mandi al primo assalto in terra Quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. ' 23
Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti (Dicea rincantatrice a Bradamante) Di
questi eh' or per gV incantati spirti, Prima che nati sien, ci sono avante, Non
so veder quando abbia da espedirti :" Che non basta una notte a cose
tant": Si ch'io te ne verrò scegliendo alcuno. Secondo il tempo, e che
sarà opportuno. 24 Vedi quel primo, che ti lassimìglia Ne' bei sembianti e nel
giocondo aspetto: Capo in Italia fia di tua famiglia, Del seme di Ruggiero in
te concetto Veder del sangue di Pontier vermiglia Per mano di costui la terra,
aspetto;E vendicato il tradimento e il torto Contra quei che gli avranno il
padre 25 Per opra di costui sarà deserto Il re de' Longobardi Desiderio D'Este
e di Calaon dar questo metto • Il bel domino avrà dal sommo Imperio. Quel che
gli è dietro, è il tuo nipote UImIi, Onor dell' arme e del paese esperio . Per
costui contra Barbari difesa Più d'una volta fia la santa Chiesa. 20 Tacque
Merh'no, avendo così detto, Ed agio all'opre della Maga diede, Ch'a Bradamante
dimostrar l'aspetto Si preparava di ciascun suo erede. Avea di spirti un gran
numero eletto, Non fo se dall'Inferno o da qual sede, E tutti quelli in un
luogo raccolti Sotto abiti diversi e vari volti. 21 Poi la donzella a sé
richiama in chiesa Là dove prima avea tirato un cerchio Che la potea capir
tutta distesa. Ed avea un palmo ancora di superchio:E perchè dalli spirti non
sia offesa, Lo fa d' un gran pentacolo coperchio; E le dice che taccia e stia a
mirarla:Poi scioglie il libro, e coi demoni parla. 22 Eccovi fuor della prima
spelonca, Che gente intomo al sacro cerchio ingrossa: Ma, come vuole entrar, la
via l'è tronca, Come lo cinga intomo muro e fossa. In quella stanza, ove la
bella conca In sé chiudea del gran profeta l'ossa, Entravan l'ombre poi
ch'avean tre volte Fatto d'intorno lor debite volte. 26 Vedi qui Alberto,
invitto capitano, Ch' ornerà di trofei tanti delubri:Ugo il figlio è con lui,
che di Milano Farà l'acquisto, e spiegherà i co'ubri. Azzo è quell' altro, a
cui resterà in mano Dopo il fratello il regno dell' Insubri. Ecco Albertazzo,
il cui savio consiglio Terrà d'Italia Beringaiio e il figlio; 27 E sarà degno a
cui Cesare O.'one Alda sua figlia in matrimonio aggiunga. Vedi un altro Ugo: oh
bella successione Che dal patrio valor non si dislunga! (Costui sarà che per
giusta cagione Ai superbi Roman 1' orgoglio emunga, Clie'l terzo Otone e il
Pontefice tolga Delle man loro, e '1 grave assedio sciolga. 28 Vedi Folco, che
par eh' al suo germano, Ciò che in Italia avea, tutto abbi dato; E vada a
possedere ìndi lontano In mezzo agli Alamanni un gran ducato; E dia alla casa
di Sansogna mano. Che caduta sarà tutta da un lato; E per la linea della madre,
erede, Con la progenie sua la terrà in piede.29 Questo eh or a noi viene, è il
secondo Àzzo, Di cortesìa più che di guerre amico, Tra dui figli, Bertoldo ed
Albertazzo. Vinto dair un sarà il secondo Enrico; E del sangue tedesco orribil
guazzo Parma vedrà per tutto il campo aprico:Dell'altro la Contessa gloriosa,
Saggia e casta Matilde, sarà sposa. 30 Virtù il farà di tal connubio degno;
Ch'a quella età non poca laude estimo Quasi di mezza Italia in dote il regno, E
la nipote aver d'Enrico primo. Ecco di quel Bertoldo il caro pegno, Rinaldo
tuo, ch'avrà V onor opimo D'aver la Chiesa dalle man riscossa Dell'empio
Federico Barljarpssa. Stanza 14 31 Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona
ÀTrà in poter col suo bel 'tenitorio; E sarà detto marchese d'Ancona Dal quarto
Otone e dal secondo Onorio. Lungo sarà, s'io mostro ogni persona Del sangue
tuo, eh' avrà del Consisterlo Il confalone, e s'io narro ogni impresa Vinta da
lor per la romana Chiesa. 32 Obizzovedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi, Ambi
gli Enrichi, il figlio al padre accanto:Duo Guelfi, di quai l'uno Umbria
soggiughi E vesta di Spoleti il ducal manto. Ecco ehi'l sangue e le gran piaghe
asciughi D'Italia afflitta, e volga in riso il pianto: Di costui parlo (e
mostrolle Azzo quinto), Onde Ezellin fia rotto, preso, estinto. 33 Ezellino,
immanissimo tiranno, Che fia creduto figlio del Demonio, Farà, troncando i
sudditi, tal danno, E distruggendo il bel paese ausonio, Che pietosi appo lui
stati saranno Mario, Siila, Neron, Caio ed Antonio. E Federico imperator
secondo Fia, per questo Azzo, rotto e messo al fondo. stanza 29. 34 Terrà
costui con più felice scettro La bella terra che siede sul fiume, Dove chiamò
con laimoso plettro Febo il figliuol eh' avea mal retto il lume, Quando fu
pianto il fabuloso elettro, E Cigno si vestì di bianche piume; E questa di
mille obblighi mercede Gli donerà li apostolica Sede. 35 Dove lascio il fratel
Aldobrandino? Che per dar al Pontefice soccorso Centra Oton quarto e il campo
ghibellino, Che sarà presso al Campidoglio corso, Ed avrà preso ogni luogo
vicino, E posto agli Umbri e alli Piceni il mono. Né potendo prestargli aiuto
senza Molto tesor, ne chiederà a Fiorenza; 36 E non avendo gioia o miglior pei,
Per sicurtà daralle il frate in mano. Spiegherà i suoi vittoriosi segni, E
romperà V esercito germano:In seggio riporrà la Chiesa e degni Darà supplicj ai
conti di Celano; Ed al servizio del summo Pastore Finirà gli anni suoi nel più
bel fiore; Stanza 37. 37 Ed Azzo, il suo fratel, lascerà erede Del dominio
d'Ancona e di Pisauro, D'ogni città che da Troento siede Tra il mare e
l'Apennin fin all'Isauro, E di grandezza d'animo e di fede E di virtù, miglior
che gemme ed auro:Che dona e tolle ogn' altro ben Fortuna; Sol in virtù non ha
possanza alcona. 38 Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio Splenderà di valor,
purché non sia A tanta esaltazion del bel lignaggio Morte 0 Fortuna invidiosa e
ria. Udirne il duol fin qui da Napoli aggio, Dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien, che giovinetto Dopo l'avo sarà Principe eletto. 39 Al bel
dominio accrescerà costui Reggio giocondo, e Modona feroce. Tal sarà il suo
valor, che signor lui Domanderanno i popoli a una voce. Vedi Azzo sesto, un de
figliuoli sui, Confalonier della cristiana croce:Avrà il Ducato d' Andria con
la figlia Del secondo re Carlo di Siciglia. 40 Vedi in un bello ed amichevol
groppo Delli principi illustri V eccellenza, Obizzo, Aldobrandin, Niccolò
Zoppo, Alberto d'amor pieno e di clemenza. 10 tacerò, per non tenerti troppo,
Come al bel regno aggiungeran Favenza, E con maggior fermezza Adria, che valse
Da sé nomar V indomite acque salse; 41 Come la terra il cui produr di rose Le
die piacevol nome in greche voci, E la città chMn mezzo alle piscose Paludi,
del Po teme ambe le foci Dove abitan le genti disìose Chel mar si turbi e sieno
i venti atroci. Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille Altre castella e popolose
ville. 42 Ve' Niccolò, che tenero fanciullo 11 popol crea Signor della sua
terra; E di Tideo fa il pensier vano e nullo, Che contra lui le civil arme
afferra. Sarà di questo il pueril trastullo Sudar nel ferro e travagliarsi in
guerra; E dallo studio del tempo primiero Il fior riuscirà d'ogni guerriero. 43
Farà de' suoi ribelli uscire a vóto Ogni disegno, e lor tornare in danno; Ed
ogni stratagemma avrà sì noto, Che sarà duro il poter fargli inganno. Tardi di
questo s' avvedrà il terzo Oto, E di Reggio e di Parma aspro tiranno; Che da
costui spogliato a un tempo fia E del dominio e della vita ria. 45 Vedi
Leonello, e vedi il primo duce, Fama della sua età, l'inclito Borso, Che siede
in pace, e più trionfo adduce Di quanti in altrui terre abbino corso. Chiuderà
Marte ove non veggia luce, E stringerà al Furor le mani al dorso. Di questo
Signor splendido ogni intento che '1 popol suo viva contento, Stanza 38. 44
Avrà il bel regno poi sempre augumento, Senza torcer mai pie dal cammin dritto;
Né ad alcuno farà mai nocumento, Da cui prima non sia d'ingiutia afflitto:Ei è
per questo il gran Motor contento Che non gli sia alcun termine prescritto; Ma
duri prosperando in meglio sempre, Finché si volga il ciel nelle sue tempre. 46
Ercole or vien, eh' al suo vicin rinfaccia Col pie mezzo arso e con quei debol
passi, Come a Budrio col petto e con la faccia 11 campo vólto in fuga gli
fermassi; Non perché in premio poi guerra gli faccia, Né, per cacciarlo, fin
dal Barco passi. Questo è il Signor, di cui non so e.splicarme Se fia maggior
la gloria o in pace o in arme. 47 Terran Pugliesi, Calabrì e Lucani De' gesti
di costui lunga memoria, Là dove avrà dal Re de' Catalani Di pugna singular la
prima gloria; E nome tra gP invitti capitani S'acquisterà con più d'una
vittoria: Avrà per sua virtù la signoria, Più di trenta anni a lui debita pria.
48 E quanto più aver obbligo si possa A principe, sua terra avrà a costui; Non
perchè fia delle paludi mossa Tra campi fertilissimi da lui; Non perchè la farà
con muro e fossa Meglio capace a' cittadini sui, E l'ornerà di templi e di
palagi, Di piazze, di teatri e di mille agi; 49 Non perchè dagli artigli
dell'audace Aligero Leon terrà difesa; Non perchè, quando la gallica face Per
tutto avrà la bella Italia accesa, Si starà sola col suo stato in pace, E dal
timore e dai tributi illesa: Non si per questi ed altri benefici Saran sue
genti ad Ercol debitrici; 50 Quanto che darà lor l'inclita prole, Il giusto
Alfonso, e Ippolito benigno, Che saran quai l'antiqua fama suole Narrar de'
figli del Tindareo cigno, Ch' alternamente si privan del Sole Per trar l'un
l'altro dell' aer maligno. Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte L'altro salvar
con sua perpetua morte. 61 U grande amor di questa bella coppia Renderà il
popol suo via più sicuro, Che se, per opra di Yulcan, di doppia Cinta di ferro
avesse intomo il muro. Alfonso è quel che col saper accoppia Si la bontà, ch'ai
secolo futuro La gente crederà che sia dal cielo Tornata Astrea dove può il caldo
e il gieio. 52 A grande uopo gli fia l'esser prudente, E di valore
assimigliarsi al padre; Che si ritroverà, con poca gente. Da un lato aver le
veneziane squadre, Colei dall' altro, che più giustamente Non so se dovrà dir
matrigna o madre; Ma se pur madre, a lui poco più pia, Che Medea ai figli o
Progne stata sia. 53 ' E quante volte uscirà giorno o notte Col suo popol fedel
fuor della terra, Tante sconfitte e memorabil rotte Darà a' nemici o per acqua
o per terra. Le genti di Romagna mal condotte Contra i vicini e lor già amid,
in guerra Se n' avvedranno, insanguinando il suolo Che serra il Po, Santerno e
Zaaniolo. 54 Nei medesmi confini anco saprallo Del gran pastore il mercenario
Ispano, Che gli avrà dopo con poco intervallo La Bastia tolti, e morto il Castellano,
Quando l'avrà già preso; e per tal fìallo Non fia, dal minor f&nte al
capitano, Chi del racquisto e del presidio ucciso A Roma riportar possa
l'avviso. 55 Costui sarà, col senno e con la lancia. Ch'avrà l'onor, nei campi
di Romagna, D'aver dato all'esercito di Francia La gran vittoria contro Giulio
e Spagna. Nuoteranno i destrier fin alla pancia Nel sangue uman per tutta la
campagna; Ch'a seppellire il popol verrà manco Tedesco, Ispano, Greco, Italo e
Franco. 56 Quel ch'in pontificale abito imprime Del purpureo cappel la sjtcra
chioma, É il liberal, magnanimo, sublime, Gran Cardinal della Chiesa di Ronui,
Ippolito, eh' a prose, a versi, a rime Darà materia eterna in ogni idioma; La
cui fiorita età vuol il Ciel giusto Ch'abbia un Maron, come im altro ebbe
Angusto. 57 Adomerà la sua progenie bella. Come orna il Sol la macchina del
mondo Molto più della Lima e d'ogni stella; Ch'ogn' altro lume a lui sempre è
secondo. Costui con pochi a piedi e meno in sella Veggio uscir mesto, e poi
tornar giocondo; Che quindici galèe mena captive, Oltra mill' altri legni, alle
sue rive. 58 Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo: Vedi d' Alfonso i cinque
figli cari, Alla cui fama ostar, che di sé il mondo Non empia, i monti non
potran nò i mari. Gener del Re di Francia, Ercol secondo È r un; quest' altro
(acciò tutti gì' impari) Ippolito è, che non con minor raggio, Che '1 zio,
risplenderà nel suo lignaggio; stanza 47. 59 Francesco, il terzo; Alfoosi gli
altri dui Ambi son detti. Or, come io dissi prima, S ho da mostrarti ogni tuo
ramo " il cai Valor la stirpe sna tanto sublima, Bisognerà che si
rischiari e abbui Più volte prima il del, ch'io te li esprima: E sarà tempo
ormai, quando ti piaccia, Ch'io dia licenzia all'ombre, e ch'io mi taccia. 60
Cosi con volontà della donzella La dotta incantatrice il libro chiuse. Tutti
gli spirti allora nella cella Sparirò in fretta, ove eran l'ossa chiuse. Qui
Bradamante, poiché la favella Le fu concesso usar, la bocca schiuse, E domandò:
Chi son li dna si tristi, Che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti i 40 61
Venìano sospirando, e gli occhi bassi Parean tener, d'ogni baldanza privi; E
gir lontan da loro io vedea i passi Dei frati sì, che ne pareano schivi. Parve
eh' a tal domanda si cangiassi La maga in viso, e fé' degli occhi rivi, E
gridò: Ah sfortunati, a quanta pena Lungo instigar d'uomini rei vi mena! Stanza
72. 64 Quivi r audace giovane rimase Tutta la notte, e gran pezzo ne spese A
parlar con Merlin, che le suase Rendersi tosto al suo Ru?gier cortese. Lasciò
di poi le sotterranee case, Ohe di nuovo splendor l'aria s'accese. Per un
cammin gran spazio oscuro e cieco, Avendo la spirtal femmina seco. 65 E
riuscirò in un burrone ascoso Tra monti inaccessibili aUe genti; E tutto '1 dì,
senza pigliar riposo, Saliron balze, e traversar torrenti. E perchè men 1'
andar fosse noioso, Di piacevoli e bei ragionamenti, Di quel che fu più
conferir soave, L'aspro cammin facean parer men grave: 66 Dei quali era però la
maggior parte, Oh' a Bradamante vien la dotta Maga Mostrando con che astuzia e
con qaal arte Proceder dee, se di Ruggiero è vaga. Se tu fossi, dicea, Pallade
o Marte, E conducessi gente alla tua paga Pii\ che non ha il re Carlo e il re
Agramant . Non dureresti contra il Negromante; 67 Ohe, oltre che d'acciar
murata sia La rocca inespugnabile, e tant' alta, Oltre che '1 suo destrier si
faccia via Per mezzo l'aria, ove galoppa e salta; Ha lo scu'lo mortai che, come
pria Si scopre, il suo splendor si gli occhi assalta. La vista toUe, e tanto
occupa i sensi Ohe come morto rimaner conviensi: 62 0 buona prole, o degna
d'Ercol buom, Non vinca il lor fallir vostra boutade:Di vostro sangue i miseri
pur sono:Qui ceda la giustizia alla pietade. Indi soggiunse con più basso
suono: Di ciò dirti più innanzi non accade. Statti coi dolce in bocca, e non ti
doglia Oh' amareggiar alfin non te la voglia. 63 Tosto che spunti in ciel la
prima luce, Piglierai meco la più dritta via Oh' al lucente Castel d' acciar
conduce, Dove Ruggier vive in altrui balia. Io tanto ti sarò compagna e duce,
Ohe tu sia fuor dell' aspra selva ria:T' insegnerò, poi che sarem sul mare, Si
ben la via, che non potresti errare. 68 E se forse ti pensi che ti vaglia
Combattendo tener serrati gli occhi, Oome potrai saper nella battaglia Quando
ti schivi, o l'avversario tocchi? Ma per fuggire il lume eh' abbarbaglia, E gli
altri incanti di colui far sciocchi, Ti mosterò un rimedio, una via presta; Né
altra in tutto '1 mondo è se non questa. 69 II re Agramante d'Africa uno
anello, Ohe fu rubato in India a una regina. Ha dato a un suo baron detto
Brunello Ohe poche miglia innanzi ne cammina; Di tal virtù, che chi nel dito ha
quello, Oontra il mal degl'incanti ha medicina. Sa di furti e d'inganni Brunel,
quanto Colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto. 70 Questo Brnnel sì pratico e
sì astuto, Come io ti dico, è da] suo Re mandato, Acciò che col suo ingegno e
con 1 aiuto Di questo anello, in tal cose provato, Di quella rocca, dove è
ritenuto, Traggia Ruggier: che così s' è vantato, Ed ha così promesso al suo
Signore, A cui Ruggiero è più dogni altro a core. 71 Ma perchè il tuo Ruggiero
a te sol ahbia, E non al re Agramante, ad obbligarsi Che tratto sia
delPincantata gabbia, T' insegnerò il rimedio che de' usarsi. Tu te n'andrai
tre dì lungo la sabbia Del mar, eh' è oramai presso a dimostrarsi: n terzo
giorno in un albergo teco Arriverà costui e' ha Panel seco. 74 Tu gli va
dietro: e come t' avvicini A quella rocca si eh' ella si scopra, Dagli la
morte; nò pietà t'inchini Che tu non metta il mio consiglio in opra. Nò far eh'
egli il pensier tuo s' indovini, E ch'abbia tempo che Panel lo copra; Perchè ti
sparirìa dagli occhi, tosto Ch' in bocca il sacro anel s' avesse porto. 75 Così
parlando, giunsero sul mare. Dove presso a Bordea mette Garonna. Quivi, non
senza alquanto lagrimare, Si dipartì l'una dall'altra donna. La figliuola
d'Amon, che per slegare Di prigione il suo amante non assonna, Camminò tanto,
che venne una sera Ad un albergo, ove Brunel prim'era. 72 La suaetatura, acciò
tu lo conosca. Non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto; Le chiome ha nere, ed
ha la pelle fosca; Pallido il viso, oltre il dover barbuto; Oli occhi gonfiati,
e guardatura losca; Schiacciato il naso, e nelle ciglia irsuto:L'abito, acciò
eh' io lo dipinga intero, È stretto e corto, e sembra di corriero. 73 Con esso
lui t'accaderà soggetto Di ragionar di quegP incanti strani. Mostra d'aver,
come tu avrà' in effetto, Disio che 'l Mago sia teco alle mani; Ma non mostrar
che ti sia stato detto Di quel suo anel che fa gl'incanti vani. Egli t' offerii
à mostrar la via Fin alla rocca, e farti compagnia. 76 Conosce ella Brunel come
lo vede, Di cui la forma avea sculpita in mente. Onde ne viene, ove ne .va gli
chiede:Quel le risponde, e d' ogni cosa mente. La donna, già provvista, non gli
cede In dir menzogne, e simula ugualmente E patria e stirpe e setta e nome e
sesso; E gli volta alle man pur gli occhi spesso. 77 Gli va gli occhi alle man
spesso voltando, In dubbio sempre esser da lui rubata; Né lo lascia venir
troppo accostando, Di sua condizion bene informata. Stavan insieme in questa
guisa, quando L' orecchia da un lumor lor fu intronata. Poi vi dirò, signor,
che ne fu causa, Ch'avrò fatto al cantar debita pausa. NOTE. St. 3. v.3. I
gigantei furori alludono alla favo losa guerra dei Giganti contro Giove. St. 4.
V.7. Pindbello di Magaìxta spia di Carlomagno. St. 8. V.6. Una donna, Melissa.
St. 1011. Finsero i romanzieri di cavalleria, che Merlino mago inglese
s'invaghisse della Donna del Lago. Avendosi preparato un sepolcro per s6 e per
lei, le insegnò alcune parole, che, pronunziate sull'avello chiuso, rendevano
impossibile aprirlo. La donna, odiando copertamente Merlino, indottolo a porsi
neiravello per esperimentame la capacità, ne abbassò il coperchio e disse le
fatali parole. Quindi, morto Merlino, lo spirito di lui ivi rimasto rispondeva
di colà dentro alle altrui domande. St. 12. V.1. CimiterìOj nella proprietà del
voca bolo, denota luogo di dormizione;' eà. è voce che può convenire anche al
sepolcro di un solo. L'Ariosto la usò sempre in quosto senso. St. 17. V.1.
Lantiquo sangue, ecc. Favoleggia col Bojardo che gli Estensi uscissero di
sangue trojano. Ivi. V.56. I quattro fiumi nominati nel quinto verso (fra i
quali la Danoia è il Danubio) indicano per la loro posizione i quattro punti
cardinali del globo; e la Tooe Calisto in fine del sesto Terso, relativa alla
ninfa omonima, trasmutata, secondo i mitologi, in orsa e collocata in cielo,
significa il 2olo boreale. St. 17. V.78. D'imperatori, notansi Otone IV del
ramo EstenseGaelfo derivante per linea retta da Alberto Azzo H, Federigo II e
Lotario, dei quali più avanti. St. 21. V.6. Chiama pentacolo, ossia pentagono,
una figura di cinque lati fatta di qualsiasi materia, impressa di segui o
caratteri maci, e creduta difen dere le persone dai cattivi effetti degF
incantesimi St. 22. t. 7. Tre voWe, numero solenne negl'incan tesimi St. 24.
V.1. Il personaggio cui si allude ò Rngge retto, supposto futuro figlio di
Bradamante. Y. 5. Del sangue di Pontier ecc. dei Maganzesi, castello di Pon
tieri (Ponthieu) in Piccardia. v.78. Si finge che i Maganzesi abbiano ucciso il
padre di Ruggeretto a tra dimento, nel castello di Pontieri St. 25. V.14. Si fa
predire alla maga la paite che le vecchie tradizioni attribuivano al figlio di
Bra damante, nell' impresa di Carlo Magno contro il lon gobardo re Desiderio;
onde la rimunerazione data a quel guerriero con la signoria dei due castelli
sul Pa dovano nominati nel terzo verso. Le notizie genealogiche sugli Estensi,
inserite in quasi tutto questo Canto, de rivano per lo più dalle opinioni che
correvano in quei tempi di caligine storica. St. 26. V.12. Gli espositori
intendono qui un Al berto Visconti, che dicono aver liberata Milano dal
l'assedio postovi da Berengario I. Ma la storia non parla di questo assedio.
Ivi. V.34. La ftrase spiegherà i colubri denota Facquisto della signoria di
Milano attribuito ad Ugo figUuol dAlberto; giacché lo stemma dei Visconti rap
presentava un serpe tortuoso. Ivi. V.78. Il Poeta dà merito al consiglio di Al
bert azzo dEste, per la discesa di Otone in Italia contro i Berengarii, e in
ricompensa lo dice divenuto genero di queir imperatore. St. 27. y. 3.
Albertazzo ebbe anche veramente un terzo figlio, chiamato Ugo, natogli da
Garsenda dei principi del Maine; ma non si sa, per testimonianze autentiche, se
operasse le imprese qui attribuitegli. St. 28. V.16. Non Folco, come fu detto,
ma Guelfo suo fratello passò in Germania e vi continuò la casa dei Guelfi
bavaresi. Il poeta dice che continuò invece la casa di Sansogna (Setssonia) ma
è erroneo. y. 78. Al lude alla fumosa contessa Matilde. Questa fa sposa bensi
di un Estense, ma non già di questo supposto Alber tazzo; sposo suo fu Guelfo V
duca di Baviera. St. 29. y. 48. La battaglia accennata nei verai 4, 5, 6
intendesi essere la combattuta sul Parmigiano contro Enrico, qui detto II, da
altri in, avverso ai papi per motivo delle investiture ecclesiastiche. St. 30.
Y. 34. Intende iperbolicamente per mezza Italia i vasti posse<iÌmenti della
contessa Matilde, fìra i quali il cosi detto Patrimonio di S. Pietro. Ivi. Y.
58. Si allude agli avvenimenti segniti re gnando r imperatore Federico I,
avverso alla Chiesa romana, sconfitto poi dalla Lega Lom>arda; e si attri
buisce l'onore di quella vittoria al Rinaldo indicato nel sesto verso. Il primo
Estense, di nome Rinaldo, nasceva da Azo Novello, ohe lo dava ancor giovinetto
in ostaggio all'imperatore nel 1239, poi lo perdeva pri gioniero in Puglia nel
1251; e il Barbarossa era già morto nel 1190. St. 31. Y. 14. L'Estense, che nel
1207 ebbe dal partito guelfo la podesteria di Verona, fu Azzo VI. il quale non
senza molto sangue ghibellino la moto in signoria. Nel 1203 egli ebbe da
Innocenzo III, per sé e discendenti, il marchesato della Marca Anconitana. St.
32. Y. 14. I fatti dei personaggi qui ricordati son poco noti, nò mette conto
fame speciale menzione. Ivi. y. 58. L'Azzo qui detto V è veramente il VIL Si
chiamò Azzo Novello, e fu uno dei capi dell' eser cito che disfece Ezzelino da
Romano e l'imperatore Federigo IL St. 34. Y. 24. Con tale perifrasi vuoisi
denotare Ferrara sul Po, alludendo alla favola di Fetonte, pre cipitato in quel
fiume. Ivi. y. 56. Le lagrime delle sorelle di Fetonte Ivi accorse, divennero,
secondo la favola, elettro (resinai che stilla dai pioppi, in cui esse furono
convertite, n sesto verso riguarda il re ligure Cigno, che lamentando egli pure
Fetonte, fu tramutato udì' uccello omonimo. St. 35. y. 1. Quello che l'Ariosto
in questa e nella seguente ottava dice d'Aldobrandino, fratello di Azzo VII, è
pienamente conforme alla storia, n volere in pegno persone per il danaro che si
dava a prestito fa cosa non infrequente per gli usurai di quel tempo. St. 37.
Y. 24. Pisaxtro è Pesaro; Troento è il Tronto che ha foce nell'Adriatico, dove
sbocca anche l'Isauro, fiume deir Umbria. E per il tratto di paese circoscritto
nel terzo e nel quarto verso, s' intende il maìchesato di Ancona. St. 38. Y.
16. Rinaldo, figlio di Azzo Novello: mori di veleno. St. 39. Y. 14. Obizzo,
figlio naturale di Rinaldo, ma legittimato, successe all'avo nel dominio di
Ferrara l'anno 1264. Nel 1288 acquistò Modena, nell'anno se guente Reggio; e
allora fu il colmo della potenza della casa d'Este. Mori in Ferrara nel 1293.
Ivi. v.58. Quest'Azze è l'VlII, non il VI; e ere desi aver comandato la
crociata bandita dall'angioino Carlo II. St. 40. Y. 18. A meglio dichiarare il
gruppo dei principi Estensi accennato in questa Stanza, è d'uopo avvertire che,
oltre Azzo Vili, nacque da Obizzo an Aldowandino, pretendente alla signoria di
Ferrara, il quale vendè per denaro i suoi diritti al papa nel 1319, e mori in
Bologna nel 1326. St. 41. v.1 2. Dalla voce greca Rhodon (rosa) si fa derivare
il latino Rhodigintn (Rovigo) per l'abbon danza di rose che ne' suoi dintorni
dicesi si trovasse. Ivi. Y. 36. S'intende qui Comacchio, città posta in mezzo a
paludi fra due rami del Po; ed è abitata da pescatori, a cui giova il mare
turbato per l'esercizio dell'arte loro. St. 42. Y. 14. È questi Niccolò III,
flgl'o e sncces sore di Alberto, al quale Tideo conte di Conio tentò usurpare
lo Stato, ma senza riuscita. Fu anche podestà di Milano, dove mori nel 1441.
St. 43. Y. 58. Otone dei Terzi, uno dei tirannelli lombardi, procacciò esso
pure di togliere la signoria a Niccolò, e restò ucciso piesso Rubiera. St. 45.
Y. 12. Leonello e Borse, naturali. Ercole e Sigismondo, legittimi, vennero di
Niccolò III, che volle suo successore il primo, e dopo lui Berso. St. 46. Y.
16. Ercole, primo di nome, e secondo duca di Ferrara, nacque nel 1431. Sostenne
guerra mossagli dai limitrofi Veneziani, ai quali, negli anni della preceduta
amicizia, fu difensore p6rsonalment", sebbene impedito di un piede, contro
il re di Germania che gli avea vinti e ftigati a Bndrio, castello situato nel
Bolognese; e in questa gneria, ch'eglino fecero ad Ercole, lo strinsero fin
sotto le mura di Ferrara in luogo detto il Barco, St. 47. y. 16. Ercole nella
sua giovinezza militò con gloria per Alfonso d'Aragona re di Napoli. Ivi. V.78.
Ercole, come maggior nato e legittimo, avrebbe dovuto succedere direttamente al
padre: ma il regno novenne di Leonello, coi 21 anno e più del regno di Borsigli
ritardarono la successione per oltre 30 anni. St. 4849. Parlasi dei benefizj
fatti da Ercole ai Ferraresi, con asciugare paludi, convertendole in fertili
campagne, ampliare la città, fortificarla, ador narla, ecc. Ercole seppe anche difendere
Ferrara contro i Veneziani, e la mantenne pacifica ed illesa nella gnerra
portata in Italia da Carlo Vili re di Francia nel 1494. St. 50. V.12. Alfonso
I, figlio di Ercole, nato nel 1476, sali al principato nel 1505, e lo tenne
fino al 15< anno della sua morte. Ippolito, di cui nella St. 3 del Canto I,
nacque nel 1479, fti cardinale nel 1483, ma neggiò le armi nella lega di
Cambrai, e mori in Fer rara nel 1529. Ivi. V.38. Paragona Taffezione reciproca
fra Er cole e Alfonso a quella eh' ebbero V uno per V altro Castore e Polluce,
figli mitologici di Leda, nata da Tindaro e da Giove, convertitosi per essa in
Cigno; affezione non mai disciolta, giacché ottennero da Giove di restare a
vicenda privi del sole (di vita), per trarsi anche a vicenda dall'aere maligno
(da morte). St. 51. V.78. Astreay figlia di Giove, è la Giustizia ritiratasi in
cielo per la malvagità degli nomini; e questa per la bontà di Alfonso si
crederà ritornata in terra. St. 52. V.38. Alfonso, entrato nella lega di Cam
brai promossa da Giulio II, vinse i Veneti nel 1509 alla Polesella. Quando
Giulio nell'anno appresso si distaccò dalla lega, voleva che Alfonso
combattesse pei Veneti; al che rifiutatosi il duca, Giulio gli venne addosso
con le armi spirituali e le temporali; e cosi Alfonso si trovò alle prese da un
lato coi Veneti, e dall' altro col capo della Chiesa romana. St. 53. V.5&
Per eilétto di questa gnerra, i Bomagnuoli insorsero contro Alfonso, unendosi
alle genti del papa; e fUrono sconfitti tra il Po e il Santemo, fiume d'Imola,
presso il canale .Zanniolo. St. 54. V.18. Poco dopo quella rotta, gli Spa
gnuoll assoldati dal papa presero ad Alfonso un forti lizio detto Bastia, che
guardava il passo del Primaro; e dopo fatto prigioniero il castellano, lo
uccisero. Per tal violazione delle leggi di guerra, i Ferraresi riacqui stando
poi la Bastia, ne passarono a filo di spada tutto il presidio. St. 55. Y. 18.
Accenna la giornata di Bavenna, combattuta nella Pasqua del 1512, ove insieme
coi Te deschi, Spagnuoli, Italiani e Francesi, erano anche Al banesi nelle
schiere dei VenetL St. 56. V.18. Diffondesl il Poeta in elogi al car dinale
Ippolito seniore, che tenne le sedi arcivescovili di Strigonia e di Agria in
Ungheria, di Milano, di Capua, la vescovile di Ferrara, e quella di Modena a
titolo di commenda. St. 57. V.58. Allude alla sconfitta che il cardi nale
Ippolito, con soli 300 cavalieri e poco più di fanti, diede presso Volano ai
Veneti. Mesto usciva Ippolito a quella impresa, per la tenuità di sue forze; e
ne tornò giocondo della non sperata vittoria. St. 58. V.1. ~ Di questi due
Siglsmondi uno era fra tello, l'altro figliuolo del duca Ercole; e il primo di
questi fu stipite di marchesi di San Martino. v.2. Alfonso ebbe tre figli
maschi da Lucrezia Borgia; Er cole che gli successe nel ducato, e sposò Renata
di Francia: Ippolito II cardinale, noto sotto il nome di cardinal di Ferrara, e
Francesco: due ne ebbe da Laura Dianti sua favorita. Alfonso e Alfonsino. St.
60. V.78. I due qui mentovati sono Qivlio e FerdinandOy fratelli di Alfonso I,
cospiratori contro di esso per altrui istigazione, e condannati a morte. La
pena fU poi commutata in carcere perpetuo, ove Fer dinando mori nel 1540; e
Giulio, graziato della libertà da Alfonso II, cessò di vivere nel 1561. St. 71.
V.3. Gabbia incantata, cioè il palazzo o castello fabbricato da Atlante per
incantamento. St. 75. V.2. Bordea, oggi Bordeaux. rir iVP?" Bradamante con
Fanello misterioso vince il prestigio di Atlante e libera Ruggiero dal castello
incantato. Questi lascia a lei il suo cavallo, e monta 1 Ippogrifo che seco lo
porta in aria. Rinaldo approda nella Scozia, dove gli è detto che Ginevra
figlia di quel re trovasi in pericolo di essere messa a morte per una calunnia:
incamminatosi per libemrla, s'avviene in una giovane a cui domanda contezza del
fatto. 1 Quantunque il simular sia le più volte Bipreso, e dia di mala mente
indici, Si trova pur in molte cose e molte Aver fatti evidenti benefici, E
danni e biasmi e morti aver già toIt"; Che non conversiam sempre con gli
amici In questa assai più oscura che serena Vita mortai, tutta dnvidia piena.
Se, dopo lunga prova, a gran fatica Trovar si può chi ti sia amico vero, Ed a
chi senza alcun sospetto dica E discoperto mostri il tuo pensiero, Che de' far
di Ruggier la bella amica Con quel Brunel non puro e non sincero, Ma tutto
simulato, e tutto finto, Come la Maga le l'avea dipinto? 3 Simula anchella; e
cosi far conYiene Con esso lai, di finzioni padre: E, come io dissi, spesso
ella gli tiene Gli occhi alle man, cheran rapaci e ladre. Ecco airorecchie un
gran rumor lor viene. Disse la donna: 0 gloriosa Madre, 0 He del ciel, che cosa
sarà questa? E dove era il rumor si trovò presta. 4 E vede Toste e tutta la
famiglia, E chi a finestre e chi fiior nella via, Tener levati al ciel gli
occhi e le ciglia, Come l'eclisse o la cometa sia. Vede la donna un'alta
maraviglia. Che di leggier creduta non saria: Vede passar un gran destriero
alato, Che porta in aria un cavaliero armato. 5 Grandi eran Tale e di color
diverso, E vi sedea nel mezzo un cavaliero. Di ferro armato luminoso e terso: E
ver Ponente avea dritto il sentiero. Calessi, e fu tra le montagne immerso:E,
come dicea Toste (e dicea il vero), QuelTera un Negromante, e facea spesso Quel
varco, or più da lungi, or più da presso. 6 Volando, talor s'alza nelle stelle,
E poi quasi talor la terra rade; E ne porta con lui tutte le belle Donne che
trova per quelle contrade: Talmente che le misere donzelle Ch'abbino o aver si
credano beltade (Come affatto costui tutte le invole), Non escon fuor sì che le
veggia il Sole. 7 Egli sul Pireneo tiene un castello, Narrava Toste, fatto per
incanto, Tutto d'acciaio, e sì lucente e bello, Ch'altro al mondo non è mirabil
tanto. Già molti cavalier sono iti a quello, E nessun del ritorno si dà vanto:
Si ch'io penso, signore, e temo forte, 0 che siao presi, o sian condotti a
morte. 8 La donna il tutto ascolta, e le ne giova, Credendo far, come farà per
certo. Con l'anello mirabile tal prova, Che ne fia il Mago e il suo Castel
deserto. E dice all'oste: Or un de' tuoi mi trova, Che più di me sia del
viaggio esperto; Ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago Di far battaglia
contro a questo Mago. Stanza 14 46 9 Non ti mancherà guida, le rispose Bninello
allora; e ne verrò teco io. Meco ho la strada in scritto, ed altre cose Che ti
faran piacer il yenir mio. Volse dir delPanelj ma non l'espose, Né chiari più,
per non pagarne il fio. Grato mi fia, disse ella, il venir tuo: Volendo dir,
ch'indi l'anel fia suo. 10 Quel ch'era utile a dir, disse; e quel tacque, Che
nuocer le potea col Saracino. Avea Foste un destrier ch'a costei piacque,
Ch'era huon da battaglia e da cammino: Comperollo e partissi come nacque Del
bel giorno Bruente il mattutino. Prese la via per una stretta valle. Con
Brunello ora innanzi, ora alle spalle. 11 Di monte in monte e d'uno in altro
bosco Giunsero ove l'altezza di Pirene Può dimostrar, se non è l'Ser fosco, E
Francia e Spagna, e due diverse arene: Come Apennin scopre il mar Schiavo e il
Tosco Del giogo onde a Camaldoli si viene. Quindi per aspro e faticoso calle 8i
discendea nella profonda valle. 15 Né per lacrime, gemiti o lamenti Che facesse
Brunel, lo volse sciorre. Smontò della montagna a passi lenti, Tanto che fu nel
pian sotto la torre. E perché alla battaglia s'appresenti Il negromante, al corno
suo ricorre: E, dopo il suon, con minacciose grida Lo chiama al campo, ed alla
pugna U sfida. 16 Non stette molto a uscir fuor della porta L'incantator,
ch'udi '1 suono e la voce. L'alato corridor per l'aria il porta Centra costei,
che sembra uomo feroce. La donna da principio si conforta; Che vede che colui
poco le nuoce: Non porta lancia né spada né mazza, Ch'a forar l'abbia o romper
la corazza. 17 Dalla sinistra sol lo scudo avea. Tutto coperto di seta
vermiglia; Nella man destra un libro, onde facea Nascer, leggendo, l'alta
maranglia: Che la lancia talor correr parca, E fatto avea a più d'un batter le
ciglia; Talor parca ferir con mazza o stocco, E lontano era, e non avea alcun
tocco. 12 Vi sorge in mezzo un sasso, che la cima D'un bel muro d'acciar tuttA
si fascia, E quella tanto inverso il ciel sublima. Che quanto ha intomo
inferi'or si lascia. Non faccia, chi non vola, andarvi stima; Che spesa indamo
vi saria ogni ambascia. Brand disse: Ecco dove prigionieri Il Mago tìen le
donne e i cavalieri. 13 Da quattro canti era tagliato, e tale Che parca dritto
a fil della sinopia: Da nessun lato né sentier né scale V'eran, che di salir
facesser copia: E ben appar che d'animai ch'abbia ale Sia quella stanza nido e
tana propia. Quivi la donna esser conosce l'ora Di tor l'anello, e far che
Brunel mora. 18 Non è finto il destrier, ma naturale, Ch'una giumenta generò
d'un Grifo: Simile al padre avea la piuma e Tale, Li piedi anteriori, il capo e
'1 grifo; In tutte l'altre membra parca quale Era la madre, e chiamasi Ippogrifo;
Che nei monti Rifei vengon, ma rari, Molto di là dagli agghiacciati mari. 19
Quivi per forza lo tirò d'incanto, E poiché l'ebbe, ad altro non attese, E con
studio e fatica operò tanto, Ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese; Cosi
ch'in terra e in aria e in ogni canto Lo &cea volteggiar senza contese. Non
finzì'on d'incanto, come il resto, Ma vero e naturai si vedea questo. 14 Ma le
par atto vile a insanguinarsi D'un uom senza arme e di si ignobil sorte; Che
ben potrà posseditrice farsi Del ricco anello, e lui non porre a morte. Brunel
non avea mente a riguardarsi; Si ch'ella il prese, e lo legò ben forte Ad uno
abete ch'alta avea la cima: Ma di dito l'anel gli trasse prima. 20 Del Mago
ogn'altra cosa era figmento, Che comparir facea pel rosso il giallo: 3Ia con la
donna non fu di momento; Che per l'anel non può vedere in fallo. Più colpi
tuttavia disserra al vento, E quinci e quindi spinge il suo cavallo; E si
dibatte e si travaglia tutta, Com'era, innanzi che venisse, instrutta. 21 E,
poi che esercitata si fu alquanto Sopra il (lestrier, smontar volse anco a
piede, Per poter meglio al fin venir di quanto La cauta Maga instruzì'on le
diede. Il Mago vien per far Testremo incanto; Che del fatto ripar né sa né
crede: Scuopre lo scudo, e certo si prosume Farla cader con Tincantato lume. 22
Potea cosi scoprirlo al primo tratto. Senza tenere i cavalieri a bada; Ma gli
piaceva veder qualche bel tratto Di correr Tasta, o di girar la spada: Come si
vede ch'all'astuto gatto Scherzar col topo alcuna volta aggrada:E poi che quel
piac?r gli viene a noia. Dargli di morso, e alfìn voler che muoia. 23 Dico che
U Mago al gatto, e gli altri al topo S'assimigliàr nelle battaglie dianzi; Ala
non sassimigliiir già cosi dopo Che con Tanel si fé la donna innanzi. Attenta e
fissa stava "a quel ch'era uopo. Acciò che nulla seco il Mago avanzi; E
come vide che lo scudo aperse, Chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse. 24 Non
che il fulgor del lucido metallo, Come soleva agli altri, a lei noceste; Ma
cosi fec3 acciò che dal cavallo Contro sé il vano incantator scen lesse; Ne
parte andò del suo disegno in fallo; Che tosto ch'ella il capo in terra m3ss?,
Accelerando il volator le penne, Con larghe mote in terra a por si venne.
Stanza '/7. 25 Lascia alParcion lo scudo che già posto Avea nella coperta, e a
pie discende Verso la donna che. come reposto Lupo alla macchia il ciprioto,
attende. Senza più indico ella si leva tosto Che l'ha vicino, e ben stretto lo
prende. Avea lasciato quel misero in terra Il libro che facea tutta la guerra:26
E con una catena ne correa, Che solea portar cinta a simil uso; Perchè non men
legar colei credea. Che per addietro altri legare era uso. La donna in terra
posto già l'avea:Se quel non si difese io ben Tescuso; Che troppo era la cosa
differente Tra u'J dcbol vecchio, e M tanto p''SS?nte. 27 Disegnando levargli
ella la testa, Alza la man vittoriosa in fretta; Ma poi che '1 viso mira, il
colpo arresta, Quasi sdegnando si bassa vendetta. Un venerabil vecchio in
faccia mesta Vede esser quel ch'ella ha giunto alla stretta, Che mostra al viso
crespo e al pelo bianco Età di settanta anni, o poco manco. 28 Tommi la vita,
giovene, per Dio, Dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto; Ma quella a torla
avea si il cor restio, Come quel di lasciarla avria diletto. La donna di sapere
ebbe disio Chi fosse il negromante, ed a che effetto Edificasse in quel luogo
selvaggio La rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio. 29 Né per maligna
intenzione, ahi lasso ! (Disse piangendo il vecchio incantatore) Feci la hella
rocca in cima al sasso, Né per avidità son rubatore; Ma per ritrar sol
dall'estremo passo Un cavalier gentil, mi mosse amore, Che. come il ciel mi
mostra, in tempo breve Morir cristiano a tradimento deve. 30 Non vede il Sol
tra questo e il polo anstrìso Uji giovene si bello e sì prestante:Ruggero ha
nome, il qual da piccolino Da me nutrito fu, chMo sono Atlante. Disio d'onore e
suo fiero destino L'han tratto in Francia dietro al re Agrainaiit": Ed io,
che ramai sempre più che figlio, Lo cerco tjrar di Francia e di periglio.
Stanza 44. .SI La bella rocca solo edificai, Per tenervi Ruggier sicuramente.
Che preso fu da me, come sperai Che fossi oggi tu preso similmente; E donne e
cavalier, che tu vedrai, Poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente, Acciò che,
quando a voglia sua non esca, Avendo compagnia, men gli rincresca. 32 Pur
ch'uscir di lassù non si domande, D'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca; Che
quanto averne da tutte le bande Si può del mondo, è tutto in quella rocca:
Suoni, cinti, vestir, giuoclii, vivande, Quanto può cor pensar, può chieder
bocca. Ben seminato avea, ben cogliea il frutto: Ma tu sei giunto a disturbarmi
il tutto. 33 Deh, 86 non hai del tìso il cor men bello, Non impedir il mio
consiglio onesto! Piglia lo scudo (ch'io tei dono), e quello Destrier che va
per l'aria così presto, E non t'impacciar oltra nel castello, 0 tranne uno o
duo amici, e lascia il resto; 0 tranne tutti gli altri, e più non chero, Se non
che tu mi lasci il mio Ruggiero. 34 E se disposto sei volermel tórre, Deh,
prima almen che tu '1 rimeni in Francia, Piacciati questa afilitta anima
sciorre Della sua scorza ormai putrida e rancia! Rispose la donzella: Lui vo'
porre In libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia. Né mi oflferir di dar lo
scudo in dono, 0 quel destrier, che miei, non più tuoi sono. 35 Nò s'anco
stesse a te di tórre e darli, Mi parrebe che '1 cambio convenisse. Tu di' che
Ruggier tieni per vietarli Il malo influsso di sue stelle fisse. O che non puoi
saperlo, e non schivarli, Sappiendol, ciò che '1 Ciel di lui prescrisse:Ma se
'1 mal tuo, e' hai si vicin, non vedi, Peggio l'altrui, c'ha da venir, prevedi.
36 Non pregar ch'io t'uccida; ch'i tuoi preghi Sariano indamo: e se pur vuoi la
morte, Ancorché tutto il mondo dar la nieghi, Da sé la può aver sempre animo
forte. Ma pria che l'alma dalla carne sleghi, A tutti i tuoi prigioni apri le
porte. Cosi dice la donna; e tuttavia II Mago preso incontra al sasso invia. 37
Legato della sua propria catena N'andava Atlante, e la donzella appresso, Che
cosi ancor se ne fidava appena, Benché in vista parca tutto rimesso. Non molti
passi dietro se lo mena. Ch'appiè del monte han ritrovato il fesso, E li
scaglioni onde si monta in giro, Fin ch'alia porta del Castel salirò. 38 Di su
la soglia Atlante un sasso tolle, Di caratteri e strani segni insculto. Sotto
vasi vi son, che chiamano olle, Che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle Riman deserto, inospite ed
inculto; Né muro appar né torre in alcun lato, Come se mai Castel non vi sia stato.
39 Sbrìgossi dalla donna il Mago allora, Come fa spesso il tordo dalla ragna; E
con lui sparve il suo castello a un' ora, E lasciò in libertà quella compagna:
Le donne e i cavalier si trovar fuora Delle superbe stanze alla campagna E
furon di lor molte a chi ne dolse; Che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
40 Quivi é Gradasso, quivi è Sacripante, Quivi è Prasildo, il nobil cavaliere,
Che con Rinaldo venne di Levante, E seco Iroldo, il par d'amici vero. Alfin
trovò la bella Bradamante Quivi il desiderato suo Ruggiero, Che, poi che n'
ebbe certa conoscenza, Le fé buona e gratissima accoglienza; 41 Come a colei
che più che gli occhi sui, Più che'l suo cor, più che la propria vita Ruggiero
amò dal dì eh' essa per lui Si trasse l'elmo, onde ne fu ferita. Lungo sarebbe
a dir come, e da cui, E quanto nella selva aspra e romita Si cercar poi la
notte e il giorno chiaro; Né, se non qui, mai più si ritrovare. 42 Or che quivi
la vede, e sa ben eh' ella È stata sola la sua redentrice, Di tanto gaudio ha
pieno il cor, che appella Sé fortunato ed unico felice. Scesero il monte, e
dismontaro in quella Valle, ove fu la donna vincitrice, E dove l'Ippogrifo
trovare anco Ch' avea lo scudo, ma coperto, al fianco. 43 La donna va per
prenderlo nel freno: E quel l' aspetta finché se gli accosta; Poi spiega l' ale
per l'aer sereno, E si ripon non lungi a mezza costa. Ella lo segue; e quel né
più né meno Si leva in aria, o non troppo si scosta:Come fa la cornacchia in
secca arena. Che dietro il cane or qua or là si mena. 44 Ruggier, Gradasso,
Sacripante, e tutti Quei cavalier che scesi erano insieme, Chi di su, chi di
giù, si son ridutti Dove che torni il volatore han speme. Quel, poi che gli
altri invano ebbe condutti Più volte e sopra le cime supreme E negli umidi
fondi tra quei sassi, Presso a Ruggiero alfin ritenne i passi. Stanzi 4S 45 E
questa ojìera fu del vecchio Atlante, Di cui non cessa la pietosa voglia Di
trar Ruggier del gran periglio instante: Di ciò sol pensa, e di ciò solo ha
doglii. Però gli manda or V Ippogrifo avante, Perchè d'Europa con questa arte
il toglia. Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo; Ma quel s arretra e non vuol
seguitarlo. 46 Or di Frontin queir animoso smonta (Ffoutiuo era nomato il suo
destriero), E sopra quel che va per Parìa monta, E con li spron gli adizza il
core altiero. Quel corre alquanto et indi i piedi ponta, E sale inverso il
ciel, via più leggiero Che '1 girfalco, a cui lieva il cappello Il mastro a
tempo, e fa veder T augello. 47 La bella donna, che si in alto vede E con tauto
perìglio il suo Ruggiero, Resta attoniti in modo, che non rìede Per lungo
spazio al sentimento vero. Ciò che già inteso avea di Ganimede, Olì' al ciel fu
assunto dal paterno impero Dubita assai che non acca la a quello, Non men
gentil di Ganimede e bello. 48 Con gli occhi fissi al ciel lo segue quinto
Basta il veder; ma poiché si dilegua Si, che la vista non può correr tanto,
Lascia che sempre T animo lo segua. Tuttavia con sospir, gemito e pianto Non
ha, né vuol aver pace né triegu u Poi che Ruggier di vista se le tolse, Al buon
destrier Frontin gli occhi rivolse; 49 E si deliberò di non lasciarlo Che fosse
in preda a chi venisse prima; Ma di condurlo seco, e di poi darlo Al suo
signor, ch anco veder pur stim i. Pogg'a r augel, né può Ruggier frenarlo:Di
sotto rimaner vede ogni cima Ed abb issarsi in guisa, che non sco'ge Dove è
piaio il trren, né dove sorge. 50 Poi che si ad alto vien, eh' un picciol punto
Lo può stimar chi dalla terra il mira, Prende la via verio ove cade appunto Il
Sol quanlo col Granchio si raggira'; E per r aria ne va come legno unto, A cui
nel mar propizio vento spira. Lasciamlo andar, che farà buon cammino; E
torniamo a Rinaldo paladino. 51 Binaldo l'altro e T altro giorno scorse, Spinto
dal vento, un gran spazio di mare, Quando a Ponente e nando contra POrse, Che
notte e dì non cessi mai soffiare. Sopra la Scozia ultimamente sorse, Dove la
selva Calidonia appare, Che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri S ode sonar di
bellicosi ferri. 57 E se del tuo valor cerchi far prova, T' è preparata la più
degna impresa Che nell'antiqua etade o nella nova Giammai da cavalier sia stata
presa. La figlia del Re nostro or si ritrova Bisognosa d'aiuto e di difesa
Contra un baron che Lurcanio si chiama. Che tor le cerca e la vita e la fama.
52 Vanno per quella i cavalieri erranti, Incliti in arme, di tutta Bretagna, E
de' prossimi luoghi e de' distanti Di Francia, di Norvegia e di Lamagna. Chi
non ha gran valor non vada innanti; Che dove cerca onor, morte guadagna. Gran
cose in essa già fece Tristano, Landlotto, Galasso, Artù e Galvano. 53 Ed altri
cavalieri e della nova E della vecchia Tavola famosi:Restano ancor di più d'una
lor prova Li monumenti e li trofei pomposi. L'arme Binaldo e il suo Baiardo
trova, E tosto si fa por nei liti ombrosi, E al nocchier comanda ohe si
spicche, E lo vada aspettar a Beroicche. 54 Senza scudiero e senza compagnia Va
il cavalier per quella selva immensa, Facendo or una ed or un'altra via, Dove
più aver strane avventure pensa. Capitò il primo giorno a una badia Che buona
parte del suo aver dispensa In onorar nel suo cenobio adomo Le donne e i
cavalier che vanno attorno. 58 Questo Lurcanio al padre l'ba accusata (Forse
per odio più che per ragione) Averla a mezza notte ritrovata Trarr' un suo
amante a sé sopra un verone. Per le leggi del regno condannata Al foco fia, se
non trova campione Che fra un mese, oggimai presso a finire, L'iniquo accusator
&ccia mentire. 59 L' aspra legge di Scozia, empia e severa, Vuol eh' ogni
donna, e di ciascuna sorte . Ch' ad uom si giunga e non gli sia mogliera, S'
accusata ne viene, abbia la morte. Né riparar si può ch'ella non pera, Quando
per lei non venga un guerrier forte Che tolga la difesa, e che sostegna Che sia
innocente e di morire indegna. 60 II re, dolente per Ginevra bella (Che così nominata
è la sua figlia), Ha pubblicato per città e castella, Che s' alcun la difesa di
lei piglia, E che l'estingua la calunnia fella (Purché sia nato di nobil
famiglia), L' avrà per moglie, ed uno stato, quale Fia convenevol dote a donna
tale. 55 Bella accoglienza i monachi e l'Abbate Fero a Rinaldo, il qual domandò
loro (Non prima già che con vivande grate Avesse avuto il ventre ampio ristoro)
Come dai cavalier sien ritrovate Spesso avventure per quel tenitoro, Dove si
possa in qualche fatto egregio L'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio. 56
Risposongli, eh' errando in quelli boschi, Trovar potria strane avventure e
molte: Ma come i luoghi, i fati ancor son foschi; Che non se n'ha notizia le
più volte. Cerca, diceano, andar dove conoschi Che Topre tue non restino
sepolte, Acciò dietro al periglio e alla fatica Segua la fama, e il debito ne
dica. 61 Ma se, fra un mese, alcun per lei non viene, 0 venendo non vince, sarà
uccisa. Simile impresa meglio ti conviene, Ch' andar pei boschi errando a
questa guisa, Oltre eh' onor e fama te n'avviene, Ch' in eterno da te non fia
divisa, Guadagni il fior di quante belle donne Dall'Indo sono all' atlantée
colonne; 62 E una ricchezza appresso, ed uno stato Che sempre far ti può viver
contento j E la grazia del Re, se suscitato Per te gli fia il suo onor, che è
quasi spento. Poi per cavalleria tu se' ubbligato A vendicar di tanto
tradimento Costei che, per comune opinione, Di vera pudicizia è un paragone.
Stanza 51, 63 Pensò Rinaldo alquanto, e poi riipose:Una donzella dunque de
morire Perchè lasciò sfogar neir amorose Sue braccia al suo amator tanto
desire? Sia maladetto chi tal legge pose, £ maladetto chi la può patire
Debitamente muore una crudele, Non chi dà vita al suo amator fedele. "4
Sia vero o falso che Ginevra tolto S'abbia il suo amaute, io non riguardo a
questo: D'averlo fatto la loderei molto, Quando non fosse stato manifesto. Ho
in sua difesa oni pensier rivolto: Datemi pur un che ujì guidi presto, E dove
pia Paccusator mi mene; Ch' io ppero in Dio, G nevra trar di pene. IV. 57 65
Non vo'già dir chella non l'abbia fatto; Che, noi sappiendo, il falso dir
potrei:Dirò ben, che non de' per simil atto Panizì'on cadere alcuna in lei; E
dirò, che fu ingiusto o che fu matto Chi fece prima gli statuti rei; E come
iniqui rivocar si denno, E nuova legge far con miglior senno. 70 Ma lagrimosa e
addolorata quanto Donna o donzella, o mai persona fosse. Le sono dui col ferro
nudo accanto, Per farle far l'erbe di sangue rosse. Ella con preghi differendo
alquanto GìvÀ il morir, sinché pietà si mosse. Venne Rinaldo, e, come se u'
accorse, Con alti gridi e gran minacce accorse. 66 Se un medesimo ardor, s'un
disir pare Inchina e sforza V uno e V altro sesso A quel soave fin d'amor, che
pare All' ignorante vulgo un grave eccesso; Perchè si de' punir donna o
biasmare, Che con uno o più d'uno abbia commesso Quel che l'uom fa con quante
n'ha appetito, E lodato ne va, non che impunito? 67 Son fatti in questa legge
disuguale Veramente alle donne espressi torti; E spero in Dio mostrar ch'egli è
gran male Che tanto lungamente si comporti. Rinaldo ebbe il consenso
universale, Che fur gli antiqui ingiusti e male accorti, Che consentirò a così
iniqua legge; E mal fa il Re, che può, né la corregge. 68 Poi che la luce
candida e vermiglia Dell' altro giorno aperse l'emispero, Rinaldo l'arme e il
suo Boiardo piglia, E di quella badia tolle un scudiero, Che con lui viene a
molte leghe e miglia, Sempre nel bosco orribilmente fiero, Verfo la terra ove
la lite nuova. Della donzella de' venir in pruova. 69 Avean, cercando abbreviar
cammino, • Lasciato pel sentier la maggior via; Quando un gran pianto udir
sonar vicino. Che la foresta d'ogn' intorno empia. Baiardo spinse l'un, l'altro
il ronzino Verso una valle, onde quel grido uscia; E fra dui mascalzoni una
donzella Vider, che di lontan parea assai bella; Stmza 71. 71 Voltaro i
malandrin tosto le spalle, Che '1 soccorso lontan vider venire, E si appiattar
nella profonda valle. Il Paladin non li curò seguire: Venne alla donna, e, qnal
gran colpa dàlieTanta punizion cerca d'udire; £, per tempo avanzar, fa allo
scudiero Levarla in groppa, e torn% al suo sentiero. 72 E cavalcando poi meglio
la guata Molto esser bella e di maniere accorte, Ancorché fosse tutta
spaventata Per la paura ch'ebbe della morte. Poi ch'ella fu di nuovo domandata
Chi r avea tratta a si infelice sorte, Incominciò con umil voce a dire Quel
ch'io vo' all'altro canto differire. N ot: St. 11. V.2. Pirene, i Pirenfli.
v.5. n Mar Schiavo, rAdiiatico; e il mar Tosco, il Tirreno. St. 13. V.2, È la
sinopia una terra rossa, così detta dall'essere stata trovata in Sinope, città
dell'Asia Uinore; e tuttavìa l'usano i legnaiaoli tingendone un filo per
segnare dirittamente le loro linee. St. 18. V.7. Monti Rifei, oggi diconsi
Monti UralL St. 40. V.14. I qui nominati furono cavalieri cri stiani fatti
prigionieri di Ifonodante insieme a Rinaldo ed altri in un castello
dell'Oriente. St. 46. V.12. Frontino era cavallo di Sacripante, rubatogli da
Brunello che lo diede poi a Ruggiero. St. 47. V.56. Ganimede, figlio di Troio
re d'Ilio, fb portato in cielo da Giove trasformatosi in aquila. St. 50. V.34.
Intende la vìa verso le Indie Orie" tali, perpendioolai'e alle quali
sembra il sole quando nel segno del granchio o cancro, cioè nel solstizio
estivo, a chi lo guarda da ponente. St. 5L V.6. Sélva Calidonia. Questa selva
occu pava anticamente una vastissima parte deOa Scozia settentrionale. St. 53.
V.8. Beroicche (ossia Bertnek) capital? di una contea meridionale della Scozia.
St. 61. V.8. Le colonne atlantee, dette altresì co lonne d'Ercole, sono i due
promontoij che formano Io stretto di Gibilterra; e la locuzione intiera
significa da levante a ponente. l>:iUHÌa jvalesa a Rinato b trama oidiJa dal
ano binante PolineiiSo a daiirtu Ai Oìnevra, lOiidantifttA a morire, ip ncni sì
offri' chi la dìretida contro Lurraiiio che! ImafPOmtadi disonestà rrìnaldo in
ri rii avi tRipo chiuso, quauiio ajtiiEinlo Liucanio ave co miniLiitt" li
t'<imbfUter& con un tiavalire scoìioac tu lo, presentatosi a diftnileela
princìpesaa; fa aoa pender: h pngna, manifesta V ingannatore, e gli fa
donfesaaic il lIcIìciOh Tutti gli altri aDÌmai €he ìjoiio in terra t) che vÌYOu
quieti e stanno in pRce O se Tengono a rissa e sì fan giierrsiT Alla fé mn lina
il tnaseUio ufn la face L'irsa rrjii Torso al bosco sicura erra: La leonessa
appresso il leon giace; Col lupo vive la lupa sicura, Nò la giuveuca ha del
torci paura. 2 Che abbominevol peste, che Megera É venuta a turbar gli umani
petti?Che si sente il marito e la mogliera Sempre garrir d'ingiuriosi detti,
Stracciar la faccia e far livida e nera, Bagnar di pianto i geniali letti; E
non di pianto sol, ma alcuna volta Di sangue gli hi bagnati Pira ."tolta.
stanza 9. Farmi non sol gran mal, ma che Tuom faccia Centra natura e sìa di Dio
ribello, Che s' induce a percuotere la faccia Di belhi donna, o romperle uu
capello; Ma chi le dà veneno, o chi le caccia L'alma del corpo con laccio o
coltello, Ch' uomo sia quel non crederò in eterno, Ma in vista umana un spirto
dell' inferno. Co tali esser doveano 1 duo ladroni Che Rinaldo cacciò dalla
donzella, Da lor condotta in quei scuri valloni, Perchè non se n'udisse più
novella. Io lasciai ch'ella render le cagioni S'apparecchiava di sua sorte
fella Al paladin che le fu buono amico: Or, seguendo l'istoria cosi dico. 5 La
donna incominciò: Tu intenderai La maggior crudeltade e la più espressa, Ch'in
Tebe e in Argo, o ch'in lIicene mai, 0 in loco più crudel fosse commessa. E se,
rotando il Sole i chiari rai, Qui men eh' all' altre regi'on s' appressa, Credo
eh' a noi mal volentieri arrivi, Perchè veder si crudel gente schivi'. ti Ch'
agli nemici gli nomini sien crudi, In ogni età se n'è veduto esempio; Ma dar la
morte a chi procuri e studi Il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio. E
acciò che meglio il vero io ti denudi, Perchè costor volessero far scempio
Drgli anni verdi miei centra ragione, Ti dirò da principio ogni cagione. 7
Voglio che sappi, signor mio, eh' essendo Tenera ancora, alli servigi venni
Della figlia del re, con cui crescendo, Buon luogo in corte ed onorato tenni.
Crudele Amore al mio stato invidendo, Fé' che seguace, ahi lassa ! gli
divenni:Fé' d'ogni cavalier, d'ogni donzello Parermi il duca d'Albania più
bello. 8 Perchè egli mostrò amarmi più che multo, Io ad amar lui con tutto il
cor mi mossi. Ben s'ode il ragionar, si vede il volto; Ma dentro il petto mal
giudicar puossi. Credendo, amando, non cessai che tolto L'ebbi nel letto; e non
gnardai ch'io fossi Di tutte le real camere in quella Che più secreta avea
Ginevra bella; 9 Dove tenea le sue cose più care, E dove le più volte ella
dormia. Si può di quella in s' un verone entrare, Che fuor del muro al
discoperto uscia. Io iacea il mio amator quivi montare: E la scala di corde
onde salia 10 stessa dal veron giù gli mandai, Qual volta meco aver lo desiai:
10 Che tante volte ve lo fei venire. Quante Ginevra me ne diede l'agio. Che
solca mutar letto, or per fuggire 11 tempo ardente, or il brumai malvagio. Non
fu veduto d'alcun mai salire; Però che quella parte del palagio Risponde verso
alcune case rotte, Dove nessun mai passa o giorno o notte. li Continaò per
molti giorni e mesi Tra noi secreto V amoroso gioco:Sempre crebbe l'amore; e si
m'accesi, Che tutta dentro io mi sentia di foco:E cieca ne fai si, eh' io non
compresi Oh' egli fingeva molto, e amaya poco; Ancor che li suo' inganni
discoperti Esser doveanmi a mille segni certi. 12 Dopo alcnn di si mostrò nuovo
amante Della bella Ginevra. Io non so appunto S' allora cominciasse, oppur
innante Dell'amor mio n'avesse il cor già punto. Vedi s' in me venuto era
arrogante, S' imperio nel mio cor s' aveva assunto; Che mi scoperse e non ebbe
rossore Chiedermi aiuto in questo nuovo amore. 1 3 Ben mi dicea eh' uguale al
mio non era, Né vero amor quel eh' egli avea a costei; Ma simulando esserne
acceso, spera Celebrarne i legittimi imenei. Dal re ottenerla fia cosa
leggiera, Qualor vi sia la volontà di lei; Che di sangue e di stato in tutto il
regno Non era, dopo il re, di lui'l più degno. 14 Hi persuade, se per opra mia
Potesse al suo signor genero farsi (Chò veder posso che se n'alzeria A quanto
presso al re possa uomo alzarsi), Che me n' avria buon merto, e non sana Mai
tanto beneficio per scordarsi; E ch'alia moglie e eh' ad ogni altro innante Mi
porrebbe egli in sempre essermi amante. 15 Io, ch'era tutta a satis&rgli
intenta. Né seppi 0 volsi contraddirgli mai, £ sol quei giorni io mi vidi
contenta, Ch'averlo compiaciuto mi trovai; Piglio l'occasion che s' appresenta
Di parlar d'esso e di lodarlo assai; Ed ogni industria adopro, ogni fatica, Per
far del mio amator Gine amica. 16 Feci col core e con l'effetto tutto Quel che
far si poteva, e sallo Iddio; Né con Ginevra mai potei far frutto, Ch' io le
ponessi in grazia il duca mio:E questo, che ad amar ella avea indulto Tutto il
pensiero e tutto il suo disio Un gentil cavalier, bello e cortese, Venuto in
Scozia di lontan paese; 17 Che con un suo fratel ben giovinetto Venne d'Italia
a stare in questa corte: Si fé' nell'arme poi tanto perfetto, Che la Bretagna
non avea il più forte. Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto; Che gli donò di
non picciola sorte Castella e ville e inrisdizì'oni, E lo fé' grande al par dei
gran baroni. Stanza 23. 18 Grato era al re, più grato era alla figlia Quel
cavalier, chiamato Arredante, Per esser valoroso a maraviglia; Ma più, eh' ella
sapea che l'era amante. Né Vesuvio, né il monte di Siciglia, Né Troia avvampò
mai di fiamme tante, Quante ella conoscea che per suo amore Arìodante ardea per
tutto il core. 19 L'amar che dunque ella facea colui Con cor sincero e con
perfetta fede, Fé' che pel duca male udita fui; Né mai risposta da sperar mi
diede. Anzi quanto io pregava più per lui, E gli studiava d'impetrar mercede,
Ella, biasmandol sempre e dispregiando, Se 11 venia più sempre inimicando. 20
Io confortai l'amator mìo sovente, Che volesse lasciar la vana impresa; Né si
sperasse mai volger la mente Di costei, troppo ad altro amore intesa: E gli
feci conoscer chiaramente, Come era sì d'Arìodante accesa, Che qunnt' acqua è
nel mar, pìccola dramma Non spegneria della sua immensa fiamma. 21 Questo da me
più volte Polinesso (Che cosi nome ha il duca) avendo udito, E ben compreso e
visto per sé stesso Che molto male era il suo amor gradito; Non pur di tanto
amor sì fu rimesso, Ma di veers un altro preferito, Come superbo, così mal
sofferse, Che tutto in ira e in odio si converse. 26 Così diss'eglL Io, che
divisa e scevra E lungi era da me, non posi mente Che questo, in che pregando
egli persevr4 . Era una frauda pur troppo evidente; E dal veron, coi panni di
Ginevra, Mandai la scala onde salì sovente; E non m' accorsi prima dell'
inganno, Che n'era già tutto accaduto il danno. 27 Fatto in quel tempo con
ArTodante Il duca avea queste parole o tali (Che grandi amici erano stati
innante Che per Ginevra si fesson rivali):Mi maraviglio, incominciò il mio amante,
Ch'avendoti io fra tutti li mie' ugnali Sempre avuto in rispetto e sempre
amato, Ch'io sia da te si mal rimunerato. 22 E tra Ginevra e P amator suo pensa
Tanta discordia e tanta lite porre, E farvi inimicizia cosi intensa, Che mai
più non si possino comporre; E por Ginevra in ignominia immensa, Donde non s'
abbia o viva o morta a tórre:Né dell'iniquo suo disegno meco Volse 0 con altri
ragionar, che seco. 23 Fatto il pensieri Dalinda mia, mi dice (Che così son
nomata), saper dèi Che, come suol tornar dalla radice Arbor che tronchi e
quattro volte e sei; Cosi la pertinacia mia infelice, Benché sia tronca dai
successi rei, Di germogliar non resta; che venire Pur vorria a fin di questo
suo desire. 24 E non lo bramo tanto per diletto, Quanto perchè vorrei vincer la
prova; E non possendo farlo con effetto, S' io Io fo immaginando, anco mi
giova. Voglio, qual volta tu mi dai ricetto, Quando allora Ginevra si ritrova
Nuda nel letto, che pigli ogni vesta Ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
25 Com'ella s'orna e come il crin dispone Studia imitarla, e cerca, il più che
sai. Di parer dessa; e poi sopra il verone A mandar giù la scala ne verrai. Io
verrò a te con immaginazione Che quella sii di cui tu i panni avrai:E così
spero, me stesso ingannando, Venir in breve il mio desir scemando. 28 Io son
ben certo che comprendi e sdi Di Ginevra e di me 1' antiquo amore; E per sposa
legittima oggimai Per impetrarla son dal mio signore. Perchè mi turbi tu?
perchè pur vai Senza frutto in costei ponendo il core? Io ben a te rispetto
avrei, per Dio, S' io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. 29 Ed io, rispose
Ariodante a lui, Di te mi maraviglio maggiormente; Che dì lei prima innamorato
fui, Che tu l'avessi vista solamente: E so che sai quanto è l'amor tra nui,
Ch'esser non può di quel che sia, più ardente: E sol d'essermi moglie intende e
brama:E so che certo sai ch'ella non t'ama. 30 Perchè non hai tu dunque a me il
rispetto Per l'amicizia nostra, che domande Ch'a te aver debba, e ch'io
t'avre'in efifettu, Se tu fossi con lei di me più grande? Né men di te per
moglie averla aspetto, Sebben tu sei più ricco in queste bande:Io non son meno
al re, che tu sia, grato; Ma più di tedalla sua figlia amato. 31 Oh, disse il
duca a lui, grande è cotesto Errore, a che t'ha il folle amor condutto! Tu
credi esser più amato; io credo questo Medesmo: ma si può vedere al frutto. Tu
fammi ciò e' hai seco manifesto, El io il secreto mio t'aprirò tutto; E quel di
noi che manco aver si veggia, Ceda a chi vince, e d'altro si provvegia. 32 E sarò
pronto, se tu vuoi ch'io giuri, Di non dir cosa mai che mi riveli:Così voglio
eh' ancor tu m'assicuri Che quel ch'io ti dirò, sempre mi ceb. Venner dunque
d'accordo agli scongiuri, E posero le man sugli Evacui; E, poiché di tacer fede
si diero, Arifodante incominciò primiero; 33 E disse per lo giusto e per lo
dritto, Come tra sé e Ginevra era la cosa: Ch "Ila gli avea giurato e a
bocca e in scritto, Che mai non saria ad altri, eh' a lui, sposa; E se dal re
le venia contradditto, Gli promettea di sempre esser ritrosa Da tutti gli altri
maritaggi poi, E viver sola in tutti i giorni suoi:34 E ch'esso era in
speranza, pel valore Ch' avea mostrato in arme a più d'un segno, Ed era per
mostrare a laude, a onore, A beneficio del re e del suo regno, Di crescer tanto
in grazia al suo signore, Che sarebbe da lui stimato degno Che la figliuola sua
per moglie avesse, Poi che piacer a lei cosi intendesse. 38 Non passa mese, che
tre, quattro e sei, E talor dìece notti io non mi trovi Nudo abbracciato in
quel piacer con lei, Ch' all'amoroso arder par che si giovi: Si che tu puoi
veder s' a' piacer miei Son d'agguagliar le ciance che tu provi. Cedimi dunque,
e d'altro ti provvedi, Poiché sì inferìor di me ti vedi. 39 Non ti vo' creder
questo, gli rispose Anodante, e certo so che menti; E composto fra te t' hai
queste cose, Acciò che dall' impresa io mi spaventi:Ma perchè a lei son troppo
iDgiurìose, Questo ch'hai detto sostener convienti; Che non bugiardo sol, ma
voglio ancora Che tu sei traditor mostrarti or ora. 40 Soggiunse il duca: Non
sarebbe onesto Che noi volessim la battaglia tórre Di quel che t' offerisco
manifesto, Quando ti piaccia, innanzi agli occhi porre. Resta smarrito Anodante
a questo, E per l'ossa un tremor freddo gli scorre:E se creduto ben gli avesse
appieno, Venia sua vita allora allora meno. 35 Poi disse: A questo termine son
io, Né credo già eh' alcun mi venga appresso; Né cerco più di questo, né desio
Dell' amor d'essa aver segno più espresso; Né più vorrei, se non quanto da Dio
Per connubio legittimo è concesso; E saria invano il dimandar più innanzi; Che
di bontà so come ogni altra avanzi. 36 Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto
Della mercè eh' aspetta a sua fatica, Polinesso, che già s' avea proposto Di
far Ginevra al suo amator nemica, Cominciò: Sei da me molto discosto, E vo' che
di tua bocca anco tu '1 dica; E del mìo ben veduta la radice, Che confessi me
solo esser felice.' 41 Con cor trafitto e eoa pallida faccia, E con voce
tremante e bocca amara, Rispose: Quando sia che tu mi faccia Veder quest'avventura
tua si rara, Prometto di costei lasciar la traccia, A te si liberale, a me sì
avara:Ma eh' io tei voglia creder non far stima, S'io non lo veggio con questi
occhi prima. 42 Quando ne sarà il tempo, awiserotti, Soggiunse Polinesso; e
dipartisse. Non credo che passar più di due notti, Ch'ordine fu che'l duca a me
venisse. Per scoccar dunque i lacci che condotti Avea si cheti, andò al rivale,
e disse Che s'ascondesse la notte seguente Tra quelle case, ove non sta mai
gente. 37 Finge ella teco, né t' ama né prezza; Che ti pasce di speme e di
parole:Oltra questo, il tuo amor sempre a sciocchezza, Quando meco ragiona,
imputar suole. Io ben d'esserle caro altra certezza Veduta n' ho, che di
promesse e fole; E tei dirò sotto la fé in secreto, Benché farei più il debito
a star cheto. 43 E dimostrògli un luogo a dirimpetto Di quel verone ove solca
salire. Ariodante avea preso sospetto Che lo cercasse far quivi venire. Come in
un luogo dove avesse eletto Di por gli agguati, e farvelo morire Sotto questa
finzion, che vuol mostrargli Quel di Ginevra, eh' impossibil pargli. 44 Di
voletvi venir prese partito, Ma in guisa che di lai non sia men forte; Perchè
accadendo che fosse assalito, Si trovi si che non tema di morte. Un suo
fratello avea saggio ed ardito, n più famoso in arme della corte, Detto
Lurcanio; e avea più cor con esso, Che se dieci altri avesse avuto appresso. 45
Seco chiaraoUo, e volse che prendesse L'arme; e là notte lo menò con lui:Non
che 1 secreto suo già gli dicesse; Né r avria detto ad esso, né ad altrui. Da
sé lontano un trar di pietra il messe; Se mi senti chiamar, vien, disse, a nui;
Ma se non senti, prima ch'io ti chiami, Non ti partir di qui, frate, se m' ami.
46 Va pur non duhitar, disse il fratello:E cosi venne Ariodante cheto; E si
celò nel solitario ostello Ch' era d'incontro al mio veron secreto. Vien
d'altra parte il fraudolente e fello; Che d'infamar Ginevra era si lieto; E fa
il segno, tra noi solito innante, A me che dell'inganno era ignorante. 47 Ed io
con veste candida, e fregiata Per mezzo a liste d'oro e d'ognintorno, E con
rete pur d'ór, tutta adombrata Di bei fiocchi vermigli, al capo intorno (Foggia
che sol fu dà Ginevra usata, Non d'alcun' altra); udito il segno, tomo Sopra il
veron, eh' in modo era locato, Che mi scopria dinanzi e d'ogni lato. 48
Lurcanio in questo mezzo dubitando Che '1 fratello a pericolo non vada, 0, come
è pur comun disio, cercando Di spiar sempre ciò che ad altri accada; L'era pian
pian venuto seguitando, Tenendo l'ombre e la più oscura strada: E a men di dieci
passi a lui discosto, Nel medesimo ostel s'era riposto. 50 E tanto più, ch'era
gran spazio in Fra dove io venni e quelle inculte case. Ai due fratelli, che
stavano al rezzo, Il duca agevolmente persuase Quel ch'era falso. Or pensa in
che ribreaczìG Ariodante, in che dolor rimase. Vien Polinesso, e alla scala s'
appoga, Che giù manda' gli; e monta in su la loggia. 61 A prima giunta io gli
getto le braccia Al collo; eh' io non penso esser veduta:Lo bacio in bocca e
per tutta la faccia • Come far soglio ad ogni sua venata. Egli più dell'usato
si procaccia D' accarezzarmi, e la sua f rande aiuta, Quell' altro al rio
spettacolo condutto, Misero sta lontano, e vede il tutto. 52 Cade in tanto
dolor, che si dispone Allora allora di voler morire; E il pome della spada in
terra pone, Che su la punta si volea ferire. Lurcanio, che con grande
ammirazione Avea veduto il duca a me salire, Ma non già conosciuto chi si
fosse, Scorgendo l'atto del fratel, si mosse; 63 E gli vietò che con la propria
mano Non si passasse in quel furore il petto. S' era più tardo, o poco più
lontano, Non giugnea a tempo, e non fòceva effetto. Ah m'sero fratel, fratello
insano, Gridò, perch' hai perduto l'intelletto, Ch'una femmina a morte trar ti
debbia? Ch'ir possan tutte come al vento nebbia. 64 Cerca far morir lei, che
morir merta; E serva a più tuo onor tu la tua morte. Fu d'amar lei, quando non
t' era aperta La fraude sua: or è da odiar ben forte; Poiché con gli occhi tuoi
tu vedi certa, Quanto sia meretrice, e di che sorte. Serba quest' arme, che
volti in te stesso, A far dinanzi al re tal fallo espresso. 49 Non sappiendo io
di questo cosa alcuna, Venni al veron nell' abito e' ho detto; Si come già
venuta era più d'una E più di due fiate a buono effetto. Le vesti si vedean
chiare alla luna; Né dissimile essendo anch' io d'aspetto Né di persona da
Ginevra molto. Fece parere un per un altro il volto:55 Quando si vede Ariodante
giunto Sopra il fratel, la dura impresa lascia; Ma la sua intenzì'on da quel
ch'assunto Avea già di morir, poco s'accascia. Quindi si lieva, e porta non che
punto, Ma trapassato il cor d'estrema ambascia: Pur finge col fratel, che quel
furore Non abbia più, che dianzi avea, nel core. 66 n seguente mattin, senza
far motto Al sao fratello o ad altri, in via si messe, Dalla mortai disperazion
condotto: Né di lui per più di fd chi sapesse. Fuorché '1 duca e il fratello,
ogni altro indotto Era chi mosso al dipartir P avesse. Nella casa del re di lui
diversi Ragionamenti, e in tutta Scozia férsi. 57 In capo d'otto o di più giorni
in corte Venne innanzi a Ginevra nn viandante, E novelle arrecò di mala sorte:
Che s' era in mar sommerso Arì'odante Di volontaria sua lihera morte, Non per
colpa di Borea o di Levante. Dmi sasso che sul mar sporgea'molt alto Avea col
capo in giù preso nn gran salto. 58 Colui dicea: Pria che 'venisse a questo, A
me, che a caso riscontrò per via, Disse: Yien meco, acciò che manifesto Per te
a Ginevra il mio successo sia; E dille poi, che la cagion del resto Che tu
vedrai di me di' or ora fia, È stato sol perch'ho troppo veduto: Felice, se
senza occhi io fussi suto ! 59 Eramo a caso sopra Capohasso, Che varso Irlanda
alquanto sporge in mare. Cosi dicendo, di cima d'un sasso Lo vidi a capo in giù
sott'acqua andare. Io lo lasciai nel mare, ed a gran passo Ti 8on venuto la
nuova a portare. Ginevra, shigottita e in viso smorta, Rimase a quell' annunzio
mezza morta. 60 Oh Dio, che disse e fece poi che sola Si ritrovò nel suo fidato
letto ! Percosse il seno, e si stracciò la stola, E fece all' aureo crin danno
e dispetto; Ripetendo sovente la parola Ch'Ariodante avea in estremo detto: Che
la cagion del suo caso empio e tristo Tutta venia per aver troppo visto. 61 n
rumor scorse di costui per tutto. Che per dolor s'avea dato la morte. Di questo
il re non tenne il viso asciutto. Né cavalier né donna della corte. Di tatti il
suo fratel mostrò più lutto; £ si sommerse nel dolor si forte, Ch' ad esempio
di lui, centra sé stesso Voltò quasi la man, per irgli appresso:Stanca 51. 2 E
molte volte ripetendo seco, Che fu Ginevra che il fratel gli estinse, E che non
fu se non quell'atto bieco Che di lei vide, eh' a morir lo spinse; Di voler
vendicarsene si cieco Venne, e sì l'ira e si '1 dolor lo vinse . Che di perder
la grazia vilipese, Ed aver l'odio del re e del paese: 63 E innanzi al re,
quando era più di gente La sala piena, se ne venne, e disse:Sappi, signor, che
di levar la mente Al mio fratel, si ch a morir ne gisse, Stata è la figlia tua
sola nocente; Cha lui tanto dolor Palma trafisse D aver veduta lei poco pudica,
Che più che vita ebbe la morte amica. 64 Erane amante; e perchè le sue voglie
Disoneste non fur, noi vo coprire. Per virtù meritarla aver per moglie Pa te
sperava, e per fedel servire; Ma, mentre il lasso ad odorar le foglie Stava
lontano, altrui vide salire, Salir su r arbor riserbato, e tutto Essergli tolto
il desiato frutto. 65 E seguitò, come egli avea veduto Venir Ginevra sul
verone, e come Mandò la scala, onde era a lei venuto Un drudo suo, di chi egli
non sa il nome: Che savea, per non esser conosciuto, Cambiati i panni e nascose
le chiome. Soggiunse, che con Tarme egli volea Provar, tutto esser ver ciò che
dicea. 66 Tu puoi pensar se U padre addolorato Riman, quando accusar sente la
figlia; Sì perchè ode di lei quel che pensato Mai non avrebbe, e n'ha gran
maraviglia; Si perchè sa che fia necessitato (Se la difesa alcun guerrier non
piglia, n qual Lurcanio possa far mentire) Di condannarla e di farla morire. 67
Io non credo, signor, che ti sia nova La legge nostra, che condanna a morte
Ogni donna e donzella che si prova Di sé far copia altrui, ch'ai suo consorte.
Morta ne vien, s'in un mese non trova In sua difesa un cavalier si forte. Che
contra il falso accusator sostegna Che sia innocente, e di morire indegna. 68
Ha fatto il re bandir per liberarla (Che pur gli par ch'a torto sia accusata),
Che vuol per moglie, e con gran dote, darla A chi tona l'infamia che l'è data.
Che per lei comparisca non si parla Guerriero ancora, anzi l'un l'altro guata;
Che quel Lurcanio in arme è cosi fiero, Che par che di lui tema ogni guerriero.
69 Atteso ha Tempia sorte, che Zerbino, Fratel di lei, nel regno non si trove;
Che va già. molti mesi peregrino, Mostrando dì sé in arme inclite prove: Che
quando si trovasse più vicino Quel cavalier gagliardo, o in luogo dove Potesse
avere a tempo la novella. Non mancheria d'aiuto alla sorella. 70 II re,
ch'intanto cerca di sapere Per altra prova, che per arme, ancora. Se sono
queste accuse o false o vere. Se dritto 0 torto è che sua figlia mora, Ha
fEttto prender certe cameriere Che lo dovrìan saper, se vero f3ra; Ond'io
previdi che se presa era io, Troppo parìglie era del duca e mio. 71 E la notte
medesima mi trassi Fuor della corte, e al duca mi condussi; E gli feci veder
quanto importassi Al capo d'amendua, se presa io fussL Lodommi, e disse ch'io
non dubitassi:A' suoi conforti poi venir m'indussi Ad una sua fortezza ch'è qui
presso, In compagnia di dui che mi diede esso. 72 Hai sentito, signor, con
quanti eifetti Dell'amor mio fei Polinesso certo; E s'era debitor per tai
rispetti D'avermi cara o no, tu '1 vedi aperto. Or senti il guiderdon ch'io
ricevetti: Vedi la gran mercè del mio gran merto:Vedi se deve, per amare assai.
Donna sperar d'essere amata mai; 73 Che questo ingrato, perfido e crudele,
Della mia fede ha preso dubbio alfine: Venuto è in sospizion ch'io non rivele
Al lungo andar le fraudi sue volpine. Ha finto, aedo che m'allontano e cele
Finché Tira e il furor del re decline. Voler mandarmi ad un suo luogo forte; E
mi volea mandar dritto alla morte:74 Che di secreto ha commesso alla guida. Che
come m' abbia in queste selve tratta, Per degno premio di mia fé m'uccida. Così
Tintenzion gli venia fatta, Se tu non eri appresso alle mia grida.Ve' come Amor
ben chi lui segue, tratta ! Così narrò Dalinda al paladino. Seguendo tuttavolta
il lor cammino; 75 A cui fa sopra ogni avventura grata Questa, daver trovata la
donzella C he gi avea tatta l'istoria narrata Dcir iiinocenada di Ginevra
bella. £ 86 sperato avea, qnando accusata Ancor fosse a ragion, d'aiutar
quella, Con via maggior baldanza or viene in prova, Poi che evidente la
calunnia trova. 76 E verso la città di Santo Andrea, Dove era il re con tutta
la famiglia, E la battaglia singular dovea Esser della querela della figlia,
Andò Rinaldo quanto andar potea, Finché vicino giunse a poche miglia; Alla
città vicino giunse, dove Trovò un scudier eh' avea più fresche nuove:Stanza
74. 77 Oh' un cavalier istrano era venato, Ch' a difender Ginevra s' avea
tolto, Con non usate insegne e sconosciuto, Perocché sempre ascoso andava molto;
E che, dopo che v'era, ancor veduto Non gli avea alcuno al discoperto il volto;
E che '1 proprio scudier che gli servia Dicea giurando: Io non so dir chi sia.
78 Non cavalcaro molto, eh' alle mura Si trovar della terra, e in su la porta.
Dalinda andar più innanzi avea paura; Pur va, poiché Rinaldo la conforta. La
porta é chiusa; ed a chi n'avea curi Rinaldo domandò: Questo ch'importa? E
fugli detto, Perché '1 popol tutto A veder la battaglia era riduttOj 79 Che tra
Larcanio e un cavalìer istrano Si £% nell altro capo della terra, Ov' era un
prato spazioso e piano; E che già cominciata hanno la gaerra. Aperto fa al
signor di Montalhano; E tosto il portinar dietro gli serra. Per la vota città
Rinaldo passa; Ma la donzella al primo albergo lassa: stanza 82. 82 Rinaldo se
ne va tra gente e gente:Fassi far largo il buon destrier Baiardo:Chi la
tempesta del suo venir sente, A dargli via non par zoppo né tardo. Rinaldo vi
compar sopra eminente, E ben rassembra il fior d ogni gagliardo; Poi si ferma
all'incontro oye il re siede; Ognun s'accosta per adir che chiede. 83 Rinaldo
disse al re: Magno signore, Non lasciar la battaglia più segnire:Perchè di
questi dua qualunque more, Sappi eh' a torto tu'l lasci morire. L'un crede aver
ragione ed è in errore, E dice il falso e non sa di mentire; Ma quel medesmo
error che'l suo germano A morir trasse, a lui pon l'anne in mano:84 L'altro non
sa se s' abbia dritto o torto; Ma sol per gentilezza e per boutade In pericol
si è posto d'esser morto, Per non lasciar morir tanta beltade. Io la salute
all' innocenzia porto, Porto il contrario a chi usa falsitade. Ma, per Dio,
questa pugna prima parti; Poi mi dà udienza a quel eh' io to' narrartL 85 Fu
dall' autorità d'un uom si degno, Come Rinaldo gli parca al sembiante, Si mosso
il re, che disse e fece segno Che non andasse più la pugna innante; Al quale
insieme ed ai baron del regno, E ai cavalieri e all'altre turbe tante Rinaldo
fé' l'inganno tutto espresso, Ch'avea ordito a Ginevra Polinesso. 80 E dice che
sicura ivi si stia Finché ritomi a lei, che sarà tosto; E verso il campo poi
ratto s'invia, Dove li dui guerrier dato e risposto Molto s'aveano, e davan
tuttavia. Stava Lurcanio di mal cor disposto Contra Ginevra; e l'altro in sua
difesa Ben sostenea la favorita impresa. 86 Indi s'offerse di voler provare
Coli' arme, eh' era ver quel eh' avea detto. Chiamasi Polinesso; ed ei compare,
Ma tutto conturbato nell'aspetto: Pur con audacia cominciò a negare. Disse
Rinaldo: Or noi vedrem l'effetto. L'uno e l'altro era armato, il campo fatto;
Si che senza indugiar vengono al fatto. 81 Sei cavalier con lor nello steccato
Erano a piedi armati di corazza, Col duca d'Albania, ch'era montato S'un
possente corsier di buona razza. Come a gran contestabile, a lui dato La
guardia fu del campo e della piazza: E di veder Ginevra in gran periglio Avea
il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio. 87 Oh quanto ha il re, quanto ha il suo
popol, caro Che Ginevra a provar s' abbi innocente ! Tutti han speranza che Dio
mostri chiaro Ch'impudica era detta ingiustamente. Crudel, superbo e riputato
avaro Fu Polinesso, iniquo e fraudolente; Si che ad alcun miracolo non fia Che
l'inganno da lui tramato sia. 88 Sta PolinesBo con Ia feusda mesta, Ck)l oor
tremante e con illida guancia; E al terzo snon mette la lancia in resta. Cosi
Rinaldo inverso Ini si lancia, Che, disioso di finir la festa, Mira a passargli
il petto con la lancia:Né discorde al disir segui l'effetto; Che mezza l'asta
gii cacciò nel petto. 89 Fisso nel tronco lo trasporta in terra Lontan dal suo
destrier più di sei braccia. Rinaldo smonta sabito, e gli afferra L'elmo, pria
che si lievi, e gli lo slaccia:Ma qnel, che non può far più troppa guerra Gli
domanda mercè con nmil faccia, E gli confessa, udendo il re e la corte, La
frande sua che Tha condutto a morte. 9Ò Non fini il tutto, e in mezzo la parola
E la voce e la vita T abbandona, n re, che liberata la figlinola Vede da morte
e da fama non buona, Più s'allegra, gioisce e racconsola, Che, s' avendo
pèrduta la corona, Ripor se la vedesse allora allora; Si che Rinaldo unicimente
onora: 91 E poi eh' al trar dell' elmo conosciuto L'ebbe, perch' altre volte
l'avea visto, Levò le mani a Dio, che d'un aiuto Come era quel, gli avea si ben
provvisto. Queir altro cavalier che, sconosciuto, Soccorso avea Ginevra al caso
tristo, Ed armato per lei s' era condotto, Stato da parte era a vedere il
tutto. Stanza 91. 92 Dal re pregato fu di dire il nome, 0 di lasciarsi almen
veder scoperto, Acciò da lui fosse premiato, come Di sua buona intenzion
chiedeva il merto. Quel, dopo lunghi preghi, dalle chiome Si levò r elmo, e fé'
palese e certo Quel che nell' altro Canto ho da seguire, Se grato vi sar&
l'istoria udire. NO TB. St. 2. V.1 Megera ò una delle tre Farìe della Mi
tologia: etimologicameiite, importa odio, invidia. St. 5. V.a Tebe Argo,
Micene, città greche, in iàmi per varie nebndezze commessevi, come il reciproco
fratricidio di Eteode e Polinice, la scellerata cena di Atreo e Tieste, i
parricicU di Penteo e di Atamante. l'assaasinio di Agamennone, e la strage dei
loro mariti fktta daUe DanaidL St. 7. V.8. Albania. Qoi per una regione della
Scozia (Albany) con titolo di Contea. St. 9. V.34. " Verone, nn andito
scoperto per passare da stanza a stanza. St. 18. V.5. Monte di Sieiglia, ò
l'Etna. St. 50. V.25. Case inadie, significa cose disabitate. BesMOt nel terzo
verso, equivale a buio di notte. St. 60. V.3. La stola era propria delle
matrone romane, ma in qnesto verso intendesi generalmente per veste donnesca.
St. 73 V.3. Sospisione, cioè sospetto. St. 76. y. 1. Sant'Andrea, St. Andrews,
città già capitale della Scozia, nella Ck>ntea di Fife. nito di Ginevra, Il
io ilila dà in moglie e icrdonft a D" linda compiirjj della calunnia.
Ruggiero è portato dnirip l'itffiifu jifU isola di Cicilia, ovo Astolfo,
ctigiiio di Bro4" mftiite, convprtìto in mirto, io ioiisjglia r non psoire
pi oltre. Rug|s:ifiro vuole alloidauarsi dJlisola: diversi moAtii gli si
oppaiiicnio indarno; mt% pt>i ale a ne donzelle lo di tolf ono dal Atio
i)ropojtimento. Misr clii mal oprando m confida rii'[ji,nor star debbia il
maleficio occulto; Che, quando ogni altro taccia i intorno grida L'aria e la
terra i.tessa ia eli' è sepulto:E Dio fa speio chel peccato guida Il peccator,
poi eli alcun di gli ha indulto, Cile sé medesimo ena altrui richiesta.,
Inavvedutamente manifesta. A?ea creduto it niiser Polìnesso Totalmente il
delitto suo coprire j Dal inda consapevole d'appresso Levanti 0 fi ì, che sola
pò tea dire:E aceìungeudo il secondo al primo eccesso, Affrettò il mal che
potea differire, E potea differire e schivar forse Ma sé stesso spronando, a
morir corse VI. 3 E perde amici a un tempo, e vita, e state, E onor, che fa
molto più grave danno. Dissi di sopra, che fa assai presto Il cavalier che
ancor chi sia non sanno. Alfin si trasse V elmo, e 1 yìso amato Scoperse, che
più volte vedato hanno; E dimostrò com era Ariodante, Per tatta Scozia
lacrimato innante; 4 Arì'odante, che Ginevra pianto Avea per morto, e '1 fratel
pianto avea, Il re, la corte, il popol tutto quanto: Di tal hontà, di tal valor
splendea. Adnnqae il peregria mentir di quaato Dianzi di lui narrò, qaivi
apparea; E fa pnr ver che dal sasso marino Gittarsi in mar lo vide a capo
chino. 5 Ma (come avviene a nn disperato spesso, Che da lontan brama e disia la
morte, E r odia poi che se la vede appresso, Tanto gli pare il passo acerbo e
forte) Arìodante, poi ch in mar fu messo, Si penti di morire: e come forte E
come destro e pii\ d'ogni altro ardito, Si messe a nuoto, e ritomossi al lito;
6 E dispregiando e nominanslo folle Il desir eh' ebbe dì lasciar la vita, Si
messe a camminar bagnato e molle, E capitò air ostel d'nn eremita. Quivi
secretamente indugiar volle Tanto, che la novella avesse udita, Se del ca£o
Ginevra s allegrasse, Oppur mesta e pietosa ne restasse. 7 Intese prima, che
per gran dolore Elhi era stata a rischio di morire (La fama andò di questo in
modo faore, Che ne fu in tutta V isola che dire):Contrario effetto a quel che
per errore Credea aver visto con suo gran martire. Intese poi come Lurcanio
avea Fatta Ginevra appresso il padre rea. 8 Centra il fratel d'ira minor non
arse, Che per Ginevra già d amore ardesse; Che troppo empio e crudele atto gli
parse, Ancora che per lui fatto T avesse. Sentendo poi, che per lei non
comparse Cavalier che difeadfer la volesse (Che Lurcanio sì forte era e gagliardo,
Ch ognun d andargli centra avea riguardo; 9 E chi n' avea notizia, il riputava
Tanto discreto, e si saggio ed accorto, Che se non fosse ver quel che narrava,
Non si porrebbe a rischio di esser morto; Per questo la più parte dubitava Di
non pigliar questa difesa a torto); Arìodante, dopo gran discorsi, Pensò
all'accusa del fratello opporsi. stanza 6. 10 Ah lasso ! io non potrei, seco
dicea, Sentir per mia cagion perir cortei:Troppo mia morte fora acerba e rea,
Se innanzi a me morir vedessi lei. Ella è pur la mia donna e la mia Dea; Questa
è la luce pur degli occhi miei: Convien eh' a dritto o a torto, per suo scampo
Pigli r impresa, e resti morto in campo. 11 So ch'io m'appiglio al torto; e al
torto sia: E ne morrò; né questo mi sconforta, Se non ch'io so che per la morte
mia Si bella donna ha da restar poi morta. Un sol conforto nel morir mi fia,
Che, se '1 suo Polinesso amor le porta, Chiaramente veder avrà potuto Che non
s'è mosso ancor per darle aiuto; 12 E me, die tanto eepressamente ha Vedrà, per
lei salyare, a morir giunto. Di mio fratello insieme, il quale acceso Tanto
foco ha, vendicherommi a un punto; Ch io lo farò doler poi che compreso n fine
avrà del suo crudele assunto:Creduto vendicar avrà il germano, E gli avrà dato
morte di sua mano. 18 Concluso ch ebbe questo nel pensiero, Nuove arme ritrovò,
nuovo cavallo; E sopravveste nere e scudo nero Portò, fregiato a color
verdegiallo. Per avventura si trovò un scudiero Ignoto in quel paese, e menato
hallo:E sconosciuto, come ho già narrato, S'appresentò contra il fratello
armato. '>.è f >'stanza 23. 14 Narrato v' ho come il eitto successe, Come
fu conosciuto Arì'odante. Non minor gaudio nebbe il re, ch avesse Della
figliuola liberata innante. Seco pensò che mai non si potesse Trovar un più
fedele e vero amante; Che, dopo tanta ingiuria, la difesa Di lei contra il
fratel proprio avea presa. 15 E per sua inclinazion (eh' assai Pamava), E per
li preghi di tutta la corte, E di Rinaldo che più d'altri instava, Della bella
figliuola il fa consorte. La duchea d'Albania, ch'ai re tornava Dopo che
Polinesso ebbe la morte, In miglior tempo discader non pnote, Poiché la dona
alla sua figlia in dote. 16 Rhialdo per Dalinda impetrò grana " Che se n'
andò di tanto errore esente; La qual per voto, e perchè molto sazia Era del
mondo, a Dio volse la mente. Monaca s' andò a render fin in Dazia, E si levò di
Scozia immantinente. Ma tempo è omai di ritrovar Ruggiero, Che scorre il ciel
su l'animai leggiero. 17 Benché Rnggier sia d'animo costante Né cangiato abbia
il solito colore, Io non gli voglio creder che tremante Non abbia dentro più
che foglia il core. Lasciato avea il gran spazio distante Tutta l'Europa, ed
era uscito faore Per molto spazio il segno che prescritto Avea già a' naviganti
Ercole invitto 18 Quello Ippogrifo, grande e strano aiigdlo . Lo porta via con
tal prestezza d'ale, Che lascieria di lungo tratto quello Celer ministro del
fulmineo strale. Non va per l'aria altro animai (à snello. Che di velocità gli
fosse uguale:Credo ch'appena il tuono e la saetta Venga in terra dal ciel con
maggior fretta. 19 Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio Per linea dritta
e senza mai piegarsi, Con larghe ruote, omai dell' aria sazio, Cominciò sopra
una isola a calarsi, Pare a quella ove, dopo lango strazio Far del suo amante e
lungo a lui celarsi, La vergine Aretusa passò invano Di sotto il mar per cammin
cieeo e strano. 20 Non vide né più bel né '1 più giocondo Da tutta r aria ove
le penne stese; Né, se tutto cercato avesse il mondo, Vedria di questo il più
gentil paese; Ove, dopo un girarsi di gran tondo, Con Ruggier seco il grande
augel discese. Culto pianure e delicati colli, Chiare acque, ombrose ripe e
prati molli. 21 Vaghi boschetti di soavi allori, Di palme e d'amenissime
mortelle. Cedri ed aranci eh' avean frutti e fiorì Contesti in varie forme e
tutte belle, Facean riparo ai fervidi calori De' giorni estivi con lo'r spesse
ombrelle; E tra quei rami con sicuri voli Cantando se ne giano i rosignuoli. 22
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli, Che tepida aura freschi ognora serba,
Siciiri si vedean lepri e conigli, E cervi con la fronte alta e superba, Senza
temer ch'alcun gli uccida o pigli, Pascano o stiansi ruminando Terba: Saltano i
daini e i capri isnelli e destri, Glie sono in copia in quei lochi campestri. 28
Come si presso è Plppogrifoi terra, Ch' esser ne può men periglioso il salto,
Buggier con fretta dell' arcion si sferra, E si ritrova in su Ferboso smalto.
Tuttavia in man le redine si serra, Che non vuol che'l destrier più vada in
altoj: Poi lo lega nel margine marino A un verde mirto in mezzo un lauro e un
pino. Stanza 42. 24 E quivi appresso, ove surgea una fonte Cinta di cedri e di
feconde palme, Pose lo scudo, e Telmo dalla fronte Si trasse, e disarmossi ambe
le palme; Ed ora alla marina ed ora al monte Volgea la faccia air aure fresche
ed alme, Che Talte cime con mormorii lieti Fan tremolar dei fÌEiggi e degli
abeti. 25 Bagna talor nella chiara onda e fresca L'asciutte labbra, e con la
man diguazza, Acciò che delle vene il calor esca Che gli ha acceso il portar
della corazza. Né maraviglia è già eh' ella gV incresca, Che non è stato un far
vedersi in piazza; Ma senza mai posar, d'arme guemito, Tremila miglia ognor
correndo era ito. 26 Qqìtì stando, il destrier eh' ayea lasciato Tra le imù
dense frasche alla fresca ombra, Per fùj si rivolta, spaventato Di non so che,
che dentro al bosco adombra; E tà crollar si il mirto ove è legato, Che delle
frondi intorno il piò gV ingombra:Crollar fa il mirto, e fa cader la foglia; Né
succede però che se ne scioglia. 27 Come ceppo talor, che le medoUe Rare e vote
abbia, e posto al foco sia, Poi che per gran calor qnell'aria molle Resta
consanta eh' in mezzo V empia, Dentro risuona, e con strepito bolle Tanto che
quel foror trovi la via; Cosi mannara e stride e si corraccia Quel mirto
offeso, e alfin apre la bnccia. 28 Onde con mesta e flebil voce uscio Espedita
e chiarissima' fisivella, E disse: Se tu sei cortese e pio, Come dimostri alla
presenza bella, Lieva questo animai dall' arbor mio:Basti che '1 mio mal proprio
mi flagella, Senza altra pena, senza altro dolore Ch'a tormentarmi ancor venga
di fùore. 29 Al primo suon di quella voce torse Ruggiero il viso, e subito
levosse; E, poi eh' uscir dall' arbore s' accòrse, Stupefatto restò più che mai
fosse. A levarne il destrier subito corse; E con le guancie di vergogna
rosse:Qual che tu sii, perdonami, dicea, 0 spirto umano, o boschereccia Dea. 30
n non aver saputo che s'asconda Sotto ruvida scorza umano spirto, M' ha
lasciato turbar la bella fronda, E far ingiuria al tuo vivace mirto: Ma non
restar però, che non risponda Chi tu ti sia, ch'in corpo orrido ed irto. Con
voce e razionale anima vivi; Se da grandine il del sempre ti schivi. 31 E sora
o mai potrò questo dispetto Con alcun beneficio compensarte, Per quella bella
donna ti prometto. Quella che di me tien lamiglior parte, Ch' io farò con
parole e con effetto, Ch'avrai giusta cagion di me lodarte. Come Ruggiero al
suo parlar fin diede, Tremò quel mirto dalla cima al piede. 32 Poi ai vide
sudar su per ì\ soorza, Come legno dal bosco allora tratto, Che del foco venir
sente la forza, Poscia eh' invano ogni ripar gli ha fatto; E cominciò: Tua
cortesia mi sforza A discoprirti in un meiesmo tratto Ch' io fossi prima, e chi
converso m' agg:ia In questo mirto in su l'amena spiaggia. 33 n nome mio fu
Astolfo; e paladino Era di Francia, assai temuto in guerra; D'Orlanio e di
Rinaldo era cugino, La cui fama alcun tonnine non serra; E si spettava a me
tutto il donano, Dopo il mio padre Oton, dell'Inlterra:Leggiadro e bel fui si,
che di me accesi Più d'ona donna; e alfin me solo offesi. 34 Ritornando io da
quelle isole estreme Che da levante il mar Lidico lava, Dove Rinaldo ed alcun'
altri insieme Meco fnr chiusi in parte oscura e cava, Ed onde liberati le
supreme Forze n' avean del cavalier di Brava; Vèr ponente io venia lungo la
sabbia Che del settentrion sente la rabbia. 35 E come la via nostra, e il dura
e fello Destin ci trasse, uscimmo una mattina Sopra la bella spiaga, ove un
castello Siede sol mar della possente Alcina. Trovammo lei eh' uscita era di
quello, E stava sola in ripa alla marina; E senza rete e senza amo traea Tutti
li pesci al lito, che volea. 36 Veloci vi correvano i delfini, Vi venia a bocca
aperta il grosso tonno; I capidogli coi vecchi marini Vengon turbati dal lor
pigro sonno; Muli, salpe, salmoni e coracini Nuotano a schiere in più fretta
che ponno; Pistrici, fisiteri, orche e balene Escon dal mar con mostruose
schiene. 37 Veggiamo una balena, la maggiore Che mai per tatto il mar veduta
fosse; Undeci passi e più dimostra fùore Dell'onde salse le spajlaece grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore: Perch' era ferma e che mai non si scosse
. Ch'ella sia una isoletta ci credemo; Cosi distante ha l'un dall' altro
estremo. 38 Alcina i pesci ascir facea deir acque Con semplici parole e pori
incanti. Con la fetta Morgana Alcina nacqne, Io non so dir s'a un parto, o dopo
o innantì Gnardommi Alcina; e subito le piacque L'aspetto mio, come mostrò ai
sembianti; £ pensò con astuzia e con ingegno Tonni ai compagni; e riusci il
disegno. 39 Ci venne incontra con allegra faccia, Con modi granosi e riverenti;
E disse: Cavalier, quando vi piaccia Far oggi meco i vostri alloggiamenti, Io
vi fSeurò veder, nella mia caccia, Di tutti i pesci sorti differenti: Chi
scaglioso, chi molle, e chi col pelo; E saran più che non ha stelle il cielo.
40 E volendo vedere una Sirena Che col suo dolce canto accheta il mare. Passiam
di qui fin su quell altra arena, Dove a quest'ora suol sempre tornare: E ci
mostrò quella maggior balena Che, come io dissi, una isoletta pare. Io, che
sempre fui troppo (e me n' incresce) Volonteroso, andai sopra quel pesce. 41
Rinaldo m'accennava, e similmente Dndon, eh' io non v andassi; e poco valse. La
fata Alcina con faccia ridente, Lasciando gli altri dna, dietro mi salse. La
balena, all'ufficio diligente, Nuotando se n' andò per l'onde salse. Di mia
sciocchezza tosto fui pentito; Ma troppo mi trovai lungi dal lito. 42 Rinaldo
si cacciò nell'acqua a nuoto Per aiutarmi, e quasi si sommerse, Perchè levossi
un furioso Noto Che d'ombra il cielo e '1 pelago coperse. Qael che di lui segui
poi, non m' è noto. Alcina a confortarmi si converse; E quel di tutto e la
notte che venne, Sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne: 43 Finché venimmo
a questa isola bella. Di cui gran parte Alcina ne possiede, E r ha usurpata ad
una sua sorella Che'l padre già lasciò del tutto erede, Perchè sola legittima
avea quella; E (come alcun notizia me ne diede, Che pienamente instrutto era di
questo)Sono quest'altre due nate d'incesto: 44 E come sono inique e
scellerate,E piene d'ogni vizio infame e brutto; Cosi quella, vivendo in
castitate, Posto ha nelle virtuti il suo cor tutto. Centra lei queste due son
congiurate; E già più d'uno esercito hanno instrutto Per cacciarla dell'isola,
e in più volte Più di cento castella l'hanno tolte: 45 Né ci terrebbe ormai
spanna di terra, Colei, che Logistilla è nominata, Se non che quinci un golfo
il passo serra, E quindi una montagna inabitata; Si come tien la Scozia e
l'Inghilterra n monte e la riviera, separata: Né però Alcina uè Morgana resta,
Che non le voglia tor ciò che le resta. 46 Perchè di vizii è questa coppia rea,
Odia colei perch' è pudica e santa. Ma per tornare a quel ch'io ti dicea, E
seguir poi com' io divenni pianta, Alcina in gran delizie mi tenea, E del mio
amore ardeva tutta quanta; Né minor fiamma nel mio core accese H veder lei d
bella e si cortese. 47 Io mi godea le delicate membra: Pareami aver qui tutto
il ben raccolto, Che fra' mortali in più parti si smembra, A chi più ed a chi
meno, e a nessun molto; Né di Francia né d'altTo mi rimembra; Stavami sempre a
contemplar quel volto: Ogni pensiero, ogni mio bel disegno In lei finia, né
passava oltre il segno.. 48 Io da lei altrettanto era o più amato:Alcina più
non si curava d'altri:Ella ogni altro suo amante avea lasciato; Ch' innanzi a
me ben ce ne fur degli altri. Me consiglier, me avea di e notte a lato; E me
fé' quel che comandava agli altri: A me credeva, a me si riportava; Né notte o
di con altri mai parlava. 49 Deh ! perchè vo le mie piaghe toccando, Senza
speranza poi di medicina? Perchè l'avuto ben vo rimembrando, Quand'io patisco
estrema disciplina? Quando credea d'esser felice, e quando Credea ch'amar più
mi dovesse Alcina, Il cor che m'avea dato si ritolse, E ad altro nuovo amor
tutta si volse. 76 50 Ck)nobbi tardi il suo mobil ingegno, Usato amare e
disamare a nn ponto. Non era stato oltre a duo mesi in regno, Ch'un nuoTO
amante al loco mio fii assunto. Da sé cacciommi la fata con sdegno, E dalla
grazia sna m ebbe disgiunto:E seppi poi, che tratti a simil porto Ayea milP
altri amanti, e tutti a torto.61 E perchè essi non vadano pel mondo Di lei
narrando la vita lasciva, Chi qua chi là per lo terren fecondo Li muta, altri
in abete, altri in oliva, Altri in palma, altri in cedro, altri secondo Che
vedi me, sa questa verde riva; Altri in liquido fonte, alcuni in fera, Come più
aggrada a quella fìtta altiera. stanza 61. 52 Or tu che sei per non usata via,
Signor, venuto all' isola fatale, Acciò ch'alcuno amante per te sia Converso in
pietra o in onda, o fatto tale; Avrai d'Alcina scettro e signoria, E sarai
lieto sopra ogni mortale: Ma certo sii di giunger tosto al passo D'entrar o in
fera o in fonte o in legno o in sasso. 53 Io te n'ho dato volentieri avvisa:
Non eh' io mi creda che debbia giovarte; Pur meglio fia che non vadi
improvviso, E de' costumi suoi tu sappia parte; Che forse, come è differente il
viso, É differente ancor l'ingegno e l'arte. Tu saprai forse riparar al danno;
Quel che saputo mill'altri non hanno. 54 Buggier, che conosciuto avea per fama
Ch' Astolfo alla sua donna cugin era, Si dolse assai che in steril pianta e
grama Mutato avesse la sembianza vera: E per amor di quella che tanto ama,
(Purché saputo avesse in che maniera) Gli avria fatto servizio; ma aiutarlo Li
altro non potea, eh' in confortarlo. 55 Lo fé' al meglio che seppe; e
domandoli! Poi se via e' era, eh' al regno guidassi Di Logistilla, 0 per piano
o per colli, Si che per quel d'Alcina non andassi. Che ben ve n' era un' altra,
ritomolli L'arbore a dir, ma piena d'aspri sassi, S' andando un poco innanzi
alla man destra, Salisse il poggio invér la cima alpestra:stanza 7& 56 Ma
che non pensi già che segair possa n suo cammin per quella strada troppo:
Incontro avrà di gente ardita, grossa E fiera compagnia, con doro intoppo,
Alcina Te li tien per mura e fossa A chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringraziò del tutto, Poi da lui si parti dotto ed instrutto.
57 Venne al cavallo, e lo disciolse e prese Per le redine, e dietro se lo trasse;
Né, come fece prima, più F ascese, Perchè mal grado suo non lo portasse. Seco
pensava come nel paese Di Logistilla a salvamento andasse. Era disposto e fermo
usar ogni opra, Che non gli avesse imperio Alcina sopra. 58 Pensò di rimontar
sul suo cavallo, E per r aria spronarlo a nuovo corso:Ma duhitò di far poi
maggior fallo; Che troppo mal quel gli ubbidiva al morso. Io passerò per forza,
s' io non fallo, Dicea tra sé; ma vano era il discorso. Non fti duo miglia
lungi alla marina, Che la bella città vide d'Alcina. 59 Lontan si vide una
muraglia lunga, Che gira intomo, e gran paese serra; E par che la sua altezza
al elei s aggiunga. E d'oro sia dall' alta cima a terra. Alcun dal mio parer
qui si dilunga, E dice eh' eli' é alchimia; e forse eh' erra, Ed anco forse
meglio di me intende:A me par oro, poi che si risplendé. 60 Come fu presso alle
si ricche mura, Che'l mondo altre non ha della lor sorte, Lasciò la strada che,
per la pianura, Ampia e diritta andava alle gran porte; Ed a man destra, a
quella più sicura, Ch' al monte già, piegossi il gnerrier forte:Ma tosto
ritrovò l'iniqua frotta, Dal cui fdror gli fu turbata e rotta. 61 Non fu veduta
mai più strana torma, Più mostruosi volti e peggio fatti; Alcun dal collo in
giù d'uomini han forma, Col viso altri di scinde, altri di gatti; Stampano
alcun con pie caprigni V orma; Alcuni son centauri agili ed atti; Son giovani
impudenti e vecchi stolti. Chi nudi, e chi di strane pelli involti:62 Chi senza
freno in a' un destrìer galoppa, Chi lento va con l'asino o col bue; Altri
salisce ad un centauro in groppa; Struzzoli molti han sotto, aquile e
grue:Ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa: Chi femmina e chi maschio, e
"chi amendue, Chi porta uncino e chi scala di corda, Chi pai di ferro e
chi una lima sorda. 63 Di questi il capitano si vedea Aver gonfiato il ventre,
e'I viso grasso; n qual su una testuggine sedea. Che con gran tardità mutava il
passo, Avea di qua e di là chi lo reggea. Perché egli era ebbro e tenea il
ciglio basso:Altri la fronte gli asciugava e il mento. Altri i panni scuotea
per fargli vento. stanza 63. 64 Un eh' avea umana forma i piedi e'I ventre, E
collo avea di cane, orecchie e testa. Centra Ruggiero abbaia, acciò ch'egli
entre Nella bella città ch'addietro resta. Rispose il cavalier: Noi farò,
mentre Avrà forza la man di regger questi. (E gli mostra la spada, di cui volta
Avea r aguzza punta alla sua volta). 65 Quel mostro lui ferir vuol d'una
lancia; Ma Ruggier presto se gli avventa addosso:Una stoccata gli trasse alla
pancia, E la fé' un palmo riuscir pel dosso. Lo scudo imbraccia, e qua e là si
lancia; Ma l'inimico stuolo é troppo grosso. L'un quinci il punge, e l'altro
quindi afferra: Egli s'arrosta e fa lor aspra guerra. 66 L un sin a clenti, e V
altro sin al petto Partendo ya dì quella iniqua razza; Ch'alia sua spada non
s'oppone elmetto, Nò scudo . né panzìera, né corazza:Ma da tutte le parti é
cosi astretto, Che bisogno sarìa, per trovar piazza E tener da sé largo il
popol reo, D'aver più braccia e man che Briareo. 9 L'una e l'altra sedea s' un
liocorno. Candido più che candido annellino; L'una e l'altra era bella, e di si
adonio Abito, e modo tanto pellegrino, Che all'nom, guardando e contemplando
intormo. Bisognerebbe aver occhio divino Per far di lor giudizio; e tal sarìa
Beltà (s' avesse corpo), e Leggiadria. stanza 64. 67 Se di scoprire avesse
avuto avviso Lo scudo che già fu del necromante; Io dico quel eh' abbarbagliava
il viso, Quel eh' all'arcione avea lasciato Atlante; Subito avria quei brutto
stuol conquiso, E fattosel cader cieco davante: E forse ben che disprezzò quel
modo. Perché virtude usar volse, e non frodo. 70 L'una e l'altra n'andò dove
nel prato Ruggiero é oppresso dallo stuol villano. Tutta la turba si levò da
lato; E quelle al cavalier porser la mano, Che tìnto in viso di color rosato,
Le donne ringraziò dell'atto umano; E fii contento, compiacendo loro, Di
ritornarsi a quella porta d'oro. 71 L' adornamento che s'aggira sopra La bella
porta, e sporge un poco avante, Parte non ha che tutta non si copra Delle più
rare gemme di Levante. Da quattro parti si riposa sopra Grosse colonne
d'integro diamante. 0 vero 0 falso eh' all' occhio risponda, Non é cosa
più'bella o più gioconda. Stansa06. 68 Sìa quel che può, piuttosto vuol morire,
Che rendersi prigione a si vii gente. Eccoti intanto dalla porta uscire Del
muro, ch'io dicea d'oro lucente. Due giovani ch'ai gesti ed al vestire Non èran
da stimar nate umilmente, Né da pastor nutrite con disagi, Ma Ara delizie di
real palagi. 72 Su per la soglia e fuor per le colonne Corron scherzando
lascive donzelle, Che, se i rispetti debiti alle donne Servasser più, sarian
forse più belle. Tutte vestite eran di verdi gonne, E coronate di frondi
novelle. Queste, con molte offerte e con buon viso, Ruggier fecero entrar nel
paradiso: Td Che si pnò ben cosi nomar quel loco, Ove mi credo che nascesse
Amore. Non yi si sta se non in danza e in giuoco, £ tutte in festa vi si
spendon V ore:Pensier canuto uè molto né poco Si può quivi albergare in alcun
core: Non enthi quivi disagio né inopia, Ila vi sta ognor col corno pien la
Copia. 74 Qui, dove con serena e lieta fronte Par cb' ognor rida il grazioso
aprile, Qioveni e donne son: qual presso a fonte Canta con dolce e dilettoso
stile; Qual d'un arbore alPombra, e qual d'un monte, 0 giuoca, 0 danza o et
cosa non vile; E qual, lungi dagli altri, a un suo fedele DÌ!"cuopre
l'amorose sue querele. btanza 74. 75 Per le cime dei pini e dogli allori, Degli
alti faggi e dcgl' irsuti abeti, Yolan scherzando i pargoletti A morì; Di ior
vittorie altri godendo lieti, Altri pigliando a saettare i cori La mira quindi,
altri tendendo reti:Chi tempra dardi ad un ruscei più basso, £ chi gli aguzza
ad un volubìl scisso. AaiosTO. 76 Quivi a Ruggier un gran corsìer iù dato,
Forte, gagliurdo, e tutto di pel sauro, Ch'avea il bel guemimento ricamato Di
preziose gemme e di fin auro; E fu lasciato in guardia quello alato. Quel che
solca ubbidire al vecchio Mauro, A un giovene che dietro lo menassi Al buon
Ruggier con meu fr e itosi passi. 77 Quelle due belle giovani amorose Ch' avean
Ruggier dall' empio stuol difeso, Dair empio stuol che dianzi se gli oppose Su
quel cammin ch'avea a man destra preso, Gli dissero: Signor, le virtuose Opere
vostre che già abbiamo inteso, Ne fon sì ardite, che l'aiuto vostro Vi
chiederemo a beneficio nostro. 79 Oltre che sempre ci turbi il cammino, Che
libero saria se non foss'ella, Spesso correndo per tutto il giardino, Va
disturbando or questa cosa or quella. Sappiate che del popolo assassino Che vi
assali fuor della porta bella, Molti suoi figli Bon, tutti segnaci, Empii, com'
ella, inospiti e lapad. 78 Noi troverem tra via tosto una lama, Che fa due
parti di questa pianura. Una crudel, che ErifiUa si chiama, Difende il ponte, e
sforza e inganna e fura Chiunque andar nell' altra ripa brama; Ed ella è
gigantcssa di statura; Li denti ha lunghi e velenoso il morso, Acute Pugne e
graffia come un orso. 80 Ruggier rispose: Non ch'una battalia. Ma per voi sarò
pronto a fame cento. Di mia persona, in tutto quel che vaglia, Fatene voi
secondo il vostro intento:Che la cagion eh' io vesto piastra e maglia, Non è
per guadagnar terre né argento, Ma sol per fame beneficio altrui; Tanto più a
belle donne come vui. 81 Le donne molte grazie riferirò Degne d'un cavalier
come quell'era: E così ragionando, ne veniro Dove videro il ponte e la riviera;
E di smeraldo ornata e di zaffiro Sull'arme d'or, vider la donna altiera. Ma
dir nell'altro Canto differisco, Come Ruggier con lei si pose a risco. NOTE.
St. 1. V.(\. Indulto vale a dire conceduto. St. 13, V.4. Il colore verdegiallo
rassomiglia quello della foglia appassita; e lo adottavano i cavalieri d'al
lora, a dimostrare l'animo afflitto da gagliarda pertar h:izione. St. 13. V.5.
La Dazia o Dacia comprendeva an ticamente la Transilvania, la Moldavia, la
Valacchia, H Servia e parte deW Ungheria. St. 17. V.68. Aveva Ruggiero
oltrepassato di molto lo stretto di Gibilterra, su cui (secondo la favola) in
dicò Ercole per limite alla navigazione due promontorj. St. 19. V.38. L'isola
paragonata con quella a cui alludono gli altri versi, è l'isoletta Ortigia, una
delle cinque parti onde componevasi Siracusa, e la sola in oggi a cui quella
città si ristringe. La mitologica ninfa Aretusa, perseguitata dal fiume Alfeo,
fu convertita in fonte; e condottasi pervie sottomarine in Ortigia, sem pre
inseguita dair indiscreto amatore, fu colà da questi raggiunta. St. 33. V.10 Il
conto che Astolfo dà di sé stesso ò relativo alla genealogia degli eroi
romanzeschi ripor tata dal Ferrariq, ove dicesi che Bernardo di Chiara valle
ebbe per figli Amone padre di Rinaldo, Bnovo d'Agre monte padre di A Miglerò,
diMalagigi e di Viviano, per sonaggi di eli più oltre, e Ottone re
d'inghiltenna, onde nacque Astolfo. St. 34. V.12 L'isole del mare Indiano, che
il Bo jardo chiama " Isole Lontane r> signoreggiate da Mono dante. Ivi.
V.6. Cavallier di Brava, è Orlando. St. 36. V.37. Enormi cetacei sono i
capidogli, le orche e i fìsiteri, così detti questi ultimi, a motivo di uno
sfiatatoio che hanno in cima al muso, d'onde sca gliano in aria le onde; i vecchi
marini corrispondono alle foche o vitelli di mare; ì muli o muli', sono le
triglie, fra le quali se ne incontrono di grossissime; le salpe o spari,
rassomigliano alle orate; i coraeini, al trimenti condoli, hanno tal nome
dall'esser neri a guisa di cor\ i; e i pistrici o pisteri, hanno la testa
armata di una lunga sega ossea. St. 44. v.6. Hanno instrutto, cioi, hanno
ordinato. St. 45. V.2. Alcina (secondo il Bojardo) simbolo della vita
voluttuosa. Morgana, fata, sorella del re Arturo e della Donna del Lago;
simbolo (per il Bo Jardo) della potenza e della ricchezza. L'Aiiosto, per
compiere l'allegoria, aggiunse Logistilla, che, anche col nome fatto
evidentemente dal greco logoSj mostra esser simbolo della ragione e della
virtù. Fa sorelle Alciiia, Morgana e Logistilla, perchè cosi le passioni come
le ragioni provengono dalla umana natura. Ivi. V.56. I monti Cheviot dividono
la Scozia dal l'Inghilterra, diramandosi nella parte settentrionale del l'una e
nella meridionale dell'altra. E il fiume Tweed, che appaitiene alla Scozia,
nella parte inferiore del suo corso, continua la divisione, ed entra nel mare
del Nord. St. 51. y. 1. è la nota storia della ammaliante Circe omerica.
Senonchè, Circo cangia la forma umana in forma bestiale; Alcina toglie anche
lanimalità, e fa scendere Ano all'ultimo grado della scala degli esseri. St.
6j. V.8. Arrostarsi, vale volgersi inforno. St. 63. V.8. Secondo i mitologi, il
gigante Briareo aveva cento braccia. St. 69. v.12. Il liocorno è animale
favoloso che si figura come un cavallo con un corno in fronte: è preso come
emblema della purità. St. 75. V.8. VolnbiC sasso, ossia ruota. St. 76. V.6. Il
ticchio Mauro, cioè il mago At lante. St. 78. V.13. Lama, vale a dire fossa
palustre. Il nome Erifilla o Eri/ile spiega da sé l'animo avaro e turbolento
della gigantessa, e rammenta la moglie di Anflarao, che per una collana d'oro
tradi il marito. St. 81. V.1. Riferir grazie, lo stesso che ringra ziare.
Stanza 1. diiì dì Un uMLti.' arriva al piltv/u dì A]i;!ÌiLii| se ile ìn
IK'i'tlutuinfiitéi " rituiuiH ne ir isola. Biidamante, noQ aTrD!>
ikotLiff di lui, i:eìT.ì. di MtdiNii. la iiicuntra e Le dà rttfl ' mat;ii:o i
he devi' aervite a iini>i>dr" gì ÌJHnulesiroì dell sedei triee
AUiiia. Cipn utieiLti Mirliiiiia fti poi tu neiriAol&, tiVrgLak Ta'iijitJi
nigiuiitì di lUggieio, il qualii si aecijig(c) a 1 il pcrjeioluo moggio ni o.
(hi va luiirati lUilla sua patria, vede Cuse da quel che già eredea, loutane;
t'hc uAiraiulyle |kìÌ non se gli eresìe, E stimato hugi arilo ne rimne: Che '1
fciuco Yuìgo uou gli vuol dar fede, Se Tìon iti veile e toci!a chiare e ilane,
I\r questo io so che IMnefperienxa Farà al mìo cfluto dar poca credenza. loca 0
mi 'Ita i.h'io if abbia non bisogna Chio ponga mente al valgo sciocco e ignaro.
A voi so ben che non parrà menzogna, Che '1 lume del discorso Avete chiaro; £d
a voi soli ogni mio intento agogna Che'i fratto sia di mie fatiche caro. Io vi
lasciai cheU ponte e la riviera Vider, che 'n guardia avea Erifilla altiera.
VII. 3 Quell'era armaU del più fin metallo Ch avean di più color gemme
distinto:Rnbin vermiglio, crisolito giallo, Verde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo; Invece avea di qaello un lapo spinto: Spinto
avea un lupo ove si passa il finme, Con ricca sella fuor d ogni costume. 4 Non
credo eh' un si grande Apulia n'abbia: Egli era grosso ed alto più d'un bue.
Con fren spumar non gli facea le labbia; Né so come lo regga a voglie sue. La
sopravesta di color di sabbia Su l'arme avea la maledetta lue: Era, fuorché '1
color, di quella sorte Ch'i vescovi e i prelati usano in corte. 5 Ed avea nello
scudo e sul cimiero Una gonfiata e velenosa botta. Le donne la mostraro al
cavaliere, Di qua dal ponte per giostrar ridotta, E fargli scorno, e rompergli
'1 sentiero. Come ad alcuni usata era talotta. Ella a Ruggier, che tomi
addietro, grida: Quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida. 6 Non men la
gigantessa ardita e presta Sprona il gran lupo, e nell' arcion si serra:E pon
la lancia a mezzo il corso in resta, E fa tremar nel suo venir la terra. Ma pur
sul prato al fiero incontro resta; Che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
E dell'arcion con tal furor la caccia. Che la riporta indietro oltra sei
braccia. 7 E già, tratta la spada eh' avea cinta, Venia a levarne la testa
superba; E ben lo potea fiir; che come estinta Erifilla giacca tra' fiori e
l'erba. Ma le donne gridar: Basti sia vinta. Senza pigliarne altra vendetta
acerba. Ripon, cortese cavalier, la spada; Passiamo il ponte, e suitiam la
strada. 8 Alquanto malagevole ed aspretta Per mezzo un bosco presero la via;
Che, oltra che sassosa fosse e stretta. Quasi su dritta alla collina già. Ma
poi che furo ascesi in su la vetta, Uscirò in spaziosa prateria, Dove il più
bel palazzo e 1 più giocondo Vider, che mai fosse veduto al mondo. 9 La bella Aldna
venne un pezzo innante Verso Ruggier fuor delle prime porte, E lo raccolse in
signoril sembiante, In mezzo bella ed onorata corte. Da tutti gli altri tanto
onore e tante Riverenzie fur fatte al guerrier forte, Che non ne potrian far
più, se tra loro Fosse Dio sceso dal superno coro. Stanza 4. 10 Non tanto il
bel palazzo era eccellente, Perché vincesse ogni altro di ricchezza. Quanto eh'
avea la più piacevol gent" Che fosse al mondo, e di più gentilezza. Poco
era l'un dall' altro differente E di fiorita etade e di bellezza. Sola di tutti
Aldna era più bella, Si com' é bello il Sol più d'ogni stella. 11 Di persona
era tanto ben formata, Qoanto me finger ean pittori industri, Con bionda cbioma
lunga ed annodata; Oro non è cbe più risplenda e lustri. Spargeasi per la
guancia delicata Misto color di rose e di ligustri: Di terso avorio era la
fronte lieta, Che lo spazio finia con giusta meta. 12 Sotto duo negri e
sottilissimi archi Son duo negri occhi, anzi duo chiari Soli, Pietosi a
riguardare, a mover parchi; Intorno cui par eh' Amor scherzi e voli, E ch'indi
tutta la faretra scarchi, E che visibilmente i cori involi: Quindi il naso per
mezzo il viso scende, Che non trova V invidia ove V emende. 13 Sotto quel sta,
quasi fra due vallette, La bocca sparsa di natio cinabro:Quivi due filze son di
perle elette, Che chiude ed apre un bello e dolce labro; Quindi escon le
cortesi parolette Da render molle ogni cor rozzo e scabro; Quivi si forma quel
suave riso, Ch'apre a sua posta in terra il paradiso. 14 Bianca neve è il bel
collo, el petto latte: Il collo è tondo, il petto colmo e largo. Due pome
acerbe, e pur d' avorio fette, Vengono e van, com' onda al primo margo, Quando
piacevole aura il mar combatte: Non potria l'altre parti veder Argo:Ben si può
giudicar che corrisponde A quel chiappar di fuor quel che s'asconde. 15 Mostran
le braccia sua misura giusta; E la candida man spesso si vede Lunghetta
alquanto e di larghezza angusta, Dove uè nodo appar, né vena eccede. Si vede
alfin della persona augusta Il breve, asciutto e ritondetto piede. Gli angelici
sembianti nati in cielo Non si ponno celar sotto alcun velo. 16 Avea in ogni
sua parte un laccio teso, 0 parli 0 rida o canti o passo mova: Né maraviglia è
se Ruggier n'é preso, Poiché tanto benigna se la trova. Quel che di lei già
avea dal mirto inteso, Com'è perfida e ria, poco gli giova; Ch'inganno o
tradimento non gli è avvi.so Che possa star con si soave riso.17 Anzi pur
creder vuol, che da costei Fosse converso Astolfo in su l'arena Per li suoi
portamenti ingrati e rei, E sia degno di questa e di più pena:E tutto quel eh'
udito avea di lei, Stima esser falso; e che vendetta mena, E mena astio ed
invidia quel dolente A lei biasmare, e che del tutto mente. 18 La bella donna
che cotanto amava, Novellamente gli è dal cor partita; Che per incanto Alcina
gli lo lava D' ogni antica amorosa sua ferita; E di sé sola e del suo amor lo
grava, E in quello essa riman sola sculpita: S che scusar il buon Ruggier si
deve, Se si mostrò quivi incostante e lieve. 19 A quella mensa citare, arpe e
lire, E diversi altri dilettevol snoni Faceano intomo l'aria tintinnire
D'armonia dolce e di concenti buoni. Non vi mancava chi, cantando, dire D'amor
sapesse gaudii e passioni, 0 con invenzioni e poesie Rappresentasse grate
fantasie. 20 Qual mensa trionfante e suntuosa Di qualsivoglia successor dì
Nino, 0 qual mai tanto celebre e famosa Di Cleopatra al vincitor latino, Potria
a questa esser par, che l'amorosa Fata avea posta innanzi al paladino?Tal non
cred' io che s' apparecchi dove Ministra Ganimede al sommo Giove. 21 Tolte che
fur le mense e le vivande, Facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto, Che
nell' orecchio l'un l'altro domande, Come più piace lor, qualche secreto; Il
che agli amanti fu comodo grande Di scoprir l'amor lor senza divieto; E furon
lor conclusioni estreme Di ritrovarsi quella notte insieme. 22 Finir quel
giuoco tosto, e molto innanzi Che non solea là dentro esser costume. Con torchi
allora i paggi entrati innanzi, Le tenebre cacciar con molto lume. Tra bella
compagnia dietro e dinanzi Andò Ruggiero a ritrovar le piume In un' adorna e
fresca cameretta, Per la miglior di tutte l'altre eletta. 23 E poi che di
confetti e di buon vini Di Buovo fatti far debiti inviti, E partir gli altri
riverenti e chini, Ed alle stanze lor tatti son iti; Ruggiero enttò ne'
profumati lini Che pareano di man d'Aracne usciti, Tenendo tuttavia V orecchie
attente S' ancor venir la bella donna sente. 24 Ad ogni piccol moto eh egli
udiva, Sperando che fosse ella, il capo alzava; Sentir creJeasi, e spesso non
sentiva; Poi del suo errore accorto sospirava. Talvolta nscia dal letto, e V
uscio apriva:Guatava fuori, e nulla vi trovava:E maledi ben mille volte Fora
Che £Eicea al trapassar tanta dimora. 25 Tra sé dicea sovente: Or si parte
ella; E cominciava a noverare i passi Ch' esser potean dalla sua stanza a
quella, Donde aspettando sta che Alcina passi. E questi ed altri, prima che la
bella Donna vi sia, vani disegni fassi. Teme di qualche impedimento spesso, Che
tra il frutto e la man non gli sia messo. 26 Alcina, poi eh' a preziosi odori
Dopo gran spazio pose alcuna meta, Venuto il tempo che più non dimori, Ormai
eh' in casa era ogni cosa cheta, Della camera sua sola usci fuori; B tacita
n'andò per via secreta Dove a Ruggiero avean timore e speme Gran pezzo intomo
al cor pugnato insieme. 27 Come si vide il successor d'Astolfo Sopra apparir
quelle ridenti stelle, Come abbia nelle vene acceso zolfo, Non par che capir
possa nella pelle. Or s'no agli cechi ben nuota nel golfo Delle delizie e delle
cose belle: Salta del' letto, e in braccio la raccoglie, Né può tanto aspettar
ch'ella si spoglie; 28 Benché né gonna nò faldiglia avesse; Che venne avvolta
in un leggier zendado Che sopra una camicia ella si messe, Bianca e suttil nel
più eccellente grado. Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse Il manto; e restò
il vel snttile e rado, Che non copria dinanzi né di dietro, Più che le rose o i
gigli un chiaro vetro. 29 Non cosi strettamente edera prema Pianta ove intorno
abbarbicata s'abbia, Come si stringon li du' amanti insieme, Cogliendo dello
spirto in su le labbia Suave fior, qual non produce seme Indo 0 sabeo nell'
odorata sabbia. Del gran piacer eh' avein, lor dicer tocca, Che spesso avean
più d'una lingua in bocca. 30 Queste cose là dentro eran secrete; 0 Be pur non
secrete, almen taciute; Che raro fu tener le labbra chete Biasmo ad alcun, ma
ben spessD virtute. Tutte profferte ei accoglienze liete Fanno a Ruggier quelle
persone astute: Ognun lo reverisce e se gli inchina; Che cosi vuol l'innamorata
Alcina. 31 Non é diletto alcun che di fuor reste; Che tutti son nell'amorosa
stanza: E due e tre volte il di mutano veste, Fatte or ad una or ad un'altra
usanza. Spesso in conviti, e sempre stanno in fé ite, In giostre, in lotte, in
scene, in bagno, in danza; Or presso ai fonti, all' ombre de' poggetti, Leggon
d'antiqui gli amorosi detti. 32 Or per l'ombrose valli e lieti colli Vanno
cacciando le paurose lepri; Or con sagaci cani i fagian folli Con strepito
uscir fen di stoppie e vepri; Or a' tordi lacciuoli, or veschi molli Tendon tra
gli odoriferi ginepri; Or con ami inescati ed or con reti Turbano a' pesci i
grati lor secreti. 33 Stava Ruggiero in tanta gioia e festa. Mentre Carlo in
travaglio ed Agramante, Di cui l'istoria io non vorrei per questa Porre in
obblio, né lasciar Bradamante, Che con travaglio e con pena molesta Pianse più
giorni il disiato amante, Ch'avea per strade disusate e nuove Veduto portar
via, né sapea dove. 34 Di costei prima che degli altri dico, Che molti giorni
andò cercando invano Pei boschi ombrosi e per lo campo aprico. Per ville, per
città, per monte e piano; Né mii potè saper del caro amico, Che di tanto
intervallo era lontano. Nell'oste saracin spesso venia. Né mai del suo Ruggier
ritrovò spia. SUnza 19. 35 Ogni di ne demanda a più di cento, Né alcun le ne sa
mai render ragioni. D'alloggiamento va in alloggiamento, Cercandone e trabacche
e padiglioni: £ lo pnò far; che senza impedimento Passa tra cavalieri e tra
pedoni, Mercè all'anel che fuor d'ogni uman uso La fa si)arìr quando V è in bocca
chiusD. 36 Né pnò né creder vuol che morto sia; Perchè di si grande uom Talti
mina Daironde idaspe udita si saria Fin dove il Sole a riposar declina. Non sa
né dir uè immaginar che via Far possa o in cielo o in terra; e pur mesc'iina Lo
va cercando, e per compagni mena Sospiri e pianti ed ogni ac3rba peni. stanza
IL 87 Pensò alfin di tornare alla spelonca, Dove eran V ossa di MerHn profeta,
E gridar tanto intorno a quella conca, Che il freddo marmo si movesse a pietà;
Che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca Lealtà necessità la vita lieta. Si
sapria quindi; e poi s appiglierebbe A quel miglior consiglio che n'avrebbe. 38
Con questa intenzion prese il cammino Verso le selve prossime a Pontiero, Dove
la vocal tomba di Merlino Era nascosa in loco alpestro e fiero. Ma qneUa maga
che sempre vicino Tenuto a Bradamante avea il pensiero, Quella, dico io, che
nella bella grotta L'avea della sua stirpe instrutta e dotta; 39 Quella benigna
e saggia incantatrice, La quale ha sempre cura di costei, Sappiendo ch'esser de'
progenitrice D'uomini invitti, anzi di semidei, Ciascun di vuol saper che fa,
che dice; E getta ciascun di sorte per lei. Di Ruggier liberato e poi perduto,
E dove in India andò, tutto ha saputo. 40 Ben veduto l'avea su quel cavallo Che
regger non potea, eh' era sfrenato, Scostarsi di lunghissimo intervallo Per
sentier periglioso e non usato; E ben sjpea che stava in giuoco e in ballo, E
in cibo e in ozio molle e delicato, Né più memoria avea del suo signore. Né
della donna sua, né del suo onore. 41 E cosi il fior delli begli anni suoi In
lunga inerzia aver potria consunto Si gentil cavalier, per dover poi Perdere il
corpo e V anima in uà punto; E queir odor che sol riman di noi, Poscia che'l
resto fragile è defunto, Che tra'l'uom del sepolcro e in vita il, serba, Gli
saria stato o tronco o svelto in erba. 43 Ella non gli ora facile, e talmente '
Fattane cieca di superchio amore, Che, come facea Atlante, solamente A dargli
vita avesse posto il care. Quel piuttosto volea che lungamente Vivesse e senza
fama e senza onore. Che con tutta la laude che sia al mondo, Mancasse un anno
al suo viver giocondo. 44 L'avea mandato all' isola d' Alcina, Perchè
obbli'asse l'arme in quella corte: E com3 mago di somma dottrina, Ch' usar
sapea gì' incanti d'ogni sorte, Avea il cor stretto di quella regina Neil' amor
d'esso d'un laccio sì forte, Che non se n' era mai per poter sciorre,
S'invecchiasse Ruier più di Nestorre. 45 Or tornando a colei eh' era presaga Di
quanto de' avvenir, dico che tenne La dritta via dove V errante e vaga Figlia
d'Amon seco a incontrar si venne. Bradamante vedendo la sua maga, Muta la pena
che prima sostenne, Tutta in speranza; e quella l'apre il vero, Ch'ad Alcina è
condotto il suo Ruggiero. 46 La giovane riman presso che morta. Quando ode
che'l suo amante è cosi lunge, E più, che nel suo amor periglio porta, Se gran
rimedio e subito non giunge:Ma la benigna maga la conforta, E presto pon
l'impiastro ove il duol punge; E le promette e giura, in pochi giorni Far che
Ruggiero a riveder lei tomi. 47 Dacché, donna, (dicea) l'aneUo hai teco, Che
vai contra ogni magica fattura. Io non ho dubbio alcun che, s' io l'arreco Là
dove Alcina ogni tuo ben ti fura. Ch'io non le rompa il suo disegno, e meco Non
ti rimeni la tua dolce cura. Me n'andrò questa sera alla prim'ora, E sarò in
India al nascer dell' aurora. 42 Ma quella gentil maga, che più cura N'avea,
ch'egli medesmo di sé stesso, Pensò di trarlo per via alpestre e dura Alla vera
virtù, mal grado d'esso:Come eccellente medico, che cura Con ferro e fuoco, e con
veneno spesso; Che sebben molto da principio offende, Poi giova affine, e
grazia se gli rende. 48 E seguitando, del modo narrolle Che disegnato avea
d'adoperarlo. Per trar del regno effemm'nato e molle Il caro amante, e in
Francia rimenarlo. Bradamante l'anel del dito toUe: Né solamente avria voluto
darlo; Ma dato il core, e dato avria la vita, Purché n' avesse il suo Ruggiero
aita. Stanza 30. 49 Le dà Panello, e se le raccomanda; E più le raccomanda il
suo Rugsfiero, A cni per lei mille salati manda; Poi prese ver Provenza altro
sentiero. Andò r incantatrice a nn altra banda; E per porre in effetto il sno
pensiero, Un palafren fece apparir la sera 50 Credo fusse un Alchino o un
Farfarello Che dell inferno in quella forma trasse:E scinta e scalza montò
sopra a quello, A chiome sciolte e orribilmente passe:Ma ben di dito si levò
Panello, Perchè giuncanti suoi non le vietasse. Poi con tal fretta andò, che la
mattina Ch'avea un pie rosso, e ogni altra parte nera. Si ritrovò nelP isola d'
Alcini. .Vtr.nza 18. 51 Quivi mirabìlmeute trasmatosse S'accrebbe più d'un
palmo di statura, E fé' le membra a proporzion più grosse, E restò appunto di
quella misura che si pensò che '1 necromante fosse, Quel che nutrì Ruggier con
sì gran cura:Vestì di lunga barba le mascelle, E fé' crespa la fronte e T altra
pelle. 52 Di faccia, di parole e di sembiante Sì lo seppe imitar, che
totalmente Potea parer l'incantatore Atlante. Poi si nascose; e tanto pose
mente, Che da Ruggiero allontanar 1' amante Alcina vide un giorno finalmente: E
fu gran sorte; che di stare o d'ire Senza esso un' ora potea mal patire. 57 Dì
medolle già d'orsi e di leoni Ti porsi io dunque li primi alimenti; T'ho per
caverne ed orridi burroni Fanciullo avvezzo a strangolar serpenti, Pantere e
tigri disarmar d'unghioni, Ed a vivi cinghal trar spesso i denti. Acciò che
dopo tanta disciplina Tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina? 58 É questo quel che
l'osservate stelle, Le sacre fibre e gli accoppiati punti, Responsi, augurj,
sogni, e tutte quelle Sorti ove ho troppo i miei studj consunti, Di te promesso
sin dalle mammelle M' avean, come quest' anni fosser giunti, Ch'in arme l'opre
tue così preclare Esser dovean, che sarian senza pare? 53 Soletto lo trovò,
come lo volle, Che si godea il mattin fresco e sereno, Lungo un bel rio che
discorrea d'un colle Verso un laghetto limpido ed ameno. Il suo vestir
delizioso e molle Tutto era d'ozio e di lascivia pieno y Che di sua man gli
avea di seta e d'oro Tessuto Alcina con sottil lavoro. 54 Di ricche gemme un
splendido monile Gli discendea dal collo in mezzo il petto; E nell'uno e
nell'altro già virile Braccio girava un lucido cerchietto; Gli avea forato un
fil d'oro sottile Ambe l'orecchie, in forma d'anelletto; E due gran perle
pendevano quindi, Qual mai non ebbon gli Arabi né gì' Indi. 55 Umide avea
l'inanellate chiome De' più soavi odor che sieno in prezzo:Tutto ne' gesti era
amoroso, come Fosse in Valenza a servir donne avvezzo:Non era in lui di sano
altro che '1 nome; Corrotto tutto il resto, e più che mézzo. Cosi Ruggìer fu ritrovato,
tanto Dall'esser suo mutato per incanto. 56 Nella forma d'Atlante se gli
affaccia Colei che la sembianza ne tenea, Con quella grave e venerabil faccia
Che Ruggìer sempre riverir S3lea, Con quell' occhio pien d'ira e di minaccia,
Che sì temuto già fanciullo avea; Dicendo: É questo dunque il frutto, eh' io
Lungamente atteso ho del sudor nuo? 59 Questo è ben veramente alto principio!
Onde si può sperar che tu sia presto A farti uu Alessandro, un Giulio, un
Scipio. Chi potea, ohimè ! di te mai creler questo, Che ti facessi d'Alcina
mancipio? E perchè ognun lo veggia manifesto, Al collo ed alle braccia hai la
catena Con che ella a voglia sua preso ti mena. 60 Se non ti muovon le tue
proprie laudi, E l'opre eccelse a che t'ha il Cielo eletto, La tua successì'on
perchè defraudi Del ben che mille volte io t'ho predetto? Deh ! perchè il
ventre eternamente daudi, Dove il Ciel vuol che sia per te concetto La gloriosa
e soprumana prole, Ch'esser de' al mondo più chiara che'l Sole? 61 Deh ! non
vietar che le più nobil alme Che sian formate nell'eterne idee. Di tempo in
tempo abbian corporee salme Dal ceppo che radice in te aver dee. Deh ! non
vietar mille trionfi e palme, Con che, dopo aspri danni e piaghe ree, Tuoi
figli, tuoi nipoti e successori Italia tomeran nei primi onori! 62 Non eh' a
piegarti a questo tante e tante Anime belle aver dovesson pondo, Che chiare,
illustri, inclite, invitte e sante Son per fiorir dall'ajbor tuo fecondo; Ma ti
dovria una coppia esser bastante, Ippolito e il fratel; che pochi il mondo Ha
tali avuti ancor fino al di d'oggi, Per tutti i gradi onde a virtù si poggi.
Stanza 56. 63 Io solea più di questi dui narrarti Ch io non facea di tutti gli
altri insieme; Si perchè essi terran le maggior parti, Che gli altri tuoi,
nelle virtù supreme; Si perchè al dir di lor mi vedea darti Più attenzi'on, che
d'altri del tuo seme; Vedea goderti che si chiari eri Esser dovessen dei nipoti
tuoi. H4 Cho ha cortei che t' hai fatto regina, Che non abbian milP altre
meretrici? Costei che di tant' altri è concubina Ch alfin sai ben s' ella suol
far felici. Ma perchè tu conosca chi sia Alcina, Levatone le fraudi egli
artifici, Tien questo anello in dito, e toma ad ella, Ch'avvedor ti potrai come
sia bella. 65 Huggier A stava vergognoso e muto Mirando in terra, e mal sapea
che dire; À cui la maga nel dito minuto Pose r anello, e lo fé' risentire. Come
Ruggiero in sé fu' rivenuto, DI tanto scorno si vide assalire, Ch' esser vorria
sotterra mille braccia, Ch'alcun veder non lo potesse in faccia. 66 Nella sua prima
forma in uno istante Cosi parlando, la maga rivenne; Né bisognava più quella
d'Atlante, Seguitone l'effetto per che venne. Per dirvi quel eh' io non vi
dissi innante, Costei Melissa nominata venne, Ch'or die a Ruggier di sé notizia
vera, E dissegli a che effetto venuta era; 67 Mandata da colei, che d'amor
piena Sempre il disia, né più può stame senza, Per liberarlo da quella catena,
Di che lo cinse magica violenza: E preso avea d'Atlante di Carena La forma, per
trovar meglio credenza; Ma poi eh' a sanità l'ha omai ridutto. Gli vuole aprire
e far che veggia il tutto. 68 Quella donna gentil che t' ama tanto, Quella che
del tuo amor degna sarebbe, A cui, se no a ti scorda, tu sai quanto Tua
libertà, da lei servata, debbe; Questo anel, che ripara ad ogni incanto, Ti
manda: e cosi il cor mandato avrebbe, S'avesse avuto il cor così virtute. Come
r anello, atta alla tua salute. 69 E seguitò narrandogli l'amore che Bradamante
gli ha portato e porta: Di quella insieme commendò il valore, In quanto il vero
e l'affezion comporta: Ed usò modo e termine migliore Che si convenga a
messaggera accorta; E4l in quell'odio Alcina a Rugger pose In che soglionsi
aver l'orribil cose. 70 In odio gli la pose, ancorché tanto L'amasse dianzi; e
non vi paa strano, Qnando il sno amor per forza era d'incanto, Ch' essendovi V
anel, rimase vano. Fece Fanel palese ancor, che quanto Di beltà Alcina avea,
tutto era estrano; Estrano avea, e non sno, dal pie alla treccia: n bel ne
sparve, e le restò la feccia. 71 Come fanciullo che maturo fratto Hipone, e poi
si scorda ove è riposto, E dopo molti giorni è rìcondutto Là dove truova a caso
il suo deposto:Si maraviglia di vederlo tutto Putrido e guasto, e non come fa
posto; E dove amarlo e caro aver solia, L'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta
via: 72 Cori Ruggier, poiché Melissa fece Ch'a riveder se ne tornò la Fata Con
quell'anello, innanzi a cui non lece. Quando s'ha in dito, usare opa incantata
Ritruova, contra ogni saa stima, invece Della bella che dianzi avea lasciata.
Donna sì laida che la terra tutta Né la più vecchia avea, né la più brutta. 73
Pallido, crespo e macilente avea Alcina il viso, il crin raro e canuto: Sua
statura a sei palmi non gtnngea: . Ogni dente di bocca era caduto; Che più
d'Ecaba e più della Cumea, El avea più d'ogni altra mai vivato. ra si r arti
usa al nostro tempo ignote, Che bella e giovanetta parer puote. 74 Giovane e
bella ella si fa con arte, Si che molti ingannò come Ruggiero; Ma l'anel venne
a interpretar le carte Che già molti anni avean celato il vero. Miracol non é
dunque se si parte Dell' animo a Ruggier ogni pensiero Ch'avea d'amare Alcina,
or che la trova In guisa che sua fraudo non le giova. 75 Ma, come l'avvisò
Melissa, stette Senza mutare il solito sembiante, Finché dell'arme sue, più di
neglette. Sì fu vestito dal capo alle piante. E per non farle ad Alcina
suspette, Finse provar s'in esse era aiutante: Finse provar se gli era fatto
groo Dopo alcun di che non l'ha avute indosso. 76 E Balisarda poi si messe al
fianco (Che cosi nome la sua spada avea): E lo scudo miiabile tolse anco, Che
non pur gli occhi abbarbagliar sole", Ma l'anima facea si venir manco. Che
dal corpo esalata esser parca: Lo tolse; e col zendado in che trovoUo, Che
tutto lo copria, sei messe al collo. Stanza 73. 77 Venne alla stalla, e fece
briglia e sella Porre a un destrier più che la pece nero:Cosi Melissa l'avea
instrutto; ch'ella Sapea quanto nel corso era leggiero. Chi lo conosce, Rabican
l'appella; Ed é quel proprio che col cavaliere, Del quale i venti or presso al
mar fan gioco, Portò già la balena in questo loco. 78 Potea aver l'Ippogrifo
similmente. Che prasso a Rabicano era legato; ìIa gli avea detto la maga: Abbi
mente Ch' egli è, come tu sai, troppo sfrenato. E gli diedi intenzion che '1 di
seguente Gli lo trarrebbe fuor di quello stato, Là dove ad agio poi sarebbe
instrutto Come frenarlo, e farlo gir per tutto. 79 Né sospetto darà, se non lo
tolle, Della tacita fuga ch'apparecchia. Pece Ruggier come Melissa volle, eh'
invisibile ognor gli era all' orecchia. Così, fingendo, del lascivo e molle
Palazzo nsd della puttana vecchia; E si venne accostando ad una porta, D' onde
è la via eh' a Logistilla il porta. 80 Assaltò li guardiani all' improvviso, E
si cacciò tra lor col ferro in mano; E qual lasciò ferito, e quale ucciso, E corse
fuor del ponte a mano a mano:E prima che n'avesse Alcina avviso, Di molto
spazio fti Ruggier lontano. Dirò nell'altro Canto che via tenne; Poi come a
Logistilla se ne venne. NOTE. St. 3. V.4. F:avo iacinto ossia inondo giacinto;
8X)ecie di pietra preziosa di colore giallo rossiccio. St. 4. V.11 La Puglia
abbondava di lupi gran dissimi. St. 5. V.26. Botta, rospo. St. 14 V.6. Argo si
sa dalle favole che aveva cent'oochL St. 20. V.24. È noto che i successori di
Nino fino a jSardanapalo si scialarono per il lusso dei loro ban chetti. Nel
vincitor Utino si ravvisa Cesare vincitore di Pompeo St. 23. V.6. Aracne fu
tessitrice della Lidia che vinse alla prova la stessa Minerva e da lei fu
cangiata in ragno. St. 2a V.1. Faldiglia, è quella che fu detta poi ciinolina.
St. 29. V.6. I Sabei erano popoli dell' Arabia Félice fertile di piante
aromatiche. St. 34. V.8. Spia: qui indicatore. St. 36. V.34. Questa locuzione
significa da levante a ponente I poeti rammentano Tldaspe, fiume dell'India,
con che spesse volte hanno designato tutto l'Oriente. St. 38. V.2. Questo
Pontieri è Pontrieu dove i pastori della Brettagna additano anche adesso la sup
posta tomba di Merlino; la qual tomba ò detta qui vo cale perchè n'usciva la
voce del sepolto incantatore. St. 39. V.0 Gettar la aorte o le sorti, cercare
di conoscer le cose per mezzo di pratiche superstiziose. St. 44. V.8. Nestore
re di Pilo nel Peloponneso. visse, secondo Omero, fino a 300 anni Sul luo del
l'antica Pilo 0 Pylos ò ora un castello che dicesi Zonchio. St. 50 V.14
A/c/i/w, accorciamento di AZ"r no, e Farfarello, nomi di diavoli inventati
da Dante Passe del quarto verso significa sparte, disordinate. St. 55 V.4.
Valenza, città della Spagna, era fa mosa per effeminata grazia e mollezza,
specialmente nei paggi che servivano le signore. Ivi. V.6. Mezto, qui deve
pronunciarsi con l'È chiosa, e vuol dire vizzo, prossimo a piUrefarsi. St. 57.
V.78. Adone fu l'innamorato di Venere, e Atide 0 Ati di Gibele. St. 60. V.4 5.
Il bene mentovato nel quarto verso riguarda le future glorie della progenie
estense, che devo nascere da Ruggiero e da Bradamante; al che alludono il
quinto e gli altri versi. Claudi, chiudi. St. 67. V.5. Atlante di Carena. Di
due città cosi nominate, Tuna in Siria, l'altra in Media, non si saprebbe qual dare
per patria ad Atlante; se non che il Poeta, avendolo nom'inato vecchio Mauro
nella St. 76 del Can to YI, fa credere non aver egli avnto mente a veruna delle
due St. 73 V.5. Ecuba, vedova del re Priamo, e la Si billa Cumana (cosi
denominata dal luogo ove nacque) vissero fino ad estrema vecchiezza. St. 77.
V.25. Era il cavallo d'Astolfo, e fii già del FArgalia. Lo ebbe dipoi Rinaldo:
dopo di lui, Astolfo. Superali diversi nsJacoli, R%'f;i"?i"o fuKt da
Alcina. Hrlisn rende ]a phinifi forma ad Astolfo, dr recupera Ttirmi e va
'rcmjlui al 1(1 dimora di JjOìstilla, dove arriva, poi anche Ruggiiire, Ri
naldo pa.'>sa dalla Seo?.ia ia Inhiltirra, e ottiene soccorri |i6r Carlo
assft'Jiatn in Pari(d. Angelica è trasportata nell' jfjola dL EV>uda pfr
esservi divorata da Qn mostro marino. Orlando il uso da un sogno eace
travestito di Parigi e TE in traccia di lei. Oli qnaiìte sono ìncantatriei, oh
quaUTl IncantatoT tra nui che non si sauno, Che con lor arti uomini e donne
amanti Di sé, cangiando i yisi lor fatto hanno ! Nnn con spirti costretti tali
incanti, Né enti osèen'aziun ili stelle fknno; Ma con simnlazion, menzogne e
frodi Legano i cor d'iuilisaolnhil nodi Chi l'anello d Angelica, o piuttosto
Chi avesse quel della ragion, pò tri a Veder a tutti il viso, che nascosto Da
ti dì: ione e d'arta non saria, Tal ci par hello e buono, che, deposto Il
liccio, brutto e rio forse jiarrià. Fa gran ventura qneUa di Bnggìero, Ch'ebbe
l'anel che gli scoperse il vero. Ruggier, com'io dicea, dìssimolando, Sa
Rabican venne alla porta armato:Trovò le guardie sprovvedute; e quando Giunse
tra lor, non tenne il brando a lato. Chi morto e chi a mal termine lasciando,
Esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:Prende al bosco la via, ma poco
corre, Ch'ad un de' servi della Fata occorre. stanza 4. 4 II servo in pngno
avea un augel grifagno Che volar con piacer facea ogni giorno, Ora a campagna,
ora a un vicino stagno, Dove era sempre da far preda intomo:Avea da lato il can
fido compagno; Cavalcava un ronzin non troppo adcmo. Ben pensò che Ruggier
dovea fuggire, Quando lo vide in tal fretta venire. Spinge r augello: e quel
batte sì V ale, Che non l'avanza Rabican di corso. Del palafreno il cacciator
giù sale, £ tutto a un tempo gli ha levato il mcrao. Quel par dall'arco uno
avventato strale, Di calci formidabile e di morso; E '1 servo dietro si velcce
viene, Che par ch'il vento, anzi che'l fuoco il mene Non vuol parere il can
d'eser più laido; Ma segue Rabican con quella fretta, Con che le lepri suol
seguiie il pario. Vergogna a Ruggier par, se non aspttta: Voltasi a quel che
vien si a pie gagliardo. Né gli vede arme, fuor eh' una bacchetta Quella con
che ubbidire al cane iuscgua. Ruggier di trar la spada sì disdegna. Stanza 11
Se gli fé' incontra, e con sembiante altiero Gli domandò perchè in tal fretta
gisse. Risponder non gli volse il buon Ruggiero:Perciò colui, più certo che
fuggisse, Di volerlo arrestar fece pensiero; E distendendo il braccio manco,
disse: Che dirai tu, se subito ti fermo?Se centra questo augel non avrai
schermo?8 Quel se gli appressa, e forte lo percuote: Lo morde a un tempo il can
nel piede manco Lo sfrenato destrier la groppa scuote Tre volte e più, né falla
il destro fianco. Gira r augello, e gli fa mille ruote, E con l'ugna sovente il
ferisce anco:Si il destrier collo strido ìmpaurisoe, Ch'alia mano e allo spron
poco ubbidisce. VIII. Buggìero, alfin costretto, il ferro cacc'a:E perchè tal
molestia se ne vada, Or gli animali, or quel villan minaccia Col taglio e con
la punta della spada. Qnella importuna turba più 1 impaccia:Presa ha chi qua
chi là tutta la strada. Vede Ruggiero il disonore e il danno Che gli avveri à,
se più tardar lo fanno. 10 Sa ch'ogni poco più ch'ivi rimane, Alcina avrà col
popolo alle spalle. Di trombe, di tamburi e di campane Già s'ode alto rumore in
ogni valle: Centra un servo senz' arme, e contro un cane Gli par eh' a usar la
spada troppo falle; Meglio e più breve è dunque che gli scopra Lo scudo che
d'Atlante era stato opra. Stanza 19. Il Levò il drappo vermiglio, in che
coperto Già molti giorni lo scudo si t"nne. Fece l'effetto mille volte
esperto Il lume, ove a ferir negli occhi venne. Resta dai sensi il caociator
deserto; Cade il cane e il ronzin, cadon le penne Ch' in aria sostener l'augel
non ponno; Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno. 12 Alcina, ch'avea
intanto avuto avviso Di Ruggier, che sforzato avea la porta, E della guardia
buon numero ucciso, Fu y vinta dal dolor, per restar morta. SquarcTossi i panni
e si percosse il viso, E sciocca nominossi e mal accorta; E fece dar all' arme
immantinente, E intorno a sé raccor tutta sua gente.13 E poi ne fa due parti, e
manda Tona Per quella strada ove Rnggier cammina; Al porto l'altra subito
raguna In barca, ed uscir fa nella marina: Sotto le vele aperte il mar
s'imbruna. Con questi va la disperata Alcina, Che '1 desiderio di Ruggier sì
rode, Che lascia sua città senza custode. 14 Non lascia alcuno a guardia del
palagio; Il che a Melissa, che stava alla posta Per liberar di quel regno
malvagio La gente eh' in miseria v' era posta, Diede comodità, diede grande
agio Di gir cercando ogni cosa a sua posta, Immagini abbruciar, suggelli tórre,
E nodi e rombi e turbini disciorre. 19 Tra duri sassi e folte sp'ne già
Ruggiero intanto invér la Fata saggia, Dì balzo in balzo, e d'una in altra via
Aspra, soliiiga, inospita e selvaggia, Tanto eh' a gran fatica riuscia Su la
fervida nona in una spiaggia Tra '1 mare e '1 monte, al Mezzodì scoperta .
Arsiccia, nuda, sterile e deserta. 20 Percuote il Sole ardente il vicin colle;
E del calor che si riflette addietro, In modo l'aria e F arena ne bolle, Che
saria troppo a far liquido il vetro. Stassi cheto ogni augello all' ombra
molle; Sol la cicala col noioso metro Fra i densi rami del fronzuto stelo Le
valli e i monti assorda, e il mare e il cielo. 15 Indi pei campi accelerando i
passi, Gli antiqui amanti, eh' erano in gran torma, Conversi in fonti, in fere,
in legni, in sassi, Pe' ritornar nella lor prima forma. E quei, poi eh'
allargati furo i passi, Tutti del buon Ruggier seguiron l'orma: A Logistilla si
salvaro; ed indi Tornare a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi. 16 Li rimandò
Melissa in lor paesi, Con obbligo di mai non esser sciolto. Fu innanzi agli
altri il duca degl'Inglesi Ad esser ritornato in uman volto; Chè'l parentado in
questo, e li cortesi Prieghi del buon Ruggier gli giovar molto: Oltre i
prieghi, Ruggier le die l'anello, Acciò meglio potesse aiutar quello. 17 A'
prieghi dunque di Ruggier, rifatto Fu '1 paladin nella sua prima faccia. Nulla
pare a Melissa d'aver fatto. Quando ricovrar l'arme non gli faccia, E quella
lancia d'ór, eh' al primo tratto Quanti ne tocca della sella caccia; Dell'
Argalia, poi fu d'Astolfo lancia; E molto onor fé' all'uno e all'altro in
Francia. 18 Trovò Melissa q"e8ta lancia d'oro, Ch' Alcina avea reposta nel
palagio; E tutte l'arme che del duca fóro, E gli fnr tolte nell'ostel malvagio.
Montò il destrier del Negromante moro, E fé' montar Astolfo in groppa ad agio;
E quindi a Logistilla si condusse D'un' ora prima che Ruggier vi fùsse. 21
Quivi il caldo, la sete e la fatica Ch'era di gir per quella via arenosa,
Facean, lungo la spiaggia erma ed aprica, A Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma perchè non convìen che sempre io dica, Né eh' io vi occupi sempre in una
cosa, 10 lascerò Ruggiero in questo caldo, E girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.
22 Era Rinaldo molto ben veduto Dal re, dalla figliuola e dal paese. Poi la
cagion che quivi era venuto . Più ad agio il Paladin fece palese:Ch'in nome del
suo re chiedeva aiuto E dal regno di Scozia e dall'luglese; Ed ai prieghi
soggiunse anco di Carlo Giusfissime cagion di dover farlo. 23 Dal re senza
indugiar gli fu risposto. Che di quanto sua forza s' estendea, Per utile ed
onor sempre disposto Di Carlo e dell'Imperi j esser volea: E che fra pochi di
gli avrebbe posto Più cavalieri in punto che potea; E, se non ch'esso era
oggimai pur vecchio. Capitano verna del suo apparecchio:24 Nò tal rispetto
ancor gli parria degno Di farlo rimaner, se non avesse 11 figlio, che di forza,
e più d'ingegno, Degnissimo era a chi'l governo dese, Benché non si trovasse
allor nel regno; Ma che sperava che venir dovesse Mentre eh' insieme aduneria
lo stuolo; E eh' adunato il troveria il figliuolo. 25 Cosi mandò per tutta la
sua terra Suoi tesorieri a far cayalli e gente:Navi apparecchia e munizion da
guerra, Vettovaglia e danar maturamente. Venne intanto Rinaldo in Inghilterra,
E1 re nel suo partir cortesemente Insino a Beroìcche accompagno! lo; E visto
pianger fti quando lasciollo. 26 Spirando il vento prospero alla poppa, Monta
Einaldo, et addio dice a tutti:La fune indi al viaggio il nocchier sgroppa;
Tanto che giunge ove nei salsi flutti Il bel Tamigi amareggiando intoppa. Col
gran flusso del mar quindi condutti I naviganti per cammin sicuro, A vela e
remi insino a Londra furo. 27 Rinaldo avea da Carlo e dal re Otone, Che con
Carlo in Parigi era assediato, Al principe di Vallia commissione Per
contrassegni e lettere portato, Che ciò che potea far la regione Di fanti e di
cavalli in ogai lato, Tutto debba a Calesio traghi ttarlo, Si che aiutar si
possa Francia e Carlo. 28 II principe eh io dico . eh' era, invece D'Oton,
rimase nel seggio reale, A Rinaldo d'Amon tanto onor fece, Che non T avrebbe al
suo re fatto uguale: ludi alle sue domande satisfece; Perchè a tutta la gente
marziale E di Bretagna e deir isole intorno Di ritrovarsi al mar prefisse il
giorno. 29 Signor, far mi convien come fa il buono Sonator sopra il suo
istrumento arguto, Che spesso muta corda e varia suono, Ricercando ora il
grave, ora T acuto. Mentre a dir di Rinaldo attento sono, D'Angelica gentil m'
è sovvenuto, Di che lasciai ch'era da lui fuggita, E eh' avea riscontrato un
Eremita. 30 Alquanto la sua istoria io vo' seguire. Dissi che domandava con
gran cura, Come potesse alla marina gire; Che di Rinaldo avea tanta paura. Che,
non passando il mar, ciedea morire, Né in tutta Europa si tenea sicura; Ma
l'Eremita a bada la tenea, Perchè di star con lei piacere avea. 81 Quella rara
bellezza il cor gli accese, E gli scaldò le frigide modelle:Ma poi che vide che
poco gli attese, E ch'oltra soggiornar seco non volle, Di cento punte
l'asinelio offese; Né di sua tardità però lo tolle:E poco va di passo, e men di
trotto; Né stender gli si vuol la bestia sotto. Stanza 31. 32 E perchè molto
dilungata s' era, E poco più, n'avria perduta l'orma. Ricorse il frate alla
spelonca nera, E di demonj uscir fece una torma: E ne sceglie uno di tutta la
schiera, E del bisogno suo prima F informa; Poi lo fa entrare addosso al
corridore, Che via gli porta con la donna il core. 83 E qual sagace can nel
monte usato A volpi 0 lepri dar spesso la caccia, Che se la fera andar vede da
un lato, Ne va da un altro, e par sprezzi la traccia; Al varco poi lo sentono
arrivato, Che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia: Tal l'Eremita
per diversa strada Aggiugnerà la donna ovunque vada. 34 Che 8 il disegno suo,
ben io eomprendo; £ dirollo anco a voi, ma in altro loco. Angelica di ciò nulla
temendo, Cavalcava a giornate, or molto or poco. Nel cavallo il demon si già
coprendo, Come si cnopre alcnna volta il foco, Che con si grave incendio poscia
avvampa, Che non si estingue, e a pena se ne scampa. 35 Poichò la donna preso
ebbe il sentiero Dietro il gran mar che li Guasconi lava, Tenendo appresso all'
onde il suo destriero, Dove V umor la via più ferma dava; Quel le fa tratto dal
demonio fiero Nell'acqua si, che dentro vi nuatava. Non sa che far la timida
donzella, Se non tenersi ferma in su la sella. B Quando si vide sola in quel
deserto, Ch'a riguardarlo sol mettea paura, Nell'ora che nel mar Febo coperto
L'aria e la terra avea lasciata oscura; Fermossi in atto ch'avria fatto incerto
Chiunque avesse vista sua figura, S'ella era donna sensitiva e vera, 0 sasso
colorito in tal maniera. ''im:M stanza 36. 36 Per tirar briglia, non gli può
dir volta: Più e più sempre quel si caccia in alto. Ella tenea la vesta in su
raccolta Per non bagnarla, e traea i piedi in alto. Per le spalle la chioma iva
disciolta, E l'aura le iacea lascivo assalto. Stavano cheti tutti i maggior
venti, Forse a tanta beltà col mare intenti. 37 Ella volgea 1 begli occhi a
terra invano, X)he bagnavan di pianto il viso e '1 seno; E vedea il lito andar
sempre lontano, E decrescer più sempre e venir meno. Il destrier che nuotava a
destra mano, Dopo un gran giro la portò al terreno Tra scuri sassi e spaventose
grotte, Giàcominciando ad oscurar la notte. stanza 39. 39 Stupida e fissa nella
incerta sabbia, Coi capelli disciolti e rabbuffati, Con le man giunte, e con
l'immote labbia I languidi occhi al ciel tenea levati; Come accusando il gran
Motor, che. l'abbia Tutti inclinati nel suo danno i fati. Immota e come
attonita stè alquanto; Poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto. 40
Dìcea: Fortuna, che più a far ti resta, Acciò di me ti sazii e ti disfami? Che
dar ti posso ornai più, se non questa Misera yita? ma tu non la brami; Ch'ora a
trarla del mar sei stata presta, Quando potea finir snoi giorni grami: Perchè
ti parve di voler più ancora Vedermi tormentar prima chMo muora. 41 Ma che mi
possa nuocere non veggio, Più di quel che sin qui nociuto m'hai. Per te cacciata
son del r6al seggio, Dove più ritornar non spero mai: Ho perduto V onor, eh' è
stato peggio Che sebben con effetto io non peccai, Io do però materia eh' ognun
dica, Ch' essendo vagabonda, io sia impudica 44 Se l'affogarmi in mar morte non
era A tuo senno crudel, purch'io ti sazii, Non recuso che mandi alcuna fera Che
mi divori, e non mi tenga in strazii. D'ogni martir che sia, pur eh' io ne
pera, Esser non può ch'assai non ti ringrazii. Cosi dicea la donna con gran
pianto, Quando le apparve l'Eremita accanto. Stana 40. Stanza 4j. 45 Avea
mirato dall' estrema cima D'un rilevato sasso l'Eremita Angelica, che giunta
alla parte ima È dello scoglio, afflitta e sbigottita. Era sei giorni egli
venuto prima: Ch' undemonio il portò per via non trita:E venne a lei fingendo
divozione Quanta avesse mai Paulo o Ilarione. 42 Che aver può donna al mondo
più di buono A cui la castità levata sia? Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e
sono Tenuta bella, o sia vero o bugia. Già non ringrazio il Ciel di questo
dono; Che di qui nasce ogni mina mia. Morto per questo fu Argalia mio fìrate;
Che poco gli giov&r l'arme incantate:43 Per questo il re di Tartaria
Agricane Disfece il genitor mio Galagone, Ch' in India, del Cataio era Gran
Cane; Onde io son giunta a tal condizione, Che muto albergo da sera a dimane.
Se r aver, se l'onor, se le persone M'hai tolto, e fatto il mal che far mi
puoi, A che più doglia anco serbar mi vuoi? stanza 45 46 Come la donna il
cominciò a vedere, Prese, non conoscendolo, conforto; E cessò a poco a poco il
suo temere, Bench'ella avesse ancora il viso smorto. Come fu presso disse:
Miserere, Padre, di me, ch'i'son giunta a mal porto: E con voce interrotta dal
singulto, Gli disse quel eh' a lui non era occulto. 47 Comincia l'Eremita a
confortarla Con alquante ragion belle e divote; E pon r audaci man, mentre che
parla, Or per lo seno, or per V umide gote:Poi più sicuro va per abbracciarla:
Ed ella sdegnosetta lo percuote Con una man nel petto, e lo respinge, E
d'onesto rossor tutta si tinge. 50 Tutte le vie, tutti li modi tenta; Ma quel
pigro rozzon non però salta: Indarno il fren gli scuote e lo tormenta; E non
può far che tenga la testa alta. Alfin presso alla donna s' addormenta; E nuova
altra sciagura anco l'assalta. Non comincia Fortuna mai per poco, Quando un
mortai si piglia a scherno e a gioco. 51 Bisogna, prima eh' io vi narri il
caso, Ch' un poco dal sentier dritto mi torca. Nel mir di Tramontana invèr 1'
Occaso Oltre l'Irlanda una isola si corca. Ebuda nominata; ove è rimise Il
popol raro, poi che la brutta orca, E l'altro marin gregge la distrusse, Ch'in
sua vendetta Proteo vi condusse.stanza 49.52 Narran l'antique istorie, o vere o
false, Che tenne già quel luogo un re possente. Ch'ebbe una figlia, in cui
bellezza valse E grazia si, che potè facilmente, Poi che mostrossi in su 1'
arene salse, Proteo lasciare in mezzo a 1' acque ardente:E quello, un di che
sola ritrovolla, Compresse, e di sé gravida lasciolla. 53 La cosa fu gravissima
e molesta Al padre più d'ogni altro empio e severo:Né per iscusa o per pietà la
testa Le perdonò; sì può lo sdegno fiero:Né, per vederla gravida, si resta Di
subito eseguire il crudo impero: E il nipotin, che non avea peccato, Prima fece
morir che fosse nato. 48 Egli eh' a Iato avea una tasca, aprilla, E trassene
una ampolla di liquore; E negli occhi possenti, onde sfavilla La più cocente
face ch'abbia Amore, Spruzzò di quel leggiermente una stilla, Che di farla
dormire ebbe valore: Già resupina nell'arena giace A tutte voglie del vecchio
rapace. 49 Egli l'abbraccia, ed a piacer la tocca; Ed ella dorme, e non può
fare ischermo. Or le baci\ il bel petto, ora la bocca; Non è chi'l veggia in
quel loco aspro ed ermo. Ma nell'incontro il suo destrier trabocca; Ch' al
disio non risporide il corpo infermo:Era mal atto, perchè avea troppi anni, E
potrà peggio, quanto più l'affanni. 54 Proteo marin, che pasce il fiero armento
Di Nettuno che l'onda tutta regge, Sente della sua donna aspro tormento, E per
grand' ira rompe ordine e legge; Sì che a mandare in terra non è lento L'orche
e le foche, e tutto il marin grregge, Che distruggon non sol pecore e buoi. Ma
ville e borghi, e li cultori suoi:55 E spesso vanno alle città murate, E
d'ogn'intomo lor mettono assedio. Notte e di stanno le persone armate Con gran
timore e dispiacevo! tedio: Tutte hanno le campagne abbandonate; E per trovarvi
alfin qualche rimedio, Andarsi a consigliar di queste cose All' Oracol, che lor
così rispose:56 Che trovar bisognava una donzella Che fosse air altra di
bellezza pare, Ed a Proteo sdegnato offerir quella, In cambio della morta, in
lito al mare. Sa sua satisfazion gli parrà bella, Se la terrà, né li verrà a
sturbare:Se per questo non sta, se gli appresenti Una ed un' altra, finché si
contenti. 57 E cosi cominciò la dura sorte Tra quelle che più grate eran di
faccia, Ch'a Proteo ciascun giorno una si porte. Finché trovino donna che gli
piaccia. La prima e tutte 1 altre ebbero morte; Che tutte giù pel ventre se le
caccia Un' orca che restò presso alla foce, Poi che il resto parti del greggie
atroce. stanza 52. 58 0 vera o falsa che fosse la cosa Di Proteo, eh' io non so
che me ne dica, Servosse in quella terra . con tal chiosa, Contra le donne un'
empia legge antica; Che di lor carne V orca monstrucsa, Che viene ogni dì al
lito, si nutrica. Bench' esser donna sia in tutte le bande Danno e sciagura,
quivi era pur grande. 59 Oh misere donzelle che trasporte Fortuna ingiuriosa al
lito infausto ! Dove le genti stan sul mare accorte Per far delle straniere
empio olocausto:Che, come più di fuor ne sono morte, Il numer delle loro é meno
esausto; Ma perché il vento ognor preda non mena, Kicercaudo ne van per ogni
arena. 60 Van discorrendo tutta la marina Con foste e grippi, ed altri legni
loro; E da lontana parte e da yicina Portan sollevamento al lor martoro. Molte
donne han per forza e per rapina, Alcune per lusinghe, altre per oro, E sempre
da diverse regioni N'hanno piene le torri e le prigioni. stanza 57. 62 Oh
troppo cara, oh troppo eccelsa preda Per si barhare genti e si villane ! Oh
Fortuna crudel, chi fia eh' il creda, Che tanta forza hai nelle cose umane, Che
per cibo d'un mostro tu conceda La gran beltà, ch'in India il re Agricane Fece
venir dalle caucasee porte Con mezza Scizia a guadagnar la morte? 03 La gran
beltà che fu da Sacripante Posta innanzi al suo onore e al suo bel regno La
gran beltà ch'ai gran signor d'Anglante Macchiò la chiara fama e l'alto
ingegno; La gran beltà che fé' tutto Levante Sottosopra voltarsi, e stare al
segno, Ora non ha (cosi è rimasa sola) Chi le dia aiuto pur d'una parola. 64 La
bella donna, di gran sonno oppressa Incatenata fu prima che desta. Portaro il
frate incantator con essa Nel legno pien di turba afflitta e mesta. La vela, in
cima air arbore rimessa, Rendè la nave all'isola funesta, Dove chiuser la donna
in rócca forte, Fin a quel di eh' a lei. toccò la sorte. 65 Ma potè si, per
esser tanto bella, La fiera gente muovere a pietade, Che molti di le differiron
quella Morte, e serbarla a gran necessitade; E fin ch'ebber di fuore altra
donzella, Perdonaro all'angelica beltade. Al mostro fu condotta finalmente,
Piangendo dietro a lei tutta la gente. 66 Chi narrerà 1' angoscie, i pianti, i
gridi, L'alta querela che nel ciel penetra? Maraviglia ho che non s'aprirò i
lidi Quando fu posta in su la fredda pietra, Dove in catena, priva di sussidi,
Morte aspettava abbominosa e tetra. Io noi dirò; che si il dolor mi muove, Che
mi sforza voltar le rime altrove, 61 Passando una lor fusta a terra a terra
Innanzi a quella solitaria riva, Dove fra sterpi in su l'erbosa terra Là
sfortunata Angelica dormiva, Smontaro alquanti galeotti in terra Per riportarne
e legna ed acqua viva; E di quante mai fur belle e leggiadre, Trovaro il fiore
in braccio al sauto padre. 67 E trovar versi non tanto lugubri, Finché '1 mio
spirto stanco si riabbia; Che non potrian gli squallidi colubri, Né l'orba
tigre accesa in maggior rabbia, Né ciò che dall'Atlante ai liti rubri Venenoso
erra per la calda sabbia. Né veder né pensar senza cordoglio, Angelica legata
al nudo scoglio. 68 Oh se r avesse il suo Orlando saputo, Ch' era per
ritrovarla ito a Parigi, 0 li dui ch'infiannò quel vecchio astuto Col messo che
venia dai luoghi stigi ! Fra mille morti, per donarle aiuto, Cercato avrian gli
angelici vestigi. Ma che fariano, avendone anco spia, Poiché distanti son di
tanta via? 69 Parigi intanto avea T assedio intorno Dal famoso figliuol del re
Troiano: E venne a tanta estremitade un giorno, Che n'andò quasi al suo nimico
in mano; E, se non che li voti il Ciel placomó, Che dilagò di pioggia oscura il
piano, Cadea quel di per l'africana lancia Il santo Imperio e'I gran nome di
Francia. Stanza 70. 70 II sommo Creator gli occhi rivolse Al giusto lamentar
del vecchio Carlo; E con subita pioggia il foco tolse: Né forse uman saper
potea smorzarlo. Savio chiunque a Dio sempre si volse; Ch'altri non potè mai
meglio aiutarlo. Ben dal devoto Be fu conosciuto, Che si salvò per lo divino
aiuto. 71 La notte Orlando alle noiose piume Del veloce pensier fa parte assai,
Or quinci or quindi il volta, or lo rassume Tutto in un loco, e non V afferma
mai:Qual d'acqua chiara il tremolante lume, Dal Sol percossa o da notturni rai,
Per gli ampli tetti va con lungo salto A dèstra ed a sinistra, e basso ed alto.
72 La donna sua che gli ritorna a mente, Anzi che mai non era indi partita, Gli
accende nel core e fa più ardente La fiamma che nel di parea sopita. Costei
venuta seco era in Ponente Fin dal Cataio: e qui l'avea smarrita, Né ritrovato
poi vestigio d'ella, Che Carlo rotto fu presso a Bordella. 73 Di questo,
Orlando avea gran doglia; e seco Indarno a sua sciocchezza ripensava. Cor mio,
dicea, come vilmente teco Mi son portato ! ohimè, quanto mi grava Che potendoti
aver notte e di meco, Quando la tua bontà non mei negava, T' abbia lasciato in
man di Namo porre, Per non sapermi a tanta ingiuria opporre ! Stanza 71 74 Non
aveva ragione io di scusarme? E Carlo non m'avria forse disdetto: Se pur
disdetto, e chi potea sforzarme Chi ti mi volea tórre a mio dispetto? Non
poteva io venir piuttosto all'arme? Lasciar piuttosto trarmi il cor del
petto?Ma né Carlo, né tutta la sua gente Di tormiti per forza era possente. 75
Almen l'avesse posta in guardia buona Dentro a Parigi o in qualche rocca forre.
Che l'abbia data a Namo mi consona. Sol perché a perder V abbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona Di me? ch'io dovea farlo fino a morte;
Guardarla più che'l cor, che gli occhi miei: E dovea e potea farlo, e pur noi
fei. 76 Deb! dove senza me, dolce mia vita. Rimasa sei sì giovane e si bella?
Come, poi cbe la luce è dipartita, Riman tra boscbi la smarrita agnella, Che
dal pastor sperando essere udita. Si va lagnando in questa parte e in quella,
Tanto cbe'l lupo Tode da lontano, E U misero pastor ne piagne invano. 77 Dove,
speranza mia, dove ora sei? Vai tu soletta forse ancora errando? Oppur t'hanno
trovata i lupi rei Senza la guardia del tuo fido Orlando?E il fior eh' in ciel
potea pormi fra i Dei, 11 fior eh' intatto io mi venia serbando Per non
turbarti, ohimè ! V animo casto, Ohimè ! per forza avranno colto e guasto. 78
Oh infelice ! oh misero ! che vogìio Se non morir, se'l mio bel fior coito
hanno? 0 sommo Dio, fammi sentir cordoglio Prima d'ogni altro, che di questo
danno. Se questo è ver, con le mie man mi toglio La vita, e Talma disperata
danno. Cosi piangendo forte e sospirando, S3C0 d'cea l'addolorato Orlando. 70
Già in ogni parte gli animanti lassi D.ivan riposo ai travagliati spirti, Chi
su le piume, e chi su i duri sassi, E chi su r erbe, e chi su faggi o mirti:Tu
le palpebre, Orlando, appena abbassi, Punto da' tuoi pensieri acuti ed irti; Né
quel sì breve e fuggitivo sonno Godere in pace anco lasciar ti ponno. 80 Parca
ad Orlando, s' una verde riva D'odoriferi fior tutta dipinta, Mirare il bello
avorio, e la nativa Porpora eh' avea Amor di sua man tinta, E le due chiare
stelle, onde nutriva Nelle reti d'Amor V anima avvinta:Io parlo de' begli occhi
e del bel volto, Che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto. 81 Sentia il
maggior piacer, la maggior festa Che sentir possa alcun felice amante: Ma ecco
intanto uscire una tempesta Che struggea i fiori ed abbattea le piante. Non se
ne suol veder simile a questa, Quando giostra Aquilone, Austro e Levante. Parea
che, per trovar qualche coperto, Andasse errando invan per un deserto. 82
Intanto l'infelice (e non sa come) Perde la donna sua per l'aer fosco; Onde, di
qua e di là, del suo bel nome Fa risonare ogni campagna e bosco. E mentre dice
indarno: Misero me ! Chi ha cangiata mia dolcezza in tosco?Ode la donna sua che
gli domanda, Piangendo, aiuto, e se gli raccomanda. Stanza 91 83 Onde par eh'
esca il grido, va veloce; E quinci e quindi s'affatica assai. Oh quanto è il
suo dolore aspro ed atroce, Che non può rivedere i dolci rai ! Ecco eh'
altronde ode da un' altra voce:Non sperar più gioirne in terra mai. A questo
orribil grido risvegliossi, E tutto pien di lacrime trovossi. 84 Senza pensar
che sian V immagin false, Quando per tema o per disio si sogna, Della donzella
per modo gli calse, Che stimò giunta a danno od a vergogna, Che fulminando fuor
del letto salse. Di piastra e maglia, quanto gli bisogna, Tutto guarnissi, e
Brigliadoro tolse; Né di scudiero alcun servigio volse. 85 E per poter entrar
ogni sentiero, Che la sua dignità macchia non pigli, Non V onorata insegna del
quartiero, Distinta di color bianchi e vermigli, Ma portar volse, un ornamento
nero, • E forse acciò ch'ai suo dolor somigli: E quello avea già tolto a un
Amostante, Ch'uccise di sua man pochi anni innante. 88 Brandimarte, eh' Orlando
amava a pare Di sé medesmo, non fece soggiorno; 0 che sperasse farlo ritornare,
0 sdegno avesse udirne biasmo e seomo: E volse appena tanto dimorare,
Ch'uscisse fuor nell'oscurar del giorno. A Fiordiligi sua nulla ne disse,
Perchè 1 disegno suo non gì' impedisse. 86 Da mezza notte tacito si parte, E
non saluta, e non fa motto al zio; Né al fido suo compagno Brandimarte, Che
tanto amar solea, pur dice addio. Ma poi che'l Sol con l'auree chiome sparte
Del ricco albergo di Titone uscio, E fé' l'ombra fuggire umida e nera, S'
avvide il re che '1 paladin non v' era. 87 Con suo gran dispiacer s'avvede Carlo
Che partito la notte è il suo nipote. Quando esser dovea seco, e pii\ aiutarlo:
E ritener la collera non puote, Ch' a lamentarsi d'esso, ed a gravarlo Non
incominci di biasimevol note; E minacciar se non ritoma, e dire Che lo farla di
tanto error pentire. 89 Era questa una donna che fu molto Da lui diletta, e ne
fu raro senza; Di costumi, di grazia e di bel volto Dotata, e d'accortezza e di
prudenza:E se licenzia or non n' aveva tolto, Fu che sperò tornarle alla
presenza J\ di medesmo; ma gli accadde poi, Che lo tardò più dei disegni suoi.
90 E poi eh' ella aspettato quasi un mese Indarno l'ebbe, e che tornar noi
vide. Di desiderio sì di lui s'accese, Che si partì senza compagni o guide; E
cercandone andò molto paese, Come l'istoria al luogo suo decide. Di questi dua
non vi dico or pia innante; Che più m' importa il cavalier d'Anglante. 91 n
qual, poi che mutato ebbe d'Almonte Le gloriose insegne, andò alla porta, E
disse nell'orecchio: Io sono il Conte, A un capitan che vi facea la scorta; E
fattosi abbassar subito il ponte. Per quella strada che più breve porta Agi'
inimici, se n' andò diritto. Quel che segui, nell'altro Canto è scritto. N OTB.
St. 3. V.3. Sprovvedute vale disattente, nonpronte ad opporsi. St. 6. V.3. Qiù
sale vuol dite smonta. St. 14. v.78. Imma Tini f suggelli, nodi, rombi,
turlrinif tatti oggetti relativi alle magiche supersti zioni. St. 19. V.6. La
fervida nona, secondo l'antica nu merazione dell'ore, denota sul metzogiorno.
St. 27. V.37. ValUa, nome dato dai Latini alla contrada che gì Inglesi chiamano
Wales, e che noi di ciamo principato di Galles. Calesio é Calais di Fran cia,
detto anche Calesse nella St. 27 del Canto II. St. 32. V.3. Per la spelonca
nera intende Vinfemc, St. 35. V.2. Quel mare ò V Oceano, che ivi bagna le
spiaggie della Guascogna. St. S6. V.2. Si eaccia in alto, ossia si addentra
neWacqta. St. 43. V.12. Agricane re di Tartaria, mosse guerra a Oalafrone padre
d'Angelica, perché essa rifiutava es sergli sposa. Ivi. V.3. Cataio o Calai,
nome che si dette alle Provincie settentrionali della Cina. Cane, si chiama
anche oggi il capo o re dei Tartari. Kan, vale appnnto, nel linguaggio arabo,
re. imperatore. as:46fc 4.FaAlo fu eremita nella Tebaide. Ila rione fu eremita
nells nrfìMlÉak. St. 51. Y. 58. Bbnday detta dai Latini Ebudarum, oggi Muli, 6
nna dell'Ebridi, che giacciono lungo le co ste occidentali della Oran Bretagna,
flanclieggiando la Scozia. Proteo favolosa deità marina. St. 60. V.2. Le fitste
e i grippi sono navigli sot tili adattati al corseggiare. St. 62. V.78. Caucasee
porte: cosi chiana una gola del Caucaso, onde dal paese detto una volra
Sarmazia, si passa nelU Georgia. Sciiia chiamarono gli antichi la vasta regione
che ora dicesi Tartaria. St. 67. V.56. La calda sabbia daW Atlante ai liti
rttbrif è l'afdcana costa di Berberia, che si distende dai monti Atlantici fino
al golfo Arabico, o mar Rosso. St. 68. V.3. Rinaldo e Ferraù amanti anch'essi
d'An gelica. Vedi al II Canto. St. 69. V.8. L'impero d'Occidente ristabilito in
Carlo Magno d&LMnelII papa f il deUo Santa Romano Impero. St. 72i V.8.
Bordella: la città di Bordeaux, che il Poeta ha detta anche Bordea nella St.
75. del Canto 111. St. 84. V.57. Salsz qui vale lalzò. BrigliadorOj nome del
cavallo d'Otlando. St. 85. V.3 4. La divisa d'Orlando era distinta in quattro
parti alternate di colore bianco e rosso. L'aveva tolta ad Almonte, cai egli,
ancor giovinetto, aveva ucciso. Ivi. V.7. Anxoatante è nome di dignità fra i Sa
laceni St. 86. y. 2. Zio, Orlando era ilglio di Berta sorella di Carlomagno.
Ivi. V.6. Albei'go di Titone è lOriente. Titone, secondo la mitologia, fu
rapito in cielo e sposato dal l'Aurora. Il "UtT., IX. Stanza 70.
ARGOMENTO. Uihunln, avellilo udita ]el ra e rat il man za i>]trodottA Ja
Et" dv" HLiHii4:Ua esrc \\i Ai>j?<'Ura ili rìcliio f? si
jroponei dlmndftnrli ma rrirnsL .nrrurn' Onmpin, curi t asm "IL Olanda,
moiglie del duri Hìri nu, e jiKtrsomUiitji iljil rn Ci mosco. ViiUMt
eointiìiitft ipieutt' qiitJ Lts 1 riduiDL ad Ulì?tii)ia gli st&ti f: lo
"poso. Cile noli pnù far iFuii cor eh' abbia suggetro IJuesto inididi' e
iradilur'i Amore Toìrbiid nriaudu \\\\ò luvar del petto La tanta fé" cla
debbe ai Miu Signore? Già,savio e iticia fn d'ogiii rispetto, E iltdbi Santa
Chiuia difensore: i ir ]H r nu vaiio amur, poco del zio E di fili ]ìi)co, e
nti'ii triira di Dio, Ma l'tstuso io jaif trtiiijMi, e mi ralìegro Nel m'ut
difetto aver coraiiiigno tuie; rii'wiidrio soli al miw ben languido ed egn>,
Saiiu e gagliardo a seguitare il male. Quel se ne va tutto vestito a negro; Né
tanti amici abbandonar gli cale; E passa dove d'Africa e di Spagna La gente era
attendata alla campagna; Anzi uou attendata, perchè sotto Alberi e tetti l'ha
sparsa la pioggia A dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto; Chi più
distante, e chi più presso alloggia. Ognuno dorme travagliato e rotto. Chi
steso in terra, e chi alla man s appoggia. Dormono; e il conte uccider né può
assai:Né però stringe Durindana mai. Di tanto core è il geneioso Orlaudo, Che
non degna ferir gente che dorma. Or questo e quando quel luogo cercando Va, per
trovar della sua donna l'orma. Se troVa alcun che veggi, sospirando Gli ne
dipinge V abito e la forma; E poi lo priega che per cortesia GP insegni andar
in parte ov'ella sia. stanza 3. E, poi che venne il di chiaro e lucente, Tutto
cercò V esercito moresco; E ben lo potea far sicuramente, Avendo indosso T
abito arabesco. Ed aiutollo in questo parimente, Che sapeva altro idioma che
francesco; E l'africano tanto avea espedito. Che parea nato a Tripoli e
nutrito. Quivi il tutto cercò, dove dimora Fece tre giorni, e non per altro
effetto:Poi dentro alle cittadi. e a' borghi fiiora Non spiò sol per Francia e
suo distretto; Ma per Uvemia e per Guascogna ancora Rivide sin all'ultimo
borghetto: E cercò da Provenza alla Bretagna, E dai Piccardi ai termini di Spagna.
7 Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre, Nella stagion che la frondosa
vesta Vede levarsi, a discoprir le membre Trepida pianta, finché nuda resta, E
van gli augelli a strette schiere insembre, Orlando entrò nell'amorosa
inchiesta: Né tutto il verno appresso lasciò quella. Né la lasciò nella stagion
novella. 8 Passando un giorno, come avea costume, D'un paese in un altro,
arrivò dove Parte i Normandi dai Britoni un fiume, E verso il vicìn mar cheto
si muove; Ch'allora gonfio e bianco già di spume Per neve sciolta e per montane
piove; E l'impeto dell'acqua avea disciolto E tratto seco il ponte, e il passo
tolto. Con gli occhi cerca or questo lato or quello, Lungo le ripe il Pdladia,
se Tede (Quando né pesce egli non è, né augello) Come abbia a por nell'altra
ripa il piede; Ed ecco a sé venir vede un battello/ Nella cui poppa una
donzella siede, Che di volere a lui venir fa segno; Né lafc'a poi ch'arrivi in
terra il gno. stanza 10. 19 Voi dovete saper ch'oltre l'Irlanda, Fra molte che
vi son, l'isola giace Nomata Ebu'la, che per legge manda Rubando intorno il suo
popol rapace; E quante donne può pigliar, vivanda Tutte destina a un au'mal
vorace, Ohe viene ogni di al lito, e sempre nova Donna o donzelli, onde si
pasca, trova; 13 Che mercanti e corsar che vanno attorno, Ve ne fan copia, e
più delle più belle. Ben potete contare, una per giorno. Quante morte vi sian
donne e donzelle. Ma se pietade in voi trova soggiorno., Se non sete d'Amor
tutto ribelle, Siate contento esser tra questi eletto. Che van per far sì
fruttuoso effetto. 14 Orlando volse appena udire il tutto. Che giurò d'esser
primo a quella impresa, Come quel eh' alcun atto iniquo e bratto Non può
sentire, e d'ascoi tiir gli pesa: E fu a pensare, indi a temere indntto, Che
quella gente Angelica abbia presa; Poiché cercata l'ha per tanta via. Né
potutone ancor ritrovar spia. 15 Questa immaginazion si gli confuse E sì gli
tolse ogni prìmier disegno. Che, quanto in fretta più potea, conchiuse Di
navigare a quell'iniquo regno. Né prima l'altro SdI nel mar si chiuse, Che
presso a San Malo ritrovò un legno, Nel qual si pose; e fatto alzar le vele,
Passò la notte il monte San Michele. 10 Prora in terra non pon; che d'esser
carca Contra sua volontà forse sospetta. Orhindo priega lei, clie nella barca Seco
lo tolga, ed oltre il fiume il metta. Ed ella a lui: Qui cavalier non varca, Il
qual su la sua fé' non mi prometta Di fare uni batCìglia a mia richiesta, La
più giusta del mondo e la più onesta. 11 Si che s'avete, cavalier, desire Di
por per me nell' altra ripa i passi, Promettetemi, prima che finire Quest'
altro mese prossimo si lassi, Ch'ai re d'Ibernia v'anderete a unire, Appresso
al qual la bella armata fassi Per distrugger quell' isola di Ebnda, Che, di
quante il mar cinge, è la più cruda. 16 Breaco e Landriglier lascia a man
manca. E va radendo il gran lito britone; E poi si drizza invér l'arena bianca,
Onde Inghilterra si nomò Albione:Ma il vento, ch'era da merigge, manca, E
soffia tra il ponente e l'aquilone Con tanta forza, che fa al basso porre Tutte
le vele, e sé per poppa tórre. 17 Quanto il navilio innanzi era venuto In
quattro giorni, in un ritornò indietro, Nell'alto mar dal buon nocchier tenuto,
Che non dia in terra, e sembri un fragil vetw Il vento, poi che furioso suto Fu
quattro giorni, il quinto cangiò metro Lasciò senza contrasto il legno entrare
Dove il fiume d'Anversa ha foce in mare. 18 Tosto che nella foce entrò lo
stanco Nocchier col legno afflitto, e jl lito prese, Fuor d'una terra che sul
destro fianco Di quel fiume sedeva, un vecchio scese, Di molta età, per quanto
il crine bianco Ne dava indizio: il qual tutto cortese, Dopo i saluti, al Conte
rivoltosse, Che capo giudicò che di lor fosse:Stanza 15. 19 E da parte il pregò
d'una donzella, Ch' a lei venir non gli paresse grave; La qual ritroverebbe,
oltre che bella. Più eh' altra al mondo affabile e soave:Ower fosse contento
aspettar ch'ella Verrebbe a trovar lui fiji alla nave: Né più restio volesse
esser di quanti Quivi eran giunti cavalieri erranti; 20 Che nessun altro
cavalier ch'arriva 0 per terra o per mare a questa foce, Dì ragionar con la
donzella schiva, Per consigliarla in un suo caso atroce. Udito questo, Orlando
in su la riva, Senza punto indugiarsi, usci veloce; £, come umano e pien di
cortesia, Dove il vecchio il menò, prese la via. 21 Fu nella terra il Paladin
condutto Dentro un palazzo, ove al salir le scale Una donna trovò piena di
lutto, Per quanto il viso ne facea segnale, E i negri panni che coprian per
tutto E le loggie e le camere e le sale: La qual, dopo accoglienza grata e
onesta Fattoi seder, gli disse in voce mesta:22 Io voglio che sappiate che
figliuola Fui del conte di Olanda, a lui si grata (Quantunque prole io non gli
fossi sola; Ch'era da dui fratelli accompagnata). Oh a quanto io gli chiedea,
da lui parola Contraria non mi fu mai replicata. Standomi lieta in questo
stato, avvenne Che nella nostra terra un duca venne. Stanza 8. 3 Duca era di
Selandia, e se ne giva Verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori. La bellezza e
l'età ch'in lui fioriva, E' li non più da me sentiti amori, Con poca guerra me
gli fer capti va; Tanto p!ù che, per quel eh' apparea fuori, Io credea e credo,
e creder credo il vero, Ch'amasse ed ami me con cor incero. 24 Quei giorni che
con noi contrario vento, Contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(Olitagli altri far quaranta, a me un momento; Cosi al fuggire ebbon veloci
penne), Fummo più volte insieme a parlamento, Dove, cbe'l matrimonio con
solenne Rito al ritorno suo sari.i tra nui Mi promise egli, ed io I promisi a
lui. ifl> ip ff tif ;iHìiii!ii||;:i"h;'" Stanza 21. 26 Io eh' air
amante mio di quella fede Mancar non posso, che gli aveva data; E anco chMo
possa, Amor non mi concede Che poter voglia, e eh' io sia tanto ingrata. Per
minar la pratica ch'in piede Era gagliarda, e presso al fin guidata, Dico a mio
padre, che prima eh' iia Priàa Mi dia niarito, io voglio essere uccisa. 27 II
mio buon padre, al qnal sol piacea quanti A me piacea, né mai turbar mi volse,
Per consolarmi e far cessare il pianto Ch' io ne facea, la pratica disciolsc:Di
che il superbo re di Frisa tanto Isdegno prese, e a tanto odio si volse,
Ch'entrò in Olanda e cominciò la guerra Che tutto il sangue mio cacciò
sotterra. Stanza 23. 26 Bireno appena era da roi partito (Che, cosi ha nome il
mio fedele amante), Che'l re di Frisa (la qual, quanto il lito Del mar divide
il fiume, è a noi distante) Disegnando i figliuol farmi marito, Ch' unico al
mondo avea, nomato Arbante, Per li più degni del suo stato manda A domandarmi
al mio padre in Olanda. B Oltre che sia robusto e si possente. Che pochi pari a
nostra età ritrova: E si astuto in mal far, eh' altrui niente La possanza,
l'ardir, l'ingegno giova; Porta alcun' arme che l'antica gente Non vide mai,
né, fuor eh' a lui, la nova:Un ferro bugio, lungo da due braccia, Dentro a cui
polve ci una palla caccia. Stanza 41 29 Col fuoco dietro ove la canna è chiusa,
Tocca un spiraglio che si vede appena; A gaisa che toccare il medico usa Dove è
bisogno d allacciar la Tena:Onde Yien con tal suon la palla esclusa, Che si può
dir che tuona e che balena; Né men che soglia il fulmine ove passa, Ciò che
tocca, arde, abbatte, apre e fracassa. 30 Pose due volte il nostro camjo iu
rotta:Con questo inganno, e i miei fratelli uccise: Nel primo assalto il primo,
che la botta, Rotto r usbergo, in mezzo il cor gli mise Neir altra zu£Eei alP
altro, il quale in frotta Fuggìa, dal corpo T anima divise; E lo feri lontan
dietro la spalla, £ fuor del petto uscir fec" la palla. 31 Difendendosi
poi mio padre nu giorno Dentro un castel che sol gli era rimaso, Che tutto il
resto avea perduto intorno, Lo fé' con simil colpo ire all'occaso; Che mentre
andava e che facea ri tomo, Provvedendo or a questo or a quel caso, ' Dal
traditor fu in mezzo gli occhi còlto, Che l'avea di lontan di mira tolto. 32
Morti i fratelli e il padre, e rimasa io Dell'isola d'Olanda unica erede, Il re
di Frisa, perchè avea disio Di ben fermare in quello stato il piede, Mi fa
sapere, e così al popol mio, Che pace e che riposo mi concede, Quand'io voglia
or, quel che non volsi innante, Tor per marito il suo figliuolo Arbante. 33 Io
per l'odio non si, che grave porto A lui e a tutta la sua iniqua schiatta, Il
qual m' ha dui fratelli e '1 padre morto, Saccheggiata la patria, arsa e
disfatta; Come perchè a colui non vo'far torto, A cui già la promessa aveva
fatta, Ch'altr'uomo non saria che mi sposasse. Finché di Spagna a me non
ritornasse. 34 Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento Patir, rispondo, e far di
tutto il resto; Esser morta, arsa viva, e che sia al vento La cener sparsa,
innanzi che far questo. Studia la gente mia di questo intento Tormi: chi
priega, e chi mi fa protesto Di dargli in mano me e la terra, prima Che la mia
ostinazion tutti ci opprima. 35 Così, poiché i protesti e i prleghi invano
Vider gittarsi, e che pur stava dura, Presero accordo col Frisone, e in mano
(Come avean detto) gli diér me e le mura. Quel, senza farmi alcuno atto
villano, Della vita e del regno m'assicura, Purch'io indolcisca l'indurate
voglie, E che d'Arbante suo mi faccÌA moglie. 36 Io che sforsar così mi veggio,
voglio, Per uscirgli di man, perder la vita; Ma se pria non. mi vendico, mi
doglio Più che di quanta ingiuria abbia patita. Fo pensier molti; e veggio al
mio cordoglio Che solo il simular può dare aita: Fingo ch'io brami, non che non
mi piaccia, Che mi perdoni e sua nuora mi faccia. 37 Fra molti ch'ai servizio
erano stati Già di mio padre, io scelgo dui fratelli Di grande ingegno e di
gran cor dotati, Ma più di vera fede, come quelli Che cresciutici in corte, ed
allevati Si son con noi da teneri zitelli; K tanto miei, che poco lor pania La
vita por per la salute mia. 38 Comunico con loro il mio disegno; Essi prometton
d'essermi in aiuto. L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legna: L'altro
meco in Olanda ho ritenuto. Or mentre i forestieri e quei del regno S'invitano
alle nozze, fu saputo Che Bireno in Biscaglia avea un'armata, Per venire in
Olanda, apparecchiata: 89 Perocché, fatta la prima battaglia, Dove fu rotto un
mio fratello e ucciso, Spacciar tosto un corrier feci in Biicaglia, Che portasse
a Bireno il tristo avviso; Il qual mentre che s'arma e si travaglia, Dal re di
Frisa il resto fu conquiso. Bireno, che di ciò nulla sapea, Per darci aiuto i
legni sciolti avea. 40 Di questo avuto avviso il re frisone, Delle nozze al
figliuol la cura lassa; E con l'armata sua nel mar si pone:Trova il duca, lo
rompe, arde e fracassa; E, come vuol fortuna, il fa prigione. Ma di ciò ancor
la nuova a noi non passa. Mi sposa intanto il giovene, e si vuole Meco corcar,
come si corchi il sole. 41 Io dietro le cortine avea nascoso Quel mio fedele,
il qual nulla si mosse Prima che a me venir vide lo sposo; E non l'attese che
corcato fossa., Ch'ahsò un'accetta, e con si valoroso Braccio dietro nel capo
lo percosse, Che gli levò la vita e la parola: Io saltai presta, e gli segai la
gola. 42 Come cadere il bue suole al macello" Cade il malnato giovene, in
dispetto Del re Cimosco, il più d'ogni altro fello; (Che l'empio re di Frisa è
cosi detto). Che morto l'uno e l'altro mio fratello M'avea col padre; e per
meglio suggetto Farsi il mio stato, mi volea per nuora: E forse un giorno
uccisa avria me ancora. 43 Prima ch'altro disturbo vi si metta, Tolto quel che
più vale e meno pesa, Il mio compagno al mar mi cala in fretta Dalla finestra,
a un canape sospesa, Là dove attento il suo fratello aspetta Sopra la barca
ch'avea in Fiandra presa. Demmo le vele ai venti e i remi alP acque; E tutti ci
salviam, come a Dìo piacque. 44 Non so sei re di Frisa più dolente Del figliuol
morto, o se più d'ira acceso Fosse contra di me, che 1 di seguente Giunse là
dove si trovò si offeso. Superbo ritornava egli e sua gente Della vittoria e di
Bireno preso; E credendo venire a nozze e a festa, Ogni cosa trovò scura e
funesta. 4.5 La pietà del figliuol. Podio ch'aveva A me, uè di uè notte il lascia
mai. Ma perchè il pianger morti non rileva, E la vendetta sfoga Podio assai; La
parte del pensier, ch'esser doveva Della pietade in sospirare e in guai, Vuol
che con V odio a investigar s' unisca, Come egli m'abbia in mano e mi punisca.
46 Quei tutti che sapeva e gli era detto Che mi fossino amici, o di que'miei
Che m' aveano aiutata a far V effetto, Uccise, 0 lor beni arse, o li fé' rei.
Volse uccider Bireno in mio dispetto; Che d'altro si doler non mi potrei:Gli
parve poi, se vivo lo tenesse. Che per pigliarmi in man la rete avesse. 47 Ma
gli propone una crudele e dura Condizion: gli fa termine un anno. Al fin del
qual gli darà morte oscura, Se prima egli per forza o per inganno, Con amici e
parenti non procura, Con tutto ciò che ponno e ciò che sanno. Di dannigli in
prìgion: sì che la via Di lui salvare è sol la morte mia. stanza 43. 48 Ciò che
si possa far per sua salute, Fuorché perder me stessa, il tutto ho fatto. Sei
castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:E '1 poco 0 '1 molto prezzo eh' io n'
ho tratto, Parte, tentando per persone astute I guardiani corrompere, ho
distratto; E parte, per far muovere alli danni Di quell'empio or gllnglesi, or
gli Alamanni. 49 I mezzi, o che non abbiano potuto, 0 che non abbian fatto il
dover loro, M' haiino dato parole, e non aiuto; E sprezzano or che n'han cavato
l'oro: E presso al fine il termine è venuto, Dopo il qual uè la forza né '1
tesoro Potrà giunger più a tempo, si che morte E strazio schivi al mio caro
consorte.50 Mo padre e' miei fratelli mi son stati Morti per Ini; per lui
toltomi il regno; Per lui quei pochi beni che restati Meran, del viver mio soli
sostegno, Per trarlo di prigione ho dissipati:Né mi resta ora in che più fax
disegno, Se non d'andarmi io stessa in mano a porre Pi sì cmdeJ nimico e Ini disciorre.
52 Io dubito che, poi che m'avrà in gabbia, E fatto avrà di me tutti gli
strazi!, Né Bireno per questo a lasciare abbia, eh' esser per me sciolto mi
ringrazi!; Come periuro, e pien di tanta rabbia; Che di me sola uccider non si
sazii:E quel ch'avrà di me, né più né meno Faccia di poi del misero Bireno.
Stanza 60. 53 Or la cagion che conferir con voi Mi fa i miei casi, e ch'io li
dico a qaand Signori e cavalier vengono a noi, É solo acciò, parlandone con
tanti, M'insegni alcun d'assicurar che poi Ch' a quel crudel mi sia condotta
avanti, Non abbia a ritener Bireno ancora; Né voglia, morta me, ch'esso poi
mora. (.4 Pregato ho alcun guerrier, che meco sia Quand' io mi darò in mano al
re di Frisa; Ma mi prometta, e la sua fé' mi dia, Che questo cambio sarà fatto
in guisa, Ch'a un tempo io data, e liberato fii Bireno: si che quando io sarò
uccisa, Morrò contenta, poiché la mia morte Avrà dato la vita al mio consorte.
55 Né fino a questo dì trovo chi teglia Sopra la fede sui d'assicurarmi. Che
quando io sia condotta, e che mi voglii Aver quel re, senza Bireno darmi, Egli
non lascerà centra mia voglia Che presa io sia: si teme ognun quell'armi; Teme
quell'armi, a cui par che non possi Star piastra incontra, e sia quanto vuol
grossa. 56 Or, s'in voi la virtù non è difforme Dal fier sembiante e dall'
erculeo aspetto, E credete poter dar megli, e torme Anco da lui, quando non
vada retto: Siate contento d' esser meco a porrne Nelle man sue: ch'io non avrò
sospetto, Quando voi siate meco, sebben io Poi ne morrò, che mora il signor
mio. 51 Se dunque da far altro non mi resta, Né si trova al suo scampo altro
riparo, Che per lui por questa mia vita; questa Mia vita per lui por mi sarà
caro. Ma sola una paura mi molesta. Che non saprò far patto cosi chiaro, Che
m'assicuri che non sia il tiranno, Poi ch'avuta m'avrà, per fare inganno. 57
Qui la donzella il suo parlar conchiuse, Che con pianto e sospir spesso
interroppe. Orlando, poi eh' ella la bocca chiuse, Le cui voglie al ben far mai
non fur zoppe, In parole con lei non si difluse; Che di natura non usava
troppe: Ma le promise, e la sua fé' le diede, Che faria più di quel eh' ella
gli chiede. 58 Non è sua intenzion ch'ella in man vada Del suo nimico per
salyar Bireno: Ben salverà amendni, se la sua spada £ rosato valor non gli vien
meno. U medesimo di piglian la strada, Poi eli' hanno il vento prospero e
sereno. Il Paladin s'affretta; che di gire All'isola del mostro avea desire. 59
Or volta all'una, or volta all'altra banda Per gli alti stagni il buon nocchier
la vela:Scnopre un'isola e un'altra di Zilanda; Scnopre una innanzi, e un'altra
addietro cela. Orlando smonta il terzo di in Olanda; Ma non smonta colei che si
querela Del re di Frisa: Orlando vuol che intenda La morte di quel rio, prima
che scenda. 60 Nel lito armato il Paladino varca Sopra un corsier di pel tra
bigio e nero, Nutrito in Fiandra e nato in Danismafca, Grande e possente assai
più che leggiero; Però eh' avea, quando si messe in barca. Tu Bretagna lasciato
il suo destriero, Quel Brìgliador si bello e si gagliardo, Che non ha paragon,
fuorché Baiardo. 61 Giunge Orlando a Dordreeche, e quivi truova Di molta gente
armata in su la porta; Si perchè sempre, ma più quando è nuova. Seco ogni
signoria sospetto porta; Si perchè dianzi giunta era una nuova. Che. di Selandia,
con armata scorta Di navilii e di gente, un cugin viene Di quel signor che qui
prigion si tiene. Stanza 6t. 62 Orlando prega uuo di lor, che vada E dira al
re, eh' un cavaliero errante Disia con lui provarsi a lancia e a spada: Ma che
vuol che tra lor sia patto innante. Che se'l re fa che, chi lo jtfida, cada, La
donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante; Chè'l cavalier l'ha in loco non lontano
Da poter sempre mai darglila in mano: 63 Ed all' incontro vuol che '1 re
prometta, Ch' ove egli vinto nella pugna sia, Bireno in libertà subito metta, E
che lo lasci andare alla sua via. Il fante al re fa l'imbasciata in fìretta:Ma
quel, che né virtù né cortesia Conobbe mai, drizzò tutto il suo intento Alla
fraude, all'inganno, al tradimento. 64 Gli par ch'avendo in mano il cavaliero,
Avrà la donna ancor, che si l'ha offeso, S' in possanza di lui la donna è vero
Che si ritrovi, e il fante ha ben inteso. Trenta uomini pigliar fece sentiero
Diverso dalla porta ov' era atteso, Che dopo occulto ed assai lango giro, Dietro
alle spalle al Paladino uscirò. 65 II traditore intanto dar parole Fatto gli
avea, sinché i cavalli e i fanti Vede esser giunti al loco ove gli vuole: Dalla
porta esce poi con altrettanti. Come le fere e il bosco cinger suole Perito
cacciator da tutti i canti; Come presso a Volana i pesci e l'onda Con lunga
rete il pescator circonda: €6 Cosi per ogDÌ via dal re di Frisa, Che quel
guerrier non fugga, si provvede. Vivo lo vuole, e non in altra guisa:E questo
far si fucilmeute crede, Che '1 fulmine terrestre, con che uccisa Ha tanta e
tanta gente, ora non chiede; Che quivi non gli par che si convegna. Dove
pigliar, non far morir disegna. 67 Qual cauto uccellator che serba vivi,
Intento a maggior preda, i primi augelli, Acciò in più quautitade altri captivi
Faccia col giuoco e col zimbel di quelli; Tal esser volse il re Cimosco
quivi:Ma già non volse Orlando esser di quelli Che si lascian pigliare al primo
tratto; E tosto ruppe il cerchio ch'avean fatto Stanza 68. 68 II cavalier
d'Anglante, ove più spésse Vide le genti e Tarme, abbassò Tasta; Ed uno in
quella e poscia un altro messe, E un altro e un altro, che sembrar di pasta: E
fin a sei ve n'infilzò; e li resse Tutti una lancia: e perch'ella non basta A
più capir, lasciò il settimo fuore Ferito si, che di quel colpo muore. 69 Non
altrimente nelT estrema arena Veggiam le rane di canali e fosse Dal cauto
arcier nei fianchi e nella schiena, L'una vicina alT altra, esser percosse; Né
dalla freccia, finché tutta piena Non sia da un capo alT altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia, K con la spada entrò nella battaglia. 70
Rotta la lancia, quella spada strinse. Quella che mai non fu menata in fallo; E
ad ogni colpo, o taglio o punta, estiose Quand'uomo a piedi, e quand'nomo a
cavallo: Dove toccò, sempre in vermiglio tinse L'azzurro, il verde, il bianco,
il nero, il giallo. Duolsi Cimosco, che la canna e il foco Seco or non ha,
quando v'avrian più loco 71 E con gran voce e con minacce chiede Che portati
gli sian: ma poco é udito; Che chi ha ritratto a salvamento il piede Nella
città, non è d'uscir più ardito. H re frison, che fuggir gli altri vede,
D'esser salvo egli ancor piglia partito:Corre alla porta, e vuole alzare il
pont"; Ma troppo è presto ad arrivare il conte:72 n re volta le spalle, e
signor lassa Del ponte Orlando, e d'amendue le porte; E fugge, e innanzi a
tutti gli altri passa, Mercè che U suo destrier corre più forte. Non mira
Orlando a quella plebe bassa; Vuole il fellon, non gli altri, porre a morte: Ma
il suo destrier si al corso poco Yale, Che restio sembra, e chi fugge, abbia V
ale. 75 Dietro lampeggia a guisa di baleno; Dinanzi scoppia, e manda in aria il
tuono. Treman le mura, e sotto i pie il terreno; Il ciel rimbomba al payentoso
suono. L'ardente strai, che spezza e venir meno Fa ciò ch'incontra, e dà a
nessun perdono, Sibila e stride; ma, come è il desire Di quel brutto assassin,
non va a ferire.Stanza 70. 73 D'una in un' altra via si leva ratto Di vista al
Paladin; ma indugia poco, Che toma con nuove armi; che s'ha fatto Portare in
tanto il cavo ferro e il foco; E dietro un canto postosi, di piatto L'attende;
come il cacciatore al loco, Coi cani armati e con lo spiedo, attende Il fier
cinghiai che pruinoso scende, 74 Che spezza i rami, e fa cadere i sassi; E
ovunque drizzi l'orgogliosa fironte, Sembra a tanto rumor che si fracassi La
selva intomo, e che si svella il monV. Sta Cimosco alla posta, acciò non jassi
Senza pagargli il fio l'audace conte. Tosto eh' appare, allo spiraglio tocca
Col fuoco il ferro; e quel subito scocca. 76 0 sia la fretta, o sia la troppa
voglia D'uccider quel Baron, ch'errar lo faccia; 0 sia che il cor, tremando
come foglia, Faccia insieme tremar e mani e braccia; 0 la bontà divina, che non
voglia Che '1 suo fedel campion si tosto giaccia; Quel colpo al ventre del
destrier si torse: Lo cacciò in terra, onde mai più non sorse. 77 Cade a terra
il cavallo e il cavaliero:La preme l'un, la tocca l'altro appena, Che si leva
sì destro e sì leggiero, Come cresciuto gli sia possa e lena. Quale il libico
Anteo sempre più fiero Surger solea dalla percossa arena; Tal surger parve, e
che la forza, quando Toccò il terren, si raddoppiasse a Orlando. Stanza 74. 78
Chi vide mai dal ciel cadere il foco Che con sì orrendo suon Giove disserra, E
penetrare ove un rinchiuso loco Carbon con solfo e con salnitro serra; Ch'
appena arriva, appena tocca un poco, Che par ch'avvampi il ciel, non che la
terra; Spezza le mura, e i gravi marmi svelle, E fa i sassi volar sin alle
stelle :79 S'immagini che tal, poi che cadenda, Toccò la terra, il Paladino
fosse; Con si fiero sembiante aspro ed orrendo, Da far tremar nel ciel Marte,
si mosse. Di che smarrito il re frison, torcendo La briglia indietro, per
fuggir voltosse:3Ia gli fu dietro Orlando con più fretta, Che non esce
dall'arco una saetta: Stanza 79. 80 £ quel che non ayea potuto prima Fare a
cavallo, or farà essendo a piede. Lo seguita si ratto, ch'ogni stima Di chi noi
vide, ogni credenza eccede. Lo giunse in poca strada: ed alla cima Dell'elmo
alza la spada, e si lo fiede, Che gli parte la testa fino al collo, E in terra
il manda a dar l'ultimo crollo. 81 Ecco levar nella città si sente Nuovo rumor,
nuovo menar di spade; Che '1 cugin di Bireno con la gente Ch'avea condutta
dalle sue contrade, Poiché la porta ritrovò patente, Era venuto dentro alla
cittade Dal Paladino in tal timor ridutta, Che senza intoppo la può scorrer
tutti. 82 Fugge il popolo in rotta; che non scorge Chi questa gente sia, uè che
domandi:Ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge Air abito e al parlar che son
Selandi, Chiede lor pace, e il foglio bianco porge; E dice al capitan che gli
comandi, E dar gli vuol contra i Frisoni aiuto, Che'l suo duca in prigion gli
han ritenuto. 83 Quel popol sempre stato era nimico Del re di Frisa e d'ogni
suo seguace. Perchè morto gli avea il signore antico. Ma più perch'era
ingiusto, empio e rapace. Orlando s'interpose come amico D'ambe le parti, e
fece lor far pace; Le quali unite, non lasciar Frisone Che non morisse o non
fosse prigione. 84 Le porte delle carceri gittate A terra sono, e non si cerca
chiave. Bireno al Conte con parole grate Giostra conoscer l'obbligo che gli
ave. Indi insieme e con molte altre brigate Se ne vanno ove attende Olimpia in
nave: Cosi la donna, a cui di ragion spetta Il dominio dell'isola, era detta;
85 Quella che quivi Orlando avea condutto Non con pensier che far dovesse
tanto; Che le parca bastar che, posta in lutto Sol lei, lo sposo avesse a trar
di pianto. Lei riverisce e onora il popol tutto. Lungo sarebbe a racontarvi
quanto Lei Bireno accarezzi, ed ella lui; Quai grazie al conte rendano ambidui.
86 II popol la donzella nel paterno Seggio rimette, e fedeltà le giura. Ella a
Bireno, a cui con nodo etemo La legò Amor d'una catena dura, Dello stato e di
sé dona il governo. Ed egli tratto poi da un'altra cura, Delle fortezze e di
tutto il domino Dell'isola guardi an lascia il cugino; 87 Che tornare in
Selandia avea disegno, E menar seco la fedel consorte: E dicea voler fare indi
nel regno Di Frisa espepenzia di sua sorte; Perchè di ciò l'assicurava un pegno
Ch' egli avea in mano, e lo stimava forte:La figliuola del re, che fra i
captivi, Che vi fur molti, avea trovata quivi. 88 E dice ch egli vuol ch aa suo
germano, Ch'era minor d'età, l'abbia per moglie. Quindi si parte il senator
romano Il di medesmo che Bireno scioglie. Non volse porre ad altra cosa mano,
Fra tante e tante guadagnate spoglie, Se non a quel tormento ch'abbiam detto
Ch'ai fulmine assimiglia in ogni effetto. 89 L'intenzion non già, perchè lo
tolle, Fu per voglia d'usarlo in sua difesa; Che sempre atto stimò d'animo
molle Gir con vantaggio in qualsivoglia impresa: Ma per gittarlo in parte, onde
non volle Che mai potesse ad uom più fare offesa: E la polve e le palle e tutto
il resto Seco portò ch'apparteneva a questo. 90 E cosi, poi che fuor della
marea Nel più profondo mar si vide uscito Si, che seguo lontan non si vedea Del
destro più né del sinistro lito, Lo tolse, e disse: Acciò più non istea Mai
cavalier per te d'essere ardito, Né quanto il buono vai, mai più si vanti Il
rio per te valer, qui giù rimanti. 91 0 maledetto, o abbomìnoso ordigno. Che
fabbricato nel tartareo fondo Fosti per man di Belzebù maligno. Che ruinar per
te disegnò il mondo. All' Inferno, onde uscisti, ti rassigno. Cosi dicendo, lo
gittò in profondo. Il vento intanto' le gonfiate vele Spinge alla via
dell'isola crudele. 93 Né scala in Inghilterra né in Irlanda Mai lasciò far. né
sul contrario lito. Ma lasciamolo andar dove lo manda Il nudo Arder che l'ha
nel cor ferito. Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda Tornare, e voi meco
a tornarvi invito:Che, come a me, so spiacerebbe a voi, Che quelle nozze fosson
senza noi. stanza 8U. 92 Tanto desire il Paladino preme Di saper se la donna
ivi si trova, Ch'ama assai più che tutto il mondo insieme, Né un'ora senza lei
viver gli giova; Che s' in Ibernia mette il piede, teme Di non dar tempo a
qualche cosa nuova, Si eh' abbia poi da dir invano: Ahi lasso ! Ch'ai venir mio
non affrettai più il passo. 94 Le nozze belle e sontuose f.muo; Ma non sì
sontuose né sì bello, Come in Selaildia dicon che faranno. Pur non disegno che
vegnate a quelle; Perché nuovi accidenti a nascere hanno Per disturbarle;
de'quai le novelle All' altro Canto vi farò sentire, S'ali' altro Canto mi
verrete a udire. NOTE. St. 4. V.5. Veggi, vegU. St. 5. V.8. Tripoli, città
della Berberla. St. 6. y. 45. Francia. Qal non sta per tutto qael paese che
intendiamo ora, ma per quel territorio dove è Parigi, ed ò bagnato dai fiumi
Senna, Marna, Oise e Yonne: perchè ivi si posero da principio i Franchi.
Uveinia, dal francese Auvergne. Da noi dicesi Alvernia; ed ò una deUe Provincie
centrali della Francia. St. 7. V.5. Insembre, lo stesso che insieme. St. 8. y.
34. Questo è un finmicello che scorre vi cino a PontOrsoo, e si scarica presso
Beauvais nel golfo che si dirà fra poco. St. 11. y. 5. Ibernia, è il nome che
davano i La tini all'Irlanda. St. 15. y. d8. ~ S. Malày città marittima di
Francia nella Bretagna. In un golfo tra questa provincia e la Normandia, mette
foce il fiumicello di cui sopra, e sorge il moTtte S, Michele. St. 16. y. 16.
Breaco, che i Latini dissero Bria ctinif e i Francesi chiamano S. Brieux, è
città di Nor, presso il fondo di un golfo che ha a levante il capo Frehel e a
ponente V isoletta di Brehat. Zandri glier è il Trecos'vm degli antichi,
corrispondente a Lan Irìguier, ma ora segnato sulle mappe Tréguier. Albiofie
denominarono i Latini la Gran Bretagna, probabilmente dal colore biancastro
delle sue rupi marittime. Il vento accennato nel sesto verso dicesi in
marineria ponente maestra St. 17. y. 8. La Schelda o VJEs'aut, come i Fran cesi
lo chiamano, è il fiume che bagna Anversa, forman dovi un vasto porto. St. 23.
y. 12. Selandia o Zelandia (Seeland), è una delle Provincie settentrionali
olandesi, e componesi delle isole Beveland, Walcheren, Tholen. Schouwen, con al
cune altre formate da vai rami della Schelda e della Uosa, e dal mare del Nord.
La BiseagUa è ptovlaam della Spagna settentrionale. Nella Biacaelias e nei
monti delle Asturie, si tennero sempre forti € ise spugnabili gli Spagnuoli
contro gli Arabi e f Morì, fis che palmo a palmo riconquistarono tutto il
paese. St. 25. y. 8. Frisa o Frisia, paese anticamente abitato dai FriaJ,
Germani d'origine, e conquistati da Druso. Una parte di esso costituisce in
oggi la Frisia propriamente detta, altra delle Provincie settentrionali
olandesi. St. 28. v.7. Ferro lugio, Tarchibugio. Il poeta lo suppone inventato
da questo re frisone, molti secoli prima che non fosse. St. 34. y. 2. Far di
tutto il resto; vale esponi alle ultime calamità. St. 36. y. 78. Intendi: non
dimostro che non xnt piaccia, ed ami fingo bramare che mi perdoni, ecc. St. 37.
v.6. Citelli, giovinetti. St. 42. y. 2. Malnato, nato cioè per sua svmtara. St.
52. y. 5. Periuro, spergiuro, St. 6(". v.6. Accenna la minore Bretagna,
provin cia settentrionale della Francia. St. 61. y. 1. Dordrecch, ossia
Dordrecht, città del l'Olanda merìdionale, in un'isola della Ma<"a. St.
65. y. 7. Volana, cioè Volano, ramo del Po. St 77. y. 5. Anteo, gigante
mitologico, era figlio della Terra, sulla quale se fosse caduto, ne rìsorgevs
p'à robusto. St. 85. y. 7. ~ Tormentum chiamavano i Latini k macchine di guerra
da scagliare pietre, giavellotti ed al triproiettili:talvoce italianizzata si
applica qal al Tarchibugio . St. 90. y. 5. Stea per te, abbia cagione da te.
St. 93. y. 12. Fare scala, espressione marinaresca. sbarcare. s Bireno,
ioTaghitosi di altra donna, abbandona Olimpia. Ruggiero riceve l'Jppogrifo da
Logistilla che lo ammae stra a gaidarlo. e su qaello discende in Inghilterra,
dove osserva la rassegna delle truppe destinate in aiuto di Carlo. Nel passare
in Irlanda, scorge neirisola di Ebuda Angelica legata ad ano scoglio per essere
divorata dall'orca: abbatte il mostro, toglie la giovane in groppa, e discende
con lei sul lido della minore Bretagna. 1 Fra quanti amor, fra quante fedi al
mondo Mai sì trovar, fra quanti cor constanti, Fra quante, o per dolente o per
giocondo Stato, fér prove mai famosi amanti; Piuttosto il primo loco, chMl
secondo Darò ad Olimpia: e se pur non va innanti, Ben voglio dir che fra gli
antiqui e novi Maggior dell'amor suo non si ritrovi; 2 E che con tante e con si
chiare note questo ha fatto il suo Bireno certo. Che donna più far certo uomo
non puote, Quando anco il petto e'I cor mostrasse aperto: E s anime si fide e
si devote D'un reciproco amor deuno aver merto, Dico ch'Olimpia è degna che non
meno, Anzi più che sé ancor, Pami Bireno; 3 E che non pur non T abbandoni mai
Per altra donna, se ben fose quella Ch' Europa ed Asia messe in tanti guai, s'
altra ha maggior titMo di bella: Ma, piuttosto che lei, la"ci coi rai Del
Sol l'udita e il gusto e la favella E la vita e la fama, e s' altra cosi Dire 0
pensar si può più preziosa. 4 Se Bireno amò lei, come ella amato Bireno avea;
se fu si a lei fedele Come ella a lui; se mai non ha voltato Ad altra via, che
a seguir lei, le vele:Oppur s' a tanta servitù fu ingrato, A tanta fede e a
tanto amor crudele. Io vi vo'dire, e far di maraviglia Stringer le labbra, ed
inarcar le ciglia. 5 E poi che nota T impietà vi fia, Che di tanta bontà fu a lei
mercede, Donne, alcuna di voi mai più non sia, Ch' a parole d'amante abbia a
dar fede. L'amante, per aver quel che desia. Senza guardar che Dio tutto ode e
vede, Avviluppa promesse e giuramenti, Che tutti spargon poi per l'aria i
venti. 6 I giuramenti e le promesse vanno Dai venti in aria dissipate e sparse,
Tosto che tratta questi amanti s' hanno L'avida sete che gli accese ed arse.
Siate a'prieghi ed a' pianti che vi fanno, questo esempio, a credere più
scarse. Bene è felice quel, donne mie care. Ch'esser accorto all'altrui spese
impare. GnardateTÌ da questi òhe sai fiore De'lor begli anni il yiso han sì
polito: Che presto nasce in loro e presto muore, Quasi un foco di paglia, ogni
appetito. Come segue la lepre il cacciatore Al freddo, al caldo, alla montagna,
al lìto. Né più r estima poi che presa vede; E sol dietro a chi fogge, affretta
il piede:8 Cosi fan questi gioveni, che, tanto ChYi mostrate lor dure e
proterve, V'amano e riveriscono con quanto de' far chi fedelmente serve:Ma non
si tosto si potran dar vanto Della vittoria, che di donne, serve Vi dorrete
esser fette; e da voi tolto Vedrete il falso amore, e altrove volto. 9 Non vi
vieto per questo (ch'avrei torto) Che vi lasciate amar; che senza amante
Sareste come inculta vite in orto, Che non ha palo ove s'apponi o piante. Sol
la prima lanugine vi esorto Tutta a foggir, volubile e incostante; E córre i
frutti non acerbi e duri. Ma che non sien però troppo maturi. 10 Di sopra io vi
dicea eh' una figliuola Del re di Frisa quivi hanno trovata. Che fia, per
quanto n'han mosso parola. Da Bireno al fratel per moglie data. Ma, a dire il
vero, esso v'avea la gola; Che vivanda era troppo delicata: E riputato avria
cortesia sciocca. Per darla altrui, levarsela di bocca. stanza Itt. 11 La
damigella non passava ancora Quattordici anni, ed era bella e fresca, Come rosa
che spunti allora allora Fuor della buccia, e col Sol nuovo cresca. Non pur di
lei Bireno s'innamora. Ma fuoco mai cosi non accese esca. Né se lo pongan
l'invide e nimiche Mani talor nelle mature spiche; 12 Come egli se n' acoese
immantinente, Come egli n'arse fin nelle medoUe, Che sopra il padre morto lei
dolente Vide di pianto il bel viso far moUe. E come suol, se l'acqua fredda
sente, Quella restar che prima al fhoco bolle; Cosi l'arder ch'accese Olimpia,
vinto Dal nuovo successore, in lui fu estinto. 18 Non pur sazio di lei, ma
fastidito N'é già cosi, che può vederla appena; E si dell'altra acceso ha
l'appetito. Che ne morrà se troppo in lungo il mena; Pur, finché giunga il dì
e' ha statuito A dar fine al disio, tanto raffrena. Che par eh' adori Olimpia,
non che l'ami; E quel che piace a lei, sol voglia e brami. 14 E se accarezza
l'altra (che non puote Far che non l'accarezzi più del dritto), Non è chi
questo in mala parte note; Anzi a pietade, anzi a bontà gli é ascritto; Che
rilevare un che Fortuna ruote Talora al fondo, e consolar l'afflitto, Mai non
fu biasmo, ma gloria sovente; Tanto più una fanciulla, una innocente. Stanza
34. 15 0 sonuno Dio, come i giudìcj umani Spesso offuscati son da un nembo
oscuro ! I modi di Bireno, empj e profani, Pietosi e santi riputati furo. I
marinari, già messo le mani Ai remi, e sciolti dal lìto sicuro, Portayan lieti
pei salati stagni Verso Selandia il duca e i suoi compagni. 16 Già dietro
rimasi erano e perduti Tutti di vista i termini d'Olanda; Che, per non toccar
Frisa, più tenuti S'eran vèr Scozia alla sinistra banda: Quando da un vento fur
sopravvenuti, Ch'errando in alto mar tre di li manda. Sursero il terzo, già
presso alla sera, Dove inculta e deserta un'isola era. 17 Tratti che si far
dentro un picciol seno, Olimpia venne in terra; e con diletto In compagnia
deli'infedel Bireno Cenò contenta, e faor dogni sospetto: Indi con lui, là dove
in loco ameno Teso era un padiglione, entrò nel letto. Tutti gli altri compagni
ritornaro, E sopra i legni lor si riposaro. 18 II travaglio del mare e la
paura, Che tenuta alcun di V aveano desta; Il ritrovarsi al lito ora sicura,
Lontana da rumor nella foresta, E che nessun pensier, nessuna cura, Poiché 1
suo Amante ha seco, la molesta; Fa cagion eh' ebhe Olimpia si gran sonno, Che
gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno. 19 n falso amante, che i pensati
inganni Veggiar facean, come dormir lei sente, Pian piano e9ce del letto; e de'
suoi panni Fatto un faste!, non sì veste altrimente; E lascia il padiglione; e,
come i vanni Nati gli sian, rivola alla sua gente, E li risveglia; e senza
udirsi un grido, ¦ Fa entrar nell' alto, e abbandonare il lido. 23 Quivi surgea
nel lito estremo un sasso, Ch' aveano l'onde, col picchiar frequente, Cavo e
ridutto a guisa d'arco al basso, E stava sopra il mar curvo e pendente. Olimpia
in cima vi sali a gran passo (Cosi la facea l'animo possente); E di lontano le
gonfiate vele Vide fuggir del suo signor crudele: 24 Vide lontano, o le parve
vedere; Che l'aria chiara ancor non era molto. Tutta tremante si lasciò cadere,
Più bianca e più che neve fredda in volto. Ma poi che di levarsi ebbe potere,
Al cammin delle navi il grido volto, Chiamò, quanto potea chiamar più forte,
Più volte il nome del crudel consorte: 25 E dove non potea la debil voce,
Suppliva il pianto e 'l batter palma a pahoA. Dove foggi, crudel, cosi veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma. Fa che levi me ancor: poco gli nuoce Che
porti il corpo, poidiè porta l'alma. E con le braccia e con le vesti segno Fa
tuttavia, perchè ritomi il legno. 20 Rimase addietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormi senza destarse, Finché l'Aurora la gelata brina Dalle dorate
ruote in terra sparse, E s'udir le alcione alla marina Dell'antico infortunio
lamentarse. Né desta né dormendo, ella la mano Per Bireno abbracciar tese, ma
invano.21 Nessuno trova: a sé la man ritira: Di nuovo tenta, e pur nessuno
trova. Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira; Or l'una or l'altra gamba; e
nulla giova. Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira: Non vede alcuno.
Or già non scalda e cova Più le vedove piume; ma si getta Del letto e fuor del
padiglione in fretta: 22 E corre al mar, graffiandosi le gote, Presaga e certa
ormai di sua fortuna. Si straccia i crini, e il petto si percuote: E va
guardando (che splendea la luna) Se veder cosa, fuor che '1 lito, puote; Né,
fuor che'l lito, vede cosa alcuna. Bireno chiama; e al nome di Bireno
Rispondean gli antri, che pietà n' avieno. 26 Ma i venti che portavano le vele
Per r alto mar di quel giovene infido, Portavano anco i priegbi e le querele
Dell'infelice Olimpia, e '1 pianto e1 grido; La qual tre volte, a sé stessa
crudele, Per affogarsi si spiccò dal lido; Pur alfin si levò da mirar l'acque,
E ritornò dove la notte giacque; 27 E con la faccia in giù, stesa sul letto,
Bagnandolo di pianto, dicea lui:lersera desti insieme a dui ricetto:Perché
insieme al levar non siamo dui? Oh perfido Bireno ! o maladetto Giorno eh' al
mondo generata fui ! Che debbo far? che pbss'io far qui sola? Ohi mi dà aiuto?
ohimè! chi mi consola? 28 Uomo non veggio qui, non ci veggio opra Donde io
possa stimar ch'uomo qui sia:Nave non veggio, a cui salendo sopra, Speri allo
scampo mio ritrovar via. Di disagio morrò; né chi mi cuopra Gli occhi sarà, né
chi sepolcro dia. Se forse in ventre lor non me lo danno I lupi, ohimè ! eh' in
queste selve stanno. 29 Io sto in sospetto, e già di veler panni Dì questi
boschi orsi o leoDÌ uscire, O tigri 0 fiere tal, che natura armi D'aguzzi denti
e d'ugne da ferire. quai fere cmdel potriano farmi, Fera crudel, peggio di te
morire?Darmi una morte, so, lor parrà assai; E tu di mille, ohimè ! morir mi
fai. 30 Ma presuppongo ancor ch'or ora arrivi Nocchier che per pietà di qui mi
porti; £ cosi lupi, orsi, leoni schivi, Strazii, disagi, ed altre orribil
morti:Mi porterà forse in Olanda, s' ivi Per te si guardan le fortezze e i
porti? Mi porterà alla terra ove son nata, Se tu con fìraude già me Phai
levata? 31 Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto Di parentado e d'amicizia,
tolto. Ben fosti a porvi le tue genti presto, Per avere il dominio a te
rivolto. Tornerò in Fiandra, ove ho venduto il resto Di che io vivea, benché
non fosse molto, Per sovvenirti e di prigione trarte? Meschina! dove andrò? non
so in qual parte. 32 Debbo forse ire in Frisa, ov' io potei, E per te non vi
volsi, esser regina? U che del padre e dei fratelli miei, E d'ogni altro mio
ben fu la ruina. Quel e' ho fatto per te, non ti vorrei, Ingrato, improverar,
né disciplina Dartene; che non men di me lo sai: Or ecco il guiderdon che me ne
dai. 33 Deh, purché da color che vanno in corso Io non sia presa, e poi venduta
schiava! Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso Venga, e la tigre, e ogni
altra fera brava, Di cui l'ugna ini stracci, e franga il morso; E morta mi
strascini alla sua cava. Cosi dicendo, le mani si caccia Ne'capei d'oro, e a
chiocca a chiocca straccia. 34 Corre di nuovo in su l'estrema sabbia, E ruota
il capo, e sparge all'aria il crine, E sembra forsennata, e ch'addosso abbia
Non un demonio sol, ma le decine; 0, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
Vistosi morto Polidoro alfine. Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare; Né men
d'un vero sasso, un sasso pare. 35 3Ia lasciamla doler finch'io ritorno, Per
voler di Kuggier dirvi pur anco. Che nel più intenso ardor del mezzo giorno
Cavalca il lito, affaticato e stanco. Percuote il Sol nel colle, e fa ritomo;
Di sotto bolle il sabbion trito e bianco. Mancava all' arme eh' avea indosso,
poco Ad esser, come già, tutta di fuoco. 36 Mentre la sete, e dell' andar
fatica Per l'alta sabbia e la solinga via Gli facean, lungo quella spiaggia
aprica, Noiosa e dispiacevol compagnia; Trovò eh' all'ombra d'una torre antica.
Che fuor dell'onde appresso il lito uscia. Della corte d'Alcina eran tre donne.
Che le conobbe ai gesti ed alle gonne. 37 Corcate su tappeti alessandrini,
Qodeansi il fresco rezzo in gran diletto. Fra molti vasi di diversi vini E
d'ogni buona sorta di confetto. Presso alla spiaggia, coi flutti marini
Scherzando, le aspettava un lor legnetfo Finché la vela empiesse agevol óra;
Che un fiato pur non ne spirava allora. 38 Queste, eh' andar per la non ferma
sabbia Vider Buggier al suo viaggio dritto, Che sculta avea la sete in su le
labbia. Tutto pien di sudore il viso afflitto. Gli cominciare a dir che si non
abbia Il cor volonteroso al cammin fitto, Ch' alla fresca e dolce ombra non si
pieghi, E ristorar lo stanco corpo nieghi. 39 E di lor una s'accostò al cavallo
Per la staffa tener, che ne scendesse; L'altra con una coppa di cristallo. Dì
vin spumante, più sete gli messe:Ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo
Perchè d'ogni tardar che fatto avesse. Tempo di giunger dato avrìa ad Alcina,
Che venia dietro, ed era omai vicina. 40 Non cosi fin salnitro e zolfo puro,
Tocco dal fuoco, subito s'avvampa; Né così freme il mar, quando l'oscuro Turbo
discende, e in mezzo se gli accampa Come, vedendo che Ruggier sicuro Al suo
dritto cammin l'arena stampa, E che le sprezza (e pur si tenean belle), D'ira
arse e di furor la terza d'elle.Ta non sei né gentil né cayaliero, (Dice
gridando quanto può piìt forte) Tu' hai rubate V arme; e quel destriero Non
saria tuo per veruu'altra sorte; E così; come ben m'appongo al vero, Ti vedessi
punir di degna morte; Che' fossi fatto in quarti, arso o impiccato, Brutto ladron,
villa"; superbo, ingrato. 42 Oltr a queste e molt' altre ingiuriose .
Parole che gli usò la donna altièra, Ancorché ' mai ttuggier non le rispose,
Che di. si vii tenzon poco onor spera; Con le sorelle tosto eUa sipose "
Sul legno in mar, che al lor servigio v' età:Ed affrettando i remi, lo seguiva,
Vedendol tuttavia dietro allariva. 43 Minaccia sempre, maledice e incarca; Che
Tonte sa trovar per ogni. ponto. Intanto à quello: stretto, onde • si
"varta Alla fata più Bella, è Riiggier ghiÀtoi Dove un vecchio' ncKMihiero
una mia bare": Scioglier dall' altra ripa verte, appanta Come, avvisato e
già provvisto, i|irivì" Si stia aspettando che Riitiro arritL • . 44
Scioglie il nocchier, cume venir lo vcdt Di trasportarlo a miglior ripu lieto;
Che, se la faccia può del vot ilfir fede Tutto benigno e tutto era dì scroto.
Pose Ruggier sopra: il eìhìIìo il piede, Dio ringraziando; e per In mar quieto
Ragionando venia col lenito. Saggiò e di lunga esperìejiza ilutto, 45 Quel
lodava Ruggier, che sì s avesse ' Saputo a tempo tor da Alclna,.é innanlij Chel
calice incantato ella gli desse, • Ch'avea alfin dato a tutti gli altri amasti
| E poi, che a Logistilla si traesse. Dove veder pòtria costumi santi, Bellezza
etema, ed iiifinita .grazia, . ' Che '1 cor nutrisce . e pasce, e jnài non 46
Costei, dicea, stupore e riverenza ." T Induce UPàlma, ove si scuopre
prima;. Contempla meglio poi V alta presenza j • Ogni altro' ben ti par di poca
stima. Il suo amore ha dagli altri differenza 4 Speme 0 timor negli altri il
cor ti lima; . In questo il desiderio più non chiede,, E contento riman come la
veile. 47. Ella t'insegnerà stiidj più gmti, . Che suoni, danze, odori j bagni
e cibi; Ma com§ i pensier tuoi meglio fonnati Poggin piti ad alto, che . per V
aria i nibi E come della g;loria de' beati Nel mortai corpo parte si delibi.
Cosi parlando il marinar veniva, . Lontano ancoraalla sicura riva; 48 Quando
vide scoprire alla marìnia Molti. nàvilj, e! tutti alla sua volta. Con quei ne
vien T ingiuriata Alcina, E molta di sua gente bave raccolta, . Per por lo
sUtto e sé stessa .in ruinft, 0 riacquistar la cara cosa tolta. E bene è Amor
di ciò cagion non lieve, Ma r ingiuria non men che ne riceve. 49 Ella non ebbe
sdegno, da che nacque, Dì questo il maggior mai, eh' ora la rode:Onde fa i remi
si affrettar per l'acque, Che la spuma ne sparge ambe le prode. Al gran romor
né mar né ripa tacque; Ed Eco risonar per tutto s'ode. Scnopri, Ruggier, lo
scudo, che bisogna; Se non, sei morto, o preso con vergogna. 50 Cosi disse il
nocchier di Logistilla; Ed oltre il detto, egli medesmo prese La tasca, e dallo
scudo dipartilla, E fé' il lume di quel chiaro e palese. L'incantato splendor
che ne sfavilla, Gli occhi degli avversar) così offese, Che li fé' restar
ciechi allora allora, E cader chi da poppa e chi da prora. 51 Un eh' era alla
veletta in su la ròcca, Dell'armata d'Alcina si fu accorto; E la campana
martellando tocca, Onde il soccorso vien subito al portx). L'artiglieria, come
tempesta, fiocca Centra chi vuole al buon Ruggier far torto:Si che gli venne
d'ogni parte aita Tal, che salvò la libertà e la vita. 52 Giunte son quattro
donne in su la spiaggia. Che subito ha mandate Legisti Ila: La valorosa
Andronica, e la saggia Frenesia, e l'onestissima Dicilla, E Soirosina casta,
che, come aggia Quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla. L'esercito eh' al
mondo è senza pare, Del castello esce, e si distende al mare. 53 Sotto il
Castel nella tranquilla foce Di molti e grossi legni era una armata. Ad un
botto di squilla, ad una voce Giorno e notte abattagliaapparecchiata. E cosi fu
la pugna aspra ed atroce, E per acqua e per terra incominciata; Per cui fu il
regno sottosopra volto, Ch'avea già Alcina alla sorella tolto. 54 Oh di quante
battaglie il fin successe Diverso a quel che si credette innante ! Non sol eh'
Alcina allor non riavesse, Come stimossi, il fuggitivo amante; Ma delle navi
che pur dianzi spesse Fur sì, eh' appena il mar ne capia tante, Fuor della
fiamma che tutt' altre avvampa, Con un legnetto sol misera scampa. 55 Fuggesi
Alcina; e sua misera gente Arsa e presa riman, rotta e sommersa. D'aver Ruggier
perduto ella si sente Via più doler, che d' altra cosa avversa. Notte e dì per
lui geme amaramente, E lacrime per lui dagli occhi versa E per dar fine a tanto
aspro martire Spesso si duol di non poter morire. 56 Morir non puote alcuna
fata mai. Fin che '1 Sol gira, o il ciel non muta stilo. Se ciò non fosse, era
il dolore assai Per muover Cleto ad inasparle il filo; 0, qual DidoD, finia col
ferro i guai; 0 la regina splendida del Nilo Avria imitata con mortifer
sonno:Ma le fate morir sempre non penne. 57 Temiamo a quel di eterna gloria
degno Ruggiero; e Alcina stia nella sua pena. Dico di lui, che poi che fuor del
legno Si fu condutto in più sicura arena, Dio ringraziando che tutto il disegno
Gli era successo, al mar voltò la schiena: Ed affrettando per l'asciutto il
piede, Alla rócca ne va che quivi siede. 58 Né la più forte ancor, né la più
bella Mai vide occhio mortai prima né dopo. Son di più prezzo le mura di
quella, Che se diamante fossino e piropo. Di tai gemme quaggiù non si favella:
Ed a chi vuol notizia averne, é d'uopo Che vada quivi; che non credo altrove,
Se non forse su in ciel, se ne ritrove. 59 Quel che più fa che lor s'inchina e
cede Ogni altra gemma, é che, mirando in esse, L'uom sin in mezzo all'anima si
vede, Vede suoi vizj e sue virtudi espresse Sì, che a lusinghe poi di sé non
crede. Né a chi dar biasmo a torto gli volesse:Fassi, mirando allo specchio
lucente Sé stesse, conoscendosi, prudente. 60 II chiaro lume lor, ch'imita il
Sole, Manda splendore in tanta copia interne. Che chi l'ha, ovunque sia, sempre
che vuole, Febo, malgrado tuo, si può far giorno. Né mirabil vi son le pietre
sole; Ma la materia e l'artificio adorno Contendon sì, che mal giudicar puossi
Qual delle due eccellenze maggior fossi.Sopra gli altissimi archi, che pnntelii
Parean che del ciel fossino a vederli, Eran grdin si spaziosi e belli, Che
saria al piano ancofatica averli. Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli Si pnon
veder fra i laminosi merli; Ch'adorni son Testate e'I verno tatti Di vaghi
fiori e di matari fratti. stanza I 62 Dì. cosi nobili àrbori non suole
Prodarsi. fttor di questi bei giardini; Né di tai rose 0 di simili viole, Di
gigli, di amaranti e di gesmini. Altrove appar come a an. medesmo Sole £ nasca
e viva, e morto il cio inchini, E come lasci vedovo il suo stelo Il fior
saggetto al variar del cielo; 63 Ma qaivi era perpetua la verdara, Perpetua la
beltà de fiorì eterni. Non che benignità della Natura Si temperatamente li
governi; Ma Logistilla con suo stadio e cara, Senza bisogno de' moti sapemi
(Quel che agli altri impossibile parea), Soa primavera ognor ferma tenea. 64
Logistilla mostrò molto aver grato Ch' a lei venisse un si gentil signore; E
comandò che fosse accarezzato, E che studiasse ognun di fargli onore. Gran
pezzo innanzi Astolfo era arrivato. Che visto da Ruggier fu di buon core. Fra
pochi giorni venn gli altri tatti, Ch' air esser lor Melissa avea ridutti. 65
Poi che si fur posati un giorno e dui, Venne Ruggiero alla fata prudente Col
duca Astolfo, che, non men di lui, Avea desir di riveder Ponente. Melissa le
parlò per amendni; E supplica la fata umilemente. Chegli consigli, £Eivorìsca e
aiuti Si, che ritomin d'onde eran venuti. 66 Disse la fata: Io ci porrò il
pensiero, E fra dui di te li darò espediti. Discorre poi tra sé come Ruggiero,
E, dopo lui, come quel duca aiti: Conchiude infin, che'l volator destriero
Ritomi il primo agli aquitani liti; Ma prima vuol che se gli faccia un morso
Con che lo volga e gli raffreni il corso. 67 Gli mostra com' egli abbia a far,
se vuole Che poggi in alto; e come a far che cali; E come se vorrà che in giro
vole, 0 vada ratto, o che si stia su l'ali:E quali effetti il cavalier far
suole Di buon destriero in piana terra, tali Facea Ruggier, che mastro ne
divenne, Per l'aria, del destrier eh' avea le penne. 68 Poi che Ruggier fu
d'ogni cosa in punto, Dalla fata gentil commiato prese, Alla qual restò poi
sempre congiunto Dì grande amore: e usci di quel paese. Prima di lui che se n'
andò in buon ponto, E poi dirò come il guerriero inglese Tornasse con più tempo
e più fatica Al magno Carlo ed alla corte amica. 63 Quindi parti Ruggier, ma
non rivenne Per quella via che fé' già suo mal grado, AUor che sempre
l'Ippogrifo il tenne Sopra il mare, e terren vide di rado:Ma potendogli or far
batter le penne Di qua di là, dove più gli era a grado. Volse al ritomo
farnuovosentiero, Come, schivando Erode, i Magi fero. 70 AI yenìr quivi, era
lasciando Spafiaa, Venuto India a trovar per dritti riga, Là dove il mare
orientai la bagna. Dove una fata avea con P altra briga. t Or veder si dispose
altra campagna. Che quella dove i venti Eolo instiga, £ finir tatto il
cominciato tondo, Per avor come il Sol, girato il mondo. 71 Quinci il Cataio, e
quindi Mangiana, Sopra il gran Quinsai vide passando: Volò sopra l'Imavo, e
Sericana Lasciò a man destra; e sempre declinando Dagl'iperborei Sciti all'
onda Ircana, Giunse alle parti di Sarmazia: e quando Fu dove Asia da Europa si
divide, Russi e Prutenie la Pomeria vide. Stanza d7. 72 Benché di Ruggier fosse
Ogni desire Di ritornare a Bradamant presto; Por, gustato il piacer eh' avea di
gire Cercando il mondo, non restò per questo, Ch'alli Polacchi, agli Ungari
venire Non volesse anco, alli Germani, e al resto Di quella boreale orrida
terra; E venne alfin nell'ultima Inghilterra. 73 Non crediate, signor, che però
stia Per si lungo cammin sempre su l'ale:Ogni sera all'albergo se ne già,
Schivando a suo poter d'alloggiar male. E spese giorni e mesi in questa via; Si
di veder la terra e il mar gli cale. Or presso a Londra giunto una mattina,
Sopra Tamigiil volator declinaGELANDO PUBIOSO. 74 Dove ne' prati alla città
vicini Vide adunati uomini d'arme e fanti, Ch'a 8uon di trombe e a suòn di
tamburini Venian, partiti a belle schiere, avanti II buon Rinaldo, onor de'
paladini; Del qual, se vi ricorda, io dissi innanti, Che, mandato da Carlo, era
venuto In queste parti a ricercare aiuto. 75 Giunse appunto Buggier, che si
facea La bella mostra ftior di quella terra:E per sapere il tutto, ne chiedea
Un cavalier; ma scese prima in terra: E quel, ch'affikbil era, gli dicea Che di
Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra E dell'isole intorno eran le schiere Che
quivi alzate avean tante bandiere: 76 E finita la mostra che faceano, Alla
marina si distenderanno, Dove aspettati per solcar l'Oceano Sou dai navilj che
nel porto stanno. I Franceschi assediati si ricreano, Sperando in questi che a
salvar li vanno. Ma acciò tu te n' informi pienamente, 10 ti distinguerò tutta
la gente. 77 Tu vedi ben quella bandiera grande, Ch'insieme pon la fiordaligi e
i pardi: Quella il gran capitano all' aria spande, E quella han da seguir gli
altri stendardi. II suo nome, famoso in queste bande, É Leonetto, il fior delli
gagliardi, Di consiglio e d'ardire in guerra mastro, Del re nipote, e duca di
Lincastro. 78 La prima, appressoil gonfalon reale, Che'l vento tremolar fa
verso il monte, E tien nel campo verde tre bianche ale, Porta Ricardo, di
Varvecia conte. Del duca di Glocestra è quel segnale Ch'ha duo coma di cervio e
mezza fronte. Del duca di Chiarenza è quella face:Quell'arbore è del duca
d'Eborace. 79 Vedi in tre pezzi una spezzata lancia: Gli è '1 gonfelon del duca
di Nortfozia. La fnlgure è del buon conte di Cancia. 11 grifone è del conte di
Pembrozia Il duca di Snfolcia ha la bilancia. Vedi quel giogo che due serpi
assozia: É del conte d'Essenia; e la ghirlanda In campo azzurro ha quel di
Norbelanda. 80 II conte d'Arinddia è quel e' ha messo In mar quella barchetta
che s'affonda. Vedi il marchese di Barclei; e apprnso Di Mardiia il conte, e il
conte di Bitmonda: 11 primo porta in bianco un monte fesso, L'altro k palma, il
terzo un pin nell'onda. Quel di Dorsezia è conte, e quel d Antona, Che Puno ha
il canso, e l'altro la coronai 81 II falcon chesul nido i vanni infatua"
Porta Raimondo, il conte di Devonia. Il giallo e negro ha quel di Vigorùia; n
can quel d'Erbia: un orso quel d'Ondala La croce che là vedi cristallina, É del
ricco prelato di Battonia. Vedi nel bigio una spezzata sedia? É del duca Ariman
di Sormosedia. 82 Gli uomini d'arme e gli arcieri a oamSo Di quarantadue mila
numer fanno. Sono duo tanti, o di cento non fallo " Quelli eh' a pie nella
battaglia vanno. Mira quei segni, un bigio, un verde, nn gìlllo E di nero e
dazzur listato un panno: Goffredo, Enrico, Ermante ed Odoardo Guidan pedoni,
ognun col suo stendardo" 8B Duca di Bocchingamia è quel dinante:Enrico ha
la contea di Sarisberia. Signoreggia Bnrgenia il vecchio Ermante: Quello
Odoardo è conte di Croisberia. Questi alloggiati più verso levante, Sono gl'Inglesi.
Or volgiti all'Esperia, Dove si veggion trenta mila Scotti, Da Zerbin, figlio
del lor re, condotti. 84 Vedi tra duo unicormi il gran leone, Che la spada
d'argento ha nella zampa:Quel!' è del re di Scozia il gonfalone; Il suo
figliuol Zerbino ivi s accampa. Non è un si bello in tante ajtre persone;
Natura il fece, e poi ruppe la stampa. Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,
0 tal possanza: ed è di Roscia duca. 85 Porta in azzurro una dorata sbarra Il
conte d'Ottonici nello stendardo. L altra bandiera è del duca di Marra, Che nel
travaglio porta il leopardo. Di più colori e di più augei bizzarra Mira
l'insegna d'Alcabrun gagliardo. Che non è duca, conte, né marchese . Ma primo
nel salvatico paese. Stanza 75 B6 Del duca di Trasfordia è qaella insegna, Dove
è Taugel chal Sol tien gli occhi franchi. Lurcanio conte, chMn Angoscia regna,
Porta quel tauro e' ha duo veltri ai fianchi. Vedi là il dnca dAlhania, che
segna Il campo di colori azzurri e Manchi. Qnell avoltor eh un drago verde
lania È r insegna del conte di Boccania. 87 Signoreggia Forbesse il forte
Armano, Che di bianco e di nero ha la bandiera: Ed ha il conte d'Erelia a
destra mano, Che porta in campo verde una lumierOr guarda gV Ibernesi appresso
il piano:Sono duo squadre; e il conte di Childera Mena la prima, e il conte di
Desmonda Da fieri monti ha tratta la seconda. Nello stendardo il primo ha un
pino ardente; L'altro nel bianco una vermiglia banda. Non dà soccorso a Carlo
solamente La terra inglese y e la Scozia e V Irlanda; Ma vien di Svezia e di
Norvegia gente, Da Tile, e fin dalla remota Islanda; Da ogni terra, in somma,
che là giace, Nimica naturalmente di pace. 89 Sedici mila sono, o poco maiioo,
Delle spelonche usciti e delle selve: Hanno piloso il viso, il petto, il
fianco, E dossi e braccia e gambe, come belve. Intorno allo stendardo tutto
bianco Par che quel pian di lor lande s'inaelve: Così Moratto il porta, il capo
loro, Per dipingerlo poi di sangue moro. 8taiiBad5. 90 Mentre Ruggier di quella
gente bella, Che per soccorrer Francia si prepara, Mira le varie insegne, e uè
favèlla, £ dei signor britanni i nomi impara; Uno ed un altro a lui, per mirar
quella Bestia sopra cui siede, unica o rara, Maraviglioso corre e stupefatto; E
tosto il cerchio intorno gli fa taUo. 91 Sì che per dare ancor più maraviglia,
£ per pigliarne il buon Ruggier più gioco, Al volante corsier scuote la
briglia, E con gli sproni ai fianchi il tocca un poco. Quel verso il ciel per V
aria il cammin piglia, E lascia ognuno attonito in quel loco. Quindi Ruggier, poiché
di iMsda in banda Viée gl'Inglesi, andò verso T Irlanda. 99 £ vide Ibernia
fabulosa, dove n santo Tecchiarel fece la cava, In che tanta mercè par che si
trove, Che Tuom vi porga ogni sua colpa prava. Quindi poi sopra il mare il
destrier move Là dove la minor Bretagna lava; £ nel passar vide, mirando
abbasso, Angelica legata al nado sasso; 93 Al nado "asso, ali isola del
pianto:Cbè l'isola del pianto era nomata Quella che da crudele e fiera tanto Ed
inumana gente era abitata, Che (come io vi dicea sopra nel Canto) Per varj liti
sparsa iva in armata Tutte le belle donne depredando, Per fame a un mostro poi
cibo nefando. stanza 100. 94 Vi fn Iellata pur quella mattina, Dove venia
|"er trangugiarla viva Quel smisurato mostro, orca marina, Che di abborrevol
esca si nutriva. Dissi di sopra, come fu rapina Di quei che la trovare in su la
riva Dormire al vecchio incantatore accanto, Oh' ivi r avea tirata per incanto.
95 La fiera gente inospitale e cruda Alla bestia crudel nel lito espose La
bellissima donna cosi ignuda, Come Natura prima la compose. Un velo non ha
pure, in che rinchiuda I bianchi gigli e le vermiglie rose, Da non cader per
luglio o per dicembre . Di che son sparse le polite roembre. 96 Creduto ayria
che fosse statua fiuta 0 d alabastro o d'altri marmi illustri Ruggiero, e su lo
scoglio così avvinta Per artificio di scultori industri; Se non vedea la
lacrima distinta Tra fresche rose e candidi ligustri Far rugiadose le crudette
pome, E l'aura sventolar l'aurate chiome. 97 E come ne' begli occhi gli occhi
affisse, Della sua Era damante gli sovvenne. Pietade e amore a un tempo lo
trafisse, E di piangere appena si ritenne; E dolcemente alla donzella disse,
Poi che del suo destrier frenò le penne: 0 donna, degna sol della catena Con
che i suoi servi Amor legati mena, 98 E ben di questo e d'ogni male indegna,
Chi è quel crudel che con voler perverso D'importuno livor stringendo segna Di
queste belle man l'avorio terso? Forza è eh' a quel parlare ella divegna Quale
è di grana un bianco avorio asperso, Di sé vedendo quelle parti ignudo, Ch'
ancorché belle sian, vergogna chiude. 99 E coperto con man s' avrebbe il volto,
Se non eran legate al duro sasso; Ma del pianto, eh' almen non l'era tolto, Lo
sparse, e si sforzò di tener basso. E dopo alcun' singhiozzi il parlar sciolto,
Licominciò con fioco suono e lassò: Ma non seguì; che dentro il fé' restare Il
gran rumor che si senti nel mare. 100 Ecco apparir lo smisurato mostro Mezzo
ascoso nell' onda, e mezzo sorto. Come sospinto suol da Borea o d'Ostro Venir
lungo navilio a pigliar porto, Cosi ne viene al cibo che l'è mostro La bestia
orrenda; e l'intervallo é corto. La donna è mezza morta di paura, Né per
conforto altrui si rassicura. 101 Tenea Ruggier la lancia non in resta, Ma
sopra mano; e percoteva l'orca. Altro non so che s' assomigli a questa, Ch'una
gran massa che s'aggiri e torca: Né forma ha d'animai, se non la testa, C ha
gli occhi e i denti fuor come di porca. Ruggier in fronte la feria tra gli
occhi; Ma par che un ferro o un duro sasso tocchi. 102 Poiché la prima betta
poco vale. Ritoma per far meglio la seconda. L'orca, che vede sotto le grandi
ale L'ombra di qua e di là correr su l'onda, Lascia la preda certa litorale, E
quella vana segue furibonda; Dietro quella si volve e si raggira. Ruggier giù cala,
e spessi colpi tira 103 Come d'alto venendo aquila suole, Ch' errar fra l'erbe
visto abbia la biada, 0 che stia sopra un nudo sasso al Sole, Dove le spoglie
d'oro abbella e liscia; Non assalir da quel lato la vuqle, Onde la velenosa
soffia e strìscia; Ma da tergo l'adugna, e batte i vanni, Acciò non se le volga
e non l'azzanni: 104 Così Ruggier con l'asta e con la spada Non dove era de'
denti armato il muso, Ma vuol che il colpo tra l'orecchie cada, Or su le
schiene, or nella coda giuso. Se la fera si volta, ei muta strada Ed a tempo
giù cala, e p<ia in suso Ma, come sempre giunga in un diaspro, Non può
tagliar lo scoglio duro ed aspro. 105 Simil battaglia fa la mosca audace Contro
il mastin nel polveroso agosto, 0 nel mese dinanzi o nel seguace. L'uno di
spiche e l'altro pien di mosto: Negli occhi fi punge e nel grifo mordace;
Volagli intomo, e gli sta sempre accosto, E quel suonar fa spesso il dente
asciutto; Ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto. 106 Si forte ella nel
mar batte la coda, Che fa vicino al del l'acqua innalzare; Talché non sa se
l'ale in aria snoda, Oppnr se '1 suo destrier nuota nel mare. Gli é spesso che
disia trovarsi a proda; Che se lo sprazzo in tal modo ha a durare, Teme sì
l'ale innaffi all'Ippogrifo, Che brami invano avere o zucca o schifo. 107 Prese
nuovo consiglio, e fu il migliore, Di vincer con altre arme il mostro crado.
Abbarbagliar lo vuol con lo splendore Ch'era incantato nel coperto scudo. Vola
nel lito; e per non fare errore, Alla donna legata al sasso nudo Lascia nel
minor dito della mano L'anel, che potea far V incanto vano:103 Dico Panel che
Bradamante avea, Per liberar Ruggier tolto a Brunello; Poi per trarlo di man
d'Alcina rea, Mandato in India per Melissa a qnello. Melissa, come dianzi io vi
dicea, In ben di molti adoperò V anello; Indi r a ea a Euggier restituito, Da
qual poi sempre fu portato in dito. 109 Lo dà ad Angelica ora, perchè teme Che
del suo scudo il fulgurar non viete, E perchè a lei ne sien difesi insieme Gli
occhi che già Tavean preso alla rete. Or viene al lito e sotto il ventre preme
Ben mezzo il mar la smisurata Cete. Sta Ruggiero alla posta, e leva il velo; £
par eh aggiunga un altro Sole al cielo. 110 Ferì negli occhi l'incantato lume
Di quella fera, e fece al modo usato. Quale 0 trota o scaglion va giù pel fiume
C ha con calcina il montanar turbato; Tal si vedea nelle marine schiume Il
mostro orribilmente riversato. Di qua di là Ruggier percuote assai; Ma di
ferirlo via non trova mai. Ili La bella donna tuttavolta prega Ch' invan la
dura squama oltre non pesti Toma, per Dio, signor; prima mi slega, Dicea
piangendo, che V orca si desti:Portami teco, e in mezzo il mar mi annega; Non
far eh in ventre al bruto pesce io resti. Ruggier, commosso dunque al giusto
grido, Slegò la donna, e la levò dal lido. 112 II destrier punto, ponta i pie
all'arena, E sbalza in aria, e per lo ciel galoppa; E porta il cavaliere in su
la schiena, E la donzella dietro in su la groppa. Cosi privò la fera della cena
Per lei soave e delicata troppa. Ruggier si va volgendo, e mille baci Figge nel
petto e negli occhi vivaci. 113 Non più tenne la via, come propose Prima, di
circondar tutta la Spagna, Ma nel propinquo lito il destrier pose, Dove entra
in mar più la minor Bretagna. Sul lito un bosco era di querce ombrose, Dove ognor
par che Filomena piagna; Ch'in mezzo avea un pratel con una fonte, E quinci e
quindi un solitario monte. Stanza 111. 114 Quivi il bramoso cavalier ritenne
L'audace corso, e nel pratel discese; E fé' raccorre al suo destrier le penne,
Ma non a tal che più le avea distese. Del destrier sceso, appena si ritenne Di
salir altri; ma tennel l'arnese: L'arnese 11 tenne, che bisognò trarre; E
contra il suo disir messe le sbarre. 115 Frettoloso, or da questo or da quel
canto Confusamente l'arme si levava. Non gli parve altra volta mai star tanto;
Che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava. Ma troppo è lungo ormai, signor, il
Canto; E forse eh' anco l'ascoltar vi grava: Si ch'io differirò l'istoria mia
In altro tempo, che più grata sia.NOTE. St. 3. V.23. Intende della famosa Elena
ohe diede occasione alla guerra di Troia. St. 11. V.4. Buccia qui vale calice
della rosa non per anche aperta. St. 20. y. 56. Alcione è uccello acquatico il
cui nome è preso da quello della moglie di Geice, re di Tra cia, che i poeti favoleggiarono
tramutata insieme col marito in tal volatile, dopo essersi gettata in mare pel
dolore di esserle morto il consorte in un viaggio ma rittimo. St. 34. Y. 56.
Ecuba, vedova dì Priamo e schiava di Ulisse, perseguitata dai Traci per aver
tratti gli oc chi a Polinestore, uccisore deirultimo figlio rimastole, venne in
tanta ira, clie fu convertita, secondo i mito logi, in cagna rabbiosa. St. 51.
y. 5. Non s' intenda qui per artiglieria la moderna, che non era conosciuta ai
tempi di cui parla il Poeta; ma in generale le macchine di guerra da lan ciare
proiettili. St. 52. y. 25. I nomi delle fate accennano alle loro qualità
morali. Quello di Alcina, se il Poeta non ha voluto grecizzare anche in esso,
può esser tratto da Aloe, che in Aulo Gellio leggesi essere stata una
meretrice. Lo giatillaf vale ragionevole. Andronica, donna di animo virile,
Fronesia, saggia, come nel testo. DiciUa, giusta. Sofrosina, temperata o
modesta. St. 56. y. 48. dolo è una delle tre Parche favo leggiate dai Poeti
Didone, notissima regina di Carta gine, che si uccise per disperato amore di
Enea. La re gina del Nilo è Cleopatra, che si tolse la vita con un aspide, per
non essere tratta dietro al trionfatore ro mano. St. 66. y. 6. Oli aquitatU UH,
sono le Provincie francesi Guienna e Guascogna, altre volte Aquitania, St. 70.
y 6. Quella campagna è il mare, dove i venti sono più liberi e più violenti.
St. 71. y. 18. Quinsai, città della Cina, detta Chan say da Marco Polo, che la
situa fra il Cataio e Man giana o Mangin, ed ò la odierna Nankin. Imavo, monte
altissimo della Scizia o Tartaria. Onda ircana, il mar Caspio. SarmoMia, vasto
paese settentrionale, parte in Asia, parte in Europa. Pruteni, Prussiani.
Fumeria, Pomerania, provincia di Germania nell'alta Sassonia. St. 72. y. 8
Ultima Inghilterra. Cosi chiamavano i Romani la Gran Bretagna, per la sua
giacitura verso Testremità dell'Europa. ST. 77. y. 2. ia fiordaligi, 6 il nome
del flore che noi chiamiamo giglio, detto dai Francesi fleurdelis. Ivr. y. 8.
LincastrOf ò Laucaster, una delle contee dell'Inghilterra. St. 78. V.48.
Varvecia, Warwick; Oloceatra, Glou cester; Chiarenta, Clarence, titolo di
ducato; Eborace, York: tutte contee dlnghilterra, del pari ohe le nomi nate
nelle Stanze seguenti. St. 79. y. 18. Nortfotia, Norfolk; Cancia, Kent;
Pembrozia, Pembroke, nel principato di Galles. Sufol da, Suffolk; Essenia,
Essex; Norbelanda, Northum berland. St. 80. y. 18. ~ Ar indelia, Arnndel nella
contea di Sussf X; Barclfi, Bertkley, paese che dà ora il nome "i uno dei
canali componenti il sistema idiaalieo dì L<a dra; Moì'ehia, March, una fra
le contee ceDtralt di Sco zia ; Bitmojida, Richmond, castello neir Inglifltezn;
DoreeHa, Dorset; Antona, Southampton. St. 81. y. 28. Devonia, Devan, da cai
prende fl nome la contea di Devonshir; Vigorina, Winchester; Erbia, Derby;
Oasonia, Oxford; Battow'a, Batli nella contea di Summerset, detta qui
Sormosedia" St. 82. y. 3. Dìm tanti, due volte tanti, dne yotte piò. St.
83. y. 16. Bocchingamia, Buokingam; Sari sberia, Salisbury; Borenta, Abergavenny;
Croisberia, Shrewsbury; Esperia, antico nome della Scozia. St. 84. y. 8. Bosda,
Ross, una delle contee set tentrionali di Scozia. St. 85. y. 24. Ottonici,
Athol; Marra, Mar. U voce travaglio, nel quarto verso, è voce di mmscalda,
derivata dal latino barbaro travallus; e denota nn or digno ove si costringono
le bestie fastidiose e intratta bili per medicarle o ferrarle. St. 86. y. 18.
Trasfordia, Stafford; Angoscia, An gus; Albania, o Braid Albain, è il nome
comoneaente dato a un piccolo paese della contea di Perth, e ba ti tolo di
ducato. Boccania, contea di Scozia, ivi detta Bnchan. St. 87. y. 17. Forbease,
Forse deve qui intendeni Ferdon, detto dai Latini Fordunum, o Forres, borgo
nella Scozia, cosi denominato anche oggi ErtHa, Errol; Childera, Kildare, contea
nella provincia di Leis ster; Deinnonda, Desmond, contrada dipendente dalla
contea di Cork, nella provincia di Mnnster. St. 88. y. 26. Banda, osala fascia.
Tile (o Tuie) la più remota delle isole settentrionali d'Eoropa, eàe fosse
conosciuta dai Romani. I Geografi non sono eoo cordi nel determinarla; alcuni
(non V Ariosto) V hanno creduta llslanda, altri la Scandinavia, tenuta antica
mente per isola; il Cellario la crede la Scbetlandia, o alcuna delle isole del
Fero o del Faro, dette dal Balbi Fceroe, situate quasi nella •medesima
latitudine St. 92. y. 14. ~ Dice fabulosa V Irlanda, per le fkvok che ne
correvano, fra le quali la relativa al pozso vuoisi fatto da San Patrizio. In
quello solevano entrare i peccatori, con la speranza di uscirne puigati di colpa
e usciti raccontavano le cose strane che loro pareva avers colà dentro vedute o
sentite. St. 98. v.56. Diconsi grana i corpi di oerti ia setti simili alle
bacche dell edera, coi quali si tingono i panni in rosso e violetto. 11 senso
quindi dei dne veni predetti è che Angelica, bianchissima di carnagione, ar
rossa alle parole di Ruggiero. St. 101. y. 2. Sopra mano, oioò con mano alzata
sopra la spalla. St. 104. v.& Per to scogUo intendasi fl dorioifflo osso
del mostro. St. 113. y. 46. A ponente maestro, cioè snl lido che guarda risola
di Ouessant. St. 113. V.6. Filomena, il rosignolo, nel qnale, secondo la favola
fu cangiata Filomena, figlia di Pan dione re d'Atene. SUiiia4& Angelica
s'invola a Ruggiero mediante Tanello incantato, e si ricovera neU abitazione di
un pastore. Ruggiero, nell'andarla cercando, vede un gigante rapire una donna,
che sembragli firadamante. Olimpia abbandonata da Bireno, e presa dai corsari,
viene esposta in Ebada al mostro marino, da cui Orlando la libera. Sopraggiunge
il re d'Irlanda Oberto, che, invaghito di Olimpia, la fa sua moglie, dopo aver
tolto a Bireno gli stati e la vita. Quantunque debil freno a mezzo il corso
Animoso destrìer spesso raccolga, Raro è però che di ragione il morso
Libidinosa furia addietro volga" Quando il piacer ha in pronto; a guisa
d'orso, Che dal mei non ri tosto si distolga, Poi che gli n'è venuto odore al
naso, 0 qualche stilla ne gustò sul vaso. Qual ragion fia che '1 buon Buggier
raffrene, Si che non voglia ora pigliar diletto D Angelica gentil, che nuda
tiene Nel solitario e comodo boschetto? Di Bradamante più non gli sovviene, Che
tanto aver solea fissa nel petto: E se gli ne sovvien pur come prima, Pazzo è
se questa ancor non prezza e stima; 3 Con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente. Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo, E si
trìBiea T altre arme impaziente; Quando abbassando pel bel corpo ignudo La
donna gli occhi vergognosamente, Si vide in dito il prezioso anello Che già le
tolse ad Albracca Brunello. 4 Questo è Panel ch'ella portò già in Francia La
prima volta che fé' quel cammino Col f ratei suo, che v'arrecò la lancia, La
qual fu poi d'Astolfo paladino. Con questo fé' gì' incanti uscire in ciancia Di
Malagìgi al petron di Merlino; Con questo Orlando ed altri una mattina Tolse di
servitù di Dragontina; 5 Con questo usci invisibil dalla torre, Dove Pavea
richiusa un veccliio rio. A che Togrio tutte sue prove accórre, Se le sapete
voi cosi com'io? Brunel sin nel giron lei venne a tórre; Ch Agramante d averlo
ebbe disio. Da indi in qua sempre fortuna a sdegno Ebbe costei, finché le tolse
il regno. 6 Or che sei vede, come ho detto, in mano, Si di stupore e
d'allegrezza è piena, Che, quasi dubbia di sognarsi invano, Agli occhi, alla
man sua dà fede appena. Del dito se lo leva, e a mano a mano Se '1 chiude in
bocca; e in men che non balena. Così dagli occhi di Ruggier si cea. Come fa il
Sol quando la nube il vela. 7 Ruggier pur d'ogn' intomo riguardava, E
s'aggirava a cerco come un matto; Ma poi che dell'anel si ricordava. Scornato
vi rimase e stupefatto; E la sua inavvertenza bestemmiava, E la donna accusava
di quell'atto Ingrato e discortese, che renduto In ricompensa gli era del suo
aiuto. 11 E circa il vespro, poi che rinfrescossi, E le fu avviso esser posata
assai. In certi drappi rozzi awiluppossi, Dissimil troppo ai portamenti
gai" Che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi Ebbe, e di quante fogge
furon mai. Non le può tor però tanto umil gonna Che bella non rassembrì e nobii
donna. 12 Taccia chi loda Fillide, o Neera, 0 AmariUi, o (}alatea fugace; Che
d'esse alcuna si bella non era, Titiro e Melibeo, con vostra pace. La bella
donna trae fuor delk schiera Delle giumente una che più le piace. Allora allora
se le fece innante Un pensier di tornarsene in Levante. 13 Ruggiero intanto,
poi ch'ebbe gran Indarno atteso s'ella si scopriva, E che s' avvide del suo
error da sezzo, Che non era vicina e non l'udiva; Dove lasciato avea il
cavallo, avvezzo In cielo e in terra, a rimontar veniva:E ritrovò che s' avea
tratto il morso, E salia in aria a più libero corso. 8 Ingrata damigella, è
questo quello Guiderdone, dicea, che tu mi rendi. Che piuttosto involar vegli
l'anello, Ch'averlo in don? Perchè da me noi prendi? Non pur quel, ma lo scudo
e il destrier snello E me ti dono; e come vuoi mi spendi; Sol che'l bel viso
tuo non mi nascondi. Io so, crudel, che m' odi, e non rispondi. 9 Cosi dicendo,
intomo alla fontanaBrancolando n'andava, come cieco. Oh quante volte abbracciò
l'aria vana, Sperando la donzella abbracciar seco ! Quella, che s'era già fatta
lontana, Mai non cessò d'andar, che giunse a un speco Che sotto un monte era
capace e grande, Dove al bisogno suo trovò vivande. 10 Quivi un vecchio pastor,
che di cavalle Un grande armento avea, facea soggiorno. Le giumente pascean giù
per la valle Le tenere erbe ai freschi rivi intorno. Di qua di là dall'antro
erano stalle, Dove fuggiano il Sol del mezzo giorno. Angelica quel di lunga
dimora Là dentro fece, e non fu vista ancora. 14 Fu grave e male aggiunta
all'altro danno Vedersi anco restar senza l'augello. Questo, non men che '1
femminile inganno, Gli preme al cor: ma più che questo e quello Gli preme e fa
sentir noioso affanno L'aver perduto il prezioso anello; Per le virtù non tanto
eh' in lui sono, Quanto che fu della sua donna dono. 15 Oltremodo dolente si
ripose Indosso l'arme, e lo scudo alle spalle; Dal mar slungossi, e per le
piaggie erbose Prese il cammin verso una larga valle, Dove per mezzo all'alte
selve ombrose Vide il più largo e '1 più segnato calle. Non molto va, eh' a
destra, ove più folta É queUa selva, un gran strepito ascolta. 16 Strepito
ascolta e spaventevol suono D'arme percosse insieme; onde s'affretta Tra pianta
e pianta, e trova dui che sono A gran battaglia in poca piazza e stretta. Non
s' hanno alcun riguardo né perdono, Per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno è gigante, alla sembianza fiero; Ardito l'altro e franco cavaliere. 17 E
questo con lo scado e con la spada, Di qua dì là saltando, si difende, Perchè
la mazza sopra non gli cada, Con che il gigante a dae man sempre offende. Giace
morto il cavallo in sa la strada. Roggìer si ferma, e alla battaglia attende; E
tosto inchina l'animo, e disia Che vincitore il cavalier ne sia. Stanza I&
0 E se r arreca in spalla, e via la porta Come lupo talor piccolo agnello, 0
l'aquila portar nelPugna torta Suole 0 colombo o simile altro augello. Vede
Ruggier quanto il suo aiuto importa, E vien correndo a più poter; ma quello Con
tanta fretta i lunghi passi mena, Che con gli occhi Ruggier lo segue appena. 21
Cosi correndo Tono e seguitando L'altro, per un sentiero ombroso e fosco, Che
sempre si venia più dilatando, In un gran prato uscir fuor di quel bosco. Non
più di questo; eh' io ritorno a Orlando, Che '1 fulgur che portò già il re
Cimosco, Avea gittato in itar nel maggior fondo, Acciò mai più non si trovasse
al mondo. 22 Ma poco ci giovò; che 1 nimico empio Deir umana natura, il qual
del telo Fu rinventor, ch'ebbe da quel F esempio, Ch'apre le nubi e in terra
vien dal cielo; Con quasi non minor di quello scempio Che ci die quando Eva
ingannò col melo. Lo fece ritrovar da un necromante Al tempo de' nostri avi, o
poco innante. 23 La macchina infemal, di più di cento Passi d'acqua ove stè
ascosa moli anni, Al sommo tratta per incantamento, Piima portata fu tra gli Alamanni;
Li quali uno ed un altro esperimento Facendone, e il demonio a' nostri danni
Assottigliando lor via più la mente, Ne ritrovare l'uso finalmente. 18 Non che
per questo gli dia alcuno aiuto; Ma si tira da parte, e sta a vedere. Ecco col
baston grave il più membruto Sopra l'elmo a due man del minor fere. Della
percossa è il cavalier caduto:L'altro che '1 vide attonito giacere, Per dargli
morte l'elmo gli dislaccia; E fa sì che Ruggier lo vede in faccia. 19 Vede
Ruggier della sua dolce e bella E carissima donna Bradamante Scoperto il viso,
e lei vede esser quella A cui dar morte vuol l'empio gigante; Si che a
battaglia subito l'appella, E con la spada nuda si fa innante; Ma quel, che
nuova pugna non attende, La donna tramortita in braccio prende:24 Italia e
Francia, e tutte l'altre bande Del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande, Che liquefatto ha la fornace accesa;
Bugia altri il ferro; e chi picciol, chi grande Il vaso forma, che più e meno
pesa; E qual bombarda, e qual nomina scoppio, Qual semplice cannon, qual cannon
doppio: 25 Qual sagra, qual falcon, qual colubrina Sento nom tr, come al suo
autor più aggrada Che'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina, E ovunque passa
si fa dar la strada. Rendi, miser soldato, alla fucina Pur tutte r arme e' hai,
fino alla spada; E in spaPa un scoppio o un archibugio prendi; Cile senza, io
so, non toglierai stipendi.Stanza 28. 26 Come trovasti, o scellerata e bratta
Invenzion, mai loco in aman core? Per te la militar gloria è distratta; Per te
il mestier dell'arme è senza onore; Per te è il valore e la virtù ridatta, Che
spesso par del bnono il rio migliore:Non più la gagliardia, non più V ardire
Per te pad in campo al paragon venire. 27 Per te wm giti ed andenn aotterra
Tanti signori e cavalieri tanti, Prima che sia finita questa gaerra, Chel
mondo, ma più Italia, ha messo in pianti; Che s'io v'ho detto, il detto mio non
erra, Che ben fa il più cradele, e il più di qnaDti Mai foro al mondo ingegni
empi e maligni. Ch'immaginò si abbominosi ordignL 28 E crederò che Dio, perchè
vendetta Ne sia in etemo, nel profondo chiuda Del cieco abisso qnella maledetta
Anima, appresso al maledetto Giada. Ma segaitiamo il cavalier ch'in fretta
Brama trovarsi all'isola d'Ebada, Dove le belle donne e delicate Son per
vivanda a un marìn mostro date. 29 Ma quanto avea più fretta il paladino, Tanto
parca che men l'avesse il vento. Spiri dal lato destro o dal mancino, 0 neUa
poppa, sempre è cosi lento, Che si può far con lui poco cammino; E rìmanea
talvolta in tutto spento: Soffia talor si avverso, che gli è forza 0 di
tornare, o d'ir girando all' orza. 30 Fu volontà di Dio, che non venisse Prima
che '1 re d'Ibemia in quella parte, Acciò con più facilità seguisse Quel
ch'udir vi farò fra poche carte. Sopra Pisola sorti, Orlando disse Al suo
nocchiero: or qui potrai fermarte, E '1 battei darmi; che portar mi voglio
Senz' altra compagnia sopra lo scoglio. 31 E voglio la maggior gomena meco, E
l'ancora maggior ch'abbi sul legno: Io ti farò veder perchè l'arreco, Se con
quel mostro ad affrontar mi vegno. Gittar fé' in mare il palischermo seco, Con
tutto quel ch'era atto al suo disegno. Tutte l'arme lasciò, fuorché la spada; E
ver lo scoglio, sol, prese la strada. 32 Si tira i remi al petto, e tien le
spalle Volte alla parte ove discender vnole: A guisa che del mare o della valle
Uscendo al lito il salso granchio suole. Era nell' ora che le chiome gialle La
bella Aurora avea spiegate al Sole, Mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso, Non
senza sdegno di Titon geloso. 88 Fattori appresso al nudo seogo, qiianto Potria
gagliarda man gittare nn sasso, Gli pare udire e non udire nn pianto; £tt all'
oreeohio gli vien debole e lasso. Tatto si volta sul sinistro canto; E posto
gli occhi appresso all'onde al basso. Vede nna donna, nuda come nacque, Legata
a un tronco; e i piò le bagnan Tacque. 84 Perchè gli è ancor lontana,' e perchè
china La faccia tien, non ben chi sia disceme. Tira in fretta ambi i remi, e s'
aTricina Con gran disio di più notizie averne. Ma mugghiar sente in questo la
marina, E rimbombar le selve e le caverne: Goniiansi V onde; ed ecco il mostro
appare, Che sotto il petto ha quasi ascoso il mare. 85 Come d oscura valle
umida ascende Nube di pioggia e di tempesta pregna, y Che più che cieca notte
si distende Per tutto '1 moulo, e par cheU giorno spegna; Così nuota la fera, e
del mar prende Tanto, che si può dir che tutto il tegna: Fremono Fonde.
Orlando, in sé raccolto, La mira altier, nò cangia cor né volto. 36 E come quel
ch'avea il pensier ben fermo Di quanto volea far, si mosse ratto; £ perchè alla
donzella essere schermo, E la fera assalir potesse a un tratto, Entrò fra Torca
e lei col palischermo, Nel fodero lasciando il brando piatto:L'Ancora con la
gomona in man prese; Poi con gran cor 1 orrlbil mostro attese. 87 Tosto che
Torca s'accostò, e scoperse Nel schifo Orlando con poca intervallo, Per
inghiottirlo tanta bocca aperse. Ch'entrato un uomo vi saria a cavallo. Si
spinse Orlando innanzi, e se gì' immerse Con queir àncora in gola, e, s'io non
fallo, Col battello anco; e l'àncora attaccolle E nel palato e nella lingua
molle:88 Si che nò più si puon calar di sopra. Nò alzar di sotto le mascelle
orrende. Cosi dii nelle mine il ferro adopra. La terra, ovunque si fa via,
suspende, Che subita mina non lo cuopra, Mentre mal cauto al suo lavoro
intende. Da un amo all' altro l'àncora è tanto alta, Che non v' arriva Orlando,
se non salta. Aaiosio. 89 Messo il puntello, e fattosi sicuro Che'l mostro j
serrar non può la bocca; Stringe la spada, e per quell'antro oscuro Di qua e di
là oon tagli e punte tocca. Come si può, poi che son dentro al muro Giunti i
nemici, ben difender rócca;Cosi difender l'orca si potea Dal paladin che nella
gola avea. 40 Dal dolor vinta, or sopra il mar si' lancia, E mostra i fianchi e
le scagliose schiene; Or dentro vi s'attnffa, e con la pancia Muove dal fondo e
fa ealir l'arene. Sentendo l'acqua il cavalier di Francia, Che troppo abbonda,
a nuoto fuor ne viene:Lascia l'ancora fitta, e in mano prende La fune che
dall'ancora depende. 41 E con quella ne vien nuotando in fretta Verso lo
scoglio; ove fermato il piede, Tira l'àncora a sé, che 'n bocca stretta Con le
due punte il brutto mostro fiede. L'orca a seguire il canape è costretta Da
quella forza ch'ogni forza eccede; Da quella forza che più in una scossa Tira,
eh' in dieci un argano far possa. 42 Come toro salvatico clv'al corno Gittar si
senta un improvviso laccio, Salta di qua di là, 's'agirà intorno, Si.colca e
lieva, e non può uscir d impaccio; Cosi fuor del suo antico almo soggiorno L'orca
tratta per forza di quel braccio, Con mille guizzi e mille strane ruote Segue
la fune, e scior non se ne puote. 48 Di bocca il sangue in tanta òopia fonde.
Che questo oggi il Mar Rosso si può dire. Dove in tal guisa ella percuote
Tonde, Ch'insino al fondo le vedreste aprire: Ed or ne bagna il cielo, e il
lume asconde Del chiaro Sol; tanto le fo salire. Rimbombano al rumor,
ch'intorno s'ode. Le selve, i monti e le lontane prode. 44 Fuor della grotta il
vecchio Proteo, quando Ode tanto rumor, sopra il mar esce; E visto entrare e
uscir dell' orca Orlando, E al lito trar A smisurato pesce. Fugge per T alto
Oceano, obliando Lo sparso gregge: e si il tumulto cresce, Che fatto al carro i
suoi delfini porre, Quel di Nettuno in Etiopia corre. 45 Con Melìcerta in collo
Ino piangendo, E le Nereidi coi capelli sparsi, Glanci e Tritoni, e gli altri,
non sappiendo Dove, chi qua cbi là van per salvarsi. Orlando al lito trasse il
pesce orrendo, Col qual non bisognò più affaticarsi:Che pel travaglio e per
l'avuta pena, Prima mori, che fosse in su T arena. 46 Dell'isola non pochi
erano corsi A riguardar quella battaglia strana; I quai da. vana religion
rimorsi, Csì sant' opra riputar profana:E dicean che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nimico, e attizzar l'ira insana, Da fargli porre il marin gregge in
terra, E tutta rinnovar l'antica guerra; 47 E che meglio sarà di chieder pace
Prima all'offeso Dio, che peggio accada; E questo si farà quando l'audace
Gittato in mare a placar Proteo vada. Come dà fuoco l'una all' altra face, E
tosto alluma tutta una contrada; Cosi d'un cor nell'altro si diffonde L'ira
ch'Orlando vuol gittar nell'onde. 48 Chi d'una fromba e chi d'un arco armato.
Chi d'asta, chi di spada al lito scende; E dinanzi e di dietro e d'ogni lato,
Lontano e appresso, a più poter l'offende. Di sì bestiale insulto e troppo
ingrato Gran meraviglia il paladin si prende:Pel mostro ucciso ingiuria far si
vede, Dove aver ne sperò gloria e mercede. 49 Ma come l'orso suol, che per le
fiere Menato sia da Rnsci o da Lituani, Passando per la via, poco temere
L'importuno abbaiar di picciol cani. Che pur non se li degna di vedere; Così
poco temea di quei villani TI paladin, che con un soffio solo Ne potrà
fracassar tutto lo stuolo. 50 E ben si fece far subito piazza Che lor si volse,
e Durindana prese. S' avea creduto quella gente pazza Che le dovesse far poche
contese, Quando né indosso gli vedea corazza, Né scudo in braccio, né alcun
altro arnese; Ma non sapea che dal capo alle piante Dura la pelle avea più che
diamante. 51 Quel che d'Orlando agli altri tàx non lece, Di far degli altri a
lui già non è tolto. Trenta n'uccise, e furo in tutto diece Botte, 0 se più,
non le passò di molto. Tosto intomo sgombrar l'arena fece; E per slegar la
donna era già volto, Quando nuovo tumulto e nuovo grido Fé' risuonar da
un'altra parte il lido. 52 Mentre avea il paladin da questa banda Cosi tenuto i
barbari impediti, Eran senza contrasto quei d'Irlanda Da più parti nell'isola
saliti; E spenta ogni pietà, strage nefanda Di quel popol facean per tutti i
liti:Fosse giustizia, o fosse cmdeltade, Né sesso riguardavano né etade. 53
Nessun ripar fan gl'isolani, o poco: Parte, ch'accolti son troppo improvviso;
Parte, che poca gente ha il picciol loco, E quella poca é di nessuno avviso.
L'aver fu messo a sacco; messo foco Fu nelle case; il popolo fu ucciso; Le mura
fur tutte adeguate al suolo; Non fu lasciato vivo uu capo solo. 54 Orlando,
come gli appartenga nulla L'alto rumor, le strida e la mina, Viene a colei che
sulla pietra brulla Avea da divorar l'orca marina. Guarda, e gli par conoscer
la fEinciuIla; E più gli pare, più che s' avvicina:Gli pare Olimpia; ed era
Olimpia certo, Che di sua fede ebbe si iniquo merto. 55 Misera Olimpia! a cui
dopo lo scorno Che le fé' amore; anco fortuna cmda Mandò i corsari (e fu il
medesmo giorno), Che la portare all' isola d'Ebuda. Riconosce ella Orlando nel
ritomo Che fa allo scoglio; ma, perch'ella é nuda, Tien basso il capo; e non
che non gli parli, Ma gli occhi non ardisce al viso alzarli. 56 Orlando domandò
che iniqua sorte L'avesse fatta all' isola venire Di là dove lasciata col
consorte Lieta l'avea, quanto si può più dire. Non so, diss' ella, s' io v' ho,
che la morte Voi mi schivaste, grazie a riferire, 0 da dolermi che per voi non
sia Oggi finita la miseria mia. 57 Io V ho da ringraziar che una maniera Di
morir mi schivaste troppo enorme; Che troppo saria enorme, se la fera Nel hmtto
ventre avesse avuto a porme. Ma già non vi ringrazio eh io non pera; Che morte
sol pad di miseria torme: Ben vi ringrazierò, se da voi darmi Quella vedrò, che
dogni daol pnò tmrmi. 58 Poi con gran pianto segxdtò, dicendo Come Io sposo suo
Tavea tradita; Che la lasciò sn V ìsola dormendo, Donde ella poi fa dai corsar
rapita. E mentre ella parlava, rivolgendo Sbandava in qaella gaisa che scolpita
0 dipinta è Diana nella fonte, Che getta Pacqaa ad Atteone in fronte; 59 Che,
quanto paò, nasconde il petto e '1 ventre, Più liberal dei fianchi e delle
rene. Brama Orlando ch'in porto il sao legno entro; Che lei, che sciolta avea
dalle catene, Vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre Ch'a questo è intento,
Oberto sopravviene, Oherto il re d'Ibemia, eh' avea inteso Chel marjn mostro
era sol lito steso; 60 E che nuotando un cavab'er era ito A porgli in gola un'
àncora assai grave; E che l'avea cosi tirato al lito, Come si suol tirar contr'
acqua nave. Oberto, per veder se riferito Colui, da chi l'ha inteso, il vero
gli bave. Se ne vien quivi; e la sua gente intanto Arde e distrugge Ebuda in
ogni canto. 61 H re d'Ibemia, ancorché fosse Orlando Di sangue tinto e d'acqua
molle e brutto, Brutto del sangue che si trasse quando Usci dell' orca, in eh'
era entrato tutto; Pel conte l'andò pur raffigurando, Tanto più che nell'animo
avea indutto, Tosto che del valor senti la nuova, Ch' altri eh' Orlando non
faria tal pruova. 62 Lo conoscea, perch'era stato In&nte D'onore in
Francia, e se n' era partito Per pigliar la corona, l'anno innante, Del padre
suo eh' era di vita uscito. Tante volte veduto, e tante e tante Gli avea
parlato, eh' era in infinito. Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
Trattasi la celata eh' avea in testa. 63 Non meno Orlando di veder contento Si
mostrò il re, che'l re di veder lui. Poi che furo a iterar l'abbracciamento Una
0 due volte tornati amendui, Narrò ad Oberto Orlando il tradimento Che fu fatto
alla giovane, e da cui Fatto le fu, dal perfido Bireno, Che via d'ogni altro lo
dovea far meno. 64 Le prove gli narrò, che tante volte Ella d'amarlo dimostrato
avea: Come i parenti e le sustanzie tolte Le furo, e alfin per lui morir volea;
E eh' esso testimonio era di molte, E renderne buon conto ne potea. Mentre
parlava, i begli occhi sereni Della donna di lagrime eran pieni. 65 Era il bel
viso suo, quale esser suole Da primavera alcuna volta il cielo. Quando la
pioggia. cade, e a un tempo il Sole Si sgombra intomo il nubiloso velo. E come
il rosignuol dolci carole Mena nei rami allor del verde stelo; Così alle belle
lagrime le piume bagna Amore, e gode al chiaro lume; 66 E nella face de' begli
occhi accende L'aurato strale, e nel ruscello ammorza, Che tra vermigli e
bianchi fiori scende: E temprato che l'ha, tira di forza Centra il garzon, che
né scudo difende. Nò maglia doppia, né ferrigna scorza; Che, mentre sta a mirar
gli occhi e le chiome, Si sente il cor ferito, e non sa come. 67 Le bellezze
d'Olimpia eran di quelle Che son più rare: e non la fronte sola, Gli occhi e le
guance e le chiome avea belle, La bocca, il naso, gli omeri e la gola; Ma
discendendo giù dalle mammelle, Le parti che solca coprir la stola. Far dì
tanta eccellenzia, ch'anteporse A quante n'avea il mondo potean forse. 68
Vinceano dì candor le nevi intatte, Ed eran più eh' avorio a toccar molli:Le
poppe ritondette parean latte Che faor dei giunchi allora allora tolli. Spazio
fra lor tal discendea, qual &tte Esser veggiam fra piccolinì colli
L'ombrose valli, in sua stagione amene, Che '1 verno abbia di neve allora
piene. 69 J rilevati fianchi e le belle anche, E netto più che specchio il
ventre piano, Pareano fatti, e quelle. coscie bianche, Da Fidia a tomo, o da
più dotta mano. Di quelle parti debbovi dir anche, Che pur celare ella bramava
invano? Diiò insomma, eh' in lei dal capo al piede, Quant' esser può beltà
tutta si vede. 70 Se fosse stata nelle valli Idee Vista dal pastor frigio, io
non ao quanto Vener, sebben vincea quelle altre Dee, Portato avesse di bellezza
il vanto: Nò forse ito saria nelle amiclee Contrade esso a violar T ospizio
santo; Ma detto avria: Con Menelao ti resta, Elena, pur; ch'altra io non Tocche
questa. stanza 83. 71 E se fosse costei stata a Crotone, Quando Zeusi
.l'immagine far volse, Che por dovea nel tempio di Giunone, E tante belle nude
insieme accolse; È che per una fame in perfezione, Da chi una parte e da chi
un'altra tolse; Non avea da tórre altra che costei, Che tutte le bellezze erano
in lei. 72 Io non credo che mai Bireno, nndo Vedesse quel bel corpo; ch'io son
certo Che stato non saria mai così erodo,Che l'avesse lasciata in quel deserto.
Ch' Oberto se n' acceude, io vi concludo, Tanto, che'l fuoco non pud star
coperto. Si studia consolarla, e darle speme Ch' uscirà iu bene il mal eh' ora
la preme; 73 £ le promette andar seco in Olanda; Né fin che nello stato la
rimetta, S eh abbia fatto giusta e memoranda Di quel periuro e traditor
vendetta, Non cesserà con ciò che possa Irlanda, E lo farà quanto potrà più in
fretta. Cercare iutanto iu quelle case e in queste Facea di gonne e di femminee
veste. 74 Bisogno non sarà per trovar goune, Ch' a cercar fuor dell'isola si
mande, Ch' ogni dì se n avea da quelle donne Che dell'avido mostro eran
vivande. Non fé' molto cercar, che ritrovonne Di varie fogge Oberto copia
grande; E fé vestir Olimpia; e beu gì increbbe Non la poter vestir come
vorrebbe. 75 Ma né si bella seta o si fin oro Mai Fiorentini industri tesser
fenno; Né chi ricama, fece mai lavoro, Postovi tempo, diligenzia e senno, Che
potesse a costui parer decoro, Se lo fesse Minerva o il dio di Lenno, E degno
di coprir si belle membro, Che forza è ad or ad or se ne rimembre. 78 Appena un
giorni si fermò in Irlanda:Non valser preghi a far che più vi stesse. Amor, che
dietro alla sua donna il manda, Di fermarvisi più non gli concesse. Quindi si
parte; e prima raccomanda Olimpia al re, che servi le promesse, Benché non
bisognasse; che gli attenne Molto più che di far non si convenne. 79 Cosi fra
pochi dì gente raccolse; E fatto lega col re d'Inghilterra E con r altro di
Scozia, gli ritolse 01anl\, e in Frisa non gli lasciò terra; Ed a ribellione
anco gli volse La sua Selandia: e non fini la guerra, Che gli die morte; uè
però fu tale La pena, chal delitto anlosse eguale. 80 Olimpia Oberto si pigliò
per moglie, E di contessa la fé gran regina. Ma ritoruivimo al paladin che
scioglie Nel mar le vele, e notte e di cammina; Poi nel medesmo porto le
raccoglie, Djude pria le spiegò nella marina:E sul suo Brigliadoro armato
salse, E lasciò dietro i venti e V onde salse. 76 Per più rispetti il paladino
molto Si dimostrò di questo amor contento:Ch'oltre che'l re non lascerebbe
asciolto Bireno andar di tanto tradimento, Sarebbe anch'esso per tal mezzo
tolto Di grave e di noioso impedimento, Quivi non per Olimpia, ma venuto Per
dar, se v' era, alla sua donna aiuto. 77 Ch' ella non v' era si chiari di
corto:Ma già non si chiari se v' era stata; Perchè ogni uomo nell' isola era
morto, Né un sol rimase di sì gran brigata. H di seguente si partir del porto,
E tutti insieme andare in un'armata. Con loro andò in Irlanda il paladino; Ohe
fn per gire in Francia il suo cammino. 81 Credo che '1 resto di quel verno cose
Facesse degne di tenerne conto; Ma fur sin a quel tempo si nascose, Che non é
colpa mia s'or non le conto; Perchè Orlando a far l'opre virtuose. Più che a
narrarle poi. sempre era pronto: Né mai fu alcun delli suoi fatti espresso, Se
non quando ebbe i testimoni appresso. 82 Passò il resto del verno cosi cheto,
Che di lui non si seppe cosa vera: Ma poi che '1 Sol nell' animai discreto, Che
portò Frisse, illuminò la sfera, E Zefiro tornò soave e lieto A rìmenar la
dolce primavera; D'Orlando usciron le mirabil prove Coi vaghi fiori e con
l'erbette nuove. 83 Di piano in monte, e di campagna in lido Pien di travaglio
e di dolor ne già; Quando, all'entrar d'un hosco, un lungo grido, Un alto duol
l'orecchie gli feria. Spinge il cavallo, e piglia il brando fido; E donde viene
il suon, ratto s' invia:Ma diflerisco un'altra volta a dire Quel che segui, se
mi vorrete udire.NOTE. St. 3. V.2. Zenocrccti, o Senocrate, famoso per Ifb ftua
continenza messa invano alla prova da Fri e e la bellissima delle etère greche.
St. 4. V.6. McUagigi, iìgliaolo di Buovo d'Agre monte, veniva ad esser
IVatelcugino di Bradamante, ed esercitava mag:ia. 11 petron di Merlino è la
grotta del mago Merlino. Dragontincu si finge una maga che avea allacciato
Orlando, come Alcina Ruggiero. St. 7. V.2. A cerco vale in cerchio, in giro.
Sr. 12. V.14 Nomi di pastorelle e di pastori vir giliani. Sr. 13. V.3. Da
sezzo, da ultimo. St. 14. V.8. Ruggero, che, a malgrado le lezioni di Melissa e
di Logistilla ricade subito nell'incontinenza, è punito con la perdita del
prezioso anello e dell Ip pogrifo. St. 22. y. 28. La voce telo, latinismo che
denota arma da lanciare, corrisponde al fulgtir o fulgore ri cor lato nel sesto
verso della Stanza precedente; e con Tuno e con l'altro nome ò designato
Tarchibugio. Nel melo del sesto verso di questa Stanza, si deve intendere il vietato
frutto del paradiso terrestre. Gol supposto rinvenimento deirarch'bugio nel
fondo del mare, il Poeta vuol conciliare la sua finzione relativa a Clmosca,
con repoca molto posteriore in cui furono inventate le armi da fuoco. St. 23.
V.18. I cannoni fhrono inventati nella prima metà del trecento: un alchimista
tedesco, Bertoldo Schwartz, cominciò a fonderli tutti d'un pezzo, mentre prima
erano di più pezzi con cerchi: egli comunicd la sua invenzione ai Veneziani, i
quali ne fecero uso la prioLa volta nel 1.38) contro i Genovesi, nella guerra
di Chioggia. St. 29. v.a Orza, la banda sinistra della nave; Poggia, la dera
per chi è rivolto alla prora: onde, ir girando allorza vale navigare prendendo
il vento dalla parte sinistra. St. 8S v.7. Da un amo aXValtro, ecc. S'intendono
1 due ramponi uncinati deiràncora, fletti qui ami per la loro forma, e per Tuso
che ne fa Orlando. St. 44. v.8. In Etiopia corre, siccome altra volta, allorché
spaventato da Tifeo . il Dio del mare corse a salvamento presso gli Etiopi. Co;"i
Omero e Ovidio. L'Etiopia è regione dell'Africa di qua e di là dall'Equa tore ;
a occidente si estende fino al monte Atlante; da oriente sino ai confini
dell'Egitto; a mezzoionM si chiude dall'Oceano; a settentrione dal Nilo. St.
45. V.13. Ino, madre di Melieerti, per sot trarsi al furore di Atamant suo
mirito, ni geCtft ia mare con il figlio In collo; e amendne furono convertili
in divinità marine. Lo stesso avvenne di Olaaoo peaea tore. Qui, all'Ariosto è
piaciuto fiime di nno che era. piò Tritoni, deiiÀ marine pur essi. Nertidi
cbiama ronsl dai mitologi le ninfe del mare, perchè figlie di Nereo. St, 49.
V.2. Rnsci, Russi. St 50. V.78. Finge il Poeta che Orlando fo"n ifi
vulnerabile per fatagione: era invulnerabile tutto, trwm" sotto le piante.
St. 53. V.4. Di nessuno avviso, cioè accorgimént". St. 58. V.78. Diana,
sorpresa da Atteone mentre si lavava in una fontana, é argomento d'nna delle fà
vole mitologiche narrate da Ovidio. St. 62. V.12. Infante d'onore. Il titolo
d'Influite si dà in Ispagna e in Portogallo ai prìncipi reali, e di cevansi
promiscuamente Infanti anche i figli dei magnati, prima che fossero andati al
possoiso dei loro fendi; ma Oberto avea la qualità d'Infanta nella propria
corte: onde intendasi piuttosto scudiere, o paggio nella corte di Carlo. St.
70. V.18. Nelle valli Idee, ecc. Nelle valli doé del monte Ida nella Troade,
dove i poeti immainanuu seguito il giudizio di Paride (il pasfor Frigio) che
poi rapi Elena consorte di "Menelao. Contrade amiciee: eoa questa voce
s'intende una città nella Laconia, detta dai Latini Amyclce, ove fu la reggia
di Tindaro, padre di Blena. Sr. 71. v.1. Crotone, ora Cotrone, città maritliwi
della Calabria. St. 75. v.6. IZ dio di Lenno, 'Vulcano. Quest'isola
dell'Arcipelago, detta dai Latini Lemnos, ora chiamasi Statimene. St. 76. v.3.
Asdolto, per assolto, imptunttK St. 82. V.3. La locuzione di questi due versò
vale: p ichè il sole fu entrati nel segno dell'Ariete. È racconto mitologico
che Frisse per {sfuggire le perseen zioni dlno sua matrigna, andò in Coleo,
traversando il mare sopra un ariete, il quale venne poi collocato fta i segni
zodiacali; e qui si dice discreto, per lamitesa della stagione che segue
l'ingresso del sole in qnel t stanza 2. fJrlnriflf), snprp in cerca
il'Anfffìlicn, vedp T appiìrenza di lei In brariilo ad Atlante, chf,
triifùrmiitOiSt in cavaliirp, semhra por tiirl. Hi>vo Inftfiendalo,
f;iutif;e nà un palazzo mcAiitato, dove aiTiva nticho Riigiitrn cht
cfirrt") appresso al d" lu{ cfvditto rapitore di Bittdaniatitp. Anf
lica vì ca|iita anch'ella. e vi trovtt Orlando Rnq;iern, i??aenpnnte. Ferrali
Gradasso oon altri gupr fiori, A motivci di lei, afCadfì fra akuni di tìssi una
ruffa, per ofoisicmpì della qualp F<?rraii ai. appropria l'elmo d'OrlaniIo.
An guliwi, a'iiiraTiiniiiia vì'tso Ltvanttì, e trova in un boaoo un gio vane
inortalmrmt"'. ferito" Orlando si avanza vctho Parigi e slm raplia
due achifvR di Mori, Fili oltre aeopre mi nascondìglio di malEioilrinì Qhn
tengono prigioniera Jsabtìlla. 1 Perere, poi die binila tnmlre Idea Tikniaiìdo
in fretta alla soliujyfa valle Là <luvfi calca \\\ iii">Titnia ntnca
Al fulminato Eiiucladu le spalle, La figlia non trovò dove l'avea Lasciata faor
d'ogni segnato calle, Fatto chebbe alle guancie, al petto, ai crini E agli
occhi danno, alfin svelse dae pini; 2 E nel fuoco gli accese di Vulcano, E dio
lor non poter esser mai spenti:E portandosi questi uno per mano Sol carro che
tiravan dui serpenti; Cercò le selve, i campi, il monte, il piano. Le valli, i
fiumi, li stagni, i torrenti, La terra e'I mare; e poi che tutto il mondo Cercò
di sopra, andò al tartareo fondo. 8 S'in poter fosse stato Orlando pare
All'eleusina Dea, come in disio, Non avria, per Angelica cerare. Lasciato o
selva o campo o stagno o rio 0 valle 0 monte o piano o terra o mare, n cielo
e'I fondo dell'etemo ohblìo; Ma poi che'l carro e i draghi non avea, La già
cercando al meglio che potea. 4 L'ha cercata. per Francia: or s'apparecchia Per
Italia cercarla e per Lamagna. Per la nuova Castiglia e per la vecchia, E poi
passare in Libia il mar di Spagna. Mentre pensa cosi, sente all'orecchia Una
voce venir, che par che piagna: Si spinge innanzi; e sopra un gran destriero
Trottar si vede innanzi un cavaliere, 5 Che porta in braccio e su l'arcion
davante Per forza una mestissima donzella. Piange ella, e si dibatte, e fa
sembiante Di gran dolore; ed in soccorso appella Il valoroso Prìncipe
d'Anglante, Che come mira alla giovane bella. Gli par colei per cui la notte e
il giorno Cercato Francia avea dentro e d'intorno. 6 Non dico ch'ella fosse, ma
parea Angelica gentil, eh' egli tant' ama. Egli, che la sua donna e la sua Dea
Vede portar si addolorata e grama. Spinto dall' ira e dalla furia rea, Con voce
orrenda il cavalier richiama; Richiama il cavaUero, e gli minaccia, E
Brigliadoro a tutta brìglia caccia. 7 Non resta quel fellon, né gli risponde,
AU' alta preda, al gran guadagno intento; E si ratto ne va per quelle fronde,
Che saria tardo a seguitarlo il vento. L'un fugge, e l'altro caccia; e le
profonde Selve s'odon sonar d'alto lamento. Correndo, uscirò in un gran prato;
e quello Avea nel mezzo un grande e ricco ostello. 8 Di vari marmi con suttìl
lavoro Edificato era il palazzo altiero. Corse dentro alla porta messa d'oro
Con la donzella in braccio il cavaliero. Dopo non molto giunse Brigliadoro, Che
porta Orlando disdegnoso e fiero. Orlando, come è dentro, gli occhi ira; Né più
il guerrìer né la donzella mira. 9 Subito smonta, e fulminando passa Dove più
dentro il bel tetto s'alloggia. Corre di qua, corre di là, né lassa Che non
vegga ogni camera, ogni loggia. Poi che i segreti d'ogni stanza bassa Ha cerco
invan, su per le scale poggia; E non men perde anco a cercar di sopra. Che
perdesse di sotto, il tempo e V opra. 10 D'oro e di seta i letti ornati
vede:Nulla di muri appar, né di pareti; Che quelle, e il suolo ove si mette il
piede, Son da cortine ascose e da tappeti. Di su di giù va il conte Orlando, e
rìede; Né per questo può far gli occhi mai lieti, Che rìveggiano Angelica, o
quel ladro Che n'ha portato il bel visb leggiadro. 11 E mentre or quinci or
quindi invano il passo Movea, pien di travaglio e di pensieri Ferraù,
Brandimarte e il re Gradasso, Re Sacripante, ed altri cavalieri Vi ritrovò, eh'
andavano alto e basso, Né men facean di lui vani sentieri; E si rammarìcavan
del malvagio Invisibil signor di quel palagio. 12 Tutti cercando il van, tutti
gli danno Colpa di fìurto alcun che lor £att' abbia. Del destrier che gli ha
tolto, altri é in affanno; Ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia; Altri
d'altro l'accusa: e cosi stanno, Che non si san partir di quella gabbia; E vi
son molti, a questo inganno presi, Stati le settimane intiere e i mesL 13
Orlando, poi che quattro volte e sei Tutto cercato ebbe il palazzo strano,
Disse fra sé: Qui dimorar potrei, Gittare il tempo e la fatica invano; E potria
il ladro aver tratta costei Da un'altra uscita, e molto esser lontano. Con tal
pensiero uscì nel verde piato, Dal qual tutto il palazzo era aggirato. Stanza
7. 14 Mentre circonda la casa silvestra, Tenendo pnr a terra il yiso chino, Per
yeder sforma appare, o da man destra 0 da sinistra, di nuovo cammino; Si sente
richiamar da nna finestra: E leva gli occhi; e quel parlar divino Gli pare
udire, e par che miri il viso Che rha da quel che Ai, tanto diviso. 15 Fargli
Angelica udir, che supplicando E piangendo gli dica: Aita, aita; La mia
virginità ti raccomando Più che r anima mia, più che la vita. Dunque in
presenzia del mio caro Orlando Da questo ladro mi sarà rapita? Piuttosto di tua
man dammi la morte, Che venir lasci a sì infelice sorte. 16 Queste parole una
ed un'altra volta Fanno Orlando tornar per ogui stanza, Con passione e con
fatica molta, Ma temperata pur d'alta speranza. Talor si ferma, ed una voce
ascolta, Che di quella d'Angelica ha sembianza, (E s'egli è da una parte, suona
altronde) Che chieggia aiuto, e non sa fovar donde. 17 Ma tornando a Ruggier,
ch'io lasciai quando Dissi che per sentiero ombroso e fosco li gigante e la
donna seguitando, In un gran prato uscito era del bòsco; Io dico ch'arrivò qui
dove Orlando Dianzi arrivò, se'l loco riconosco. Dentro la porta il gran
gigante passa: Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa. 18 Tosto che pon
dentro alla soglia il piede, Per la gran corte e per le loggie mira j Né più il
gigante uè la donna vede, E gli occhi indarno or quinci or quindi aggira: Di su
di giù va molte volte e riede, Né gli succede mai quel che desira: Né si sa
immaginar dove si tosto Con la donna il fellon si sia nascosto. 19 Poi che
revisto ha quattro volte e cinque Di su di giù camere e loggie e sale, Pur di nuovo
ritorna, e non relinque Che non ne cerchi fin sotto le scale. Con speme alfin
che sian nelle propinque Selve, si parte; ma una voce, quale Richiamò Orlando,
lui chiamò non manco, E nel palazzo il fé' ritornar anco. 20 Una voce medesma,
una persona Che paruta era Angelica ad Orlando, Parve a Ruggier la donna di
Dordona, Che lo tenea di sé medesmo in bando. Se con Gradasso o con alcun
ragiona Di quei ch'andavan nel palazzo errando, A tutti par che quella cosa
sia, Che più ciascun per sé brama e desia. 21 Questo era un nuovo e disusato
incanto Ch'avea composto Atlante di Carena, Perché Ruggier fosse occupato tanto
In quel travaglio, in quella dolce pena, Che '1 mal' influsso n' andasse da
canto, L'influsso eh' a morir giovene il mena. Dopo il Castel d'acciar che
nulla. giova, E dopo Alcinai Atlante ancor fa prova. 22 Non pur costui, ma
tutti gli altri a&con . Che di valore in Francia bau mag;gior fama, Acciò
che di lor man Ruggier non mora. Condurre Atlante in questo incauto trama. E
mentre fa lor far quivi dimora, Perché di cibo non pattscan brama, Si ben
fornito avea tutto il palagio, Che donne e cavalier vi stanno ad agio. 23 Ma
torniamo ad Angelica, che seco Avendo quell'anel mirabil tanto, Ch'in bocca a
veder lei fa l'occhio cdeco, Nel dito l'assicura dall'incanto; E ritrovato nel
montano speco Cibo avendo e cavalla e veste e quanto Le fu bisogno, avea fatto
disegno Di ritornare in India al suo bel regno. 24 Orlando volentieri o
Sacripante Voluto avrebbe in compagnia: non ch'ella Più caro avesse V un che l'altro
amante; Anzi di par fu a' lor disii ribella:Ma dovendo, per girsene in Levante,
Passar tante città, tante castella, Di compagnia bisogno avea e di guida, Né
potea aver con altri la più fida. 25 Or l'uno or l'altro andò molto cercando,
Prima ch'indizio ne trovasse o spia, Quando in cittade, e quando in ville, e
quando In alti boschi, e quando in altra via. Fortuna alfin là dove il conte
Orlando, Ferraù e Sacripante era, la invia, Con Ruggier, con Gradasso, ed altri
molti Che v'avea Atlante in stiano intrico avvolti. 26 Quivi entra, che veder
non la può il Mago; E cerca il tutto, ascosa dal suo anello:E trova Orlando e
Sacripante vago Di lei cercare invan per quello ostello. Vede come, fingendo la
sua immago, Atlante usa gran fraude a questo e a quello. Chi tor debba di lor,
molto rivolve Nel suo pensier, né ben se ne risolve. 27 Non sa stimar chi sia
per lei migliore. Il conte Orlando o il He dei fier Circassi. Orlando la potrà
con più valore Meglio salvar nei perigliosi passi: . . Ma se dua guida il fa,
se '1 fa signore; Ch' ella non vede come poi l'abbassi, . Qualunque volta, di
lui sazia, farlo Voglia minore, o in Francia rimandarlo. btanza U. 28 Ma il
Circasso depor, quando le piaccia, Potrà, sebben l'avesse posto in cielo.
Questa sola cagion vuoi ch ella il faccia Sua scorta, e mostri avergli fede e
zelo. L anel trasse di bocca, e di sua faccia Levò dagli occhi a Sacripante il
velo. Credette a lui sol dimostrarsi, e avvenne Ch' Orlando e Ferraù le
sopravvenne. 29 Le sopravvenne Ferraù ed Orlando; Ohe Pnno e T altro parimente
giva Di su di giù " dentro e di fuor cercando Bel gran palazzo lei, eh era
lor Diva. Corser di par tatti alla donna, quando Nessono incantamento gì'
impediva: Perchè Panel ch'ella si pose in mano Fece d'Atlante ogni disegno vano.
80 L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa. Dui di questi guerrier, dei
quali io canto; Nò notte 0 di, dopo ch'entrare in questa Stanza, l'aveano mai
messi da canto; Che facile a portar come la vesta. Era lor, perchè in uso
l'avean tanto. Ferraù il terzo era anco armato, eccetto Che non avea né volea
avere elmetto 81 Finché quel non avea, che '1 paladino Tolse Orlando al fìratel
del re Troiano; Ch'allora lo giurò, che l'elmo fino Cercò dell'Argalia nel
fiume invano; £ sebben quivi Orlando ebbe vicino, Né però Ferraù pose in lui
mano, Avvenne che conoscersi tra loro Non si poter, mentre là dentro f5ro. 82
Era cosi incantato quello albergo, Ch'insieme riconoscer non poteansi. Né notte
mai né di, spada né usbergo Né scudo pur dal braccio rimoveansi. I lor cavalli
con la sella al tergo, Pendendo i morsi dall' arcion, pasceansi In una stanza
che, presso all'uscita, D'orzo e di paglia sempre era fornita. 83 Atlante
riparar non sa né puote Oh' in sella non rimontino i guerrieri, Per correr
dietro alle vermiglie gote, All'auree chiome ed a' begli occhi neri Della
donzella, ch'in fuga percuote La sua giumenta; perchè volentieri Non vede li
treamanti in compagnia, Che forse tolti un dopo l'altro avrìa. 84 E poi che
dilungati dal palagio Gli ebbe si, che temer più non dovea Che centra lor
l'incantator malvagio Potesse oprar la sua fallacia rea; L'anel che le schivò
più d'un disagio, Tra le rosate labbra si chiudea; Donde lor sparve subito
dagli occhi, E li lasdò come insensati e sciocchi. 35 Come che fosse il suo
primier diseguo Di voler seco Orlando o Sacripante, Oh a ritornar l'avessero
nel regno Di Qalafron nell'ultimo Levante, Le vennero amendua subito a sdegno,
E si mutò di voglia in uno istante; E, senza più obbligarsi o a questo o a
quello, Pensò bastar per amendua il suo anello. 36 Volgon pel bosco or quinci
or quindi in fìretla Quelli scherniti la stupida faccia; Come il cane talor, se
gli è intercetta 0 lepre o volpe, a cui dava la caccia. Che d'improvviso in
qualche tana stretta 0 in folta macchia o in un fosso si caccia. Di lor si ride
Angelica proterva. Che non è vista, e i lor progressi osserva. 37 Per mezzo il
bosco appar sol una strada:Credono i cavalier che la donzella Innanzi a lor per
quella se ne vada; Che non se ne può andar se non per quella. Orlando corre, e
Ferraù non bada, Né Sacripante men sprona e puntella. Angelica la briglia più
ritiene, E dietro lor con minor ftta viene. 38 Giunti che far, correndo, ove i
sentieri A perder si venian nella foresta; E cominciar per l'erba i cavalieri A
riguardar se vi trovavan pesta: Ferraù che potea, fra quanti altieri Mai
fosser, gir con la corona in testa, Si volse con mal viso agli altri dui, E
gridò lor: Dove venite vui? 39 Tornate addietro, o pigliate altra via, Se non
volete rimaner qui morti; Né in amar né in seguir la donna mia Si creda alcun,
che compagnia comporti. Disse Orlando al Circasso: Che potrìa Più dir costui,
s'ambi ci avesse scorti Per le più vili e timide puttane Che da conocchie mai
traesser lane? 40 Poi, vèltro a Ferraù, disse: Uoto bestiale, S'io non
guardassi che senz'elmo sei, Di quel e' liLii detto, 3' hai ben eletto 0 male,
Senz'aUm indugia accorer ti farei. Disse 11 8pju,Mniol '¦ Di quoI eh a rae non
cale, Perdio piolùinio tu tnira ti dei? Io srd l'ontra junbidiiì fier far mn
buono Quei (.'he detto Iiu, senaelinQ cume souf". 41 beh, disse Orlando ài
re di Cìrcassia:In mio servigio a costai l'elmo presta, Tsinto eh' io gli abbia
tratta hi p;ia;zia; Cb' altra non yìiH mai dmìle et questa Ki .spose il Re: Vìn
più p,iZ20 sana? il [a se ti par imr la domanda onesta, Pres tallii il tuo'
chMo non sarò men affo Cbc tu sia forse, a castigare un matto. 42 Htkgtjiunse
Fnrrai'i: Seiocclii ui, qnasi Che Hc mi fisime il porhir elmo a ma fin . Voi
'inzA noli TU tbfe;L!'ià rimasi:Che tylti i votri avrei, vtHtru mal irrtìdu. Ma
prr iiiivrarvj in parte li uiir i mm, Per voto così senza me ne vado, Ed
anderò, finch'io non ho quel fino Che porta in capo Orlando paladino. V.ì I
Hnii|tii% rispose sorridendo il Coti te, Ti pellai a s'apo un ilo esser
bastante Far fili Orltui.ìo quel che ìu Aspramonte Kili l?ià fece al figlio
d'Aifoknief Xw/A cnd'iu, se tei vedessi a fronte, Ne tremeresti dal capo alle
piante; Non che volessi V elmo, ma daresti L'altre arme a lui di patto, che ta
vesti. 44 II vantator Spagnnol disse: Già molte Fifate e molte ho cosi Orlando
astretto, Che feudlmente T arme gli ayrei tolte, Quante indosso navea, nonché T
elmetto. £ sMo noi feci, occorrono alle volte Pensier che prima non saveano in
petto: Non n'ebbi, già fa, voglia;. or Paggio, e <5pero Che mi potrà
succeder di leggiero. 45 Non potè aver più pazienzia Orlando, £ gridò:
Mentitor, brutto marrano, In che paese ti trovasti, e quando, A poter più di me
con Tarme in mano? Quel Paladin, di che ti vai vantando, Son io, che ti pensavi
esser lontano. Or vedi se tu puoi V elmo levarme, O s'io son buon per tórre a
te l'altre arme. 50 S'incrudelisce e inaspra la battaglia. D'orrore in vista e
di spavento piena. Ferraù quando punge e quando taglia, Né mena botta che non
vada piena: Ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia E schioda e rompe ed apre e
a straccio mena. Angelica invisibil lor pon mente, Sola a tanto spettacolo
presente. 51 Intanto il re di Circassia, stimando Che poco innanzi Angelica
corresse, Poi ch'attaccati Ferraù ed Orlando Vide restar, per quella via si
messe, Che si credea che la donzella, quando Da lor disparve, seguitata avesse;
Si che a quella battaglia la figliuola Di Galafron fu testimonia sola. 46 Né da
te voglio un minimo vantaggio. Cosi dicendo, F elmo si disciolse, E lo Ruspese
a un ramuscel di faggio; E quasi a un tempo Durindana tolse. Ferraù non perde
di ciò il coraggio; Trasse la spada, e in atto si raccolse Onde con essa e col
levato scudo Potesse ricoprirsi il capo nudo. 52 Poi che, orribil com'era e
spaventosa, L'[ebbe da parte ella mirata alquanto, E che le parve assai
pericolosa Cosi dall'un come dall'altro canto; Di veder novità volunterosa.
Disegnò l'elmo tor, per mirar quanto Fariano i duo guerrier, vistosel tolto;
Ben con pensier di non tenerlo molto. 47 Così li duo guerrieri incomindaro, Lor
cavalli aggirando, a volteggiarsi; E dove r arme si giungeano, e raro Era più
il ferro, col ferro a tentarsi. Non era in tutto 'l mondo un altro paro Che più
di questo avesse ad accoppiarsi: Pari eran di vigor, pkri d'ardire; Né l'un né
l'altro si potea ferire. 53 Ha ben di darlo al Conte intenzione; Ma se ne vuole
in prima pigliar gioco. L'elmo dispicca, e in grembo se lo pone.; E sta a
mirare i cavalieri un poco. Di poi si parte, e non fa lor sermone E lontana era
un pezzo da quel loco, Prima ch'alcun di lor v'avesse mente; Si l'uno e l'altro
era nell'ira ardente. 48 Ch'abbiate, Signor mio, già inteso estimo Che Ferraù
per tutto era fatato, Fuorché là dove l'alimento primo Piglia il bambin, nel
ventre ancor serrato: E finché del sepolcro il tetro limo La faccia gli
coperse, il luogo armato Usò portar, dove era il dubbio, sempre. Di sette
piastre fette a buone tempre. 49 Era ugualmente il Principe d'Anglante Tutto
fatato, fuorché in una parte:Ferito esser potea sotto le piante; Ma le guardò
con ogni studio ed arte. Duro era il resto lor più che diamante, Se la fama dal
ver non si diparte; E l'uno e l'altro andò più per ornato, Che per bisogno,
alle sue imprese armato. 54 Ma Ferraù, che prima v' ebbe gli occhi, Sidispiccò
da Orlando, e disse a lui:Deh come n'ha da male accorti e sciocchi Trattati il
cavalier ch'era con nui! Che premio fia ch'ai vincitor più tocchi, Se 'l beli'
elmo involato n' ha costui? Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira Non vede
l'elmo, e tutto avvampa d'ira. 55 E nel parer di Ferraù concorse. Che '1
cavalier che dianzi era con loro, Se lo portasse; onde la briglia torse, E fé'
sentir gli sproni a Brìgliadoro. Ferraù, che del campo il vide torse, Gli venne
dietro; e poi che giunti fóro Dove neir erba appar l'orma novella Ch' avea
fatto il Circasso e la donzella, 56 Prese la strada alla sinistra il Conte
Verso una valle, ove il Circasso era ito; Si tenne Ferraù più presto al monte,
. Dove il sentiero Angelica avea trito. Angelica in quel mezzo ad una fonte
Giunta era, ombrosa e di giocondo sito, Ch'ognan che passa, alle fresche ombre
invita, Né, senza ber, mai lascia far partita. Stanza 57. 57 Angelica si ferma
alle chiare onde, Non pensando ch'alcun le sopravvegna; £ per lo sacro anel che
la nasconde, Non può temer che caso rio le avvegna. A prima giunta in su T
erbose sponde Del rivo Telmo a un ramuscel consegna; Poi cerca, ove nel bosco è
miglior frasca. La giumenta legar, perchè si pasca. 58 II Cavalier di Spagna,
che venuto Era per Torme, alla fontana giunge. Non T ha si tosto Angelica
veduto, Che gli dispare, e la cavalla punge. L'elmo, che sopra T erba era
caduto, Ritor non può; che troppo resta lunge. Come il Pagan d' Angelica s'
accórse, Tosto vèr lei pien di letizia corse. 59 Gli sparve, cme io dico, ella
davante, Come fantasma al dipartir del sonno. Cercando egli la va per quelle
piante, Né ì miseri occhi più veder la ponno. Bestemmiando Macone e Trivigante.
E di sua legge ogni maestro e donno, Ritornò Ferraù verso la fonte, U'
nell'erba giacer Telmo del Conte. 60 Lo riconobbe, tosto che mirollo, Per
lettere eh' avea scritte nelT orlo; Che dicean dove Orlando gaadagnolio, E come
e quando, ed a chi fé' deporlo. Armossene il Pagano il capo e il collo: Che non
lasciò, pel duol eh' avea, di torlo; Pel duol eh' avea di quella che gli
sparve, Come sparir soglian notturne larve. 61 Poi ch'allacciato s'ha il buon
elmo in testa. Avviso gli é che, a contentarsi appieno, Sol ritrovare Angelica
gli resta, Che gli appar e dispar come baleno. Per lei tutta cercò T alta
foresta; E poi ch'ogni speranza venne meno Di più poterne ritrovar vestigi,
Tornò al campo spagnuol verso Parigi; 62 Temperando il dolor che gli ardea il
petto, Di non aver sì gran disir sfogato, Col refrigerio di portar T elmetto
Che fu d'Orhindo, come avea giurato. Dal Conte, poi che '1 certo gli fu detto,
Fu lungamente Ferraù cercato; Né fin quel dì dal capo gli lo sciolse, Che fra
duo ponti la vita gli tolse. 63 Angelica invisibile e soletta Via se ne va, ma
con turbata fronte, Che delT elmo le duol, che troppa fretta Le avea fatto
lasciar presso alla fonte. Per voler far quel eh' a me far non spetta, (Tra sé
dicea) levato ho Telmo al Conte: Questo, pel primo merito, è assai buono Di
quanto a lui pur obbligata sono. 64 Con buona intenzione (e sallo Iddio),
Benché diverso e tristo effetto segua, Io levai Telmo: e solo il peusier mio Fu
di ridur quella battaglia a triegua; E non che per mio mezzo il suo disio
Questo brutto Spagnuol oggi consegua. Cosi di sé s'andava lamentando D'aver
dell'elmo suo privato Orlando. 65 Sdeiati e malcontent'i, la via prese, Che le
parea miglior, verso Oriente. Più volte ascosa andò, talor palese, Secondo era
opportuno, infra la gente. Dopo molto veder molto paese, Giunse in un bosco,
dove iniquamente Fra ('Uo compagni morti un giovinetto Trovò, ch'era ferito in
mezzo il petto. 66 Ma non dirò d'Angelica or più innante; Che molte cose ho da
narrarvi prima: Né sono aFerraù né a Sacripante, Sin a gran pezzo, per donar
più rima. Da lor mi leva il Principe d'AngUnte, Che di sé vuol che ìnninzi agli
altri esprima Le fatiche e gli affanni che sostenne Nel gran disio, di che a
fin mai non venne. 67 Alla prima città ch'egli ritrova. Perché d'andare occulto
avea gran cura, Si pone in capo una barbuta nova. Senza mirar s'ha debil tempra
o dura. Sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova:Si nella fatagion si
rassicura. Cosi coperto, seguita V inchiesta; Né notte o giorno, o pioggia o
sii l'arresta. C8 Era nell' ora che traea i cavalli Febo del mar, con rugiadoso
pelo, E r Aurora di fior vermigli e gialli Venia spargendo d'ogn' intorno il
cielo; E lasciato le stelle aveano ì balli, E per partirsi postosi già il velo;
Quando appresso a Parigi un di passando, Giostrò di sua virtù gran segno
Orlando. 69 In dna squadre incontrossi; e Manilardo Ne reggea l'una, il
S.vracin canuto. Re di Norizia, già fiero e gagliardo, Or miglior di consiglio,
che d'aiuto; Guidava l'altra sotto il suo stendardo 11 Re di Tremiseu, ch'era
tenuto Tra gli Africani cavalier perfetto: Alzirdo fu, da chi '1 conobbe, detto.
70 Queti con V altro esercito pagano Quella invernata avean fatto soggiorno,
Chi presso alla città, chi più lontano, Tutti alle ville o alle castella
intorno:Ch'avendo speso il re Agramante invano, Per espugnar Parigi, più d'un
giorno, Volse tentar l'assedio finalmente; Poiché pigliar non lo potea
altrimente. 71 E per for questo avea gente infinita: Che oltre a quella che con
lui giunt' era, E quella che di Spagna avea seguiti Del re Marsiglio la real
bandiera, MoltA di Francia n'avea al soldo unita; Che da Parigi insino alla
riviera D'Arli, con parte di Guascogna (eccetto Alcune ròcche), avea tutto
suggetto. stanza 61 72 Or cominciando i trepidi ruelli A sciorre il freddo
ghiaccio in tiepid' onde, E i prati di nuov' erbe, e gli arbuscelli A
rivestirsi di tenera fronde; Ragunò il re Agramante tutti quallf Che seguian le
fortune sue seconde, Per farsi rassegnar l'armata termi; Indi alle cose sue dar
miglior formi. 78 A questo effetto il re di Tremisénne Con quel della Norizia
ne venia, Per là giungere a tempo, ove si tenne Poi conto d'ogni squadra o
buona o ria. Orlando a caso ad incontrar si venne. Come io v' ho detto, in
questa compagnia, Cercando pur colei, come' egli era uso, Che nel career d'Amor
lo tenea chiuso, 74 Come Alzirdo appres&ar vide quel Conte Che di Talor nou
avea pari al mondo, In tal sembiante, in si superba fronte, Che'l Dio dell'arme
a lui parea secondo; Restò stupito alle fattezze conte, Al fiero sguardo, al
viso furibondo:£ lo stimò guerrier d'alta prodezza; Ma ebbe del provar troppa
vaghezza. stanza 75. 77 Con qnal rumor la setolosa frotta Correr da monti suole
o da campagne, Se'l lupo uscito di nascosa grotta, 0 Torso sceso alle minor
montagne. Un tener porco preso abbia talotta. Che con grugnito e gran stridor
si lagene; Con tal lo stnol barbarico era mosso Verso il Conte, gridando:
Addosso, addosso. 78 Lance, saette e spade ebbe V usbergo A un tempo mille, e
lo scudo altrettante:Chi gli percuote con la mazza il tergo, Chi minaccia da
lato, e chi davante. Ma quel, ch'ai timor mai non diede albergo, Estima la vii
turba e Parme tante Quel che dentro alla mandra, all'aer cupo, Il numer
dell'agnelle estimi il lupo. 79 Nuda avea in man quella fulminea spada . Che
posti ha tanti Saracini a morte:Dunque chi vuol di quanta turba cada Tenere il
conto, ha impresa dura e forte. Rossa di sangue già correa la stradi, Capace
appena a tante genti morte; Perchè né targa né cappel difende La fatai
Durindana ove discende, 80 Né vesta piena di cotone, o tele Che circondino il
capo in mille vólti. Non pur per l'aria gemiti e querele, Ma volan braccia e
spalle e capi sciolti Pel campo errando va Morte crudele In molti, varj, e
tutti orribil volti; E tra sé dice: In man d'Orlando vaici Durindana per cento
di mie falci. 75 Era giovane Alzirdo ed arrogante, Per molta forza e per gran
cor pregiato. Per giostrar spinse il suo cavallo innante:Meglio per lui se
fosse in schiera stato:Che nello scontro il Principe d'Anglante Lo fé' cader,
per mezzo il cor passato. Giva in fuga il destrier, di timor pieno; Che su non
v'era chi reggesse il freno. 76 Levasi un grido subito ed orrendo, Che d'ogn'
intomo n' ha l'aria ripiena, Come si vede il giovane, cadendo, Spicciar il
sangue di si larga vena. La turba verso il Conte vien fremendo Disordinata, e
tagli e punte mena; f Ma quella épiù, che con pennuti dardi Tempesta il fior
dei cavalier gagliardi. 81 Una percossa appena l'altra aspetta:Ben tosto
cominciar tutti a fuggire; E quando prima ne ventano in fretta, Perch'era sol,
credeanselo inghiottire. Non é chi per levarsi della stretta L'amico aspetti, e
cerchi insieme gire:Chi fogge a piedi in qua, chi colà sprona; Nessun domanda
se la strada è buona. 82 Virtnde andava intomo con lo speglio Che fa veder
nell' anima ogni ruga:Nessun vi si mirò, se don un veglio A cui il sangue l'età,
non l'ardir, scinga. Vide costui quanto il morir sia meglio, Che con suo
disonor mettersi in fuga; Dico il Re di Norizia: onde la landaArrestò contra il
Paladin di Francia, 83 E la ruppe alla penna dello scado Del fiero Conte, che
nolla si mosse. Egli, eh ayea alla posta il brando nudo, Ite Hanilardo al
trapassar percosse. Fortuna T aiutò; che ì ferro crudo In man d Orlando al
venir giù voltosse. Tirare i colpi a filo ognor non lece; Ma pur di sella
stramaszar lo fece. 86 II suo cammin, di lei chiedendo spesso, Or per ìì campi
or per le selve tenne:E siccome era uscito di sé stesso, Usd di strada, e appiè
d un monte venne, Dove la notte fuor d'un sasso fesso Lontan vide un splendor
batter le penne. Orlando al sasso per veder s' accosta, Se quivi fosse Angelica
reposta. Stanza 89. 84 Stordito deirarcion quel Re stramazza: Non si rivolge
Orlando a rivederlo; Che gli altri taglia, tronca, fende, ammazza A tutti pare
in su le spalle averlo. Come per Varia, ove bau si larga piazza, Fnggon li
stomi dall' audace smerlo; Cosi di quella squadra ormai disfatta Altri cade,
altri fugge, altri s' appiatta. 8.5 Non cessò pria la sanguinosa spada, Che fVi
di viva gente il campo vóto. Orlando è in dubbio a ripigliar la strada, Benché
gli sia tutto il paese noto. 0 da man destra o da sinistra vada, Il pensier
dall' andar sempre è remoto:D'Angelica cercar, faor eh' ove pia, Sempre è in
timore, e far contraria via. 87 Come nel bosco dell'umil ginepre, 0 nella
stoppia alla campagna aperta, Quando si cerca la paurosa lepre Per traversati
solchi e per via incerta, Si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre, Se per
ventura vi fosse coperta; Così cercava Orlanlo con gran peni La donni sua, dove
speranza il mena. Stanza 9l. 88 Verso quel raggio andando in fretta il Conte,
Giunse ove nella selva si diffonde Dall'angusto spiraglio di quel monte, Ch'
una capace grotta in sé nasconde:E trova innanzi nella prima fronte Spine e
virgulti, come mura e sponde, Per celar quei che nella grotta stanno, Da chi
far lor cercasse oltraggio e danno. 81) Di giorno ritrovata non sarebbe; Ma la
facea di notte il lume aperta Orlando pensa ben quel ch'esser debbo; Pur vuol
saper la cosa anco più certa. Poi che legato fuor Brigliidoro ebbe, Tacito
viene alla grotta coperta; fra li spessi rami nella buca Entra, senza chiamar
chi V introduca. 90 Scende la tomba molti gradi al basso, Dove Ja viva gente
sta sepolta. Era non poco spazioso il sasso Tagliato a punte di scarpelli in
volta; Né di luce diurna in lutto casso, Benché l'entrata non ne dava molta; Ma
ne venia assai da una finestra Che sporgea in un pertugio da man destra. 91 In
mezzo la spelonca, appresso a un fuco, Era una donna di giocondo viso. Quindici
anni passar dovea di poco, Quanto fu al Conte, al primo sguardo, avviso. Ed era
bella si, che facea il loco Salvatico parere un paradiso; Bench' avea gli occld
di lacrime pregni, Del cor dolente i nnifesti segni. 92 V'era una vecchia; e
faiiean gvioi eontese Come uso femminil spesso esser saole; Ma come il Conte
nella grotta scese, Finiron 1 dispute e le parole. Orlando a Falutaile tu
cortese, Come con donne sempre esser si vuole; Ed elle ""i levaro
immantinente, E lui risalutar beuignamcnie. 93 Gli é ver che si smarrirò in
faccia alquanto " Come improvviso udiron quella voce, E insieme entrare armato
tutto quanto Vider là dentro un uom tanto feroce. Orlando domandò qual fosse
tanto Scortese, ingiusto, barbaro ed atroce. Che nella grotta tenesse sepolto
Un si gentile ed amoroso volto. 94 La vergine a fatica gli rispose, Interrotta
dai fervidi signozzi, Che dai coralli e dalle preziose Perle uscir fanno i
dolci accenti jnozzi. Le lacrime scendean tra gigli e rose, Là dove avvien
ch'alcuna se n'ingfaiozzi. Piacciavi udir nell'altro Canto il resto. Signor,
che tempo è ornai di finir questo. N O T] St. 1. v.15. Cerere f dea favolosa,
era figlia di Cibele, qui detta madre Idea per il culto speciale che le si
rendeva in Frigia sul monte Ida. Et,crlado, nno dei giganti fulminati da Giove,
giace, secondo i mitologi, sotto r Etna in Sicilia. Proserpina, fl ffl a di
Cerere, lasciata dalla madre in una valle del l'Etna, si finge dai poeti essere
stata ivi rapita da natone. St. 3 V 27 Cerere, rappresentata mitologicamente
sopra nn carro tirato da draghi, fu detta ehuMna, pei misteri che se ne
celebravano in Eleiisi, antica citt& dell'Attica, ora villaggio detto
Lepsina. St 4. V.4. Libia denominarono gli antichi quella l"arte d'AfHca
settentrionale ch'è bagnata dal Mediter laneo, e giace fra l'Etiopia e il mare
Atlanlico. St. 8. V.3. Messa d'oro; messa, per adorna. Ora direbbesi: adoma
d'ero. 3t. 11. V.3. OiadassOf re di Seiicana. St. 19. V.35. Relinquet per
lascia, St. 31. V.2. Fratel del re Troiano ta Almonte. St. 47 V.34. Dove
Varnif, ecc. Intendasi che i due i;aerrieri cominciarono a provocarsi con la
spada nelle commettiture dell usbergo, perchè ivi le pani dell'ar madura
combaciano meno Ara loro. St. 57. v.3. Chiama sacro ranelle d Angelica, per chè
consacrato con segni magici. St. 59. v.5. Macone (o Maometto, che lo
stesa" e Trivi gante y due soggetti di venerazione reliotaper quei pagani
saracini. St. €9. v.3 6. Norirìa, Ninna traccia si ha di qaesto paese,
necessariamente africano, e che non può quindi essere il Noricum dei Latini.
St. 71. V.e7. Per la Wtiera d'ArH s'inti'iile il Rodano, che bagna Arles città
della Provenza. St. 73. v.1. Tremisenne o Tre mecn, nome di un antico regno
d'Africa neMa Berberia, formante ora tutta 0 parte della provincia di Orano
nello stato d Algm; di cui la città pia importante chiamasi in oggi Telemsea.
St. t3. V.1. ¦ Penna chiamavasi il vertice o som mità dello scudo. St. 84. v.9.
Smerhf uccello di rapina: è detto co munemente smeriglio. Sr. 94. V.24.
Sigìiiono singhiojsao. Yooe an tiquata. stanza 37. laabffllEL ra[:cot]ta ad
Orhtncìo le propirie clÌ3mv?KtibuT". Sopra vven guno 1 mii'amli'iiii
abìhUQi'i della caveiia: QTlando fli uccide tDtri, poi ELbbiviidoiiEL il luogo.
cutiditCtiiido seco Umbella. Bi'a dà romite ode da Melisaa che Ruggiero è
veìmto in rodere del vrctihio prcsiigiaroie: va pur liberamelo, e rimane piaia
dalUi Btesso in cali tea Ini ti. L>igr"sj(ioue encomiastica di Melisma
auLLe donne appartcnt!!!] ì alla casa d ELo. Ben furo avventarosi i cavalieri
C'Iterano a quella et A, che nei valloni " Nelle scure speloutihe e boschi
fieri, Tane di serpi, tV orsi e ili leoni, Trtjvavan qnel che nei pahizzi
altieri A pena or trovar puoii giudici buoni; Donne, ihe neìK lor più fresca
etade Sien degne d'afer litol di beltà de. Di sopra vi narrai che nella grotta
Avea trovato Orlando una donzella, E che le dimandò ch'ivi condotta L'avesse:
or seguitando, dico eh' ella, Poi che più d'on signozzo l'ha interrotta, Con
dolce e snavissima favella Al Conte fa le sue sciagure note, Con quella brevità
che meglio puote. 8 Benché io sia certa, dice, o cayaliero, Ch' io porterò del
mio parlar supplizio, Perchè a colui che qui m' ha chiusa, spero Che costei ne
darà subito indizio; Pur son disposta non celarti il vero, E yada la mia vita
in precipizio. E eh' aspettar poss' io da lui più gioia, Chel si disponga un di
voler ch'io muoia? 4 Isabella son io, che figlia fdi Del Re mal fortunato di
Gallizia: Ben dissi fui; eh' or non son più di lui, Ma di dolor, d'affanno e di
mestizia: Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui Dolermi più, che della sua
nequizia: Che dolcemente nei principj applaude, E tesse di nascosto inganno e
fraude. 5 Già mi vivea di mia sorte felice, 'Gentil, giovane, ricca, onesta e
bella: Vile e povera or sono, or infelice; E s' altra è peggior sorte, io sono
in quella. Ma voglio sappi la prima radice Che produsse quel mal che mi
flagella; E bench'aiuto poi da te non esca. Poco non mi parrà che te n'
incresca. 6 Mio padre fé' in Baiona alcune giostre: Esser denno oggimai dodici
mesi. Trasse la fama nelle terre nostre Cavalieri a giostrar di più paesi. Fra
gli altri (o sia eh' Amor cosi mi mostre, 0 che virtù pur sé stessa palesi) Mi
parve da lodar Zerbino solo, Che del Gran Re di Scozia era figliuolo.7 H qual
poiché far prove in campo vidi Miracolose di cavalleria, Fui presa del suo
amore; e non m' avvidi, Ch' io mi conobbi più non esser mia. E pur, benché '1
suo amor cosi mi guidi, Mi giova sempre avere in fantasia Ch'io non misi il mio
core in luogo immondo. Ma nel più degno e bel ch'oggi sia al mondo. 8 Zerbino
di bellezza e di valore Sopra tutti i signori era eminente. Mostrommi, e credo
mi portasse amore, £ che di me non fosse meno ardente. Non ci mancò chi del
comune ardore Interprete fra noi fosse sovente, Poiché di vista ancor fummo
disgiunti; Che gli animi restar sempre congiunti:9 Perocché dato fine alla gran
festa. Il mio Zerbino in Scozia fé ritomo. Se sai che cosa é amor, ben sai che
metta Restai, di lui pensando notte e giorno; Ed era certa che non men molesta
Fiamma intorno al suo cor facea soggìorao. Egli non fece al suo disio più
schenni. Se non che cercò via di seco avenm. 10 E perché vieta la diversa fede
(Essendo egli Cristiano, io Saradna) Ch'ai mio padre per moglie non mi diìede,
Per furto indi levarmi si destina. Fuor della ricca mia patria, che siede verdi
campi a lato alla marina, Aveva un bel giardin sopra una riva Che colli intomo
e tutto il mar scopriva. Gli parve il luogo a fornir ciò disposto, Che la
diversa religion ci vieta; E mi fa saper l'ordine che posto Avea di far la
nostra vita lieta. Appresso a Santa Marta avea nascosto Con gente armata una
galea secreta, In guardia d'Odorico di Biscaglia, In mare e in terra mastro di
battaglia. 12 Né potendo in persona far l'effetto, Perch'egU allora era dal
padre antico A dar soccorso al Re di Francia astretto, Manderia in vece sua
questo Odorico, Che fra tutti i fedeli amici eletto S' avea pel più fedele e
pel più amico; E bene esser dovea, se i benefici Sempre hanno forza d'acquistar
gli amicL 13 Yerria costui sopra un navilio armato, Al terminato tempo indi a
levarmi. E cosi venne il giorno disiato Che dentro il mio giardin lasciai
trovarmi.Odorico la notte, accompagnato Di gente valorosa all'acqua e all'armi
Smontò ad un fiume alla città vicino E venne chetamente al mio giardino. 14
Quindi fui tratta alla galea spalmata Prima che la città n'avesse avvisi Della
famiglia ignuda e disarmata Altri fuggirò, altri restaro uccisi, Parte captiva
meco fu menata. Cosi dalla mia terra io mi divisi. Con quanto gaudio non ti
potrei dire, Sperando in breve il mio Zerbin fruire.Toltati sopra Mongìa eràmo
appena Quando ci assalse alla sinistra sponda Un vento che turbò V aria serena,
£ turbò il mare, e al del gli levò Tonda. Salta un Maestro cb a traverso mena,
£ cresce ad ora ad ora, e soprabbonda; £ cresce e soprabbonda con tal forza,
Che vai poco alternar poggia con orza. 16 Non giova calar vele, e Tarbor sopra
Corsia legar, né minar castella; Che ci veggiam mal grado portar sopra Acuti
scogli, appresso alla Boccila. Se non ci aiuta quel che sta disopra, Ci spinge
in terra la crudel procella. Il vento rio ne caccia in maggior fretta, Che darco
mai non si avventò saetta. 21 0 che m avesse in mar bramata ancora, Né fosse
stato a dimostrarlo ardito; 0 cominciasse il desiderio allora, Che Pagio v'ebbe
dal solingo lito; Disegnò quivi senza più dimora Condurre a fin l'ingordo suo
appetito; Ma prima da sé tórre un delli dui Che nel battei campati eran con
nui. 22 Quell'era uomo di Scozia, Almonio detto, Che mostrava a Zerbin portar
gran fede; E commendato per guerrier perfetto Da lui fti, quando ad Odorico il
diede. Disse a costui, che biasmo era e difetto Se mi traeano alla Boccila a
piede; E lo pregò ch'innanti volesse ire A farmi incontra alcun ronzin venire.
17 Vide il periglio il Biscagline, e a quello Usò un rimedio che fallir suol
spesso:Ebbe ricorso subito al battello; Calessi, e me calar fece con esso.
Sceser dui altri, e ne scendea un drappello, Se i primi scesi V avesser
concesso; Ma con le spade li tennér discosto, Tagliar la fune, e ci allargammo
tosto. 18 Fummo gittati a salvamento al lito Noi che nel palischermo eramo
scesi; Periron gli altri col legno sdrucito:In preda al mare andar tutti gli
arnesi. All' eterna Boutade, all' infinito Amor, rendendo grazie, le man stesi,
Che non m'avesse dal furor marino Lasciato tor di riveder Zerbino. 19 Comech'io
avessi sopra il legno e vesti Lasciato e gioie e l'altre cose care. Purché la
speme di Zerbin mi resti. Contenta son che s' abbi i resto il mare. Non sono,
ove scendemmo, i liti pesti D'alcun sentier, né intomo albergo appare; Ma solo
il monte, al qual mai sempre fiede L' ombroso capo il vento, e'i mare il piede.
20 Quivi il cmdo tiranno Amor, che sempre D'ogni promessa sua fu disleale, E
sempre guarda come inveiva e stempre Ogni nostro disegno razionale, Mutò con
triste e disoneste tempre Mio conforto in dolor, mio bene in male; Che quell'amico,
in chi Zerbin si crede, Di desir arse, ed agghiacciò di fede. 23 Almonio, che
di ciò nulla temea, Immantinente innanzi il cammin pigba Alla città che '1
bosco ci ascondea, E non era lontana oltre sei miglia. Odorico scoprir sua
voglia rea All'altro finalmente si consiglia; Si perchè tor non se lo sa
d'appresso Si perché avea gran confidenzia in esso. 24 Era Corebo di Bilbao
nomato Quel di eh' io parlo che con noi rimase; Che da fanciullo picciolo
allevato S'era con lui nelle medesme case. Poter con lui comunicar l'ingrato
Pensiero il traditor si persuase, Sperando eh' ad amar saria più presto Il
piacer dell' amico, che l'onesto. 25 Corebo, che gentile era e cortese, Non lo
potè ascoltar senza gran sdegno Lo chiamò traditore, e gli contese Con parole e
con fatti il rio disegno. Grand'ira all'uno e all'altro il core accese, E con
le spade nude ne fer segno. Al trar de' ferri io fui dalla pauraVolta a fuggir
per l'alta selva oscura. 26 Odorico, che mastro era di guerra, In pochi colpi a
tal vantaggio venne, Che per morto lasciò Corebo in terra, E per le mie
vestigio il cammin tenne. Prestògli Amor (sei mio creder non erra), Acciò
potesse giungermi, le penne; E gì' insegnò molte lusinghe e prieghi, Con che ad
amarlo e compiacer mi pieghi.Ma tutto è indarno; che fermata e certa Piuttosto
era a morir, eh' a satisfarli. Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta Ebbe e
minacce, e non poteau giovarli, Si ridusse alla forza a faccia aperta. Nulla mi
vai che supplicando parli Della fe'ch'avea in lui Zerbino avuta, £ ch'io nelle
sue min m'era creduta. \S Poiché gittar mi vidi i prieghi invano, Né mi sperare
altronde altro soccorso, E che più sempre cupido e villano A me venia, come
famelic' orso; Io mi difesi con piedi e con mano, Et adopraivi sin all' ugne e
il morso; Pelaigli il mento, e gli graffiai la pelle, Con stridi che n'andavano
alle stelle. 29 Non 80 se fosse Gaso, o li miei gridi Che si doveano udir lungi
una lega; Oppur ch usati sian correre ai lidi, Quando navilio alcun si rompe o
anniega:Sopra il monte una turba apparir vidi:E questa al mare e verso noi si
piega. Come la vede il Biscaglin venire, Lascia V impresa, e voltasi a fuggire.
30 Contra quel disleal mi fu adiutrice Questa turba, signor; ma a quella imago
Che sovente in proverbio il volgo dice: Cader della padella nelle brage. Gli è
ver ch io non son stata sì infelice, Né le lor menti ancor tanto malvage,
Ch'abbino violata mia persona: Non che sia in lor virtù, nò cosa buona; Stanza
2ò. Stanca 2S 33 II primo d essi, uom di spietato viso, Ha solo un occhio, e
sguardo scuro e bieco; L'altro d'un colpo che gli avea reciso Il naso e la
mascella, è fatto cieco. Costui vedendo il cavaliero assiso Con la vergine
bella entro allo speco, Vólto accompagni, dime: Ecco augel novo, A cui non
tesi, e nella rete il trovo. 3t Ma perchè se mi serban, com'io sono. Vergine,
speran vendermi più molto. Finito è il mesa ottavo, e viene il nono, Che fu il
mio vivo corpo qui sepolto. Del mio Zerbino ogni speme abbandou); Che già, per
quanto ho da' lor detti accolto, M'han promessa e venduta a un mercadante Che
portare al soldau mi de' in Levante. 32 Cosi parlava la gentil donzella:E
spesso con singhiozzi e con sospiri Interrompea l'angelica favella. Da muovere
a pietade aspidi e tiri. Mentre sua doglia cosi rinnovella, 0 forse disacerba i
suoi martiri, Da venti uomini entrar nella spelonca, Armati chi di spiedo e chi
di ronca. fiitauza 'ab. 34 Poi disse al Conte: Uomo noa yidi Più comodo di te,
né più opportuno. Non so se ti se' apposto, o se lo sai Perchè te V abbia forse
detto alcuno, Che si beli arme io desiava assai, E questo tuo leggiadro abito
bruno. Venuto a tempo yeramente sei. Per riparare filli bisogni miei. mai 35
Sorrise amaramente, in piò salito, Orlando, e fé' risposta al mascalzone:Io ti
venderò Parme ad un partko Che non ha mercadante in sua ragione. Del fuoco, eh'
avea appresso, indi rapito Pien di fuoco e di fumo uno stizzone, Trasse e
percosse il malandrino a caso Dove confina con le ciglia il naso. 36 Lo
stizEone ambe le palpebre colse, Ma maggior danno fé' nella sinistra; Che qneUa
parte misera gli tolse. Che della luce sola era ministra. Né d'acciecarlo
contentar si volse Il colpo fier, s' ancor non lo registra Tra quegli spirti
che con suoi compagni Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni. 37 Nella
spelonca una gran mensa siede, Grossa duo palmi e spaziosa in quadro, Che sopra
un mal pulito e grosso piede Cape con tutta la famiglia il ladro. Con
quell'agevolezza che si vede Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro Orlando il
grave desco da séscaglia Dove ristretta insieme è la canaglia. 40 Quei che la
mensa o nullo o poco offese. (E Turpin scrìve appunto che fur sette) Ai piedi
raccomandan sue difese; Ma neir uscita il paladin si mette:E poi che presi gli
ha senza contese, Le man lor lega con la fune istrette, Con una fune al suo
bisogno destra, Che ritrovò nella casa silvestra. MH: >A.' stanza 36. 38 A
chil petto, a cbi'l ventre, a chi la tesu, A chi rompe le gambe, a chi le
braccia; Di ch'altri muore, altri storpiato resta: Chi meno è offeso, di fuggir
procaccia. Cosi talvolta un grave sasso pesta E fianchi e lombi, e spezza capi
e schiaccia, Gittato sopra un gran drappel di bisce, Che dopo il verno al sol
si goda e lisce. 39 Nascono casi, e non saprei dir quanti:Una muore, una parte
senza coda, Un'altra non si può muover davanti, E'I deretano indamo aggira e
snoda; Un'altra, ch'ebbe più propizj i santi. Striscia fra l'erbe, e va
serpendo a proda. Il colpo orribil fu, ma non mirando, Poiché lo fece il
valoroso Orlando. stanza 41. 41 Poi li strascina fuor della spelonca. Dove
facea grand'ombra un vecchio sorbo. Orlando con la spada i rami tronca, E
quelli attacca per vivanda al corbe. Non bisognò catena in capo adonca; Che per
purgare il mondo di quel morbo;L'arbor medesmo gli uncini prestolli, Con che
pel mento Orlando ivi attaccolli. 42 La donna yecchia, amica a malandrini,
Poiché restar tutti li YÌde estinti, "ggì piangendo, e con le mani ai
crini, Per Eelye e boscherecci labirinti. Dopo aspri e malagevoli cammini, A
gravi passi e dal timor sospinti, In ripa un fiume in un gnerrier scontrosse;
Bf a differisco a ricontar chi fosse:43 E tomo all'altra che si raccomanda Al
paladin, che non la lasci sola; E dice di seguirlo in ogni banda. Cortesemente
Orlando la consola; E quindi, poi ch'usci con la ghirlanda Di rose adorna e di
purpurea stola La bianca Aurora al solito cammino, Parti con Isabella il
paladino. 44 Senza trovar cosa che degna sD'istoria, molti giorni insieme
andaro; E finalmente un cavalier per via. Che prigione era tratto, riscontraro.
Chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia Tal, di chi udir non vi sarà men caro: La
figliuola d'Amon, la qual lasciai Languida dianzi in amorosi guaL 45 La bella
donna, disiando in vano Ch' a lei facesse il suo Ruggier ritorno, Stava a
Marsiglia, ove allo stuol pagano Dava da travagliar quasi ogni giorno; Il qual
scorrea, mband ) in monte e in piano. Per Linguadoca e per Provenza intorno; Ed
ella ben facea l'ufficio vero Di savio duca e d'ottimo guerriero,. 4H Standosi
quivi, e di gran spazio essendo Pa"isato il tempo che tornare a lei Il suo
Ruggier dovea, né lo vedendo, Vivea in timor di mille casi rei. Un di Ara gli
altri, che di ciò piangendo Stava solinga, le arrivò colei Che portò nell'anel
la medicina Che sanò il cor ch'avea ferito Akina. 47 Come a sé ritornar senza
il suo amante. Dopo si lungo termine', la vede. Resta pallida e smorta, e si
tremante, Che non ha forza di teneisi in piede: Ma la maga gentil le va davante
Ridendo, poi che del timor s'avvede; E con viso giocondo la conforta, Qual aver
suol chi buone nove apporta. 48 Non temer, disse, di Ruggier, donzeUa; Oh' è
vivo e sano, e, come suol, t' adora:Ma non é già in sua libertà; che quella Pur
gli ha levata il tuo nemico ancorf:Ed é bisogno che tu monti in sella. Se brami
averlo, e che mi segni or ora; Che se mi segui, io t' aprirò la via, D'onde per
te Ruggier libero fia. 49 E seguitò, narrandole di quello Magico error che gli
avea ordito Atlante: Che simulando d'essa il viso bello. Che captiva parea del
rio gigante, Tratto l'avea nell'incantato ostello, Dove sparito poi gli era
d'avante; E come tarda con simile inganno Le donne e i cavalier che di là
vanno. 50 A tutti par, l'incantator mirando, Mirar quel che per sé brama
ciascuno, Donna, scudier, compagno, amico; quando Il desiderio nman non é
tutt'uno. Quindi il palagio van tutti cercando Con lungo affanno, e senza
frutto alcuno; E tanta è la speranza e il gran disire Del ritrovar, che non ne
san partire. Stanza 47. 51 Come tu giungi, disse, in quella parte Che giace
pressa ali incantata stanza, Verrà V incantatore a ritroyarte, Che terrà di
Ruggiero ogni sembianza; E ti farà parer con sua maPurte, Ch'ÌTÌ lo Tinca alcun
di più possanza. Acciò che tu per aiutarlo vada Dove con gli altri poi ti tenga
a bada. 52 Acciò gl'inganni, in che son tanti e tanti Caduti, non ti colgan,
sie avvertita Che sebben di Ruggier visa e sembianti Ti parrà di veder, che
chieggia aita, Non gli dar fede tu; ma, come avanti Ti vien, fàgìi lasciar V
indegna vita:Né dubitar per ciò che Ruggier muoia, Ma ben colui che ti dà tantA
noia. 53 Ti parrà dnro assai, ben Io conosco, Uccìder un che sembri il tuo
Ruggiero: Por non dar fede ali occhio tao, che losco Farà V incanto, e
celeràgli il vero. Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco, Si, che poi non si
cangi il tuo pensiero; Che sempre di Ruggier rimarrai priva, Se lasci per viltà
chel mago viva. 54 La valorosa giovane, con questa Intenzion che'l frandolente
uccida, A pigliar Parme .ed a seguire è presta Melissa; che sa ben quanto Tè
fida. Quella, or per terren culto, or per foresta, A gran giornate e ip gran
fretta la guiMn . Cercando alleviarle tuttavia Con parlar grato la noiosa via.
55 E più di tutti i bei ragionamenti, Spesso le ripetea ch'uscir di lei E di
Ruggier doveano gli eccellenti Principi e gloriosi semidei. Come a Melissa f
ossine presenti Tutti i secreti degli etemi Dei, Tutte le cose ella sapea
predire, Ch'avean per molti secoli a venire. 56 Deh ! come, o prudentissima mia
Fcorta, (Dicea alla maga T inclita donzella) Molti anni prima tu m'hai fatto
accorta Di tanta mia viril pr( genie bella; Cosi d'alcuna donna mi conforta.
Che di mia stirpe sia, s' alcuna in quella Metter si può tra belle e virtuose.
E la cortese maga le rispose: 57 Da te uscir veggio le pudiche donne; Madri
d'imperatori e di gran regi, Reparatrici e solide colonne Di case illustri e di
dominj egregi; Che men degne non son nelle lor gonne, Ch' in arme i cavalier,
di sommi pregi, Di pietà, di gran cor, di gran prudenza, Di somma e
incomparabil continenza. 58 E s'io avrò da narrarti di ciascuna Che nella
stirpe tua sia d'onor degna, Troppo sarà; ch'io non ne veggio alcuna Che passar
con silenzio mi convegna. Ma ti farò tra mille scelta d'una 0 di due coppie,
acciò eh' a fin ne vegna Nella spelonca perchè noi diòesti? Che l'immagini
ancor vedute avresti. 69 Della tua Chiara stirpe uscirà quella D'opere illustri
e di bei studj amica. Ch'io non so ben se più leggiadra e bella Mi debba dire,
o più saggia e pudica, Liberale e magnanima Isabella, Che del bel lume suo di e
notte aprica Farà la terra che sul Menzo siede, A cui la madre d'Ocno il nome
diede; 60 Dove onorato e splendido certame Avrà col suo dignissimo consorte.
Chi di lor più le virtù prezzi ed ame, E chi meglio apra a cortesia le porte.
S' un narrerà eh' al Taro e nel reame Fu a liberar da' Galli Italia forte;
L'altra dirà: Sol perchè casta visse, Penelope non fu minor d'Ulisse. 61 Gran
cose e molte in brevi detti accolgo Di questa donna, e più dietro ne lasso, Che
in quelli di ch'io mi levai dal volgo, Mi fé' chiare Merlin dal cavo sasso. E
s'in questo gran mar la vela sciolgo. Di lunga Tifi in navigar trapasso.
Conchiudo in somma, ch'ella avrà, per dono Della virtù e del ciel, ciò eh' è di
buono. 62 Seco avrà la sorella Beatrice, A cui si converrà tal nome appunto:
Ch'essa non sol del ben che quaggiù lice, Per quel che viverà toccherà il
punto; Ma avrà forza di far seco felice Fra tutti i ricchi duci il suo
congiunto, H qual, come ella poi lascerà il mondo, Cosi degl'infelici andrà nel
fondo. 63 E Moro e Sforza e viscontei colubri, Lei viva, formidabili saranno
Dall'iperboree nevi ai lidi rubri, Dall'Indo ai monti ch'ai tuo mar via danno
Lei morta, andran col regno degl'Insubri, E con grave di tutta Italia danno, In
servitute; e'fia stimata, senza Costei, ventura la somma prudenza. 64 Vi
saranno altre ancor, ch'avranno il nome Medesmo, e nasceran molt' anni prima:Di
ch'una s'ornerà le sacre chiome Della corona di Pannonia opima; Un'altra, poi
che le terrene some Lasciate avrà, fia nell'ausonio clima Collocata nel numer
delle Dive, Ed avrà incensi e immagini votive. Merlino. 66 Dell' altre tacerò;
che, come ho detto, Lungo sarehhe a ragionar di tante: Benché per sé ciascuna
abbia suggetto Degno ch'eroica e chiara tuba caute. Le Bianche, le Lucrezie io
terrò in petto, E le Costanze e T altre, che di quante Splendide case Italia
reggeranno, Beparatrici e madri ad esser hanno. 66 Più eh' altre fosser mai, le
tue famiglie Saran nelle lor donne avventurose; Non dico in quella più delle
lor figlie, Che neir alta onestà delle lor spose. E acciò da te notizia anco si
pigile Di questa parte che Merlin mi espose, Porse perch' io '1 dovessi a te
ridire, Ho di parlarne non poco desire. E dirò prima dì Eicdarda, degno Esempio
di fortezza e d onestade:Vedova rìmArrà, giovane, a sdegno Di Fortuna; il che
spesso ai buoni accade. I figli privi del paterno regno, Esuli andar vedrà in
strane contrade, Fanciulli in man degli awersarj loro; Ma in fine avrà il suo
male ampio ristoro. Stanza i5. 70 Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro.
Il campestre papavero alla rosa, Pallido salce al sempre verde alloro, Dipinto
vetro a gemma preziosa; Tal a costei, eh' ancor non nata onoro, Sarà ciascuna
insino a qui famosa Di singular beltà, di gran prudenzia, E d'ogni altra
lodevole eccellenzia. 71 E sopra tutti gli altri incliti pregi Che le saranno e
a viva e a morta dati, Si loderà che di costumi regi Ercole e gli altri figli
avrà dotati, E dato gran principio ai ricchi fregi Di che poi s'orneranno in
toga e armati; Perchè l'odor non se ne va si in fretta, Ch' in nuovo vaso, o
buono o rio, si metta. 72 Non voglio eh' in silenzio anco Renata Di Francia,
nuora di costei, rimagna, Di Luigi duodecimo re nata, E dell' etema gloria di
Bretagna. Ogni virtù ch'in donna mai sia stata, Di poi che'l fuoco scalda e
l'acqua bagna, E gira intorno il cielo, insieme tutta Per Renata adornar veggio
ridutta. 73 Lungo sarà che d'Alda di Sansogna Narri, o della contessa di
Celano, G di Bianca Maria di Catalogna, 0 della figlia del re sicigliano, 0
della bella Lippa da Bologna, E d'altre; che s'io vo'di mano in manu Venirtene
dicendo le gran lode. Entro in un alto mar che non ha prode. 68 Dell'alta
stirpe d'Aragona antica Non tacerò la splendida regina. Di cui né saggia si, né
si pudica Veggio istoria lodar greca o latina, Né a cui fortuna più si mostri
amica; Poiché sarà dalla Bontà divina Eletta madre a partnrir la bella
Progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella. 74 Poi che le raccontò la maggior parte
Della futura stirpe a suo grand' agio, Più volte e più le replicò dell'arte
Ch'aver tratto Ruggier dentro al palagio. Melissa si fermò, poiché fu in parte
Vicina al luogo del vecchio malvagio; E non le parve di venir più innante, Aedo
veduta non fosse da Atlante: 9 Costei sarà la saggia Leonora, Che nel tuo
felice arbore s'innesta Che ti dirò della seconda nuora, Sneceditrice prossima
di questa? Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora La beltà, la virtù, la fama
onesta, E la fortuna crescerà non meno Che giovin pianta in morbido terreno. 75
E la donzella di nuovo consiglia Di quel che mille volte ormai l'ha detto. La
lascia sola; e quella oltre a dua miglia Non cavalcò per un sentiero istretto,
Che vide quel eh' al suo Ruggier simiglia:E dui giganti di crudele aspetto
Intorno avea, che lo stringean si forte, Ch' era vicino esser condotto a morte.
76 Come la donna in tal perìglio vede Colui che di Ruggiero ha tutti i segni,
Subito cangia in sospizion la fede, Subito obblia tutti i suoi bei disegni. Che
sia in odio a Melissa Ruggier crede, Per nuova ingiuria e non intesi sdegni, E
cerchi far con disusata trama Che sia morto da lei che cosi Tama. 78 Mentre che
cosi pensa, ode Ja voce, Che le par di Ruggier, chieder soccorso; E vede quello
a un tempo, che veloce Sprona il cavallo e gli rallenta il morso, E r un nemico
e l'altro suo feroce, Che lo segue e lo caccia a tutto corso. Di lor seguir la
donna non rimase, Che si condusse air incantate case. 79 Delle quai non più
tosto entrò le porte, Che fu sommersa nel comune errore. Lo cercò tutto per vie
dritte e torte In van di su e di giù, dentro e di fuore:Né cessa notte o di;
tanto era forte LMncanto: e fatto avea T incantatore, Che Ruggier vede sempre e
gli favella, Né Ruggier lei, né lui riconosce ella. stanza 78. Stanza 79. 77
Seco dicea: Non è Ruggier costui, Che col cor sempre, ed or con gli occhi
veggio? E 8!or non veggio e non conosco lui, Che mai veder o mai conoscer
deggio? Perchè vogPio della credenza altrui Che la veduta mia giudichi
peggio?Che senza gli occhi ancor, sol per sé stesso Può il cor sentir se gli è
lontano o appresso. 80 Ma lasdam Bradamante, e non v' incresca Udir che cosi resti
in quello incanto; Che quando sarà il tempo eh' ella n' esca, La farò uscire, e
Ruggiero altrettanto. Come raccende il gusto il mutar esca, Cosi mi par che la
mia istoria, quanto Or qua or là più variata sia, Meno a chi r udirà noiosa
fia. 81 Di molte fila esser bisogno parme A condor la gran tela ch'io lavoro; E
però non vi spiaccia d ascoltarme, Come ihor delle stanze il popol moro Davanti
al re Agramante ha preso 1 ame, Che, molto minacciando ai Gigli d oro, Lo fa
assembrare ad una mostra nova. Per saper quanta gente si ritrova: 82 Perch
oltre i cavalieri, olire i pedoni Ch' al numero sottratti erano in copia,
Mancavan capitani, e pur de buoni, E di Spagna e di Libia e d'Etiopia:E le
diverse squadre e le nazioni Givano errando senza guida propia. Per dare e capo
ed ordine a ciascuna. Tutto il campo allamostra si raguna. 88 Li supplimento
delle turbe uccise Nelle battaglie e ne' fieri conflitti, L'un signore in
Ispagna, e V altro mise In Africa, ove molti n'eran scritti; E tutti alli lor
ordini divise, E sotto i daci ]or gli ebbe diritti. Differirò, Signor, con
grazia vostra, Nell'altro Canto l'ordine e la mostra. N OTB. St. 4. V.12. n
padre d'Isabella, Maricoldo, re aa racino della Gallizia, acciso nella gran
battaglia della quale si tocca al principio del poema. Isabella è nome di
origine semitica; quindi, è conveniente a donna sa racina. St. 10. V.56. Fuor
della ricca mia patria, ecc. Probabilmente la Carogna, capitcde della Galizia.
St. 11. V.5. Santa Marta: borgo in Galizia, sulla riva orientale della piccola
baia omonima, a sirocco del capo Ortegal. St. 15. V.1. Mangia: borgo in
Galizia, a ponente della Corogna, sul lato meridionale di un seno di mare, fra
il capo Belem e il capo Coriana. Le indicazioni che si danno di questo borgo e
di Santa Marta risultano dalle mappe che verosimilmente erano in uso ai tempi
del Poeta. Ivi. V.5. Maestro, vento che soffia tra ponente e settentrione. St.
16. V.2. Corsia è uno spazio vuoto nella nave, per camminare liberamente da
poppa a prora. CastéLlOy e pia comunemente cassero, chiamasi un rialto nella
parte superiore della nave a poppa, ove sogliono col locarsi le artiglierie:
alcuni navigli lo hanno a prora. Ivi. V.4. Boccila, città marittima della
Francia neirAunis, sulla costa occidentale del Begno, di contro ausisela di
Rhé. St. 24. V.1. Bilbao, capitale della Biscaglia: ò a breve distanza
dall'Oceano, sul fiume Ansa, che con la sua foce vi forma il porto. St. 32.
V.4. Tiri: specie di serpi somiglianti aUe vipere: Dal tiro prese nome la
Mriaca. St. 36. V.68. Sbancar non lo registra, ecc. In tendasi, se ancor non lo
manda alVinfemo tra i vio lenti. Finge Dante, nel Xll dell'Jnino, che una torma
di centauri, dei quali Chirone é il capo, costringa i vio lenti a stare
immersi, fino ad una certa misura, in una fossa di sangue bollente. St. 37.
v.56. Con qiteW agevolata, ecc. Accennai una specie di giostra introdotta dai
Morì in Ispagna, e dagli Spagnuoli in Italia: richiedeva molta agilità, e vi
era in gran pregio la leggiadrìa dei ginocatorì. St. 46. V.68. Colei, ecc. Con
questa periùmsi viene indicata Melissa. St. 59. V.5a Isabella, ecc. Isabella
d'Este nacqna dal duca Ercole I e da Eleonora di Aragona nel mag gio 1474; fu
maritata nel febbraio del 1490 a FraacttCQ. 0 Gianfrancesco II marchese di
Mantova, condotto poee prima dalla Repubblica dì Venezia per suo capitan ge
nerale. Per coltura di spirito e alto senno, to. repstau fht le donne pia
illustri del suo secolo. Mori nel feb braio del 1539. Ménta è il Mincio, fiume
di Mantova, il nome della quale i poeti trassero da Manto, figlia dell'indovino
Tiresia, e madre di Ocno. St. 60. V.56. Si accenna la battaglia segni ta nel 6
luglio 1495, sotto il comando del marchese di Man tova sul Taro, presso Fomovo,
fra le truppe di Carlo TLH re di Francia, e Tesercito dei prìncipi italiani
collegati contro quel re, il quale aprendosi il passo fra i nemici . si
ritrasse quindi in Piemonte. Il marchese assistè anche alla battaglia di
Atella, combattuta nel 1496; ultimo fìatto. onde il regno di Napoli restò
libero dall occopazioDe francese. St. 61. V.56. Il nome di Tifi, nocchiero
della fr volosa nave degli Argonauti, è qui preso a significato, di eccellente
piloto. St. 62. V.18. Beatrice, di cui qui si parla, nata dal duca Ercole 1 nel
1475, si maritò nel gennaio 11 a Lodovico Sforza, detto il Moro, duca di
Milano; e mori nel 2 gennaio 1497 con sospetto di essere stata avve lenata. St.
6.S. V.18. La potenza di Lodovico si mantenne fino a che egli, dopo aver
chiamato in Italia Massimi liano re de' Romani nel1496, dovè fuggire di Milano
tre anni appresso; e allora tutta la Lombardia venne in potere dei Francesi. Vi
tornò il Moro nel 1500; ma tra dito dagli Svizzeri, che aveva assoldati, cadde
in mano ai Francesi, che lo condussero prigione in Francia, in sieme col
cardinale Ascanio suo fratello. La frase del terzo verso significa dalle parti
più settentrionali d'Eu •opa fino al mar Rosso, eh' è nelle più meridionali; e
qaella del quarto verso vale da levante a ponente, de notandosi per VJndo
Toriente, e pei monti ivi accennati, i due promontorii che formano lo stretto
di Oibilterra. St. 64. V.34. Questa Beatrice nasceva dal mar chese Aldobrandino
vissuto nel duecento; fu sposa di Andrea II re d'Ungheria, detta anticamente
Pannonia. IvT. y. 5 8. Due Beatrici d'Este si pongono dal Mu ratori tnk le
beate. Una, figlia di Azzo VI, fondò sul monte Qemola il monastero di San
Giovanni Battista, dove compi i suoi giorni nel 1226. L'altra, nipote dello
stesso Azzo, perchè nata di Azzo Novello, prese il velo in Ferrara nel
monastero di Sant'Antonio, ed ivi mori nel 1270. St. 65. V.18. Di queste donne,
che il Poeta ha voluto tenersi in petto, basti indicare le seguenti: Bianca, fi
glia di Niccolò III, celebrata per i pregi deUa mente e del cuore, consorte di
Galeotto Pico . signore della Mi randola; rimastane vedova nel 1489, si ritirò
in quel monastero di San Lodovico, e vi mori nel 1506. Co stanza, figlia di
Azzo Novello, maritata a Ugo degli Aldobrandini, conte di Maremma, e in seconde
nozze a Qaglielmo Pelavicino, marchese di Scipione. Vedova an che di questo, si
ritirò nel monastero di Gemola, dove chiuse i suoi giorni. Lucrezia, figlia di
Sigismondo, fratello di Alfonso I, maritata ad Alberigo Malaspina, marchese di
Massa. ST. 67. V.18. Intendesi qui probabilmente Rie eiarda, figlia di Guecello
IX da Camino, e moglie di un Azzo, nato nel 1344 da Francesco d'Este, secondo
di qaesto nome. Azzo, che viveva in Toscana nel 1393, éu scitò una guerra
civile nel 1394, in occasione della morte di Alberto d'Este, a cui pretendeva
succedere in pregiadizio di Niccolò III, allora fanciullo; ma fEitto prigione
nel 1395, fu relegato in Candia. Richiamatone dopo alcun tempo, ottenne dalla
casa alcune rendite nel Padovano. Mori in Este, nel 1415; ed ò verosimile che i
suoi figli si stabilissero poscia in Rovigo. St. 69. y. 12. Eleonora, lodata
nella stanza pre cedente, e nominata nel principio di questa, nacque da
Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli; e il contratto di nozze fra lei e il duca
Ercole I fu stabilito neiragosto del 1472. Essa mori nel 1493. Ivr. y. 38. Alfonso
I d'Este fti il quarto marito di Lucrezia Borgia, figlia sparia di Alessandro
VI. Il primo fu un privato gentiluomo, ohe l'ebbe dal papa, a cui dipoi la cedo
per denaro. Il secondo era Giovanni Sforza, signore di Pesaro, che la sposò nel
1493: il papa che la desiderava per sé, sciolse quel matrimonio, sotto pretesto
di frigidezza nel marito. Appresso, Lucrezia fa data ad Alfonso d'Aragona,
figlio spurio di Alfonso II re di Napoli, e marchese o principe di Discaglia;
il duca Valentino, fratello di Lucrezia, volle averla, e fsce stran golare il
marito nel 1500. Per ultimo, il papa Alessandro oiferse Lucrezia al duca Ercole
in moglie del di lui figlio; e la proposizione, male accolta da Alfonso, fu
sanzio nata dal padre, pia ad insinuazione del re di Francia e per ragioni di
Stato, che per altro motivo. La cerimonia nuziale, ebbe luogo in Roma, con
splendidissimo appa rato, nel dicembre del 1501; e nel giugno 1519, Lu crezia
moriva in Ferrara di aborto. St. 72. y. 18. Renata, nata di Luigi XII re di Francia,
e d'Anna figlia del duca di Borgogna, fti sposa del duca Ercole. II, e compensò
la deformità della per sona col molto ingegno.Accolse assai bene Giovanni
Calvino recatosi in Ferrara sotto mentito nome; perciò fu chiusa per comando
del duca in un monastero. Ri masta vedova nel 1559, si ritirò neiranno seguente
nel suo castello di Montargis in Francia, e quivi mori nel 1575. St. 73. y. 15.
Alda di Sassonia, sposata a un mar chese Albertazzo. Beatrice, figlia di Carlo
II d'Angiò, re di Napoli e di Sicilia, era.staia data in moglie ad Azzo Vni nel
1305, e Bianca sorella di lei divenne mo glie di Iacopo n re d'Aragona. Maria,
pilmogenita del l'aragonese Alfonso I, re di Napoli, maritata nel 1443 a
Lionello d'Este, era morta nel 1449, quando Antonio To deschini Piccolomini,
duca d'Amalfi e conte di Celano, ebbe in consorte da Ferdinando I, figliuolo
d'Alfonso, nel 1458, la di lui figlia naturale Maria, che due anni dopo mori.
Da questi fatti, ohe mostrano la famiglia Estense unita di affinità con un re
di Cicilia, col conti di Celano, e con la casa d'Aragona che dominava anche la
Catalogna, il Poeta prende occasione di lodare quelle tre donne. Di Lippa da
Bologna, nominata nel quinto verso, egli avea motivo di non tacete, perchè
sorella di Bonifazio Ariosti, il quale piantò in Ferrara la famiglia da cui
derivò il Poeta medesimo. Lippa, famosa per Tav venenza, fti favorita di Obizzo
III, che la fece sua mo glie poco innanzi la di lei morte, accaduta nel 27
no> vembre del 1347; e legittimò con quell'atto i figliuoli avuti da lei.
St. 81. y. 6. Ai Gigli doro: alla Francia. St. 83. y. 3. Mise qui vale manda.
stanza 37. CANTO DECIMOQDARTO. ARGOMENTO. Nella rassegna generale dell'esercito
pagano, si vedono mancare le dae schiere distratte da Orlando. Mandrlearlo.
correndo in traccia del Paladino, s'imbatte in Doralioe, figlia del re di
Granata, che va sposa a Rodomoirte. re di Sansa; ne nccide il corteggio, la
conduce seco e la fa sua moglie. I Mori danno Tassalto a Parigi. 1 Nei molti
assalti e nei crudel conflitti, Ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,
Morti eran infiniti, e derelitti Al Inpo, al corvo, all' aquila grifagna:E
benché i Franchi fossero più afflitti, Che tutta avean perduta, la campagna.
Più si doleano i Saracin, per molti Principi e gran baron eh' eran lor tolti. 2
Ebbon vittorie cosi sanguinose, Che lor poco avanzò di che allegrarsi. E se
alle antique le moderne cose. Invitto Alfonso, denno assimigliarsi ; La gran
vittoria, onde alle virtuose Opere vostre può la gloria darsi, Di che aver
sempre lacrimose ciglia Ravenna debbe, a queste s' assimiglia. 3 Quando cedendo
Merini e Piccardi, L'esercito normando e l'aquitano, Voi nel mezzo assaliste
gli stendardi Del quasi vincitor nimico ispano; Seguendo voi quei gioveni
gagliardi, Che meritar con valorosa mano Quel ài da voi, per onorati doni,
L'else indorate e gl'indorati sproni. Con si animosi petti che vi fòro Vicini 0
poco lungi al gran periglio, Crollaste sì le ricche Giande d'oro, Si rompeste
il Baston giallo e vermiglio, ' Ch' a voi si deve il trionfale aUoro, Che non
fu guasto né sfiorato il Giglio. D'un' altra fronde v' orna anco la chioma
L'aver serbato il suo Fabrizio a Roma. 5 La gran Colonna del nome romano, Che
voi prendeste e che servaste intera, Vi dà più onor che se di vostra mano Fosse
caduta la milizia fiera, Quanta n'ingrassa il campo ravegnano, E quanta se
n'andò senza bandiera D'Aragon, di Castiglia e di Navarra, Veduto non giovar
spiedi né carra. 6 Quella vittoria fu più di confurto, Che d'allegrezza; perché
troppo pesa Centra la gioia nostra il veder morto Il capitan di Francia e
dell'impresa; E seco avere una procella assorto Tanti principi illustri, eh' a
difesa Dei regni lor, dei lor confederati, Di qua dalle fredd'Alpi eran
passati. Stftnzft; Nostra salute, nostra vita In questa Vittoria suscitata si
conosce, Che difende che '1 verno e la tempesta Di Giove irato sopra noi non
croscè:Ma né goder possiam, né fame festa, Sentendo i gran rammarichi e P
angosce ChMn veste bruna e lacrimosa guancia Le vedovelle fan per tutta
Francia. 6 Bisogna che provveggia il re Luigi Di novi capitani alle sue
squadre, Che per onor dell'aurea Fiordaligi Castighino le man rapaci e ladre.
Che suore, e frati e bianchi e neri e bigi Violato hanno e sposa e figlia e
madre; Gittate in terra Cristo in sacramento, Per torgli un tabernacolo
d'argento.9 0 misera Ravenna, t' era meglio Ch'ai vincitor non fèssi
resistenza; Far eh' a te fosse innanzi Brescia speglio, Che tu lo fossi a
Arimino e a Faenza. Manda, Luigi, il buon Trivulzio veglio, Ch'insegni a questi
tuoi più continenza, £ conti lor quanti per simil torti Stati ne sian per tutta
Italia morti. 10 Come di capitani bisogna ora Che'l re di Francia al campo suo
proweggia, Così Marsilio ed Agramante allora, Per dar buon reggimento alla sua
greggia, Dai lochi dove il verno fé' dimora, Vuol che in campagna all' ordine
si veggia; Perchè vedendo ove bisogno sia, Guida e governo ad ogni schiera dia.
11 Marsilio prima, e poi fece Agramante Passar la gente sua, schiera per
schiera. I Catalani a tutti gli altri innante Di Dorifebo van con la bandiera.
Dopo vien, senza il suo re Folvirante, Che per man di Rinaldo già morto era. La
gente di Navai ra; e lo re ispano Halle dato Isolier per capitano. 15 Di quei
di Saragosa e della corte Del re Marsilio ha Ferraù il governo:Tutta la gente è
ben armata e forte. In questi è Malgarino, Balinverno, Malzarise e Morgante,
ch'una sorte Avea fatto abitar paese estemo; Che, poi che i regni lor lor furon
tolti, Gli avea Marsilio in corte sua raccolti. 16 In questa è di Marsilio il
gran bastardo, Follicon d'Almeria, con Doriconte, Bavarte e Largalifa ed
Analardo, Ed Archidante il sagonUno conte, E Lamirante e Langhiran gagliardo, E
Malagur eh' avea l'astuzie pronte; Ed altri ed altri, de' quai penso, dove
Tempo sarà, di far veder le prove. 17 Poi che passò l'esercito di Spagna Con
bella mostra innanzi al re Agramante, Con la sua squadra apparve alia campagna
Il re d' Oran, che quasi era gigante. L'altra che vien, per Martasiu si lagna,
il qual morto le fu da Bradamante; E si duol ch'una femmina si vanti D'aver
ucciso il re de' Garamanti. 12 Balugante del popol di Leone, Grandonio cura
degli Algarbi piglia. Il fratel di Marsiglio, Falsirone, Ha seco armata la
minor Castiglia. àegnon di Madarasso il gonfaloneQuei che lasciato han Malaga e
Siviglia, Dal mar di Gade a Cordova feconda Le verdi ripe ovunque il Beti
innonda. 13 Stordilano e Tesira e Baricondo, L'nn dopo l'altro, mostra la sua
gente: Granata al primo, L'iisbona al secondo, E Maiorica al terzo è
ubbidiente. Fu d'Ulisbona re (tolto dal mondo Larbin) Tessira, di Larbin
parente. Poi vien Galizia, che sua guida, in vece Di Maricoldo, Serpentino
fece. 14 Quei di Toledo e quei di Calatrava, Di ch'ebbe Sìnagon già la
bandiera, Con tutta quella gente che si lava In Guadiana e bee della riviera,
L' audace Matalista governava:Bianzardin quei d'Asturga in una schiera Con quei
di Salamanca e di Piagenza, D'Avila, di Zamora e di Palenza. 18 Segue la terza
schiera di Marmonda, Ch'Argosto morto abbandonò in Guascogna: A questa un capo,
come alla seconda, E come anco alla quarta, dar bisogna. Quantunque il re
Agramante non abbonda Dì capitani, pur ne finge e sogna: Dunque Buraldo,
Ormida, Arganio elesse, E dove uopo ne fu, guida li messe. 19 Diede ad Arganio
quei di Libicana, Che piangean morto il negro Dudrinasso. Guida Brunello i suoi
di Tingitana, Con viso nubiloso e ciglio basso; Che, poi che nella selva non
lontana Dal Castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso, Gli fu tolto l'anel da
Bradamante, Caduto era in disgrazia al re Agramante:20 E se '1 fratel di
Ferraà, Isoliero, Ch'air arbore legato ritrovollo. Non facea fede innanzi al re
del vero, Avrebbe dato in su le forche un crollo. Mutò a prieghi di molti il re
pensiero, Già avendo fatto porgli il laccio al collo: Gli lo fece levar, ma
riserbarlo Pel primo error; che poi giurò impiccarlo: 21 Si chavea cansa di
venir Brunello Col viso mesto e con la testa china. Segoia poi Fanirante, e
dietro a quello Eran cavalli e fanti di Maurina. Venia Libanio appresso, il re
novello:La gente era con lui di Costantina; Perocché la corona e il baston
d'oro Gli ha dato il re, che fu di Pinadoro. 22 Con la gente d'Esperia
Soridano, E Dorilon ne vien con quei di Setta; Ne vien coi Nasamoni Puli'ano.
Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta; Malabuferso quelli di Fizano. Da
Finadurro è l'altra squadra retta, Che di Canaria viene e di Marocco:Balastro
ha quei che fur del re Tardocco. 23 Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,
Seguono; e questa ha U suo signore antico, Quella n' è priva; e però il re
sortilla, E diella a Corineo suo fido amico. E cosi della gente d'Almansilla,
Oh' ebbe Tanfirion, fé' re Calco:Die quella di Getulia a Rimedonte. Poi vien
con quei di Cosca Baìinfronte. 24 Quell'altra schiera è la gente di Bolga: Suo
re è Clariiido, e già fu Mirabaldo. Vien Baliverzo, il qual vo'che tu tolga Di
tutto il gregge pel maggior ribaldo. Non credo in tutto il campo si disciolga
Bandiera ch'abbia esercito più saldo Dell'altra, con che segue il re Sobrino.
Né più di lui prudente S"iracino. 25 Quei di Bellamarina, che Gualciotto
Solca guidare, or guida il re d'Algieri Rodomonte di Sarza, che condotto Di
nuovo avea pedoni e cavalieri; Che, mentre il Sol fu nubiloso sotto Il gran
Centauro, e i comi orridi e fieri, Fu in Africa mandato da Agramante, Onde
venuto era tre giorni innante. 26 Non avea il campo d'Africa più forte Né
Saracin più audace di costui; E più temean le parigine porte, Ed avean più
cagion di temer lui, Che Marsilio, Agramante, e la gran corte Ch'avea seguito
iu Francia questi dui: E più d'ogpi altro che facesse mostra. Era nimico della
Fede nostra. 27 Vien Prusìone, il re dell' Alvaracchie; Poi quel della Znmara,
Dardinello. Non so s'abbiano o nottole o cornacchie, 0 altro manco ed importuno
augello. Il qual dai tetti e dalle fronde gracchie Futuro mal, predetto a
questo e a quello, Che fissa in ciel nel di seguente é l'ora Che l'uno e
l'altro in quella pugna muora. 28 In campo non aveano altri a venire, Che quei
di Tremisenne e dì Norìzia; Né si vedea alla mostra comparire Il segno lor, né
dar di sé notizia. Non sapendo Agramante che si dire, Né che pensar di questa
lor pigrizia; Uno scudiero alfin gli fu condutto Del re di Tremisen, che narrò
il tutto. 29 E gli narrò ch'Alzirdo e Manilardo Con molti altri de' suoi
giaceano al campo:Signor, diss' egli, il cavalier gagliardo Ch'ucciso ha i
nostri, ucciso avria il tuo campo, Se fosse stato a tòrsi via più tardo Di me,
eh' a pena ancor cosi ne scampo. Fa quel de' cavalieri e de' pedoni, ('he '1
lupo fa di capre e di montoni. 30 Era venuto pochi giorni avante Nel campo del
re d'Africa un signore; Né in Ponente era, né in tutto Levante, Dì più forza di
lui, né di più core. Gli facea grande onore il re Agramante, Per esser costui
figlio e successore In Tartaria del re Agrican gagliardo:Suo nome era il feroce
Mandricardo. 31 Per molti chiari gesti era famoso, E di sua fama tutto il mondo
empia; Ma lo facea più d'altro glorioso, Ch' al Castel della fata di Sona
L'usbergo avea acquistato luminoso Ch'Ettor troian portò mille anni pria. Per
strana e formidabile avventura, Che'l ragionarne pur mette paura. 32 Trovandosi
(ostui dunque presente A quel parlar, alzò l'ardita faccia; É si dispose andare
immantinente, Per trovar quel guerrier, dietro alla traccia. Ritenne occulto il
suo pensiero in mente, 0 sia perché d'alcun stima non faccia, 0 perchè tema, se
'1 pensier palesa, Ch'uu altro innanzi a lui pigli l'impresa. 33 Allo scudier
fé' dimandar com'era La soprawesta di qnel cavaliero. Colni rispose: Quella è
tutta nera, Lo scudo nero, e non ha alcun cimiero. E fu, signor, la sua risposta
vera, Perchè lasciato Orlando avea il quartiere; Che, come dentro V animo era
in doglia, Così imbrunir di fuor volse la spoglia. 34 Marsilio a Mandricardo
avea donato Un destrier baio a scorza di castagna, Con gambe e chiòme nere; ed
era nato Di frisa madre, e d'on viilan di Spagna. Sopra vi salta Mandricardo
armato £ galoppando va per la campagna; E giura non tornare a quelle schiere,
Se non "trova il campion dall'arme nere. Stanza 42. 86 Molta incontrò
della paurosa gente Che dalle man d'Orlando era fuggita, Chi del figliuol, chi
del fratel dolente, Ch'innanzi gli occhi suoi perde la vita. Ancora la codarda
e trista mente Nella pallida faccia era sculpita; Ancor per la paura che avuta
hanno, Pallidi, muti ed insensati vanno. 86 Non fé' lungo cammin, che venne
dove Crudel spettacolo ebbe ed inumano, Ma testimonio alle mirabil prove Che
fur racconte innanzi al re africano. Or mira questi, or quelli morti, e muove,
E vuol le piaghe misurar con mano, Mosso da strana invidia ch'egli porta Al
cavalier eh' avea la {ente mort. 37 Come lupo o mastin eh' ultimo giugne Al bue
lasciato morto da' villani, Che trova sol le coma, T ossa e l'ugne, Del resto
son sfamati augelli e cani; Riguarda invano il teschio che non ugne: Cosi fa il
cnidel barbaro in que' piani: Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa. Che
venne tardi a cosi ricca mensa. 38 Quel giorno e mezzo l'altro segue incerto Il
cavalier dal negro, e ne domanda. Ecco vede un pratel d'ombre coperto, Che si
d'un alto fiume si ghirlanda, Che lascia appena un breve spazio aperto. Dove
l'acqua si torce ad altra banda. Un simil luogo con girévol onda 5otto Ocriooli
il Tevere circonda. 89 Dove entaur si potea, con Panne indosso Stavano molti
cavalieri armati. Chiede il pagan, chi gli avea in stnol si grosso £d a che
effetto insieme ivi adnnati Gli fé' risposta il capitano, mosso Dal signoril
sembiante, e da fregiati D'oro e di gemme arnesi e di gran pregio, Che lo
mostravan cavaliero egregio. 40 Dal nostro re siam, disse di Granata,Chiamati
in compagnia della figliuola, La quale al re di Sansa ha maritata, Benché di
ciò la fama ancor non vola. Come appresso la sera racchetata La cicaletta sia,
eh' or s' ode sola, Avanti al padre fra T Ispane torme La condurremo: intanto
ella si dorme. Stanisa 4.?. 41 Ck"lui die tutto il mondo vi li perni e,
Diaegua di veder tosto la prò va, Se quetla geliti o bene o mal difende La
donna, alla cui guardia sì ritrova. Di3": Costei f per quauto m u'
Intende, É bella, e di saperlo ora mi giova A lei mi mena, o falla qui veuke;
ChaltroTe mi couvieu subito gire. 4i Ktìser iier certo dèi pazzo solenue,
iiiapose il Grnaiin uè più gli disse. Ha il Tartaro a ferir tosto lo venne Con
l'asta bassa, e il petto gli trafisse: Che la corazza il colpo non sostenne, E
forza fu che mort in terra giìse. L'asta ripovra il figlio dVAgricane, Perchè
altro da ferir non jfli rìtuAne.Non poita spada né baston; che quando L' arme
acquistò, che far d'Ettor troiano, Perchè trovò che lor mancava il brando, Gii
convenne giurar (né giurò invano) Che finché non togliea quella d'Orlando, Mai
non porrebbe ad altra spada mano: Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima, E
Orlando or porta, Ettor portava prima. 44 Grande é V ardir del Tartaro, che
vada Con disvantaggio tal centra coloro, Gridando: Chi mi vuol vietar la strada?
E con la lancia si cacciò tra loro. Chi r asta abbassa, e chi tra fuor la
spada; E d'ognintorno subito gJi fóro. Egli ne fece morire una frotta, Prima
che quella lancia fosse rotta. 45 Botta che se la vede, il gran troncone, Che
resta intero, ad ambe mani afferra; E fa morir con quel tante persone. Che non
fu vista mai più crudel guerra. Come tra' Filistei l'ebreo Sansone Con la
mascella che levò di terra, Scudi spezza, elmi sdiiaccia; e un colpo spesso
Spegne i cavalli ai cavalieri appresso. 46 Corrono a morte que miseri a gara:
Né perchè cada Tun l'altro andar cessa; Che la maniera del morire amara Lor par
più assai, che non è morte istessa. Patir non ponno che la vira cara Tolta lor
sia da un pezzo d'asta fessa, E sieno sotto alle picchiate strane A morir
giunti come bisce o rane. 47 Ma poi eh' a spese lor si furo accorti Che male in
ogni guisa era morire, Sendo già presso alli due terzi morti, Tutto l'avanzo
cominciò a fuggire. Come del proprio aver via se gli porti, n Saracin crudel
non può patire Ch'alcun di quella turba sbigottita Da lui partir si debba con
la vita. 49 Poscia ch'egli restar vede l'entrata, Che mal guirdata fu, senza
custode; Per la via che di nuovo era segnata Neil' erba, e al suono dei
rammarchi eh' ode, Viene a veder la donna di Granata, Se di bellezze è pari
alle sue lode:Passa tra i corpi della gente morta, Dove gli dà, torcendo, il
fiume porta. 50 E Doralice in mezzo il prato vede, (Che così nome li donzella
avea) La qual, suffolta dall'antico piede D'un frassino silvestre, si dolca. Il
pianto, come un rivo che succede Di viva vena, nel bel sen cadea; E nel bel
viso si vedea che insieme Dell'altrui mal si duole, e del suo teme. 51 Crebbe
il timor, come venir lo vide Dì sangue brutto, e con faccia empia e oscura, E
'1 grido sin al ciel V aria divide, Dì sé e della sua gente per paura; Che,
oltre i cavalìer, v'erano guide Che della bella infante aveano cura, Maturi
vecchi, e assai donne e donzelle Del regno di Granata, e le più belle. 52 Come
il Tartaro vede quel bel viso Che non ha paragone in tutta Spagna, E e' ha nel
pianto (or ch'esser de' nel riso?) Tesa d'amor l'inestricabil ragna, Non sa se
vive o in terra o in paradiso: Né della sua vittoria altro guadagna, Se non che
in man della sua prigioniera Si dà prigione, e non sa in qual maniera. 53 A lei
però non si concede tanto. Che del travaglio suo le doni il frutto; Benché
piangendo ella dimostri, quanto Possa donna mostrar, dolore e lutto. Egli,
sperando volgerle quei pianto In sommo gaudio, era disposto al tutto Menarla
seco; e sopra un bianco ubino Montar la fece, e tornò al suo cammino. 48 Come
in palude asciutta dura poco Stridula canna, o in campo arida stoppia Centra il
soffio di Borea e centra il fuoco Che'l cauto agricultore insieme accoppia,
Quando la vaga fiamma occupa il loco, E scorre per li solchi, e stride e
scoppia; Così costar contra la furia accesa Di Mandrìcardo fan poca difesa. 54
Donne e donzelle e vecchi ed altra gente, Ch'eran con lei venuti di Granata,
Tutti licenziò benignamente Dicendo: assai da me fia accompagnata; Io mastro,
io balia, io le sarò sergente In tutti ì suoi bisogni: addio brigata. Cosi non
gli possendo far riparo, Piangendo e sospirando se n' andare; 55 Tra lor
dicendo: quanto doloroso Ne sarà il padre, come il caso intenda ! QnantMra, quanto
duol ne avrà il suo sposo! Oh come ne farà vendetta orrenda ! Deh, perchè a
tempo tanto bisognoso Non è qui presso a far che costui renda Il sangue
illustre del re Stordilano, Prima che se lo porti più lontano? 56 Della gran
preda il Tartaro contento, Che fortuna e valor gli ha posta innanzi, Di trovar
quel dal negro vestimento Non par ch abbia la fretta ch avea dianzi. Correva
dianzi; or viene adagio e lento; £ pensa tuttavia dove si stanzi, Dove ritrovi
alcun comodo loco, Per esalar tanto amoroso foco. 57 Tuttavolta conforta
Doralice, Oh' avea di pianto e gli occhi e' 1 viso molle:Compone e finge molte
cose, e dice Che per fama gran tempo ben le volle; E che la patria e il suo
regno felice, Che 4 nome di grandezza agli altri tolle, Lasciò, non per vedere
o Spagna o Francia, Ma sol per contemplar sua bella giancia. 58 Se per amar,
Tuom debb' essere amato, Merito il vostro amor; che v'ho amatMo: Se per stirpe,
di me chi è meglio nato? Chè'l possente Agrican fu il padre mio: Se per
ricchezza, chi ha di me più stato? Che di dominio io cedo solo a Dio: Se per
valor, credo oggi aver esperto Ch' esser amato per valore io merto. 59 Queste
parole ed altre assai ch'Amore A Mandricardo di sua bocca ditta, Van dolcemente
a consolare il core Della donzella di paura afflitta. Il timor cessa, e poi
cessa il dolore Che le avea quasi T anima trafitta. Ella comincia con più
pazienza A dar più grata al nuovo amante ulìenza; 60 Poi con risposte più
benigne molto A mostrarsegli affabile e cortese, E non negargli di fermar nel volto
Talor le luci di pietade accese; Onde il pagan, che dallo strai fu colto Altre
volte damor, certezza prese, Nonché speranza, che la donna bella Non saria a
suoi desir sempre ribella. 61 Con questa compagnia lieto e gioioso, Che si gli
satisfa, si gli diletta, Essendo presso all'ora eh' a riposo La fredda notte
ogni animale alletta, Vedendo il Sol già basso e mezzo ascoso Cominciò a
cavalcar con maggior fretta; Tanto eh' udì sonar zufoli e canne, E vide poi
fumar ville e capanne. Stanza 57. 67 Erano pastorali alloggiamenti, Miglior
stanza e più comoda, che belhi. Quivi il guardian cortese degli armenti Onorò
il ca vallerò e la donzella Tanto, che si chiamar di lui contenti:Che non pur
per cittadi e per castella Ma per tugurj ancora e per fenili Spesso si trovan
gli uomini gentili. 63 Quel che fosse di poi fatto all' oscuro Tra Doralice e
il figlio d'Agricane, A punto raccontar non m' assicuro; Si ch'ai giudizio di
ciascun rimane. Creder sì può che beu d'accordo furo; Che si levar più allegri
la dimane:E Doralice rìograziò il pastore. Che nel suo albergo le avea fatto
onore. 64 Indi d'uno in nn altro luogo errando, Si ritroTaro alfin sopra nn bel
finme Che con silenzio al mar va declinando, E se vada o se stia, mal si
presume; Limpido e chiaro si, chMn Ini mirando, Senza contesa al fondo porta il
Inme. In ripa a quello, a una fresca ombra e bella, Trovar dui cavalieri e una
donzella. 65 Or l'alta fantasia, eh' un sentier solo Non vuol ch'i' segua
ognor, quindi mi guida, E mi ritoma ove il moresco stuolo Assorda di rnmor
Francia e di grida. D'intorno il padiglion ove il figliuolo Del re Troiano il
santo Imperio sfida; E Rodomonte audace se gli vanta Arder Parigi, e spianar
Roma santa. 66 Venuto ad Agramante era all'orecchio. Che già gì' Inglesi avean
passato il mare:Però Marsilio e il re del Garbo vecchio, E gli altri capitan
fece chiamare. Consiglian tutti a far grande apparecchio, Sì che Parigi possino
espugnare. Ponno esser certi che più non s' espugna, Se noi fan prima che
l'aiuto gingna. 67 Già scale innumerabili per questo Da' luoghi intomo avean
fatto raccorre, Ed asse e travi, e vimine contesto, Che le poteano a diversi
usi porre; E navi e ponti: e più facea, che '1 resto, II primo e'I secondo
ordine disporre A dar l'assalto; ed egli vuol venire Tra quei che la città
denno assalire. 68 L'imperatore, il dì che '1 dì precesse Della battaglia, fé'
dentro a Parigi Per tutto celebrare ufficj e messe A preti, a frati bianchi,
neri e bigi; E le genti che dianzi eran confesse, E di man tolte agl'inimici
stigi, Tutte comunicar, non altramente Ch'avessino a morire il di seguente. 69
Ed egli tra baroni e paladini, Principi ed oratori, al maggior tempio Con molta
religione a quei divini Atti intervenne, e ne die agli altri esempio, Con le
man giunte, e gli occhi al ciel supini. Disse: Signor, bench'io sia iniquo ed
empio, Non voglia tua bontà, pel mio fallire. Che '1 tuo popol fedele abbia a
patire. 70 E se gli è tuo voler eh' egli patisca, E eh' abbia il nostro error
degni supplici, Almen la pnnizion si differisca Si, che per man non sia de'
tuoi nemici:Che quando lor d'uccider noi sortisca. Che nome avemo pur d'esser
tuo' amici, I pagani diran che nulla puoi, Che perir lasci i partigiani tuoi.
71 E per un che ti sia fatto ribelle. Cento ti si femin per tutto il mondo;
Talché la legge falsa di Babelle Caccerà la tua fede e porrà al fondo. Difendi
queste genti, che son quelle Che'l tuo sepulcro hanno purgato e mondo Da bratti
cani, e la tua Santa Chiesa Con li vicari suoi spesso difesa. 72 So che i
meriti nostri atti non sono A satisfare al debito d'un' oncia; Né devemo sperar
da te perdono. Se riguardiamo a nostra vita sconcia:Ma se vi aggiugni di tua
grazia il dono, Nostra ragion fia ragguagliata e concia; Né del tuo aiuto
disperar possiamo, Qualor di tua pietà ci ricordiamo. 73 Così dicea l'imperator
devoto, Con umiltade e contrizion di core. Giunse altri prieghi, e convenevol
voto Al gran bisogno e all'alto suo splendore. Non fu il caldo pregar d'effetto
vdto; Perocché '1 Genio suo, Y Angel migliore, I prieghi tolse, e spiegò al
ciel le penne, Ed a narrare al Salvator li venne. 74 E furo altri infiniti in
quello istante Da tali messaggier portati a Dio; Che come gli ascoltar l'anime
sante, Dipinte di pietade il viso pio, Tutte mirare il sempiterno Amante, E gli
mostrare il comun lor disio, Che la giusta orazion fosse esaudita Del popolo
Cristian che chiedea aita. 75 E la Bontà ineffabile, eh' invano Non fu pregata
mai da cor fedele. Leva gli occhi pietosi, e fa con mano Cenno che venga a sé
l'angel Michele. Va, gli disse, air esercito cristiano Che dianzi in Piccardia
calò le vele, E al muro di Parigi l'appresenta Sì, che '1 campo nimico non lo
senta. 76 Trova prima il Silenzio . e da mia parte Gli di' che teco a questa
impresa venga; Ch'egli ben provveder con ottima arte Saprà di quanto provveder
convenga. Fornito questo, subito va in parte Dove il suo seggio la Discordia
tenga: Dille che l'esca e il fucil secoprendii, E nel campo de' Mori il fuoco
accenda; 77 E tra quei che vi son detti più forti, Sparga tante zizzanie e
tante liti, Che combattano insieme, ed altri morti, Altri ne siano presi, altri
feriti, E fuor del campo altri lo sdegno porti, Si che il lor re poco di lor
spaiti. Non replica a tal detto altra parola Il benedetto augel, ma dal del
vola. 82 Quella che gli avea detto il Padre Etemo, Dopo il Silenzio, che trovar
dovesse. Pensato avea di far la via d'Averno, Che si credea che tra' dannati
stesse; E ritrovolla in questo nuovo inferno (Chi '1 crederla ?) tra santi
uflBicj e messe. Par di strano a Michel ch'ella vi sia, Che per trovar credea
di far gran via. 83 La conobbe al vestir di color cento Fatto a liste ineguali
ed infinite, Chor la coprono, or no; che i passi e'I vento Le gian aprendo,
ch'erano sdrucite. I crini avea qual d'oro e qual d'argento, E neri e b'gi; e
aver pareano lite: Altri in treccia, altri in nastro eran raccolti, Molti alle
spalle, alcuni al petto sciolti. 78 Dovunque drizza Michel angel l'ale, Fuggon
le nubi, e toma il ciel sereno:Gli gira intomo un aureo cerchio, quale Veggiam
di notte lampeggiar baleno. Seco pensa tra via, dove si cale Il celeste corrier
per fallir meno A trovar quel nimico di parole, A cui la prima commission far
vuole. 79 Vien scorrendo ov' egli abiti, ov' egli usi; E si accordaro infin
tutti i pensieri. Che di frati e di monachi rinchiusi Lo può trovare in chiese
e in monasteri, Dove sono i parlari in modo esclusi. Che '1 Silenzio ove
cantano i salteri, Ove dormono, ov' hanno la pietanza, E finalmente è scritto
in ogni stanza. 80 Credendo quivi ritrovarlo, mosse Con maggior fretta le
dorate penne; E di veder eh' ancor pace vi fosse, Quiete e Carità sicuro tenne.
Ma dalla opinion sua ritrovosse Tosto ingannato, che nel chiostro venne: Non è
Silenzio quivi; e gli fu ditto Che non v' abita più, fuorché in iscritto. stanza
84. 81 Né Pietà, né Quiete, né Umiltade, Né quivi Amor, né quivi Pace mira. Ben
vi fur già, ma nell'antiqua etade; Che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade. Di tanta novità l'Angel si ammira:Andò
guardando quella brutta schiera, E vide eh' anco la Discordia v' era: 84 Di
citatorie piene e di libelli, D'esamine e di carte di procure Avea le mani e il
seno, e gran ostelli Di chiose, di consigli e di letture; Per cui le facultà
de' poverelli Non sonò mai nelle città sicure. Avea dietro e dinanzi, e d'ambo
i lati, Notaj, procuratori ed avvocati.85 La cMama a sé Michele, e le comanda
Che tra i più forti Saradni scenda, E cagion trovi, che (•A>n memoranda
Rnina in"ieme a guerreggiar gli accenda. Poi del Silenzio nuova le domanda:
Facilmente esser può chessa nMntenda, Siccone quella ch accendendo fochi Di qua
e di là va per diversi lochi. 86 Rispose la Discordia: Io non ho a mente In
alcun loco averlo mai veduto:Udito l'ho ben nominar sovente, £ molto
commendarlo per astuto. Ma la Fraude, una qui di nostra gente, Che compagnia
talvolta gli ha tenuto, Penso che dir te ne saprà novella; E verso nna alzò il
dito, e disse: É quella. 87 Avea piacevol viso, abito onesto, Un umil volger
d'occhi, un andar grave. Un parlar si benigno e si modesto, Che parea Gabriel
che dicesse: Ave. Ehi brutta e deforme in tutto il resto; Ma nascondea queste
fattezze prave Con lungo abito e largo; e sotto quello, Attossicato avea sempre
il coltello. 88 Domanda a costei V Angelo, che via Debba tener, si che '1
Silenzio trove. Disse la Fraude: Già costui solia Fra virtudi abitare, e non
altrove Con Benedetto, e con quelli d'Elia Nelle badie, quando erano ancor
nuove; Fé' nelle scuole assai della sua vita Al tempo di Pitagora e d'Archita.
89 Mancati quei filosofi e quei santi Che lo solean tener pel cammin
ritto,Daglionesti costumi eh' avea innanti, Fece alle scelleraggini tragitto.
Cominciò andar la notte con gli amanti, Indi coi ladri, e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora: Veduto l'ho con l'Omicidio ancora. 90 Con
quei die fals<)n le monete ha usanza Di ripararsi in qualche buca scura.
Cosi spesso compagni muta e stanza, Che'l ritrovarlo ti saria ventura. Ma pur
ho d'insegnartelo speranza, Se d'arrivare a mezza notte h&i cura Alla casa
del Sonno: senza fallo Potrai (che qui dorme) ritrovallo. 91 Benché soglia la
Fraude esser bugiarda, Pur è tanto il suo dir simile al vero. Che l'Angelo le
crede; indi non tarda A volarsene fuor del monastero. Tempra il batter
dell'ale, e studia e iroanla Giungere in tempo al fin del suo sentiero.
Ch'alia. casa del Sonno, che ben dove Era sapea, questo Silenzio trove. 92
Giace in Arabia una valletta amena, Lontana da cittadi e da villaggi. Ch'ali'
ombra di duo monti è tutta piena D'antiqui abeti e di robusti faggi. Il Sole
indarno il chiaro di vi mena; Che non vi può mai penetrar coi nggì. Si gli è la
via da folti rami tronca: E quivi entra sotterra una spelonca. 93 Sotto la
negra selva una capace E sparì'osa grotta entra nel sasso, Di cui la fronte
l'edera seguace Tutta aggirando va con storto passo. In questo albergo il grave
Sonno giace; L'Ozio da un canto corpulento e grasso, Dall'altro la Pigrizia in
terra siede, Che non può andare, e mal reggesi m piede. 94 Lo smemorato Oblio
sta su la porta; Non lascia entrar né riconosce alcuno; Non ascolta imbasciata,
né riporta; E parimente tien cacciato ognuno. Il Silenzio va intomo, e fa la
scorta Ha le scarpe di feltro e '1 mantel brano; Ed a quanti n' incontra, di
lontano, Che non debban venir, cenna con mano. 95 Se gli accosta all'orecchio,
e pianamente L'Angel gli dice: Dio vuol che tu gnidi A Parigi Rinaldo con la
gente Che per dar, mena, al suo signor sassidi; Ma che lo facci tanto
chetamente, Ch' alcun de' Saracin non oda i gridi; Si che più tosto che ritrovi
il calle La Fama d'avvisar, gli abbia alle spalle. 96 Altrìmente il Silenzio
non rispose Che col capo accennando che fria; E dietro ubbidiente se gli pose,
E furo al primo volo in Piccardia. Michel mosse le squadre coraggiose, E fé'
lor breve un gran tratto di via; Si che in un dì a Parigi le condusse, Né alcun
s'avvide che miracol. fosse. 97 Disconreva il SMeniìo; e tatto volto, E dinansi
alle squadre e d'ogn intorno, Facea girare nnalto nebbia in volto, Ed avea
chiaro ogni altra parte il giorno: E non lasciava questo nebbia folto, Che s
udisse di fnor tromba nò corno:Poi nandò tra' pagani, e menò seco Un non so
che, eh' ognun fé' sordo e cieco. 98 Mentre Rinaldo in tol fretto venia, Che
ben parea dall' Angelo condotto, E con silenzio tol che non s'udia Nel campo
saracin farsene motto; Il re Agramante avea la fanteria Messo ne' borghi di
Parigi, e sotto Le minacciate mura in su la fossa, Per far quel di l'estremo di
sua possa. 99 Chi può contar l'esercito che mosso Questo di con tra Carlo ha '1
re Agramante, Conterà ancora in su l'ombroso dosso Del silvoso Appennin tutte
le piante: Dirà quante onde, quando è il mar più grosso, Bagnano i piedi al
manritono Atlante; E per quanti occhi il ciel le furtive opre Degli amatori a
mezza notte scuopre. 100 Le campane si sentono a martello Di spessi colpi e
spaventosi tocche; Si vede molto, in questo tempio e in quello, Alzar di mano e
dimenar di bocche. Se'l tesoro paresse a Dio si bello, Come alle nostre
opinioni sciocche, Questo era il di che'l santo consistoro Fatto avria in terra
ogni sua stetua d'oro. 101 S'odon rammaricare i vecchi giusti, Che s'erano
serbati in quegli affanni, E nominar felici i sacri busti Composti in terra già
molti e molt' anni. Ma gli animosi giovani rob:i"ti, Che miran poco i lor
propinqui danni, Sprezzando le ragion de' più maturi, Di qua di là vanno
correndo a' muri 102 Quivi erano baroni e paladini, Re, duci, cavalier,
marchesi e conti, Soldati forestieri e cittadini, Per Cristo e pel suo onore a
morir pronti, Che, per uscire addosso ai Saracini, Pregan l'imperator
ch'abbassi i ponti. Gode egli di veder l'animo audace; Ma di lasciarli uscir
non li compiace. 103 E li dispone in opportuni lochi. Per impedire ai barbari
la via. Là si contenta che ne vadan pochi; Qua non basto una grossa compagnia. Alcuni
han cura maneggiare i fuochi, Le macchine altri, ove bisogno sia. Carlo di qua
di là non sta mai fermo; Va soccorrendo, e fa per tutto schermo. Staii7.a i02.
104 Siede Parigi in una gran pianura, Nell'ombilico a Francia, anzi nel core;
Gli passa la riviera entro le mura, E corre, ed esce in altra parte fuore; Ma
fa un'isola prima, e v'assicura Della città una parte, e la migliore:L'altre
due (ch'in tre parti è la gran terra) Di fuor la fossa, e dentro il fiume
serra. 105 Alla città, che molte miglia gira. Da molte parti si può dar
battoglia: Ma perchè sol da un canto assalir mira, Né volentier l'esercito
sbaraglia, Oltre il fiume Agramante si ritira Verso Ponente, acciò che quindi
assaglia; Perocché né cittade né campagna Ha dietro, se non sua, fin alla
Spagna.106 Dovuniìae intorno il gran muro circonda. Gran munizioni avea già
Carlo fatte, Fortificando d'argine ogni sponda, Con scannafossi dentro e
casematte: Ond' entra nella terra, ond' esce V onda, Grossissime catene aveva
tratte; Ma fece, più ch'altrove, provvedere Là dove avea più causa di temere.
btanza 116. 107 Con occhi dArgo il figlio di Pipino Previde ove assalir dovea
Agraraante; E non fece disegno il Saracino, A cui non fosse riparato innante.
Con Ferraù, Isoliero, Serpentino, Grandonio, Falsirone e Balugante, E con ciò
che di Spagna avea menato. Restò Marsilio alla campagna armato. 108 Sobrìn gli
era a man manca in ripa a Senna, Con Pulian, con Dardinel d'Almonte, Col re
d'Oran, ch'esser gigante accenna, Lungo sei braccia dai piedi alla fronte. Deh
perchè a muover men son io la penna, Che quelle genti a muover l'arme pronte?
Chè'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno, Grida e bestemmia, e non può star
più a seo. 109 Come assalire a vasi pastorali, 0 le dolci reliquie de' convivi,
Soglion con rauco suon di stridule ali Le impronte mosche a' caldi giorni
estivi; Come gli stomi a' rosseggianti pali Vanno di mature uve; così quivi,
Empiendo il ciel di grida e di rumori, Veniano a dare il fiero assalto i Mori.
1 10 L'esercito Cristian sopra le mura Con lance, spade e scuri e pietre e
fuoco Difende la città senza paura, E il barbarico orgoglio estima poco; £ dove
morte uno ed un altro fura, Non è chi per viltà ricusi il loco. Tornano i
Saracin giù nelle fosse A furia di ferite e di percosse. Ili Non ferro
solamente vi s'adopra. Ma grossi massi, e merli integri e saldi, E muri
dispiccati con molt'opra, Tetti di torri, e gran pezzi di spaldi. L'acque
bollenti che vengon di sopra. Portano a' Morì insopportabil caldi; E male a
questa pioggia si resiste, Ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste. 112 E
questa più nocea che'l ferro quasi: Or che de' far la nebbia di calcine? Or che
doveano far li ardenti vasi Con olio e zolfi e peci e trementine? 1 cerchj in
munizion non son rimasi, Che d'ogn' intomo hanno di fiamma il crine: Questi,
scagliati per diverse bande, Mettono a' Saracini aspre ghirlande. 118 Intanto
il re di Sarza avea cacciato Sotto le mura la schiera seconda, Da Buraldo, da
Onuida accompagnato, Quel Garamante, e questo di Marmonda Clarindo e Soridan
gli sono a lato:Né par che '1 re di Setta si nasconda:Segue il re di Marocco e
quel di Cosca, Ciascun perchè il valor suo si conosca. 114 Nella bandiera, eh'
è tutta vermiglia, Rodomonte di Sarza il leon spiega. Che la feroce bocca ad
una briglia Che gli pon la sua donna, aprir non niega. Al leon sé medesimo
assimiglia; E per la donna che lo frena e lega, La bella Doralice ha figurata,
Figlia di Stordilan re di Granata: 115 Quella che tolto avea, compio narrava,
Be Mandricardo; e dissi dove e a coi. Era costei che Rodomonte amava Più che U
suo regno e più che gli occhi sui; E cortesia e valor per lei mostrava, Non già
sapendo eh' era in forza altrui:Se saputo T avesse, allora allora Fatto avria
quel che fé quel giorno ancora. IIG Sono appoggiate a un tempo mille scale, Che
non han men di dua per ogni grado. Spìnge il secondo quel ch'innanzi sale: Che
il terzo lui montar fa suo mal grado. Chi per virtù, chi per paura vale:Convien
eh' ognun per forza entri nel guado; Che qualunque s'adagia, il re d'Algiere,
Rodomonte crudele, uccide o fere. 117 Ognun dunque si sforza di salire Tra il
fuoco e le mine in su le mura. Ha tutti gli altri guardano se aprire Veggiano
passo ove sia poca cura:Sol Rodomonte sprezza di venire Se non dove la via meno
è sicura. Dove nel caso disperato e rio Gli altri fan voti, eglibestemmia Dio.
1 1 8 Armato era d'un forte e duro usbergo, Che fu di drago una scagliosa
pelle. Di questa già si cinse il petto e '1 tergo Quello avol suo ch'edificò
Babelle. E si pensò cacciar dell' aureo albergo, E tórre a Dio il governo delle
stelle:L'elmo e lo scudo fece far perfetto, E il brando insieme; e solo a
questo effetto. 119 Rodomonte, non già men di Nembrotte Indomito, superbo e
furibondo. Che d'ire al ciel non tarderebbe a notte. Quando la strada si
trovasse al mondo, Quivi non sta a mirar s' intere o rotte Sieno le mura, o s'
abbia V acqua fondo:Passa la fossa, anzi la corre, e vola. Nell'acqua e nel
pantan fino alla gola. 120 Di feingo brutto e molle d'acqua, vanne Tra il foco
e i sassi e gli archi e le balestre, Come andar suol tra le palustri canne
Della nostra Mallea porco silvestre. Che col petto, col grifo e con le zanne
Fa, dovunque si volge, ampie finestre. Con lo scudo alto il Saracin sicuro Ne
vien sprezzando il ciel, non che quel muro. 121 Nju si tosto all'asciutto è
Rodomonte. Che giunto si sentì su le bertesche, Che dentro alla muraglia facean
ponte Capace e largo alle squadre fìrancesche. Or si vede spezzar più d'una
fronte, Far chieriche maggior delle fratesche. Braccia e capi volare, e nella
fossaCader da' muri una fiumana rossa. 122 Getta il pagan lo scudo, e a duo man
prende La crudel spada, e giunge il duca Arnolfo. Costui venia di là dove
discende L'acqua del Reno nel salato golfo. Quel miser contra lui non si
difende Meglio che faccia contro il fuoco il zolfo. E cade in terra, e dà
l'ultimo crollo, Dal capo fesso un palmo sotto il collo. 123 Uccise di rovescio
in una volta Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:Il luogo stretto e la gran
turba folta Fece girar si pienamente il brando. Fu la prima metade a Fiandra
tolta, L'altra scemata al popolo normando. Divise appresso dalla fronte al
petto, Et indi al ventre, il maganzese Orghetto. 124 Getta da' merli Andropono
e Moschino Giù nella fossa; il primo è sacerdote; Non adora il secondo altro
che'l vino, E le bigonce a un sorso n' ha già vuote. Come veueno e sangue
viperino L'acqua fuggia quanto fuggir si puote: Or quivi muore; e quel che più
l'annoia, É '1 sentir che nell' acqua se ne muoia. 126 Tagliò in due parti il
provenzal Luigi, E passò il petto al tolosano Arnaldo. Di Torse Oberto,
Claudio, Ugo e Dionigi Mandar lo spirto fuor col sangue caldo; E presso a
questi quattro da Parigi. Gualtiero, Satallone, Odo et Ambaldo, Ed altri molti:
ed io nonsaprei come Di tutti nominar la patria e il nome. 126 La turba dietro
a Rodomonte presta Le scale appoggia, e monta in più d'un loco. Quivi non fanno
i parigin più testa; Che la prima difesa lor vai poco. San ben eh' agli nemici
assai più resta Dentro da fare, e non l'avran da gioco; Perchè tra il muro e
l'argine secondo Discende il fosso orribile e profondo. 127 Oltra che i nostri
facciano difesa Dal basso air alto, e mostrino valore; Naova gente succede alla
contesa Sopra Perta pendice interiore, Che fa con lance e con saette offesa
Alla gran moltitudine di fùore, Che credo ben che saria stata meno, Se non vera
il figliaci del re Ulieno. 128 Egli questi conforta, e qnei riprende, E lor mal
grado innanzi se gli caccia: Ad altri il petto, ad altri il capo fende, Che per
ftiggir veggia voltar la faccia. Molti ne spinge ed urta; alcuni prende Pei
capelli, pel collo e per le braccia: E sozzopra laggiù tanti ne getta, Che
quella fossa a capir tutti è stretta. 129 Mentre lo stuol de barbari si cala.
Anzi trabocca al periglioso fondo, Et indi cerca per diversa scala Di salir
sopra l'argine secondo; n re di Sarza (come avesse un'ala Per dascun de' suoi
membri) levò il pondo Di si gran corpo e con tant' arme indosso, E netto si
lanciò di là dal fosso. 131 In questo tempo i nostri, da chi teae L'insidie son
nella cava profonda, Che v'han scope e fascine in copia stese, Intorno a' quai
di molta pece abbonda, Né però alcuna si vede palese, Benché n'ò piena l'una e
l'altra sponda Dal fondo cupo insino all'orlo quasi; E senza fin v' hanno
appiattati vasi, 132 Qual con salnitro, qual con olio, qaale Con zolfo, qual
con altra simil esca: I nostri in questo tempo, perchè male Ai Saracini il
folle ardir riesca, Ch'eran nel fosso, e per diverse scale Credean montar su
l'ultima bertesca; Udito il segno da opportuni lochi, Di qua e di là fenno
avvampare i fochi. 133 Tornò la fiamma sparsa tutta in una, Che tra una ripa e
l'altra ha'l tutto pieno; E tanto ascende in alto, eh' alla luna Può d'appresso
asciugar l'umido seno. Sopra si volve escura nebbia e bruna, Che '1 sole
adombra, e spegne ogni sereno. Sentesi un scoppio in un perpetuo suono. Simile
a un grande e spaventoso tuono. 130 Poco era men di trenta piedi, o tanto; Ed
egli il passò destro come un veltro, E fece nel cader strepito, quanto Avesse
avuto sotto i piedi il feltro: Ed a questo ed a quello affrappa il manto, Come
sien l'arme di tenero peltro, E non di ferro, anzi pur sien di scorza:Tal la
sua spada, e tanta è la suaforza. 134 Aspro concento, orribil armonia D'alte
querele, d'ululi e di strida Della misera gente che perla Nel fondo per cagion
della sua guida, Istranamente concordar s'udia Col fiero suon della fiamma
omicida. Non più, signor, non più di questo Canto; Ch'io son già rauco, e vo'
posarmi alquanto. NOTE. St. 3. v.1. Marini: con questo nome erano cono sciuti
alcuni popoli della Gallla Belgica, ai quali ap paitenevano i porti di Calais e
Boulogne, detti allor" Jciua portus e Oessoriacum In questa e nelle Stanze
che seguono, fino alla nona, parlasi della battaglia di Ravenna accennata nel Canto
III, e seguita tra V eser cito francese e le collegate truppe pontificie e
spagnuole. St. 4. V.38. Le ricche Giande (ghiande) d'oro. Al lude il Poeta al
potere di Giulio II di casa della Rovere, che aveva nello stemma gentilizio una
quercia. Il Baaton ffiallo e vermiglio indica le forze di Spagna, nella cui
bandiera campeggiano ancora quei due colori. Nel Giglio è denotata la Francia.
Il suo Fabrizio a Roma. Fabrizio Colonna, condottiero degli Spagnuoli, cadde
allora prigioniero dei soldati di Alfonso, il quale, rifiutatosi di consegnarlo
ai Francesi che lo volevano, lo rimandò libero al papa. St. 5. v.8 Non giovar
spiedi né carra. Instile riuscìagli Spagnuoli, in quel fatto, Tnso dì certi
cani guarniti di lance, che si adoperavano neirantica milizia per rompere le
file del nemico.St. 6. V.4. Il capitan di Francia morto in quel 1 impi'esa, era
Gastone di Foix. ST. 7. V.4. Non croscè, non si scarìohL St. 8. V.3. Laurea
IHordaligif ò il giglio, stemma di Francia in quel tempo. St. 9. V.14. 0 misera
Ravenna, eec. Prima che seguisse quella battaglia, Brescia, ohe aveva resistito
ai Francesi, ebbe da loro il saccheggio; ma Faenza e Ri mini ne furono esenti,
ricevendoli senza opporsi, Ivi. V.&. Il Poeta esorta il re Luigi a mandare
il suo maresciallo Giangiacomo Trivalzio a frenare Un continenza dei Francesi,
stata ad essi cagione di rovina in più circostanze. St 11. V.7. Navarra: antico
rejno delle Spagne verso i Pirenei. St. 12. V.18. Leone: altro regno antico
delle Spa gne. Algarìn, o Algarvia: provincia già della Spa gna, ora del
Portogallo, che comprende le comarche di Faro. Tavira e Lagos. Malaga: città
marittima di Granata. Siviglia: città neir Andalusia sulla sinistra del
Guadalquivir. Gode, o Cadice: città marittima e forte della stetsa provincia,
nella piccola isola di Leon. Cordova: egualmente neir Andalusia, alle falde
della Sierra Morena, sulla destra del GuadcJquivir. Questo fiume, chiamato
Bcetis dai Latini, ha origine nei monti limitrofi alle intendenze di Granata,
di Mnrcia e di Jaen, e traversa tutta l'Andalusia. • St. 13. v.38. Granata: già
capitaneria di Spagna, con tìtolo di Regno. Vlisbona, o Lisbona. Maio rica: la
maggiore delle Baleari. Maricoldo, re di Ga lizia, era il padre d'Isabella,
ucciso da Orlando. St. 14. v.18. Toledo e Calatrava, nella Nuova Castiglia.
Guadiana: fiume che ha origine nella Man cia, traversa TEstremadura, ed entra
nel Portogallo, lam bendo la frontiera orientale dell'Algarvla. Asturga:oggi le
Asturie. Avita: nella Vecchia Castiglia. St. 15. V.1. Saragosa: Saragozza
(Aragona). St. 16. V.4. Sagontino conte. Sagunto, antica città di Spagna,
distrutta ed arsa dagli abitanti per non ce dere ai Romani, è Todiema Morviedro
(Valenza). St. 17. V.48. Orano: città d'Algeri, sul Mediter raneo. Garamanti:
popoli dell'Africa interiore, quelli probabilmente che diconsi ora Tìbbous. St.
18. V.1. Marmonda: corrisponde forse a Mah mon, città marittima, a levante di
Fez. St. 19. V.13. Ad evitare la prolissità in cui si ca drebbe nello spiegare
ad uno ad uno i molti nomi dei luoghi africani che s' incontrano fino alla St
28, si ri mette il lettore ai lessici dell'antica Geografia;e solo si notano
quei nomi che sembrano più importanti. Tin gitana del quarto verso, nome antico
che corrisponde al moderno impero di Marocco. St. 21. v.6. Costantina: l'antica
Oirta, patria di Massinissa e diGiugurta. Oggi ò capoluogo della provin cia
omonima nello Stato d'Algeri, dalla parte orientale. St. 22. V.25. Setta, ora
Ceuta, sullo stretto di Gi bilterra a levante, e a non molta distanza da
Tanger. Fizano, verosimilmente il Fezzan, provincia dello Stato di Tripoli,
formata da varie oasi del deserto di Barca. St. 23. v.7. Getulia: nome dato
dagli antichi ad una regione africana che giace a mezzodì della Mauri tania e a
settentrione del fiume Niger. St. 25. V.38 Sarza: potrebb'essere Sargel, pro
vincia marittima del Regno d'Algeri, notata con questo nome dagli antichi
geografi; se pure non dovesse inten dersi la città che i Latini dissero Saldce;
ed allora corrisponderebbe a Bugia, luogo forte sul Mediterraneo tra Algeri e
Costantina. Nei due ultimi versi si vogliono denotare i mesi di novembre e
dicembre, nei quali sole, passando per i segni del sagittario e del capricorno,
apporta l'inverno. St. 34. v.4. Villano: è il nome che si dà ad una razzi
particolare di cavalli in Ispagna St. 38. v.78. Ocricoli o
Otricoli,terricciuola che s'incontra sulla via di Roma. St. 53. V.7. Ubino,
specie di cavallo mansueto. St. 66. y, d. Ré del Garbo: re d' Algarvia, detta
più sopra Algarbi. St. 68. V.6. AgVinimici stigi: ai diavoli. St. 7:. v.58.
Difendi, ecc. I crociati fecero l'im presa di Palestina posteriormente ai tempi
di Carlo Magno: tale anacronismo è scusabile in un poema 10 manzesco come V
Orlando Furioso. St. 77. v.8. 72 benedetto augel: l'angelo. St. 8. V.58. Con
Benedetto, ecc. San Benedetto fondò il suo ordine monastico in Monte Cassino, e
al profeta Elia si attribuisce Tistituzione dei Carmelitani. Pitagora e Archita
imponevano ai loro discepoli un silenzio di cinque anni. St. 101. v.3. J saeri
busti. I Latini chiamarono bustum il luogo ove si ardevano i cadaveri: qui
vuoisi significare i cadaveri, che si dicono sacri, cioè invio labili. St. 101
V.3. La riviera: la Senna che divide Parigi. St. 106. V.4. Scannafossi e
casematte sono lavori sotterranei di difesa alle mura delle città e piazze
forti. St. Ili, V.4. Spaldi: ballatoi praticabili in cima di mura e torri. St.
118. V.4. Finge il Poeta che Rodomonte di scenda da Nembrot. St. 120. V.4.
Mallea: luogo palustre sulla sinistra del Po di Volano, vicino al mare, e
copioso di cignali. St. 121. v.2. Bertesche, specie di riparo da guerra, che si
faceva sulle toiri 0 alle porte delle città. St. 122. V.34. IH là dove
discende, ecc. Quivi vuoisi indicare l'Olanda. St. 123. V.5. Apparisce da
questo verso che i primi due erano Fiamminghi. St. 125. V.3. Torse: Tours nella
Turrena. St. 133. V.34. E tanto ascende, ecc.: espressione iperbolica, per
denotare la grande altezza delia fiamma, e l'umidità attribuita dagli antichi
alla luna. iltiitrt! ferve ropiniguastiuoe dì Parigi, Itodomoiiti; pJielr"
dentro lo mura fi ella città. Astolfo che ha ricevjito dev Lf>ip"ti]la
aii ti! irò mi sturi 00 ti uà corno dotata di siiigolure \irtti. si pirte dei
lui 4 il 1 prò ti a nel golfo di Peiia. Passa in Eiuoe vi f prigione Iti
spietLto Caligarante: va poscia a D&tnijLtiL, i\ i uccide Urrìhj,
ladio&tì tu maOj che trova allei prese cuu Aqai lai] le i'. Grinfie.
Hlt"!ìì coti questi a Uernflakmmp, nata da SanaoiieLto a nome di Carlo,
GrifonQ ha "piacer oli notìzii di Urriiilleaua dotina, e va nasco sUmeij te
a iJOvarU. 1 Fu il vincer jsempre iiiùi laudabi! cosa" Vinca bÌ a per
fortuna o per ingegno j Gli è ver che la vittoria sanguinosa Spesilo far
ìiìi>le il capitan meli degno; E Q nel la eternamente è gloriosa, K
deidivini onori arriva al seno r Quando, iservandù ì èuuì senza alcun danno. Si
fa die gl'inimici in rotta vanno, 2 La viistra, signtjr mio, fn degna loda
" i /nandù al Leone, in mar tanto feroce, Cli'avea occupìitiì l'iina e
l'altra prwla Ilei Po, da Frane olia £Ìn alla foce " Faceste si, eh' aDcorchè
ruggir T oda, S' io vedrò voi, non tremerò alla voce. Come vincer si de' ne
dimostraste; Ch' uccideste i nemici, e noi salvaste. Questo il pagan, troppo in
suo danno audace, Non seppe far; che i suoi nel fosso spinse, Dove la fiamma
subita e vorace Non perdonò ad alcun, ma tutti estinse. A tanti non saria stato
capace Tutto il gran fosso; ma il foco restrinse. Restrinse i corpi, e in poUe
li ridusse, Acciò ch'abile a tutti il luogo fnsse. Undici mila ed otto sopra
venti Si ritrovar nell'affocata buca. Che V erano discesi mal contenti; Ma cosi
volle il poco saggio duca. Quivi fra tanto lume or sono spenti, E la vorace
fiamma li manaca: E Rodomonte, causa del mal loro, Se ne va esente da tanto
martore; 9 Gente infinita poi di minor conto De' Franchi, de' Tedeschi e de'
Lombardi, Presente al suo signor, cia.scuno pronto A farsi riputar fìra i più
gagliardi. Di questo altrove io vo' rendervi conto; Ch'ad un gran duca è forza
ch'io riainli, Il qnal mi grìA\ e di lontano accenna, E priega ch'io noi lasci nella
penna. 10 Gli è tempo ch'io ritomi ove lasciai L'avventuroso Astolfo
d'Inghilterra, Che '1 lungo esilio avendo in odio ormai, Di desiderio ardea
della sua terra:Come gli n'avea data pur assai Speme colei eh' Alcina vinse in
guerra. Ella di rimandarvelo avea cura Per la via più spedita e più sicura. 5
Che tra' nemici alla ripa più intema Era passato d'un mirabil salto. Se con gli
altri scendea nella cavema, Questo era ben il fin d'ogni suo assalto. Rivolge
gli occhi a quella valle infema; E quando vede il fuoco andar tant' alto, E di
sua gente il pianto ode e lo strido. Bestemmia il Ciel con spaventoso grido. 6
Intanto il re Agramante mosso av&% Impetuoso assalto ad una porta; Che,
mentre la cradel battaglia ardea Quivi, ove è tanta gente afflitta e morta,
Quella sprovvista forse esser credea Di guardia che bastasse alla sua scorta.
Seco era il re d'Arzilla Bambirago, E Baliverzo, d'ogni vizio vago; 7 E Corineo
di Mulga, e Prusì'one, Il ricco re dell'Isole beate; Malabuferso, che la
regione Tien di Fizan sotto continua estate: Altri signori, ed altre assai
persone Esperte nella guerra e bene armate; E molti ancor senza valore e nudi,
Che'l cor non s'armerian con mille scudi. 8 Trovò tutto il contrario al suo
pensiero In questa parte il re de'Saracini: Perchè in persona il capo
dell'impero V' era, re Carlo, e de' suoi paladini, Re Salamene ed il danese
Uggiero, Ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini, E '1 duca di Baviera e Ganelone,
E Berlinger e Avolio e Avino e Otone. 11 E cosi una galea fu apparecchiata, Di
che miglior mai non solcò marina:E perchè ha dubbio pur tutta fiata, Che non
gli turbi il suo viaggio Alcina, Vuol Logistilla che con forte armata Andronica
ne vada e Sofrosina, Tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo De' Persi giunga a
salvamento Astolfo. 12 Piuttosto vuol che volteggiando rada Gli Sciti e gì'
Indi e i regni nabatei, E tomi poi per cosi lunga strada A ritrovare i Persi e
gli Eritrei; Che per quel boreal pelago vada, Che turbau sempre iniqui venti e
rei, E si qualche stagion pover di sole, Che stame senza alcuni mesi suole. 13
La Fata, poi che vide acconcio il tutto, Diede licenzia al duca di partire,
Avendol prima ammaestrato e instmtto Di cose assai, che fora lungo a dire; E
per schivar che non sia più ridutto Per arte maga, onde non possa uscire, Un
bello ed util libro gli avea dato, Che per suo amore avesse ognora a lato. 14
Come l'uom riparar debba agi' incanti Mostra il libretto che costei gli
diede:Dove ne tratta o più dietro o più innanti, Per rubrica e per indice si
vede. Un altro don gli fece ancor, che quanti Doni fur mai, di gran vantaggio
eccede; E questo fu d'orribil suono un corno, Ohe fa fuggire ognun che l'ode
intorno. 15 Pico che'l comò é di si orribil snono, Ch ovunque s'oda, fa faggir
la gente. Non può trovarsi al mondo un cor sì buono Che possa non fuggir come
lo sente. Rumor di vento (; di tremuoto, e '1 tuono, A par del suon di questo,
era niente. Con molto riferir di grazie, prese Dalla Fata licenzia il buono
Inglese. 16 Lasciando il porto e l'onde più tranquille, Con felice r"ura
ch'alia poppa spira, Sopra le ricche e populose ville Dell' odorifera India il
duca gira, Scoprendo a destra ed a sinistra mille Isole sparse: e tanto va, che
mira La terra di Tommaso, onde il nocchiero Più a tramontana poi volge il
sentiero. 21 Ma, volgendosi gli anni, io veggio nsrire Dall'estreme contrade di
Ponente Nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire La strada ignota infin al dì
presente: Altri volteggiar l'Africa, e seguire Tanto la costa della negra
gente. Che passino quel segno onde ritomo Fa il sole a noi, lasciando il
capricorno; 22 E ritrovar del lungo tratto il fine. Che questo fa parer dui mar
diversi: E scorrer tutti i liti e le vicine Isole d'Indi, d'Arabi e di
Persi:Altri lasciar le destre e le mancine Rive, che due per opra erculea
lèrsi:E del sole imitando il cammin tondo, Ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
17 Quasi radendo l'aurea Chersonesso, La bella armata il gran pelago frange:E
costeggiando i ricchi liti, spesso Vede come nel mar biancheggi il Gange; E
Taprobane vede, e Cori appresso: E vede il mar che fra i duo liti s'ange. Dopo
gran via furo a Cechino, e quindi Uscirò fuor dei termini degl'Indi. 23 Veggio
la santa Croce, e veggio i segni Imperiai nel verde lito eretti:Veggio altri a
guardia dei battuti legni, Altri all' acquisto del paese eletti; Veggio da
dieci cacciar mille, e i regni Dì là dall' India ad Aragon suggetti:E veggio i
capitan di Carlo Quinto, Dovunque vanno, aver per tutto vinto. 18 Scorrendo il
duca il mar con sì fedele E sì sicura scorta, intender vuole . E ne domanda
Andronica, se de le Parti e' han nome dal cader del sole, 3Iai legno alcun, che
vada a remi e a vele, Nel mare orientale apparir suole; E s'andar può senza
toccar mai terra. Ohi d'India scìoglia, in Francia o in Inghilterra. 19 Tu dei
sapere, Andronica risponde, Che d'ogn' intorno il mar la terra abbraccia; E van
r una nell' altratutte 1' onde, Sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia. Ma
perchè qui da van te si diffonde, E sotto il mezzodì molto si caccia La terra
d'Etiopia, alcuno ha detto Ch'a Nettuno ir più innanzi ivi è interdetto. 24 Dio
vuol ch'ascosa antiquamente questa Strada sia stata, e ancor gran tempo stia:Né
che prima si sappia, che la sesta E la settima età passata sia:E serba a farla
al tempo manifesta. Che vorrà porre il mondo a monarchia Sotto il più saggio
imperatore e giusto. Che sia stato o sarà mai dopo Augusto. 25 Del sangue
d'Austria e d'Aragon io veggit" Nascer sul Reno alla sinistra riva Un
Principe, al valor del qual pareggio. Nessun valor, di cui si parli o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio, Anzi di morta ritornata viva; E le
virtù che cacciò il mondo, quando Lei cacciò ancora, uscir per lui di bando. 20
Per questo dal nostro inlieo levante Nave non è che per Europa scioglia; Né si
muove d'Europa navigante Ch'in queste nostre parti arrivar voglia. Il
ritrovarsi questa terra avante, E questi e quelli a ritornare invoglia; Che
credono, veggendola si lunga, Che con l'altro emisperio si congiunga. 26 Per
questi merti la Bontà suprema Non solamente di quel grande impero Ha disegnato
eh' abbia diadema, Ch' ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo; Ma d'ogni terra e
quinci e quindi estrema. Che mai né al sol né all'anno apre il seutieru; E vuol
che sotto a questo imperatore Solo un ovile sia, solo un pastore. 27 E perch'abbiair
più facile successo Gli ordini in cielo eternamente scritti, Gli pon la somma
Prowidenzia appresso In mare e in terra capitani invitti. Veggio Emando
Cortese, il quale ha messo Nuove città sotto i cesarei editti, E regni in
Oriente sì remoti, Ch'a noi che siamo in India non son noti. 28 Veggio Prosper
Colonna, e di Pescara Veggio un marchese, e veggio dopo loro Un giovene del
Vasto, che fan cara Parer la bella Italia ai Gigli d oro:Veggio ch'entrare
innanzi si prepara Quel terzo agli altri a guadagnar V alloro; Come buon
corridor ch'ultimo lassa Le mosse, e giunge, einnanzi a tutti passa. Stanza 88.
29 Veggio tanto il valor, veggio la fede Tanta d'Alfonso (chè'l suo nome è
questo), Ch'in così acerba età, che non eccede Dopo il vigesimo anno ancor il
sesto, L'imperator l'esercito gli crede. Il qual salvando, salvar non che 'l
resto, Ma farsi tutto il mondo ubbidiente Con questo capitan sarà possente. 30
Come con questi, ovunque andar per terra Si possa, accrescerà l'imperio antico;
Così per tutto il mar ch'in mezzo serra Di là 1' Europa, e di qua l'Afro
aprico, Sarà vittorioso in ogni guerra. Poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico.
Questo è quel Doria che fa dai pirati Sicuro il vostro mar per tutti i lati. 81
Non fu Pompeio a par dì costui degno, Sebben Tinse e cacciò tutti i corsari;
Perocché quelli al più possente regno Che fosse mai, non poteano esser pari: Ma
questo Dona sol col proprio ingegno E proprie forze purgherà quei mari; Si che
d Calpe al Nilo, ovunque s oda Il nome suo, tremar veggio ogni proda. 32 Sotto
la fede entrar, sotto la scorta Di questo capitan di ch'io ti parlo, Veggio in
Italia, ove da lui la porta Gli sarà aperta, alla corona Carlo. Veggio che '1
premio che di ciò riporta, Non tien per sé, ma fo alla patria darlo:Con prieghi
ottien ch'in libertà la metta, Dove altri a sé Pavria forse suggetta. 33 Questa
pietà, ch'egli alla patria mostra, É degna di più onor d'ogni battaglia Ch'in
Francia o in Spagna o nella terra vostra Vincesse Giulio, o in Africa o in
Tessaglia. Né il gran Ottavio, né chi seco giostra Di par, Antonio, in più
T)noranza saglia Pei gesti suoi; eh' ogni lor laude ammorza L'avere usato alla
lor patria forza. 34 Questi ed ogn' altro che la patria tenta Di libera far
serva, si arrossisca; Né dove il nome d'Andrea Doria senta. Di levar gli occhi
in viso d'uomo ardisca. Veggio Carlo che '1 premio gli augumenta; Ch'oltre quel
ch'in comun vuol che fruisca, Gli dà la ricca terra ch'ai Normandi Sarà
principio a farli in Puglia grandi. 35 A questo capitan non pur cortese Il
magnanimo Carlo ha da tnostrarsi. Ma a quanti avrà nelle cesaree imprese Del
sangue lor non ritrovati scarsi. D'aver città, d'aver tutto un paese Donato a
un suo fedel, più rallegrarsi Lo veggio, e a tutti quei che ne son degni. Che
d'acquistar nuov' altri imperj e regni. 36 Cosi delle vittorie, le quai, poi
Ch' un gran numero d'anni sarà corso, Daranno a Carlo i capitani suoi, Facea
col duca Andronica discorso. E la compagna intanto ai venti eoi Viene
allentando e raccogliendo il morso; E fa eh' or questo or quel propizio l'esce;
E, come vuol, li minuisce e cresce. 37 Veduto aveano intanto il mar de' Persi
Come in si largo spazio si dilaghi; Onde vicini in pochi giorni fèrsi Al golfo
che nomar gli antiqui maghi. Quivi pigliare il porto, e ftur conversi Con la
poppa alla ripa i legni vaghi; Quindi sicur d'Alcina e di sua guerra Astolfo il
suo cammin prese per terra. 38 Passò per più d'un campo e più d'un bosco, Per
più d'un monte e per più d'una valle; Ove ebbe spesso, all' aer chiaro e al
fosco, I ladroni or innanzi or alle spalle. Vide leoni e draghi pien di tosco.
Ed altre fere attraversargli il calle; Ma non si tosto avea la bocca al corno,
Che spaventati gli fnggian d'intorno. 39 Vien per l'Arabia eh' è detta Felice,
Ricca di mirra e d'odorato incenso, Che per suo albergo l'unica fenice, Eletto
s'ha di tutto il mondo immenso; Finché l'onda trovò vendicatrice Già d'Israel,
che per divin consenso Faraone sommerse e tutti i suoi: E poi venne alla terra
degli Eroi. 40 Lungo il fiume Traiano egli cavalca Su quel destrier eh' al
mondo é senza pare, Che tanto leggiermente e corre e valca, Che nell'arena
l'orma non n'appare: L'erba non pur, non pur la neve calca; Coi piedi asciutti
andar potria sul mare:E si si stende al corso e si s'affretta, Che passa e
vento e folgore e saetta. 41 Questo é il destrier che fu dell'Argalia, Che di
fiamma e di vento era concetto; E senza fieno e biada si nutria Dell'aria pura,
e Rabican fu detto. Venne, seguendo il duca la sua via, Dove dà il Nilo a quel
fiume ricetto; E prima che giugnesse in su la foce, Vide un legno venire a sé
veloce. 42 Naviga in su la poppa uno eremita Con bianca barba, a mezzo il petto
lunga, Che sopra il legno il paladino invita; E: Fìgliuol mio (gli grida dalla
lunga). Se non t' é in odio la tua propria vita, Se non brami che morte oggi ti
giunga, Venir ti piaccia su quest'altra arena; Ch' a morir quella via dritto ti
mena. 43 Tu non andrai più che sei miglia innante, Che troverai la sanguinosa
stanza, Dove s'alberga un orribil gigante Che d'otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavaller né viandante Di partirsi da lui, vivo, speranza:Ch'altri il
crudel ne scanna, altri ne scuoia; Molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia. 47
Fuggendo, posso con disnor salvarmi:Ma tal salute ho più che morte a schivo, S'
io vi vo, al peggio che potrà incontrarmi Fra molti resterò di vita privo; Ma
quando Dio cosi mi drizzi V armi, Che colui morto, ed io rimanga vivo, Sicura a
mille renderò la via; Si che V util maggior che '1 danno fia. 48 Metto
all'incontro la morte d'un solo Alla salute di gente infinita. Vattene in pace,
rispose, figliuolo; Dio mandi in difension della tua vita L'arcangelo Michel
dal sommo polo: E benedillo il semplice eremita. Astolfo lungo il Nil tenne la
strada. Sperando più nel suon, che nella spada. Stanza 44. 44 Piacer fra tanta
crudeltà si prende D'una rete eh' egli ha molto ben fatta:Poco lontana al tetto
suo la tende, E nella trita polve in modo appiatta Che chi prima noi sa, non la
comprende; Tanto è sottil, tanto egli ben l'adatta:E con tai gridi i peregrin
minaccia, Che spaventati dentro ve li caccia. 45 E con gran risa, avviluppati
in quella Se li strascina sotto il suo coperto; Né cavalier riguarda, né
donzella, O sia di grande o sia di picciol merto: E mangiata la carne, e le
cervella Succhiate e '1 sangue, dà l'ossa al deserto; E dell'umane pelli intomo
intomo Fa il suo palazzo orribilmente adomo. 46 Prendi quest' altra via,
prendila, figlio, Che fin al mar ti fia tutta sicura. Io ti ringrazio, padre,
del consiglio, Eispose il cavalier senza paura; Ma non istimo per l'onor
periglio, Di ch'assai più che della vita ho cura. Per far eh' io passi, invan
tu parli meco; Anzi vo al dritto a ritrovar J[p speco. stanza 45. 49 Giace tra
Paltò fiume e la palude Picciol sentìer nell'arenosa riva: La solitaria casa lo
richiude, D'umanitade e di commercio priva. Son fisse intorno teste e membra
nude Dell' infelice gente che v' arriva. Non v'è finestra, non v'è merlo
alcuno, Onde penderne almen non si veggia uno. 50 Qoal nelle alpine ville o ne'
castelli Suol cacciator che gran perìgli ha scorsi. Su le porte attaccar V
irsute pelli, L'orride zampe e i grossi capi d' orsi; Tal dimostrava il fier
gigante quelli Che di maggior virtù gli erano occorsi. D'altri infiniti sparse
appaion l'ossa; Ed è di sangue uman piena ogni fossa; 51 Stassi Caligorante in
su la porta; Che così ha nome il dispietato mostro Ch'orna la sua magion di
gente morta, Come alcun suol di panni d'oro o d'ostro. Costui per gaudio a pena
si comporta, Come il duca lontan se gli è dimostro; Ch' eran duo mesi e il
terzo ne venia, Che non fu cavalier per quella via. Stanza 55. 52 Vèr la palude
oh' era scura e folta Di verdi canne, in gran fretta ne viene, Che disegnato
avea correre in volta, E uscire al paladin dietro alle schiene; Che nella rete,
che tenea sepolta Sotto la polve, di cacciarlo ha spene . Come avea fatto gli
altri peregrini Che quivi tratto avean lor rei destini. 53 Come venire il
paladin lo vede, Ferma il destrier non senza gran sospetto Che vada in quelli
lacci a dar del piede, Di che il buon vecchierel gli avea predetto. Quivi il
soccorso del suo corno chiede; E quel, sonando, fa V usato effetto:Nel cor fere
il gigante, che l'ascolta, Di tal timor, eh' addietro i passi volta. 54 Astolfo
suona, e tuttavolta bada; Che gli par sempre che la rete scocchi. Fugge il
fellon, né vede ove si vada; Che, come il core, avea perduti gli occhi. Tanta è
la tema,che non sa far strada. Che ne' suoi propri agguati non trabocchi: Va
nella rete: e quella si disserra, Tutto r annoda, e lo distende in terra. 56
Astolfo, ch'andar giù vede il gran peso, Già sicuro per sé, v' accorre in
fretta; E con la spada in man . d'arcion disceso, Va per far di mill' anime
vendetta. Poi gli par che, s'uccide un che sia preso, Viltà, più che virtù, ne
sarà detta; Che legate le braccia, i piedi e il collo Gli vede sì, che non può
dare un crollo. 56 Avea la rete già fatta Vulcano Di sottil fil d'acciar; ma
con tal arte, Che saria stata ogni fatica invano Per ismagliame la più debil
parte: Ed era quella che già piedi e mano Avea legate a Venere ed a Marte. La
fé' il geloso, e non ad altro effetto, Che per pigliarli insieme ambi nel
letto. 57 Mercurio al fabbro poi la rete invola, Che Cloride pigliar con essa
vuole, Cloride bella che per l'aria vola Dietro all' Aurora all' apparir del
Sole, E dal raccolto lembo della stola Gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa Ninfa attese. Che con la rete in aria un di la prese. 58
Dov'entra in mare il gran fiume Etiope, Par che la Dea presa volando fosse:Poi
nel tempio d'Anubide a Canopo La rete molti secoli serbosse. Caligorante tre
mila anni dopo, Di là, dove era sacra, la rimosse; Se ne portò la rete il
ladron empio, Ed arse la cittade, e rubò il tempio. 59 Quivi adattolla in modo
in su l'arena, Che tutti quei eh' avean da lui la caccia. Vi davan dentro; ed
era tocca appena, Che lor legava e collo e piedi e braccia. Di questa levò
Astolfo una catena, E le man dietro a quel fellon n'allaccia: Le braccia e'I
petto in guisa gli ne fascia. Che non può sciorsi: indi levar lo lascia, 60
Dagli altri nodi avendol sciolto prima; Ghiera tornato uman più che donzella.
Di trarlo seco, e di mostrarlo stima Per ville, e per cittadi e per castella.
Vnol la rete anco aver, di che né lima Né martel fece mai cosa più bella; Ne fa
somier colui, eh alla catena Con pompa trionfai dietro si mena. 61 L'elmo e lo
scudo anco a portar gli diede, Come a valletto, e seguitò il cammino, Di gaudio
empiendo, ovunque metta il piede, Ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede Ch'ai sepolcri di Memfi é già vicino, Memfi
per le piramidi famoso:Vede all'incontro il Cairo populoso. 62 Tutto il popol
correndo si traea Per vedere il gigante smisurato. Come é possibil, l'un
l'altro dicea, Che quel piccolo il grande abbia legato? Astolfo appena innanzi
andar potea, Tanto la calca il preme da ogni lato: E come cavalier d'alto
valore Ognun r ammira, e gli fa grande onore. 63 Non era grande il Cairo così
allora, Come se ne ragiona a nostra etade:Che '1 popolo capir, che vi dimora,
Non puon diciotto mila gpran contrade; £ che le case hanno tre palchi, e ancora
Ne dormono infiniti in su le strade; E che '1 Soldano v' abita un castello
Blirabil di grandezza, e ricco e bello; Stanza 71. 64 E che quindici mila suoi
vassalli, Che son cristiani rinnegati tutti, Con mogli, con famiglie e con
cavalli Ha sotto un tetto sol quivi ridutti. Astolfo veder vuole ove s'avvalli,
E quanto il Nilo entri nei salsi flutti A Damiata; ch'avea quivi inteso.
Qualunque passa restar morto o preso. 65 Però ch'in ripa al Nilo in su la foce
Si ripara un ladron dentro una torre, Ch' a' paesani e a' peregrini nuoce, E
fin al Cairo, ognun rubando, scorre. Non gli può alcun resistere; ed ha voce,
Che l'uom gli cerca invan la vita trre. Cento mila ferite egli ha già avuto; Né
ucciderlo però mai s' è potuto. 66 Per veder se può far rompere il filo Alla
Parca di lui, si che non viva, Astolfo viene a ritrovare Orrilo (Così avea
nome), e a Damiata arriva; Et indi passa ov' entra in mare il Nilo, E vede la
gran torre in su la riva. Dove s'alberga l'anima incantata. Che d'un folletto
nacque e d'una fata. 67 Quivi ritrova che crudel battaglia Era tra Orrilo e dui
guerrieri accesa. Orrilo è solo; e sì que'dui travaglia, Ch'a gran fatica gli
puon far difesa: E quanto in arme l'uno e l'altro vaglia, A tutto il mondo la
fama palesa. Questi erano i dui figli d'Oliviero, Grifone il bianco, ed
Auilante il nero, B8 Gli è ver che'l uecromanle venuto era Alla battaglia con
vantaggio grande; Che seco tratto in campo avea una fera, La qual si trova solo
in quelle bande:Vive sul lito, e dentro alla riviera; E i corpi umani son le
sue vivande, Delle persone misere ed incaute Di vì'andauii e d'infelici naute.
Stanza 71. 69 La bestia nell'arena appresso al porto Per man dei duo fratei
morta giacca; E per questo ad Orril non si fa torto, S'a un tempo l'uno e
l'altro gli nocca. Più volte l'han smembrato, e non mai morto; Né, per
smembrarlo, uccider si potea:Che se tagliato o mano o gamba gli era, La
rappiccava, che parca di cera. 70 Or fin a' denti il capo gli divide Grifone,
or Aquilante fin al petto:Egli dei colpi lor sempre si ride; S'adiran essi, che
non hanno effetto. Chi mai d'alto cader l'argento vide, Che gli alchimisti
hanno mercurio detto, E spargere e raccor tutti i suoi membri, Sentendo di
costui, se ne rimembri. 71 Se gli spiccano il capo, Orrilo scende. Né cessa
brancolar finché lo trovi; Ed or pel crine ed or pel naso il prende, Lo salda
al collo, e non so con che chiovi:Pigliai talor Grifone, e '1 braccio stende .
Nel fiume il getta, e non par eh' anco giovi: Che nuota Orrilo al fondo come un
pesce. E col suo capo salvo alla ripa esce. 72 Due belle donne onestamente
ornate, vestita a bianco e l'altra a nero, Che della pugna causa erano state,
Stavano a riguardar l'assalto fiero. Queste eran quelle due benigne fate Ch'
avean nutriti i figli d'Oliviero, Poi che li trasson teneri zitelli Dai curvi
artigli di duo grandi augelli; 73 Che rapiti gli avevano a Gisraonda, E portati
lontan dal suo paese. Ma non bisogna in ciò ch io mi diffonda . Ch'a tutto il mondo
è l'istoria palese, Benché V autor nel padre si confonda, Ch'un per un altro
(io non so come) prese. Or la battaglia i duo gioveni fanno. Che le due donne
ambi pregati n hanno. 74 Era in quel clima già sparito il giorno, All'isole
ancor alto di For:una: L'ombre avean tolto ogni vedere attorno otto l'incerta e
mal compresa luna; Quando alla rócca Orril ftce ritorno. Poi ch'alia bianca e
alla sorella bruna Piacque di diff'erir l'aspra battaglia Finché'! sol novo air
orizzonte saglia. 75 Astolfo, cheGrifone ed Aquilante Ed all' insegne e più al
ferir gagliardo, Riconosciuto avea gran pezzo innante, Lor non fu altero a
salutar né tardo. Essi vedendo che quel che '1 gigante Traea legato era il
baron dal Pardo, (Che cosi in corte era quel duca detto) Raccolser lui con non
minore affetto. 76 Le donne a riposare i cavalieri Menare a un lor palagio indi
vicino. Donzelle incontra vennero e scudieri Con torchi accesi, a mezzo del
cammino. Diero a chi n' ebbe cura i lor destrieri; Trassonsi l'arme; e dentro
un bel giardino Trovar ch'apparecchiata era la cena Ad una fonte limpida ed
amena. stanza 61. 77 Fan legare il gigante alla verdura Con un altra catena
molto grossa Ad una quercia di moltanni dura, Che non si romperà per una
scossa; E da dieci sergenti averne cura, Che la notte discior non se ne possa,
Ed assalirli e forse far lor danno, Mentre sicuri e senza guardia stanno. 83
Alfin di mille colpi un gli ne colse Sopra le spalle ai termini del mento: La
testa e V elmo dal capo gli tolse, Né fu d'Orrilo a dismontar più lento. La
sanguinosa chioma in man s' avvolse; E risalse a cavallo in un momento; E la
portò correndo incontraci Nilo, Che riaver non la potesse Orrìlo. 78
All'abbondante e sontuosa mensa, Dove il manco piacer fur le vivande, Del
ragionar gran parte si dispensa Sopra d'Orrilo e del miracol grande. Che quasi
par un sogno a chi vi pensa, Ch'or capo or braccio a terra se gli maude. Ed
egli lo raccolga e lo raggiugna, E più feroce ognor tomi alla pugna. 79 Astolfo
nel suo libro avea già letto, Quel eh' agP incanti riparare insegna, Ch' ad
Orril non trarrà l'alma del petto Fin eh' un crine fatai nel capo tegna; Ma se
lo svelle o tronca, fia costretto Che, suo mal grado, fuor l'alma ne vegna.
Questo ne dice il libro: ma non come Conosca il crine in così folte chiome. 80
Non men della vittoria si godea. Che se n' avesse Astolfo già la palma; Come
chi speme in pochi colpi avea Svellere il crine al necromante e l'alma. Però di
quella impresa promettea Tor su gli omeri suoi tutta la salma:Orril farà
morir", quando non spiaccia Ai duo fiatei ch'egli la pugna faccia. 81 Ma
quei gli danno volentier l'impresa, Certi che debbia affaticarsi invano. Era
già l'altra aurora in cielo ascesa. Quando calò dai muri Orrilo al piano. Tra
il duca e lui fu la battaglia accesa; La mazza l'un, l'altro ha la spada in
mano. Di mille attende Astolfo un colpo trame, Che lo spirto gli sciolga dalla
carne. 82 Or cader gli fa il pugno con la mazza. Or l'imo or l'altro braccio
con la mano; Quando taglia a traverso la corazza, E quando il va troncando a
brano a brano: Ma rìcogliendo sempre della piazza Va le sue membra Orrìlo, e si
fa sano. S'in cento pezzi ben l'avesse fatto, Bedintegrarsi il vedea Astolfo a
un tratto. 84 Quel sciocco, che del fatto non s'accorse, Per la polve cercando
iva la testa; Ma come intese il corridor via torse. Portare il capo suo per la
foresta, Immantinente al suo destrier ricorse, Sopra vi sale e di seguir non
resta. Volea gridare: Aspetta, volta, volta:Ma gli avea il duca già la bocca
tolta. stanza 83. 85 Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna. Si riconforta,
e segue a tutta briglia. Dietro il lascia gran spazio di campagaa Quel Rabican
che corre a maraviglia. Astolfo intanto per la cuticagna Va dalla nuca fin
sopra le ciglia Cercando in fretta, se '1 crine fatale Conoscer può, eh' Orril
tiene immortale. 86 Fra tanti e inuumerabili capelli, Un più dell' altro non si
stende o torce:Qual dunque Astolfo sceglierà di quelli, Che per dar morte al
rio ladron raccorce? Meglio è, disse, che tutti io tagli o svelli:Né si
trovando aver rasoi né force, Ricorse immantinente alla sua spada. Che taglia
sì, che si può dir che rada. 87 E tenendo quel capo per lo naso, Dietro e
dinanzi lo dischioma tutto. Trovò fra gli altri quel fatale a caso:Si fece il
viso allor pallido e brutto, Travolse gli occhi, e dimostrò all'occaso Per
manifesti segni esser condutto; E U busto che seguia troncato al collo . Di
sella cadde, e die T ultimo crollo. 88 Astolfo, ove le donne e i cavalieri
Lasciato avea, tornò col capo in mano, Che tutti ave?i di morte i segni veri, E
mostrò il tronco ove giacca lontano. Non so ben se lo vider volentieri,
Ancorché gli mostrasser viso umano; Cile la intercetta lor vittoria forse
D'invidia ai duo germani il petto morse. 91 II duca, come al fin trasse P
impresa. Confortò molto i nobili garzoni, Benché da sé vavean la voglia intesa.
Né bisognavan stimoli né sproni, Che per difender della santa Chiesa E del
romano imperio le ragioni, Lasciasser le battaglie d Oriente, E cercassino onor
nella lor gente. 92 Co.""ì Grifone ed Aquilante tolse Ciascuno dalla
sua donna licenzia; Le quali, ancorché lor n increbbe e dolae, Non vi seppon
però far resistenzia. Con. essi Astolfo a man destra si volse; Che si deliberar
far riverenzia Ai santi luoghi ove Dio in carne visse, Prima che verso Francia
si venisse. Stanza 87. 89 Né che tal fin quella battaglia avesse, Credo più
fosse alle due donne grato. Queste, perchè più inlungo si traesse De' duo
fratelli il doloroso fato. Ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse, Con
loro Orrilo avean quivi azzuffato, Con speme di tenerli tanto a bada. Che la
trista influenzia se ne vada. 90 Tosto che '1 castellan di Dami'ata
Certificossi ch'era morto Orrilo, La colomba lasciò, eh' avea legata Sotto
l'ala la lettera col filo. Quella andò al Cairo; et indi fu lasciata In' altra
altrove, come quivi è stilo: Si che in pochissim' ore andò l'avviso Per tutto
Egitto, eh' era Orrilo ucciso. 93 Potuto avrian pigliar la via mancina, Ch' era
più dilettevole e più piana, E mai non si scostar dalla marina; Ma per la
destra andaro orrida e strana, Perchè l'alta città di Palestina Per questa sei
giornate è meu lontana Acqua si trova ed erba in questa via: Di tutti gli altri
ben v' è carestia. 94 Sì che prima eh' entrassero in viaggio, Ciò che lor
bisognò fecion raccorre; E carcar sul gigante il carriaggio, Ch'avria portato
in collo anco una torre. Al finir del cammino aspro e selvaggio, Dall'alto
monte alla lor vista occorre La santa terra, ove il superno Amore Lavò col
proprio sangue il nostro errore. 95 Trovano in sul!' entrar della cittade Un
giovene gentil, lor conoscente, Sansonetto da Mecca, oltre l'etade (Ch'era nel
primo fior) molto prudente; D'aita cavalleria, d'alta boutade Famoso, e
riverito fra la gente. Orlando lo converse a nostra fede, E di sua man battesmo
anco gli diede. 9H Quivi lo trovan che disegna a fnte Del calife d'Egitto una
fortezza; E circondar vuole il Calvario monte Di muro di duo miglia di
lunghezza. Da lui raccolti fur con quella fronte Che può d'interno amor dar più
chiareiza, E dentro accompagnati, e con grand' agio Fatti alloggiar nei suo
real palagio. 97 Avea in governo egli la terra, e in vece Di Carlo vi reggea T
imperio giusto, li duca Astolfo a costui dono fece Di quel sì grande e
smisurato busto, Ch' a portar pesi gli varrà per diece Bestie da soma: tanto
era robusto. Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso La rete chMn sua
forza Tavea messo. 98 Sansonetto air incontro al duca diede Per la spada una
cìnta ricca e bella; E diede spron per V uno e V altro piede, Che d'oro avean
la fibbia e la girella, Ch'esser del cavalier stati si crede, Che liberò dal
drago la donzella: Al Zaffo avuti con molt' altro arnese Sansonetto gli avea,
quando lo prese. Stanza 94. 99 Purgati di lor colpe a un monasterio Che dava di
sé odor di buoni esempj, Della passion di Cristo ogni misterio Contemplando
n'andar per tutti i tempj, Ch' or con eterno obbrobrio e vituperio Agli
Cristiani usurpano i Mori erapj. L'Europa è in arme, e di far guerra agogna In
ogni parte, fuor ch'ove bisogna. 100 Mentre avean quivi l'animo divoto, A
perdonanze e a cerimonie intenti, Un peregrin di Grecia, a Grifon noto. Novelle
gli arrecò gravi e pungenti. Dal suo primo disegno e lungo voto Troppo diverse
e troppo differenti; E quelle il petto gì' infiamroaron tanto, Che gli scacciar
iorazìon da cauto. 101 Amava il cavalier, per sua sciagura, Una donna eh' avea
nome Orrigille. Di più bel volto e di miglior statura Non se ne sceglierebbe
una fra mille: Ma disleale e di sì rea natura, Che potresti cercar cittadi e
ville, La terra ferma e l'isole del mare, Né credo ch'una le trovassi pare. 102
Nella città di Constantin lasciata Grave l'avea di febbre acuta e fiera. Or
quando rivederla alla tornata Più che mai bella, e di goderla spera, Ode il
meschin, eh' in Antiochia andata Dietro un suo nuovo amante ella se n'era, Non
le parendo ormai di più patire Ch'abbia in si fresca età sola a dormire. 103 Da
ìndi in qua ch'ebbe la trista naova, Sospirava Grifon notte e di sempre. Ogni
piacer ch'agli altri aggrada e giova, Par eh' a costui più l'animo
distempre:Pensilo ognun, nelli cui danni prova Amor, se li suoi strali hanbuone
tempre. Ed era grave sopra ogni martire, Che '1 mal eh' avea, si vergognava a
dire. 104 Questo, perchè mille fiate innante Già ripreso l'avea di quello
amore, Di lui più saggio, il fratello Aquilaute, E cercato colei trargli del
core; Colei ch'ai suo giudizio era di quante Femmine rie si trovin, la
peggiore. Grifon r escusa, se '1 fratel la danna; E le più volte il parer
proprio inganna. 105 Però fece pensier, senza parlarne Con Aquilante, girsene
soletto Sin dentro d'Antiochia, e quindi trame Colei che tratto il cor gli avea
del petto; Trovar colui che gli l'ha tolta, e fame Vendetta tal, che ne sia
sempre detto. Dirò, come ad effetto il pensier messe, Neil' altro Canto, e ciò
che ne successe. NOTB. St. 2. V.14 Ritoma il Poeta sulle sconfitte date dagli
Estensi ai Veneti, al che fece allusione nel Canto Terzo. Il Leone, stemma
della Repubblica di Venezia. Francolino: luogo sul Po, lontano da Ferrara circa
40 miglia. St. 7. V.2. I$ole beate, e anche di Fortuna; si dissero dagli
antichi le Canarie, situate a ponente del l'Africa; appartengono tuttavia alla
Spagna, e furono già abitate dai Guanchi, crudelmente distrutti dagVin vasori
spagnuolL St. 8. V.5. Jl danese Vggiero, era così detto ne gli antichi romanzi,
perchè conquistò la Danimarca. Egli era figlio di Gualdefriano re di Getulia, e
marito di Er mellina, figlia di Namo duca di Baviera. Un figlio di loro fu
chiamato Dudone. ST. 12. V.4. Oli Eritrei: gli abitanti nelle vici nanze del
mar Rosso. St. 16. V.58. MUU iole sparse, ecc.: fin queste si può notare
l'arcipelago delle Lakedive, e quello delle Maldive. La terra di Tommaso:
Calamina, altre volte Heliapur, nell' Iniia, .verso la costa di Coromandel sul
golfo di Bengala, circa 200 miglia a settentrione del l'isola di Ceylan. Ivi
dicesl quell'apostolo aver predicato il cristianesimo, e soffèrto il martirio.
St. 17. V.17. L'aurea Chersonesso: così denomi narono gli antichi, a motivo
della sua fertilità e ric chezza, la penisola di Malacca nelllndia
tranagangetica; comprendendo però in tal denominazione anche la parte
meridionale dell'annesso Regno di Siam Taprobane, oggi isola di Ceylan. Corij o
Cory: il capo Comorin, che termina a ponente il golfo di Bengala, ed ha a si
rocco, in distanza di circa 50 miglia, l'estremità meri dionale di Ceylan. Il
mar che fra i duo liti s'ange, è la parte più angusta del golfo di Manaar fra
l'isola di Ceylan e la costa di Coromandel, ove si forma Io stretto di Pali.
Cochino, città marittima nel Mala bar, già capitale dell' antico regno omonimo.
St. 21. V.18. Vuole alludere il Poeta ai due celebri navigatori che trovarono
parti del globo sconosciute agli antichi. E qui rammenta Vasco di Gama, che nel
14 scoperse il capo di Buona Speranza, situato sotto il tropico del Capricorno,
dal quale, dopo il solstizio d'inverno, il sole sembra retrocedere verso
l'opposto del Cancro. St. 22. V.14. S' indica particolarmente nei primi due
versi il capo anzidetto, che avanzandosi nel grande Oceano, ne separa due
porzioni, vale a dire l'Oceano Atlantico e il mare dell'Indie; negli altri
versi si ac cennano i diversi viaggi di quel navigatore. Ivi. V.58. Parlasi ora
di Cristoforo Colombo, che nel 1492 fece il primo suo viaggio verso il nuovo
mondo; e di Amerigo Vespucci, che nel 1497 partito da Cadice e passato lo
stretto di Gibilterra, approdò al continente americano. St. 24. V.34. Im sesta
e la settima età. Erano appunto compiti sette secoli, e decorreva l'ottavo, dai
tempi di Carlo Magno a quelli di Carlo V. St. 25. V.13. Del sangue d Austria,
ecc. Nacque Carlo V di padre austriaco e di madre spagnuola, il 24 febbraio
1500, in Gand, città situata al confluente della Lys con la Schelda. É vero che
Gand sta alla sinistra del Reno, ma in distanza di circa 30leghefirancesi; onde
si deve intendere in un modo assai largo l'espres sione del secondo verso. St.
26. V.5. Che mai né al sol, ecc.: Cosi vasti erano i dominj di Carlo V nei due
emisferì, che 11 sole non vi tramontava mai, né vi si mutavano le stagioni iT.
27. v.5 8. Kniando Ctrlese, ecc,: Ferdinando Cortez, che conquistò alla Spagna
la maggior parte dei possedimenti oltremarini, aggiunti a qnel regno dopo la
scoperta del nuovo mondo. St. 28. V.18. Prospero Colonna, cugino di Fabri zio,
nominato nel Canto precedente: Fernando d'Avalos marchese di Pescara, e Alfonso
d'Avalos marchese del Vasto, accennato nel sesto veiso, gareggiarono di va lore
e di zelo nel ben condurre le imprese militari ad essi affidate dairimperatore.
St. 30. V.34. H mar ch'in mezzo serra, ece.: il Mediterraneo, che sta di mezzo
all'Europa e all'Africa. St. 32. V.58. Andrea Doria, valentissimo capitano di
mare, al servìgio di Carlo V, poich' ebbe avuta per capitolazione Genova sua
patria, tenuta pei Francesi da Teodoro Trivulzio, riformò T ordine politico
dello Stato, ed ebbe tanta grandezza d'animo da ricusare la signo ria della
città ofifertagli dall'imperatore, e l'autorità di Doge perpetuo a cui lo
chiamavano i cittadini; e volle anzi che si rinnovassero in ogni biennio il
Doge e il Sindaco di quella repubblica. St. 33. v.4. Giulio Cesare, Ottaviano e
Antonio, emuli nell'asservire la loro patria. St. 34. v.58. In benemerenza dei
servigi rendu tìgli da Andrea Doria, Carlo Y gli donò la signoria di Melfi,
città vescovile di Basilicata nella Puglia, ove il normanno Roberto Guiscardo
pose le fondamenta del potere, che più tardi fece quella stirpe padrona nel re
gno di Napoli, St. 37. V.4. Al golfo, ecc. Il golfo Persico viene cosi
denominato (secondo alcuni, e lo ripete TAriosto), perchè, in tempi molto
lontani, una. setta di filosofi, detti Mcgif tenne il dominio di tutta la
Persia; la quale perciò fu detta in antico Sophorum regnum. St. 39. V.5a Finché
l'onda ecc.: il Mar Rosso. Per terra degli eroi credono alcuni doversi
intendere la terra di lesse, che i libri sacri pongono nella Palestina. St. 40.
V.1. J7 fiume Traiano. Dicono gli esposi tori essere questo un canale che quelP
imperatore fece aprire dal Nilo al golfo arabico. Una mappa olandese del 1629
segna di tal nome un influente nel Nilo, con le scaturigini di verso il golfo;
e come tale sembra averlo riguardato il Poeta nel sesto verso della Stanza
seguente. St. 48. V.8. Nel suon: intendi del corno incantato. St. 57. V.28. Che
doridepigliar, ecc.: doride, la ¦tessa che i Romani dissero Flora, fu amata da
Mer curio, secondo i mitologi. Bra la dea dei fiori. St. 58. V.13. M gran fiume
etiopo: il Nilo, le cui sorgenti si congetturano essere nei monti della Luna,
in Etiopia o Nigrizia. Canopo: oggi Abukir, notò agli antichi per l'ivi
esistito tempio di Anubi" e ai mo derni per la fiotta francese colà
distrutta dagl Inglesi nel 1798. St 61. V.6. Menfi, antica città dell' Egitto
non molto lontana dal Cairo. St. 64. V.12. I Mammalucchi, che come i Gianni
zeri erano per lo pid giovini criàtiaui divenuti mao mettani. St. 66. V.4.
Damiaia: non è da confondersi que sta con l'antica Damiata dei tempi delle
crociate, ch'era sul Mediterraneo, e fu distrutta dagli Egiziani nel 1250. La
città di cui si parla è circa 60 miglia distante da Alessandria. St. 68. v.8.
Naute: nocchieri o marinai. St. 73. y. 36. Discostasi qui il testo diila genea
logia degli eroi de' romanci, riportata dal Ferrario; se condo la quale
Aquilante e Grifone nacquero di Gismouda e di Ricciardetto, fratello di
Rinaldo. Il poeta ha cre duto Gismonda consorte d'Oliviero di Vienna che figura
in quell'albero, come fratello di Alda o Belanda, moglie d'Orlando. St. 89. y.
18. Come Atlante, avendo prevista la trista fine di Ruggiero, si studiava
allontanamelo con arti magiche; cosi operavano quelle due fate, alle quali era
noto il destino che attendeva in Francia 1 figli d'Oliviero. St. 90. v.34. La
colomba lasciò, ecc. Col mezzo di colombe a questo fine educate solevasi, a
que' tempi (come in Francia durante la guerra del 1870) mandare le notizie da
luogo a luogo. St. 93. v.5. Volta città di Palestina: Gerusa lemme. St. 95. y.
38. Sansontto è personaggio che pare sia stato inventato dal poeta Nicola da
Padova. É detto da Mecca, perchè fingevasi di questa città tanto cele bre per
la tomba di Maometto. St. 98. v.58. Il cavalier, ecc. San Giorgio, di cui si
narra che liberasse la figlia del re di Libia destinata ad essere divorata da
un drago. Zaffo: V odierna Jaffa f detta altre volte Joppe, città marittima
della Siria, circa cinquanta miglia a ponente maestro di Ge rusalemme. Hiifonr
inraiitin presso Damasco Onìiii Ile col ntiovo rìì IH aniftiitt', p i'VAi al! e
turo hiiuiariifì parole. KìurHo arri vti sotto Pari pi i ol sfìcrorno
liritaTinictì; nMt accndoiifj provs di ffian valon iliiirunn pnirln ' rigirali
ia. hirtiHlj e iitragì hanno hioso dentino Ia cittji. pct fattn ili Roil union
te; et Callo vi acne con vmQ srfllhi <lni|'nc?lln. Gravi pene in amor si
jiroTun molte DI (.he patitd io n'ho In maggìtir parte, E (iuelle in iliinuo
mio bì ben raccolte i Ch'io ne posso parlar come per arte, Vera s' io dìro e s'
ho def to altre volte, E tiuandtj in voce e qua mio in vive carte, Ch' un inni
sia lieve un altro acerbo e fiero, Date creiìenzA al mio giudick vero, lu dico
e àlsì, e diri" finchMo vita, rhe f'hi n truva in deio laccio preso,
Bcbhen di sé verte sna duiina schiva Se in tutto uvver?'a al sno "ìesìre
Acceso; iSehbene Amor (rgoi merce le il priva Pojìcm e he '1 tempu e la fatica
ba spe.o; Pur ch'altamente abbia locato il core, Flange r non de', se ben
languisce e muore, 1 Pianger de quel che gU sìa fatto servo IH ilnr" vafbi
nerbi e d'nna bella trefcia, Sotto cui si nasconda uo cor protervo, Che poco
puro abbia con molta feccia. Vorria il miser fuggire; e come cervo Ferito,
ovunque va, porta la freccia:Ha di sé stesso e del suo amor vergogna, Né Tosa
dire, e invan sfumarsi agogna. 4 In questo caso è il giovene Grifone, Che non
si può emendare, e il suo error vede:Vede quanto vilmente il suo cor pone In
Orrìgille iniqua e senza fede:Pur dal mal uso è vinta la ragione, E pur r
arbitrio ali appetito cede:Perfida sìa quantunque, ingrata e ria, Sforzato è di
cercar dovella sia. 10 Dopo, accordando affettuosi gesti Alla suavità delle
parole, Dicea piangendo: Signor mio, son questi Debiti premj a chi t adora e
cole? Che sola senza te già un anno resti, E va per V altro, e ancor non te ne
duole?E s'io stava aspettare il tuo ritomo, Non 80 se mai veduto avrei quel
giorno. 5 Dico, la bella istoria ripigliando, Ch'uscì della città secretaraente
; Né parlarne s ardì col f ratei, quando Ripreso invan da lui ne fu sovente.
Verso Rama, a sinistra declinando, Prese la via più piana e più corrente. Fu in
sei giorni a Damasco dì Scria; Indi verso Antiochia se ne già. 6 Scontrò presso
a Damasco il cavaliere A cui donato avea Orrìgille il core: E convenian di rei
costumi in vero, Come ben si convien l'erba col fiore; Che r uno e V altro era
di cor leggiero, Perfido V uno e l'altro, e traditore; E copria l'uno e l'altro
il suo difetto. Con danno altrui, sotto cortese aspetto. 7 Come io vi dico, il
cavalier venia S'un gran destrier con molta pompa armato: La peilìda Orrìgille
in compagnia, In un vestire azzur d'oro fregiato, E duo valletti, donde si
servia A portar elmo e scudo, aveva a lato; Come quel che volea con bella mostra
Comparire in Damasco adunaMostra.8 Una splendida festa, che bandire Fece il re
dì Damasco in quelli giorni. Era cagion di far quivi venire I cavalier quanto
potean più adomi. Tosto che la puttana comparire Vede Grifon, ne teme oltraggi
e scorni:Sa che l'amante suo non è si forte, Che centra lui l'abbia a campar da
morte. stanza 20. 9 Ma siccome audacissima e scaltrita, Ancorché tutta dì paura
trema, S'acconcia il viso, e sì la voce aita, Che non appar in lei segno di
teina. Col drado avendo già l'astuzia ordita. Corre, e fingendo una letizia
estrema, Verso Grifon l'aperte braccia tende, Lo stringe al collo, e gran pezzo
ne pende. 1 1 Quando aspettava che di Nicosia, Dove tu te n' andasti alla gran
corte, Tornassi a me, che con la febbre ria Lasciata avevi in dubbio della
morte. Intesi che passato eri in Scria:Il che a patir mi fu sì duro e forte,
Che non sapendo come io ti seguiQuasi il cor di man propria mi trafissi. 12 3Ia
fortuna di me con doppio dono Mostra d'aver, quel che non liai tu,
cura:Mandommi il fratel mio, col quale io sono Sin qui venuta del mio onor
sicura; Ed or mi manda questo incontro buono Di te, eh' io stimo sopra ogni
avventura:E bene a tempo il fa; che più tardando, Morta sarei,. te, signor mio,
bramando. 18 Innanzi a Carlo, innanzi al re Agranuuite L'un stuoh) e T altro si
vuol far vedere, Ove gran loda, ove mercè abbondante Si può acquistar, facendo
il suo dovere. I Mori non però fer prove tante, Che par ristoro al danno
abbiano avere; Perchè ve ne restar morti parecchi, Cii'agli altri fur di folle
audacia specchi. 13 E seguitò la donna fraudolente, Di cui r opere fur più che
di volpe, La sua querela cosi astutamente, Che riversò in Grifon tutte le
colpe. Gli fa stimar colui, non che parente, Ma che d'im padre seco abbia ossa
e polpe; E con tal modo sa tesser gì' inganni, Che men verace par Luca e
Giovanni. 19 Grandine sembran le spesse saette Dal muro sopra gl'inimici
sparte. Il grido insino al ciel paura mette, Che fa la nostra e la contraria
parte. Ma Carlo un poco ed Àgramante aspette; Ch'io vo' cantar delF africano
Marte, Rodomonte terribile ed orrendo. Che va per mezzo la città correndo. 14
Non pur di sua perfidia non riprende Grifon la donna iniqua, più che bella; Non
pur vendetta di colui non prende, Che fatto s'era adultero di quella: Ma gli
par far assai, se si difende Che tutto il biasmo in lui non riversi ella; E
come fosse suo cognato vero, D'accarezzar non cessa il cavaliero. 20 Non so,
signor, se più vi ricordiate Di questo Saracin tanto sicuro, Che morte le sue
genti avea lasciate Tra il secondo riparo e '1 primo muro, Dalla rapace fiamma
divorate, Che non fu mai spettacolo più oscuro. Dissi ch'entrò d'un salto nella
terra Sopra la fossa che la cinge e serra. 16 E con lui se ne vien verso le
porte Di Damasco, e da lui sente tra via. Che là dentro dovea splendida corte
Tenere il ricco re della Scria; E eh' ognun quivi, di qualunque sorte, 0 sia
cristiano, o d'altra legge sia, Dentro e di fuori ha la città sicura Per tutto
il tempo che la festa dura. 21 Quando fu noto il Saracino atroce All'arme
istrane, alla scagliosa pelle. Là dove i vecchi e '1 popol men feroce Tendean
l'orecchie a tutte le novelle, Levossi un pianto, un grido, un'alta voce, Con
un batter di man ch'andò alle stelle; E chi potè fuggir non vi rimase. Per serrarsi
ne' templi e nelle case. 16 Non però son di seguitar sì intento L'istoria deUa
perfida Orrigille, Ch'a giorni suoi non pur un tradimento Fatto agli amanti
avea, ma mille e mille; Ch'io non ritomi a riveder dugento Mila persone, o più
delle scintille Del foco stuzzicato, ove alle mura Di Parigi facean danno e
paura. !2 Ma questo a pochi il brando rio concede, Ch'intorno ruota il Saracin
robusto. Qui fa restar con mezza gamba unpiede. Là fa un capo sbalzar lungi dal
busto:L'un tagliare a traverso se gli vede. Dal capo all'anche un altro fender
giusto; E di tanti eh' uccide, fere e caccia, Non se gli vede alcun segnare in
faccia. 17 Io vi lasciai, come assaltato avea Àgramante una porta della terra.
Che trovar senza guardia si credea: Né più riparo altrove il passo serra,
Perchè in persona Carlo la tenea. Ed avea seco i mastri della guerra. Duo
Guidi, duo Angelini, uno Angeliero, Avino, Avolio, Otone e Berlingiero. 23 Quel
che la tigre dell'armento imbelle Ne' campi ircani o là vicino al Gange, 0 '1
lupo delle capre e dell' agnelle Nel monte che Tifeo sotto si frange; Quivi il
crudel pagan facea di quelle Non dirò squadre, non dirò falange, Ma vulgo e
popolazzo voglio dire, Degno, prima che nasca, di morire. 24 Ncn ne trova un
che veder possa in fronte, Fra tanti che ne taglia, fora e svena. Per quella
strada che vien dritto al ponte Di San Michel, sì popolata e piena, Corre il
fiero e terribil Rodomonte, E la sanguigna spada a cerco mena: Non riguarda né
al servo né al signore, Né al giusto ha pi\\ pietà, che al peccatore. 25
Religi'on non giova al sacerdote, Né la innocenzia al pargoletto giova:Per
sereni occhi o per vermiglie gote 3Iercè né donna nédonzella trova: La
vecchiezza si caccia e si percuote; Né quivi il Saracin fa maggior prova Di
gran valor, che di gran crudeltade: Che non discerne sesso, ordine, etade. 26
Non pur nel sangue uman l'ira si stende Deir empio re, capo e signor degli
empi; Ma centra i tetti ancor si, che n' incende Le belle case e i profanati
tempi. Le case eran, per quel che se n'intende, Quasi tutte di legno in quelli
tempi; E ben creder si può; eh' in Parigi ora Delle dieci le sei son cosi
ancora. 27 Non par, quantunque il foco ogni cosa arda, Che si grande odio ancor
saziar si possa. Dove s'aggrappi con le mani, guarda, Sì che ruini un tetto ad
ogni scossa. Signor, avete a creder che bombarda 3£ai non vedeste a Padova sì
grossa, Che tanto muro possa far cadere, Quanto fa in una scossa il re
d'Algiere. 28 Mentre quivi col ferro il maledetto E con le fiamme facea tanta
guerra. Se di fuor Agramante avesse astretto, Perduta era quel dì tutta la
terra: Ma non v' ebb' agio: che gli fu interdetto Dal paladin che venia
d'Inghilterra Col popolo alle spalle inglese e scotto, Dal Silenzio e
dall'Angelo condotto. 29 Dio volse che all'entrar che Rodomonte Pennella terra,
e tanto foco accese. Che presso ai muri il fior di Chiaramente, Rinaldo,
giunse, e seco il campo inglese. Tre leghe sopra avea gittate il ponte, E torte
vie da man sinistra prese; Che, disegnando i barbari assalire, Il fiume non l'avesse
ad impedire. 80 Mandato avea sei mila fanti arcieri Sotto l'altiera insegna
d'Odoardo, E duo mila cavalli, e più, leggieri Dietro alla guida d'Ari man
gagliardo; E mandati gli avea per li sentieri Che vanno e vengon dritto al mar
Picardo, Ch' a porta San Martino e San Dionigi Entrassero a soccorso di Parigi.
31 I carriagigi e gli altri impedimenti Con lor fece drizzar per quella strada.
Egli con tutto il resto delle genti Più sopra andò girando la contrada. Seco
avean navi e ponti ed argumenti Da passar Senna, che non ben si guada. Passato
ognuno, e dietro i ponti rotti, Nelle lor schiere ordinò Inglesi e Scotti. 32
Ma prima quei baroni e capitani Rinaldo intorno avendosi ridutti, Sopra la riva
ch'alta era dai piani Sì, che poteano udirlo e veder tutti, Disse: Signor, ben
a levar le mani Avete a Dio, che qui v' abbia condutti, Acciò, dopo un
brevissimo sudore, Sopra ogni nazi'on vi doni onore. 33 Per voi saran due
principi salvati, Se levate l'assedio a quelle porte: Il vostro re, che voi
siete ubbligati Da servitù difendere e da morte; Ed uno imperator de' più
lodati, Che mai tenuto al mondo abbiano corte; E con loro altri re, duci e
marchesi, Signori e cavalier di più paesi. 34 Si che salvando una città, non
soli Parigin ubbligati vi saranno, Che molto più che per li proprj duoli,
Timidi, afflitti e sbigottiti stanno Per le lor mogli e per li lor figliuoli,
Ch' a un medesmo pericolo seco hanno, E per le sante vergini richiuse. Ch'oggi
non sien dei voti lor deluse: 35 Dico, salvando voi questa cittade, V'ubbligate
non solo i Parigini, Ma d'ogn' intomo tutte le contrade. Non parlo sol dei
popoli vicini; Ma non è terra per cristianitade, Che non abbia qua dentro
cittadini Si che, vìncendo, avete da tenere Che più che Francia v'abbia obbligo
avere. 36 Se donaTan gii antiqui una corona A chi salvasse a un dttadin la
vita, Or che degna mercede a voi si dona, Salvando multìtudine infinita? Ma se
da invidia, o da viltà, si buona E si santa opra rimarrà impedita, Credetemi
che, prese quelle mura. Né Italia né Lamagna anco é sicura; 37 Né qualunque
altra parte, ove. s'adori Quel che volse per noi pender sul legno. Né voi
crediate aver lontani i Mori, Né che pel mar sia forte il vostro regno: Che
scaltre volte quelli, uscendo fuori Di Ziheltaro e dell' Erculeo segno,
Riportar prede dall' isole vostre, Che faranno or, s'avran le terre nostre? 38
Ma quando ancor nessuno onor, nessuno Util v'inanimasse a questa impresa, Comun
debito é ben soccorrer l'uno L'altro, che militiam sotto una Chiesa. Ch'io non
vi dia rotti i nemici, alcuno Non sia che tema, e con poca contesa; Che gente
male esperta tutta parmi. Senza possanza, senza cor, senz'armi. 39 Potè con
queste e con miglior ragioni, Con parlare espedito e chiara voce Eccitar quei
magnanimi baroni Rinaldo, e quello esercito feroce; E fu, com'è in proverbio,
aggiunger sproni Al buon corsier che già ne va veloce. Finito il ragionar, fece
le schiere Muover pian pian sotto le lor bandiere. 40 Senza strepito alcun,
senza rumore Fa il tripartito esercito venire. Lungo il fiume a Zerbin dona T
onore Di dover prima i barbari assalire; E fa quelli d'Irlanda con maggiore
Volger di via più tra campagna gire; E i cavalieri e i fanti d'Inghilterra Col
duca di Lincastro in mezzo serra. 41 Drizzati che gli ha tutti al lor cammino,
Cavalca il paladin lungo la riva, E passa innanzi al buon duca Zerbino, E a
tutto il campo che con lui veniva; Tanto ch'ai re d'Orano e al re Sobrino E
agli altri lor compagni soprarriva, Che mezzo miglio appresso a quei di Spagna
Guardavan da quel canto la campagna. 42 L' esercito Cristian, che con si fida E
si sicura scorta era venuto, Ch'ebbe il Silenzio e l'Angelo per guida. Non potè
ormai patir più di star muto Sentiti gli inimici, alzò le grida, E delle trombe
udir fé' il suono arguto; E con l'alto rumor ch'arrivò al cielo. Mandò
nell'ossa a'Saracini il gelo. 43 Rinaldo innanzi agli altri il destrier pange .
E con la lancia per cacciarla in re.sta: Lascia gli Scotti un tratto d' arco
lunge; Ch'ogni indugio a ferir si lo molesta. Come groppo di vento talor giunge.
Che si tra' dietro un'orrida tempesta; Tal fuor di squadra il cavalier
gagliardo Venia spronando il corridor Baiardo. 44 Al comparir del paladin di
Francia Dan segno i Mori alle future angosce: Tremare a tutti in man vedi la
lancia, I piedi in staffa, e neh'arcìon le cosce. Re Pulì'ano sol non muta
guancia. Che questo essei Rinaldo non conosce; Né pensando trovar si duro
intoppo, Gli muove il destrier contro di galoppo:45 E su la lancia nel partir
si stringe, E tutta in sé raccoglie la persona; Poi con ambo gli sproni il
destrier spinge, E le redini innanzi gli abbandona. Dall'altra parte il suo
valor non finge, E mostra in fatti quel ch'in nome suona, Quanto abbia nel
giostrare e grazia ed arte, II figliuolo d'Amone, anzi di Marte. 46 Furo al
segnar degli aspri colpi,pari;Che si posero i ferri ambi alla testa: Ma furo in
arme ed in virtù dispari; Che r un via passa, e l'altro morto resta. Bisognan
di valor segni più chiari, Che por con leggiadria la lancia in resta: Ma
fortuna anco più bisogna assai; Che senza, vai virtù raro o non mai. 47 La
buona lancia il paladin racquista, E verso il re d'Oran ratto si spicca. Che la
persona aveva povera e trista Di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca. Questo
por tra bei colpi si può in lista, Bench'in fondo allo scudo gli l'appicca: E
chi non vuol lodarlo, abbialo escuso, Perdìè non si potea giunger più insuso.
stanza 27. 48 Non lo ritien lo scudo, che non entre, Benché fuor sia d'acciar,
dentro di palma; E che da quel gn corpo uscir pel ventre Non faccia l'ineguale
e piccola alma. Il destrier che portar si credea, mentre Durasse il lungo di,
si grave salma, Riferì in mente sua grazie a Rinaldo, Ch'a quello incontro gli
schivò un gran caldo. 49 Rotta Pasta, Rinaldo il destrier volta Tanto leggier,
che fa sembrar ch'abbia ale; E dove la più stretta e maggior folta Stiparsi
vede, impetuoso assale. Mena Fusberta sanguinosa in volta. Che fa Tarme parer
di vetro frale. Tempra di ferro il suo tagliar non schiva, Che non vada a
trovar lacarneviva.54D'Africav'era la raen trista gente; Benché né questa ancor
gran prezzo vaglia. Dardinel la sua mosse incontinente, E male armata, e peggio
usa in battaglia; Bench'egli in capo avea l'elmo lucente, E tutto era coperto a
piastra e a maglia.. Io credo che la quarta miglior fia, Con la qual Isolier
dietro venia. 55 Trasone intanto, il buon duca di Marra, Che ritrovarsi
all'alta impresa gode, Ai cavalieri suoi leva la sbarra, E seco invita alle
famose lode; Poich' Isolier con quelli di Navarra Entrar nella battaglia vede
et ode. Poi mosse Ari'odante la sua schiera, Che nuovo duca d'Albania fatt'era.
50 Ritrovar poche tempre e pochi ferri Può la tagliente spada, ove s' incappi;
Ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,? Giuppe trapunte, e attorcigliati
drappi. Giusto è ben dunque che Rinaldo atterri Qualunque assale, e fori e
squarci e aifrappi; Che non più si difende da sua spada, Ch' erba da falce, o
da tempesta biada. 51 La prima schiera era già messa in rotta, Quando Zerbin
con l'antiguardia arriva. Il cavalier innanzi alla gran frotta Con la lancia
arrestata ne veniva. La gente sotto il suo pennon condotta, Con non minor
fierezza lo seguiva:Tanti lupi parean, tanti leoni Ch'andassero assalir capre e
montoni. 52 Spinse a un tempociascuno il suo cavallo, Poi che fur presso; e
sparì immantinente Quel breve spazio, quel poco intervallo Che si vedea fra
l'una e l'altra gente. Non fu sentito mai più strano ballo; Che ferian gli
Scozzesi solamenteSolamente i pagani eran distrutti, Come sol per morir fosser
condutti. 53 Parve più freddo ogni pagan che ghiaccio; Parve ogni Scotto più
che fiamma caldo: I Mori si credean ch'avere il braccio Dovesse ogni Cristian,
eh' ebbe Rinaldo. Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio, Senza aspettar che
lo'nvitasse araldo. Dell'altra squadra questa era migliore Di capitano, d'arme
e di valore. 56 L'alto rumor delle sonore trombe, De' timpani e de' barbari
stromenti, Giunti al continuo suon d'archi, di frombe, Di macchine, di ruote e
di tormenti; E quel di che più par che'l ciel rimborabe. Gridi, tumulti, gemiti
e lamenti; Rendono un alto suon eh' a quel s'accorda, Con che i vicin, cadendo,
il Nilo assorda. 57 Grande ombra d'ogn'intomo il cielo involve, Nata dal
saettar delli duo campi: L'alito, il fumo del sudor, la polve Par che nell'aria
oscura nebbia stampi. Or .qua l'un campo, or l'altro là si volve: Vedresti, or
come un segua, or come scampi; Ed ivi alcuno, o non troppo diviso, Rimaner
morto ove ha il nimico ucciso. 58 Dove una squadra per stanchezza è mossa. Fu'
altra si fa tosto andare innanti. Di qua, di là la gente d'arme ingrossa; Là
cavalieri, e qua si metton fanti. La terra che sostien l'assalto, è rossa;
Mutato ha il verde ne' sanguigni manti; E dov' erano i fiori azzurri e gialli,
Giaceano uccisi or gli uomini e i cavalli. 59 Zerbin facea le più mirabil prove
Che mai facesse di sua età garzone: L'esercito pagan che'ntomo piove', Taglia
jcd uccide, e mena a destruzione. Ari'odante alle sue genti nuove Mostra di sua
virtù gran paragone; E dà di sé timore e meraviglia A quelli di Navarra e di
Castiglia. 60 Chelindo e Mosco, i duo flgH bastardi Del morto Calabrun re
d'Aragona, Ed un che reputato fra' gagliardi Era, Calamidor da Barcellona, S'
avean lasciato addietro gli stendardi; E credendo acquistar gloria e corona Per
uccider Zerbin, gli furo addosso; E ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.
HI Passato da tre lance il destrier morto Cade; ma il buon Zerbin subito è in
piede; Ch'a quei ch'ai suo cavallo han fatto torto, Per vendicarlo va dove li
vede: E prima a Mosco, al giovene inaccorto, Che gli sta sopra, e di pigliar se
'1 crede, Mena di punta, e lo passa nel fianco, E fìior di sella il caccia
freddo e bianco. 62 Poi che si vide tor, come di furto, Chelindo il fratel suo,
di furor pieno Venne a Zerbino, e pensò dargli d'urto; Ma gli prese egli il corridor
pel freno; Tiasselo in teria, onde non è mai surto . E non mangiò mai più biada
né fieno; Zerbin sì gran forza a un colpo mise, Che lui col suo signor d'un
taglio uccise. "8 Come Calamidor quel colpo mira, Volta la briglia per
levarsi in fretta. Ma Zerbin dietro un gran fendente tira, Dicendo: Traditore,
aspetta, aspetta. Non va la botta ove n'andò la mira, Non che però lontana vi
si metta: Lui non potè arrivar, ma il destrier prese Sopra la groppa, e in trra
lo distese. 64 Colui lascia il cavallo, e via carpone Va per campar, ma poco
gli successe; Che venne ca"o che '1 duca Trasone Gli passò sopra, e col
peso l'oppresse, Arì'odante e Lurcanio si pone Dove Zerbino è fra le genti
spesse:E seco hanno altri e cavalieri e conti, Che fauno ogni opra che Zerbin
rimonti. 66 Menava Arì'odante il brando in giro; E ben lo seppe Artalico e
Slargano:Ma molto più Etearco e Casimiro La possanza sentir di quella mano. I
primi duo feriti se ne giro:Bimaser gli altri duo morti sul piano. Lurcanio fa
veder quanto sia forte; Che fere, urta, riversa, e mtte a morte. 66 Non
cre'liate, signor, che fra campagna Pugna minor che presso al fiume sia Né eh'
addietro l'esercito rimagna, Che di Lincastro il buon duca segaia. Le ban'liere
assali questo di Spagna, E molto ben di par la cosa già; Che fanti, cavalieri e
capitani Di qua e di là sapcan menar le m.iti. 67 Dinanzi vien Oldrado e
Fieramente, l'n duca di Glocestra, un d'Eborace: Con lor Riccardo di Varvecia
conte. E di Chiarenza il duca, Enrigo audace. Han fatalista e Follicoue a
fronte, E Baricondo ed ogni lor seguace. Tiene il primo Almeria, tiene il
secondo Granata, tien Maiorca Baricondo. 68 La fiera pugna un pezzo andò di
pare. Che vi si discernea poco vantaggio. Vedeasi or l'uno or l'altro ire e
tornare, Come le biade al ventolin di maggio, 0 come sopra '1 lito tm mobil
mare Or viene or va, né mai tiene un viaggio. Poi che Fortuna ebbe scherzato un
pezzo, Dannosa ai Mori ritornò da sezzo. 69 Tutto in un tempo il duca di
Glocestra A Matalista fa votar 1' arcione: Ferito a un tempo nella spalla
destra Fieramente riversa Follicoue; E r un pagano e V altro si sequestra, E
tra gì' Inglesi se ne va prigione. E Baricondo a un tempo riman senza Vita per
man dtrl duca di Chiarenza. 70 Indi i pagani tanto a spaventarsi, Indi i fedeli
a pigliar tanto ardire; Che quei non facean altro che ritrarsi, E partirsi
dall'ordine e fuggire; E questi andar innanzi, ed avanzarsi Sempre terreno, e
spingere e seguire:E se non vi giungea chi lor die aiuto, Il campo da quel lato
era perduto. 71 Ma Ferraù, che sin qUi mai non s'era Dal re Marsilio suo troppo
disgitmto, Quando vide fuggir quella bandiera, E l'esercito suo mezzo consunto,
Spronò il cavallo, e dove ardea più fiera La battaglia, lo spinse; e arrivò a
punto . Che vide dal destrier cadere in terra, Col capo fespo, Olimpio dalla
Serra; 72 Un giovinetto che col dolce canto, roncarle al suou della cornuta
cetra, D'intenerire un cor si dava vanto, Ancorché fosse più duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto Onor sapeasi, e scudo, arco e faretra Aver in
odio, e scimitarra e lancia, Che lo fecer morir giovine in Francia. 73 Quando
lo vide Ferraù cadere, Cile solca amarlo e avere in mo't.v estima, Si sente di
lui sol via più dolere, Che di miir altri che perìron prima; E sopra chi l'uccise
in modo fere, Che gli divide l'elmo dalla cima Per la fronte, per gli occhi e
per la faccia, Per mezzo il petto, e morto a terra il cacci i. Stanza 56. 74 Né
qui s'indugia; e il brando intorno ruota, Ch'ogni elmo rompe, ogni lorica
smaglia: A chi segna la fronte, a chi la gota, Ad altri il capo, ad altri il
bracci ì figlia:Or questo or quel di sangue e d'alma vota; E ferma da quel
canto la battaglia. Onde la spaventata ignobil frotta Senz'ordine fuggia
spezzata e rotta. 75 Entrò nella battaglia il re Agramante, D'uccider gente e
di far prove vago; E seco ha Baliverzo, Farurante, Prusion, Soridano e
Bambirago. Poi son le genti senza nome tante, Che del lor sangue oggi faranno
un lago, Che meglio conterei ciascuna foglia, Quando l'autunno gli arbori ne
spoglia. 76 Agramante dal muro una gran banda Di fanti avendo e di cavalli
tolta, Col re di Peza subito li manda,Che dietro ai padiglion piglin la volta,
E vadano ad opporsi a quei d'Irlanda, Le cui squadre vedea con fretta molta,
Dopo gran giri e larghi avvolgimenti, Venir per occupar gli alloggiamenti. 77
Fu 1 re di Feza ad eseguir ben presto; Ch'ogni tardar troppo nociuto avria.
Raguna intanto il re Agramante il resto:Parte le squadre, e alla battaglia
invia. Egli va al fiume; che gli par ch'in questo Luogo del suo venir bisogno
sia: E da quel canto un messo era venuto Del re Sobrino a domandare aiuto.
stanza 82. 80 Dove gli Scotti ritornar fuggendo Vede, s'appara, e grida: Or
dove andate? Perchè tanta viltade in voi comprenio, Che a sì vii gente ilcampo
abbandonate?Ecco le spoglie, delle quali intendo Ch'esser dovean le vostre
chiese ornate. Oh che laude, oh che gloria, che'l figliaolo Del vostro re si
lasci a piedi e solo ! 81 D'un suo scudier una grossa asta afTerra. E vede
Prusion poco lontano, Be d'Alvaracchie, e addosso se gli serra. E dell'arcion
lo porta morto al piano. Morto Agricalte e Bambirago atterra; Dopo fere
aspramente Sondano; E come gli altri l'avria messo a morte, Se nel ferir la
lancia era più fort". 82 Stringe Fusberta, poiché l'asta è rotta, E tocca
Serpentin, quel dalla Stella. Fatate l'arme avea; ma quella botta Pur
tramortito il manda fuor di sella E cosi al duca della gente scotta Fa piazza
intomo spaziosa e bella; Sì che senza contesa un destrier pnote Salir di quei
che vanno a selle vote. 83 E ben si ritrovò salito a tempo, Che forse noi
facea, se più tardava; Perchè Agramante e Dardinello a un tempii, Sobrin col re
Balastro v'arrivava. Ma egli, che montato era per tempo, Di qua e di là col
brando s' aggirava, Mandando or questo or quel giù nell'inferno dar notizia del
viver moderno. 78 Menava in una squadra più di mezzo Il campo dietro; e sol del
gran rumore Tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo, Ch' abbandonavan
l'ordine e l'onore. Zerbin, Lurcanio e Ar lodante in mezzo Vi restar soli
incontra a quel furore; E Zerbin, ch'era a pie, vi perla forse; Ma '1 buon
Rinaldo a tempo se n' accorse. 79 Altrove intanto il paladin s'avea Fatto
innanzi fuggir cento bandiere. Or che l'orecchie la novella rea Del gran
periglio di Zerbin gli fere, Ch'a piedi fra la gente cirenea Lasciato solo
aveano le sue schiere, Volta il cavallo t e dove il campo scotto Vede fuggir,
prende la via di botto. 84 II buon Rinaldo, il quale a porre in terra I più
dannosi avea sempre riguardo, La spada contro il re Agramante afferra, Che
troppo gli parca fiero e gagliardo (Facea egli sol più che mille altri guerra);
E se gli spinse addosso con Baiardo: Lo fere a un tempo ed urta di traverso Sì,
che lui col destrier manda riverso. 85 Mentre di fuor con sì crudel battaglia.
Odio, rabbia, furor l'un l'altro offende, Rodomonte in Parigi il popol taglia,
Le belle case e i sacri templi accende. Carlo, ch'in altra parte si travaglia,
Questo non vede, e nulla ancor ne 'ntende:Odoardo raccoglie ed Arimanno Nella
città, col lor popol britanno. 86 A lui venne un scudier pallido in volto, Che
i>otea appena trar del petto il fiato. Ahimè ! signor, ahimè ! replica
molto, Prima ch'abbia a dir altro incominciato: Oggi il romanoimperio, oggi è
sepolto; Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato:Il Demonio dal cielo è piovuto
oggi, Perchè in questa città più non s'alloggi. 87 Satanasso (perch' altri
esser non puote) Strugge e mina la città infelice. Volgiti e mira le fumose
ruote Della rovente fiamma predatrice; Ascolta il pianto che nel ciel percuote;
E faccian fede a quel che '1 servo dice. Un solo è quel eh' a ferro e a fuoco
strugge La bella terra, e innanzi ognun gli fugge. stanza ( 88 Qual è colui che
prima oda il tumulto, E delle sacre squille il batter spesso. Che vegga il
fuoco a nessun altro occulto, Ch'a sé, che più gli tocca, e gli è più presso;
Tale è il re Carlo, udendo il nuovo insulto, E conoscendo! poi con V occhio
istesso:Onde lo sforzo di sua miglior gente Al grido drizza e al gran rumor che
sente. 89 Dei paladini e dei guerrier più degni Carlo si chiama dietro una gran
parte, E ver. la piazza fa drizzare i segni; Che '1 pagan s' era tratto in
quella pirte. Ode il rumor, vede gli orribil segui Di crudeltà, l'umane membra
sparte. Ora non più: ritomi un'altra volta Chi volontier la bella istoria
ascalta. NOTE. St. 5. v.58. Bama: oggi Bamlat piccola città di Siria, stazione
dei pellegrini che andavano a Gerusa lemme. Antiochia f oraAntakiech: la famosa
Antio cbìa Magna, salla sinistra deirOronte, a settentrione di Damasco. St. 11.
V 1. Nicoaia, città principale dell'isola di Cipro. St. 23. V.24. Campi ircani.
Gli antichi chiama rono Ircania una regione della Persia, in vicinanza al mar
Caspio, la qoale ora comprende lo Schirvan, il Ohi lan e il Tabarìstan. Nel
monte che Tffeo sotto 9i frange, si può ravvisare col Petrarca la montagna
d'Ischia, isola presso il capo Miseno all'entrata del golfo di Napoli. St. 27.
V.56. Signor, avete a creder, ecc. All'as sedio di Padova, fatto dagli
Austrìaci nel 1509, si trovò il cardinale Ippolito d'Este. St. 31. V.15.
Impedimenti: bagagli dell'esercito. St. 33. V.3. Il vostro re, ecc.: il padre
d'Astolfo, Otone d'Inghilterra, che insieme con Carlo era assediato in Parigi.
St. 36. V.12. Una corona, ecc.: era di quercia: i Romani la dissero civica; e
la davano a chi salvava la vita a qualche cittadino. St. 37. V.6. Zibeltaro,
ecc.: Gibilterra, e Io stretto omonimo, ricordato più volte. St. 47. V.7.
Escuso, scusato. St. 50. V.34. Targhe, speaie di scudi. Oiuppe trapunte, sorta
di sottovesti usate allora a difesa del corpo. St. 53. V.5. Avaccio:
prestamente. St. 56. V.78. Un alto suon, ecc.: accennasi il fragore prodotto
dalle cateratte delNilo.St.72. V.2. Cornuta. Chiama cornuta la cetra, perchè ha
due capi ricurvi a modo di corni St 76. V.3. Feza: Fez, provincia che ha titolo
di regno, nell'impero di Marocco. St. 79. V.b. La gente cirenea. Cirenaica
chiamossi in antico il paese di Barca, limitrofo alla gran Sirte, nello Stato
di Tripoli; ma qui può intendersi geneialmente la milizia libica ed anche
africana. St. 82. V.2. Stella, Estella, città di Spagna, dalla quale prendeva
il nome Serpentino. Carlo esorta i suoi paladini, ed insieme con essi investe i
nemici. Grifone, Orrigìlle e Hartano vanno in Dama sco alla festa bandita da
Noiandino. Grifone vince nella giostm: Mai'tano vi mostra somma codardia, na
gli usurpa l'onore della vittoria, onde Grifone riceve onte ed oltraggi. 1 II
giusto Dio, quando i peccati nostri Hanno di remissìon passato il seguo, Acciò
che la giustizia sua dimostri Uguale alla pietà, spesso dà regno A tiranni
atrocissimi ed a mostri, E dà lor forza, e di mal fare ingegno. Per questo
Mario e Siila pose al mondo, E duo Neroni e Caio furibondo, Che d'Attila dir?
che dell'iniquo Ezzelin da Roman? che d'altri cento, Che dopo un lungo andar sempre
in obliquo, Ne manda Dio per pena eper tormento?Di questo abbiam non pur al
tempo antiquo, Ma ancora al nostro, chiaro esperimento, Quando a noi, greggi
inutili e malnati, Ha dato per guardian lupi arrabbiati:Domiziano e 1' ultimo
Antonino; E tolse dalla immonda e bassa plebe. Ed esaltò all'imperio Massimino;
E nascer prima fé' Creonte a Tebe; E die Mezenzio al popolo Agilino, Che fé' di
sangue umau grasse le glebe; E diede Italia a tempi men rimoti In preJa agli
Unni, ai Longobardi, ai (ioti. A cui non par eh' abbi' a bastar lor fame, Ch'
abbi' il lor ventre a capir tanta carne; E chiaman lupi di più ingorde brame Da
boschi oltramontani a divorarne. Di Trasimeno l'insepulto ossame, E i Canne e
di Trebbia, poco pame Verso quel che le ripe e i campi ingrassa, Dov'Adda e Mei
la e Ronco e Taro passa. Or Dio consente che noi siam \m\ìhì Da popoli di noi
forse peggiori, Per li multiplicati ed infiniti Nostri nefandi, obbrobriosi
errori. Tempo verrà, eh' a depredar lor liti Andremo noi, se mai sarem
migliori, E che i peccati lor giungano al segno, Che V etema Bontà muovano a
sdegno. 11 Sta su la porta il re d'AIgier, lucente Di chiaro acciar che'l capo
gli armaeU busto. Come uscito di tenebre serpente, Poi cha lasciato ogni
squallor vetusto, Del nuovo scoglio altiero, e che si sente Ringiovenito e pii\
che mai robusto:Tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco; Dovunque passa, ogn
animai dà loco. 3 Doveano allora aver gli eccessi loro Di Dio turbata la serena
fronte, Che scorse ogni lor luogo il Turco e'I loro Con stupri, uccision,
rapine ed onte; Ma più di tutti gli altri danni, fóro Gravati dal furor di
Rodomonte. Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo, E che 'n piazza venia per
ritrovarlo. 7 Vede tra via la gente sua troncata, Arsi i palazzi, e ruinati i
templi, Oran parte della terra desolata:Mai non si vider si crudeli esempli.
Dove fuggite, turba spaventata? Non è tra voi chi '1 danno suo contempli?Che
città, che rifugio più vi resta, Qiwndo si perda sì vilmente questa? 8 Dunque
un uom solo in vostra terrà preso. Cinto di mura onde non può fuggire, Si
partirà che non V avrete offeso, Quando tutti v'avrà fatto morire? Con Carlo
dicea, che d'ira acceso Tanta vergogna non potea patire; E giunse dove innanti
alla gran corte Vide il pagan por la sua gente a morte. 9 Quivi gran parte era
del popolazzo, Sperandovi trovare aiuto, ascesa; Perchè forte di mura era il
palazzo, Con manizion da far lunga difesa. Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo,
Solo s'avea tutta la piazza presa; E l'una man, che prezza il mondo poco, Ruota
la spada, e l'altra getta il fuoco. 10 E della regal casa, alta e sublime,
Percuote e risuonar fa le gran porte. Gettan le turbe dall'eccelse cime E merli
e torri, e si metton per morte. Guastare i tetti non è alcun che stime; E legne
e pietre vanno ad una sorte, Lastre e colonne e le dorate travi, Che furo in
prezzo agli lor pa<lri e agli avi. 'i (C.y t;>, stanza 7. 12 Non sasso,
merlo, trave, arco o balestra, Né ciò che sopra il Siracin percuote, Ponno
allentar la sanguinosa destra, Che la gran porta taglia, spezza e scuote: E
dentro fatto v'ha tanta finestra, Che ben vedere e veduto esser puote Dai visi
impressi di color di morte, Che tutta piena quivi hanno la corte. 13 Suonar per
gli alti e spaziosi tetti S' odono gridi e femminil lamenti: L'afflitte donne,
perco tendo i petti, Corron per casa pallide e dolenti; E abbraccian gli usci e
i geniali letti. Che tosto hanno a lasciare a strane genti. Tratta la cosa era
in periglio tanto. Quando il re giunse, e suoi baroni accanto. SUnza 12. 15
Perchè debbo vedere in voi fortezza Ora miuor, ch'io la vedessi aUora? Mostrate
a questo can vostra prodezza, A questo can che gli uomini devora. Un magnanimo
cor morte non prezza, Presta o tarda che sia, purché ben muoitL Ma dubitar non
posso ove voi sete, Che fatto sempre vincitor m'avete. 16 Al fin delle parole
urta il destriero, Con Pasta bassa, al Saracino addosso. Mossesi a un tratto il
paladino Uggiero, A un tempo Namo ed Olivier si è mosso, A vino, Avoìio, Otone
e Berlingiero, Ch'un senza l'altro mai veder non posso: E ferir tutti sopra a
Rodomonte E nel petto e nei fianchi e nella fronte. 17 Ma lasciamo, per Dio,
signore, ormai Di parlar d'ira, e di cantar di morte; E sia per questa volta
detto assai Del Saracin non men crudel che forte:Che tempo è ritornar dov'io lasciai
Grifon, giunto a Damasco in su le porte Con Orrigille perfida, e con quello Ch'
adulter' era, e non di lei fratello. Delle più ricche terre di Levante, Delle
più populose e meglio ornate Si dice esser Damasco, che distante Siede a
Gerusalem sette giornate, In un piano fruttifero e abbondante, Non men giocondo
il verno, che l'estate. A questa terra il primo raggio tolle Della nascente
nurora un vicin colle. 19 Per la città duo fiumi cristallini Vanno innaffiando
per diversi rivi Un numero infinito di giardini, mai di fior, non mai di fronde
privi. Dicesi ancor, che macinar molini Potrian far P acque lanfe che son
quivi; E chi va per le vie, vi sente fuore Di tutte quelle case uscire odore.
14 Carlo si volse a quelle man robuste. Ch'ebbe altre volte a gran bisogni
pronte. Non sete quelli voi, che meco fuste Contra Agolante, disse, in
Aspramonte? Sono le forze vostre ora si fruste, Che, s'uccideste lui, Troiano e
Almonte Con cento mila, or ne temete un solo Pur di quel sangue, e pur di
quello stuolo? 20 Tutta coperu è la strada maestra Di panni di diversi color
lieti, E d'odorifera erba, e di silvestra Fronda la terra e tutte le pareti.
Adorna era ogni porti, ogni finestra Di finissimi drappi e di tappeti; Ma più
dì belle e bene ornate donne Di ricche gemme e di superbe gonne. 2 1 Vedeasi
celebrar dentr' alle porte, Ili molti lochi, soUazzevol balli: Il popol, per le
vie, di miglior sorte Maneggiar beu guarniti e bei cavalli. Facea più ben veder
la ricca corte De' signor, de' baroni, e deWassalli, Con ciò che d'India e
d'eritree maremme Di perle aver si può, d'oro e di gemme. 22 Venia Grifone e la
sua <jompagiiia Mirando e quinci e quiudi il tutto ad agio; Quando fermolli
un ca vallerò in via, E li fece smontare a un suo palagio:E per l'usanzi e per
sua cortesia, Di nulla lasciò lor patir disagio. Li fé' nel bagno entrar; poi
con serena Fronte gli accolse a sontuosa ceua. Z' stanza 14.23 E narrò lor,
come il re Norandino, Re di Damasco e di tutta Soria, Fatto avea il paesano e'I
peregrino. Ch'ordine avesse di cavalleria, Alla giostra invitar, eh' al
mattutino Del di seguente in piazza si farla; E che, s'aveon valor pari al
sembiante, ' Potrian mostrarlo senza andar più innante. 24 Ancorché quivi non
venne Grifone A questo effetto, pur lo 'nvito tenne; Che qual volta se n' abbia
occasione, Mostrar virtude mai non disconvenne. Interrogollo poi della cagione
Di quella festa, e s'ella era solenne Usata ogn' anno, oppure impresa nuova Del
re, ch'i suoi veder volesse in pruova. 25 Rispose il cavalier: La bella festa S'ha
da far sempre ad ogni quarta luna. Deir altre che verran, la prima è questa:
Ancora non se n è fatta più alcuna. Sarà in memoria che salvò la testa Il re in
tal giorno da una gran fortuna, Dopo che quattro mesi in doglie e n pianti
Sempre era statp, e con la morte iumnti. 27 Ma poi che fummo tratti a piene
Tele Lungi dal porto nel Carpazio iniquo, La tempesta saltò tanto crudele, Che
sbigotti sin al padrone antiqua Tre di e tre notti andammo errando ne le
Minacciose onde per cammino obbliquo. Uscimmo alfin nel lito stanchi e molli.
Tra freschi rivi, ombrosi e verdi collL Stanza 32. 26 Ma perdirvi la cosa
pienamente, Il nostro re, che Norandin s' appella, Molti e molt'anui ha avuto
il core ardente .Della leggiadra e sopra ogni altra bella Figlia del re di Cipro:
e finalmente Avutala per moglie, iva con quella, Con cavalieri e donne in
compagnia; £ dritto avea il cammin verso Soria. 28 Piantare i padiglioni, e le
cortine Fra gli arbori tirar facemmo lieti. S'apparecchiano i fuochi e le
cucine; Le mense d'altra parte in su tappeti. Intanto il re cercando alle
vicine Valli era andato e a' boschi più secreti, Se ritrovasse capre o daini o
cervi; E l'arco gli portar dietro duo servi. 29 Mentre aspettiamo, in gran
piacer sedendo, Che da cacciar ritorni il signor nostro. Vedemmo l'Orco a noi
venir correndo Lungo il lito del mar, terribil mostro. Dio vi guardi, signor,
che'l viso orrendo Dell' Orco agli occhi mai vi sia dimostro:Meglio è per fama
aver notizia d'esso, Ch'andargli sì, che lo veggiate, appresso. 80 Non gli può
comparir quanto sia lungo, Si smisuratamente è tutto grosso. In luogo d'occhi,
di color di fungo Sotto la fronte ha duo coccole d'osso. Verso noi vien, come
vi dico, lungo Il lito, e par eh' un monticel sia mosso. Mostra le zanne fuor,
come fa il iwrco; Ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco. 31 Correndo vien,
e'I muso a guisa porta Che'l bracco suol, quindo entra in su la traccia. Tutti,
che lo veggiam, con faccia smorta In fuga andiamo ove il timor ne caccia. Poco
il veder lui cieco ne conforta. Quando, fiutando sol, par che più faccia,
Ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume: E bisogno al fuggire eran le piume.
32 Corron chi qua, chi là; ma poco lece Da lui fuggir, veloce più che '1 Noto.
Di quaranta persone, appena diece Sopra il navilio si salvaro a nuoto. Sotto il
braccio un fastel d' alcuni fece; Né il grembo si lasciò né il seno voto. Un
suo capace zaino empissene anco, Che gli pendea, come a pastor, dal fianco. 33
Portocci alla sua tana il mostro cieco, Cavata in lito al mar dentrnno scoglio.
Di marmo cosi bianco è quello speco, Come esser soglia ancor non scritto
foglio. Quiyi abitava una matrona seco, Di dolor piena in vista e di cordoglio;
Ed avea in compagnia donne e donzelle D'ogni età, d'ogni sorte, e brutte e
belle. B4 Era presso alla grotta in ch'egli stava, Quasi alla cima del giogo
superno, Un'altra non ininor di quella cava, Dove del gregge suo focea governo.
Tanto n'avea, che non si numerava; E n'era egli il pastor l'estate el verno. Ai
tempi suoi gli apriva e tenea chiuso, Per spasso che n' avea, più che per uso.
3.5 L'umana carne meglio gli sapeva; E prima il fa veder, ch'ali' antro arrivi;
Che tre de' nostri giovini ch'aveva, Tutti li mangia, anzi trangugia vivi.
Viene alla stalla, e un gran sasso ne leva: Ne caccia il gregge, e noi riserra
quivi. Con quel sen va dove il suol far satollo, Sonando una zampogna eh' avea
in collo. 36 II signor nostro intanto, ritornato Alla marina, il suo danno
comprende; Che trova gran silenzio in ogni lato, Voti frascati, padiglioni e
tende. Né sa pensar chi si l'abbia rubato; E pien di gran timore al lito
scende, Onde i nocchieri suoi vede in disparte Sarpar lor ferri, e in opra por
le sarte. 37 Tosto ch'essi lui veggiono sul lito n palischermo mandano a
levarlo: Ma non sì tosto ha Norandino udito Dell' Orco che venuto era a
rubarlo, Che, senza più pensar, piglia partito, Dovunque andato sia, di
seguitarlo. Vedersi tor Lucina si gli duole, Ch'o racquistarla, o non più viver
vuole. 38 Dove vede apparir lungo la sabbia La fresca orma, ne va con quella
fletta Con che lo spinge l'amorosa rabbia, Finché giunge alla tana ch'io v'ho
detta. Ove con tema, la maggior che s'abbia A patir mai, l'Orco da noi s'
aspetta. Ad ogni suono di sentirlo parci, Ch'aifamato ritomi a divorarci. 39
Quivi fortuna il re da tempo guida, Che senza V Orco in casa era la moglie.
Come ella'l vede: Fuggine, gli grida: Misero te, se l'Orco ti ci coglie !
Coglia, disse, o non coglia, o salvi o uccida,, Che miserrimo i' sia non mi si
toglie. Disir.mi mena, e non error di via, C ho di morir presso alla moglie
mia. 40 Poi segui, dimandandole novella Di quei che prese l'Orco in su la riva;
Prima degli altri, di Lucina bella, Se l'avea morta, o la tenea captiva. La
donna umanamente gli favella, E lo conforta, che Lucina é viva, E che non é
alcun dubbio ch'ella muora; Che mai femmina l'Orco non divora. 41 Esser di ciò
argumento ti poss'io, E tutte queste donne che son meco: Né a me né a lor mai
1' Orco é stato rio, Purché non ci scostiam da questo speco. A chi cerca
fuggir, pon grave fio; Né pace mai puon ritrovar più seco: 0 le sotterra vive,
o l'incatena, 0 fa star nude al sol sopra l'arena. 42 Quand'oggi egli portò qui
la tua gente, Le femmine dai maschi non divise; Ma, si come gli avea,
confusamente Dentro a quella spelonca tutti mise. Sentirà a naso il sesso
differente:Le donne non temer che sieno uccise: Gli uomini, òiene certo; ed
empieranne Di quattro, il giorno, o sei, l'avide canne. 48 Di levar lei di qui
non ho consiglio Che dar ti possa; econtentar ti puoi Che nella vita sua non é
periglio:Starà qui al ben e al mal ch'avremo noi. Ma vattene, per Dio, vattene,
figlio, Che l'Orco non ti senta e non t'ingoi. che giunge d'ogn' intorno
annasa, E sente sin a un topo che sia in casa. 44 Rispose il re, non si voler
partire, Se non vedea la sua Lucina prima; E che piuttosto appresso a lei
morire, Che viverne loutan. faceva stima. Quando vede ella non potergli dire
Cosa che '1 muova dalla voglia prima, Per aiutarlo fa nuovo disegno, E ponvi
ogni sua industria, ogni suo ingegno. 45 Morte avea in casa, e (Vogni tempo
appese, Con lor mariti, assai capre ed agnelle, Onde a sé ed alle sue facea le
spese; E dal tetto pendea più d'una pelle. La donna fe che '1 re del grasso
prese, Ch'avea un gran becco intorno alle ludelle, E che se n'unse dal capo alle
piante, Finché r e dor cacciò eh' egli ebbe innante. 48 Pensate voi .se gli
tremava il core . Quando l'Orco senti che ritornava. E che '1 viso crndel pieno
d'orrore Vide appressare all' uscio della cava:Ma potè la pietà più che'l
timore. S'ardea, vedete, o .se fingendo amav.i. Vien l'Orco innanzi, e leva il
sasso, ed apre Norandino entra fra pecore e capre. Stanza ò'o. 46 E poi che'l
tristo puzzo aver le parve. Di che il fetido becco ognora sape, Piglia l'irsuta
pelle, e tutto entrarve Lo fé'; ch'ella è si grande, che lo cape Coperto sotto
a cosi strane larve, Faccndol gir carpon, seco lo rape Là dove chiuso era d'un
sasso grave l>ella sua donna il bel viso soave. 47 Norandino ubbidisce, ed
alla buca Della spelonca ad aspettar si mette, Acciò col gregge dentro si
conduca; E fin a sera disiando stette. Olle la sera il suon della sambuca, Con
che 'nvita a lassar l'umide erbette, E ritornar le pecore all'albergo Il fier
pastor, che lor venia da tergo. 49 Entrato il gregge, l'Orco a noi discende: Ma
prima sopra sé l'uscio .si chiude. Tutti ne va fiutando: alfin duo prende; Che
vuol cenar delle lor carni crude. Al rimembrar di quelle zanne orrende Non
posso far eh' ancor non tremi e snde. Partito rOrco, il re getta la gonna Oh
'avea di becco, e abbraccia la sua donna. .50 Dove averne piacer deve e
conforto, Vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia: Lo vede giunto ov'ha da
restar morto; E non può far però, eh' essa non muoia. Con tutto '1 mal,
diesagli, eh' io supporto, Signor, sentìa non mediocre gioia, Che ritrovato non
t'eri con nni Quando dall' Orco oggi qui tratta fui. 51 Che sebben il trovarmi
ora in procinto D'uscir di vita, m'era acerbo e forte; Pur mi sarei, com' è
comune istinto, Dogliuta sol della mia trista sorte:3[a ora, o prima o poi che
tu sia estinto. Più mi dorrà la tua, che la mia morte. E seguitò, mostrando
assai più affanno Di quel di Norandin, che del suo danno. 52 La speme, disse il
re, mi fa venire, C'ho di salvarti, e tutti questi teco: E s'io noi posso far,
meglio è morire. Che senza te, mio Sol, viver poi cieco. Come io ci venni, mi
potrò partire; E voi tutt' altri ne verrete meco, Se non avrete, come io non ho
avuto, Schivo a pigliare odor d'animai bruto. 53 La fraude in.segnò a noi, che
centra il nao Dell'Orco insegnò a lui la moglie d'esso; Di vestirci le pelli,
in ogni caso Ch'egli ne palpi nell'uscir del fesso. Poiché di questo ognun fu
persuaso, Quanti dell' un, quanti dell' altro sesso Ci ritroviamo, uccidiam
tanti becchi. Quelli che più fetean, eh' eran più vecchi. 54 Ci uugemo i corjn
di quel grasso opimo Che ritroviamo all'intestina intorno, E dell'orride pelli
ci vestimo. Intanto usci dall'aureo albergo il giorno; Alla spelonca, come
apparve il primo Raggio del sol, fece il pastor ritorno; E dando spirto alle
sonore canne, Chiamò il suo gregge fuor delle capanne. 55 Tenea la roano al
buco della tana, Acciò col gregge non uscissim noi:Ci prendea al varco; e
quando pelo o luna Sentia sul dosso, ne lasciava poi. Uomini e donne uscimmo
per si strana Strada, coperti dagl'irsuti cuoi: E r Orco alcun di noi mai non
ritenne; Finché con gran timor Lucina venne. 56 Lucina, o fosse perch'ella non
volle Ungersi come noi, che schivo n' ebbe; 0 eh' avesse l'andar più lento e
molle, Che V imitata bestia non avrebbe; 0 quando l'Orco la groppa toccolle,
Gridasse per la tema che le accrebbe; 0 che se le sc'ogliessero le chiome;
Sentita fu, né ben so dirvi come. 57 Tutti eravam sì intenti al caso nostro,
Che non avemmo gli occhi agli altrui fatti. Io mi rivolsi al grido; e vidi il
mostro Che già gì' irsuti spogli le avea tratti, E fattola tornar nel cavo
chiostro. Noi altri dentro a nostre gonne piatti Col gregge andiamo ove '1
pastor ci mena, Tra verdi colli in una piaggia amena. 58 Quivi attendiamo infin
che steso all'ombra D'un bosco opaco il nasuto Orco dorma. Chi lungo il mar,
chi verso il monte sgombra: Sol Norandin non vuol seguir nostr'orma. L'amor
della sua donna sì lo 'ngorabra, Ch'alia grotta tornar vuol fra la torma, Né
partirsene mai sin alla morte, Se non imequista la fedel consorte:59 Che quando
dianzi avea all'uscir del chiuso Vedutala restar captiva sola. Fu per gittarsi,
dal dolor confuso, Spontaneamente al vorace Orco in gola; E si mosse, e gli
corse in fino al muso, Né fu lontano a gir sotto la mola; Ma pur lo tenne in
mandra la speranza Ch'avea di trarla ancor di quella stanza. Abiosto. 60 La
sera, quando alla spelonca mena Il gregge l'Orco, e noi fuggiti sente, E e' ha
da rimaner privo di cena, Chiama Lucina d'ogni mal nocente, E la condanna a
star sempre in catena Allo scoperto in sul sasso eminente. Vedela il re per sua
cagion patire; E si distrugge, e sol non può morire. Stanza 60. 61 Mattina e
sera l'infelice amante La può veder come s' affligga e piagna; Che le va misto
fra le capre avante, Tomi alla stalla, o torni alla campagna. Ella con viso
mesto e supplicante Gli accenna che per Dio non vi ri magna Perchè vi sta a
gran rischio della vita, Né però a lei può dare alcuna aita. 62 Così la moglie
ancor dell'Orco priega Il re, che se ne vada: ma non giova; Che d'andar mai
senza Lucina niega, E sempre più costante si ritrova. In questa servi tilde, in
che lo lega Pietate e amor, stette con lunga prova Tanto, eh' a capitar venne a
quel sasso Il figlio d'Agricaue e'I re Gradasso.63 Dove con loro audacia tanto
fènno, Che liberaron la bella Lucina; Benché 7i fu avventura più che senno:E la
portar correndo alla marina; E al padre suo, che quivi era, la dénno; E questo
fu nell'ora mattutina, Che Norandin con l'altro gregge stava A ruminar nella
montana cava. 64 Ma poi che 1 giorno aperta fu la sbarra, E seppe il re la
donna esser partita (Che la moglie dell' Orco gli lo narra), E come appunto era
la cosa gita; Grazie a Dio rende, e con voto n' inarra, Ch'essendo fuor di tal
miseria uscita, Faccia che giunga onde per arme possa Per prieghi o per tesoro
esser riscossa. 65 Pien di letizia va con l'altra schiera Del Simo gregge, e
viene ai verdi paschi; E quivi aspetta fin eh' all'ombra nera U mostro per
dormir nell'erba caschi. Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera; E alfin
sicur che l'Orco non lo 'ntaschi, Sopra un navilio monta in Satalia; E son tre
mesi ch'arrivò in Scria. 66 In Rodi, in Cipro, e per città e castella E
d'Africa e d'Egitto e di Turchia, Il re cercar fé' di Lucina bella; Né fin
l'altr'ier aver ne potè spia. L'altr'ieri n'ebbe dal suocero novella. Che seco
l'avea salva in Nicosia, Dopo che molti di vento crudele Era stato contrario
alle sue vele. 67 Per allegrezza della buona nuova Prepara il nostro re la
ricca festa; E vuol eh' ad ogni quarta luna nova, Una se n' abbia a far simile
a questa:Che la memoria rinfrescar gli giova Dei quattro mesi che 'n irsuta
vesta Fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno, quale Sarà dimane, usci di tanto
male. Questo ch'io v'ho narrato, in parte vidi, In parte udì' da chi trovossi
al tutto:Dal re, vi dico, che calende et idi Vi stette, finché volse in riso il
lutto: E se n'udite mai far altri gridi, Direte a chi gli fa, che mal n'è
istrutto. Il gentiluomo in tal modo a Grifone Della festa narrò l'alta cagione.
69 Un gran pezzo di notte si dispensa Dai cavalieri in tal ragionamento; E
conchiudon, eh' amore e pietà immensa Mostrò quel re con grand'esperimento.
Andaron, poi che si levar da mensa, Ove ebbon grato e buono alloggiamento. Nel
seguente mattin sereno e diiaro Al suon dell'allegrezze si destaro. 70 Vanno
scorrendo timpani e trombette, E ragunando in piazza la cittade. Or, poiché di
cavalli e di carrette E rimbombar di gridi odon le strade, Grifon le lucide
armi si rimette, Che son di quelle che si trovan rade; Che l'avea impenetrabili
e incantate La fata bianca di sua man temprate. 71 Quel d'Antiochia, più d'ogn'
altro vile, Armossi seco, e compagnia gli tenne. Preparate avea lor 1' oste
gentile Nerbose lance, e salde e grosse antenne, E del suo parentado non umile
Compagnia tolta; e seco in piazza venne; E scudieri a cavallo, e alcuni a
piede, A tai servigi attissimi lor diede. 72 Giunsero in piazza, e trassonsi in
disparte. Né pel campo curar far di sé mostra. Per veder meglio il bel popol di
Marte, Ch'ad uno, o a dua, o a tre veniano in giostra. Chi con colori
accompagnati ad arte, Letizia o doglia alla sua donna mostra: Chi nel cimier,
chi nel dipinto scudo Disegna Amor, se l'ha benigno o crudo. 73 I Soriani in
quel tempo aveano usanza D'armarsi a questa guisa di Ponente. Forse ve gli
inducea la vicinanza Che de' Franceschi avean continuamente. Che quivi allor
reargean la sacra stanza. Dove in carne abitò Dio onnipotente; Ch'ora i superbi
e miseri Cristiani, Con biasmo lor, lasciano in man de'canL 74 Dove abbassar
dovrebbono la lancia In augumento della santa Fede, Tra lor si dan nel petto e
nella pancia, A destruzion del poco che si crede. Voi, gente Ispana', e voi,
gent di Francia, Volgete altrove, e voi. Svizzeri, il piede, E voi, Tedeschi, a
far più degno acquisto; Che quanto qui cercate è già di Cristo. 75 Se
Cristianissimi esser yoì volete, E voi altri Cattolici nomati, Perchè dì Cristo
gli nomini uccidete? Perchè debenì lor son dispogliati? Perchè Gerusalem non
riavete, Che tolto è stato a voi da' rinnegati?Perchè Constantinopoli, e del mondo
La miglior parte, occupali Turco immondo? 76 Non hai tu, Spagna, l'Africa
vicina, Che t'ha via più di questa Italia offesa? Eppur, per dar travaglio alla
meschina. Lasci la prima tua si bella impresa. O d'ogni vizio fetida sentina,
Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa Ch' ora di questa gente, ora di quella,
Che già serva ti fu, sei fiotta ancella? 77 Se '1 dubbio di morir nelle tue
tane, Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida, E tra noi cerchi o chi ti dia
del pane, 0, per uscir d'inopia, chi t'uccida; Le ricchezze del Turco hai non
lontane: Cacciai d'Europa, o almen di Grecia snida. Cosi potrai o del digiuno
trarti, 0 cader con più merto in quelle parti. 78 Quel eh' a te dico, io dico
al tuo vicino l'edesco ancor: là le ricchezze sono. Che vi portò da Roma
Constanti no; Portonne il meglio, e fé' del resto dono. Pattalo ed Ermo, onde
si trae l'ór fino, Migdonia e Lidia, e quel paese buono Per tante laudi in
tante istorie noto, Non è, s' andar vi vuoi, troppo remoto. 79 Tu, gran Leone,
a cui premon le terga Delle chiavi del ciel le gravi some, Non lasciar che nel
sonno si sommerga Italia, se la man l'hai nelle chiome. Tu sei Pastore; e Dio
t'ha quella verga Data a portare, e scelto il fiero nome, Perchè tu ruggi, e
che le braccia stenda Si, che dai lupi il gregge tuo difenda. 80 Ma d'un parlar
nell' altro, ove sono ito Sì lungi dal cammin ch'io faceva ora? Non lo credo
però sì aver smarrito, Ch'io non lo sappia ritrovare ancora. Io dicea ch'in
Sona si tenea il rito D'armarsi, che i Franceschi aveano allora: Si che bella
in Damasco era la piazza Di gente armata d'elmo e di corazza. 81 Le vaghe donne
gettano dai palchi Sopra i giostranti fior vermigli e gialli. Mentre essi
fanno, a suon degli oricalchi, Levare assalti ed aggirar cavalli. Ciascuno, o
bene o mal eh' egli cavalchi, Vuol far quivi vedersi; e sprona e dalli:Di
ch'altri ne riporta pregio e lode; Muove altri a riso, e gridar dietro s' ode.
83 Della giostra era il prezzo un'armatura Che fu donata al re pochi di
innante, Che su la strada ritrovò a ventura, Ritornando d'Armenia, un
mercatante. Il re di nobilissima testura La sopravveste all'arme aggiunse, e
tante Perle vi pose intomo e gemme ed oro, la fece valer molto tesoro. 83 Se
conosciute il re quell' arme avesse, Care avute l'avria sopra ogni arnese:Né in
premio della giostra l'avria messe, Comechè liberal fosse e cortese. Lungo
saria chi raccontar volesse Chi l'avea sì sprezzate e vilipese. Che 'n mezzo
della strada le lasciasse, Preda a chiunqueo innanzi o indietro andasse. 84 Di
questo ho da contarvi più di sotto: Or dirò di Grifon, ch'alia sua giunta Un
paio e più di lance trovò rotto, Menato più d'un taglio e d'una punta. Dei più
cari e più fidi al re fur otto Che quivi insieme avean lega congiunta:Gioveni,
in arme pratichi ed industri, Tutti 0 signori o di famiglie illustri. 85 Quei
rispondean nella sbarrata piazza Per un di, ad uno ad uno, a tutto '1 mondo.
Prima con lancia, e poi con spada o mazza, Fin ch'ai re di guardarli era
giocondo; E si foravan spesso la corazza; Per gioco in somma qui facean,
secondo Fan li nimici capitali; eccetto Che potea il re partirli a suo diletto.
86 Quel d'Antiochia, un UDm senza ragione, Che Martano il codardo nominosse.
Come se della forza di Grifone, Poich' era seco, partecipe fosse, Audace entrò
nel marziale agone: E poi da canto ad aspettar fermosse. Sinché finisse una
battaglia fiera Che tra duo cavalier cominciata era. 87 II Signor di Seleucia,
di quelli uno, Ch'a sostener P impresa aveano tolto, Combattendo in quel tempo
con Ombrano, Lo ferì d'una punta in mezzo 1 volto. Sì che r uccise; e pietà
n'ebbe ognuno. Perchè buon cavalier lo tenean molto; Ed oltra la boutade, il
più cortese Non era stato in tuttoquelpaese. 88 Veduto ciò, Martano ebbe paura
Che parimente a sé non avvenisse; E ritoraando nella sua natura, A pensar
cominciò come fuggisse. Grifon, che gli era appresso e navea cura, Lo spinse
pur, poi ch'assai fece e disse, Contra un gentil guerrier che s'era mosso, Come
si spinge il cane al lupo addosso; 89 Che dieci passi gli va dietro o venti E
poi si ferma, ed abbaiando guarda Come digrigni i minacciosi denti, Come negli
occhi orribil fuoco gli arda. Quivi ov' erano i principi presenti, E tanta
gente nobile e gagliarda, Fuggì lo'ncontro il timido Martano, E torse U freno e
1 capo a destra mano. 90 Pur la colpa potea dar al cavallo. Chi di scusarlo
avesse tolto il peso; Ma con la spada poi fé' sì gran fallo, Che non l'avrìa
Demostene difeso. Dì carta armato par, non di metallo:Si teme da ogni colpo
essere offeso. Fuggesi alfine, e gli ordini disturba, Ridendo intorno a lui
tutta la turba. 91 II batter delle mani, il gdo intorno Se gli levò del
popolazzo tutto. Come lupo cacciato, fé' ritomo Martano in molta fretta al suo
ridatto. Resta Grifone; e gli par dello scorno Del suo compagno esser macchiato
e brutto. Esser vorrebbe stato in mezzo il fuoco, Piuttosto che trovarsi in
questo loco. 92 Arde nel core, e fuor nel viso avvampa. Come sia tutta sua
quella vergogna; Perchè l'opere sue di quella stampa Vedere aspetta il popolo
ed agogna: Si che rifulga chiara più che lampa virtù, questa volta gli bisogna;
Ch' un' oncia, un dito sol d'error che faccia, Per la mala impressì'on parrà
sei braccia. stanza 104. 93 Già la lancia avea tolta su la coscia Grifon, eh'
errare in arme era poco uso; Spinse il cavallo a tutta briglia; e poscia Oh'
alquanto andato fu, la messe suso, E portò nel ferire estrema angoscia Al baron
di Sidonia, ch'andò giuso. Ognun maravigliando in pie si leva: Chè'l contrario
di ciò tutto attendeva. 94 Tornò Grifon con la medesma antenna, Che'ntiera e
fermi ricjvrata avea; Ed in tre pezzi la roppe alla penna Dello scudo al signor
di Lodicea. Quel per cader tre volte e quattro accenna, Che tutto steso alla
groppa giacca: Pur rilevato alfin la spada strinse, Voltò il cavallo, e ver
Grifon si spinse. 95 Grifon, che '1 vede in sella, e che non basta Si fiero
incontro perchè a terra vada, Dice fra sé: Qnel che non potè V asta, In cinque
colpi o 'n sei farà la spada:E su la tempia subito Pattasta D'un dritto tal,
che par che dal ciel cada; E un altro gli accompagna e un altro appresso, Tanto
che V ha stordito, e in terra messo. 96 Quivi erano d'Apamia duo germani,
Soliti in giostra rimaner di sopra, Tirse e Corimbo; ed ambo per le mani Del
figlio d'Olivier cadder sozzopra. gli arcion lascia allo scontro vani; Con
l'altro messa fu la spada in opra. Già per comun giudicio si tien certo Che di
costui fia della giostra il merto. 10 1 Gittaro i tronchi, e si tomaio addosso
Pieni di molto ardir coi brandi nadL Fu il pagan prima da Grìfon percosso D'un
colpo che spezzato avria gl'ìncadi. Con quel fender si vide e ferro ed osso
D'un eh' eletto s' avea tra mille scudi; E se non era doppio e fin l'arnese,
Feria la coscia ove cadendo scese. 102 Feri quel di Seleucia alla visiera
Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto, Che l'avria aperta e rotta, se non
eraFatta, come l'altr'arme, per incanto. Gli è un perder tempo, che'l pagan più
fer Cosi son l'arme dure in ogni canto:E 'n più parti Grifon già fessa e rotta
Ha l'armatura a lui, né perde botta. 97 Nella lizza era entrato Salinterno,
Gran di'odarro e maliscalco regio, E che di tutto '1 regno avea il governo, E
di sua mano era guerriero egregio. Costui, sdegnoso eh' un guerriero esterno
Debba portar di quella giostra il pregio, Piglia una lancia, e verso Grifon
grida, E molto minacciandolo lo sfida. 103 Ognun pò tea veder quanto di sotto
Il signor di Seleucia era a Grifone:E se partir non li fa il re di botto, Quel
che sta peggio, la vita vi pone. Fe'Norandino alla sua guardia motto Ch'
entrasse a distaccar 1' aspra tenzone. Quindi fu l'uno e quindi V altro tratto;
E fu lodato il re di si buon atto. 98 Ma quel con un lancion gli fa risposta,
avea per lo miglior fra dieci eletto; E per non far error, lo scudo apposta, E
via lo passa e la corazza e '1 petto. Passa il ferro crudel tra costa e costa,
E fuor pel tergo un palmo esce di netto. n colpo, eccetto al re, fu a tutti
caro; Ch'ognuno odiava Salinterno avaro. 99 Grifone, appresso a questi, in
terra getta Duo di Damasco, Ermofilo e Carmondo:La milizia del re dal primo è
retta; Del mar grande almiraglio è quel secondo. Liscia allo scontro l'un la
sella in fretta; Addosso all'altro si riversa il pondo Del rio destrier, che
sostener non puote L'alto valor con che Grifon percuote. 100 II signor di
Seleucia ancor restava, Miglior guerrier di tutti gli altri sette; E ben la sua
possanza accompagnava Con destrier buono e con arme perfette. Dove dell' elmo
la vista si chiava, L'asta allo scontro l'uno e l'altro mette:Pur Grifon
maggior colpo al pagan diede. Che lo fé' staffeggiar dal manco piede. 104 Gli
otto che dianzi avean col mondo impresa, E non potuto durar poi contra uno,
Avendo mal la parte lor difesa, Usciti eran del campo ad uno ad uno. Gli altri
eh' eran venuti a lor contesa, Quivi restar senza contrasto alcuno, Avendo lor
Grifon, solo, interrotto Quel che tutti essi avean da far contra otto. 105 E
durò quella festa cosi poco, Ch'in men d'.un'ora il tutto fatto s'era: Ma
Norandin, per far pia lungo il giuoco E per continuarlo infino a sera, Dal
palco scese, e fé' sgombrare il loco. E poi divise in due la grossa schìefa;
Indi, secondo il sangue e la lor prova, Gli andò accoppiando, e fé' una giostra
nova. 106 Grifone intanto avea fatto ritomo Alla sua stanza, pien d'ira e di
rabbia:E più gli preme di Martan lo scorno, Che non giova l'onor ch'esso vinto
abbia. Quivi per tor l'obbrobrio eh' avea intorno, Martano adopra le mendaci
labbia: E r astuta e bugiarda meretrice, Come meglio sape, gli era adiutrice.
107 0 8i 0 no che '1 gioYin gli credesse, Par la scusa accettò, come discreto;
E pel suo meglio allora allora elesse Quindi levarsi tacito e secreto, Per tema
che, se '1 popolo vedesse Martano comparir, non stesse cheto. Cosi per una via
nascosa e corta Uscirò al cammin lor fuor della porta. 108 Grifone, o ch'egli o
che'l cavallofoss:Stanco, 0 gravasse il sonno pur le ciglia, Al primo albergo
che trovar, fermosse. Che non erano andati oltre a lua miglia. Si trasse Telmo,
e tutto dir mosse, E trar fece a cavalli e seli e briglia; E poi serrossi in
camera soleUo, E nudo per dormire entrò nel letto. 109 Non ebbe cosi tosto il
capo basso, Che chiuse gli occhi, e fa dal sonno oppresso Così profondamente,
che mai tasso Né ghiro mai s'addormentò quant'esso. Martano intanto ed
Orrigille a spasso Eutraro in un giardin oh' era li appresso; Ed un inganno
ordir, che fa il più strano Che mai cadesse in sentimento umano. 110 Martano
disegnò tórre il destriero, I panni e Parme che Grifon s'ha tratte; E andare
innanzi al re pel cavaliere Che tante prove avea giostrando fatte. L'effetto ne
seguì, fatto il pensiero:Tolle il destrier più candido che latte, Scudo e
cimiero ed arme e sopravveste, E tutte di Grifon l'insegne veste. Ili Con gli
scudieri e con la donna, dove Era il popolo ancora, in piazza venne; E giunse a
tempo che finian le prove Di girar spade, e d'arrestar antenne. Comanda il re
che '1 cavalier si trove, Che per cimier avea le bianche penne, Bianche le
vesti, e bianco il corridore; Che '1 nome non sapea del vincitore. 112 Colui
ch'indosso il non suo cuoio aveva, Come l'asino già quel del leone, Chiamato se
n' andò, come attendeva, Norandino, in loco di Grifone. Quel re cortese
incontro se gli leva. L'abbraccia e bacia, e allato se lo pone; Né gli basta
onorarlo e dargli loda. vuol che'l suo valor per tutto s'oda. 113 E fa gridarlo
al suon degli oricalchi Vincitor della giostra di quel giorno. L'alta voce ne
va per tutti i palchi, Che '1 nome indegno udir fa d'ogn' intorno. Seco il re
vuol eh' a par a par cavalchi, Quando al palazzo suo poi fa ritorno; E di sua
grazia tanto gli comparte, Che basteria, se fosse Ercole o Marte. 114 Bello ed
ornato alloggiamento dielli In corte, ed onorar fece con lui Orrigille anco; e
nobili donzelli Mandò con essa, e cavalieri sui. Ma tempo è eh' anco di Grifon
favelli, Il qua!, né dal compagno né d'altrui Temendo inganno, addormentato
s'era, Né mai si risvegliò fin alla sera. 116 Poi che fu desto, e che dell'ora
tarda S' accòrse, uscì di camera con fretta, il falso cognato e la bugiarda
Orrigille lasciò con l'altra setta: E quando non li trova, e che riguarda Non
v' esser l'arme né i panni, sospetta; Ma il veder poi più sospettoso il fece
L'insegne del compagno in quella vece. 116 Sopravvien l'oste, e di colui
l'informa Che, già gran pezzo, di bianch'arme adorno Con la donna e col resto
della torma Avea nella città fatto ritomp. Trova Grifone a poco a poco l'orma
Ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno; E con suo gran dolor vede esser
quello Adulter d'Orrigille, e non fratello. 117 Di sua sciocchezza indamo ora
si duole. Ch'avendo il ver dal peregrino udito. Lasciato mutar s'abbia alle
parole Di chi l'avea più volt" già tradito. Vendicar si potea, né seppe:
or vuole L'inimico punir, che gli é fuggito; Ed è constretto con troppo gran
fallo, A tor di quel vii uom l'arme e '1 cavallo. 118 Eragli meglio andar
senz'arme e nudo. Che porsi indosso la corazza indegna, 0 ch'imbracciar
l'abbominato scudo. 0 por su l'elmo la beffata insegna:Ma, per seguir la
meretrice e '1 drudo, Bagione in lui pari al desio non regna. A tempo venne
alla città, ch'ancora Il giorno avea quasi di vivo un'ora. 119 Presso alla
porta ove Grifon venia, Siede a sinistra un splendido castello, Che, più che
forte e eh' a guerra atto sia, Di ricche stanze è accomodato e hello. I re, i
signori, i primi di Sorìa Con alte donne in nn gentil drappello Celehravtno
quivi in loggia amena, La real, sontuosa e lieta cena. 120 La hella loggia
sopra '1 muro usciva Con Talta rocca fuor della cittade; E lungo tratto di
lontan scopriva I larghi campi e le diverse strade. Or che Grifon verso la
porta arriva Con quell'arme d'ohhrohrio e di viltade, con non troppa
avventurosa sorte Dal re veduto e da tutta la corte: 121 E riputato quel di
ch'avea insegna, Mosse le donne e i cavalieri a riso. II vii Martano, come quel
che regna In gran favor, dopo '1 re èl primo assiso, E presso a lui la donna di
sé degna. Dai quali Norandin con lieto viso Volse saper chi fosse quel codardo,
Che cosi avea al suo onor poco riguardo; 122 Che dopo una sì trista e hrutta
prova. Con tanta fronte or gli tornava innante. Dicea; Questa mi par cosa assai
nova, Ch' essendo voi guerrier degno e prestante, Costui compagno ahhiate, che
non trova. Di viltà pari in terra di Levante. Il fate forse per mostrar
maggiore, Per tal contrario, il vostro alto valore. 123 Ma hen vi giuro per gli
eterni Dei, Che se non fosse eh' io riguardo a vui, La puhhlica ignominia gli
farei, Ch'io soglio fare agli altri pari a lui. Perpetua ricordanza gli darei.
Come ognor di viltà nimico fui. Ma sappia, s' impunito se ne parte, Grado a voi
che'l menaste in questa parte. 124 Colui che fu di tutti i vizj il vaso,
Rispose: Alto signor, dir non sapria Chi sia costui; ch'io l'ho trovato a
caso.Venendo d'Aniiochia, in su la via. Il suo sembiante m'avea persuaso Che
fosse degno di mia compagnia; Ch'intesa non n'avea prova né vista, Se non
quella che fece oggi assai trista: 125 La qual mi spiacque si, che restò poco
Che, per punir l'estrema sua viltade, Non gli facessi allora allora nn gioco,
Che non toccasse più lance né spade. Ma ebbi, più eh' a lui, rispetto al loco,
E riverenzia a vostra maestade. Né per me voglio che gli sia guadagno L'essermi
stato uu giorno o dua compagno: Di che contaminato anco esser panne; E sopra il
cor mi sarà etemo peso, Se, con vergogna del mestier dell'arme. Io lo vedrò da
noi partire illeso: E meglio che lasciarlo, satisfanne Potrete, se sarà da im
merlo impeso; E fia lodevol opra e signorile. Perch'ei sia esempio e specchio
ad ogni rile. 127 Al detto suo Martano Orrigille ave, Senza accennar,
confermatrice presta. Non son, rispose il re, l'opre sì prave, Ch'ai mio parer
v'abbia d'andar la testa. Voglio, per pena del peccato grave, Che sol rinnovi
al popolo la festa:E tosto a un suo baron, che fé' venire, Impose quanto avesse
ad eseguire. 1 28 Quel baron molti armati seco tolse, Ed alla porta della terra
scese; E quivi con silenzio li raccolse,E la venuta di Grifone attese: E nell'
entrar sì d'improvviso il colse, Che fra i duo ponti a salvamento il prese; E
lo ritenne con beffe e con scorno In una oscura stanza insino al giorno. 129 II
Sole appena avea il dorato crine Tolto di grembo alla nutrice antica, E
cominciava dalle piagge alpine A cacciar l'ombre, e far la cima aprica; Quando
temendo il vii Martan, ch'alfine Grifone ardito la sua causa dica, E ritorni la
colpa ond'era uscita, Tolse licenzia, e fece indi partita, 130 Trovando idonea
scusa al priego regio, Che non stia allo spettacolo ordinato. Altri doni gli
avea fatto, col pregio Della non sua vittoria, il signor grato; E sopra tutto
un ampio privilegio, Dov'era d'alti onori al sommo ornato. Lasciaralo andar;
ch'io vi prometto certo, Che la mercede avrà secondo il merto. 131 Fu Qrifon
tratto a gran vergogna in piazza, Quando più sì trovò piena di gente. Gli ayean
levato Telmo e la corazza, £ lasciato in farsetto assai vilmente; £ come il
conducessero alla mazza, Posto r avean sopra un carro eminente,Che lento lento
tiravan due vacche Dalunga fame attenuate e fiacche. 132 Venìan d'intorno alla
ignobil quadriga Vecchie sfacciate e disoneste putte, Di che n'era una ed or
un'altra auriga, E con gran biasmo Io mordeano tutte. Lo iK)neano i fanciulli
in maggior briga, Che, oltre le parole infami e brutte, L' avrian coi sassi
insino a morte offeso, Se dai più saggi non era difeso.138 L'arme che del suo
male erano state Cagì'on, che di lui fér non vero indicio, Dalla coda del carro
strascinate, Patian nel fango debito supplicio. Le ruote innanzi a untribunal
fermate, Gli fero udir dell'altrui maleficio La sua ignominia, che 'n sugli
occhi detta Gli fu, gridando un pubblico trombetta. 134 Lo levar quindi, e lo
mostrar per tutto Dinanzi a templi, ad officine e a case, Dove alcun nome
scellerato e brutto, Che non gli fosse detto, non rimase. Fuor della terra
all'ultimo condutto Fu dalla turba, che si persuase Bandirlo e cacciare indi a
suon di busse, Non conoscendo ben clii egli si fusse. 185 Si tosto appena gli
sferraro i piedi, £ liberargli V una e l'altra mano, Che tor lo scudo, ed
impugnar gli vedi La spada che rigò gran pezzo il piano. Non ebbe contra sé
lance né spiedi; Che senz'arme venia '1 popolo insano. Neil' altro Canto
differisco il resto; Che tempo é omai, signor, di finir questo. N o TB. St. 1.
V.78. Mario e Siila: troppo noti, perchè qui s'abbia a parlare delle guerre
civili, delle stragi e delleproscrizioni, onde travagliarono Roma. E duo
Neroni: uno fu Tiberio, infame per Tuccisione dei ni poti, per Tassassinio dei
più specchiati cittadini, e per ogni maniera di crudeltà. L'altro era Domizio,
della gente Claudia, il qualespense barbaramente la madre, il precettore, la
moglie; e si bruttò di nequizie che fanno orrore a ridirle. Caio furilondo:
Caligola, cioè, di cui non si sa qual fosse maggiore, se la crudeltà o la
stoltezza; basti accennare che divinizzò il suo cavallo, e bramava che il
popolo romano avesse una sola testa,per poterlo decapitare. St. 2. V.18.
Domiziano: crudelissimo e vanitoso fino alla puerilità; perseguitò acerbamente
i cristiani, e tolse la T ita a non pochi senatori per motivi i più frivoli. V
ultimo Antonino: Marco Antonino, figlio spurio di Caracalla, più conosciuto
sotto il nome di Elio gabalo. Stupido di mente, creava un senato di
femmine:bestiale nella superstizione, faceva scannare fanciulli per conoscere
l'avvenire dalle loro viscere fumanti. Massimino: figlio d'un pastore di
Tracia, fu prode nel ' A&IOSTO.Tarmi, ma coi sudditi inumano. Creonte:
fratello di Giocasta, usurpò il trono di Tebe dovuto ai suoi nipoti Eteocle e
Polinice, incitandoli a tanta discordia, che Tun Taltro si uccisero. Mezemio:
uno dei Lucumoni etruschi; teneva il seggio in Cere, detta dai Latini Al sium
dai Greci Agylla. Spietato cosi che toglieva agli nomini la vita, facendoli
legare strettamente a'cada veri, e lasciandoli morire nella putredine. Àgli
Unni, ai Longobardi, ai Goti. Circa il 420 dell' Era volgare, gli Unni
discesero in Italia, desolando intiere Provincie, con rapine, con ferro, con
ftioco. Nel 488, Teodorico, re degli Ostrogoti, invase la penisola con
gagliardo eser cito, e vi stabili il regno de' Goti che durò 64 anni, di
sastrosissimi per le guerre accese dall'ambizione degl'im peratori di
Costantinopoli. All'oppressione gotica, tenne dietro, nel 568, quella dei
Longobardi, guidati dal fei'oce Alboino; e nei circa due secoli di quel regno,
la maggiorparte d'Italia soggiacque alla tirannide dei molti duchi ai quali era
partitamente infeudata. St. 3. V.12. Attila fu il conduttore degli Unni, e cosi
funesto all'Italia, che si meritò d'esser detto Fla gello di Dio. Ezzelin da
Romano tribolava, nel se colo XIII, le Provincie di Verona, diVicenza e di Pa
dova eon ferrea dominazione.St. 4. V.14. A CM" non par, ecc. Parlasi
deiram bizioso Giulio II ohe, dopo perJata la giornata di Ra venna, chiamò gli
Svizzeri, onde si rinnovarono i disa stridellagaerra e lo spargimento del
sangue italiano. Ivi. V.58. Di Trasinheno, eee. Vuol dire che la piena
sconfitta data da Annibale alle legioni romane sulla Trebbia non lungi da
Piacenza, ripetuta sul lago Trasimeno vicinoa Perugia, e la rotta ch'ebbero
ancora i Romani a Canne presso Barletta in Terra di Bari, fu rono cosa lieve a
confronto della strage prodotta dai fatti d'arme, avvenutinel secolo XVI fra
Italiani e stra nieri, in Lombardia e in Romagna, presso i fiumi no minati nel
testo. St. U. V.5. Scoglio o ScoIta: la pelle che le serpi mutano alla nuova
stagione. St. 19. V.6. Acque lanfe, o nanfe: acque odorose. St. 27. v.2. Nel
Carpano iniquo. Mare Carpazio dissero gli antichi quel pericoloso tratto eh' è
nelle vi cinanze di Scarpanto, isola dell'arcipelago chiamata dai Greci
CarpathoSf e situata fra Candia e Rodi. .T. 29. V.3. Orco: chimera o mostro immaginario,
come Befana, Biliorsa, di che sono piene le fole delle donnicciuole e del volgo
in molte parti d'Italia. Il poeta contrappose questa favolosa invenzione al
Polifemo di Omero e di Virgilio, e, se non vinse la gara, certamente non ne
rimase secondo. St. 36. V.8. Sarpar lor ferri: scioglier l'ancore, salparle.
Sarte, sartie, sarchio, si dicono 1 cordami con che si assicurano gli alberi
della nave St. 59. V.6. Mola, macina: qui significa i denti dell'Orco che
stritolavano come una macina St. 64. V.5. Inarra:viene da arra o caparra, e
vale 8'ohUiga per voto. St. 65. V.27. Simo: che ha il naso schiacciato; voce
latina. Satalia: città della Caramania sul golfo omonimo. S T. 68. v.3. Calende
et Idi: modo proverbiale di esprimere la duratadi varii mesi. Calende, presso
gli antichi, si chiamavano i primi giorni di ciascan mese: Idi, i terzodecimi
di alcuni mesi.e di altri i qniotodeeittL St. 78. v.46. E fé' del resto dono.
Aoceniuisi U donazione che dicesi fatta di Costantino a papa Silre stro.
Fattolo ed Ermo, ecc. lì Fattolo, influente d" l'Ermo che mette foce
nell'Ai'Cipelago, scorre tuttora fra le rovine dell'antica Sardi, famosa cittài
della Lidia, capitale del regno di Creso, rinomato per le sae riechesze. Quei
due fiumi, le cui arene si credette altre volte por tare dell'oro, hanno oggi
il nome di SUirjtbat; e la splendida Sardi non è pid che un miserabile
villaggio. detto dai Turchi Satt. Migdonia: tre Provincie di questo nome
additansi dai geografi in diversi laogki: U Poeta, che la nomina insieme con la
Lidia, ha verosi milmente inteso la Migdonia che Solino pone in Frìg:ìa
dell'Asia Minore. St. 79. Allude a Leone X (Gio. de' Medici). St. 87. V.1.
SeUucia: cittài di Scria, presso la foce dell' Oronte; e fu detta Seleucia
Pieria per distinguerla da altre quattro che avevano lo stesso nome. St. 93.
V.6. Sidonia: la Sidone dei Fenicj, oggi Saida, St. 94. V.4. Lodicea: quella
che gli antichi dissero Laodieea ad mare; ora chiamasi Latakia, e ai yeàr col
nome di Lizza nella St. 74, v.7 del Canto sedente. St. 96. V.1. Apamia: Apamea,
situata fra Antio chia ed Epifania, la quale ultima i Turchi chiamano Hamah.
St. 97. V.2. Gran diodarro: voce araba equiva lente a ministro. St. 112. V.2.
Si allude all'apologo di Luciano sol ciuco, che vestitosi della pelle di un leone,
spaventò gli altri animali, finché riconosciuto alle orecchie, fu bea punito
della sua stolta temerità. St. 115. V.4. Setta: compagnia, seguito. St. 129.
V.2 Quasi tatti intendono per questa nu trice la terra; ma veramente è il mare,
immeiimato dai poeti antichi con Tetide la moglie dell Oceano. Si credeva che
dall' acqua avessero orìgine e nutrimeato tutte le cose, persino le stelle, il
sole. Giifijfifl recni>.ni l'onore tiliojrii,]a iraHatio. i' fo.riii \hu pu
nito da Nuraiidiiio. Saiisftiierto "d Antolfu s'imbattono in Mar fin,, e
tiitii tre vaniio a Diuiisra per asintere ad ima pioatra I?.v3i(hta per onorare
Grifone Colà Marfla riconost!tì per sua 1 arttiatnra destinata fi premio i3ol
vincitore,e la vi) ole. Tur iKisi (juindi la ftì'ta. ma poi si iricompone a
calma: larmatura è data pacìficamente a Mìirfl?ia, e i tie puerritri pai tono
per KraiKia. J?i>ilonioiite, avvisato ch<? Doralict plì patata tolta dà
Mandrikartio, esce di Pari fri jier vciidit'arui del rapitole. I Mtri ctHlouo
al valore ili Rinaldo che lillfl fine yctide Dardindlo. Cloridano e Mecloio
trasportano il cadavere del kno sipioie lajsrnaulmo Siernore, bgnì vostro atto
Hu sempre con ragion Kuidatù e laudo; BpiieLè e li ruzzo sril ilnro e mal atto
Gran \\a.i\e della gUrià io \ì defraudo. Ma più dtdr altre una virtù nrUa t
rutto, A cui coi core e con la liiiyfuii a)ij>laudo; Che s' ognun trova In
voi ben Errata udìeiiia Ncm vi truva pere fadl tTeilena. Spesso in diffcjia del
biasniato absrnte Intliir vi sento mm ed mi' altra snisa, 0 riserbargli almen,
finché presente Sna causa dica, T altra orecchia chiusa: E sempre, prima che
dannar la gente, Vederla in faccia, e udir la ragion eh' usa:Difterir anco a
giorni e mesi ed anni, Prima che giudicar negli altrui danni. Se Norandino il
simil fatto avesse, Patto a Grifon non avria quel che fece A voi ntile e onor
sempre successe: Denigrò sua fama egli più che pece. Per lui sue genti a morte
furon messe; Che fé' Grifone in dieci tagli eindiece Punte, che trasse pien
d'ira e hizzarro, Che trenta ne cascaro appresso al carro. Van gli altri in
rotta ove il timor li caocù. Chi qna, chi là pei campi e per le strade; E chi
d'entrar nella città procaccia. E r un su r altro nella porta cade. Grifon non
fa parole e non minaccia; Ma j lasciando lontana ogni pietade, Mena tra il
vulgo inerte il ferro intorno, E gran vendetta fa d'ogni suo scorno. stanza 4.
Di quei che primi giunsero alla porta, Che le piante a levarsi ebbeno pronte.
Parte, al bisogno suo molto più accorta Che degli amici, alzò subito il ponte:Piangendo
parte, o con la faccia smorta, Fuggendo andò senza mai volger fronte; E nella
terra per tutte le bande Levò grido e tumulto e rumor grande. Grifon gagliardo
duo ne piglia in quella Che'l ponte si levò per lor sciagura. Sparge dell'uno
al campo le cervella; Che lo percuote ad una cote dura:Prende l'altro nel
petto, e l'arrandeila In mezzo alla città sopra le mura. Scorse per l'ossa ai
terrazzani il gelo, Quando vider colui venir dal cielo. 7 Pur molti che temer
che '1 fier Grifone Sopra le mura avesse preso un salto. Non vi sarebbe più
confusione, S' a Damasco il Soldan desse V assalto. Un muover d'arme, un correr
di persone, E di talacimanni un gridar d'alto,Editamburi un suon misto e di
trombe Il mondo assorda, eU ciel par ne rimhombe. 8 Ma voglio a un'altra volta
differire A ricontar ciò che di questo avvenne. Del buon re Carlo mi convien
seguire, Che contra Rodomonte in fretta venne, Il qual le genti gli facea
morire. 10 vi dissi ch'ai re compagnia tenne 11 gran Danese e Namo ed Oliviero
E A vino e Avolio e Otone e Berlingiero. 9 Otto scontri di lance, che da forza
Di tali otto guerrier cacciati fóro. Sostenne a un tempo la scagliosa scorza Di
eh' avca armato il petto il crudo moro. Come legno si drizza, poiché l'orza
Lenta il nocchier che crescer sente il Coro; Così presto rizzossi Rodomonte Dai
colpi che gittar doveano un monte. 10 Guido, Ranier, RicarJo, Salamone,
Ganellon traditor, Turpin fedele, Angioliero, Angiolino, Ughetto, Ivone, Marco
e Matteo dal pian di Sin Michele, E gli otto di che dianzi fei menzione, Son
tutti intorno al S.iracin crudele, Arimanno e Odoardo d'Inghilterra, Ch'
entrati eran pur dianzi nella terra. 11 Non così freme in su lo scoglio alpino
Di ben fondata ròcca alta parete, Quando il furor di Borea o di Garbino Svelle dai
monti il frassino e l'abete; Come freme d'orgoglio il Saracino, Di sdegno
acceso e di sanguigna sete:E com' a un tempo è il tuono e la saetta, Cosi l'ira
dell' empio e la vendetta. 12 Mena alla testa a quel che gli è più presso, Che
gli è il misero Ughetto di Dordona: Lo pone in terra ins'no ai denti fesso,
Comechè l'elmo era di tempra buona. Percosso fu tutto in un tempo anch'esso Da
molti colpi in tutta la persona:Ma non gli fan più eh' all' incude l'ago, Si
duro intorno ha lo scaglioso drago. 13 Furo tutti i ripar, fu la cittade
D'intorno intorno abbandonata tutta; Che la gente alla piazza, dove accade
Maggior bisogno, Carlo avea ridutta. Corre alla piazza da tutte le strade La
turba, a chi il fugijir si poco frutta. La persona del re sì i cori accende,
Ch' ognun prend'arme, ognuno animo prende. stanza 6. 14 Come se dentro a ben
rinchiusa gabbia D'antiqua leonessa usata in guerra, Perch' averne piacere il
popol abbia. Talvolta il tauro indomito si serra; I leonciu che vegjion per la
sabbia Come altiero e mugliando animoso erra, E veder si gran corna non son
usi, Stanno da parte timidi e confusi: 15 Ma se la fiera madre a quel si
lancia, E nell' orecchio attacca il crudel dente, Vogliono anchessi insanguinar
la guancia, E vengono in soccorso arditamente; Chi morde al tauro il dosso, e
chi la pancia: Cosi contra il pagan fa quella gente: Da tetti e da finestre e
più d'appresso Sopra gli piove un nembo d'arme e spesso. 16 Dei cavalieri e
della fanteria Tanta è la calca, eh' appena vi cape. La turba che vi vien per
ogni via, V'abbonda ad or ad or spesso com'ape; Che quando, disarmata e nuda,
sia Più facile a tagliar che torsi o rape, Non la potria, legata a monte a
monte, In venti giorni spenger Rodomonte. 17 Al pagan, che non sa come ne possa
Venir a capo, ornai quel giuoco incresce. Poco, per far di mille o di più rossa
La terra intomo, il popolo discresce. Il fiato tuttavia più se gì' ingrossa; Sì
che comprende alfin che, se non ece Or e' ha vigore e in tutto il corpo è sano.
Vorrà da tempo uscir, che sarà invano. 18 Rivolge gli occhi orribili, e pon
mente Che d'ogn' intomo sta chiusa l'uscita: Ma con mina d'infinita gente
L'aprirà tosto, e la farà spedita. Ecco, vibrando la spada tagliente, Che vien
quell'empio, ove il furor lo'nviti. Ad assalire il nuovo stuol britanno, Che vi
trasse Odoardo ed Arimanno. Stanza 18. 19 Clii ha visto in piazza a rompere
steccato, A cui la folta turba ondeggi intomo, Immansueto tauro accaneggiato,
Stimulato e percosso tutto il giorno, Che '1 popol se ne fugge spaventato, Ed
egli or questo or quel leva sul corno; Pensi che tale o più terribil fosse Il
crudele African quando si mosse. 21 Della piazza si vede in guisa tórre, Che
non si può notar ch'abbia paura; Ma tuttavolta col pensier discorre Dove sia
per uscir via più sicura. Capita alfiu dove la Senna corre Sotto all'isola, e
va fuor delle mura. La gente d'arme e il popol fatto audace Lo stringe e
incalza, e gir noi lascia in pace. 20 Quindici o venti ne tagliò a traverso,
Altri tanti lasciò del capo tronchi, Ciascun d'un colpo sol dritto o riverso;
Che viti 0 salci par che poti e tronchi:Tutto di sangue il fier pagano asperso,
Lasciando capi fessi e bracci monchi, E spalle e gambe ed altre membra sparte,
Ovimque il passo volga, alfin si parte. 22 Qual per le selve nomade o massile
Cacciata va la generosa belva, Ch' ancor fuggendo mostra il cor gentile, E
minacciosa e lenta si riusciva; Tal Rodomonte, in nessun atto vile, Da strana
circondato e fiera selva D'aste e di spade e di volanti dardi, Si tira al fiume
a passi lunghi e tardi. 23 E sì tre volte e più V ira il sospinse, Ch'
essendone già fuor, vi tornò in mezzo, Ove di sangue la spada ritinse, E più di
cento ne levò di mezzo. Ma la ragion alfin la rabbia vinse Di non far si eh' a
Dio n'andasse il lezzo; E dalla ripa,permigliorconsiglio,Si gittò all'acqua, e
usci di gran periglio. 21: Con tutte l'arme andò per mezzo l'acque, Come s'
intorno avesse tante galle. Africa, in te pare a costui non nacque, Benché d'
Anteo ti vanti e d'Anniballe. Poi che fìi giunto a proda, gli dispiacque, Che
si vide restar dopo le spalle Quella città ch'avea trascorsa tutta, E non
l'avea tutt'arsa, né distrutta. .25 E si lo rode la superbia e l'ira, Che, per
tornarvi un'altra volta, guarda, E di profondo cor geme e sospira, Né vuoine
uscir, che non la spiani ed arda. Ma lungo il fiume, in questa furia, mira
Venir chi l'odio estingue, e l'ira tarda. Chi fosse io vi farò ben tosto udire;
Ma prima un'altra cosa v'ho da dire. 26 Io v'ho da dir della Discordia altiera,
A cui l'angel Michele avea commesso Ch' a battaglia accendesse e a lite fiera
Quei che più forti avea Agramante appresso Usci de' frati la medesma sera,
Avendo altrui l'ufficio suo commesso:Lasciò la Fraude a guerreggiare il loco,
Finché tornasse, e a mantenervi il foco. 27 E le parve ch'andria con più
possanza. Se la Superbia ancor seco menasse: E perché stavan tutte in una
stanza, Non fu bisogno eh' a cercar l'andasse. La Superbia v'andò, ma non che
sanza La sua vicaria il monaster lasciasse:Per pochi dìchecredea stame absente,
Lasciò l'Ipocrisia locotenente. 28 L'implacabil Discordia in compagnia Della
Superbia si messe in cammino, E ritrovò che la medesma via Facea, per gire al
campo Saracino, L'afflitta e sconsolata Gelosia; £ venia seco un nano
piccolino, n qual mandava Doralice bella Al re di Sarza a dar di sé novella, 29
Quando ella venne a Maudricardo in mano (Ch'io v'ho già raccontato e come e
dove), Tacitamente avea commesso al nano, Che ne portasse a questo re le nuove.
Ella sperò che noi saprebbe invano, Ma che far si vedria mirabil prove, Per
riaverla con crudel vendetta Da quel ladron che gli l'avea intercetta. Scanza
22. 30 La Gelosia quel nano avea trovato; E la cagion del suo venir compresa, A
camminar se gli era messa a lato. Parendo d'aver luogo a questa impresa. Alla
Discordia ritrovar fu grato La Gelosia; ma più quando ebbe intesa La cagion del
venir, che le potea Molto valere in quel che far volea. 31 D'inimicar con
Rodomonte il figlio Del re Agrican le pare aver suggetto; Troverà a sdegnar gli
altri altro consiglio; • A sdegnar questi duo questo è perfetto. Col nano se ne
vien dove l'artiglio Del fier pagano avea Parigi astretto; E capitare appunto
in su la riva, Quando il crudel del fiume a nuoto usciva. Tosto che Hconobbe
Rodomonte, Costui della sua donna esser messaggio, Estinse ogn'ira, e serenò la
frónte, E si senti brillar deatro il coraggio. Ogn altra cosa aspetta che gli
conte, Prima eh' alcuno abbia a lei fatto oltraggio. Va contra il nano, e lieto
li domanda: Ch'è della donna nostra? ove ti manda? Stanza 34. 35 Come la tigre,
poich' invan discende Nel vóto albergo, e per tutto s' aggira, E i cari figli
air ultimo comprende Essergli tolti, avvampa di tant' ira, A tanta rabbia, a
tal furor s'estende, Che né a monte, né a rio, né a notte mir Né lunga via né
grandine raffrena L'odio che dietro al predator la mena:36 Così furendo il
Saracin bizzarro, Si volge al nano, e dice: Or là t' invia; E non aspetta né
destrier né carro, E non fa motto alla sua compagaia. Va con più fretta che non
va il ramarro, Quando il ciel arde, a traversar la via. Destrier non ha; ma il
primo tor disegna. Sia di chi vuol, eh' ad incontrar lo vegna. Il La Discordia,
ch'udì questo pensiero. Guardò, ridendo, la Superbia, e disse Che volea gire a
trovare un destriero Che gli apportasse altre contese e risse; E far volea
sgombrar tutto il sentiero, Ch'altro che quello in man non gli venisse; E già
pensato avea dovetrovarlo. Ma costei lascio, e tomo a dir di Carlo. 38 Poich'ai
partir dei Saiacin si eatinse Carlo d'intorno il periglioso fuoco. Tutte le genti
all'ordine ristrinse. Lascionne parte in qualche debol loco:il resto ai
Saracini spinse, Per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuoco: E li mandò per
ogni porta fuore, Da San Germano iufin a San Vittore. 33 Rispose il nano: Né
più tua né mia Donna dirò quella ch'é serva altrui. Ieri scontrammo un cavalier
per via, Che ne la tolse, e la menò con lui. A quello annunzio entrò la
Gelosia, Fredda com'aspe, ed abbracciò costui. Seguita il nano, e narragli in
che guisa Un sol l' ha presa, e la sua gente uccisa. 34 L'acciaio allora la
Discordia prese, E la pietra focaia, e picchiò un poco, E l'esca sotto la
Superbia stese, E fu attaccato in un momento il foco; E si di questo l'anima
s'accese Del Saracin, che non trovava loco; Sospira e freme con si orribil
faccia, Che gli elementi e tutto il ciel minaccia. 39 E comandò eh' a porta San
Marcello, Dov'era gran spianata di campagna, Aspettasse l'un l'altro, e in un
drappello Si ragunasse tutta la compagna: Quindi animando ognuno a far macello
Tal, che sempre ricordo ne rimagna, Ai lor ordini andar fé' le bandiere, E di
battaglia dar segno alle schiere.40II re Agramante in questo mezzo in sella.
Malgrado dei Cristian, rimesso s'era; E con l'innamorato d'Isabella Facea
battaglia perigliosa e fiera:Col re Sobrin Lurcanio si martella: Rinaldo
incontra avea tutta una schiera, E con virtude e con fortuna molta L'urta,
l'apre, ruina e mette in volta. Stanza SS. 41 Essendo la battaglia in qnesto
stato, L'imperatore assalse il retrogiiardo Dal canto ove Marsilio avea fermato
Il fior di Spagna intomo al suo stendardo. Con fanti in mezzo e cavalieri a
lato, Re Carlo spinse il suo popol gagliardo Con tal rumor di timpani e di
trombe. Ohe tutto '1 mondo par che ne rimbomhe. 4S Oominciavan le schiere a
ritirarse De'Saracini, e si sarebbon vòlte Tutte a fuggir, spezzate, rotte e
sparse, Per mai più non potere esser raccolte; Ma '1 re Grandonio e Falsiron
comparse, Che stati in maggior briga eran più volte. E Balugante e Serpentin
feroce, E Ferraù che lor dicea a gran voce:4."J Ah, dicea, valentuomini,
ah compagni, Ah fratelli; tenete il luogo vostro: I nimici faranno opra di
ragni, Se non manchiamo noi del dover nostro. Guardate l'alto onor, gli ampli
guadagni Che fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro; Guardate la vergogna e il
danno estremo Che, essendo vinti, a patir sempre avremo. 44 Tolto in quel tempo
una gran lancia avea, E centra Berlinghìer venne di botto, Che sopra TArgaliffa
combattea, E l'elmo nella fronte gli avea rotto: GittoUo in terra, e con la
spada rea Appresso a lui ne fé' cader forse otto, Per ogni botta almanco, che
disserra, Cader fa sempre un cavaliero in terra. 47 Del re della Zumara non si
scorda Il nobil Dardinel figlio d'Almonte, Che con Li lancia Uberto da
Mirforda, Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte. E con la spada Anselmo da
Stanforda, E da Londra Raimondo e Pinamonte Getta per terra (ed erano pur
forti), Dui storditi, un piagato, e quattro morti. 48 Ma con tutto '1 valor che
di sé mostra, Non. può tener sì ferma la sua gente. Si ferma, ch'aspettar voglia
la nostra Di numero minor, ma più valente. Ha più ragion di spada e più di
giostra . E d'ogni cosa a guerra appartenente. Fugge la gente Maura, di Zumara,
Di Setta, di Marocco e di Canara.Stanza 44, 45 In altra parte ucciso avea
Rinaldo Tanti pagan, eli' io non potrei contarli. Dinanzi a lui uni stava
ordine saldo:Vedreste piazza in tutto '1 campo darli. Non men Zerbin, non men
Lurcanio è caldo; Per modo fan, eh' ognun sempre ne parli:Questo di punta avea
Balastro ucciso, E quello a Finadurl'elmodiviso. 46 L'esercito d'Alzerbe avea
il primiero, Che poco innanzi aver solca Tardocco; L'altro tenea sopra le
squadre impero Di Zamor e di Saffi e di Marocco. Non è trji gli Africani un
cavaliero Che di lancia ferir sappia o di stocco? Mi si potrebbe dir: ma passo passo
Nessun di gloria degno addietro lasso. 49 Ma più degli altri fiiggon quei
d'AlzerU" A cui s'oppose il nobil giovinetto; Ed or con prieghi, or con
parole acerbo lor cerca l'animo nel petto. S' Almonte meritò eh' in voi sì
serbe Di lui memoria, or ne vedrò l'effetto: 10 vedrò (dicea lor) se me, suo
figlio, Lasciar vorrete in cosi gran periglio. 50 State, vi priego. per mia
verde etade, In cui solete aver si larga speme:Deh non vogliate andar per fi]
di spade, Ch'in Africa non tomi di noi .seme. Per tutto ne saran chiuse le
strade, Se non andiam raccolti e stretti insieme: Troppo alto muro e troppo
larga fossa È il monte e il mar, pria che tornar si pos. 51 Molto è meglio
morir qui, ch'ai supplici Darsi e alla discrezion di questi cani. State saldi,
per Dio, fedeli amici; Che tutti son gli altri rimedi vani. Non han di noi più
vita gl'inimici: Più d'un'afma non bau, più di due mani. dicendo, il giovinetto
forte Al conte d'Otonlei diede la morte. 52 IIrimembrare Almonte così accese
L'esercito african che fuggia prima, Che le braccia e le mni in sue difese
lIeglio, che rivoltar le spalle, estima. Guglielmo da Burnich, era uno inglese
Maggior di tutti, e Dardinello il cima, E lo pareggia agli altri, e appresso
taglia 11 capo ad Aramon di Comovaglia. b'à Morto cadea questo Aramene, a
valle; E v' accorse il fratel per dargli aiuto:3Ia Dardinel l'aperse per le
spalle Fin giù dove lo stomaco è forcato. Poi forò il ventre a Bogio da
Vergalle, E lo mandò del debito assoluto: Avea promesso alla moglier fra sei
Mesi, vivendo, di tornare a lei. 54 Vide non lungi Dardinel gagliardo Venir
Lurcanio, eh' avea in terra messo Dorchin, passato nella la, e Gardo Per mezzo
il capo e insino ai denti fesso; E ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo, Alteo
eh' amò quanto il suo core istesso:Olì è dietro alla collottola gli mise 11
fìer Lurcanio un colpo che l'uccise. stanza 52. 56 Non è da domandarmi se
dolere Se ne dovesse Arì'odante il frate; Se desiasse di sua man potere Por
Dardinel fra l'anime dannate:Ma noi lascian le genti adito avere, Non men delle
'nfedel le battezzate. Vorria pur vendicarsi, e con la spada Di qua di là
spianando va la strada. Stanza 55. 57 Urta, apre, caccia, atterra, taglia e
fendeQualunque lo'mpedisce o gli contrasta. E Dardinel, che quel disire
intende, A volerlo saziar già non sovrasta:Ma la gran moltitudine contende Con
questo ancora, e i suoi disegni guasta. Se i Mori uccide l'un, l'altro non
manco Gli Scotti uccide, e'I campo inglese e '1 franco. 58 Fortuna sempre mai
la via lor tolse, Che per tutto quel di non s'accozzaro. A più famosa man
serbar l'un volse; Che l'nomo il suo destin fugge di raro. Ecco Rinaldo a
questa strada volse, Perch' alla vita d'un non sia riparo:Ecco Rinaldo vien:
Fortuna il guida Per dargli onor, che Dardinello uccida. 55 Piglia una lancia,
e va per far vendetta, Dicendo al suo Macon (s' udir lo puote), Che se morto
Lurcanio in terra getta, Nella moschea ne porrà l'arme vote. Poi traversando la
campagna in fretta, Con tanta forza il fianco gli percuote, Che tutto il passa
sin all'altra banda; Ed ai suoi, che lo spoglino, comanda. 59 Ma sia per questa
volta detto assai Dei gloriosi fatti di Ponente. Tempo è ch'io tomi ove Grifon
lasciai, Che tuttj d'ira e di disdegno ardente Facea, con più timor eh' avesse
mai, la sbigottita gente. Re Norandino a quel rumor corso era in più di mille
armati in una schiera. 60 Re Noraudiu con la sua corte armata, Vedendo tutto il
popolo fuggire, Venne alla porta in battaglia ordinata, E quella fece alla sua
giunta aprire. Grifone iutauM), avendo già cacciata Da sé la turba sciocca e
senza ardire, La sprezzata armatura in sua difesa (Qual la si fosse) avea di
nuovo presa; 61 E presso a un tempio ben murato e forte. Che circondato era d
un'alta fossa. In capo un pouticel si fece forte, Perchè chiuderlo in mezzo
alcun uou possi. Ecco, gridando e minacciando forte. Fuor della porta esce una
squadra grossa. L'animoso Gijfou non muta loco, E fa sembiante che ne tema
poco. Stanza €6. 62 E poich' avvicinar questo drappello i5i vide, andò a
trovarlo in su la strada; E molta strage fiittane o macello (Che menava a due
man sempre la spada), Ricorso avea allo stretto ponticello, E quindi li teuea
non troppo a bada:Di nuovo usciva, e di nuovo tornava; E sempre orribii segno
vi lasciava. 63 Quando di dritto e quando di riverso Getta or pedoni or
cavalieri in terra. Il popol centra lui tutto converso, Più e più sempre
iuaspera la guerra. Teme Grifone alfin restar somrtierso, Si cresce il mar che
d'ogn' intorno il serra:E nella spalla e nella coscia manca È già ferito, e pur
la lena manca. 64 Ma la Virtù, ch'ai suoi spesso soccorre, Gli fa appo Norandin
trovar perdono. 11 re,mentre al tumulto in dubbio corre, Vede che morti già
tanti ne sono; Vede le piaghe che di man d' Et torre Pareano uscite: un
testimonio buono, Che dianzi cssu avea fatto indegnamente Vergogna a un cavai
ier molto eccellente. (;5 Poi, come gli è più presso, e vede in fronte Quel che
la ge.ite a morte gli ha condotta, E fattosene avanti orribii monte, E di quei
sangue il fosso e l'acqua bratta; Gli è avviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol contra Toscana tutta: E per suo onore, e perchè gli ne'ncrebbe,
Ritrasse i uoi, né gran fatica vebbe: stanza 63. B6 £d alzando la man nnda e
senz'arme, Antico segno di tregua o di pace. DUse a Grifon: Non so se non chiaraarme
D' aver il torto, e dir che mi dispiace; Ma il mio poco giudicio, e lo
istiganne Altrui, caiere in tanto error mi face. Quel che di fare io mi credea
al più vile Guerrier del mondo, ho fatto al più gentile. H7 E sebbene alla
ingiuria ei a quell'onta Ch' oggi fatta ti fu per ignoranza, L' onor che ti fai
qui, s adegua e sconta, O (per più vero dir) supera e avanza; La satisfazìon ci
sarà pronta A tutto mio sapere e mia poisauza, Qnando io conosca di poter far
quella Per oro o per cittadi o per castella. ?58 Chiedimi la metà di questo
regno, Ch'io son per fartene oggi possessore; Che Talta tua virtù non ti fa
degno Di questo sol, ma chMo ti doni il core: E la tu\ mano, in questo mezzo,
pegno Di fé' mi dona e di perpetuo amore. Così dicendo da cavallo scese, E vèr
Grifon la destra mano stese. 69 Grifon, vedendo il re fatto benigno Venirgli
per gittar le braccia al collo. Lasciò la spada e T animo maligno, E sotto
Tanche ed umile abbracciollo. Lo vide il re di due piaghe sanguigno, E tosto
feWenir chi medicoUo; Indi portar nella cittade adagio, E riposar nel suo real
palagio. 72 Dimaudògli Aquilante, se di questo Così notizia avea data a
Grifone: E come raffermò, s'avvisò il resto, Perchè fosse partito, e la
cagione. Oh' Orrigille ha seguito è manifesto In Antiodìia, con intenzione Di
levarla di man del suo rivale Con gran vendetta e memorabil male. 73 Non
tollerò Aquilante che '1 fratello Solo e senz' esso a queir impresa andasse; E
prese Tarme, e venne dietro a quello: Ma prima pregò il duca che tardasse L'andata
in Francia ed al paterno ostello, Fin ch'esso d'Antiochia ritornasse. Scende al
Zaffo, e s' imbarca; che gii pare E più breve e miglior la via del mare. 74
Ebbe un Ostrosilocco allor possente Tanto nei mare, e si per lui disposto. Che
la terra del Surro il di seguente Vide, e Saffetto, un dopo l'altro tosto.
Passa Barutti e il Zibeletto: e sente Che da man manca gli è Cipro discosto. A
Tortosa da Tripoli, e alla Lizza, E al golfo di Laiazzo il cammin drizza. 75
Quindi a levante fé il nocchier la fronte Del navilio voltar snello e veloce;
Ed a sorger n' andò sopra P Oronte, E colse il tempo, e ne pigliò la foce.
Gittar fece Aquilaute ia terra il ponte E n'uscì armato sul destrier feroce; E
con tra il fiume il cammin dritto tenne Tanto, ch in Antiochia se ne venne. 70
Dove, ferito, alquanti giorni, innante Che si potesse armar, fece soggiorno. Ma
lascio lui, eh' al suo frate Aquilante Et ad Astolfo in Palestina tomo, Che di
Grifon, poi che lasciò le siante Mura, cercare han fatto più d'un giorno In tutti
i lochi in Solima devoti, E in molti ancor dalla città remoti. 71 Or né l'uno
né T altro é si indovino, Che di Grifon possa saper che sia:Ma venne lor quel
Greco peregrino, Nel ragionare, a caso a dame spia. Dicendo eh' Orrigille avéa
il cammino Verso Antiochia preso di Scria, D'un nuovo drado, eh' era di quel
loco, Pi subito arsa e d'improvviso foco. 76 Dì quel Martano ivi ebbe ad
informar.'ie:Et udì eh' a Damasco se n'era ito Con Orrigille, ove una giostra
farse Dovea solenne per reale invito. Tanto d'andargli dietro il desir T arse,
Certo che '1 suo german T abbia seguito, Che d'Antiochia anco quel di si tolle;
Ma già per mar più ritornar non volle. 77 Verso Lidia e Larissa il cammin
piega:Resta più sopra Aleppe ricca e piena. Dio per mostrar eh' ancor di qua
non niega Mercede al bene, ed al contrario pena, Martano appresso a Mamuga una
lega Ad incontrarsi in Aquilante mena. Martano si facea con bella mostra
Portare innanzi il pregio della giostra. 78 Pensò Aquilante, al primo
comparire, Che'l vii Martino il suo fratello fosse; Che r iiiganiiaroii Parme,
e quel vestire Candido più che nevi ancor non mosse:E con queir oli, che
d'allegrezza dire Si snoie, incominciò; ma poi cangiosse Tosto di faccia e di
parlar, eh appresso S'avvide meglio che non era desso. 79 Dubitò che per fraude
di colei Ch'era con Ini, Grifon gli avesse ucciso; E, dimmi, gli gridò, tu
ch'esser dèi Fu ladro e un traditor, come n' hai viso, Onde hai quest'arme
avute? onde ti sei >'nl buon destrier del mio fratello assiso? Dimmi se '1
mio fratello è morto o viro: Come dell'erme e del destrier l'hai privo. 80
Quando Orrigille udì l'irata voce. Addietro il palafrcn per fuggir volse; ila
di lei fu Aquilante più veloce, E feccia fermar, volse o non volse, jlartano al
minacciar tanto feroce Del cavalier, che sì improvviso il colse, Pallido trema
come al vento fronda, Né sa quel che si faccia o che risponda. 81 Grida
Aquilante, e fulminar non resta, E la spada gli pon dritto alla strozza: E
giurando minaccia che la testa Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza, Se tutto il
fatto non gli manifesta. 11 mal giunto Martano alquanto ingozza, E tra sé volve
se può sminuire Sua grave colpa, e poi comincia a dire: 82 Siippi, signor, che
mia sorella è questa, Nata di buona e virtuosa gente. Benché tenuta in vita
disonesta L'abbia Grifone obbrobriosamente:E tale infamia essendomi molesta. Né
per forza sentendomi possente Di torla a si grand' noni, feci diseguo D' averla
per astuzia e per ingegno. 83 Tenni modo con lei, eh' avea desire Di ritornare
a più lodata vita, Ch' essendosi Grifon messo a dormire, Chetamente da lui
fèsse partita. Cosi fece ella; e perchè egli a seguire Non n'abbia, ed a turbar
la tela ordita, Noi lo lasciammo disarmato e a piedi: E qua venuti siam, come
tu vedi. 84 Poteasi dar di somma astuzia raiito, Che colui facilmente gli
credea; E, fuor che'n torgli arme e destrier e qsaii' Tenesse di Grifon, non
gli uocea; Se non volea pulir sua scusa tanto, Che lafacesse di menzogna rea.
Buona era ogni altra parte, se non qnelU Che la femmina a lui fosse sorella. 85
Avea Aquilante in Antiochia inteso Essergli concubina, da più genti; Onde
gridando, di furore acceso: Falsissimo ladron, tu te ne menti:Vìi pugno gli
tirò di tanto peso, Che nella gola gli cacciò duo denti; E, senza più contesa,
ambe le braccia Gli volge dietro, e d'uia fune allaccia. 86 E parimente fece ad
Orrigille, Benché in sua scusa ella dicesse a.isai. Quindi li trasse per casali
e ville. Né li lasciò fin a Damasco mai; E delle miglia mille volte mille
Tratti gli avrebbe con pene e con grnal, Fin ch'avesse trovato il suo fratello,
Per farne poi come piacesse a quello. 87 Fece Aquilante lor scudieri e .some
Seco tornare, ed in Damasco venne; E trovò di Grifon celebre il nome Per tutta
la città batter le penne. Piccoli e grandi, ognun sapea già, come Kg\ì era, che
sì ben corse V aritenne; Ed a cui tolto fu con falsa mostra Dal compagno la
gloria della giostra. 88 II popol tutto al vii Martano infesto, L'uno all'altro
additandolo, lo scopre. Che si fa laude con P altrui buone opre? E la virtù di
chi non è ben desto. Con la sua infamia e col suo obbrobrio copre? Non è r
ingrata femmina costei, La qual tradisce i buoni, e aiuta i rei? 89 Altri
dicean: Come stan bene insieme. Segnati ambi d'un marchio e d'una razza! Chi li
bestemmia, chi lor dietro freme . Chi grida: Impicca, abbrucia, squarta,
ammazza La turba per veder s' urta, si preme . E corre innanzi alle strade, alU
piazz.i. Venne la nuova al re, che mo.strò seguo D'averla cara più eh' un altro
regno. BD Seiiza molti scudier dietro o davante, Come si ritrovò, si mosse in
fretta, E venne ad incontrar?! in Aquilante, Oh'avea del suo Grifon fitto
vendetta: E quello onora con gentil sembiante, S3C0 lo' nvita, e seco lo
ricetta; Di suo cuisenso avenlo fatto porre I dno priirioni in fon lo d'una
toriT. &.|; Andaro insieme (ve del letto mosso non s'era poi che fu ferito,
Che, vedendo il fratel, divenne roso:Che ben stimò ch'avea il suo caso uditi. K
poi che motteggiando un poco addosso (ili andò Aquilante, messero a partito
dare a quelli duo giusto mar toro, Venuti in min degli avver"arj loro. 92
Vuole Aquilante, vuole il re che mille Strazj ne sieno fatti; ma Grifone
(Perchè non osa dir sol d' Orrigille) e all'altro vuol che si perdone. Disse
assai cose, e molto bene ordille. risposto: Or per conclusione lart.mo è
disegnito in mano al boia, Cir abbia a scapirlo, o non però che moia. 93 Legar
lo fanno, e nontra' fiori e l'erba, E per tutto scopar l'altra mattina.
Orrigille captiva si riserba Finché ritomi la bella Lucina, Al cui saggio
parere, o lieve o acerba, Rimtton quei signor la disciplini. Quivi stette
Aquilante a ricrearsi Finché 1 fratel fu sano, e potè armarsi. Re Norandin, che
temperato e saggio Divenuto era dopo un tanto errore. Non potea non aver sempre
il coragjio Di penitenzìa pieno e di dolore, D'aver fatto a colui danno ed
oltraggio, i l:c degno di merce le era e d' onore:Sì che dì e notte avea il
pensiero intento Per farlo rimaner di ."è contnito. ai.iii/.ii ve".
9.'S E stituì nel pubblico conspetto Della città, di tanta ingiuri i rei. Con
quella maggior gloria eh' a perfetto Cavalier per un re dar si potea, Con tanto
inganno il traditor gli avea:E perciò fe'bindir per quel paese, farla un'altra
giostra indi ad un mes.'96 Di che apparecchio fa tanto solenne, Qaanto a pompa
real possibil sia: Onde la fama con veloci penne Portò la nuova per tutta
Soria; Ed in Fenicia e in Palestina venne, tanto, eh ad Astolfo ne die spia. Il
qual col viceré deliberosse Che quella giostra senza lor non fosse. 97 Per
guerrier valoroso e di gran nome La vera istoria Sansonetto vanta. Gli die
battesrao Orlando, e Carlo (come V'ho detto) a governar la Terra Santa. Astolfo
con costui levò Je some,. Per ritrovarsi ove la fama canta Sì, che d'intorno
n'ha piena ogni orecchia, Damasco la giostra s'apparecchia. 102 Tra lor si
domandaron di lor via: E poi eh' Astolfo, che prima rispose, Narrò come a
Damasco se ne già, Avea invitato il re della Soria A dimostrar lor opre
virtuose; Marfisa, sempre a far gran prove acceca. CFser con voi, disse, a
questa impr 103 Sommamente ebbe Astolfo grata quesii d'arpe, e così Sansonetto.
Furo a Damasco il dì innanzi la festa . E di fuora nel borgo ebbon ricetto:sin
all'ora che dal sonno desta L'Aurora il vecchiarel già suo diletto . Quivi si
riposar con maggior agio, Che se smontati fossero al palagio. 98 Or cavalcando
per quelle contrade Con non lunghi viaggi, agiati e lenti, Per ritrovarsi
freschi alla cittade Poi di Damasco il dì de' torniamenti, Scontrare in una
croce di due strade eh' al vestire e a' movimenti Avea sembianza d'uomo, e
femmin' era, Nelle battaglie a meraviglia fiera. 99 La vergine Marfisa si
nomava, Di tal valor, che con la spada in mano Fece più volte al gran signor di
Brava la fronte, e a quel di Montalbano; di e la notte armata sempre andava Di
qua di là, cercando in monte e in piano Con cavalieri erranti riscontrarsi, Ed
immortale e gloriosa farsi. 100 Com' ella vide Astolfo e Sansonetto, Ch'
appresso le venian con l'arme indosso, Prodi guerrier le parvero all' aspetto;
Ch'erano ambedue grandi e di buon osso: E perchè di provarsi avria dilettò,.
isfidarli avea il destrier già mosso; Quando, affissando l'occhio più vicino,
Conosciuto ebbe il duca paladino. 101 Della piacevolezza le sovvenne Del
cavalier, quando al Catai seco era: E lo chiamò per nome, e non si tenne La man
nel guanto, e alzossi la visiera; E con gran festa ad abbracciarlo venne,
Comechè sopra ogn' altra fosse altiera. Non men dall'altra parte riverente il
paladino alla donna eccellente. E poi che '1 nuovo sol lucido e chiaro Per
tutto sparsi ebbe i fulgenti raggi, La bella donna e i duo guerrier s' armare .
avendo alla città messaggi, come tempo fu, lor rapportar(c) per veder spezzar
frassini e faggi Re Norandino era venuto al loco Ch'avea constituito al fiero
gioco. 106 Senza più indugio alla città ne vanno, E per la via maestra alla
gran piazza, Dove aspettando il real segno stanno e quindi i guerrier di buona
rascza. I premj che quel giorno si daranno A chi vince, è uno stocco ed una
mazza riccamente, e un destrier quale con vene voi dono a un signor tale. 106
AvendoNorandin fermo nel core Che, come il primo pregio, il secondo anco, E
d'ambedue le giostre il sommo onore Si debba guadagnar Grifone il bianco; Per
dargli tutto quel ch'uom di valore Dovrebbe aver, né debbe far con manco .
Posto con l'arme in questo ultimo pregio Ha stocco e mazza e destrier molto
egregio. 107 L'arme che nella giostra fatta dianzi Si doveano a Grifon che '1
tutto vinse, E che usurpate avea con tristi avanzi Martano che Grifon esser si
finse; Quivi si fece il re pendere innanzi, il ben guemito stocco a quelle
cinse, E la mazza all' arcion del destrier messe . Perchè Grifon l'un pregio e
l'altro avesse. lOB Ma che sua intenzì'ou avesse effetto Vietò quella magnanima
guerriera Ohe con Astolfo e col buon Sansonetto In piazza nuovamente venuta
era. Costei, vedendo V arme cb' io v' ho detto, Subito n' ebbe conoscenza
vera:Perocché già sue furo, e V ebbe care Quanto si suol le cose ottime e rare;
109 Benché Tavea lasciate in su la strada A quella volta che le fur d'impaccio,
per riaver sua buona spada Correa dietro a Brunel degno di laccio. Questa
istoria non credo che m'accada Altrimenti narrar; però la taccio. Da me vi
basti intendere a che guisa Quivi trovasse Tarme sue Marfisa. 110 Intenderete
ancor che, come Tebbe Kieonosciute a manifeste note, Per altro che sia al
mondo, non le avrebbe Lasciate un dì di sua persona vote. Se più tenere un modo
o un altro debbe racquistarle, ella pensar non puote; Ma se gli accosta a un
tratto, e la man stende, senz' altro rispetto se le prende:IH E per la fretta
ch'ella n'ebbe, avvenne altre ne prese, altre mandonne in terra. 11 re, che
troppo offeso se ne tenne. Con uno sguardo sol le mosse guerra; Che '1 popol,
che V ingiuria non sostenne, Per vendicarlo e lance e spade afferra, Non
rammentando ciò ch'i giorni innanti Nocqoe il dar noia ai cavalieri erranti. Né
fra vermisli fior, azzurri e gialli Vago fanciullo alla stagion novella, Né mai
si ritrovò fra suoni e balli Più volentieri ornata donna e bella; Che fra
strepito d'arme e di cavalli, E fra punte di lance e di quadrella, Dove si
sparga sangue e si dia morte. Costei si trovi, oltre ogni creder forte. 113
Spinge il cavallo, e nella turba sciocca Con l'asta bassa impetuosa fere; E chi
nel collo e chi nel petto imbrocca, E fa con V urto or questo or quel
cadere:Poi con la spada uno ed un altro tocca, E £a qual senza capo rimanere, E
qual con rotto, e qual passato al fiauco, E qual del braccio privo, o destro o
manco. 114 L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto, Ch'avean con lei vestita e
piastra e maglia, Benché non venner già per tale effetto, Pur, vedendo
attaccata la battaglia, Abbsssan la visiera dell'elmetto, E poi la lancia per
quella canaglia; Ed indi van con la tagliente spada Di qua di là facendosi far
strada. 115 I cavalieri di nazion diverse, Ch' erano per giostrar quivi
ridutti, Vedendo l'arme in tal furor converse, E gli aspettati giuochi in gravi
lutti (Che la cagion ch'avesse di dolerse La plebe irata non sapeano tutti; Né
eh' al re tanta ingiuria fosse fatta), Stavan con dubbia mente e stupefatta.
116 Di ch'altri a favorir la turba venne. Che tardi poi non se ne fu a pentire;
Altri, a cui la città più non attenne Che gli stranieri, accorse a dipartire;
Altri, più saggio, in man la briglia tenne, Mirando dove questo avesse a uscire.
Di quelli fu Grifone ed Aquilaute, Che per vendicar l'arme andare innante. 117
Essi vedendo il re che dì veneno Avea le luci inebriate e rosse, Ed essendo da
molti instrutti appieno Della cagion che la discordia mosse, E parendo a Grifon
che sua, non meno Che del re Norandin, l'ingiuria fosse; S' avean le lance
fatte dar con fretta, E venian ftilminando alla vendetta. 118 Astolfo d'altra
parte Rabicano Venia spronando a tutti gli altri innante,Conl'incantata lancia
d oro in mano, Ch'ai fiero scontro abbatte ogni giostrante. Ferì con essa e
lasciò steso al piano Prima Grifone, e poi trovò Aquilaute; E dello scudo toccò
l'orlo appena, Che lo gittò riverso in su l'arena. 119 I cavalier di pregio e
di gran prova Vòtan le selle innanzi a Sansonetto. L'uscita della piazza il
popol trova; H re n arrabbia d'ira e di dispetto. la prima corazza e con la
nuova Marfisa intanto, e l'uno e l'altro elmetto, Poi che si vide a tutti dare
il tergo, . Vincitrice venia verso l'albergo. 120. Astolfo e Sansouetto non fur
lenti A seguitarla, e seco a ritornarsi Verso la porta (che tutte le genti Gli
dayan loco), ed al rastrel fermarsi. Aqnilante e Grifon, troppo dolenti Di
vedersi a uno incontro riversarsi, Tenean per gran vergogna il capo chino, Né
ardian venire innanzi a Norandino. 126 Come re Norandino ode quel uome Così
temuto per tutto levante, Che facea a molti anco arricciar le chiome. Benché
spesso da lor fosse distante, È certo che ne debhia venir come Dice quel suo,
se non provvede innante; Però gli suoi, che già mutata V ira Hanno in timore, a
sé richiama e tira. 121 Presi e. montati ch'hanno i lor cavalli, Spronano
dietro agP inimici in fretta. Li segue il re con molti suoivassalli, Tutti
pronti o alla morte o alla vendetta. La sciocca turba grida: Dalli, dalli; E
sta lontana, e le novelle aspetta. Grifone arriva ove volgean la fronte I tre
compagni, ed avean preso il ponte. 122 A prima giunta Astolfo raffigura, C\ì
avea quelle medesime divise, Avea il cavallo, avea queir armatura Ch'ebbe dal
dì ch'Orril fatale uccise. Né miratol, né posto gli avea cura Quando in piazza
a giostrar seco si mise:Quivi il conobbe, e salutoUo; e poi (jli domandò delli
compagni suoi, 123 E perchè tratto avean quell'arme a terra, Portando al re si
poca riverenza. Di suoi compagni il duca d'Inghilterra Diede a Grifon non falsa
conoscenza:Dell' arme eh' attaccato avean la guerra, Disse che non n'avea
troppa scienza; Ma perchè con Marfisa era venuto, Dar le volea con Sansonetto
aiuto. 127 Dall'altra part" i figli d'Oliviero Con Sansonetto e col
figliuol d' Otoue, Supplicando a ]Iarfisa, tanto fero, Che si die fiae alla
crudel tenzone. Bfarfisa, giunta al re, con viso altiero Disse: Io non so,
signore, con che ragìoae Vogli quest' arme dar, che tue non sono, Al vincitor
delle tue giostre in dono. 128 Mie sono l'arme; e'n mezzo della via Che vien
d'Armenia, un giorno le lasciai . Perchè seguire a pie mi conveuia Un rubator
che m'avea offesa assai; E la mia insegna tesdmon ne fia, Che qui si vede, se
notizia n'hai; E la mostrò nella corazza impressa, Ch'era in tre parti una
corona fessa. 129 Gli è ver, rispose il re, che mi fur date, Son pochi dì, da
un mercadante armeno; E se voi me l'aveste domandate. L'avreste avute, o vostre
o no che sieno; Ch'avvenga eh' a Grifon già l'ho donate, Ho tanta fede in lui, che
nondimeno, Acciò a voi darle avessi anche potuto, Volentieri il mio don m'avria
renduto. 124 Quivi con Grifon stando il paladino Viene Aquilante, e lo conosce
tosto Che parlar col fratel l'ole vicino, E il voler cangia, eh' era mil
disposto. Giungeau molti di quei di Norandino, 3Ia troppo non ardian venire
accosto; E tanto più, vedendo i parlamenti, Stavano cheti, e per udire intenti.
12.5 Alcun ch'intende quivi esser 3Iarftj, Che tiene al mondo il vanto in
es<er forte, Volta il cavallo, e Norandino avvisi, Che s' oggi non vuol
perder la sua corte, Provveggia, prima che sia tutta uccisa, Di man trarla a
Tesifone e alla morte: Perchè Marfisa veramente è stata, Che l'arraatum in
piazza gli ha levata. 130 Non bisogna allegar, per farmi fede Che vostre sien,
che tengan vostra inseguì: Basti il dirmelo voi; che vi si crede Più eh' a qual
altro testimonio vegna. Che vostre sian vostr'arme si concede Alla virtù di
maggior premio degna. Or ve r abbiate, e più non si contenda; E Grifon maggior
premio da me prend"L 131 Grifon, che poco a care ave.i quell'arma ]Ma gran
disio che '1 re si satisfaccia, Gli disse: Assai potete compensarine Se mi fate
saper ch'io vi compiaccia. Tra sé disse Marfisa: Esser qui parme L'onor mio in
tutto: e con benigna faccia Volle a Grifon dell'arme eser cortese; E finalmente
iu don da lui le prese. stanza 104. 182 Nella città con pace e con amore
Tornaro . ove le feste raddoppiarsi. Poi la giostra si fé', di che 1 onore E'I
pregio Sansonetto fece darsi; e i duo fratelli e la migliore Di lor, Marfisa,
non volson provarsi, Cercando, come amici e buon compagni. Che Sansonetto il
pregio ne guadagni. 138 Stati che sono in gran piacere e in festa Con Norandino
otto giornate o diece, Perchè l'amor di Francia gli molesta, Che lasciar senza
lor tanto non lece, Tolgon licenzia; e Marfisa, che questa Via disiava,
compagnia lor fece. Marfisa avuto avea lungo disire Al paragon dei paladin
venire, 134 E far esperìenzia se l'effetto Si pareggiava a tanta nominanza.
Lascia un altro in suo loco Sansonetto, di Grerusalem regga la stanza. Or
questi cinque in un drappello eletto, Che pochi pari al mondo han di possanza,
Licenziati dal re Norandino, Vanno a Tripoli, e al mar che v' è vicino. 135 E
quivi una caracca ritrovaro, Che per ponente mercanzie raguna. Per loro e pei
cavalli s'accordaro Con un vecchio padron ch'era da Luna. Mostrava d'ogn'
intomo il tempo chiaro, Ch'avrian per molti di buona fortuna. Sciolser dal
lito, avendo aria serena, E di buon vento ogni lor vela piena. 136 L'isola
sacra all'amorosa Dea Diede lor sotto un'aria il pruno porto. Che non eh' a
offender gli uomini sia rea, Ma stempra il ferro, e quivi è'I viver corto.
Cagion n' è un stagno: e certo non dovea Natura a Famagosta far quel torto
D'appressarvi Costanza acre e maligna, Quando al resto di Cipro è sì benigna.
137 II grave odor che la palude esala, Non lascia al legno far troppo
soggiorno. Quindi a un Grecolevante spiegò ogni ala, Volando da man destra a
Cipro intorno, E surse a Pafo, e pose in terra scala; E i naviganti uscir nel
lito adomo, Chi per merce levar, chi per vedere La terra d'amor piena e di
piacere. 188 Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco Si va salendo inverso il
colle ameno. Mirti e cedri e naranci e lauri il loco, E mille altri soavi
arbori han pieno. Serpillo e persa e rose e gigli e croco Spargon
dall'odorifero terreno Tanta suavità, ch'in mar sentire La fa ogni vento che da
terra spire. 139 Da limpida fontana tutta quella Piaggia rigando va un ruscel
fecouflo. Ben si può dir che sia di Vener bella Il luogo dilettevole e
giocondo; Che v' è ogni donna affatto, ogni donzella Piacevol più ch'altrove
sia nel mondo: E fa la Dea che tutte ardon d'amore. Giovani e vecchie, infino
all'ul tira' ore. 140 Quivi odono il medesimo ch'udito Di Lucina e dell'Orco
hanno in Soria, E come di tornare ella a marito Facea nuovo Apparecchio in
Nicosia. Quindi il padrone (essendosi espedito, E spirando buon vento alla sua
via) L'ancore sarpa, e fa girar la proda Verso ponente, ed ogni vela snoda. 141
Al vento di maestro alzò la nave Le vele all' orza, ed allargossi in alto. Un
ponentelibecchio, che soave Parve a principio e fin che '1 sol stette alto, E
poi si fé' verso la sera grave, Le leva incontra il mar con fiero assalto, Con
tanti tuoni e tanto arder di lampi. Che par che '1 ciel si spezzi e tutto
avvampi. 142 Stendon le nubi un tenebroso velo, Che né sole apparir lascia né
stella:Di sotto il mar, disopra mugge il cielo, Il vento d'ogn' intorno, e la
procella Che di pioggia oscurissima e di gelo I naviganti miseri flagella:E la
notte più sempre si diffonde Sopra l'irate e formidabil onde. 143 I naviganti a
dimostrare effetto Vanno dell'arte in che lodati sono: Chi discorre fischiando
col fraschette, E quanto han gli altri a far, mostra col suono:Chi l'ancore
apparecchia da rispetto, E chi al mainare e chi alla scotta è buono; Ohi'l
timone, chi l'arbore assicura, Chi la coperta di sgombrare ha cura.144 Crebbe
il tempo crudel tutta la notte, Caliginosa e più scura eh' inferno. Tien per
l'alto il padrone, ove men rotte Crede l'onde trovar, dritto il governo; E
volta ad or ad or con tra le botte Del mar la proda, e dell' orribil verno, Noi
senza speme mai che, come aggiorni, Cessi Fortuna, o più placabil torni. 145
Non cesm e non si placa, e più furore Giostra nel giorno, se pur giorno è questo,
Che si conosce al numerar dell' ore, Non che per lume già sia manifesto. Or con
minor speranza e più timore dà in poter del vento il padron mesto:Volta la
poppa all'onde, e il mar cnidele Scorrendo se ne va con umil vele. 14fi Mentre
Fortuna in mar questi travaglia. NoA lascia anco posar quegli altri in terra.
Che sono in Francia, ove s'uccide e taglia Coi Saraci ni il popol
d'Inghilterra. Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia Le sqjiiere avverse, e le
bandiere atterra. Dissi di lui, che 'l suo destrier Baiardo Mosso avea centra a
Dardinel gagliardo. 147 Vide Rinaldo il segno del quartiero Di che superbo era
il figliuol d'Almonte; E lo stimò gagliardo e buon guerriero, Che concorrer
d'insegna ardia col conte. Venne più appresso, e gli parea più vero:Ch' avea
d'intorno uomini uccisi a monte. Meglio è, gridò, che prima io svella, spenga
Questo mal germe, che maggior divenga. 148 Dovunque il viso drizzi il paladino.
Levasi ognuno, e gli dà larga strada:Né men sgombra il Fé lei, che 'l
Saracino:Sì riverita è la famosa spada. Rinaldo, fuorché Dardinel meschino, Non
vede alcuno, e lui seguir non bada; Grida: Fanciullo, gran briga ti diede Chi
ti lasciò di questo scudo erede. 149 Vengo a i<i per provar, se tu m'attendi
Come ben guardi il quartier rosso e bianco; Che s' ora contra me non lo
difendi, Difender contra Orlando il potrai manco. Rispose Dardinello: Or chiaro
apprendi Che s'io lo porto, il so difender anco; E guadagnar più onor, che
briga, posso Del paterno quartier candido e rosso. 150 Perchè fanciullo io sia,
non creiler fAnse Però fuggire, o che '1 quartier ti dia . La vita mi torrai,
se mi tei Parme; Ma spero in Dio eh' anzi il contrario fia. Sia quel che vuol,
non potrà alcanbi&smarrar Che mai traligni alla progenie mìa. Cosi dicendo,
con la spada in mano Assalse il cwalier da Montalbano. 151 Un timor freddo
tutto '1 sangue oppresse. Che gli Africani aveano intomo al core, Come vider
Rinaldo che si messe Con tanta rabbia incontro a quel signore. Con quanti
andria un leon ch'ai prato ave Visto un torel eh' ancor non senta amore. Il
primo che ferì, fu '1 Saracino; Ma picchiò invau su l'elmo di Mambrìno. 1.52
Rise Rinaldo, e disse: Io vo'tu senta S'io so meglio di te trovar la vena.
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenti E d'una punta con tal forza
mena, D'una punta ch'ai petto gli ap presenta. Che gli la fa apparir dietro
alla schena. Quella trasse, al tornar. Palma col sangue: Di sella il corpo uscì
freddo ed esaogne. 158 Come purpureo fior languendo mnore. Che '1 vomere al
passar tagliato lassa:0 come carco di superchio umore Il papaver nell' orto il
capo abbassa:Così, giù della faccia ogni colore Cadendo, Dardinel di vita
passa; Passa di vita, e fa passar con lui L'ardire e la virtù di tutti i sui.
1.54 Qual sogliou l'acque per umano ingegno Stare ingorgate alcuna volta e
chiase, Che quando lor vien poi rotto il sostano. Cascano, e van con gran rumor
diffuse; Tal gli African, eh' avean quilche ritegno . Mentre virtù lor
Dardinello infuse, Ne vanno or sparti in questa parte e in qnelU Che l'han
veduto uscir morto in sella. 155 Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa, Ed
attende a cacciar chi vuol star saldo. Si cade ovunque Arìodante passa. Che
molto va quel di presso a Rinaldo. Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa, A
gara ognuno a far gran prove caldo. fa il suo dover, lo fa Oliviero. Turpino e
Guido e Salomone e Pggiero. 156 I Morì far quel giorno in gran perìglio Che 'n
Pagania non ne tornasse testa; Mal saggio re di Spagna dà di piglio, E se ne va
con quel che in man gli resta. Restar in danno tien miglior consiglio, Che
tatti i donar perdere e la vesta: Meglio ò rìtrarsi e salvar qualche schiera
Che, stando, esser cagion che '1 tutto pera. 157 Verso gli alloggiamenti i
segni invia, Ch'eran serrati d'argine e di fossa, Con Stordilan, col re
d'Andologia, Portughese in una sqnadra grossa. Manda a pregar il re di
Barbarla, Che si cerchi rìtrar meglio che possa; £ se qael giorno la persona e
U loco Potrà salvar, non avrà fatto poco. 158 Quel re che si tenea spacciato al
tutto, Né mai credea più rìveder Biserta, Che con viso si orribile e si brutto
Unquanco non aveva Fortuna esperta; S' allegrò che Marsilio aveariduttoParte
del campo in sicurezza certa:Ed a rìtrarsi cominciò, e a dar volta Alle
bandiere; e fé' sonar raccolta. 159 Ma la più parte della gente rotta Né tromba
né tambur né segno ascolta: Tanta fu la viltà, tanta la dotta, Ch'in Senna se
ne vide affogar molta. Il re Agramante vuol ridur la frotta: Seco ha Sobrìno, e
van scorrendo in volta; E con lor s'affatica ogni buon duca, Che nei ripari il
campo si riduca. stanza 162. 160 Ma né il re, né Sobrio, né duca alcuno Con
prieghi, con minacele, con affanno Ritrar può il terzo, non ch'io dica ognuno,
Dove l'insegne mal seguite vanno. Morti 0 fuggiti ne son dua, per uno Che ne
rimane, e quel non senza danno: Ferito é chi di dietro e chi davanti; Ma
travagliati e lassi tutti quanti. 161 E con gran tema fin dentro alle porte Dei
forti alloggiamenti ebbon la caccia: Ed era lor quel luogo anco mal forte, Con
ogni provveder che vi si faccia (Che ben pigliar nel crin la buona sorte Carlo
.sapea, quando volgea la faccia). Se non venia la notte tenebrosa, Che staccò
il £Bitto, ed acquetò ogni cosa. 162 Dal Creator accelerata forse, Che della
sua fattura ebbe pietade. Ondeggiò il sangue per campagna, e corse Come un gran
fiume, e dilagò le strade. Ottanta mila corpi numerorse. Che fur quel dì messi
per fil di spade. Villani e lupi uscir poi delle grotte A dispogliarli e a
devorar, la notte. 163 Carlo non toma più dentro alla terra, Ma centra gì'
inimici fuor s' accampa, Ed in assedio le lor tende serra, Ed alti e spessi
fuochi intorno avvampa. Il pagan si provvede, e cava terra, Fossi e ripari e
bastioni stampa: Va rivedendo, e tien le guardie deste, Né tutta notte mai
l'arme si sveste. 164 Tutta la notte per gli alloggiamenti Dei mal sicuri
Saracini oppressi Si Tersan pianti, gemiti e lamenti, Ma quanto più si può,
cheti e soppressi. Altri perchè gli amici hanno e i parenti Lasciati morti; ed
altri per sé stessi, Che son feriti, e con disagio stanno: Ma più è la tema del
futuro danno. 168 Vòlto al compagno, disse: 0 Clorìdano . Io non ti posso dir
quanto m incresca Del mìo signor, che sia rimaso al piano, Per lupi e corhi,
oimè! troppo degaa eaca. Pensando come sempre mi fu umano, Mi par che, quando
ancor questa anima &u In onor di sua fama, io non compenai Né sciolga verso
lui gli obblighi immensL 165 Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro, D'oscura
stirpe nati in Tolomitta; De'quai P istoria, per esempio raro Di vero amore, è
degna esser descritta. Cloridano e Medor si nominaro, Ch' alla fortuna prospera
e all' afflitta Aveano sempre amato Dardinello, Ed or passato in Francia e il
mar con quello. 169 Io voglio andar, perchè non stia insepaltv In mezzo alla
campagna, a ritrovarlo:E forse Dio vorrà ch'io vada occulto dove tace il campo
del re Carlo. Tu rimarrai; che quando in ciel sia .scolto Ch' io vi debba
morir, potrai narrarlo:Che se fortuna vieta sì beli' opra, Per fÌEuna almeno il
mio buon cuor si scopra. stanza 175. 166 Cloridan, cacciator tutta sua vita, Di
robusta persona era ed isnella:Medoro avea la guancia colorita, E bianca e
grata nell' età novella; E fra la gente a quella impresa uscita, Non era faccia
più gioconda e bella: Occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:Angol parea di
quei del sommo coro. 167 Erano questi duo sopra i ripari Con molti altri a
guardar gli alloggiamenti, Quando la notte fra distanzie pari Mirava il ciel
con gli occhi sonnolenti. Me loro quivi in tutti i suoi parlari Non può far che
'1 signor suo non rammenti, Dardinello d'Almonte, e che non piagna Che resti
senza onor nella campagna. 170 Stupisce Cloridan, che tanto core, Tanto amor,
tanta fede abbia un fanciullu: E cerca assai, perchè gli porta amore, Di fargli
quel pensiero irrito e nullo; Ma non gli vai, perch'un sì gran dolore Non
riceve conforto né trastullo. Medoro era disposto o di morire, 0 nella tomba il
suo signor coprire. 171 Veduto che noi piega e che noi muove, Cloridan gli
risponde: E verrò anch' io, Anch' io vo' pormi a sì lodevol pruove, Anch'io
famosa morte amo e disio. Qual cosa sarà mai che più mi giove, S'io resto senza
te, Medoro mio? Morir teco con l'arme é meglio molto, Che poi di duol, s'awien
che mi sii tolto. 172 Così disposti, messero in quel loco Le successive
guardie, e se ne vanno. Lascian fosse e steccati, e dopo poco Tra' nostri son,
che senza cura stanno. Il campo dorme, e tutto è spento il fuoco, Perchè dei
Saracin poca tema hanno. Tra l'arme e' cariaggi stan roversi, Nel vin, nel
sonno in sino agli occhi immersi 173 Fermossi alquanto Cloridano, e disse: Non
son mai da lasciar l'occasioni. Di questo stuol che '1 mio signor trafisse, Non
debbo far, Medoro, occisToni? Tu, perchè sopra alcun non ci venisse, Gli occhi
e gli orecchi in ogni parte poni; Ch'io m'offerisco farti con la spada Tra gli
nimici spaziosa strada. 1 74 Cosi diss' egli, e tosto li parlar tenne, Ed entrò
dove il dotto Alfeo dormia, Che Panno innanzi in corte a Carlo venne, Medico e
mago e pien d'astrologia: Ma poco a questa volta gli sovvenne; Anzi gli disse
in tutto la bugia. Predetto egli s'avea, che d'anni pieno Dovea morire alla sua
moglie in seno: 175 Ed or gli ha messo il canto Saracino La punta della spada
nella gola. Quattro altri uccide appresso all'indovino non han tempo a dire una
parola:Menzion dei nomi lor non fa Turpino, E'I lungo andar le lor notizie
invola: Dopo essi Palidon da Moncalieri, Che sicuro dormia fra duo destrieri.
stanza 179. 176 Poi se ne vien dove col capo giace Appoggiato al barile il
miser Grillo: Avealo vóto, e avea creduto in pace Godersi un sonno placido e
tranquillo. Troncògl'il capo il Saracino audace: Esce col sangue il vin per uno
spillo, Di che n' ha in corpo più d'una bigoncia:E di ber sogna, e Cloridan lo
sconcia. 177 E presso a Grillo un greco ed un tedesco, Spegne in dui colpi,
Andropono e Conrado, Che della notte avean goduto al fresco Gran parte, or con
la tazza, ora col dado:Felici se vegghiar sapeano a desco Finché nell'Indo il
sol passasse il guado. Ma non potria negli uomini il destino, Se del futuro
ognun fosse indovino. 178 Come impasto leone in stalla piena, Che lunga fame
abbia smacrato e asciutto, Uccide, scanna, mangia, a strazio mena L'infermo
gregge in sua balia condutto; Così il crudelpagannelsonnosvenaLanostra gente, e
fa macel per tutto. La spada di Medoro anco non ebe; Ma si sdegna ferir
l'ignobil plebe. 179 Venuto era ove il duca di Labretto Con una dama sua dormia
abbracciato: r un con l'altro si tenea si stretto, Che non saria tra lor l'aere
entrato. Medoro ad ambi taglia il capo netto. 0 felice morire ! oh dolce fato !
Che come erano i corpi, ho così fede Ch'andar l'alme abbracciate alla lor sede.
180 Malindo nccise e Ardalico il fratello, Che del conte di Fiandra erano
figli; E l'uno e 1 altro cavalier novello Fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme
i gigli, Perchè il giorno amendui d'ostil macello Con gli stocchi tornar vide
vermigli:E terre in Frisa avea promesso loro, E date avriaj ma lo vietò Medoro.
181 Gl'insidiosi ferri eran vìcìdì Ai padiglioni che tiraro in volta Al
padiglion di Carlo i paladini, Facendo ognun la guardia la sua volta; Quando
dall'empia strage i Saracini Trasson le spade, e dièro a tempo Tolta;
Ch'impossibil lor par, tra si gran torma, Che non s' abbia a trovar un che non
dorai. Stanza 190. 182 E benché possan gir di preda carchi,pur sé, che fanno assai
guadagno. Ove più crede aver sicuri i varchi Va Cloridano, e dietro ha il suo
compagno. Vengon nel campo, ove fra spadeed archi E scudi e lance, in un
vermiglio stagno Giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli, E sozzopra con gli
uomini i cavalli. 183 Quivi dei corpi l'orrida mistura. Che piena aveva la gran
campagna intomo, Potea far vaneggiar la fedel cura Dei duo compagni insino al
far del giorno, Se non traea fuor d'una nube oscura, A'prieghi di Medor, la
luna il corno. Medoro in ciel divotamente fisse Verso la luna gli occhi, e cosi
disse:184 0 santa Dea, che dagli antiqxd nostri Debitamente sei detta triforme;
Chin cielo, in terra e nellMnfemo mostri L'alta bellezza tna sotto più forme, E
nelle selve, di fere e di mostri Vai cacciatrice seguitando V orme; Mostrami
ove '1 mio re giaccia fra tanti, Che vivendo imitò tnoi stndi santi. 185 La
lana, a qnel pregar, la nnbe aperse, O fosse caso, oppor la tanta fede; Bella
come fd allor ch'ella s'offerse, E nuda in braccio a Endimìon si diede. Con
Parigi a quel lame si scoperse L'an campo e l'altro: e'I monte e'I pian si
vede: Si videro i duo colli di lontano, Martire a destra, e Leri all'altra
mano. 186 Rifalse lo splendor molto pii\ chiaro Ove d'Almonte giacea morto il
figlio. Medoro andò, piangendo, al signor caro; Che conobbe il qnartier bianco
e vermiglio:E tutto '1 viso gli bagnò d'amaroPianto (che n'avea an rio sotto
ogni ciglio), In si dolci atti, in si dolci lamenti, Che potea ad ascoltar
fermare i venti; 187 Ma con sommessa voce e appena udita: Non che riguardi a
non si far sentire, Perch' abbia alcun pensier della sua vita (Piuttosto
l'odia, e ne vorrebbe uscire); Ma per timor che non gli sia impedita L'opera
pia che quivi il fé' venire. Fa il morto re sa gli omeri sospeso Di tramendui,
tra lor partendo il peso. 188 Vanno affrettando i passi quanto ponno, Sotto
l'amata soma che gl'ingombra: E già venia chi della luce è donno Le stelle a
tor del ciel, di terra l'ombra; Quando Zerbino, a cui del petto il sonno L'alta
virtude, ove è bisogno, sgombra. Cacciato avendo tutta notte i Morì, Al campo
si traea nei primi albori. 189 E seco alquanti cavalieri avea, Che videro da
lungo i dui compagni. Ciaseano a quella parte si traea, Sperandovi trovar prede
e guadagni. Frate, bisogna (Cloridan dicea) Gittar la soma, e dare opra ai
calcagni; Che sarebbe pensier non troppo accorto, Perder duo vivi per salvare
un morto. 190 E gittò il circo, perchè si pensava Che'l suo Medoro il simil far
dovesse: Ma quel meschin, che'l suo signor più amava, Sopra le spalle sue tutto
lo resse. L'altro con molta fretta se n' andava, Come r amico a paro o dietro
avesse:Se sapea di lasciarlo a quella sorte, Mille aspettate avria, non ch'una
morte. 191 Quei cavalier, con animo disposto Che questi a render s' abbino o a
morire, Chi qua, chi là si spargono, ed han tosto Preso ogni passo onde si
possa uscire. Da loro il capitan poco discosto. Più degli altri è sollecito a
seguire; Ch'in tal guisa vedendoli temere. Certo è che sian delle nimiche
schiere. 192 Era a quel tempo ivi una selva antica, D'ombrose piante spessa e
di virgulti, Che, come labirinto, entro s' intrica Di stretti calli, e sol da
bestie culti. Speran d'averla i duo pagan si amica, Ch'abbi' a tenerli entro a'
suoi rami occulti. Ma chi del canto mio piglia diletto, Un' altra volta ad
ascoltarlo aspetto. N OT; St. 1. Parla al cardinale Ippolito. St. 6. V.5.
AìTOndelia, scaglia, come si farebbe d'an randello. St. 7. V.6. Talaciinanni:
coloro che, dall'alto dei minareti (cosi chiamansi le torricelle annesse alle
mo schee di Turchia) con alte grida invitano il popolo alle pubbliche
preghiere. St. 9. V.56. Poiché l'orza, ecc. Devesi qui inten dere per orza la
fune che si lega all'antenna a sinistra del naviglio, la quale i marinai
allentano per abbassare o restringer la vela, allorché ingagliardisce il Coro,
cioè il ponentemaestro. St. 10. V.12. Guido. I Gnidi erano due; il più ce lebre
fu quello di Borgogna. Salomone, re di Bret tagna. Oanellone o Oano il peggiore
fira i traditori della Casa diMaganza: a costui, ri cordato nella nota alla
St.67 del Canto II, attribuirono i romanzieri il tradimento, onde provenne la
rotta sofferta da Carlo a Roncisvalle. St. 11. V.3. Garbino, ed anche Libeccio:
vento che spira fra mezzogiorno e ponente. St. 17. V.8. Da tempo: in tempo. St.
19. y. 3. Accaneggiato: che ha i cani addosso. St. 22. V.12. Nomade o massile:
di Numidia o di Libia. La generosa belva, ecc.: il leone. St. 24. V.24. Galle o
gallozzole: prodotti di al beri ghiandiferì; e per estensione quegli argomenti,
come vesciche o sugheri, di che si servono quelli che imparano a nuotare, per
tenersi a galla sull'acqua. Anteo: gi gante favoloso, che i mitologi narrano
aver fabbricato alcune cittA nell'Africa. St 28. y. 6. I nani o le donzelle,
negli antichi ro manzi di cavalleria, son quelli che fanno per lo più da
messaggi. ST. 38. v.8. Da San Germano infin a San Vit tore : il primo è oggi
uno de' più ragguardevoli quar tieri di Parigi; l'altro n' ò pure un quartiere;
ambidue stanno alla sinistra della Senna. ST. 46. y. 1. Alierbe, iioletta dell'Africa.
y.4.Za mora, città sulla costa di Barberìa. Saffi, Sapia, città della Barberia
nell'impero di Marocco. St. 47. V.3. Mirforda, città d'Inghilterra; cosi
Stanforda per Strafford. St. 65. y. 6. Orazio sol, eoe,: il Coclite che, solo,
sul ponte Sublicio, si narra aver fatto fironte all' eser cito etrusco, guidato
da Porsenna contro Roma. St. 74. y. 18. Ostro silocco: vento che soffia tra
mezzogiorno e sirocco. Terra del Surro: l'antica Tiro, oggi detta Sur o Tsur.
SaffHto, forse Sar fand. Barutti: Bayruth, dove anticamente fiori una scuola di
giurisprudenza. Tripoli, denominata di Soria, per distinguerla dall'altra
omonima in Barberia. ZibellettOt alcuni suppongono essere Diébaih Tor iosa:
luogo marittimo, circa trenta miglia a settentrione di Tripoli. Lizza o
Latakia:g[& Zao(2Ìc'/>a, nominata nella St. 94 del Canto precedente.
Golfo di Laiazzo: in antico fu detto sinus Issieus, ed ora più comune mente
chiamasi golfo di Alessandretta. St. 77. v.15. Lidia e Larissa: città
sull'Oronte, intermedie ad Antiochia e a Damasco. Aleppe o Aleppo: la
Hierapolis o Berrhaea degli antidu," Eoik; è tuttavia emporìo di commercio
devole. Mamuga, pure sull'Oronte, città i da Tolomeo. St. 99. V.1. Marfisa:
guerriera illustre, cfee k scoprirà in appresso sorella diRuggiero. St. 108. y.
6. iZ vecchiarel già suo diletto: 'Hioie, figlio di Laomedonte, amato, secondo
i mitologi, in sa gioventù, dall'Aurora, che, fatto vecchio, lo tramato ia
cicala. St. 106 y. 2. Pregio: premio. St. 125. v.6. Tesifone: una delle tre
Furie ìnAnuIi St. 135. y. 14. Caracca: sorta di grosso navigì" mercantile.
Padron: chi ha il comando del navìis Luna 0 Luni, città marittima etnisca, di
cui rertaK alcune rovine presso Sarzana, d'onde ebbe nome la Li nigiana. St.
136. y. 17. L isola sacra, ecc: Cipro, dote onora vasi Venere con culto
particolare. Fùmagosta: città di quell' isola, a levante, vicina al mare e aOo
stagno di Costanza, che ivi rende l'aria malsana. St. 143. y. 38. Fraschetto:
piccolo strumento da fiato che rende acutissimo fischio, e di cui fa uso il
capo dell'equipaggio per dar gli ordini alla ciurma. An core da rispetto:
àncore che si tengono in sertw pei gravi pericoli della nave. Scotta: fané
prineipsk attaccata alla vela, con cui, tirandola o allentalidola,s I regola il
naviglio secondo il bisogno. ! St. 144. y. 4, Il governo: il timone del
naviglio. Ivi. y. 6. Verno, tempesta. St. 143. y. S, No" bada: non
indugia. St. 160. y. 3. Toi: togli. St. 156. y. 2. Pagania, Le regioni abitate
dai Pa gani ossia dai Maomettani, che nei tempi d'ignoranza, si confusero con
gl'idolatri. ST. 157. y. 3. Andologia, Andalusia. St 158. y. 24. Biserta: città
nel regno di Tnnil sopra un canale che unisce il mare ad una lagima; e credesi
occupare il luogo dell'antica litica. Esperta: sperimentata. St. 159. y. 3. Dotta:
paura. St. 163 y. 6. Stampa: forma sollecitamente. St. 165. y. 2. Tolomiita o
Tolometta: città marit tima dello Stato di Tripoli nel paese di Barca, oggi
detta Tolmyàtah. St. 178. y. 17. Impasto: non pasciuto, famelioo. Non ebe: dal
latino hébere: non è ottusa, né si sta inoperosa. St. 183. y. 3. Far vaneggiar:
render vana. St. 184. V.4. Sotto più forme: di luna in cielo, di Diana nelle
selve, di Proserpina nellinfémo: cosi i mi tologi. I Cristiani, vedendo nelle
bandiere dei Sara ceni la mezzaluna, credettero che adorassero fra gli altri
Dei anche Diana, confusa con la Luna Nessuna i viglia adunque che il poeta
metta in bocca al i Medoro questa preghiera alla Dea triforme, alla Luna. St.
185. y. 8. Martire, Montmartre. Leri, Most lery: due colline che sorgono
lateralmente a Parigi. St. 192 V.4. Culti: frequentati. Ctoridano e Medoro,
8ùrpri>ai dai nemici Bel pietoso tif tìcìD, restano, Fnno L'Stintfi, Taltm
ferita) a motte. So pm viene Angelica, prende cura di Medoro, lo guft' riseo e
ae ne iimamora. Marflsa e i suoi comijagui approdano nel golfo di Lai&zo,
ad uim oittà gover nata dafetnmìne; ed Ivi iateadono una titrana costa manza
ddlie r€ggitricl MarHa uccide novo del loro guernri, e combatte duo alla aera
col decimo. Alcun non può saper da diì sia amato, Quando felice in su la nwU
siede; Perù e' ha i ren e i tìnti amici a lato, rive mostran tutti nim medesma
fede. Se poi si cangia In tristo il lieto atoto, Volta la turila adnlatrke il
piede; E quel die ili cor ama, ri man forte, Ed ama il suo Bignor dopo la
morte. 2 Se, come il tìso, si mostrasse il core. Tal nella corte è grande e gli
altri preme, E U\\ ò in poca grazia al suo signore Che la lor sorte muteriano i
insieme. Quelito iimil (livt'iTÌa ti>!=h> il ni;ujuiiir ¦ Starla quel
grande infra le turbe estreme. Ma torniamo a Medor fedele e grato, Che 'n vita
e in morte ha il suo siore amato. Cercando già nel più intricato calle Il
giovine infelice di salvarsi; Ma il grave peso ch'avea su le spalle, Gii facea
uscir tutti i partiti scarsi. Non conosce il paese, e la via falle; E torna fra
le spine a invilupparsi. Lungi da lui tratto al sicuro s'era L'altro, ch'avea
la spalla più leggiera. Cloridan s'è ridutto ove non sente Di chi segue lo
strepito e il rumore:Ma quando da Medor si vede absente, Gli pare aver lasciato
addietro il core. Deh come fui, dicea, si negligente, Deh come fui si di me
stesso fuore, Che senza te, Medor, qui mi ritrassi, Né sa])pia quando o dove io
ti lasciassi ! stanza 9. Cosi dicendo, nella tòrta via Dell'intricata selva si
ricaccia; Ed onde era venuto si ravvia, E toma di sua morte in su la traccia
Ode i cavalli e i gridi tuttavia, E la nimica voce che minaccia: All' ultimo
ode il suo Medoro, e vede Che tra molti a cavallo è solo a piede. Cento a
cavallo, e gli son tutti intomo: Zerbin comanda e grida che sia preso.
L'infelice s'aggira com'un tomo, E quanto può si tien da lor difeso, Or dietro
quercia, or olmo, or faggio, or omo; Né si discosta mai dal caro peso:L'ha
riposato alfin su l'erba, quando Jtegger noi puote, e gli va intorno errando: 7
Come orsa che l'alpestre cacciatore Nella pietrosa tana assalita abbia Sta
sopra i figli con incerto core, E freme in suono di pietà e di rabbia: Ira la
'nvita e naturai furore A spiegar l'ugne e a insanguinar le labbia Amor
la'ntenerisce, e la ritira A riguardare ai figli in mezzo alPira. 8 Cloridan,
che non sa come 1' aiuti, E eh' esser vuole a morir seco ancora, Ma non ch'in
morte prima il viver muti, Che via non trovi ove più d'un ne mora; Mette su
l'arco un de' suoi strali acuti, E nascoso con quel si ben lavora. Che fora ad
uno Scotto le cervella, E senza vita il fa cader di sella. 9 • Volgonsi tutti
gli altri a quella banda, Ond' era uscito il calamo omicida. Intanto un altro
il Saracin ne manda, '1 secondo a lato al primo uccida; Che mentre in fretta a
questo e a quel domaodi Chi tirato abbia l'arco, e forte grida, Lo strale
arriva, e gli passa la gola, E gli taglia pel mezzo la parola. 10 Or Zerbin,
ch'era il capitano loro, Non potè a questo aver più pazienza. Con ira e con
furor venne a Medoro, : Ne farai tu penitenza. Stese la mano in quella chioma
d'oro, E strascinollo a sé con violenza: Ma come gli occhi a quel bel volto
mise, Gli ne venne pietade, e non l'uccise. 11 II giovinetto si rivolse
a'prieghi, E disse: Cavalier, per lo tuo Dio, Non esser sì cmdel, che tu mi
nieghi Ch' io seppellisca il corpo del re mio. Non vo' eh' altra pietà per me
ti pieghi, pensi che dì vita abbia disio: Ho tanta di mia vita, e non più,
cura, Quanta ch'ai mio signor dia sepultura. 12 E se pur pascer vuoi fiere ed
augelli, Chè'n te il furor sia del teban Creonte, Fa lor convito dì miei
membri, equelli Seppellir lascia del figliuol d'Almonte. Così dicea Medor con
modi belli, E con parole atte a voltare un monte; sì commosso già Zerbino avea.
Che d'amor tutto e di pietade ardea. In questo mezzo un cavalier villano,
Arendo al sno signor poco rispetto, Ferì con una lancia sopra mano Al
supplicante il delicato petto. Spiacque a Zerbin Patto crudele e strano j più,
che del colpo il giovinetto cader si sbigottito e smorto, Che'n tutto giudicò
che fosse morto. 16 Seguon gli Scotti ove la guida loro Per Talta selva alto
disdegno mena, Poiché lasciato ha l'uno e l'altro Moro, Lun morto in tutto, e
l'altro vivo appena. Giacque gran pezzo il giovine Medoro, Spicciando il sangue
da si larga vena, Che di sua vita al fin saria venuto, Se non sopravvenia chi
gli die aiuto. 14 E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse, disse: Invendicato già
non fia; E pien di mal talento si rivolse Al cavalier che fé' l'impresa ria:Ma
quel prese vantaggio, e se gli tolse Dinanzi in un momento, e faggi via.
Clorldan, che Medor vede per terra, Salta del bosco a discoperta guerra: stanza
16. Stanza 17. 17 Gli sopravvenne a caso una donzella, Avvolta in pastorale ed
umil veste, Ma di real presenzia, e in viso bella, D'alte maniere e
accortamente oneste. Tanto è ch'io non ne dissi più novella, Ch'appena
riconoscer la dovreste: Questa, se non sapete, Angelica era, gran Can del Catai
la figlia altiera. 15 E getta l'arco, e tutto pien di rabbia Tra gli nimici il
ferro intomo gira, Più per morir, che per pensier ch'egli abbia Di far vendetta
che pareggi l'ira. proprio sangue rosseggiar la sabbia Fra tante spade, e al
fin venir si mira; E tolto che si sente ogni potere, Si lascia accanto al suo
Medor cadere.8 Poiché '1 suo anello Angelica riebbe, Di che Brunel l'avea
tenuta priva, In tanto fasto in tanto orgoglio crebbe, Ch'esser parea di tutto
'1 mondo schiva. Se ne va sola, e non si degnerebbe Compagno aver qual più
famoso viva: Si sdegna a rimembrar che già suo amante Abbi" Orlando nomato
o Sacripante. 19 E sopra ogn' altro error via più pentita Era del ben che già a
Rinaldo volse Troppo parendole essersi avvilita, Oh' a riguardar si basso gli
occhi volse. Tant' arroganzia avendo Amor sentita, Più lungamente comportar non
volse. Dove giacea Medor si pose al varco, E r aspettò, posto lo strale all'
arco. 20 Quando Angelica vide il giovinetto Languir ferito, assai vicino a
morte. Che del suo re che giacea senza tetto, che del proprio mal, si dolca
forte; Insolita pietade in mezzo al petto Si sentì entrar per disusate porte,
Che le fé' il duro cor tenero e molle, E più quando il suo caso egli narrolle.
Stanza dlv E rivocando alla menàoria l'arte Ch'in India imparò già di
chirurgia, (Che par che questo studio in quella parte Nobile e degno e di gran
laude sia; E senza molto rivoltar di carte, Che '1 patre ai figli ereditario il
dia), Si dispose operar con succo d'erbe, Ch'a più matura vita lo riserbe. 22 E
ricordossi che, passando, avea Veduta un'erba in una piaggia amena; Fosse
dittamo, o fosse panacea, 0 non so qual di tal effetto piena, Che s igna il
sangue, e della piaga rea Leva ugni spasmo e perigliosa pena. La trovò non
lontana; e quella còlta. Dove lasciato avea Medor, die volta. 23 Nel ritornar
s'incontra in un pastore cavallo pel bosco ne veniva Cercando una giuvenca che
già fuore Duo di di mandra e senza guardia givi. Seco lo trasse ove perdea il
vigore Medor col sangue che del petto usciva: E già n'avea di tanto il terren
tinto, Ch'era omai presso a rimanere estinto. 24 Del palafreno Angelica giù
scese, E scendere il pastor seco fece anche. Pestò con sassi l'erba, indi la
prese, E succo ne cavò fra le man biandie; Nella piaga n'infuse, e ne distese E
pel petto e pel ventre e fin all'anche. E fu di tal virtù questo liquore, Che
stagnò il sangue, e gii tornò il vigore; 25 E gli die forza., che potè salire
Sopra il cavallo che '1 pastor condusse. Non però volse indi Medor partire,
Prima ch'in terra il suo signor non fusite. E Cloridan col re fé' seppellire; E
poi dove a lei piacque si ridusse: Ed ella per pietà neU'umil case Del cortese
pastor seco rimase. Né fin che noi tornasse in sanitade, Volea partir: cosi di
lui fé' stima; Tanto s'intenerì della pietade Che n'ebbe, come in terra il vide
prima. Poi, vistone i costumi e la beltade, Roder si senti il cor d'ascosa
lima; Roder si senti il core, e a poco a poco Tutto infiammato d'amoroso fuoco.
27 Stava il pastore in assai buona e bella Stanza, nel bosco infra duo monti
piatta, Con la moglie e coi figli; ed avea quella Tutta di nuovo e poco innanzi
fatta. a Medoro fu per la donzella La piaga in breve a sanità ritratta; Ma in
minor tempo si senti maggiore Piaga di questa aver ella nel core. 28 Assai più
larga piaga e più profonda Nel cor senti da non veduto strale, Che da' begli
occhi e dalla testa bionda Di Medoro avventò l'arcier c'ha l'ale. Arder si
sente, e sempre il fuoco abbonda E più cura l'altrui che '1 proprio male. Di so
non cura; e non è ad altro intenta. Ch'a risanar chi lei fere e tormenta. 29 La
sua piaga più s'apre e più incrudisce, Quanto più l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si sana; ella languisce Di nuova febbre, or agghiacciata or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce; La misera si strugge, come falda
Strugger di neve intempestiva suole, Ch' in loco aprico abbia scoperta il sole.
30 Se di disio non vuol morir, bisogna Che senza indugio ella sé stessa aiti: E
ben le par che di quel eh' essa agogna, Non sia tempo aspettar eh' altri la
'nviti. Dunque, rotto ogni freno di vergogna, La lingua ebbe non men che gli
occhi arditi; E di quel colpo domandò mercede, Che, forse non sapendo, esso le
diede. Stanza 33. 31 0 conte Orlando, o re di Circassia, Vostra inclita virtù,
dite, che giova? Vostro alto onor, dite, in che prezzo sia? 0 che mercè vostro
servir ritrova? Mostratemi uaa sola cortesia Che mai costei v'usasse, o vecchia
o nuova, Per ricompensa e guiderdone e merto Di quanto avete già per lei
sofferto. d2 Oh se potessi ritornar mai vivo, Quanto ti parria duro, o re
Agricane! Che già mostrò costei si averti a schivo Con repulse crudeli ed
inumane. 0 Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo. Ch'avete fatto mille prove
vane Per questa ingrata, quanto aspro vi fora S' a costu' in braccio voi la
vedeste ora ! 33 Angelica a Medor la prima rosa Coglier lasciò, non ancor tocca
innante: Né persona fu mai sì avventurosa, ChMn quel giardin potesse por le
piante. Per adombrar, pel onestar la cosa. Si celebrò con cerimonie sante Il
matrimonio, ch'auspice ebbe Amore, E pronuba la moglie del pastore. Férsi le
nozze sotto air umil tetto Le più solenni che vi potean farsi; E più d'un mese
poi stero a diletto I duo tranquilli amanti a ricrearsi. Più lunge non vedea
del giovinetto La donna, né di lui potea saziarsi; Né, per mai sempre pendergli
dal collo, II suo desir sentia di lui satollo. Stanza 35. 35 Se stava
all'ombra, o se del tetto usciva, Avea di e notte il bel' giovine a lato;
Mattino e sera or questa or quella riva Cercando andava, o qualche verde prato:
Nel mezzo giorno un antro li copriva, Forse non men di quel comodo e grato,
ebber, fuggendo V acque, Enea e Dido, DeMor secreti testimonio fido.37 Poiché
le parve aver fatto soggiorno Quivi più ch'abbastanza, fé' disegno Di fare in
India del Catai ritomo, E Medor coronar del suo bel regno. Portava al braccio
un cerchio d' oro, adorno Di ricche gemme, in testimonio e segno Del ben che '1
conte Orlando le volea; E portato gran tempo ve l'avea. 36 Fra piacer tanti,
ovunque un arbor dritto Vedesse ombrare o fonte o rivo puro, V'avea spillo o
coltel subito fitto: Cosi se v'era alcun sasso men duro. Ed era fuori in mille
luoghi scritto, E cosi in casa in altri tanti il muro, Angelica e Medoro, in
vari modi Legati insieme di diversi nodi. 8 Quel donò già Morgana a Ziliante
Nel tempo che nel lago ascoso il tenne; Ed esso, poi ch'ai padre Monodante Per
opra e per virtù d'Orlando venne. Lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante. Di
porsi al braccio il cerchio d'or sostenne. Avendo disegnato di donarlo Alla
regina sua, di ch'io vi parlo. B9 Non per amor del paladino, quanto ricco e
d'artifìcio egregio, Caro avuto l'avea la donna tanto, Che più non si può aver
cosa di pregio. Se lo serbò nelP isola del pianto, Non 80 già dirvi con che
privilegio, X.à dove esposta al marin mostro nuda Fu dalla gente inospitale e cruda.
40 Quivi non si trovando altra mercede Oh' al buon pastore ed alla moglie
dessi, Che serviti gli avea con si gran fede Dal di che nel suo albergo si fur
messi; Levò dal braccio il cerchio, e gli lo diede, E volse per suo amor che lo
tenessi: Indi saliron verso la montagna Che divide la Francia dalla Spagna.
Stanza 35. 41 Dentro a Valenza o dentro a Barcellona Per qualche giorno avean
pensato porsi, accadesse alcuna nave buona, Che per Levante apparecchiasse a
sciorsi. Videro il mar scoprir sotto a Girona Nel calar giù delli montani
dorsi; E costeggiando a man sinistra il lito, A Barcellona Pndàr pel cammin
trito. 42 Ma non vi giunser, prima ch'un uom pazzo Giacer trovare in su
l'estreme arene Che, come porco, di loto e di guazzo Tutto era brutto, e volto
e petto e schene. Costui si scagliò lor, come cagnazzo Ch'assalir forestier
subito viene; die lor noia, e fu per far lor scorno. Ma di Marfisa a ricontar
vi torno. 43 Di Marfisa, d Astolfo, d'Aquilante, Di Grifone e degli altri io vi
vo'dire, Che travagliati, e con la morte innante, Mal si potean incontra il mar
schermire:Che sempre più superba e più arrogante Crescea fortuna le minacce e P
ire; E già durato era tre di lo sdegno, Né di placarsi ancor mostrava segno. 44
Castello e ballador spezza e fracassa L'onda nimica e '1 vento ognor più
fiero:Se parte ritta il verno pur ne lassa, La taglia, e dona ni mar tutta il
nocchiero. Chi sta col capo chino in una cassa Su la carta appuntando il suo
sentiero A lume di lanterna piccolina, E chi col torchio giù nella sentina. 45
Un sotto poppe, un altro sotto prora Si tiene innanzi V oriuol da polve; E toma
a rivedere ogni mezz'ora Quanto è già corso, ed a che via si voi ve. Indi
ciascun con la sua carta fuora A mezza nave il suo parer risolve, Là dove a un
tempo i marinari tutti Sono a consiglio del padron ridutti. Chi dice: Sopra
Limissò venuti Siamo, per quel eh' io trovo, alle seccagne; : Di Tripoli
appresso i sassi acuti, Dove il mar le più volte i legni fragne. Chi dice:
Siamo in Satalia perduti, Per cui più d'un nocchier sospira e piagne. Ciascun
secondo il parer suo argomenta; Ma tutti ugual timor preme e sgomenta. 47 II
terzo giorno con maggior dispetto Gli assale il vento, e il mar più irato
fìreme; E r un ne spezza e portane 51 trinchetto, E '1 timon r altro, e chi lo
volge insieme. Ben è di forte e di marmoreo petto, E più duro ch'acciar, chi
ora non teme. Marfisa, che già fu tanto sicura, Non negò che quel giorno .ebbe
paura. Al monte Sinai fu peregrino, A Galizia promesso, a Cipro, a Roma, Al
Sepolcro, alla Vergine d'Ettino, E se celebre luogo altro si noma. Sul mare
intanto, e spesso al ciel vicino, e conquassato legno toma, Di cui per men
travaglio avea il padrone Fatto l'arbor tagliar dell'artimone. 49 E colli e
casse e ciò che v' è di grave Gitta da prora e da poppa e da sponde; E fa tutte
sgombrar camere e gìave, E dar le ricche merci all'avide onde. Altri attende
alle trombe, e a tor di naire L'acque importune, e il mir nel mar rifonde:
Soccorre altri in sentina, ovanqae appare Legno da legno aver sdrucito il mare.
60 Stero in questo travaglio, in qaasta peu Ben quattro giorni, e non avean piò
sdienK": E n'avrìa avuto il mar vittoria piena, più che '1 furor tenesse
ferma:Ma diede speme lor d'aria serena La disiata luce di Santo Ermo, Ch'in
prua s'una cocchina a por si venne; Che più non v'erano arbori né antenne. 51
Veduto fiammeggiar la bella £ELce, S' inginocchiare tutti i naviganti; E
domandare il mar tranquillo e pace umidi occhi e con voci tremanti. Li tempesta
crudel, che pertinace Fu sin allora, non andò più innanti:Maestro o traversia
più non molesta, E tiranno del mar libeccio resta. 52 Questo resta sul mar
tanto possente E dalla negra bocca in modo esala, Ed è con lui si rapido il
torrente Dell'agitato mar ch'in fretta cala, Che porta il legno più
velocemente, Che pellegrin falcon mai facesse ala, Con timor del nocchier,
ch'ai fin del mondo Non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo. 53 Rimedio a
questo il buon nocchier ritrova Che comanda gittar per poppa spere; E caluma la
gomena, e fi" prova Di duo terzi del corso ritenere. consiglio, e più
l'augurio giova Di chi avea acceso in proda le lumiere:Questo il legno salvò,
che perla forse, E fé' eh' in alto mar sicuro corse. 54 Nel golfo di Laiazzo
invér Sona Sopra una gran città si trovò sorto, E si vicino al lite, che
scoprìa L'uno e l'altro Castel che serra il porto. Come il padron s'accorse
della via Che fatto avea, ritornò in viso smorto; Che né porto pigliar quivi
volea, Né stare in alto, né fuggir potea. 55 Né potea stare in alto, né foggile:Che
gii arbori e P antenne avea perdute. Eran tavole e travi pel ferire Del mar
sdrucite, macere e sbattute. E'I pigliar porto era un voler morire, O perpetuo
legarsi in servitute; Che riman serva ogni persona, o morta, Che quivi errore o
ria fortuna porta. 56 E '1 stare in dubbio era con gran periglioChe non
salisscr genti della terraCon legni armati, e al suo desson di piglio, Mal atto
a star sul mar, non ch'a far guerra. Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
Fu domandato da quel d Inghilterra, Che gli tenea si l'animo sospeso, E perchè
già non avea il porto preso. Stanza 65. 57 II padron narrò lui che quella riva
Tutta tenean le femmine omicide. Di cui V antiqua legge, ognun cb' arriva, In
perpetuo tien servo, o che V uccide:E questa sorte solamente schiva Chi nel
campo dieci uomini conquide, poi la notte può assaggiar nel letto Diece
donzelle con carnai diletto. 58 E se la prima pruova gli vien fatta, £ non
fornisca la seconda poi, Egli vien morto; e chi è con lui si tratta Da
zappatore, o da guardian di buoi. Se di far Tuno e l'altro è persona atta,
libertade a tutti i suoi; A sé non già, e' ha da restar marito Di diece donne,
elette a suo appetito. 59 Non potè udire Astolfo senza risa vicina terra il
rito strano.Sopravvien Sansonetto, e poi Marfisa,Indi Aquilante, e seco il suo
germano. Il padron parimente lor divisa La causa che dal porto il tien
Jontano:Voglio,>dicea che innanzi il mar m'affoghi Ch io senta mai di
servitute i gioghi. 60 Del parer del padrone i marinari E tutti gli altri
naviganti furo:Che cento mila spade, era lor duro. Parca lor questo e ciascun
altro loco, Dov'arme usar potean, da temer poco. Bramavano i guerrier venire a
proda; Ma con maggior baldanza il duca inglese, Che sa, come del corno il rumor
s oda, Sgombrar dintorno si farà il paese. Pigliare il porto Tuna parte loda,
Eraltra il biasma, e sono alle contese;. Ma la più forte in guisa il padron
stringe, Oh al porto, suo mal grado, il legno spinge. stanza 66. 62 Già, quando
prima s'erano alla vista Della città crudel sul mar scoperti, Veduto aveano una
galea provvista Di molta ciurma e di nocchieri esperti Venire al dritto a
ritrovar la trista Nave, confusa di consigli incerti; Che, Talta prora alle sue
poppe basse Legando, fuor dell' empio mar la trasse. 63 Entrar nel porto remorchìando,
e a fona Di remi più che per favor di vele;Perocché T alternar di poggia e d'
oizaAvea levato il vento lor crudele. Intanto ripigliar la dura scorza I
cavalieri, e il brando lór fedele; Ed al padrone ed a ciascun che teme, Non
cessan dar con lor conforti siieme. 64 Fatto è'I porto a sembianza dana luaa, E
gira più di quattro nuglia intomo:Seicento passi è in bocca, ed in
cìascanaParte una ròcca ha nel finir del corno.Non teme alcuno assalto di
fortuna, Se non quando gli vien dal mezzogiorno. A guisa di teatro se gli
stende La città a cerco, e verso il poggio ascende. 65 Non fu quivi si tosto il
legno sorto (Già l'avviso era per tutta la terra). Che fur sei mila femmine sul
porto, Con gli archi in mano in abito di guerra: E per tdr della fuga ogni conforto,
Tra l'una rócca e l'altra il mar si serra: Da navi e da catene fu rinchiuso,
Che tenean sempre instrutte a cotal uso. 66 Una che d'anni alla Cumea d'Apollo
Potè uguagliarsi e alla madre d' Ettorre Fé' chiamare il padrone, e domandollo
Se si volean lasciar la vita tórre, 0 se voleano pur al giogo il collo, Secondo
la costuma, sottoporre. Degli due l'uno aveano a tórre: o qoivi Tutti morire, o
rimaner captivi. 67 Gli è ver, dicea, che s'uom si ritrovasse Tra voi cosi
animoso e cosi forte, Che centra dieci nostri uomini osasse Prender battaglia,
e desse lor Li morte, E far con diece femmine bastasse Per una notte ufficio di
consorte; Egli si rimarria principe nostro, E gir voi ne potreste al cammin
vostro. 68 E sarà in vostro arbitrio il restar anco, Vogliate 0 tutti o parte;
ma con patto Che chi vorrà restare, e restar franco, Marito sia per diece
femmine atto. Ma quando il guerrier vostro possa manco Dei dieci che gli fian
nemici a un tratto, 0 la seconda prova non fornisca, Vogliam voi siate schiavi,
egli perisca. 69 Dove la vecchia ritrovar timore Credea nei cavalier, trovò
baldanza; Che ciascun si tenea tal feritore, Che fornir Tono e l'altro avoa
speranza; Ed a Marfisa non mancava il core, Benché mal atta alla seconda danza;
Ma dove non V aitasse la natura, Con la spada supplir stava sicura. 75 Non
vomai più che forestier si lagni Di questa terra, finché 1 mondo dura Cosi
disse; e non poterò i compagni Torle quel che le dava sua avventura. Dunque o
eh' in tutto perda, o lor guadagni La libertà, le lasciano la cura. Ella di
piastre già guemita e maglia, S' appresentò nel campo alla battaglia. 70 Al
padron fu commessa la risposta, Prima conchiusa per comun consiglio: Ch'avean
chi lor potrìa di sé a lor posta Nella piazza e nel letto far periglio. Levan V
offese, ed il nocchier s accosta, Getta la fune, e le fa dar di piglio:E fa
acconciare il ponte, onde i guerrieri Escono armati e tranne i lor destrieri.
76 Gira una piazza al sommo della terra, Di gradi a seder atti intomo chiusa;
Che solamente a giostre, a simil guerra, A caccie, a lotte, e non ad altro
susa: Quattro porte ha di bronzo, onde si serra. Quivi la moltitudine confusa
Deir armigere femmine si trasse; E poi fu detto a Marfisa ch'entrasse. 71 E
quindi van per mezzo la cittade, E vi ritrovan le donzelle altiere, Succinte
cavalcar per le contrade, Ed in piazza armeggiar come guerriere. Né calzar
quivi spron, né cinger spade, Né cosa d'arme pdn gli uomini avere, Se non dieci
alla volta, perrif>petto Dell'antiqua costuma ch'io v'ho detto. 77 • Entrò
Marfisa s' un destrier leardo, Tutto sparso di macchie e di rotelle, Di picciol
capo e d'animoso sguardo, D'andar superbo e di fattezze belle. Pel maggior e
più vago e più gagliardo, Di mille che n'avea con briglie e selle. Scelse in
Damasco, e realmente ornollo, Ed a Marfisa Norandin donollo. 72 Tutti gli altri
alla spola, all'ago, al fuso, Al pettine ed all' aspo sono intenti, Con vesti
femminil che vanno giuso Insin al pie, che gli fa molli e lenti. Si tengono in
catena alcuni ad uso D'arar la terra, o di guardar gli armenti. Son pochi i
maschi, e non son ben, per mille Femmine, cento, fra cittadi e ville. 78 Da
mezzogiorno e dalla porta d'Austro Entrò Marfisa; e non vi stette guari,
Ch'appropinquare e risonar pel ckiustro Udì di trombe acuti suoni e chiari: E
vide poi di verso il freddo plaustro Entrar nel cimpo i dieci suoi contrari. Il
primo cavalier ch'apparve innante, Di valer tutto il resto avea sembiante. 73
Volendo tórre i cavalieri a sorte Chi di lor debba per comune scampo L'una
decina in piazza porre a morte, E poi l'altra ferir nell'altro campo: Non
disegnavan di Marfisa forte, Stimando che trovar dovesse inciampo Nella seconda
giostra della sera; Ch'ad averne vittoria abil non era: 79 Quel venne in piazza
sopra un gran destriero Che, fuor chMn fronte e nel pie dietro manco, Era, più
che mai corvo, oscuro e nero:Nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco. Del
color del cavallo il cavaliero Vestito, volea dir che, come manco Dell'oscuro
era'l chiaro, era altrettanto 11 riso in lui, verso l'oscuro pianto. 74 Ma con
gli altri esser volse ella sortita. Or sopra lei la sorte in somma cade. Ella
dicea: Prima v'ho a por la vita. v'abbiate a por voi la libertade. Ma questa
spada (e lor la spada addita Che cinta avea) vi do per securtade Ch'io vi sciorrò
tutti gì' intrichi, al modo Che fé' Alessandro il gordiano nodo. 80 Dato che fu
della battaglia il segno, Nove guerrier l'aste chinaro a un tratto: Ma quel dal
nero ebbe il vantaggio a sdegno. Si ritirò, né di giostrar fece atto. Vuol eh'
alle leggi innanzi di quel regno, Ch'alia sua cortesia, sia contraffatto. Si
tra' da parte, e sta a veder le prove Ch'una sola asta farà centra a nove.
stanza 76. 81 II destrier, ch'avea andar trito e soave, Portò air incontro la
donzella in fretta, Che nel corso arrestò lancia sì grave, Ohe quattro uomini
avriano a pena retta. Lavea pur dianzi al dismontar di nave Per la più salda in
molte ant€nne eletta. Il fier sembiante, con eh' ella si mosse, Mille faccie
imbiancò, mille cor scosse. 82 Aperse, al primo che trovò, sì il petto Che fora
assai se fosse stato nudo:Gli passò la corazza e il soprappetto . Ma prima un
ben ferrato e grosso scudo. Dietro le spalle un braccio il ferro netto Si vide
uscir; tanto fu il colpo crudo. Quel fìtto nella lancia addietro lassi, E sopra
gli altri a tutta briglia passa: stanza 57 83 E diede l'orto a ohi Tenia
seooudo, Ed a chi terzo si terribil botta, Che rotto nella schena nscir del
mondo Fa' r uno e T altro, e delia sella a annotta Si duro fu rincontro e di
tal pondo, Si stretta insieme ne venia la frotta. Ho veduto bombarde a qnella
gnisa Le squadre aprir, che fé' lo stuol Marfisa. 84 Sopra di lei più lance
rotte furo; Ma tanto a quelli colpi ella si mosse, Quanto nel ginoco delle
cacce nn muro Si muova a colpi delle palle grosse. L'usbergo suo di tempra era
sì duro, Che non gli potean contra le percosse; E per incanto al foco
dell'inferno Cotto, e temprato all' acque fu d'Avemo. 85 Al fin del campo il
destrier tenne, e volse, E fermò alquanto, e in fretta poi lo spine Incontra
gli altri, e sbaragliolli e sciolse, E di lor sangue insin all'elsa tinse.
All'uno il capo, all'altro il braccio tolse; E un altro in guisa con la spada
cinse, Che'l petto interra andò col capo ed ambe Le braccia, e in sella il
ventre era e le gambe. 86 Lo parti, dico, per dritta misura, Delle coste e
dell'anche alle confine, E lo fé' rimaner mezza figura, Qual dinanzi all'
immagini divine, Poste d'argento, e più di cera pura Son da genti lontane e da
vicine, ringraziarle, e sciorre il voto vanno Delle domande pie ch'ottenute
hanno. 87 Ad uno che fuggia dietro si mise, Né fu a mezzo la piazza, che lo
giunse; E '1 capo e '1 collo in modo gli divise, Che medico mai più non lo
raggiunse. ìm ggmmn tutti, un dopo l'altro, uccise, 0 ferì sì, eh' ogni vigor
rf enreme i E fu sicura che levar di terra Mai più non si potrìan per farle
guerra. 88 Stato era il cavalier sempre in un canto, Che la decina in piazza
avea condutta; Perocché contra un solo andar con tanto Vantaggio, opra gli
parve iniqua e brutta. Or che per una man torsi da canto Vide sì tosto la
compagnia tutta, Per dimostrar che la tardanza fosse Cortesia stata, e non
timor, si mosse. 89 Con man fé' cenno di volere, innanti Che facesse altro,
alcuna cosa dire; E non pensando in si vlril sembianti Che s' avesse una vergine
a coprire, Le disse: Cavaliero, ornai di tanti Esser dèi stanco, e' hai fatto
morire; s' io volessi, più di quel che sei, Stancarti ancor, discortesia farei.
90 Che ti riposi insino al giorno nuovo, E doman tomi in campo, ti concedo. Non
mi fia onor se teco oggi mi pruovo; Che travagliato e lasso esser ti credo. Il
travagliare in arme non m é nuòvo, Né per sì poco alla fatica cedo (Disse
Marfisa); e spero ch'a tuo costo Io ti farò di questo avveder tosto. 91 Della
cortese offerta ti ringrazio, Ma riposare ancor non mi bisogna, E ci avanza del
giorno tanto spazio, Ch'a porlo tutto in ozio è pur vergogna. Rispose il
cavalier: Fuss'io sì sazio D'ogn' altra cosa che'l mio core agogna, Come t'ho
in questo da saziar; ma vedi Che non ti manchi il dì più che non credi. 92 Così
diss' egli, e fé' portare in fretta Due grosse lance, anzi due gravi antenne;
Ed a Marfisa dar ne fé' 1 eletta:Tolse l'altra per sé, eh' indietro venne. sono
in punto, ed altro non s'aspetta Ch'un alto suon che lor la giostra accenne
Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba Nel muover loro al primo suon di
tromba. 93 Trar fiato, bocci aprir, o battere occli Non si vedea de'
riguardanti alcuno; Tanto a mirare a chi la palma tocchi Dei duo campioni,
intdsnto era ciascuno. Marfisa, acciò che dell' arcioa trabocchi 8i, die mai
non si levi il guerrier bruno, Drizza la lancia; e il guerrier brunoforte
Studia non men di por Marfisa a morte. 94 Le lance ambe di secco e suttil
salce. di Cerro sembrar grosso ed acerbo, Cosi n' andaro in tronchi fin al
calce; E l'incontro ai destrier fu sì superbo, Che parimente parve da una falce
Delle gambe esser lor tronco ogni nerbo. Cadèro ambi ugualmente: ma i campioni
Fur presti a disbrigarsi dagli arcioni. 95 A mille cavalieri, alla sua vita,
prìmo incontro area la sella tolta Marfisa, ed ella mai non n era uscita; E
n'uscì, come udite, a questa volta. Del caso strano non pur sbigottita, Ma
quasi fu per rimanerne stolta. Parve anco strano al cavalier dal nero, Che non
solca cader già di leggiero. 96 Tocca avean nel cader la terra appena, Che furo
in piedi, e rinnovar l'assalto. Tiigli e punte a furor quivi si mena: Quivi
ripara or scudo, or lama, or salto. Vada la botta vota, o vada piena, L'aria ne
stride, e ne risuona in alto. elmi, quelli usberghi, quelli scudi Mostrar
ch'erano saldi più ch'incudi. 97 Se dell'aspra donzella il braccio è grave, Né
quel del cavalier nimico è lieve. Ben la misura ugual l'un dall'altro ave:
Quanto appunto l'un dà, tanto riceve. Chi vuol due fiere audaci anime brave,
Cercar più là di queste due non deve, Né cercar più destrezza né più possa; Che
n'hau tra lor quanto più aver si possa. 101 La battaglia durò fin alla sera, Né
chi avesse anco.il meglio era palese: Ne l'un né l'altro più senza lamiera
Saputo avria come schivar V offese. Giunta la notte, all'inclita guerriera Fu
il primo a dir il cavalier cortese: Che farem, poi che con ugual fortuna N'ha
sopraggiunti la notte importuna? 102 Meglio mi par che'l viver tno prolungLi
Almeno insino a tanto che s'aggiorni Io non posso concederti che aggiunghi
Fuorché una notte piccola a' tuoi giorni E di ciò che non gli abbi aver più
Inoglti, La colpa sopra a me non vo'che tomi: Tomi pur sopra alla spietata
legge sesso femminil che'l loco regge. 103 Se di te ducimi e di quest'altri
tuoi, Lo sa Colui che nulla cosa ha oscura. Con tuoi compagni star meco tu
puoi: Con altri non avrai stanza sicura; Perché la turba, a cu'i mariti suoi
Oggi uccisi hai, già centra te congiura. Ciascun di questi, a cui dato hai la
morte, Era di diece femmine consorte. 98 Le donne che gran pezzo mirato hanno
Continuar tante percosse orrende, E che nei cavalier segno d'alTanno E di
stanchezza ancor non si comprende. Dei duo miglior guerrier lode lor danno, Che
sien tra quanto il mar sua braccia estende. Par lor che, se non fosser più che
forti, Esser dovrian sol del travaglio morti. 99 Ragionando tra sé, dicea
Marfisa: Buon fu per me, che costui non si mosse; Ch'andava a risco di restame
uccisa, Se dianzi stato coi compagni fosse. Quando io mi trovo appena a questa
guisa Di potergli star centra alle percosse. Cosi dice Maifisa; e tuttavolta
Non resta di menar la spada in volta. 100 Buon fu per me, dicea quell'altro
ancora. Che riposar costui non ho lasciato: Difender me ne posso a fatica ora
Che della prima pugna é travagliato. Se fin al nuovo di facea dimora A
ripigliar vigor, che saria stato?Ventura ebbi io, quanto più possa aversi, Ohe
non voliesse tor quel ch'io gli offersi 104 Del danno ch'han da te
ricevut'oggi, Disian novanta femmine vendetta; Sì che, se meco ad albergar non
poggi, Questa notte assalito esser t'aspetta. Disse Marfisa: Accetto che
m'alloggi, Con sicurtà che non sia men perfetta In te la fede e la bontà del
core, Che sia l'ardire e il corporal valore; 105 Ma che t' incresca che m'abbi
ad uecidere. Ben ti può increscere anco del contrario. Fin qui non credo che
l'abbi da ridere, Perch'io sia men di te duro avversario. 0 la pugna seguir
vogli o dividere, 0 farla all'uno o all'altro luminano. Ad ogni cenno pronta tu
m'avrai, E come ed ogni volta che vorrai 106 Cosi fudifferita la tenzone Finché
di Gange uscisse il nuovo albore; E si restò senza conclusione Chi d'essi duo
guerrier fosse il migliore. Ad Aquilante venne ed a Grifone, E così agli altri
il liberal signore; E li pregò che fino al nuovo giorno Piacesse lor di far
seco soggiorno 107 Tenner loHvito senza alcun sospetto; Indi, a splendor di
bianchi torchi ardenti, Tutti salirò overa an real tetto, Distinto in molti
adorni alloggiamenti. Stupefatti al levarsi delP elmetto, Mirandosi, restaro i
combattenti, Chè'l cavalier, per quanto apparea faora, Non eccedeva i dìciotto
anni ancora. 108 Si maraviglia la donzella, come In arme tanto un giovinetto
vaglia; Si maraviglia T altro challe chiome S avvede con chi avea fatto
battaglia:E si domandan Tun con 1 altro il nome; E tal debito tosto si
ragguaglia. Ma come si nomasse il giovinetto, NelU altro Canto ad asciltar
v'aspetto. N OTIL St. a. V.5. Falle, sbaglia. St. 9. V.2. Calamo, canna: qai
freccia. St. 12. v.2. Del teban Creonte. Costui, dopo la morte dei suoi nipoti,
vietò che loro fosse data sepol tura ; e dannò a morte Antigone che, mossa da
fiatemo amore per Polinice, rappe il divieto. St. 22. V.3. Panacea; pianta
odorosa, dalla cui radice e gambo intagliati stilla Toppoponaco; figuratamente
prendesi per farmaco universale. St. <3. V.78. ~ Auspice era presso 1 Latini
colui che conciliava il matrimonio; e assisteva ali nomo in tutte le cerimonie
che si usavano nel celebrarlo. Lo stesso ufficio faceva per parte della donna
la pro nuba. St. 37. V.3. India del Catai. Col nome d'India si designarono
tutti i paesi dell'estremo oriente, compre savi anche la Cina; della quale il
Catai era propria mente la parte settentrionale. St. 44. V.13. Castello e
ballador, ecc. Si é spie gato più addietro che sia il castello di nave:
balladore dicesi nn luogo praticabile, che sporge airinfkiori in una o in
ambedue Testremità del navìglio. Verno: qui la procella. St. 46. V.15. LinUssò:
luogo dell' isola di Cipro, in fondo di una piccola baia tra Larnaca e
Capogatto; ed è VAmathus degli antichi. Seceagne: secche, bassi fondi St. 47.
V.3. Trinchetto: vela triangoligre che spie gasi esteriormente al naviglio, e
si raccomanda al bom presso, cioè all'albero sporgente fuori della prora. St.
48. V 18. Fu peregrino promesso: fu fatto voto di pellegrinaggio al binai, ecc.
Alla Vergine dEtHno. Il Pomari accenna questo santuario, sotto il nome di
Utino, nel Friuli dov era Aquileia, e cita due versi del Sabellico; altri lo ha
creduto in Candia; ma sembra che, anche non molto dopo la morte deirAutore, non
se ne avesse sicura notizia. Toma: da tomare, cadere col capo all'ingiù; qui
significa l'alterno abbas sarsi e sollevarsi dall'un de' capi, che fa un
naviglio in burrasca. Albero deW artimone, altrimenti albero di mezzana: quello
che sostiene la maggior vela della nave. St. 49. V.17. Colli: fardelli di
merci. Giare: parti del naviglio ove si custodiscono gli attrezzi. St. 50.
V.67. Luce di "Sant'enfio; meteora lumi nosa, che suol farsi vedere sulle
cime degli alberi, o sulle antenne, allorché la tempesta ò vicina a cedere.
Cocchina: attrezzo marinaresco, piccola antenna sulla prora, a cui talvolta si
lega il trinchetto in tempo di burrasca. St. 51. V.7. Traversia: forte
agitazione del mare che continua, anche dopo rallentata la furia della tem
pesta. St. 53. V.26. Spere: fiistelli di legno legati in sieme ohe si gettavano
in mare, attaccati alla nave, per diminuirne il corso. Caluma la gomona:
sospende nell'acqua l'Ancora attaccata alla gomena; e ciò per accrescere la
resistenza all'impeto della nave. Lelit miere: la meteora luminosa, di cui
sopra si è detto. St. 54. V.1. Golfo di Laiaszo, L'antico Sinus Is sicus. Isso
città célèbre per la battaglia vinta da Ales sandro contro Dario; ò detta ora
Aiazzo e Laiazzo. Il golfo dicesi ora Aleasandretta. St. 56. V.2. Salissero.
Salire, qui usato alla spa gnola per uscire, St. 57. V.8. Oli antichi
lasciarono memoria d un regno delle Amazzoni, in riva al fiume Termodonte. St.
70. V.46. Far periglio: far prova. St. 74. V.8. ~ H gordiano nodo: nodo fatto
da Gordio, agricoltore che divenne poi re di Frigia. Dipendendo l'acquisto
dell'impero d'Asia dallo sciogliere quel nodo intricatissimo, Alessandro Magno,
per desbrigarsene, lo con la spada. St. 78. y. b. Il freddo plaustro: la
costellazione dell'Orsa, detta altresì carro di Boote, che si volge in tomo al
polo boreale. St. 83. V.4. A un otta: ann'ora, nello stesso tempo. St. 85. V.6.
Cinse: qui tagliò di netto. St. 87. V.6. Emunse: fiaccò. St. 105. V.6. AW uno o
airaltro luminario: al lume del sole e della luna: di giorno o di notte. St.
106. V.2. Il Gange, fiume dell'India, essendo a Oriente può dirai,
poeticamente, che il sole esce da quello. Lo disse anche Dante (Air., 0. 11).
Jl LÌtejìnu gLifmera, con coi MarBm ba t ombatlato ÌB" li uottfit Jc iii
maìiifea per Qnjdoti Selvaggio, t'amiilia. "U C] liui'aiii otite, et 1 uà
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Mtr&a HIT iva, in Francia, "4 incontra hi vtcrhia Cjibntii eia
uLishi.Ie LFisuldlik; " ai' compagna coìl ]"i, ed abbatte
l'iniLljE.']lo; ti'u\a ijuiótli Zerbino, lo gvtla dairviìmc, i gli Jh iij
gujirJia 0 abrina. Lt iloiiLi antique ÌJauuu niirabil cose Flltio lieti"
arme e nelle sacre moBe; K (li lur upre be]le e glorioae liniii luiiju in tutto
il munda si difltise. Arpa li ire v L':iHiilla si,u fumose j Perchè in
battaglia erano esperte ed use; Saffo e Corinna, perchè furon dotte, Splendono
illustri, e mai Loii veggou notte. 2 Le donne son venute in eccellenza Di
ciascun' arte, ove hanno posto cura; E qualunque all'istorie abbia avvertenza,
Ne sente ancor la ìmùa non oscura. Se 'I mondo n' è gran tempo stato senza, Non
però sempre il mal' influsso dura; E forse ascosi bau lor debiti onori
L'invidia, o il non saper degli scrittori. 3 Ben mi par di veder di' al secol
nostro Tanta virtù fra belle donne emerga, Che può dare opra a carte et ad
inchiostro, Perchè nei futuri anni si disperga, E perchè, odiose lingue, il mal
dir vostro vostra eterna infamia si sommerga; E le lor lode appariranno in
guisa, Che di gran lunga avanzeran Marfisa. 4 Or pur tornando a lei, questa
donzella Al cavalier che le usò cortesia, Dell'esser suo non niega dar novella,
Quando esso a lei, voglia contar chi sia. Sbrìgossi tosto del suo debito ella,
Tanto il nome di lui saper disia. Io son, disse, Marfisa: e fu assai questo;
Che si sapea per tutto 'l mondo il resto. 5 L altro comincia, poiché tocca a
lui. Con più proemio a darle di sé conto, Dicendo: Io credo che ciascun di vui
Abbia della mia stirpe il nome in pronto; Che non pur Francia e Spagna e 1
vicin sui, Ma l'Lidia, l'Etiopia e il freddo Ponto Han chiara cognizion di
Chiaramente, Onde uscì il cavalier ch'uccise Almonte, 6 E quel eh' a
Chiarì'ello e al re Mambrino Diede la morte, e il regno lor disfece. Di questo
sangue, dove nell'Eusino L'Istro ne vien con otto corna o diece, Al duca Amone,
il qual già peregrino Vi capitò, la madre mia mi fece:E l'anno è ormai eh' io
la lasciai dolente, Per gire in Francia a ritrovar mia gente. 7 Ma non potei
finire il mio viaggio; Che qua mi spinse un tempestoso Noto. Son dieci mesi, o
più, che stanza v' aggio; Che tutti i giorni e tutte l'ore noto. Nominato son
io Guidon Selvaggio, Di poca prova ancora e poco noto. Uccisi qui Argilon da
Melibea, Con dieci cavalier che seco avea. 8 Feci la prova ancor delle
donzelle:Cosi n' ho diece a' miei piaceri allato; Ed alla scelta mia son le più
belle, E son le più gentil di questo stato E queste reggo e tutte l'altre; eh'
elle Di sé m' hanno governo e scettro dato:Cosi daranno a qualunque altro
arrida Fortuna si, che la decina ancida. 9 I cavalier domandano a Guidone, Com'
ha si pochi maschi il teuitoro; E s'alle mogli hanno suggezì'one. Come esse
l'han negli altri lochi a loro. Disse Guidon: Più volte la cagione Udita n' ho
da poi che qui dimoro; E vi sarà, secondo ch'io l'ho udita. Da me, poiché
v'aggrada, riferita. 10 Al tempo che tornar dopo anni venti Da Troia i Greci
(che durò l'assedio Dieci, e dieci altri da contrari venti Furo agitati in mar
con troppo tedio). Trovar che le lor donne agli tormenti Di tanta absenzia
avean preso rimedio; Tutte s' avean gioveni amanti eletti. Per non si
raffreddar sole nei letti. 11 Le case lor trovare i Greci piene Degli altrui
figli; e per parer comune Perdonano alle mogli, che san bene Che tanto non
potean viver digiune. Ma ai figli degli adulteri conviene Altrove procacciarsi
altre fortune; Che tollerar non vogliono i mariti Che più alle spese lor sieno
notriti. 12 Sono altri esposti, altri tenuti occulti Dalle lor madri, e
sostenuti in vita, lu varie squadre quei ch'erano adulti Feron, chi qua chi là,
tutti partita. Per altri l'arme son, per altri culti Gli studj e l'arti: altri
la terra trita; Serve altri in corte; altri è guardian di gregge, Come piace a
colei che quaggiù regge. Parti fra gli altri un giovinetto, figlio Di
Clitemnestra, la crudel regina, Di diciotto anni, fresco cone un giglio, 0 rosa
còlta allor di su la spina. Questi, armato un suo legno, a dar di piglio Si
pose e a depredar per la marina In compagnia di cento giovinetti Del tempo suo,
per tutta Grecia eletti. 14 I Cretesi, in quel tempo che cacciato Il crudo
Idomeneo del regno aveano, E, per assicurarsi il nuovo stato, Denomini e darme
adnnazion faceano, Fero con bnon stipendio lor soldato Falanto (cosi al giovine
diceano), E lui con tutti quei che seco avea, Poser per guardia al'a città
Dictea. 15 Fra cento alme città ch'erano in Creta, Dictea più ricca e più
piacevol era, Di belle donne ed amorose lieta, Lieta di giochi da mattino a
sera: E com'era ogni tèmpo consueta D'accarezzar la gente forestiera, Fé a
costor sì, che molto non rimase A fargli anco signor delle lor case. 16 Fran
gioveni tuiti e belli affatto; Che '1 fior di Grecia avea Falanto eletto:Si
ch'alle belle donne, al primo tratto Che v'apparir, trassero i cor del petto. '
Poiché non men chebelli, ancora in fitto Si dimostrar buoni e gagliardi al
letto, Si fero ad esse in pochi di si grati. Che sopra ogn' altro ben n'erano
amati. 17 Finita che d'accordo é poi la guerra Per cui stato Falanto era
condutto, E lo stipendio militar si Ferra, Sì che non v'hanno i gioteni più
frutto, E per questo lasciar voglion la terra; Fan le donne di Creta maggior
lutto, E per ciò versan più dirotti pianti, Che se i lor padri avesson morti
avanti. 18 Dalle lor donne i gioveni assai furo, Ciascun per sé, di rimaner
pregati:Né volendo restare, e"se con loro K' andar, lasciando e padri e
figli e frati, Di ricche gemme e di gran somma d'oro Avendo i lor dimestici
spogliati; Che la pratica fu taLto secreta, Che non sentì la fuga uomo di
Creta. 19 Si fu propizio il vento, sì tn l'ora Comoda che Falanto a fuggir
colse. Che molte miglia erano usciti fnora. Quando del danno suo Creta si
dolse. Poi questa spiaggia, inabitata allora, Trascorsi per fortuna li
raccolse. Qui si posare, e qui sicuri tutti Meglio del furto lor videro i
frutti. 20 Questa lor fu per died giorni stanzi Di piaceri amorosi tutta piena.
Ma come spesso avvien che l'abbondanza Seco in cor giovenil fastidio mena,
Tutti d'accordo fnr di restar senza Femmine, e liberarsi di tal pena; Che non è
soma da portar si grave. Come aver donna, quindo a noia save. 21 Essi che di
guadagno e di rapine bramosi, e di dispendio parchi, Vider eh' a pascer tante
concubine, D'altro che d'aste avean bisogno e d'archi: Si che sole lasciar qui
le meschine, E se n' andar di lor ricchezze carchi Là dove in Puglia in ripa al
mar poi sento Ch'edificar la terra di Tarento. 22 Le donne, che si videro
tradite Dai loro amanti, in che più fede aveano, Restar per alcun di si
sbigottite, statue immote in lito al mar pareano. Visto poi che da gridi e da
infinite Lacrime alcun profitto non tracano, A pensar cominciaro e ad aver cura
Come aiutarsi in tanta lor sciagura. 23 E proponendo in mezzo i lor pareri.
Altre diceano: In Creta é da tornarsi, E piuttosto all'arbitrio de' severi
Padri e d'offesi lor mariti dari, Che nei deserti liti e boschi fieri Di
disagio e di fame consumarsi. Altre dicean che lor sana più onesto Affogarsi
nel mar, che mai far questo; 24 E che manco mal era meretrici Andar pel mondo,
andar mendiche o schiave. sé stesse offerire alli supplici Di eh' eran degne
l'opere lor prave. e simil partiti le infelici Si proponean, ciascim più duro e
grave. Tra loro alfine una Orontea levosse, Ch'orìgine traea dal re Minosse; 25
La piùgioven dell' altre e la più bella E la più accorta, e eh' avea meno
errato:Amato avea Falanto, e a lui pulzella Datasi e per lui il padre avea
lasciato., mostrando in viso ed in favellaIl magnanimo cor d'ira infiammato,
Redarguendo di tutte altre il detto, Suo parer disse, e fé' seguirne effetto.
26 Di questa terra a lei non parve tórsi, conobbe feconda e d'aria sana, Di
selve opaca . e la più parte piana; Con porti e foci, ove dal mar ricorsi Per
ria fortuna avea la geate estrana, Ch'or d'Africa portava, ora d'Egitto, Cose
diverse e necessarie al vitto. Qui parve a lei fermarsi, e far vendetta Del
viril sesso che le avea si offese: Vuol ch'ogni nave che da' venti astretta A
pigliar venga porto in suo paese, sacco, a sangue, a fuoco alfin si metta; Né
della vita a un sol si sia cortese.Cosi fu detto, e così fu concluso, E fu
fatta la logge, e messa in uso. Stanza 86. 28 Come turbar V nria sentiano,
armate Le femmine correan su la marina, Dall' implacabile Orontea guitlate, Che
die lor legge, e si fé' lor regina; E delle navi ai liti lor cacciate, Faceano
incendj orribili e rapina, Uom non lasciando vivo, che novella Dar ne potesse o
in questa parte o in quella. 29 Cosi solinghe vissero qualch'anno, Aspre nimiche
del sesso virile. Ma conobbero poi che '1 proprio danno Procaccerian, se non
mutavan stile: Cbè, se di lor propagine non fanno, Sarà lor legge in breve
irrita e vile . £ mancherà con l'infecondo regno, Dove di farla etema era il
disegno. 30 Si che, temprando il suo rigore un poco, Scelsero, in spazio di
quattro anni interi. Di quanti capitaro in questo loco Dieci belli e gagliardi
cavalieri, Che per durar nell'amoroso gioco Contr'esse cento fosser buon
guerrieri. Esse in tutto eran cento; e statuito Ad ogni lor decina fu un
marito. 31 Prima ne fur decapitati molti Che riuscirò al paragon mal forti. Or
questi dieci a buona prova tolti, Del letto e del governo ebbon consorti;
Facendo lor giurar che, se più cólti Altri uomini verriano in questi porti, Essi
sarian che, spenta ogni pietade, Li porriano ugualmente a fil di spade. 32 Ad
ingrossare, ed a fiarliar appresso Le donne, indi a temere incomìnciaro, Che
tanti nascerian del viril sesso, Che con tra lor non avrian poi riparo, E alfin
in man degli uomini rimesso il governo eh elle avean si caro:Sì ch'ordinar,
mentre eran gli anni imbelli, Far si, che mai non fosson lor ribelli. 33 Acciò
il sesso viril non le soggioghi, Uno ogni madre vuol la legge orrenda, Che
tenga seco; gli altri, o li suffoghi, 0 fuor del regno li permuti o venda. Ne
mandano per questo in vari luoghi:E a chi gli porta dicono che prenda Femmine,
se a baratto aver ne puote; Se non, non tomi almen con le man vote. 34 Né nno
ancora alleverian, se senza Potesson fare, e mantenere il gregge. Questa è
quanta pietà, quanta clemenza Più ai suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge: Gli
altri condannan con UTual sentenza; E solamente in questo si correg:ge. Che non
vuol che, secondo il primiero uso, Le femmine gli uccidano in confuso. 35 Se
dieci o venti o più persone a un tratto Vi fosser giunte, in carcere erau
messe:E d'una al giorno, e non di più, era tratto Il capo a sorte, che perir
dovesse Nel tempio orrendo ch'Orontea avea fatto, Dove un altare alla Vendetta
eresse:E dato all'un de' dieci il crudo ufficio Per sorte era di fame
sacrificio. 38 Orontea vivea ancora; e già mancate Tutt' eran l'altre eh'
abitar qui prima:E diece tante e più n' erano nate, E in forza eran cresciute e
in miggior stimi Né tra diece fucine che serrate Stavan pur spesso, avean più
dnna limi; E dieci cavalieri anco avean cura Di dare a chi venia fiera
avventura. 39 Alessandra, bramosa di vedere Il giovinetto eh' avea tante
lode.Dalla sua matre in singular piacere Impetra sì, eh' Elbanio vede et ode:E
quando vuol partirne, rimanere Si sente il core ove è chi '1 punge e rode Legar
si sente, e non sa far contesa, E alfin dal suo prigion si trova presa. 40
Elbanio disse a lei: Se di pietade S' avesse, donna, qui notizia ancora, Come
se n'ha per tutt' altre contrade. Dovunque il vago sol luce e colora; Io vi
oser:i, per votr'alma beltade . Ch'ogn' animo gentil di sé innamora. Chiedervi
in don la vita mia, che poi Sarìa ognor presto a spenderla per voi. 41 Or
quando fuor d'ogni ragion qui sono Privi d'umanitade i cori umani, Non vi domanderò
la vita in dono; Che i prirghi miei so ben che sarian vani:Ma che da ca
vallerò, o tristo o buono Ch'io sia, possi morir con l'arme in miai . E non
come dannato per giudicio, 0 come animai bmto in sacrificio. 6 Dopo molt'anni
alle ripe omicide A dar venne di capo un giovinetto, La cui stirpe scendea dal
buono Alcide, Di gran valor nell' arme, Elbanio detto. Qui preso fu, eh' appena
se n' avvide, Come quel che venia senza sospetto; E con gran guardia in stretta
parte chiuso, Con gli altri era serbato al era lei uso. 4'2 Alessandra gentil,
ch'umidi avea. Per la pietà del giovinetto, i rai, Rispose: Ancorché più
crudele e re.\, Sia questa terra, eh' altra fosse mai, Non concedoperò che qui
Medea Ogni femmina sia, come tu fai; E quando ogni altra cosi fosse ancora, Me
sola di tant' altre io vo'trar fuora. 37 Di viso era costui bello e giocondo, E
di maniere e di costumi ornato, E di parlar sì dolce e sì facondo, Ch'un aspe
volentier l'avria ascoltato: Si che, come di cosa rara al mondo, Dell'esser suo
fu tosto rapportato Ad Alessandra figlia d'Orontea, Che di molt'anni grave anco
vivea. 43 E sebben per addietro io fossi stata Empia e cmdel, come qui sono
tante, Dir posso che suggetto ove mostrata Per me fosse pietà, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre più arrabbiata, E più duro avre'il cor che di diamante.
Se non m'avesse tolto ogni durezza Tua beltà, tuo valor, tua gentilezza. 44:
Cosi non fosse la legge più forte, Che centra i peregrini è statuita, Come io
non schiverei con la mia morte Di ricomprar la tua più degna vita. Ma non è
grado qui di sì gran sorte, Che ti potesse dar libera aita; quel che chiedi
ancor, benché sia poco, Difficile ottener fia in questo loco. 45 Pur io vedrò
di far che tu P ottenga, Ch' abbi innanzi al morir questo contento; Ma mi
dubito ben che te n'avvenga, Tenendo il morir lungo, più tormento. Soggiunse
Elbanio: Quando incontra io venga A dieci armato, di tal cor mi sento, Ohe la
vita ho speranza di salvarme, E uccider lor, se tutti fosser arme. 50 La
principal cagion eh' a far disegno Sul commercio degli uomini ci mosse, Non fu
perch'a difender questo regno Del loro aiuto alcun bisogno fosse; Che per far
questo abbiamo ardire e ingegno Da noi medesme, e a sufficienzia posse:senza
sapessimo far anco, Che non venisse il propagarci a manco. 51 Ma poiché senza
lor questo non lece, Tolti abbiam, ma non tanti, in compagnia, Che mai ne sia
più d'uno incontra diece, Si ch'aver di noi possa signoria. Per concepir di lor
questo si fece, che di lor difesa uopo ci sia. ' La lor prodezza sol ne vaglia
in questo, E sieno ignavi e inutili nel resto. 46 Alessandra a quel detto non
rispose Se non un gran sospiro, e dipartisse; portò nel partir mille amorose
Punte nel cor, mai non sanabil, fisse. Venne alla madre, e volontà le pose Dì
non lasciar che '1 cavalier morisse, si dimostrasse così forte, Che, solo,
avesse posto i dieci a morte. La regina Orontea fece raccorrò n suo consiglio,
e disse: A noi conviene Sempre il miglior che ritroviamo, porre guardar nostri
porti e nostre arene; E per saper chi ben lasciar, chi tórre, Prova è sempre da
far, quando gli avviene; Per non patir con nostro danno a torto, Che regni il
vile, e chi ha valor sia morto. 48 A me par, se a voi par, che statuito Sia
ch'ogni cavalier per lo avvenire, Che fortuna abbia tratto al nostro lito,
Prima ch'ai tempio si faccia morire, Possa egli sol, se gli piace il partito, i
dieci alla battaglia uscire; £ se di tutti vincerli è possente, Guardi egli il
porto, e seco abbia altra gente. 49 Parlo cosi, perchè abbiam qui un prigione
Che par che vincer dieci s' ofFerisca. Quando, sol, vaglia tante altre persone,
Dignissimo è, per Dio, che s'esaudisca. Così in contrario avrà punizione,
Quando vaneggi e temerario ardisca. Orontea fine al suo parlar qui pose, A cui
delle più antique una rispose:52 Tra noi tenere un uom che sia si forte,
Contrario è in tutto al principal disegno. Se può un solo a dieci uomini dar
morte, Quante donne farà stare egli al segno? Se i dieci nostri fosser di tal
sorte, Il primo di n'avrebbon tolto il regno. Non è la via di dominar, se vuoi
Por l'arme in mano a chi può più di noi. 53 Pon mente ancor, che quando così
aiti questo tuo, che i dieci uccida, Di cento donne che de' lor mariti BJmarran
prive, sentirai le grida. Se vuol campar, proponga altri partiti, Ch'esser di
dieci gioveni omicida. Pur, se per far con cento donne è buono Quel che dieci
fariano, abbi' perdono. 54 Fu d'Artemia crudel questo il parere (Così avea
nome); e non mancò per lei Di far nel tempio Elbanio rimanere Scannato innanzi
agli spietati Dei. Ma la madre Orontea, che compiacere Volse alla figlia,
replicò a colei Altre ed altre ragioni, e modo tenne Che nel senato il suo
parer s' ottenne. 55 L'aver Elbanio di bellezza il vanto Sopra ogni cavalier
che fosse al mondo, Fu nei cor delle giovani di tanto. Ch'erano in quel
consiglio, e di tal pondo, Che '1 parer delle vecchie andò da canto, Che con
Artemia volean far secondo L'ordine antiquo; né lontan fu molto Ad esser per
favore Elbanio assolto. 56 Di perdonargli in somma fa concluso, Ma poi che I4
decina avesse spento, E che neir altro assalto fosse ad uso Di diece donne
baono, e non di cento. career V altro giorno fu dischiuso; E avuto arme e
cavallo a suo talento, Contra dieci guerrier, solo" si mise, E l'uno
appresso all'altro in piazza uccise. 57 Fu la notte seguente a prova Contra
diece donzelle ignudo e mìo, Dov' ebbe all' ardir suo si buon successo, Che
fece il saggio di tutto lo stuolo. E questo gli acquistò tal grazia appresso Ad
Oroutea, che Tebbe per figlinolo gli diede Alessandra e l'altre nove Con
ch'avea fatto le notturne prove. stanza 91. 58 E lo lasciò con Alessandra
bella, poi die nome a questa terra, erede, Con patto eh' a servare egli abbia
quella Legge, ed ogni altro che da lui succede:Che ciascun che giammai sua
fiera stella Farà qui por lo sventurato piede, Elegger possa, 0 in sacrificio
darsi, 0 con dieci guerrier, solo, provarsi. 59 E se gli avvien che'l di gli
uomini uccida, L% notte con le femmine si provi; E quando in questo ancor tanto
gli arrida La sorte sua, che vincitor si trovi, Sia del femmineo stuol priucipe
e guida, E la decina a scelta sua rinnovi, Con la qual regni, fin eh' un altro
arrivi, Che sia più forte, e lui di vita privi. 60 Appresso a dua mila auni il
costume empio Si è mantenuto, e si mantiene ancora; E sono pochi giorni che nel
tempio Uno infelice peregrin non mora. Se contra dieci alcun chiede, ad esempio
D'Elbanio, armarsi (che ve n'è talora), Spesso la vita al primo assalto lassa;
di mille uno all'altra prova passa. 61 Pur ci passano alcuni; ma si rari, Che
su le dita annoverar si ponno. Uno di questi fu Argilon; ma guari Con la decina
sua non fu qui donno; Che cacciandomi qui venti contrari, Gli occhi gli chiusi
in sempiterno sonno. Cosi fossi io con lui morto quel giorno, Prima che viver
servo in tanto scorno. 62 Che piaceri amorosi e riso e gioco, Che suole amar
ciascun della mia etade, Le purpore e le gemme, e l'aver loco agli altri nella
sna cittade, Potuto hanno, per Dio, mai giovar poco All'uom che privo sia di
libertade: E U non poter mai più di qui levarmi, Servitù grave e intollerabil
parmi. 63 II vedermi lograr dei miglior anni Il più bel fiore in si vile opra e
molle, Tienuni il cor sempre in stimulo e in affanni. Ed ogni gusto di piacer
mi tolle. fama del mio sangue spiega i vanni Per tutto '1 mondo, e fin al ciel
s' estolle:Che forse buona parte anch'io n'avrei, S' esser potessi coi fratelli
miei. 64 Parmi ch'ingiuria il mio destin mi faccia. Avendomi a sì vii servigio
eletto; Còme chi nell'armento il destrier caccia. Il qual d'occhi o di piedi
abbia difetto, O per altro accidente che dispiaccia, Sia fatto all' arme e a
miglior uso inetto:Né sperando io, se non per morte, uscire Di sì vii servitù,
bramo morire. 65 Ouidon qui fine alle parole pose, E maledì quel giorno per
isdegno, qual dei cavalieri e delle spose Gli die vittoria in acquistar quel
regno. Astolfo stette a udire, e si nascose Tanto, che si fé' certo a più d'un
segno, Che, come detto avea, questo Guidone figliuol del suo parente Amone. 66
Poi gli rispose: Io sono il duca inglese. Il tuo cugino Astolfo; ed
abbracciollo, con atto amorevole e cortese, Non senza sparger lagrime,
baciollo. parente mio, non più palese madre ti potea por segno al collo; Ch' a
farne fede che tu sei de' nostri, Basta il valor che con la spada mostri. 67 Guidon,
ch'altrove avria fatto gran festa D'aver trovato un sì stretto parente, Quivi
l'accolse con la faccia mesta, Perchè fu di vedervilo dolente. Se vive, sa
ch'Astolfo schiavo resta, Né il termine è più là chel dì seguente; Se fia
libero Astolfo, ne more esso: Si che'l ben d'uno é il iQal dell'altro espresso.
Gli duol che gli altri cavalieri ancora Abbia, vincendo, a far sempre captivi.
Né più, quando esso in quel contrasto mora. Potrà giovar che servitù lor
schivi; Che se d'un fango ben li porta fiiora, E poi s' inciampi come all'
altro arrivi, Avrà lui senza prò vinto Marfisa; Ch' essi pur ne fien schiavi,
ed ella uccisa. 69 Dall'altro canto avea l'acerba etade, La cortesia e il valor
del giovinetto D'amore intenerito e di pietade a Marfisa ed ai compagni il
petto, Che, con morte di lui lor libertade Esser dovendo, avean quasi a
dispetto: E se Marfisa non può far con manco, Ch' uccider lui, vuol essa morir
anco. 70 Ella disse a Guidon: Yientene insieme Con noi, eh' a vìva forza
uscirem quinci. Deh, rispose Guidon, lascia ogni speme mai più uscirne, o perdi
meco o vinci. Ella soggiunse: Il mio cor mai non teme Di non dar fine a cosa
che cominci; Né trovar so la più sicura strada Di quella ove mi sia guida la
spada. 71 Tal nella piazza ho il tuo valor provato, Che, s' io son teco,
ardisco ad ogn' impresa. Quando la turba intomo allo steccato Sarà domani in
sul teatro ascesa, Io vo'che l'uccidiam per ogni lato, 0 vada in fuga o cerchi
far difesa, E ch'indi ai lupi e agli avoltoi del loco LasciamoM corpi, e la cittade
al foco. 72 Soggiunse a lei Guidon: Tu m'avrai pronto A seguitarti, ed a
morirti accanto. Ma vivi rimaner non facciam conto; Bastar ne può di vendicarci
alquanto:Che spesso dieci mila in piazza conto Del popol femminile; ed
altrettanto Resta a guardare e porto e ròcca e mura, Né alcuna via d'uscir
trovo sicura. 73 Disse Marfisa: E molto più sieuo elle uomini che Serse ebbe
già intomo, E sieno più dell'anime ribelle Ch'uscir del ciel con lor perpetuo
scorno; Se tu sei meco, o almen non sie con quelle, Tutte le voglio uccidere in
un giorno. Guidon soggiunse: Io non ci so via alcuna Oh' a valer n'abbia, se
non vai quest'una. 74 Né può sola salvar, se ne succede, Qaestuna chMo dirò,
ch'or mi sovviene. Fuor eh' alle donne, uscir non si concede, Né metter piede
in su le salse arene:per questo commettermi alla fede D'una delle mie donne mi
conviene. Del cui perfetto amor fatta ho sovente Più prova ancor, ch'io non
farò al presente. 75 Non men di me tormi costei disia Di servitù, purché ne
venga meco: Che cosi spera, senza compagnia Delle rivali sue, ch'io viva seco.
Ella nel porto o fusta o saettia Farà ordinar, mentre è ancor l'aer cieco, Ohe
i marinari vostri troverannoAcconcia a navigar, come vi vanno. 76 Dietro a me
tutti in un drappel ristretti. Cavalieri, mercanti e galeotti, Ch'ad albergarvi
sotto a questi tetti. Meco, vostra mercè, sete ridotti, Avrete a farvi ampio
sentier coi petti, Sedei nostro cammin siamo interrotti: Cosi spero, aiutandoci
le spade, Ch'io vi trarrò della crudel cittade. 77 Tu fa come ti par, disse
Marfisa, Ch'io son per me d'uscir di qui sicura. Più facil fia che di mia mano
uccisa La gente sia, eh' è dentro a queste mura. Che mi veggi' fuggire, o in
altra guisa Alcun possa notar eh' abbi' paura. Vo' uscir di giorno, e sol per
forza d'arme; Che per ogni altro modo obbrobrio parme. 78 S'io ci fossi per
donna conosciuta, So eh' avrei dalle donne onore e pregio;E volentieri io ci
sarei tenuta, E tra le prime forse del collegio: Ma con costoro essendoci
venuta, Non ci vo' d'essi aver più privilegio. Troppo error fora ch'io mi
stessi o andassi, e gli altri in servitù lasciassi. 79 Queste parole ed altre
seguitando. Mostrò Marfisa che '1 rispetto solo Ch'avea al periglio de'
compagni (quando Potria loro il suo ardir tornare in duolo) La tenea che con
alto e memorando Segno d'ardir non assalia lo stuolo: E per questo a Guidon
lascia la cura D'usar la via che più gli par sicura. 80 Guidon la notte con
Aleria parla (Così avea nome la più fida moglie) Né bisogno gli fu molto
pregarla; Che la trovò disposta alle sue voglie. Ella tolse una nave e fece
armarla, E v' arrecò le sue più ricche spoglie, Fingendo di volere al nuovo
albore Con le compagne uscire in corso fuore. 81 Ella avea fatto nel palazzo
innanti Spade e lance arrecar, corazze e scudi, Onde armar si potessero i
mercanti E i galeotti ch'eran mezzo nudi. Altri dormirò, ed altri stér vehiantì
Compartendo tra lor gli ozi e gli studi; Spesso guardando, e pur con l'arme
indo&yj Se l'oriente ancor si facea rosso. 82 Dal duro volto della terra il
sole • Non tollea ancora il velo oscuro ed atro Appena avea la Licaonia prole
Per li solchi del ciel volto l'aratro; Quando il femmineo stuol, che veder
vu')!c Il fin della battaglia, empi il teatro. Come ape del suo claustro empie
la soglia, mutar regno al nuovo tempo voglia. 83 Di trombe, di tambur, di suon
di corni Il popol risonar fa cielo e terra. Cosi citando il suo signor, che
tomi A terminar la incominciata guerra. Aquìlante e Grifon stavano adorni Delle
lor arme, e il duca d'Inghilterra, Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti Gli
altri, chi a piedi e chi a cavallo instrutti. 84 Per scender dal palazzo al
mare e al port > La piazza traversar si convenia; Né v' era altro cammin
lungo né corto:Cosi Guidon disse alla compagnia. poi che di ben far molto
conforto Lor diede, entrò senza rumore in vìa; E nella piazza dove il popol
era, S'appresentò con più di cento in schiera. 85 Molto affrettando i suoi
compagni, andava Guidone all'altra porta per uscire: Ma la gran moltitudine che
stava Intorno armata, e sempre atta a ferire, Pensò, come lo vide che menava
Seco quegli altri, che volea fuggire; E tutta a un tratto agli archi suoi
ricorse, E parte, onde s' uscia, venne ad opporse. 86 Guidone e gli altri
cavalier gagliardi, E sopra tutti lor Marfisa forte. Al menar delle man non
fnron tardi, E molto fér per isforzar le porte: lIa tanta e tanta copia era dei
dardi Cbe, con ferite dei compagni e morte, Pioveano lor di sopra e d ogn'
intorno, Ch' alfin temean d'averne danno e scorno. 2 Ma che direte del già tanto
fiero Cor dì Marfisa e di Gnidon Selvaggio? Dei dna giovini figli d Oliviero,
Che già tanto onoraro il lor lignaggio? Già cento mila avean stimato un zero; E
in fuga or se ne van senza coraggio, l'ome conigli o timidi colombi, A cui
vicino alto rumor rimbombi. 87 D'ogui guerrìer T usbergo era perfetto; Che se
non era, avean più da temere. Fu morto il destrier sotto a Sinsontto; Quel di
Marfisa v ebbe a rimanere. Astolfo tra sé disse: Ora, ch aspetto Che mai mi
possi il corno più valere? Io vo' veder, poiché non giova spada, io so col
corno assicurar la strada. 88 Come aiutar nelle fortune estreme si suol, si
pone il corno a bocca. che la terra e tutto '1 mondo trieme, Quando Porribil
suon neiraria scocca. Sì nel cor della gente il timor preme, per disio di fuga
si trabocca Giù del teatro sbigottita e smorta, Non che lasci la guardia della
porta. Come talor si getta e si periglia E da finestra e da sublime locoL
esterrefatta subito famiglia. Che vede appresso e d'ogn intomo il fuoco, Che,
mentre le tenea gravi le ciglia Il pigro sonno, crebbe a poco a poco;Così,
messa la vita in abbandono, Ognun f uggia lo spaventoso suono. 90 Di qua di là,
di su di giù smarrita Surge la turba, e di fuir procaccia:Son più dì mille a un
tempo ad ogni uscita; Cascano a monti, e Puna l'altra impaccia. In tanta calca
perde altra la vita:palchi e da finestre altra si schiaccia:Più d'un braccio si
rompe e d'una testa. Di eh' altra morta, altra storpiata resta. stanza 109. 91
II pianto e '1 grido insino al ciel saliva, D'alta mina misto e di fracasso.,
ovunque il suon del corno arriva, La turba spaventata in fuga il passo. udite
dir che d'ardimento priva La vii plebe si mostri e di cor basso, Non vi
maravigliate; che natura È della lepre aver sempre paura. 93 Cosi noceva ai
suoi, come agli strani La forza che nel comò era incantata., Guidone e i duo
germani Fuggon dietro a Marfisa spaventata; fuggendo ponno ir tanto lontani.
Che lor non. sia l'orecchia anco intronata. Scorre Astolfo la terra in ogni
lato, Dando via sempre al corno maggior fiato. 94 Chi scese al mare, e chi
poggilo su al monte, E chi tra i boschi ad occultar si venne: Alcuna, senza mai
volger la fronte, Fuggir per dieci di non si ritenne:Usci in tal punto alcuna
fuor del ponte . ChMn vita sua mai più non vi rivenne: Sgombraro inmodoe piazze
e templi e case, Che quasi vota la città rimase. 06 Marfisa e'I buon Guidone e
i duo fratelli E Sansonetto, pallidi e tremanti, Fuggiano inverso il mare, e
dietro a quelli Fuggiano i marinari e i mercatanti; Ove Aleria trovar, che fra i
castelli Loro avea un legno apparecchiato innanti. Quindi, poi eh in gran
fretta gli raccolse, Die i remi air acqua, ed ogni vela sciolse. 96 Dentro e
dintorno il duca la cittade Avea scorsa dai colli insino alPonde; Fatto avea
vote rimaner le strade; Ognun lo fugge, ognun se gli nasconde. trovate fur, che
per viltade S' eran gittate in parti oscure e immonde; E molte, non sappiendo
ove s'andare, Messesi a nuoto ed affogate in mare. 97 Per trovare i compagni il
duca viene, si credea di riveder sul molo. Si volge intorno, e le deserte arene
Guarda per tutto, e non v'appare un solo. Leva più gli occhi, e in alto a vele
piene Da sé lontani andar li vede a volo:Si che gli convien fare altro disegno
Al suo cammin, poiché partito é il legno. 98 Lasciamolo andar pur: né vi
rincresca Che tanta strada far debba soletto Per terra d'infedeli e barbaresca.
Dove mai non si va senza sospetto: Non é periglio alcuno, onde non esca Con
quel suo corno, e n'ha mostrato effetto: E dei compagni suoi pigliamo cura.
Ch'ai mar fuggian tremando di paura. 99 A piena vela si cacciaron Innge crudele
e sanguinosa spiaggia; E, poi che di gran lunga non li giunge L'orribil suon
ch'a spaventar più gli aggia, Insolita vergogna si li punge, Che, com'un fuoco,
a tutti il viso raggia: L'un non ardisce a mirar l'altro, e stassi Tristo,
senza parl, eoa gli occhi bassi. 100 Passa il nocchiero, al suo viaggio
intenta. E Cipro e Rodi, e giù per l'onda Egea Da sé vede fuggire isole cento
Col periglioso capo di Malea; E con propizio ed immutabil vento Asconder vede
la greca Morea: Volta Sicilia, e per lo mar tirreno Costeggia dell' Italia il
lite ameno:101 E sopra Luna ultimamente sorse, Dove lasciato avea la sua
fEuniglia; Dìo ringraziando, che '1 pelago corse Quindi un nocchier trovar per
Francia sdorse. Il qual di venir seco li consiglia: E nel suo legno ancor quel
dì montare, Ed a Marsilia in breve si trovare. 102 Quivi non era Bradamante
allora, Che se vi fosse, a far seco dimora avria sforzati con parlar cortese.
Sceser nel lito, e la medesima ora Dai quattro cavalier congedo prese Marfisa,
e dalla donna del Selvaggio; E pigliò alla ventura il suo viaggio, Dicendo che
lodevole non era andasser tanti cavalieri insieme:Che gli storni e i
colombivanno in schiera. I daini e i cervi e ogni animai che teme; Ma l'audace
falcon, l'aquila altiera, Che nell'aiuto altrui non metton speme, Orsi, tigri,
leon, soli ne vanno, Che di più forza alcun timor non hanno. Nessun degli altri
fu di quel pensiero: ch'a lei sola toccò a far partita. Per mezzo i boschi e
per strano sentiero Dunque ella se n'andò sola e romita. Grifone il bianco ed
Aquilante il nero con gli altri duo la via più trita, E giunsero a un castello
il di seguente, Dove albergati fur cortesemente. 105 Cortesemente io dico in
apparenza, Ma tosto vi sentir contrario effetto; Che '1 signor del castel,
benevolenza Fingendo e cortesia, lor die ricette; E poi la notte, che sicuri
senza Timor dormian, li fé' pigliar nel letto; Né prima li lasciò, che
d'osservare Una costuma ria li fé' giurare, 106 Ma Yo'segair la bellicosa
donna. Prima, signor, che di costor più dica. Passò Druenza, il Rodano e la
Sonna, venne appiè d'una montagna aprica. Quivi lungo nn torrente in negra
gonna Vide venire nna femmina antica, Che stanca e lassa era di lunga via, Ma
via più afflitta di malenconia. 107 Questa è la vecchia che solea servire Ai
malandrin nel cavernoso monte, dove alta giustizia fé venire E dar lor morte il
paladino conte. La vecchia,che timore ha di morire Per le cagion che poi vi
saran conte, Già molti di va per via oscura e fosca, 112 Ma poi che fu levato
di sul colle L'incantato Castel del vecchio Atlante, E che potè ciascuno ire
ove volle. opra e per virtù di Bradamante; Costei, ch'alli disii facile e molle
Di Pinabel sempre era stata innante, Si tornò a lui, ed in sua compagnia Non si
potè tenere a bocca chiusa Di non la motteggiar con beffe e risa. Marfisa
altiera, appresso a cui non s'usa Sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa.
Rispose d'ira accesa alla donzella. Che di lei quella vecchia era più bella;
108 Quivi d'estrano cavalier sembianza L'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese; E
perciò non fuggì, com'avea usanza dagli altri eh' eran del paese; Anzi con
sicurezza e con baldanza Si fermò al guado, e di lontan l'attese:La vecchia le
usci incontra, e salutolla. 114 E ch'ai suo cavalier volea provallo. Con patto
di poi tórre a lei la gonna Gittava il cavalier di ch'era donna. Pinabel che
faria, tacendo, fallo. Di risponder con l'arme non assonna:Poi vien Marfisa a
ritrovar con ira. 109 Poi la pregò che seco oltr' a quell' acque Nell'altra
ripa in groppa la portasse.Marfisa, che gentil fu da che nacque, Di là dal
fiumicel seco la trasse; E portarla anch' un pezzo non le spiacque. Fin eh' a
miglior cammin la ritornasse, Fuor d'un gran fango; e al fin di quel sentiero Si
videro all'incontro un cavaliere. 11.5 Marfisa incontra una gran lancia
afferra, E nella vista a Pinabel l'arresta, E sì stordito lo riversa in terra,
Che tarda un'ora a rilevar la testa. Marfisa, vincitrice della guerra. Fé'
trarre a quella giovane la vesta, ogn' altro ornamento le fé' porre, E ne fé'
il tutto alla sua vecchia tórre:II cavalier su ben guernita sella, Di lucide
arme e di bei panni ornatj, Verso il fiume venia, da una donzella E da un solo
scudiero accompagnato. donna ch'avea seco, era assai bella, Ma d'altiero
sembiante e poco grato, Tutta d'orgoglio e di fastidio piena, Del cavalier ben
degna, che la mena. 116 E di quel giovenile abito volse Che si vestisse e se
n'ornasse tutta; E fé' che '1 palafreno anco si tolse, Che la giovane avea quivi
condutta. Indi al preso cammin con lei si volse, Che quant'era più ornata, era
più brutta. Tre giorni se n' andar per lunga strada, Senza far cosa onde a
parlar m'accada. IH Pinabello, un de' conti maganzesi, Era quel cavalier eh'
ella avea seco; Quel medesmo che dianzi a pochi mesi Bradamante gittò nel cavo
speco. Quei sospir, quei singulti cosi accesi, Quel pianto che lo fé' già
quasicieco, Tutto fu per costei eh' or seco avea, Che '1 negromante allor gli
ritenea. 117 U quarto giorno un cavalier trovare. venia in fretta galoppando
solo. Se di saper chi sia forse v' è caro, eh' è Zerbin, di re figliuolo, Di
virtù esempio e di bellezza raro. Che sé stesso rodea d'ira e di duolo Di non
aver potuto far vendetta D'un che gli avea gran cortesia interdetta. 118
Zerbino indarno per la selva corse Dietro a quel suo che gli avea fatto
oltraggio; Ma si a tempo colui seppe via torse, Si seppe nel fuggir prender
vantaggio, Si il bosco e si una nebbia lo soccorse, Ch' avea offuscato il
mattutino raggio, di man di Zerbin si levò netto, Finché Tira e il furor gli
uscì del petto. 119 Non potè, ancor che Zerbin fosse iratx), Tener, vedendo
quella vecchia, il riso; Che gli parca dal giovenile ornato Troppo diverso il
brutto antiquo viso; Ed a Marfisa, che le venia a lato, Che damigella di tal
sorte guidi. non temi trovar chi te la invidi. 120 Avea la donna (se la crespa
buccia PuA dame indicio) più della Sibilla, E parca, cosi ornata, una
bertnccia, Ed or più brutta par, che si corruccia, E che dagli occhi Tira le
sfavilla; Ch'a donna non si fa maggior dispetto, Che quando o vecchia o brutta
le vieu detto 121 Mostrò torbarse V inclita donzella, Per prenderne piacer,
come si prese:E rispose a Zerbin: Mia donna è bella. Per Dio, via più che tu
non sei cortese: Comech'io creda che la tua favella quel che sente V animo non
scese:fingi non conoscer sua beltade, Per escusar la tua somma viltade. E chi
saria quel cavalier che questa Si giovane e sì bella ritrovasse Senza più
compagnia nella foresta, che di farla sua non si provasse?Sì ben, disse Zerbin,
teco s'assesta, saria mal eh' alcun te la levasse:Ed io per me non son così
indiscreto, Che te ne privi mai: stanne pur lieto. 123 S'in altro conto aver
vuoi a far meco. quel ch'io vaglio son per farti mostra: per costei non mi
tener sì cieco,Che solamente far voglia una giostra. 0 brutta o bella sia,
restisi teco: vò' partir tanta amicizia vostra. Com' ella è bella, tu gagliardo
sei. 124 Soggiunse a lui Marfisa: Al tuo dispetti". Di levarmi costei
provar convienti.Non vo' patir ch'un sì leggiadro aspetto Abbi veduto, e
guadagnar noi tenti Rispose a lei Zerbin: Non so a ch'effetto L'uom si metta a
periglio e si tormenti Per riportarne una vittoria poi, Che giovi al vinto, e
al vincitore annoi. Se non ti par questo partito buono, ne do un altro, e
ricusar noi dèi (Disse a Zerbin Marfisa): che s'io sono Vinto da te, m' abbia a
restar costei; Ma s' io te vinco, a forza te la dono. Dunque proviam chi de'
star senza lei. Se perdi, converrà che tu le faccia Compagnia sempre, ovunque
andar le piaccia. 126 E cosi sia, Zerbin rispose; e volse pigliar campo subito
il cavallo. Si levò su le staffe, e si raccolse Fermo in arcione; e per non
dare in fallo. Lo scudo in me7zo alla donzella colse; Mar parve urtasse un
monte di metallo: Ed ella in guisa a lui toccò l'elmetto. Che stordito il mandò
di sella netto. 127 Troppo spiacque a Zerbiu Tesser caduto, altro scontro mai
più non gli avvenne, E n'avea mille e mille egli abbattuto; Ed a perpetuo
scorno se lo tenne. Stette per lungo spazio in terra muto; E più gli dolse poi
che gli sovvenne Ch'avea promesso e che gli convenia Aver la bratta vecchia in
compagnia. Tornando a lui la vincitrice in sella, Disse ridendo: Questa t'
appresento; E quanto più la veggio e grata e bella, Tanto, eh ella sia tua, più
mi contento. Or tu in mio loco sei campion di quella; Ma la tua fé non se ne
porti il vento, Che per sua guida e scorta tu non vada, Come hai promesso,
ovunque andar l'aggrada. 129 Senza aspettar risposta urta il destriero Per la
foresta, e subito s' imbosca. Zerbin, che la stimava un cavaliero, Dice alla
veccbia: Fa eh' io lo conosca. Ed ella non gli tiene ascoso il vero, Onde sa
che lo'ncende e che l'attosca: Il colpo fu di man d'una donzella, Che t' ha
fatto votar, disse, la sella. 130 Pel suo valor costei debitamente E venuta è
pur dianzi d'oriente di questo tal vergogna sente, Cbe non pur tinge di rossor
la guancia, Ma restò poco di non farsi rosso Seco ogni pezzo d'arme ch'avea
indosso. 131 Monta a cavallo, e sé stesso rampogna. Che non seppe tener strette
le cosce. sé la vecchia ne sorride, e agogna Di stimularlo e di più dargli
angosce. Gli ricorda eh' andar seco bisogna:E Zerbitì, cb' obbligato si
conosce, L'orecchie abbassa, come vinto e stanco Destrier c'ha in bocca il
fren, gli sproni al fianco. 132 E sospirando: Oimé, fortuna fella, Dìcea, cbe
cambio é questo che tu fai? Colei che fu sopra le belle bella. meco dovea,
levata m'hai. Ti par ch'in luogo ed in ristor di quella debba por costei eh'
ora mi dai?in danno del tutto era men male, Che fare un cambio tanto diseguale.
133 Colei che di bellezze e di virtuti Unqua non ebbe e non avrà mai pare, e
rotta tra gli scogli acuti Hai data ai pesci ed agli augei del mare; E costei,
che dovria già aver pasciuti Sotterra i vermi, hai tolta a preservare Dieci 0
venti anni più che non dovevi, Per dar più peso agli mie' affanni grevi. stanza
116. 134 Zerbin cosi parlava; né men tristo In parole e in sembianti esser
parea Di questo nuovo suo sì odioso acquisto, die della donna che perduta avea.
La vecchia, ancorché non avesse visto Mai più Zerbin, per quel eh' ora dicea,
S'avvide esser colui di che notizia Le diede già Isabella di Galizia. 135 Se 1
vi ricorda quel ch'avete udito, Costei dalla spelonca ne veniva, Dove Isabella,
che d'amor ferito Zerbino avea, fu molti di captiva. Più volte ella le avea già
riferito Come lasciasse la patema riva, E come rotta in mar dalla procella, Si
salvasse alla spiaggia di Rocella. Stanza 144. 186 E si spesso dipinto di
Zerbino Le avea il bel viso e le fattezze conte, Ch'ora udendol parlare, e più
vicino Oli occhi alzandogli meglio nella fronte, Vide esser qnel per cui sempre
meschino Fu d'Isabella il cor nel cavo monte; Che di non veder lui più si
lagnava, Che d'esser fatta ai malandrini schiava. 137 La vecchia, dando alle
parole ndieozi, Che con sdegno e con duol 2ierbino versa. S'avvede ben ch'egli
ha falsa credenza Che sia Isabella in mar rotta e sommersa: E, bench' ella del
certo abbia scienza, Per non lo rallegrar, pur la perversa Quel che far lieto
lo potria gli tace, E sol gli dice quel che gli dispiace. 188 Odi tu, gli
diss'ella, tu che sei Cotanto altier, che si mi schemi e sprezzi: Se sapessi
che nuova ho di costei morta piangi, mi faresti vezzi; Ma, piuttosto che
dirtelo, torrei Che mi strozzassi, o fèssi in mille pezzi, Dove, s' eri ver me
più mansueto, Forse aperto t'avrei questo secreto. 189 Come il mastin che con
furor s'avventa Addosso al ladro, ad acchetarsi è presto, quello o pane o cacio
gli ap presenta, 0 che fa incanto appropriato a questo; Cosi tosto Zerbino umil
diventa, E vien bramoso di sapere il resto, Che la vecchia gli accenna che di
quella, Che morta piange, gli sa dir novella. 140 E, vólto a lei con più
piacevol faccia. La supplica, la prega, la scongiura Per gli uomini, per Dio,
che non gli taccia Quanto ne sappia, o buona o ria ventura. Cosa non udirai che
prò ti faccia, Disse la vecchia pertinace e dura: Non è Isabella, come credi,
morta; Ma viva si, eh' a' morti invidia porta. 141 É capitata in questi pochi
giorni, Che non n'udisti, in man di più di venti: Si che, qualora anco in man
tua ritorni, Ve' se sperar di córre il fior convieutL Ah vecchia maladetta,
come adomi La tua menzogna ! e tu sai pur se menti Sebben in man di venti eli'
era stata. Non l'avea alcun però mai violata. 142 Dove l'avea veduta domandolle
Zerbino, e quando; ma nulla n'invola. Che la vecchia ostinata più non volle,
quel eh' ha detto, aggiungere parola. Prima Zerbin le fece un parlar molle; Poi
minacciolle di tagliar la gola: Ma tutto è invan ciò che minaccia e prega; Che
non può far parlar la bratta strega. Lasciò la lina all'ultimo in riposo
Zerbin, poiché 1 parlar gli giovò poco; Per quel ch'udito avea tanto geloso,
Che non trovava il cor nel petto loco; D'Isabella trovar si disioso, Che saria
per vederla ito nel foco:Ma non poteva andar più che volesse Colei, poich'a
Marfisa lo promesse. 144 E quindi per solingo e strano calle, Dove a lei
piacque, fu Zerbin condotto; Né per o poggiar monte, o scender valle, Mai si
guardaro in faccia, o si fèr motto. Ma poi ch'ai mezzodì volse le spalle Il
vago sol, fu il lor silenzio rotto Da un cavalier che nel cammin scontrare.
Quel che seguì, nell'altro Canto è chiaro. NOTBL St. 1. V.57. Arpalice, figlia
del re di Tracia, di fese valoroHamente il regrio del padre contro Neottole mo,
figlio d'Achille. Camilla è V amabile eroina ùéì Eneide: figlia di Metabo re de
Volsci, diede assistenza a Tomo re de'Butali nella guerra contro il troiano
Enea. Saffò e Corinna, famose poetesse di Grecia:della prima vivono alcuni
frammenti poetici, e il metro saffico: di Corinna, se il Poeta ha inteso la
tebana, questa dicesi avere più d una volta superato Pindaro nel verseggiare.
St. 5. V.68. Il freddo Ponto: regione settentrio dell'Asia minore, ove regnò
Mitridate. Nel medio evo vi fu fondato l'impero di Trebisonda; e fingono i
romanzi che ivi Rinaldo e altri paladini facessero gran prove di valore. Jl
cavalier ch'uccise Almonte: Or . St. 6. v.16. E quel ch'a Chiarello, ecc.:
Rinaldo. Eusino: il mar Nero, detto dai Latini Eiixinua, In esso si scarica il
Danubio (Istro) per varj rami (coma), che formano un delta, chiamato Bogaao. Al
duca ecc. Anche qui il Poeta si discosta dalla genea logia degli eroi
romantici, nella quale Ouidon Selvaggio posto come figlio di Rinalio, e quindi
nipote del duca A mone. St. 7. V.27. Noto: vento meridionale, altrimenti Ostro,
Melibea: città della Tessaglia, ricordata da Virgilio. St. 9. V.2. Tenitoro:
luogo soggetto a domina zione altrui; oggi territorio, distretto. St. 12. V.8.
Come piace a colei, ecc.: alla Fortuna. St. 13. V.2. Clitemnestra: meritamente
è detta, perchè tolse la vita al proprio marito Agamen none per compiacere ad
Egisto suo amante. Essa poi fu uccisa involontariamente dal figliuolo Oreste;
di che egli divenne ftirioso. St. 14. V.2. Chiama crudo Idomeneo, perchè tor
nato da Troia sacrificò lo stesso suo figlinolo per voto che aveva fatto d
immolare il primo che incontrasse tornando in patria. Ivi. V.6. Falanto parti
veramente di Grecia con molti giovani compagni, e fondò, secondo credesi, iu
Italia Tarento, ossia Taranto. Egli però non era nito, come dice l'Ariosto, da
Clitemnestra, né durante la guerra di Troia; ma come tutti gli altri costretti
ad esular con lui, nasceva dagU amori illegittimi deUe donne spar tane nelle
lunghe assenze dei mariti, per le guerre messe niche. Ivi. V.8. Dictea, città
di Creta appiè del monte Ditte, dove i favoleggiatori pongono il famoso
Laberino fabbricato da Dedalo. St. 26. V.3. Discorsi: discorrimenti, correnti.
St. 42. V.56. Non concedo però che qui Medea, ecc.:nome espresso a significare crudelissima
donna. Medea, figlia del re di Coleo, fuggita con Giasone dalla casa patema,
uccise Assirto piccolo suo fratello, fece morire tra le fiamme Creusa, figlia
di Creonte re di Corinto, e tutta quella famiglia; alla fine tmcidò i due
figlioletti che aveva avuti da Giasone. St. 8. v.2. La città di queste nuove
Amazzoni è nominata ancora Alessandretta. St. 71. V.2. Ardisco ad ogni impresa.
V'è sott'in teso mettermi, o espormi. St. 73. V.2. JJegli uomini, ecc.: del
numerosissimo esercito con cui Serse tentò di sottomettere la Grecia. St. 75.
V.5. Saettia: piccol naviglio, velocissimo al corso. St. 82. V.31 ia Licaonia
prole. Intende Calisto, di Licaone, altra volta ricordata, e Arcade nato da
essa e da Giove, che converti amendue neUe due costellazioni boreali denominate
Orsa maggiore e Orsa . L' una e V altra hanno apparenza di aratro o carro, e
sono visibili fino allo spuntar delPalba; quindi la locuzione di questi versi
importa: appena cominciava a farsi giorno. St. 100. V.34. Son le isole deU' Arcipelago
greco Capo di Malea: promontorio meridionale della Laconia, dai Latini Malcea,
ora Capo Mailo o Capo Sant'An gelo, pericoloso per gli scogli ond'è attorniato.
St. 106. V.3. Druensa: la Durenza. Sonna: la Saona, due influenti nel Rodano.
St. U3. V.1. Vezzosa: qui leziosa, sazievole. St. 144. V.6. JZ vago sol:
errante, che gira. ESIMOPRIMO. Zarbiiio per dLfeDcliìr Gabrlon, vifliic ft
cDtete eon ErsoBÌde e lo feriate dì colpo mot tale. Il wìnto raccanta >
Z"rlnii" le tfceUeiiisgiiii (luUa vecchia; ma non potando veDliroe
aJl" pei racerbirii della pbga, si fa tra3|iortarc &liit>ve. Z bino
e la vecchia, nel co seguire il cammino, (ono frago tli battaglia, o vcr.o
Quello sì avviano. Né fune iuiortu crederò eli e strin Soma iiiiì uè aam lgno
chiudo, Cttmù la fé eli' tiTia l>eli' alma cin Del siui teuacé imlissolubil
nodo, è chi gli autiqnì par che ai dipinga La anta Fé vestitna in altro
modu" Che dMm vel bianco che la cuupra tutta; Chìin sol punto, un sol neo
la può far brutta: La fede uncina non debbe efl"er correità, 0 data a uu
solo, u data infìeme a mille } E coi in una t?tlvft, in una grotta Lontan dalle
cittadi e dalle ville, Come diuami a' i ri bua ali, iu frotta Di fentimon, di
scritti e di postilie 6enzii giurare, u segno altro più espresso, Basti mia
volta che scabbia promesso. Quella serrò, come serrar si debba In ogni impresa,
il cavalier Zerbino:£ quivi dimostrò che conto n'ebbe, Quando si tolse dal
proprio cammino, Per andar con costei, la qual gV increbbe, Come s'avesse il
morbo sì vicino, Oppur la morte istessa; ma potea, Più che'l disio, quel che
promesso avea. 4 Dissi di lui, che di vederla sotto La sua condotta tanto al
cor gli preme, Che n' arrabbia di duol, né le fa motto:E vanno muti e taciturni
insieme: Dissi che poi fu quel silenziorotto,Ch'ai mondo il sol mostrò le ruote
estreme, Da un cavaliero avventuroso errante, Ch'in mezzo del cammin lor si fé
innante. 5 La vecchia che conobbe il cavaliero, Ch'era nomato Ermonide
d'Olanda, Che per insegna ha nello scudo nero Attraversata una vermiglia banda.
Posto l'orgoglio e quel sembiante altiero, Umilmente a Zerbin si raccomanda, E
gli ricorda quel ch'esso promise Alla guerriera ch'in sua man la mise; 6 Perchè
di lei nimico e di sua gente Era il guerrier che centra lor venia:Ucciso ad
essa avea il padre innocente, E un fratello che solo al mondo avia; E
tuttavolta far del rimanente. Come degli altri, il traditor disia. Fin eh' alla
guardia tua, donna, mi sentì, Dicea Zerbin, non vo'che tu paventi. 7 Come più
presso il cavalier si specchia lu quella faccia che si in odio gli era: 0 di
combatter meco t'apparecchia. Gridò con voce minacciosa e fiera, 0 lascia la
difesa della vecchia. Che di mia man secondo il meito pera. Se combatti per
lei, rimarrai morto; Che così avviene a chi s'appiglia al torto. 8 Zerbin
cortesemente a lui risponde, Che gli è desir di bassa e mala sorte, Ed a
cavalleria non corrisponde. Che cerchi dare ad una donna morte:Se pur combatter
vuol, non si nasconde: Ma che prima consideri eh' importe Ch'un cavalier,
com'era egli, gentile, Voglia por man nel sangue femminile. Queste gli disse e
più parole invano; E fu bisogno alfin venire a' fatti. Poi che preso abbastanza
ebbon del piano, Tornarsi incontra a tutta briglia ratti. Non van sì presti i
razzi fuor di mano, Ch' al tempo son delle allegrezze tratti, Come andaron
veloci i duo destrieri Ad incontrare insieme i cavalieri. stanza 4. 10 Ermonide
d' Olanda segnò basso . Che per passare il destro fianco attese:Ma la sua debol
lancia andò in fracasso, E poco il cavalier di Scozia offese. Non fu già
l'altro colpo vano e casso: Ruppe lo scudo, e sì la spalla prese. Che la forò
dall' uno all' altro lato, E riversar fé Ermonide sul prato. 11 Zerbin, che si
pensò d'averlo ucciso, Di pietà vinto, scese in terra presto, E levò l'elmo
dallo smorto viso; E quel guerrier, come dal sonno desto, Senza parlar guardò
Zerbino fiso; E poi gli disse: Non m'è già molesto Ch' io sia da te abbattuto,
eh' ai sembianti Mostri esser fior de' cavalieri erranti; 12 Ma ben mi duol che
questo per cagione ' Dona femmina perfida m avviene, A cui non so come tu sia
campione, Che troppo al tuo valor si disconviene. E quando tu sapessi la
cagione CVa vendicarmi di costei mi mene, Avresti, ognorche rimembrassi,
affanno D' aver, per campar lei, fatto a me danno. 13 E se spirto abbastanza
avrò nel petto, Oh' io il possa dir (ma del contrario temo), Io ti farò veder
chMu ogni effetto Scellerata è costei più ch'in estremo. 10 ebbi già un fratel
che giovinetto D'Olanda si parti, d'onde noi semo; E si fece d'Eraclio
cavaliere, Ch' allor tenea de' Greci il sommo impero. 14 Quivi divenne
intrinseco e fratello D'un cortese baron di quella corte, Che nei confin di
Servia avea un castello Di sito ameno, e di muraglia forte. Nomossi Argéo colui
di ch'io favello. Di questa iniqua femmina consorte, La quale egli amò si, che
passò il segno Ch'à un uom si convenìa, come lui, degno. 15 Ma costei, più
volubile che foglia Quando l'autunno è più priva d'umore, Che'l freddo vento
gli arbori ne spoglia, E le soffia dinanzi al suo furore; Verso il marito
cangiò tosto voglia, Che fisso qualche tempo ebbe nel core; £ volse ogni
pensiero, ogni disio D'acquistar per amante il fratel mio. 16 Ma né si saldo
all'impeto marino L'Acrocerauno d'infamato nome, Né sta si duro incontra Borea
il pino Che rinnovato ha più di cento chiome. Che quanto appar fuor dello
scoglio alpino, Tanto sotterra ha le radici; come 11 mio fratello a' prieghi di
costei, Nido di tutti i vizj infandi e rei. 17 Or, come avviene a un cavalier
ardito, Che cerca briga e la ritrova spesso, Fu in una impresa il mio fratel
ferito, Molto al Castel del "uè compagno appresso, Dove venir senza
aspettare invito Solea, fosse o non fosse Argéo con esso:E dentro a quel per
riposar fermosse Tanto, che del suo mal libero fosse. 18 Mentre egli quivi si
giaoea, convenne Ch'in certa sua bisogna andasse Argéa Tosto questa sfacciatar
a tentar venne n mio. fratello, ed a sua usanza feo; Ma quel fedel non oltre
più sostenne Avere ai fianchi un stimolo si reo:Elesse, per servar sua fede
appieno, Di molti mal quel che gli parve meno. 19 Tra molti mal gli parve
elegger questo: Lasciar d'Argéo l'intrinsichezza antiqua; Lungi andar si, che
non sia manifesto Mai più il suo nome alla femmina iniqua. Benché duro gli
fosse, era più onesto, Che satisfare a quella voglia obbliqua, 0 ch'accusar la
moglie al suo signore, Da cui fu amata a par del proprio core. 20 E delle sue
ferite ancora infermo, L'arme si veste, e del caste! si parte; E con animo va
costante e fermo Di non mai più tornare in quella parte. Ma che gli vai? ch'ogni
difesa e schermo Gli dissipa fortuna con nuova arte:Ecco il marito che ritorna
intanto, E trova la moglier che fa gran pianto, 21 E scapigliata, e con la
faccia rossa; E le domanda di che sia turbata. Prima ch'ella a rispondere sia
mossa Pregar si lascia più d'una fiata, Pensando tuttavia come si possa
Vendicar di colui che l'ha lasciata: E ben convenne al suo mobile ingegno
Cangiar l'amore in subitaneo sdegno. 22 Deh, disse alfine, a che l'error
nascondo C'ho commesso, signor, nella tua assenza? Che quando ancora io'i celi
a tutto '1 moni), Celar noi posso alla mia coscienza. L'alma che sente il suo
peccato immondo. Paté dentro da sé tal penitenza, Ch'avanza ogni altro corporal
martire Che dar mi possa alcun del mio fallire; 23 Quando fallir sia quel che
si fa a forza. Ma sia quel che si vuol, tu sappiranco: Poi con la spada dalla
immonda scorza Sciogli lo spirto immaculato e bianco, E le mie luci eternamente
ammorza; Che, dopo tanto vituperio, almanco Tenerle basse ognor non mi bisogni,
E di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni. CANTO VENTESIMOPRIM24 IJ tuo compagno
ha Tonor mio distratto; Questo corpo per forza ha violato:E perchè teme eh io
ti narri il tutto, Or si parte il yillan senza commiato. In odio con quel dir
gli ebhe ridatto Colui che più d'ogni altro gli fa grato. Argéo lo crede, ed
altro non aspetta; Ma piglia r arme, e corre a far vendetta. 25 E come quel eh'
avea il paese noto, Lo giunse che non fu troppo lontano; Chè'l mio fratello,
debole ed egroto, Senza sospetto se ne già pian piano:E brevemente, in un loco
remoto Pose, per vendicarsene, in lui mino. Non trova il fratel mio scusa che
vaglia; Ch' in somma Argéo con lui vuol la battaglia stanza 12 26 Era Vxm sano,
e pien di nuovo sdegno; Infermo V altro, ed all' usanza amico:Sì ch'ebbe il
fratel mio poco ritegno Contro il compagno fattogli nimico. Dunque Filandro di
tal sorte indegno (Dell'infelice giovene ti dico: Cosi avea nome), non
soffirendo il peso Di si fiera battaglia, restò preso. 27 Non piaccia a Dio che
mi conduca a tale Il mio giusto furore e il tuo demerto, Gli disse Argéo, che
mai sia micidiale Di te ch'amava; e me tu amavi certo. Benché nel fin me l'hai
mostrato male: Pur voglio a tutto il mondo fare aperto Che, come fui nel tempo
dell'amore Cosi nell'odio son di te migliore. 28 Per altro modo pnnirò il tao
fallo, Che le mie man più nel tuo sangue porre. Cosi dicendo, fece sul cavallo
Di verdi rami una bara comporre, E quasi morto in quella riportallo Dentro al
castello in una chiusa torre, Dove in perpetuo perpunizioneCondannò T innocente
a star prigione. 29 Non però ch'altra cosa avesse manco, Che la libertà prima
del partire; Perchè nel resto, come sciolto e franco Vi comandava, o si iacea
ubbidire. Ma non essendo ancor T animo stanco Di questa ria del suo pensier
fornire, Quasi ogni giorno alla prigion veniva; Ch' avea le chiavi, e a suo
piacer V apriva:30 E movea' sempre al mio fratello assalti, E con maggior
audacia che di prima. Questa tua fedeltà, dicea, che vaiti, Poiché perfidia per
tutto si stima? Oh che trionfi gloriosi ed alti! Oh che superbe spoglie e preda
opima! Oh che merito alfin te ne risulta, Se, come a traditore, ognun
t'insulta! 31 Quanto utilmente, quanto con tuo onore M'avresti dato quel che da
te volli ! Di questo si ostinato tuo rigore La gran mercè che tu guadagni, or
tolli. In prigion sei, né crederne uscir fuore, Se la durezza tua prima non
molli. Ma quando mi compiacci, io farò trama Di riacquistarti e libertade e
fama. 32 No, no, disse Filandro, aver mai speiie Che non sia, come suol, mia
vera fede, Sebben centra ogni debito mi avviene Ch' io ne riporti si dura
mercede, E di me creda il mondo men che bene: Basta che innanti a quel che 'l
tutto ve le, E mi può ristorar di grazia eterna, Chiara la mia innocenzia
sidiscerna. 33 Se non basta eh' Argéo mi tenga pres ì, Tolgami ancor questa
noiosa vita. Forse non mi fia il premio in ciel conferò Della buona opra, qui
poco gradita. Fora' egli, che da me si chiama offeso, Quando sarà quest' anima
partita, S' avvedrà poi d'avermi fatto torto, E piangerà il fedel compagno
morto. 34 Così più volte la sfacciata donna Tenta Filandro, e toma senza
fratto. Ma il cieco suo desir, che non assonna Del scellerato amor traer
constmtto, Cercando va più dentro eh' alla gonna Suoi vizj antiqui, e ne
discorre il tatto. Mille pensier fa d'uno in altro modo, Prima che fermi in
alcun d'essi il chiolo. 35 Stette sei mesi che non messe piede, Come prima
facea, nella prigione; Di che il miser Filandro e spera e crei 3 Che costei più
non gli abbia affezione. Ecco fortuna, al mal propizia, diede A questa
scellerata occasione Di metter fin con memorabil male Al suo cieco appetito
irrazionale. 36 Antiqua nimicizia avea il marito Con un barou detto Morando il
bello, Che, non v'essendo Argéo, spesso era ardita Di correr solo, e sin dentro
al castello; Ma, s' Argéo v' era, non tenea lo 'nvito, Né s'accostava a dieci
miglia a quello. Or, per poterlo indur che ci venisse, D'ire in Qerusalem per
voto disse. 37 Disse d'andare; e partesi ch'osfuuno Lo vede, e fa di ciò
sparger le grida:Né il suo pensier, fuorché la moglie, alena) Puote saper; che
sol di lei si fida. Torna poi nel castello all' aer bruno; Né mai, se non la
notte, ivi s' annida:E con mutate insegne al nuovo albóre. Senza vederlo alcun
sempre esce fuore. 38 Se ne va in questa e in quella parte err.uil". E
volteggiando al suo castello intomo . Pur per veder se credulo Morando Volesse
far, come solca, ritomo. Stava il di tutto alla foresta; e quanlo Nella marina
vedea ascoso il giorno, Venia al castello, e per nascose porte Lo togliea dentro
l'infedel consorte. 39 Crede ciascun fuorché l'iniqua moglie, Che molte miglia
Argéo lontan si trove. Dunque il tempo opportuno ella si toglie: Al fratel mio
va con malizie nuove. Ha di lagrime, a tutte le sue voglie. Un nembo che dagli
occhi al sen le piove. Dove potrò, dicea, trovare aiuto, Che in tutto l'onor
mio non sia perduto? 40 E col mio quel del mio marito insieme? II qual se fosse
qui, non temerei. Tu conosci Morando, e sai se teme, Quando Argéo non ci sente,
uomini e Dei. Questi or pregando, or minacciando, estreme Prove fa tuttavia, né
alcun demlei Lascia che non contamini, per trarmi A' suoi disii; né so s' io
potrò aitarmi. 41 Or e' ha inteso il partir del mio consorte, E ch al ritorno
non sarà si presto, Ha avuto ardir d'entrar nella mia corte, Senza altra scusa
e senz'altro pretesto: Che se ci fosse il mio signor per sorte, Non sol non
avria audacia di far questo, Ma non si terria ancor, per Dio, sicuro
D'appressarsi a tre miglia a questo muro. Stanza 30. 42 E quel che già per
messi ha ricercato, Oggi me r ha richiesto a fronte a fronte; E con tai modi,
che gran duhbio é stato Dello avvenirmi disonore ed onte: E se non che parlar
dolce gli ho usato E finto le mie voglie alle sue pronte. Saria, a forza, di
quel suto rapace. Che spera aver per mie parole in pace. 48 Promesso gli ho,
non già per osservargli (Che fatto per timor, nullo è il contratto); Ma la nrìa
intenz'ion fu per vietargli Quel che per forza avrebbe allora fatto. Il caso è
qui: tu sol puoi rimediargli; Del mio onor altrimenti sarà tratto, E di quel
del mio Argéo, che già m'hai detto Aver 0 tanto, o più che '1 proprio, a petto.
44 E se questo mi nieghi, io dirò dunque Ch'in te non sia la fé di che ti
vanti; Ma che fu sol per crudeltà, qualunque Volta hai sprezzati i miei supplici
pianti; Non per rispetto alcun d'Argéo, quantunque M'hai questo scudo ognora
opposto innanti. Saria stata tra noi la cosa occulta; Ma di qui aperta infamia
mi risulta. 45 Non si convien, disse Filandro, tale Prologo a me, per Argéo mio
disposto. Narrami pur quel che tu vuoi; che quale Sempre fui, di sempre essere
ho proposto:E bench'a torto io ne riporti male, A lui non ho questo peccato
imposto. Per lui son pronto andare anco alla morte, E siami con tra il mondo e
la mia sorte. 46 Rispose V empia: Io voglio che tn spenga Colui chel nostro
disonor procura. Non temer ch'alcun mal di ciò t'avvenga; Ch'io te ne mostrerò
la via sicura. Dehb'egli a me tornar come rivenga Su l'ora terza la notte più
scura; E fatto un segno di eh' io l'ho avvertito, 10 l'ho a tor dentro, che non
sia sentito. 47 A te non graverà prima aspettarme Nella camera mia, dove non
luca, Tanto che dispogliar gli faccia l'arme, E quasi nudo in man te lo
conduca. Cosi la moglie conducesse parme 11 suo marito alla tremenda buca; Se
per dritto costei moglie s'appella, Più che furia infernal crudele e fella.
Stanza 52. 48 Poi che la notte scellerata venne, Fuor trasse il mio fratel con
l'arme in mano; E nell'oscura camera lo tenne, Finché tornasse il miser
castellano. Come ordine era dato, il tutto avvenne; Che '1 consiglio del mal va
raro invano. Così Filandro il buon Argéo percosse, Che si pensò che quel
Morando fosse. 49 Con esso un colpo il capo fésse e il collo; elmo non v' era,
e non vi fa riparo. Pervenne Argéo, senza pur dar un crollo. Della misera vita
al fine amaro:E tal l'uccise, che mai noi pensollo. Né mai l'avria creduto: oh
caso raro! Che cercando giovar, fece all'amico Quel di che peggio non si fa al
nimico. 50 Poscia eh' Argéo non conosciuto giacque. Rende a Gabrina il mio
fratel la spada. Gabrina è il nome di costei, che nacqoe Sol per tradire ognun
che in man le cada. Ella, che '1 ver fino a quell' ora tacque, Vuol che
Filandro a riveder ne vada Col lume in mano il morto, ond'egli è reo; E gli
dimostra il suo compagno Argéo. 51 E gli minaccia poi . se non consente
All'amoroso suo lungo desire. Di palesare a tutta quella gente Quel ch'egli ha
fatto, e noi può contraddire: E lo farà vituperosamente. Come assassino e
traditor, morire; E gli ricorda che sprezzar la fama Non de', sebben la vita si
poco ama. 52 Pien di paura e di dolor rimase Filandro, poi che del suo error
s'accorse. Quasi il primo furor gli persuase D'uccider questa, e stette un
pezzo in forse: E se non che nelle ni miche case Si ritrovò (che la ragion
soccorse), Non si trovando avere altr' arme in mano, Coi denti la stracciava a
brano a brano. 53 Come nell' alto mar legno talora, Che da due venti sia
percosso e vinto. Ch'or uno innanzi l'ha mandato, ed ora Un altro al primo
termine respinto, E r han girato da poppa e da prora; Dal più possente alfin
resta sospinto; Cosi Filandro, tra molte contese De' duo pensieri, al manco rio
s'apprese. 54 Ragion gli dimostrò il pericol grande, Oltra il morir, del fine
infame e sozzo, Se l'omicidio nel castel si spande; E del pensare il termine
gli è mozzo. Voglia 0 non voglia, alfin convien che mande L'amarissimo calice
nel gozzo. Pur finalmente nell'afflitto core Più dell' ostinazion potè il
timore. 55 II timor del supplicio infame e brutto Prometter fece con mille
scongiuri, Che faria di Gabrina il voler tutto, Se di quel luogo si partlan
sicuri. Così per forza colse l'empia il frutto Del suo desire, e poi lasciar
quei muri. Così Filandro a noi fece ritomo. Di sé lasciando in Grecia infamia e
scorno. 56 E portò nel cor fisso il suo compagno, Che cosi scioccamente ucciso
avea, Per far con sua gran noia empio guadagno D' una Progne crudel, d'una
Medea. E se la fede e il giuramento, magno £ duro freno, non Io ritenea, Come
al sicuro fu, morta l'avrebbe; Ma, quanto più si puote, in odiol'ebbe.57Non fu
da indi in qua rider mai visto; Tutte le sue parole erano meste; Sempre sospir
gli uscian dal petto tristo: Ed era divenuto un nuovo Oreste, Poi che la madre
uccise e il sacro Egisto, E che r nitrici Furie ebbe moleste: E, senza mai
cessar, tanto V afflisse Questo dolor, eh' infermo al letto il fisse. 58 Or
questa meretrice, che si pensa Quanto a quest'altro suo poco sia grata. Muta la
fiamma già d'amore intensa odio, in ira ardente ed arrabbiata; Né meno è centra
al mio fratello accensa. Che fosse centra Argéo la scellerata; E dispone tra sé
levar dal mondo, Come il primo marito, anco il secondo. .59 Un medico trovò
d'inganni pieno. ed atto a simil uopo. sapea meglio uccider di veneno, Che
risanar gì' infermi di silopo; E gli promesse innanzi più, che meno Ch'avesse
con mortifero liquore 62 Come pensi, signor, che rimanesse Il miser vecchio
conturbato allora? Che pensar non potè che meglio fora:, per non dar maggior
sospetto, elesse U calice gustar senza dimora; E l'infermo, seguendo una tal fede,
Tutto il resto pigliò, che si gli diede. stanza 00. Già in mia presenza e
d'altre più persone Dicendo ch'era buona pozione Da ritornare il mio fratel
robusto. Ma Gabrina con nuova intenzione, Pria che l'infermone turbasse il
gusto, Per torsi il consapevole d'appresso, 0 per non dargli quel ch'avea
promesso, 61 La man gli prese, quando appunto dava La tazza dove il tòsco era
celato, Dicendo: Ingiustamente é, se ti grava, Ch'io tema per costui e' ho
tanto amato. Voglio esser certa che bevanda prava Tu non gli dia, né succo
avvelenato: E per questo mi par che il beveraggio Non gli abbi a dar, se non ne
fai tu il saggio. 63 Come sparvier che nel piede grifagno Tenga la starna, e
sia per trarne pasto, Dal can che si tenea fido compagno, é sopraggiunto e
guasto; Cosi il medico intento al rio guadagno, Donde sperava aiuto, ebbe
contrasto. di somma audacia esempio raro ! 64 Fornito questo, il vecchio s' era
messo, Per ritornare alla sua stanza, in via, Ed usar qualche medicina
appresso, Che lo salvasse dalla peste ria; da Gabrina non gli fu concesso,
Dicendo non voler ch'andasse pria suo valor facesse manifesto, 66 Pregar non
vai, né far di premio offerta, Che lo voglia lasciar quindi partire. disperato,
poiché vede certa circostanti fa la cosa aperta; Né la seppe costei troppo
coprire. E cosi quel che fece agli altri spesso, Quel buon medico alfin fece a
sé stesso; 66 E seguitò con V alma quella eh' era Già del mio frate
camminatainnanzi. Noi circostanti, che la cosa vera Del vecchio udimmo, che fé'
pochi avanzi, Pigliammo questa abbominevol fera. Più crudel di qualunque in
selva stanzi; E la serrammo in tenebroso loco. Per condannarla al meritato
fuoco. 69 E s' in altro potea gratificai]!, Prontissimo offeriasi alla sua
voglia. Rispose il cavalier, che ricordargli Sol vuol, che da Gabrina si
discioglia Prima ch'ella abbia cosa a macchioargrli, Di ch'esso indamo poi si
penta e doglia. tenne sempre gli occhi bassi; Perchè non ben risposta al vero
dassL 70 Con la vecchia Zerbin quindi partisse Al già promesso debito viaggio;
E tra sé tutto il di la maledisse, far gli fece a quel barone oltraggio. or che
pel gran mal che gli ne disse Chi lo sapea, di lei fu istrutto e saggio, Se
prima l'avea a noia e a dispiacere, Or V odia si, che non la può vedere. Questo
Ermonide disse, e più voleva Seguir, com' ella di prigion levossi; il dolor
della piaga sì l'aggreva, pallido nell'erba riversossi. Intanto duo scudier,
che seco aveva, Fatto una bara avean di rami grossi; Ermonide si fece in quella
porre; Ch'indi altrimente non si potea torre. Ella che di Zerbin sa l'odio
appieno, Né in mala volontà vuol esser vinta, Un' oncia a lui non ne riporta
meno:La tien di quarta, e la rifa di quinta. Nel cor era gonfiata di veneno, E
nel viso altrimente era dipinta. Dunque, nella concordia ch'io vi dico, Tenean
lor via per mezzo il bosco antico. 68 Zerbin col cavalier fece sua scusa, Che
gl'increscea d'avergli fatto offesa: Ma, come pur tra cavalieri s' usa, Colei
che venia seco, avea difesa:Ch' altrimente sua fé saria confusa; Perchè, quando
in sua guardia l'avea presa. Promesse a sua possanza di salvarla Contra a ognun
che venisse a disturbarla. 72 Ecco, volgendo il sol verso la sera, Udiron gridi
e strepiti e percosse, Che facean segno di l)attaglia fiera Che, quanto era il
rumor, vicina fosse. Zerbino, per veder la cosa ch'era, Verso il rumor in gran
fretta si mosse:Né fu Gabrina lenta a seguitarlo. Di quel ch'avvenne, all'altro
Canto io parlo. . Si. 3. V.6. MorhOf peste. St. 10. v.5. Ctisso, senza effetto.
St. 13 V.78. Eraclio imperatore di Costantino poli regnò più di un secolo prima
di Garlomagno. St. 14. V.3. Serviaf più comunemente Serbia. St. 16. V.2. L
Acrocerauno d' infamato nome: promontorio in Epiro, che sovrasta al mare Ionio,
ed è noto pei naufragi che sogliono quivi accadere. Ora chiamasi capo della
Chimera. St. 25. V.3. Egroto: ammalato. St. 3|. V.f> Sfolli, aramQllisci,
ST. 43. V.a Sarà tratto:sarà deciso. St. 56. V.4. Progne e Medea per furore
geloso scan narono i figli; notisiime nella Mitologia. St. 57. V.45. Un nuovo
Oreste. Vedi la noUalU St. i3 del Canto XX. Sacro qui dicesi Egìsto, come
esecrabile adultero e regicida. St. 59. V.4. Silopo: siloppo o siroppo. St. 66.
V.12. Era.... eaminata: Aveva camminato. St. 70. V.6 Saggio, informato. St. 71.
y. 4. La tien di quarta, ecc. Rice /e quattro (in odio) e rende cinque;
os9i", rende pin per focaccia. Astiilfo dì struggi; il imlazo <M
Atlaiitt", ripiglia l'Ippopifo, e in |i"Misìi;ro per Habiuano.
Bta'lamiiEtu r Rujcrfiioro rico lu'wiutisi, e andàiirìo per liberare tiii
(giovane comlannato al fuiK'O] rrivniiu a il un raitello Elei canti da
Pontievo, ove quAtlro iueiTit'i'i liaiitio il carico lii spc;! in re ogni
cavaliere cbe passi. Mentre HupRÌtìro viene alle iirt?t" con quelli, Bra
(lamante rkonosci? Pinal>ello e lo instgue" Sijnarrl&aì nel r
azione il Velo ite euopre lo scudo di Roggi ito, i'. ì 40 altro cailono
tramortiti. Rnfjgiero. per vergogna, fretta lo scudo in alt puKiÈio, e
HiTidamante, che frattanto ha ra;:giimto ed uccido iliaerfitlo Magai]es€ .
perule la traccia di Riiggioro, 1 Curtesi doline, e (?Tate al vostro amante
> Voi che (V un .5olo amor scie coutente, Comecliè certo sia, fra tante e
tante, CLc rarissime siate in questa mente: Non vi dispiaccia quel ch'io dissi
innante. Quando contra Gabrina fui si ardente, E s ancor son per spendervi
alcun verso, Di lei biasmando l'animo peiveiso. 2 Ella era tale; e, come
imposto fammi chi può in me, non preterisco il vero. Per questo io non oscuro
gli cuor summi DI una e d'un' altra ch'abbia il cor sincero. Quel che'l Maestro
suo per trenta nummi a' Giudei, non nocque a Gianni o a Piero; Nèd'Ipermestra è
la fama men bella, Sebben di tante inique era sorella. 3 Per una che biasmar
cantando ardisco (Che r ordinata istoria così vuole), Lodarne cento incontra
m'offerisco, E far lor virtù chiara più che'l sole. Ma tornando al lavor che
vario ordisco, Ch' a molti, lor mercè, grato esser suole, Del cavalier di
Scozia io vi dicea, Ch'un alto grido appresso udito avea. Fra due montagne
entrò in un stretto calle, Onde uscia il grido; e non fu molto innante, Che
giunse dove in una chiasa valle Si vide un cavalier morto davante. Chi sia
dirò; ma prima dar le spalle A Francia voglio e girmene in levante, Tanto eh'
io trovi Astolfo paladino, Che per ponente avea preso il cammino. 5 Io lo
lasciai nellacittà crudele, Onde col suon del formidabil corno Avea cacciato il
popolo infedele, E gran periglio toltosi d'intorno; Ed a' compagni' fatto alzar
le vele, E dal lito fuggir con grave scorno. Or seguendo di lui, dico che prese
La via d'Armenia, e uscì di quel paese. 6 E dopo alquanti giorni in Natòlia
Trovossi, e inverso Bursia il cammin tenne: Onde, continuando la sua via Di qua
dal mare, in Tracia se ne venne. Lungo il Danubio andò per l'Ungaria; E, come
avesse il suo destrier le penne, I Moravi e i Boemi passò in meno Di venti
giorni, e la Franconia e il Reno. 7 Per la selva d'Ardenna in Aquisgrana Giunse
e in Brabante, e in Fiandra alfin s'imbarca. L'aura che soffia verso
tramontana, La vela in guisa in su la prora carca, Ch'a mezzo giorno Astolfo non
lontana Vede Inghilterra, ove nel lito varca. Salta a cavallo, e in tal modo lo
punge, Ch'a Londra quella sera ancora giunge. 8 Quivi sentendo poi chel vecchio
Otone Già molti mesi innanzi era in Parigi " E che di nuovo quasi ogni
barone Avea imitato i suoi degni vestigi; D'andar subito in Francia si dispone,
E cosi torna al porto di Tamigi; Onde con le vele alte uscendo fuora, Verso
Calessio fé' drizzar la prora. 9 Un ventolin che, leggermente all' orza
Ferendo, avea adescato il legno all'onda, A poco a poco cresce e si rinforza;
Poi vien si, ch'ai nocchier ne soprabbonda Che gli volti la poppa alfine è
forza; Se non, gli caccerà sotto la sponda. Per la schena del mar tien dritto
il legno, E fa cammin diverso al suo disegno. 10 Or corre a destra, or a sinistra
mano, Di qua di là, dove fortuna spinge; E piglia terra alfin presso a Roano; E
come prima il dolce lito attinge, Fa rimetter la sella a Rabicano, E tutto
s'arma, e la spada si cinge; Prende il cammino, ed ha seco quel corno Che gli
vai più che mille uomini intorno. 11 E giunse, traversando una foresta, Appiè
d'un colle ad una chiara fonte, Neil' ora che '1 monton di pascer resta, Chiuso
in capanna, o sotto un cavo monte; E dal gran caldo e dalla sete infesta Vinto,
si trasse 1' elmo dalla fronte; Legò il destrier tra le più spesse fronde, E
poi venne per bere alle fresche onde. 12 Non avea messo ancor le labbra in
molle, Ch'un villanel che v'era ascoso appresso, Sbuca fuor d'una macchia, e il
destrier toUe, Sopra vi sale, e se ne va con esso. Astolfo il rumor sente, e '1
capo estolle; E poi che 'i danno suo vede si espresso, Lascia la fonte, e sazio
senza bere. Gli va dietro correndo a più potere. 13 Quel ladro non si stende a
tutto corso; Che dileguato si saria di botto:Ma or lentando or raccogliendo il
morso, Se ne va di galoppo e di buon trotto. Escon del bosco dopo un gran
discorso; E l'uno e l'altro alfin si fu ridotto Là dove tanti nobili baroni
Eran senza prìgion più che prigioni. 14 Dentro il palagio il villanel si caccia
Con quel destrier che i venti al corso adegua. Forza è ch Astolfo, il qual lo
scado impaccia, L elmo e V altre arme, di lontan lo segua. Pur giunge anch'
egli; e tutta quella traccia Che fin qui avea seguita, si dilegua; Che più né
Rahican nè'l ladro vede, E gira gli occhi, e indamo affretta il piede: 20
Ruggier, Gradasso, Iroldo, firadamante, Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri
In questo nuovo error si fero innante, Per distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ricrdossi il corno in quello istante, Che fé loro ahhassar gli animi altieri.
Se non si soccorrea col grave suono, Morto era il paladin senza perdono. 15
Aff'retta il piede, e va cercando invano E le logse e le camere e le sale; Ma
per trovare il perfido villano. Di sua fatica nulla si prevale. Non sa dove
ahhia ascoso Rabicano, Quel suo veloce sopra ogni animale; E senza frutto alcun
tutto quel giorno Cercò di su, di giù, dentro e d'intorno. 16 Confuso e lasso
d'aggirarsi tanto, S' avvide che quel loco era incantato; E del libretto eh'
avea sempre accanto, Che Logi stilla in India gli avea dato, Acciò che,
ricadendo in nuovo incanto, Potesse aitarsi, si fu ricordato:All' indice
ricorse, e vide tosto A quante carte era il rimedio posto. 17 Del palazzo
incantato era diffuso Scritto nel libro; e v'eran scritti i modi Di fare il
mago rimaner confuso, E a tutti quei prigion disciorre i nodi. Sotto la soglia
era uno spirto chiuso, Che facea quest' inganni e queste frodi:E levata la
pietra ov'è sepolto. Per lui sarà il palazzo in fumo sciolto. 18 Desideroso di
condurre a fine Il paladin sì gloriosa impresa, Non tarda più chei braccio non
inchine A provar quanto il grave marmo pesa. Come Atlante le man vede vicine
Per far che l'arte sua sia vilipesa. Sospettoso di quel che può avvenire, Lo va
con nuovi incanti ad assalire. 19 Lo fa con diaboliche sne larve Parer da quel
diverso, che solca. Gigante ad altri, ad altri un villan parve, Ad altri un
cavalier di faccia rea. Dgnuno in quella forma in che gli apparve bosco il
mago, il paladin vedea: Si che per riaver quel che gli tolse Il mago, ognuno al
paladin si volse. Stanza 4. 21 Ma tosto che si pon quel corno a bocca, E fa
sentire intomo il suono orrendo, A guisa dei colombi, quando scocca Lo scoppio,
vanno i cavalier fuggendo. Non meno al negromante fuggir tocca. Non men fuor
della tana esce temendo Pallido e sbigottito, e se ne slunga Tanto, che 'l
suono orribil non lo giunga. ORLANDO fumoso. 12 Pug il gaardian co 'suoi
prigioni; e dopo Delle stalle fuggir molti cavalli, Ch'altro che fune a
ritenerli era uopo, E seguirò i patron per vari calli. In casa non restò gatta
né topo Al suon che par che dica: Dalli, dàlb. Sarebbe ito con gli altri
Rabicano; Se non eh' all'uscir venne al duca in mano. stanza 24. 25 Non so se
vi ricorda che la briglia Lasciò attaccata all'arbore quel giorno; Che nuda da
Ruggier spari la figlia Di Galafrone, e gli fé' l'alto scorno. Fé il volante
destrier, con maraviglia Di chi lo vide, al mastro suo ritorno; E con lui
stette infin al giorno sempre, Che dell'incanto fur rotte le tempre. 26 Non
potrebbe esser stato più giocondo D'altra avventura Astolfo, che di questa; Ch'
è per cercar la terra e il mar, secondo Ch' avea desir, quel ch a cercar gli
resta, E girar tuttx) in pochi giorni il mondo, Troppo venia questo Ippogrifo a
sesta. Sapea egli ben quanto a portarlo era atto: Che l'avei altrove assai
provato in fatto. 27 Quel giorno in India lo provò, che tolto Dalla savia
Melissafudi mano A quella scellerata, che travolto Gli avea in mirto silvestre
il viso umano; E ben vide e notò come raccolto Gli fu sotto la brìglia il capo
vano Da Logistilla, e vide come instmtto Fosse Ruggier di farlo andar per
tatto. 28 Fatto disegno l'Ippogrifo torsi, La sella sua, ch'appresso avea, gli
messe; E gli fece, levando da più morsi Una cosa ed un' altra, un che lo resse;
Che dei destrier eh' in fuga erano corsi, Quivi attaccate eran le briglie
spesse. Ora un pensier di Rabicano solo Lo fa tardar che non si leva a volo. 23
Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago. Levò di su la soglia il grave sasso, E
vi ritrovò sotto alcuna immago, Ed altre cose che di scriver lasso: E di
distrugger quello incanto vago, Di ciò che vi trovò, fece fracasso, Come gli
mostra il libro che far debbia; E si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia. 24
Quivi trovò che di catena d'oro Di Ruggiero il cavallo era legato:Parlo di quel
che'l negromante moro Per mandarlo ad Alcina gli avea dato: A cui poi
Logistilla fé il lavoro Del freno, ond'era in Francia ritornato, E girato
dall'India all'Inghilterra Tutto avea il lato destro della terra. 29 D'amar
quel Rabicano avea ragione; Che non v'era un miglior per correr lancia, E
l'avea dall' estrema regione Dell'India cavalcato insin in Francia. Pensa egli
molto; e in somma si dispone Dame piuttosto ad un suo amico mancia, Che,
lasciandolo quivi in su la strada. Se l'abbia il primo eh' a passarvi accada.
30 Stava mirando se vedea venire Pel bosco 0 cacciatore o alcun villano, Da cui
far si potesse indi seguire A qualche terra, e trarvi Rabicano. Tutto quel
giorno, e sin all' apparire Dell'altro, stette riguardando invano. L'altro
mattin, eh' era ancor l'aer fosco, Veder gli parve un cavalier pel bosco.
Stanza 12. 31 Ma mi bisogna, so vo' dirvi il resto, ChMo trovi Roggier prima e
Bradamante. Poi che si tacque il corno e che da questo Loco la bella coppia fu
distante, Guardò Ruggiero, e fu a conoscer presto Quel che fin qui gli avea
nascoso Atlante:Fatto avea Atlante che fin a quell'ora Tra lor non s'eran
conosciuti ancora. 32 Ruggier riguarda Bradamante, ed ella Riguarda lui con
alta maraviglia, Che tanti dì l'abbia offuscato quella Illusì'on sì l'animo e
le ciglia. Ruggiero abbraccia la sua donna bella, Che più che rosa ne divien
vermiglia; E poi di su la bocca i primi fiori Cogliendo vien dei suoi beati
amori. 33 Tornano ad iterar gli abbracciamenti Mille fiate, ed a tenersi stretti
I duo felici amanti, e si contenti, Ch'appena i gandj lor capìano i petti Molto
lor dnol che per incantamenti, Mentre che far negli errabondi tetti, Tra lor
non s' eran mai riconosciuti, E tanti lieti giorni eran perduti. 34 Bradamante,
disposta di far tutti I piaceri che far vergine saggia Debbia ad un suo amator,
sì che di lutti, Senza il suo onore offendere, il sottraggia; Dice a Ruggier,
se a dar gli ultimi frutti Lei non vuol sempre aver dura e selvaggia, La faccia
domandar per buoni mezzi Al padre Amon; ma prima si battezzi. 35 Kuggier, che
tolto avria non solamente Viver cristiano per amor di questa. Compera stato il
padre, e antiquamente L'avolo e tutta la sua stirpe onesta; Ma, per farle
piacere, immantinente Data le avria la vita che gli resta: Nonché neir acqua,
disse, ma nel fuoco Per tuo amor porre il capo mi fia poco. 39 Amando una
gentil giovane e bella, Ohe di Marsilio re di Spagna è figlia, Sotto un vel
bianco e in femminil gonnelk, Finta la voce e il volger delle ciglia. Egli ogni
notte si giicea con quella, Senza dame sospetto alla famiglia: Ma sì secreto
alcuno esser non paote, Ch'ai lungo andar non sia chi'l YeggA e note. 40 Se
n'accorse uno, e ne parlò con dui; Li dui con altri, insin ch'ai re fu detto.
Venne un fedel del re l'altr' ieri a nai, Che questi amanti fé pigliar nel
letto; E nella rocca gli ha fatto ambedoi Divisamente chiudere in distretto:Né
credo per tutto oggi ch'abbia spazio Il gioven, che non mora in pena e in
strazio. 41 Fuggita me ne son per non vedere Tal crudeltà; che vivo
l'arderanno:Né cosa mi potrebbe più dolere, ' Che &ccia di sì bel giovine
il danno. Né potrò aver giammai tanto piacere, Che non si volga subito in
affanno, Che della crudel fiamma mi rimembri, Ch'abbia arsi i belli e delicati
membri. 36 Per battezzarsi dunque, indi per sposa La donna aver, Ruggier si
messe in via, Guidando Bradamante a Vallombrosa (Cosi fu nominata una badia
Ricca e bella, né men religiosa, E cortese a chiunque vi venia); E trovaro
all'uscir della foresta Donna che molto era nel viso mesta. 42 Bradamante ode,
e par ch'assai le premi Questa novella, e molto il cor l'annoi; Né par che men
per quel dannato tema, Che se fosse uno dei fratelli suoi. Né certo la paura in
tutto scema Era di causa, come io dirò poi. Si volse ella a Ruggiero, e disse:
Parme Ch'in favor di costui sien le nostr'arme. 37 Ruggier, che sempre uman,
sempre cortese Era a ciascun, ma più alle donne molto, Come le belle lacrime
comprese Cader rigando il delicato volto, N'ebbe pietade, e di disir s'accese
Di saper il suo affanno; ed a lei vólto, Dopo onesto saluto, domandolle
Perch'avea sì di pianto il viso molle. 38 Ed ella, alzando i begli umidi rai,
Umanissimamente gli rispose; E la cagion de' suoi penosi guai. Poiché le
domandò, tutta gli espose. Gentil signor, dissocila, intenderai Che queste
guance son si lacrimose Per la pietà eh' a un giovinetto porto, Ch'in un caste!
qui presso oggi fia morto. 43 E disse a quella mesta: Io ti conforto Che tu
vegga di porci entro alle mura: Che se '1 giovine ancor non avran morto, Più
non l'uccideran; stanne sicura. Ruggiero, avendo il cor benigno scorto Della
sua donna e la pietosa cura. Sentì tutto infiammarsi di desire Di non lasciar
il giovine morire. 44 Ed alla donna, a cui dagli occhi cade Un rio di pianto,
dice: Or che s'aspetta? Soccorrer qui, non lacrimare accade:Fa eh' ove é questo
tuo, pur tu ci metta. Di mille lance trar, di mille spade Tel promettiam,
purché ci meni in fretta: Ma studia il passo più che puoi, che tarda Non sìa
l'aita, e intanto il fuoco l'arda. 45 L' alto parlare e la fiera sembiauza Di
quella coppia a maravigli v ardita, Ebbon di tornar forza la speranza Colà
dond'era già tetta fuggita. Ma perch' ancor, piìt che la lontananza, Temeva il
ritrovar la via impedita, E che saria per questo indarno presa, Stava la donna
in sé tutta sospesa. 46 Poi disse lor: Facendo noi la via Che dritta e piana va
fin a quel loco, Credo eh a tempo vi si giungerla, Che non sarebbe ancora
acceso il fooco. Ma gir convien per cosi tòrta e ria, Che U termine di un
giorno saria poco A riuscirne; e quando vi saremo. Che troviam morto il giovine
mi temo. 47 £ perchè non andiam, disse Ruggiero, Per la più corta? E la donna
rispose:Perchè un Castel de conti da Pontiero Tra via si trova, ove un costume
pose, Non son tre giorni ancora, iniquo e fiero A cavalieri e a donne
avventurose, Pinabello, il peggior uomo che viva, Figliuol del conte Anselmo
d'Altariva. 48 Quindi uè cavalier uè donna passa, Che se ne vada senza ingiuria
e danni. L'uno e T altro a pie resta; ma vi lassji Il guerrier Tarme, e la
donzella i panni. Miglior cavalier lancia non abbassa, E non abbassò in Francia
già molt anni, Di quattro che giurato hanno al castello La legge mantener di
Pinabello. 49 Come l'usanza, che non è pii\ antiqua Di tre dì, cominciò, vi vo'
narrare; E sentirete se fu dritta o obliqua Cagion che i cavalier fece giurare.
Pinabello ha una donna così iniqua. Così bestiai, eh' al mondo è senza pare;
Che con lui, non so dove, andando un giorno, Ritrovò un cavalier che le fé'
scorno. 50 11 cavalier, perchè da lei beffato Fu d'una vecchia che portava in
groppa, Giostrò con Pinabel, eh' era dotato Di poca forza, e di superbia
troppa:Ed abbattello, e lei smontar nel prato . Fece, e provò s' andava dritta
o zoppa:Lasciolla a piede, e fé' della gonnella Di lei vestir l'antiqua
damigella. 51 Quella eh' a pie rimase, dispettosa, E di vendetta ingorda e
sitibonda, Congiunta a Pinabel, che d'ogni cosa, Dove sia da mal far, ben la
seconda, Né giorno mai, né notte mai riposa; E dice che non fia mai più
gioconda Se mille cavalieri e mille donne Non mette a piedi, e lor tolle arme e
gonne. 52 Giunsero il di medesmo, come accade, Quattro gran cavalieri ad un suo
loco. Li quai di rimotissime contrade Venuti a queste parti eran di poco; Di
tal valor, che non ha nostra etade Tant' altri buoni al bellicoso gioco:
Aquilante, Grifone e Sansonetto, Ed un Guidon Selvaggio giovinetto. 53 Pinabel
con sembiante assai cortese Al Castel ch'io v'ho detto li raccolse. La notte
poi tutti nel letto prese, E presi tenne; e prima non gli sciolse. Che li fece
giurar eh' un anno e un mese (Questo fu appunto il termine che tolse) Stanano
quivi, e spoglieiebbon quanti Vicapitasson cavalieri erranti; 54 E le donzelle
ch'avesson con loro, Porriano a piedi, e torrian lor le vesti. Così giurar, cosi
constretti foro Ad osservar, benché turbati e mesti. Non par che fin a qui
centra costoro Alcun possa giostrar, eh' a pie non resti:E capitati vi sono
infiniti, Ch'a pie e senz'arme se ne son partiti. 55 É ordine tra lor, che chi
per sorte Esce fuor prima, vada a correr solo; Ma se trova il nemico così
forte, Che resti in seUa, e getti lui nel suolo. Sono obbligati gli altri
infino a morte Pigliar l'impresa tutti in uno stuolo. Vedi or, se ciascun
d'essi é cosi buono Quel eh' esser de', se tutti insieme sono. 56 Poi non
conviene all'importanzia nostra, Che ne vieta ogni indugio, ogni dimora, Che
punto vi fermiate a quella giostra:E presuppongo che vinciate ancora. Che
vostr'alta presenzia io dimostra; Ma non é cosa da fare in un'ora: Ed é gran
dubbio che'l giovine s'arda. Se tutt'oggi a soccorrerlo si tarda. 67 Disse
Ruggier: Non riguardiamo a questo; Facciam nui quel che si può far per uni;
Abbia chi regge il ciel cura del resto, 0 la fortuna, se non tocsa a lui. Ti fi
per questa giostra manifesto Se buoni siamo d aiutar colui Che per cagion si
debole e sì lieve, Come n'hai detto, oggi bruciar si deve. 58 Senzarisponder
altro, la donzella Si messe per la via ch'era più corta. Più di tre miglia non
andar per quella, Che si trovar(c) al ponte ed alla porta si perdon V arme e la
gonnella, E della vita gran dubbio si porta. Al primo apparir lor, di su la
rocca, É chi duo botti la campana tocca. 59 Ed ecco della porta con gran
fretta, Trottando s' un ronzino, un vecchio uscio; E quel venia gridando:
Aspetta, aspetta; Restate olà, che qui si paga il fio; E se V usanza non v' è
stata detta, Che qui si tiene, or ve la vo' dir io:E contar loro incominciò di
quello Costume che servar fa Pinabello. 60 Poi seguitò, volendo dar consigli,
Com'era usato agli altri cavalieri: Fate spogliar la donna, dicea, fiorii, E
voi l'arme lasciateci e i destrieri; E non vogliate mettervi a perigli D'andare
incontra a tai quattro guerrieri. Per tutto vesti, arme e cavalli s' hanno: La
vita sol mai non ripara il danno. 61 Non più, disse Ruggier, non più; ch'io
sono Del tutto informatisimo: e qui venni Per far prova di me, se cosi buono In
fatti son, come nel cor mi tenni. Arme, vesti e cavallo altrui non dono;
S'altro non sento che minacce e cenni, E son ben certo ancor, che per parole Il
mio compagno le sue dar non vuole. 62 Ma, per Dio, fa ch'io vegga tosto in
fronte Quei che ne voglion tórre arme e cavallo; Ch'abbiamo da passar anco quel
monte, E qui non si può far troppo intervallo. Rispose il vecchio: Eccoti fuor
del ponte Chi vien per farlo: e non lo disse in fallo; Ch'un cavalier n'uscì,
che sopravveste Vermiglie avea, di bianchi fior conteste. 63 Bradamante pregò
molto Ruggiero, Che le lasciasse in cortesia l'assunto Di gittar della sella il
cavaliero, Ch'avea di fiori il bel vestir trapunto; Ma non potè impetrarlo, e
fu mestiero A lei far ciò che Ruggier volse a punto. volse l'impresa tutta
avere, E Bradamante si stesse a vedere. 64 Ruggiero al vecchio domandò chi
fosse Questo primo ch'uscia fuor della porta. È Sansonetto, disse; che le rosse
Veste conosco, e i bianchi fior che porti L'uno di qua, l'altro di là si mosse
parlarsi, e fu l'indugia corta; Che s' andare a trovar coi ferri bassi, Molto
affrettando i lor destrieri i passi. 65 In questo mezzo della rocca usciti Eran
con Pinabel molti pedoni, Presti per levar l'arme ed espediti Ai cavalier
ch'uscian fuor degli arcioni. incontra i cavalieri ardici, Fermando in su le
reste i gran landooi. Grossi duo palmi, di nativo cerro, Che quasi erano uguali
insino al ferro. 66 Di tali n'avea più d'una decina Fatto tagliar di su lor
ceppi vivi Sansonetto a una selva indi vicina, E portatone duo per giostrar
quivi. Aver scudo e corazza adamantina Bisogna ben, che le percosse schivi.
L'uno a Ruggier, l'altro per sé ritenne. 67 Con questi, che passar dovean gì'
ineadi (Sì ben ferrate avean le punte estreme), Di qua e di là fermandoli agli
scudi, Quel di Ruggiero, che i demonj ignudi Fece sudar, poco del colpo teme:
Dello scudo vo'dir che fece Atlante, Delle cui forze io v'ho già detto innante.
L'incantato splendor negli occhi fere, Ch'ai discoprirsi ogni veduta ammorza, E
tramortito l'uom fa rimanere: Perciò, s'un gran bisogno non lo sfona, D'un vel
coperto lo solea tenere. Si crede eh' anco impenetrabil fosse, Poich'a questo
incontrar nulla si mosse. Il gravissimo colpo non sofferse. loco al ferro, e
pel mezzo s'aperse; Die loco al ferro, e quel trovò di sotto braccio ch'assai
mal si ricoperse; Si che ne fu ferito Sansonetto, della sella tratto al suo
dispetto. 70 E q,uesto il primo fu di quei compagni Che quivi mantenean
l'usanza fella, Convien chi ride, anco talor si lagni, La giustizia di Dio, per
dargli quanto Che seco cadde, anzi il suo buon destino; E trassene, credendo
nello speco fosse sepolta, il destrier seco. Bradamante conosce il suo cavallo,
E conosce per lui l'iniquo conte; E poi eh' ode la voce, e vicino hallo Con
maggior attenzion mirato in fronte: Che procacciò di farmi oltraggio ed onte;
Ecco il peccato suo, che l'ha condutto Ove avrà de' suoi merti il premio tutto.
II minacciare e il por mano alla spada tutto a un tempo, e lo avventarsi a
quello; Ma innanzi tratto gli levò la strada. non potè fuggir verso il
castello. è la speme eh' a salvar si vada. Come volpe alla tana, Pinabello.
gridando, e senza mai far testa, Fuggendo si cacciò nella foresta. Pallido e
sbigottito il miser sprona, Cbè posto ha nel fuggir P ultima speme. L'animosa
donzella di Dordona Gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme: Yien con
lui sempre, e mai non Tabbandona. Grande è il mmore, e il bosco intorno geme.
Nulla al Castel di questo ancor s'intende, Però ch'ognuno a Ruggier solo
attende. 76 Gli altri tre cavalier della fortezza Intanto eran usciti in su la
yia; Ed aveàu seco quella mala avvezza, Che v'avea posta la costuma ria.
ciascun di lor tre, che '1 morir prezza Più eh' aver vita che con biasmo sia,
Di vergogna arde il viso, e il cor di duolo, Che tanti ad assalir vadano un
solo. 77 La crudel meretrice ch'avea fatto Por quella iniqua usanza, ed
osservarla, Il giuramento lor ricorda e il patto Ch' essi fatti l'avean, di
vendicarla. Se sol con questa lancia te gli abbatto, mi vuoi con altre
accompagnarla? Cosi dicea Grifon, cosi Aquilante: Giostrar da sol a sol volea
ciascuno, La donna dicea loro: A che far tante Parole qui senza profitto
alcuno? tórre a colui l'arme io v'ho qui tratti, per far nuove leggi e nuovi
patti. escuse, e non ora, che son tarde:Voi dovete il preso ordine servarme,
vostre lingue far vane e bugiarde. Ruggier gridava lor: Eccovi l'arme, panni
della donna eccovi ancora:, eh' a forza si spiccaro insieme, Dinanzi apparve V
uno e l'altro seme Del marchese onorato di Borgogna; a lor dietro con poco
intervallo. 81 Con la medesim' asta, con che avea Atlante aver sui monti di
Pirene: 82 Benché sol tre fiate bisognolli, deir Orca alle marine spume, fu a
chi la campò poi cosi cruda. 83 Fuorché queste tre volte, tutto 1 resto tenea
sotto un velo in modo ascoso, a discoprirlo esser potea ben presto, Che del suo
aiuto fosse bisognoso. Quivi alla giostra ne venia con questo, Come io v' ho
detto ancora, si animoso, Ruggier scontra Grifone ove la penna Dello scudo alla
vista si congiunge. Quel di cader da ciascun lato accenna. Ed alfin cade, e
resta al destrier lunge. Mette allo scudo a lui Grifon l'antenna; Ma pel
traverso e non pel dritto giunge: E perchè lo trovò forbito e netto, . L'andò
strisciando, e fé' contrario effetto, 85 Ruppe il velo e squarciò, che gli
copria Lo spaventoso ed incantato lampo. Al cui splendor cader si convenia Con
gli occhi ciechi, e non vi s'ha alcun scampo. Aquilante, eh' a par seco venia,,
Stracciò l'avanzo, e fé lo scudo vampo. Lo splendor feri gli occhi ai duo
fratelli, Ed a Guidon che correa dopo quelli. 86 Chi di qua, chi di là cade per
terra:Lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia, Ma fa che ogn' altro senso
attonito erra. Ruggier, che non sa il fin della battaglia, il cavallo; e nel
voltare afferra La spada sua, che si ben punge e taglia: E nessun vede che gli
sia all'incontro; Che tutti eran caduti a quello scontro. 87 I cavalieri, e
insieme quei eh a piede Erano asciti, e cosi le donne anco, E non meno i
destrieri in guisa vede, Che par che per morir battano il fianco. Prima si
maraviglia, e poi s avvede Che U velo ne pendea dal lato manco:Dico il velo di
seta, in che solca Chiuder la luce di quel caso rea. 88 Presto si volge; e nel
voltar, cercando ' gli occhi va T amata sna guerriera; vien là dove era rimasa
quando La prima giostra cominciata s'era. Pensa ch'andata sia, non la trovando,
vietar che quel giovine non pera, dubbio ch'ella ha forse che non s'arda In questo
mezzo eh' a giostrar si tarda. 89 Fra gli altri che giacean vede la donna, La
donna che l'avea quivi guidato. Dinanzi se la pon, sì come assonna, manto eh'
essa avea sopr& la gonna, Poi ricoperse lo scudo incantato; E i sensi
riaver le fece tosto Che'l nocivo splendore ebbe nascosto. 90 Via se ne va
Ruggier con faccia rossa, Che, per vergogna, di levar non osa:Gli par ch'ognuno
improverar gli possa Quella vittoria poco gloriosa. Ch' emenda poss' io fare,
onde rimossa Mi sia una colpa tanto obbrobriosa? Che ciò eh' io vinsi mai, fu
per favore, Diran, d'incauti, e non per mio valore. btanza 86 l Mentre cosi
pensando seco giva. Venne in quel che cercava a dar di cozzo; Ghè'n mezzo della
strada soprarriva Dove profondo era cavato un pozzo. Quivi l'armento alla caldi
ora estiva Si ritraea, poi eh' avea pieno il gozzo. Disse Ruggiero; Or
provveder bisogna, Che non mi facci, o scudo, più vergogni. 92 Più non starai
tu meco; e questo sia L'ultimo biasmo e' ho d'averne al monio. Così dicendo,
smonta nella via:Piglia una grossa pietra e di gran pondo, E la lega allo
scudo, ed ambi invia l'alto pozzo a ritrovarne il fondo: E dice: Costà giù
statti sepulto, E teco stia sempre il mio obbrobrio occulto. 93 II pozzo è
civo, e pieno al sommo d'acque: Grieve è lo scudo, e quella pietra grieve. Non
si fermò finché nel fondo giacque: Sopra si chiuse il liquor molle e lieve. Il
nobil atto e di splendor non tacque E di rumor n' empì, sonando il corno, E
Francia e Spagna, e le provincie intorno. 94 Poi che di voce in voce si fé
questa Strana avventura in tutto il mondo nota, Molti guerrier si misero
all'inchiesta E di parte vicina e di remota: Ma non sapean qual fosse la
foresta. Dove nel pozzo il sacro scudo nuota; Che la donna che fé' l'atto
palese, Dir mai non volse il pozzo né il paese. Al partir che Ruggier fé' dal
castello, Dove avea vinto con poca battaglia; Che i quattro gran campion di
Pinabelio Fece restar com'r omini di paglia; Tolto lo scudo, avea levato quello
Lume che gli occhi e gli animi abbarbaglia: E quei che giaciuti eran come morti
Pieni di meraviglia eran risorti. Altro fra lor, che dello strano caso; E come
fu che ciascun d'essi a quella Orribil luce vinto era rimaso. Mentre parlan di
questo, la novella Vien lor di Pinabel giunto all' occaso:Che Pinabelio è morto
hanno l'avviso; Ma non sanno però chi l'abbia ucciso. 97 L'ardita Bradamante in
questo meso Giunto avea Pinabelio a un passo stretto: E cento volte gli avea
fin a mezzo Messo il brando pei fianchi e per lo petto. Tolto ch'ebbe dal mondo
il pozzo el ]ez7o Che tutto intomo avea il paese infetto, Le spille al bosco
testimonio volse Con quel destrier che già il fellon le tolse. 9Ì Volse tornar
dove lasciato avea Rnggier; né seppe mai trovar la strada. Or per vaHe or per
monte s'avrolgea: Tutta quasi cercò quella contrada. Non volse mai la sua
fortuna rea, Che via trovasse onde a Ruggier si vada. Quest'altro Canto ad
ascoltare aspetto Chi dell'istoria mia prende diletto. NOTE. ST. 2. V.56. Nummi
j Danari (lat.). St. 2. V.7. Ipermestra: la sola delle cinquanta Danaidi,
sorelle, che non svenasse il marito nella prima notte delle nozze. St. 6. V.18.
Natòlia: V Asia Minore, detta oggi Anatolia. Bursia, denominata altresì Bursa o
Brusa, e in antico Prusa, città situata alle falde deirOlimpo: fu in tempo sede
dei re di Bitinia, ed avanti la presa di Costantinopoli era la capitale
dell'impero ottomano. Franconia fu detto già un i"aese della Germania, che
ora fa parte del Baden e del Viirtemberg. Prese il nome dai Franchi. St. 7.
V.1. Per la selva d Ardenna. Tale era il nome di una selva, altre volte
estesissima, ma ora con siderevolmente diminuita, in una parte della Gallia
Belgica, tra la Sciampagna e la Fiandra. Agtiisgrana, Aix la Chapelle. St. 8.
V.8. Caìessio, Calais. Altrove l'Ariosto lo chiama Calesse. St. 9. V.67.
Caererà sotto la sponda: caccerà sott'acqua V estremità, ossia la prjra del
naviglio. Per la schena del mar, ecc. Percorre col navislio b lunghezza del
canale marittimo, perchè noi pud attra versare. St. 10. v.34. Roano: Rouen,
città di Normanfia St. 13. V.5. Discorso: qui corso, corsa. St. 23. V.6. a
sesta: opportanamente. St. 27. V.6 VanOt qni Vaneggiamento, Sfrenatou St. 33.
V.6. Errabondi, qui fcUlaeL St. 72. V.3. SeH vi raccorda: Se ve lo ricordate.
St. 79. V.6. Barde, bardature. St. 82. V.3. Dai regni molli: regni dell'effemi
natezza e della lascivia St. 85. V.6. Fé lo scudo vampo: lo scudo rìfdse
d'improvviso splendore. St. 94. y. 6. Sacro Il poeta chiama sacro lo scado
d'Atlante, come altrove Tanello d'AngeUca" perché tatti e due incantati.
6. nratlmmante s'inponna in Ashilfo, i !m fJnpf> ivevle nfH dalo HiLù'nno,
part' i\W IppOivif'V Bniiìciinanti va ii; Moi]t:ill"ahO, ii rrntìemìci
Riifrjuro in Vnllomlu'osa ffli maiiila. ppi mia stisdamìs Ha Pi''Hitìii!t
rictameiite, Nf'l fammìiirì ]a ilnmigt'na trova Rodomrute vUi: Ui Uì'\w il
l'avallo. >;eiliiiia e (Jabrinfv iijiiioiio ad Al lai! va, rlstpllo dtìì
ionli da Poh ti ero, dove la uialirm veci' Ina aiiiusa Zei Inno "Idia
uccisione di Pi iviljelk]; e linnorciJtc Cftvaluricj li condotto a moiire. Arriva
quivi ndixndo con Isabelhi . lileia Zibino e ;;li restittiisi'u ramante.
Soiirafjgiunffe SfaiidrÌL'ai'rlo r'iin Lìiivalìce: il paladino combsittf col
prifaiiOT ' Ja pirpiii t> intsfiTorta da nn acc niente. Ha ni] ritardo tS
trajiottarn aititi ve dal proprio cavallo: Orlando ca piU al luogo che fu dimom
d Anjflita e di Medoix), tid ivi L;rni]i[U'la a iH'rdci'f il Menno. Stuiiii
uijiinii iiovfire Itmi; cliè raiìe Volte il ben far senfi il jìuo pifniin fi:i;
H se ]mr Etu? almen nou te ne ai:caU{.' Morte, né danno, né ignominia ria. Ohi
nuoce altrui, tardi 0 per tempo cade Il debito a scontar, che non s'obblia.
Dice il proverbio, eh' a trovar si vanno Gli uomini spesso, e i moLti fermi
stanno. 2 Or vedi quel eh' a Pinabello avviene Per essersi portato iniquamente:
È giunto in somma alle dovute pene, Dovute e giuste alla sua ingiusta mente.
Veder patire a torto uno innocenteSalvò la donna; e salverà ciascuno Che d'ogni
fellonia viva digiuno. 3 Credette Pinabel questa donzella Già d'aver morta, e
colà giù sepulta; Né la pensava mai veder, non ch'ella Gli avesse a tor degli
error suoi la multa. Né il ritrovarsi in mezzo le castella Del padre, in alcun
util gli risulta. Quivi Altaripa era tra monti fieri Vicina al tenitorio di
Pontieri. 4 Tenea quell'Altaripa il vecchio conte Anselmo, di eh' uscì questo
malvagio, Che, per fuggir la man di Chiaramonte, D'amici e di soccorso ebbe
disagio. La donna al traditore appiè d'un monte Tolse l'indegna vita a suo
grand'agio;Che d'altro aiuto quel non si provvede, <ie d'alti gridi e di
chiamar mercede. 5 Morto ch'ella ebbe il falso cavaliero, Che lei voluto avea
già porre a morte, Volse tornare ove lasciò Ruggiero; Ma non lo consentì sua
dura sorte, Che la fé traviar per un sentiero Che la portò dov' era spesso e
forte, Dove più strano e più solingo il bosco, Lasciando il sol già il mondo
all'aer fosco. 6 Né sappiendo ella ove potersi altrove La notte riparar, si
fermò quivi Sotto le frasche in su l'erbette nuove, Parte dormendo, finché '1
giorno arrivi, Parte mirando ora Saturno or Giove, Venere e Marte, e gli altri
erranti Divi; Ma sempre, o vegli o dorma, con la mente Contemplando Ruggier
come presente. 7 Spesso di cor profondo ella sospira, Di pentimento e di dolor
compunta, Ch'abbia in lei, più ch'amor, potuto l'ira. L'ira, dicea, m'ha dal
mio amor disgiunta: Almen ci avessi io posta alcuna mira, Poich'avea pur la
mala impresa assunta. Di saper ritornar dond'io veniva; Che ben fui d'occhi e
di memoria priva. 8 Queste ed altre parole ella non tacque, E molto più ne
ragionò col core. Il vento intanto di sospiri, e l'acque Di pianto facean
pioggia di dolore. Dopo una lunga aspettazion por nacque In oriente il disiato
albore: Ed ella prese il suo destrier, ch'intorno Giva pascendo, ed andò centra
il giorno. 9 Né molto andò, che si trovò all'uscita Del bosco, ove pur dianzi
era il palagio. Là dove molti di l'avea schernita Con tanto error l'incantator
malvagio. Ritrovò quivi Astolfo, che fornita La briglia all' Ippogrifo avea a
grande agit E stava in gran pensier di Rabicano, Per non sapere a chi lasciarlo
in mano. 10 A caso si trovò che fuor dì testa L'elmo allor s' avea tratto il
paladino; Sì che tosto ch'uscì della foresta, Bradamante conobbe il suo cugino.
Di lontan salutollo, e con gran festa Gli corse, e l'abbracciò poi più vicino;
E nominossi, ed alzò la visiera E chiaramente fé' veder chi eli' era. 11 Non
potea Astolfo ritrovar persona A chi il suo Rabican meglio lasciasse.Perché
dovesse averne guardia buona E renderglielo poi come tornasse, Della figlia del
duca di Dordona; E parvegli che Dio glilamandasse. Vederla volentier sempre
solca, Ma pel bisogno or più ch'egli n'avea. 12 Da poi che due e tre volte
ritornati Fraternamente ad abbracciar si f5ro, E si fur l'uno all'altro
domandati Con molta alFezion dell'esser loro, Astolfo disse: Ormai, se dei
pennati Vo'il paese cercar, troppo dimoro: Ed aprendo alla donna il suo
pensiero. Veder le fece il volator destriero. 13 A lei non fu di molta
maraviglia Veder spiegar a quel destrier le penne; Ch'altra volta, reggendogli
la briglia Atlante incantator, centra le venne, E le fece doler gli occhi e le
ciglia; Sì fisse dietro a quel volar le tenne Quel giorno, che da lei Ruggier
lontano Portato fu per cimmin lungo e strano. Astolfo disse a lei, che le volea
Dar Kabican che sì nel corso affretta, Che se, scoccando V arco, si movea, Si
solea lasciar dietro la saetta; E tutte V arme ancor, quante n' avea:Che vuol
eh a Moutalban gli le rimetta, .E gli le serbi fin al suo ri tomo; Che non gli
fanno or di bisogno intorno. 15 Volendosene andar per l'aria a volo, Aveasi a
far quanto potea più lieve. Tiensi la spada e '1 corno, ancorché solo Bastargli
il corno ad ogni risco deve. Bradamante la lancia che'l figlinolo Portò di
Galafrone, anco riceve; La lancia che, di quanti ne percote, Fa le selle restar
subito vuote. 16 Salito Astolfo sul destrier volante. Lo fa mover per Paria
lento lento; ludi lo caccia sì, che Bradamante Ogni vista ne perde in un
momento. Cosi si parte col pilota innante 11 nocchier che gli scogli teme e 1
vento; E poi che'l porto e i liti addietro lassa, Spiega ogni vela, e innanzi
ai venti passa. 17 La donna, poi che fu partito il duca. Rimass in gran
travaglio della mente: Che non sa come a Montalbau conduca L'armatura e il
destrier del suo parente; Perocché '1 cuor le cuoce e le manuca LMngorda voglia
e il desiderio ardenteDi riveder Ruggier, che, se non prima, A Vallombrosa
ritrovar lo stima. 18 Stando quivi sospe>a, per ventura Si vide innanzi
giungere un villano, Dal qual fa rassettar quella armatura Come si puote, e por
su Rabicano:Poi di menarsi dietro gli die cura I duo cavalli, un carco e
l'altro a mano: Elia n' avea duo prima, eh' avea quello, Sopra il qual levò
l'altro a Pinabello. 19 Di Vallombrosa pensò far la strada, Che trovar quivi il
suoRuggier ha speme: Ma qual più breve o qual miglior vi vada, Poro discerne, e
d'ire errando teme. II villan non avea della contrada Pratica molta; ed
erreranno insieme. Pur andare a ventura ella si messe. Dove pensò che'i loco
esser dovesse. 20 Di qua di là si volse, né persona Incontrò mai da domandar la
via. Si trovò uscir del bosco in su la nona.Dove un Castel poco lontan scopria,
Il qual la cima a un monticel corona. Lo mira, e Montai bau le par che sia:Ed
era certo Montalbano; e in quello Avea la madre ed alcun suo fratello. 21 Come
la donna conosciuto ha il loco, Nel cor s' attrista, e più eh' i' non so dire.
Sarà scoperta, se si ferma un poco; Né più le sarà lecito a partire. Se non si
parte, l'amoroso foco L'arderà sì, che la farà morire: Non vedrà più Ruggier,
né farà cosa Di quel ch'era ordinato a Vallombrosa. 22 Stette alquanto a
pensar; poi si risolse Di voler dare a Montalbau le spalle:E verso la badia pur
si rivolse; Che quindi ben sapea qual era il calle. Ma sua fortuna, o buona o
trista, volse Che, prima ch'ella uscisse della valle, Scontrasse Alardo, un de'
fratelli sui; Né tempo di celarsi ebbe da lui. 23 Veniva da partir gli
alloggiamenti Per quel contado a cavalieri e a fanti; Ch'ad instanzia di Carlo
nuove genti Fdtto avea delle terre circonstanti. I saluti e i fraterni
abbracciamenti Con le grate accoglienze andare innanti; E poi, di molte cose a
paro a paro Tra lor parlando in Moatalban tornaro. 24 Entrò la bella donna in
Montalbano, Dove l'avea con lacrimosa guancia Beatrice molto desiata invano, E
fattone cercar per tutta Francia. Or quivi i baci e il giunger mano a mano Di
madre e di fratelli estimo ciancia, Verso gli avuti con Ruggier complessi,
Ch'avrà nell'alma eternamente impressi. 25 Non potendo ella andar, fece
pensiero Ch'a Vallombrosa altri in suo nome andasse Immantinente ad avvisar
Ruggiero Della cagion eh' andar lei non lasciasse:E lui pregar (s'era pregar
mestiero) Che quivi per suo amor si battezzasse, E poi venisse a far quanto era
detto, Sì che si desse al matrimonio effetto. 26 Pel medesimo messo fé' disegno
Di mandar a Ruggiero il suo cavallo, Che gli solea tanto esser caro: e degno
D'essergli caro era ben senza fallo; Che non s'avria trovato in tutto 'l regno
Dei saracin, né sotto il signor gallo, Più bel destrier di questo o più
gagliardo. Eccetti Brigliador, soli, e Baiardo. 27 Ruggier, quel dì che troppo
audace ascese Su rippogrifo, e verso il ciel levosse, Lasciò Frontino, e
Bradamante il prese (Frontino, che '1 destrier cosi nomosse):MandoUo a
Montalbano, e a buone spese Tener lo fece, e mai non cavalcosse, Se non per
breve spazio e a picciol passo j Sì ch'era più che mai lucido e grasso. 28 Ogni
sua donna tosto, ognidonzella Pon seco in opra, e con suttil lavoro Fa sopra
seta candida e morella Tesser ricamo di finissim oro; E dì quel copre ed orna
briglia e sella Del buon destrier: poi sceglie una di loro, Figlia di
Callitrefia sua nutrice, D'ogni secreto sua fida mlitrice. 29 Quanto Ruggier
l'era nel core impresso, Mille volte narrato avea a costei:La beltà, la
virtude, i modi d'esso Esaltato 1' avea fin sopra i Dei. A sé chiamolla, e
disse: Miglior messo A tal bisogno elegger non potrei; Che di te né più fido né
più saggio Imbasciator . Ippalca mia, non àggio. 30 Ippalca la donella era
nomata. Va, le dice (e l'insegna ove de' gire); E pienamente poi l'ebbe
informata Di quanto avesse al suo signore a dire. E far la scusa se non era
andata Al monaster: che non fu per mentire; Ma che fortuna, che di noi potea
Più che noi stessi, da imputar s' avea. 31 Montar la fece s'un ronzino, e in
mano La ricca briglia di Frontin le messe: E se si pazzo alcuno o si villano
Trovasse, che levar le lo volesse, Per fargli a una parola il cervel sano, Di
chi fosse il destrier sol gli dicesse; Che non sapea si ardito cavaliero, Che
non tremasse al nome di Ruggiero. 32 Di molte cose l'ammonisce e molte, Che
trattar con Ruggier abbia iti sua vece Le qual poi ch'ebbe Ippalca ben
raccolte,Si pose in via, né più dimora fece. Per strade e campi e selve oscure
e folte Cavalcò delle miglia più di diece; Che non fu a darle noia chi venisse.
Né a domandarla pur dove ne gisse. 83 A mezzo il giorno, nel calar d'un monte.
In una stretta e malagevol via Si venne ad incontrar con Rodomonte, Ch'armato
un piccol n\no e a pie segm. Poiché sì bel destrier, sì bene ornato. Non avea
in man d'an cavalier trovato. 84 Avea giurato che '1 primo cavallo Torria per
forza, che tra via incontrasse. Or questo è stato il primo; e trovato hallo Più
bello e più per lui, che mai trovasse: Ma torio a una donzella gli par fallo; E
pur agogna averlo, e in dubbio storse. Lo mira, lo contempla, e dice spesso:
Deh perché il suo signor non è con esso ' 35 Deh ci fosse egli! gli rispose
Ippalci; Che ti faria cangiar forse pensiero. Assai più di te vai chi lo
cavalca; Né lo pareggia al mondo altro guerriero. Chi é, le disse il lIoro, che
pì calca L'onore altrui? Rispose ella: Ruggiero. E quel soggiunse: Adunque il
destrier voiio. Poich'a Ruggier, sì gran campiou, Io tosrli) 36 II qual, se
sarà ver, come tu parli, Che sia si forte, e più d'ogn' altro vaglia. Nonché il
destrier, ma la vettura darli Converrammi, e in suo arbitrio fia la taglia. Che
Rodomonte io sono, hai da narrarli; E che, se pur vorrà meco battaglia, Mi
troverà: eh' ovunque io vada o stia, ìli fa sempre apparir la luce mia. 37
Dovunque io vo, si gran vestigio resta, Che non lo lascia il fulmine maggiore
Cosi dicendo, avea tornate in testa Le redini dorate al corridore: Sopra gli
salta; e lacrimosa e mesta Rimane Ippalca, e spinta dal dolore, Minaccia
Rodomonte, e gli dice onta: Non l'ascolta egli, e su pel poggio raoati. 38 Per
quella via dove Io guida il nano l'er trovar Mandricardo e Doralice, Gli viene
Ippalca dietro di lontano E lo bestemmia sempre e maled'ce. Ciò che di questo
avvenne, altrove è piano. Turpin, che tutta questa istoria dice, Fa qui
digrosso, e torna in quel paese, Dove fu dianzi morto il Maganzese. 39 Dato
avea appena a quel loco le spalle La figliuola d' Amon, ch in fretta già, Che
v'arrivò Zerbin per altro calle Con la fallace vecchia in compagnia:E giacer
vide il corpo nella valle Del cavalle r, che non sa già chi sia; 3Ia, come quel
ch'era cortese e pio, Ebbe pietà del caso acerbo e rio. stanza 6U 40 Qiaceva
Pinabello in terra spento. Versando il sangue per tante ferite, Ch'esser
dbveano assai, se più di cento Spade in sua morte si fossero unite. Il cavalier
di Scozia non fu lento, Per r orme che di fresco eran scolpite, A porsi in
avventura, se potea Saper chi l'omicidio fatto avea. 42 Se di portarne il furto
ascosamente Avesse avuto modo o alcuna speme, La soprawesta fatta riccamente
Gli avrebbe tolta, e le bell'arme insieme. Ma quel che può celarsi agevolmente
Si piglia, e'I resto fin al cor le preme. Fra l'altre spoglie un bel cinto
levonne, E se ne legò i fianchi infìra due gonne. 41 Ed a Gabrina dice che
l'aspette; Che senza indugio a lei farà ritomo. Ella presso al cadavere si
mette, E fissamente vi pon gli occhi intorno:Perchè,. se cosa v'ha che le
dilette. Non vuol eh 'un morto invan più ne sia adorno, colei che fa, tra
l'altre note. Quanto avara esser più femmina puote. 43 Poco dopo arrivò Zerbin.
eh' avea Seguito invan di Bradamante i passi,Perchè trovò il sentier che si
torcea In molti rami ch'ivano alti e bassi; E poco omai del giorno rimanea, Né
volea al buio star fra quelli sassi; E per trovare albergo die le spalle Con
l'empia vecchia alla funesta valle. 44 Quindi presso a dua miglia ritrovaro Un
gran caste! che fa detto Altariva, Dove per star la notte si fermare, Che già a
gran volo inverso il ciel saliva. Non vi stér molto, eh' un lamento amaro
L'orecchie d'ogni parte lor feriva; E veggon lacrimar da tutti gli occhi, la
cosa a tutto il popol tocchi. 45 Zerbino dimandonne; e gli fu detto Che venut'
era al cont' Anselmo avviso, Che fta duo monti in un sentiero stretto Giacca il
su) figlio Pinabello ucciso. Zerbin, per non ne dar di sé sospetto, Di ciò si
finge nuovo, e abbassa il viso; Ma pensa ben, che senza dubbio sia Quel ch'egli
trovò morto in su la via. 46 Dopo non molto la bara funebre Giunse, a splendor
di torchi e di facelle, Là dove fece le strida più crebre Con un batter di man
gire alle stelle, E con più vena fuor delle palpebre Le laciime innondar per le
mascelle: 3ra più dell'altre nubilose ed atre, Era la faccia del misero patre.
47 Mentre apparecchio si facea solenne Di grandi esequie e di funebri pompe, Secondo
il modo ed ordine che tenne L'usanza antiqua, e ch'ogni età corrompe: Da parte
del signor un bando venne, Che tosto il popolar strepito rompe, E promette gran
premio a chi dia avviso Chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso. Di voce
in voce, e d'una in altra orecchia Il grido e '1 bando per la terra scorse,
Finché l'udì la scellerata vecchia, Che di rabbia avanzò le tigri e l'orse; E
quindi alla mina s'apparecchia Di Zerbino, o per l'odio che gli ha forse, 0 per
vantarsi pur, che sola priva D'tmanitade in uman corpo viva; 49 0 fosse pur per
guadagnarsi il premio:A ritrovar n' andò quel signor mesto; E dopo un verisimil
suo proemio, (irli disse che Zerbin fatto avea questo:E quel bel cinto si levò
di gremio, ' Che '1 miser padre a riconoscer presto, Appresso il testimonio e
triste uffizio Dell'empia vecchia, ebbe per chiaro indizio. 50 E lacrimando al
ciel leva le mani, Che'l figliuol non sarà senza vendetta. Fa circondar
l'albergo ai terrasszani; tutto 'l papol s' è levato in fretta. Zerbin che gii
nimici aver lontani Si crede, e questa ingiuria non aspetta, Dal conte Anselmo,
che si chiama oifeso Tanto da lui, nel primo sonno è preo; 51 E quella notte in
tenebrosa parte Incatenato e in gravi ceppi messo. Il sole ancor non ha le luci
sparte, Che l'ingiusto supplicio è già commesso: Che nel loco medesimo si
squarte, Dove fu il mal e' hanno imputato ad esso. Altra esamina in ciò non si
facea; Bastava che '1 signor così credea. 62 Poi che l'altro mattin la bella
aurora L'aer seren fé bianco e rosso e giallo, Tutto '1 popol gridando: Mora,
mora, Vien per punir Zerbin del non suo fallo. Lo sciocco vulgo l'accompagna
fuora, Senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo; E 'l cavalier di
Scoziaacapochino Ne vien legato in s'un piccol ronzino. 53 Ma Dio, che spesso
gl'innocenti aiata. Né lascia mai chi'n sua bontà si fida, Tal difesa gli avea
già provveduta. Che non v' è dubbio più eh' oi s' uccida. Quivi Orlando arrivò,
la cui venuta Alla via del suo scampo gli fu guida. Orlando giù nel pian vide
la gente Che traea a morte il cavalier dolente. 54 Era con lui quella
fanciulla, quella Che ritrovò nella selvaggia grotta. Del re Gklego la figlia
Isabella, In poter già de'malandrin condotta, Poi che lasciato avea nella
procella Del truculento mar la nave rotta: Quella che più vicino al core avea
Questo Zerbin, che l'alma onde vivea. 55 Orlando se l'avea fatta compagna, Poi
che della caverna la riscosse. Quando costei li vide alla campagna . Domandò
Orlando, chi la turba fosse. Non so, diss'egli; e poi su la montagna Lasciolla,
e verso il pian ratto si mosse: Guardò Zerbino, ed alla vista prima Lo giudicò
baron di molta stim. 56 E fattosegli appresso, domandollo Per che cagione e
dove il menin preso. LeTÒ il dolente cavaliero il collo; E meglio avendo il
paladino inteso, Rispose il vero; e così ben narrollo, Che meritò dal conte
esser difeso. Bene avea il conte alle parole scorto Ch'era innocente, e che
moriva a torto. 57 E poi che'ntese che commesso questo Era dal conte Anselmo
d'Altariva, Fu certo ch'era torto manifesto; Ch'altro da quel fellon mai non
deriva. Ed oltre a ciò, l'uno era all'altro infesto Per r antiquissimo oiio che
bolliva Tra il sangue di Maganza e di Chiaramonte; E tra lor eran morti e danni
ed onte. .58 Slegate il cavalier, gridò, canaglia, Il conte a' masnadieri, o
ch'io v'uccido. Chi è costui che sì gran colpi taglia? Rispose un che parer
volle il più fido: Se di cera noi fussimo o di paglia, E di fuoco egli, assai
fora quel grido. E venne contra il paladin di Francia: Orlando contro lui chinò
la lancia. 62 Di cento venti (che Turpin sottrasse Il conto), ottanta ne perirò
almeno. Orlando finalmente si ritrasse Dove a Zerbin tremava il cor nel seno.
S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse, Non si potria contare in versi appieno.
S3 gli saria per onorar prostrato; Ma si trovò sopra il ronzin legato. 63
Mentre eh' Orlando, poi che lo disciolse, L'aiutava a ripor l'arme sue intorno,
Ch'ai capitan della sbirraglia tolse, Che per suo mal se n' era fatto adomo;
Zerbino gli occhi ad Isabella volse, Che sopra il colle avea fatto soggiorno; E
poi che della pugna vide il fine. Portò le sue bellezze più vicine. 64 Quando
apparir Zerbin si vide appresso La donna che da lui fu amata tanto, La bella
donn che per falso messo Credea sommersa, e n'ha più volte pianto: Com'un
ghiaccio nel petto gli sia messo. Sente dentro aggelarsi, e trema alquanto:Ma
tosto il freddo manca, ed in quel loco Tutto s'avvampa d'amoroso fuoco. 59 La
lucente armatura il Maganzese, Che levata la notte avea a Zerbino, E postasela
indosso, non difese Contro l'aspro incontrar del paladino. Sopra la destra
guancia il ferro prese: L'elmo non passò già, perch'era fino; Ma tanto fu della
percossa il crollo. Che la vita gli tolse, e roppe il collo. 60 Tutto in un
corso, senza tor di resta La lancia, passò un altro in mezzo '1 petto Quivi
lasciolla, e la mano ebbe presta A Durindana; e nel drappel più stretto A chi
fece due parti della testa, A chi levò dal busto il capo netto; Forò la gola a
molti; e in un momento N'uccise e messe in rotta più di cento. 61 Più del terzo
n'ha morto, e'I resto caccia E taglia e fende e fiere e fora e tronca. Chi lo
scudo e chi l'elmo che lo'mpaccia, E chi lascia lo spiedo e chi la ronca; Chi
al lungo, chi al traverso il cammin spaccia; Altri s'appiatta in bosco, altri
in spelonca. Orlando di pietà questo dì privo, A suo poter non vuol lasciarne
un vivo. 6.5 Di non tosto abbracciarla lo ritiene La riverenza del signor
d'Aiiglante; Perchè si pensa, e senza dubbio tiene, Ch'Orlando sia della
donzella amante. Così cadendo va di pene in pene, E poco dura il gaudio ch'ebbe
innante: Il vederla d'altrui peggio sopporta, Che non fé' quando udì eh' ella
era morta. 66 E molto più gli duol che sia in podestà Del cavaliero a cui
cotanto debbe; Perchè volerla a lui levar, né onesta Né forse impresa facile
sarebbe; Nessuno altro da sé lassar con questa Preda partir senza romor
vorrebbe; Ma verso il conte il suo debito chiede Che se lo lasci por sul collo
il piede. 67 Giunsero taciturni ad una fonte, Dove smontare, e fèr qualche
dimora. Trassesi l'elmo il travagliato conte, Ed a Zerbin lo fece trarre
ancora. Vede la donna il suo amatore in fronte, E di subito gaudio si scolora;
Poi toma come fiore umido suole Dopo gran pioggia all'apparir del sole: 8 E
senza indugio e senza altro rispetto Corre al suo caro amante, e il collo
abbraccia:E non pnò trar parola fuor del petto, Ma di lacrime il sen bagna e la
faccia. Orlando attento air amoroso affetto, Senza che più chiarezza se gli
faccia, Vide a tutti gl'indizj manifesto Ch'altri esser che Zerbin non potea
questo. Stanza 85. 69 Come la voce aver potè Isabella, Non bene
asciuttaancorl'umida guancia, Sol della molta cortesia favella Che Tavea usata
il paladin di Francia. Zerbino, che tenea questa donzella Con la sua vita pari
a una bilancia, Si getta a' pie del conte, e quello adora Come a chi gli ha due
vite date a un'ora. 70 Molti ringraziamenti e molte offerte Erano per seguir
tra i cavalieri. Se non udian sonar le vie coperte Dagli arbori di frondi
oscuri e neri. Presti alle teste lor, eh' eran scoperte, Posero gli elmi, e
presero i destrieri:Kd ecco un cavaliere e una donzella Lor sopravvien,
ch'appena erano in sella. 71 Era questo guerrier quel Mandrì<"rdo Che
dietro Orlando in fretta si conciasse Per vendicar Alzirdo e Manilardo, Che '1
paladin con gran valor percnsse:Quantunque poi lo seguitò più tardo, Che
Doralice in suo poter ridusse. La quale avea con un troncon dì cerro Tolta a
cento guerrier carchi di ferro. 72 Non sapea il saracin però che questo,
Ch'egli seguia, fosse il signor d'Anlaate; Ben n'avea indizio e segno manifesto
Ch'esser dovea gran cavaliere errante. A lui mirò più eh' a Zerbino, e presto
Gli andò con gli occhi dal capo alle piante: E i dati contrassegni ritrovando,
Disse: Tu se' colui ch'io vo cercando. 73 Sono omai dieci giorni, gli
soggiunse, Che di cercar non lascio i tuo' vestigi:Tanto la fama stimolommi e
punse, Che di te venne al campo di Parigi, Quando a fatica im vivo sol vi
giunse Di mille che mandasti ai regni stigi, E la strage contò, che da te venne
Sopra i Norizj e quei di Tremisenne. 74 Non fui, come lo seppi, a seguir lento,
E per vederti, e per provarti appresso: E perchè m'informai del guemimento C
hai sopra l'arme, io so che tu sei (ìesfr E se non l'avessi anco . e che fra
cento Per celarti da me ti fossi messo, Il tuo fiero sembiante mi farìa
Chiaramente veder che tu quel sia. 75 Non si può, gli rispose Orlando, diro Che
cavalier non sii d'alto valore; Perocché si magnanimo desire Non mi credo
albergasse in umil cor"\ Se'l volermi veder ti fa venire, Vo'che mi veggi
dentro, come fuore: Mi leverò quest'elmo dalle tempie. Acciò eh' a punto il tuo
desire adempie. 76 Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia. All'altro desiderio
ancora attendi: Resta ch'alia cagion tu satisfaccia, Che fa che dietro questa
via mi preu'li; Che veggi se '1 valor mio si confaccia A quel sembiante fier
che si commendi. Orsù, disse il pagano, al riraanenie: Chal primo ho satisfatto
interamente. 77 II conte tuttavia dal capo al piede Va cercando il pagan tutto
con gli occhi: Mira ambi i fianchi, indi Parcion;né vede Pen'ler né qua né
1& mazze né stocchi. Gli domanda di eh' ai me si provvede, S'avvien che pon
la lancia in fallo tocf;hi. Rispose quel: Non ne pigliar tu cura:Così a molt'
altri ho ancor fatto paura. 78 Ho sacramento di non cinger spada, Finch' io non
tolgo Durindana al conte; E cercando lo vo per ogni strada, Acciò più d'una
posta meco sconte. Lo giurai (se d'intenderlo t' aggrada) Quando mi posi
quest'elmo alla fronte, Il qual con tutte l'altr'arme ch'io porto, Era d'Ettór,
che già mill' anni é morto. 79 La spada sola manca alle buone arme; Come rubata
fu, non ti so dire. Or, che la porti il paladino, parme; E di qui vien eh' egli
ha si grande ardire. Ben penso, se con lui posso accozzarme, Fargli il mal
tolto ormai restituire. Cercolo ancor, che vendicar disio Il famoso Agrican,
gcnitor mio. 80 Orlando a tradimento gli die morte:Ben so che non potea farlo
altrimente. Il conte più non tacque, e gridò forte:E tu, e qualunque il dice,
se ne mente. Ma quel che cerchi, t' è venuto in sorte:Io sono Orlando, e
uccisil giustamente; E questa è quella spada che tu cerchi, Che tua sarà, se
con virtù la merchi. 81 Quantunque sia debitamente mia, Tra noi per gentilezza
si contenda: Né voglio in questa pugna ch'ella sia Più tua che mia; ma a un arbore
s'appenda. Levala tu liberamente via, S'avvien che tu m'uccida o che mi prenda.
Cosi dicendo, Durindana prese, E'n mezzo il campo a un arboscel l'appese. 82
Già l'un dall' altro é dipartito lunge, Quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco;
Già l'uno centra l'altro il destrier punge, Né delle lente redini gli é parco;
Già l'uno e l'altro di gran colpo aggiunge Dove per l'elmo la veduta ha varco.
Parvero l'aste, al rompersi, di gelo, E in mille schede andar volando al cielo
Ariusto. 83 L'una e l'altr'asta è forza che si spezzi; Che non voglion piegarsi
i cavalieri I cavalier che tornano coi pezzi Che son restati appresso i calci
interi. Quelli che sempre fur nel ferro avvezzi, Or, come duo villan per sdegno
fieri Nel partir acque o termini di prati, Fan crudel zuffa di duo pali armati.
84 Non stanno l'aste a quattro colpi salde, E mnncan uel furor di quella pugna.
Di qua e di là si fan l'ire più calde; Né da ferir lor resta altro che pugna.
Schiodano piastre, e straccian maglie e falde, Purché la man, dove s' aggraffi,
giugna. Non desideri alcun, perché più vaglia, Martel più grave o più dura
tanaglia%M Stanza 87. 85 Come può il saracin ritrovar sesto Di finir con suo
onore il fiero invito? Pazzia sarebbe il perder tempo in questo:Che nuoce al
feritor più eh' al ferito. Andò alle strette l'uno e l'altro, e presto Il re
pagano Orlando ebbe ghermito: Lo stringe al petto; e crede far le prove Che
sopra Anteo fé già il figliuol di Giove. 86 Lo piglia con molto impeto a
traverso:Quando lo spinge, e quando a sé lo tira; Ed é nella gran collera si
immerso, Ch' ove resti la briglia poco mira. Sta in sé raccolto Orlando, e ne
va verso Jì suo vantaggio, e alla vittoria aspira:Gli pon la cauta man sopra le
ciglia Del cavallo, e cader ne fa la briiIia. 87 II Saracino ogni poter vi
mette Che lo soffoghi, o dell arcion lo avella. Negli urti il conte ha le
ginocchia strette; Né in questa parte vuol piegar, né in quella. Per quel tirar
che fa il pagan, constrette Le cinghie son d abbandonar la sella. Orlando è in
terra, e appena se'l conosce; ChH piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.
88 Con quel rumor eh un sacco darme cade, Risuona il conte, come il campo
tocca. Il destrier e' ha la testa in libertade, Quello a chi tolto il freno era
di bocca, Non più mirando i boschi che le strade, Con ruinoso corso si
trabocca, Spinto di qua e di là dal timor cieco; E Mandricardo se ne porta
seco. 89 Doralice che Tede la sua guida Uscir del campo, e torlesi d'appresso,
E mal restarne senza si confida. Dietro, correndo, il suo ronzin gli ha messo.
Il pagan per orgoglio al destrier grida, E con mani e con piedi il batte
spesso; E, come non sia bestia, lo minaccia Perchè si fermi, e tuttavia più il
caccia. 90 La bestia ch'era spaventosa e poltra, Senza guardarsi ai pie. corre
a traverso. Già corso avea tre miglia, e seguiva oltra, S'un fosso a quel desir
non era avverso; Che, senza aver nel fondo o letto o coltra, Ricevè l'un e
l'altro in sé riverso. Die Mandricardo in terra aspra percossa; Né però si
fiaccò né si roppe ossa. 91 Quivi si ferma il corridore alfine; Ma non si può
guidar; che non ha freno. Il Tartaro lo tien preso nel crine, E tutto é di
furore e d'ira pieno. Pensa, e non sa quel che di far destine. Pongli la
briglia del mio palafreno, La donna gli dicea; che non è molto Il mio feroce, o
sia col freno o sciolto. 92 Al Saracin parca discortesia La profferta accettar
di Doralice; Ma fren gli farà aver per altra via Fortuna a' suoi disii molto
fautrice. Quivi (Sbrina scellerata invia, Che, poi che di Zerbin fu traditrice,
Fuggìa, come la lupa che lontani Oda venire i cacciatori e i cani. 93 Ella avea
ancora indosso la gonnella, E quei medesmi giovenili ornati Che furo alla
vezzosa damigella Di Pinabel, per lei vestir, levati:Ed avea il palafreno anco
di quella . Dei buon del mondo e degli avvantaggiatL La vecchia sopra il
Tartaro trovosse, Ch' ancor non s'era accorta che vi fosse. 94 L'abito giovenil
mosse la figlia Di Stordilano e Mandricardo a riso, Vedendolo a colei che
rassimiglia A un babbuino, a un bertuccione in rìso. Disegna il Saracin torlo
la briglia Pel suo destriero, e riuscì l'avviso. Toltogli il morso, il palafren
minaccia; Gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia. 95 Quel fugge per la
selva, e seco porta La quasi morta vecchia di paura Per valli e monti, e per
via dritta e tórta. Per fossi e per pendici alla ventura. Ma il parlar di
costei si non m'importa, Ch'io non debba d'Orlando aver più cura, Ch'alia sua
sella ciò ch'era di guasto, Tutto ben racconciò senza contrasto. 96 Rimontò sul
destriero, e stè gran pezzj A riguardar che '1 Saracin tornasse. Noi vedendo
apparir, volse da sezzo Egli esser quel eh' a ritrovarlo andasse; Ma, come
costumato e bene awezsso, Non prima il pai .din quindi si trasse, Che con dolce
parlar grato e cortese Buona licenzia dagli amanti prese. 97 Zerbin di quel
partir molto si dolse: Di tenerezza ne piangea Isabella: Voleano ir seco: ma il
conte non volse Lor compagnia, bench'era ebuona e bella; E con questa ragion se
ne disciolse: Ch'a guerrier non è infamia sopra quella, Che, quando cerchi un
suo nemico, prenda Compagno che l'aiuti e che '1 difenda. 98 Li pregò poi che,
quando il Saracino, Prima eh' in lui, si riscontrasse in loro, Gli dicesser
ch'Orlando avria vicino Ancor tre giorni per quel tenitore: Ma dopo che sarebbe
il suo cammino Verso le'nsegne dei bei gigli d'oro. Per esser con l'esercito di
Carlo, Acciò, volendol . sappia onde chiamarlo. 99 Quelli promiser farlo
volentieri, E questa e ogn altra cosa al sno comando. Fero camniin diverso i
cavalieri, Di qua Zerbino, e di là il conte Orlando. Prima che pigli il conte
altri sentieri, All' arbor tolse, e a sé ripose il brando; E dove meglio col
pagan pensosse Di potersi incontrare, il destrier mosse. 106 Ma sempre più
raccende e più rinnova, Quanto spegner più cerca, il rio sospetto: Come l'incauto
augel, che si ritrova In ragna o in visco aver dato di petto, Quanto più batte
l'ale e più si prova Di disbrigar, più vi si lega stretto. Orlando viene ove
s'incurva il monte A guisa d'arco in su la chiara fonte. 100 Lo strano corso
che tenne il cavallo Del Saraci n pel bosco senza via, eh' Orlando andò due
giorni in fallo, Né lo trovò, né potè averne spia. Giunse ad un rivo che parca
cristallo, Nelle cui sponde un bel pratel fioria, Di nativo color vago e
dipinto, E di molti e belli arbori distinto. 101 II merigge facea grato
l'orezzo Al duro armento ed al pastore ignudo; Sì che né Orlando sentia alcun
ribrezzo, Che la corazza avea, l'elmo e lo scudo. Quivi egli entrò . per
riposarvi, in mezzo; E v'ebbe travaglioso albergo e crulo, E più che dir si
possa empio soggiorno. Quell'infelice e sfortunato giorno. 102 Volgendosi ivi
intorno, vide scritti Molti arbuscelli in su l'ombrosa riva. Tosto che fermi
v'ebbe gli occhi e fitti. Fu certo esser di man della sua diva. Questo era un
di quei lochi già descritti, Ove sovente con Medor veniva Da casa del pastor
indi vicina La bella donna del Catai regina. 103 Angelica e Medor con cento
nodi Legati insieme, e in cento lochi vede. Quante lettere son, tanti son
chiodi Coi quali amore il cor gli punge e fiede. Va col pensier cercando in
mille modi Non creder quel ch'ai suo dispetto crede: Ch'altra Angelica sia
creder si sforza, Ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza Stanza 90. 104
Poi dice: Conosco io pur queste note:Di tal'io n'ho tante vedute e lette. Finger
questo Medoro ella si può te:Forse eh' a me questo cognome mette. Con
taliopinion dal ver remote, Usando frande a sé medesmo, stette Nella speranza
il mal contento Orlando, Che si seppe a sé stesso ir procacciando. 106 Aveano
in su l'entrata il luogo adorno Coi piedi storti edere e viti erranti:Quivi
solcano al più cocente giorno Stare abbracciati i duo felici amanti. V aveano i
nomi lor dentro e d'intorno, Più che in altro dei luoghi cireoustanti, Scritti,
qual con carbone e qual con gesso, £ qual con punte di coltelli impresso.107 II
mesto conte a pie quivi discese; E vide in su l'entrata della grotta Parole
assai, che di sua man distese Medoro ayea, che parean scritte allotta. Del gran
piacer che nella grotta prese, Questa sentenzia in versi avea ridotta. Che
fosse eulta in suo lioguaggio io penso; Ed era nella nostra tale il senso:108
Liete piante, verdi erbe, limpide acque, Spelonca opaca, e di fredde ombre
grata, Dove la bella Angelica, che nacque Di Galafron, da molti invano amata,
Spesso nelle mie braccia nuda giacque; Della comodità che qui m'è data. Io
povero Medor ricompensarvi D altro non posso, che d'ognor lodarvi; 113
LMmpetuosa doglia entro rimase. Che volea tutta uscir con troppa fretta. Cosi
veggiam restar T acqua nel vase, Ch largo il ventre e la bocca abbia stretta:
Che nel voltarche si fa in su la base, Lumor che vorria uscir, tanto
saffiretta, E nell'angusta via tanto s'intrica, Ch'a goccia a goccii i\iore
esce a fatiea. 114 Poi ritoma in sé alquanto, e pensa eomt Possa esser che non
sia la cosa vera:Che voglia alcun cosi infamare il nome Della sua donna e crede
e brama e spera, 0 gravar lui d'insopportabil some Tanto di gelosia, che se ne
pera; Ed abbia quel, sia chi si voglia stato, Molto la man di lei bene imitato.
109 E di pregare ogni signore amante, E cavalieri e damigelle, e ognuna Persona
o paesana o viandante, Che qui sua volontà meni o fortuna, Ch'alPerbe,
all'ombra, all'antro, al rio, alle piante Dica: Benigno abbiate e sole e luna,
E delle ninfe il coro, che provveggia Che non conduca a voi pastor mai greggia.
110 Era scritto in arabico, che'l conte Intendea così ben, come latino. Fra
molte lingue e molte eh' avea pronte. Prontissima avea quella il paladino, E
gli schivò pia volte e danni ed onte, Che si trovò tra il popol Saracino. Ma
non si vanti, se già n' ebbe frutto; Ch'un danno or n'ha, che può scontargli il
tutto. Ili Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto Quello infelice, e pur
cercando invano Che non vi fosse quel che v'era scritto; E sempre lo vedea più
chiaro e piano: Ed ogni volta in mezzo il petto afflitto Stringersi il cor
sentia con fredda mano. Rimase alfin con gli occhi e con la mente Fissi nel
sasso, al sasso indifferente. 112 Fu allora per uscir del sentimento; Si tutto
in preda del dolor si lassa. Credete a chi n' ha fatto esperimento, Che questo
è 'I duol che tutti gli altri passa. Caduto gli era sopra il petto il mento, La
fronte priva di baldanza, e bassa; Né potè aver (che '1 duol l'occupò, tanto)
Alle querele voce, o umore al pianto. 115 In cosi poca, in cosi debol speme
Sveglia gli spirti, e gli rinfranca nn poco; Indi al suo Brigliadoro il dosso
preme; Dando già il sole alla sorella loco. Non molto va, che dalle vie supreme
Dei tetti uscir vede il vapor del fuoco, Sente cani abbaiar, mudare armento: Viene
alla villa, e piglia alloggiamento. 116 Languido smonta, e lascia Brigliadoro A
un discreto garzon che n'abbia cura. Altri il disarma, altri gli sproni d'oro
Oli leva, altri a forbir va 1' armatura. Era questa la casa ove Medoro Giacque
ferito, e v'ebbe alta avventura. Corcarsi Orlando e non cenar domanda, dolor
sazio, e non d'altra vivanda. 117 Quanto più cerca ritrovar quiete, Tanto
ritrova più travaglio e pena; dell'odiato scritto ogni parete. Ogni uscio, ogni
finestra vede piena. Chieder ne vuol: poi tien le labbra chete; Che teme non si
far troppo serena, Troppo chiara la cosa che di nebbia ofiFnscar, perchè men
nuocer debbia. 118 Poco gli giova usar fraudo a sé stesso; Che, senza
domandarne, è chi ne parla n pastor, che lo vede così oppresso Da sua
tristizia, e che vorria levarla, L'istoria nota a sé, che dicea spesso Di quei
duo amanti a chi volea ascoltarla . Ch'a molti dilettevole fu a udire, or
incominciò senza rispetto a dire: SUnza 100. 119 Commesso a'prieghi d'Angelica
bella PorUto avea Medoro alla sua villa; Ch' era ferito gravemente, e eh' ella
Curò la piaga, e in pochi di guarilla:Ma che nel cor d'una maggior di quella
Lei feri amor; e di poca scintilla L'accese tanto e sì cocente foco, . Che
n'ardei tutta, e non trovava loco. 120 E senza aver rispetto ch'ella fusse
Figlia del maggior re 6h' abbia il Levante, Da troppo amir constretta si
condusse A farsi moglie d'un povero fante. All'ultimo l'istoria si ridusse, Che
'1 pastor fé portar la gemma innante, Ch'alia sua dipartenza, per mercede Del
buon albergo, Angelica gli diede. 121 Questa conclusion fd la secare Che'l capo
a un colpo gli levò dal collo, che d innumerabil battiture Si vide il manigoldo
Amor satollo. Celar si studia Orlando il duolo: e pure Quel gli fa forza, e
male asconder puoUo: Per lacrime e sospir da bocca e d'occhi Convien, voglia o
non voglia, alfin che scocchi. 122 Poi ch'allargare il freno al dolor puote
(Che resta solo, e senza altrui rispetto) Giù dagli occhi rigando per le gote
un fiume di lacrime sul petto:e geme, e va con spesse ruote Di (iafl.di là
tutto cercando il letto; E più duro eh' un sasso, e più pungente Che se fosse
d'urtica, se lo sente. 125 Di pianger mai, mal di grìdsLT non resu: Né la notte
né '1 dì si dà mai pace:Fugge cittadi e borghi, e aUa foresta Sul terren duro
al discoperto giace. Di sé si maraviglia, ch'abbia in testa Una fontana d'acqua
sì vivace, E come sospirar possa mai tanto; E spesso dice a sé così nel pianto:
126 Queste non son più lacrime, che faore Stillo dagli occhi con sì larga vena:
Non suppliron le lacrime al dolore; Finir, eh' a mezzo era il dolore appena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore, Fugge per quella via ch'agli occhi mena;
Ed è quel che si versa, e trarrà insieme dolore e la vita all'ore estreme.
Stanza 123. 123 In tanto aspro travaglio gli soccorre Che nel medesmo letto, in
che giaceva, L'ingrata donna venutasi a porre Col suo drudo più volte esser
doveva. Non altrimenti or quella piuma abborre. Né con minor prestezza se ne
leva, Che dell'erba il villan che s'era messo Per chiuder gli occhi, e veorga
il serpe appresso. 124 Quel letto, quella casa, quel pastore Immantinente in
tant'odio gli casca. Che, senza aspettar luna, o che l'albore Che va dinanzi al
nuovo giorno nasca, Piglia l'arme e il destriero, ed esce fuore Per mezzo il
bosco alla più oscura frasca; E quando poi gli è avviso d'esser solo. Con gridi
ed urli apre le porte al duolo. 127 Questi, ch'indizio fan del mio tormento,
Sospir non sono; né i sospir son tali. Quelli han triegua talora; io mai non
sento Che'l petto mio men la sua pena esali. Amor, che m'arde il cor, fa questo
vento. Mentre dibatte intorno al fuoco Pali. Amor, con che miracolo lo fai,
Che'n fuoco il tenghi, e noi consumi mai? 1 28 Non son, non sono io quel che
paio in rìso:Quel ch'era Orlando, è morto, ed è sotterra; La sua donna
in2n:titis8ima l'ha ucciso: Sì, mancando di fé, gli ha fatto guerra. Io son lo
spirto suo da lui diviso. Ch'in questo inferno tormentandosi erra. Acciò con
l'ombra sia, che sola avanza, Esempio a chi in amor pone speranza. 129 Pel
bosco errò tutta la notte il conte; E allo spuntar della diurna fiamma Lo tornò
il suo destin sopra la fonte. Dove Medoro isculse l'epigramma. Veder l'ingiuria
sua scritta nel monte L'accese si, ch'in lui non restò dramma Che non fosse
odio, rabbia, ira e furore; Né più indugiò, che trasse il brando fuore. 130
Tagliò lo scritto e'I sasso, e sino al cielo A volo alzar fé le minute schegge.
Infelice qiielP antro, ed ogni stelo In cui Medoro e Angelica si legge! Così
restar quel dì, ch'ombra né gelo A pastor mai non daran più, né a gregge:quella
fonte, già sì chiara e pura. cotanta ira fu poco sicura; |31 Che rami e ceppi e
tronchi e sassi e zolle Non cessò di gittar nelle beli' onde, Finché da sommo
ad imo si turbolle, Che non furo mai più chiare né monde: E stanco alfin, e
alfin di sudor molle, sdegno, al grave odio, all'ardente ira, Cade, sul prato,
e verso il ciel sospira. 132 Afflitto e stanco alfin cade nell'erba, ficca gli
occhi al cielo, e non fa motto. Senza cibo e donnir cosi si serba. Che '1 sole
esce tre volte, e toma sotto. Che fuor del senno alfin l'ebbe condotto. Il
quarto dì, da gran furor commosso, E maglie e piastre si stracciò di dosso.
135. 133 Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo; Lontan gli arnesi, e più lontan
l'usbergo: L'arme sue tutte, insomma vi concludo, Avean pel bosco differente
albergo. E poi si squarciò i panni e mostrò ignudo ventre, e tutto '1 petto e
'1 tergo; E cominciò la gran follia, si orrenda, Che della più non sar<à mai
chi'ntenda. 134 In tanta rabbia, in tanto furor venne, Che rimase offuscato in
ogni senso. Di tor la spada in man non gli sovvenne; Che fatte avria mirabil
cose, penso. Ma né quella, né scure, né bipenne Era bisogno al suo vigore
immenso. Quivi fé' ben delle sue prove eccelse:( h' un alto pino al primo
crollo svelse:135 E svelse dopo il primo altri parecchi, Come fosser finocclii,
rbuli o aneti; E fé' il simil di qnercie e dolmi vecchi; Di fdgii e d'orni e
d'ilici e d abeti. Quel eh' un uccellator, che s'apparecchi Il campo mondo, fa,
per por le reti, Dei giunchi e delle stoppie e dell'artiche, Facea de' cerri e
d'altre piante antiche. 136 I pastor che sentito hanno il fracasso, >
Lasciando il gregge sparso alla foresta, Chi di qua, chi di là, tntti a gran
passo, Vi vengono a veder che cosa è questa. Ma son giunto a quel segno, il
qnal s'io paso, Vi pctria la mia istoria esser molesta; Ed io la vo' piuttosto
differire. Che v' abbia per lunghezza a fastidire. ìn o TU. St. a V.4. Tórre la
multa: far pagare il fio. St. 4. V.3. Chiarumontef Bradamante ohe era della
casa di Chiaramonte. St. 6. V.6. Oli altri erranti Divi: gli altri pia neti,
distinti coi nomi degli Dei del Gentilesimo. St. 8. V.8. Alido cantra il
giorno: verso levante. St. 12. V.56. Dei pennati il paese: l'aria, regione dei
volatili. ST. 16. V.56. Cosi si parte col pilota innante il nocchier, ecc.
Pilota o piloto è colui che il nocchiero cioè il capitano del naviglio,
stipendia air uopo, acciò Io conduca salvo in Inoghi difficili per seccagne, o
sco gli coperti, 0 correnti pericolose. Il piloto sta sulla pr ra della nave, o
la precede In un battello; e, terminato il suo ufficio, torna a caia sua. I
piloti di questo genere diionsi piloti pratici per distinguerli dai piloti d al
tura, che stanno fissi al bordo, e dirigono il viaggio in alto mare, tenendo
registro giornaliero di tutte le particolarità, che, secondo Tarte nautica,
occorre notare. St. 23. V.7. Cai itresia. Nome greco, che significa buona
nutrice. S r. 33. V.7. Digresso: Digressione. St. 41. V.7. Tra l'altre note:
tra gli altri vizi. Sr. 46. V.3. Cretfre: frequenti. St. 53. V.4. DubbiOf qui:
tema, apprensione. St. 54. V.3. Qalengo, Di Galizia, Galiziaiia Ivr. V.6. Del
truculento mar: mare borraflooso. St 66. V.1. Podestà: potestà, potere. St. 80.
V.8. La merchi, qui per racqaisU. St. 82. V.5. Aggiunge. Giunge, colpisce. St.
tA V.56. Falde: lamine che fanno parte delPai matura. S'aggraffi,: afferri
asomiglianzadi gralSo St. 85. V.18. Sesto: ordine, misura; qui modo, via. Andò
alle strette: venne alle prese, si azzidlt Crede far le prove, ecc. Antes,
gigante, lottando co ¦ Ercole, fu da questi sollevato in alto, e stretto si f
jr temente, che ne scoppiò. St. 101. v.14. Orezzo: venticello che spira al
rezso:od anche rezzo di alberi, rinfrescato da legger venu Ribrezzo: tremito
delle meaabra, cagionato dal treAÌ \ brivido. St. 107. V.7. Culla: espressa
pulitamente. St. 115. v.4 Alla sorella: alla lana. St. 129. V.2. Della diurna
fiamma: del sole. Ivi V.4 Epigramma. Qui: iscrizione. st. 130 V.5. Gelo:
intendasi frescura. St. 135. V.24. EbìUi: pianticelle d'ingrato odore, che
fanno i fiori come il sambuco. É detta comuDemente: sambuchella. Aneto, specie
di finocchio. Ilid, Elei, Lecci; latinismo. Piovfi furinafì (iOvlaiiiln.
ZtÌiìiiì> iiìponim piipinniero Hrlorìco tm ditoiP rrisaìtrlla; sì renlojitt
la viU " ma in pena sH fallo pli lìà m f a ardi a Uabriiiik Va [| il indi
iti J veloci a, d'firlando, e 110. varcoglk' Ir (irmi disperse sul suolo.
So]kraVT,'iciie, insieme con DoTalieOt Bfrandvicardo clic, per la apda del
paladino vienn liattafilìa con Zeri uno; riaasti muore per lo riportate ferì
to,oImbellasi ricoTora prjsao un romito. Capita poi Rodonionie, chfl sì at
tacea non Man d ri Canio; ma la piinia è sospesa da nn raasag fero dì
AgTamaiUe, dit ridiiama i due icmei i s<jlto Parigi, Chi mette il pie m T
amorosa pania, rerehi rìtrarlo, e non v inverdii Tnle; rhò non è in nomina amor
se non irimaia, A Emulili do de' savi universale: E std>ljen (nme Orlando
ognnn non smania. Suo fnror moitra a (lualcli' altro setoiJi E quale è di
pazzia seguo piti e.presso, Glie, "eT ah ri voler, perder sé stesso? 9
Vari irli effetti son ma la pazzia È tilt t' una però, che li fa uscire. Gli è
come una gran selva, ove la via Conviene a forza, a chi vi va, fallire:Chi sn
chi giù, chi qua chi là travia. Per concludere, in somma, io vi vo'dire: A chi
in amor s'invecchia, oltr'ogni pena, Si convengono i ceppi e la catena. 3 Ben
mi sì potria dir: Frate, tu vai L'altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. Io
vi rispondo che comprendo assai, Or che di mente ho lucido intervallo; Ed ho
gran cura (e spero farlo ormai) Di riposarmi, e d'uscir fuor di ballo:Ma tosto
far, come vorrei, noi posso; Che U male è penetrato infin all'osso. 4 Signor,
nell altro Canto io vi dicea Che '1 forsennato e furioso Orlando Trattesi V
arme e sparse al campo avea. Squarciati i panni, via gittato il brando. Svelte
le piante, e risuonar facea I cavi sassi e l'alte selve; quando Alcun' pastori
al snon trasse in quel lato stella, o qualche lor grave peccato. 5 Viste del
pazzo Pincredibil prove Poi più d appresso y e la possanza estrema, Si voltan
per fuggir; ma non sanno ove, Si come avviene in sobitana tema. Il pazzo dietro
lor ratto si rnnov:Uno ne piglia, e del capo lo scema Con la facilità che
torria alcuno Dall' albor pome, o vago fior dal pruno. 8 Già potreste sentir
come rimbombe Lalto rumor nelle propinque ville D'urli e di corni, rusticane
trombe, E più spesso, che daltro, il snon di squille:E con spuntoni ed archi e
spiedi e frombo Veder dai monti sdrucciolarne mille; Ed altri tanti andar da
basso ad alto, Per fare al pazzo un villanesco assalto. 9 Qual venir suol nel
salso lito V onda Mossa dair Austro eh' a principio scherza, Che maggior della
prima è la seconda, E con più forza poi segue la terza; Ed ogni volta più
Tumore abbonda, E neir arena più stende la sferza:contra Orlando V empia turba
cresce, Che giù da balze scende, e di valli esce. stanza 5. 6 Per una gamba il
grave tronco prese, E quello usò per mazza addosso al resto. In terra un pajo
addormentato stese, Ch' al novissimo di forse fia desto:Gli altri sgombraro
subito il paese, Oh'ebbonó il piede e il buon avviso presto. Non saria stato il
pazzo al seguir lento, non ch'era già volto al loro armento. 7 Gli agricoltori,
accorti agli altru' esempli, Lascian nei campi aratri e marre e falci: Chi
monta su le case, e chi sui templi Poiché non son sicuri olmi né salci), Onde r
orrenda fùria si contempli, Ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
Cavalli e buoi rompe, fracassa e strugge; E ben è corridor chi da lui fugge.
Stanza 6. 10 Fece morir diece persone e diece, Che senza ordine alcun gli
andaro in mano: E questo chiaro esperimento fece, Ch'era assai più sicur starne
lontano. Trar sangue da quel corpo a nessun lece, ('he lo fere e percuote il
ferro invano. Al conte il re del ciel tal grazia diede, Per porlo a guardia di
sua santa Fede.Era a periglio di morire Orlando, Se fosse di morir stato
capace. Potea imparar eh' era a gittare il brando, E poi voler senx' arme
essere audace. La turba già s andava ritirando, Vedendo ogni suo colpo uscir
fallace. Orlaxido, ppi che più nessun T attende, Verso un borgo di case il
cammiu prende. Stanza 13. 14 Di qua di là, di su di gì" discorre Per tutta
Francia: e uu gio.uo a lai pouie jinrn Sotto cui largo e pieno d'acqua corre Un
fiume d'alta e di scoscesa riva. Edificato otfctnto avea una torre Che.
d'ooMutorno e di loutan scopriva. Quel che fé' quivi, avete altrove a udire;
Che di Zerbiu mi convien prima dire. 15 Zerbin, da poi ch'Orlando fu partito.
Dimorò alquanto, e poi prese il sentiero Che 'i paladino innanzi gli avea
trito, E mosse a passa lento il suo destriero. Non credo che duo miglia auc3
fosse ito, Che trar vide legato un cavai iero Sopra un picciol ronzino, e
d'ogni lato La guardia aver d'un cavaliero armato. 16 Zerbin questo prigiou conobbe
tosto Che gli fu appresso, e così fé' Isabella. Era Odorico il Biscaglin, che
pofeto Fu come lupo a guardia dell'agnella. L'avea a tutti gli amici suoi
preposto Zerbino in confidargli la donzella, Sperando che la fede che nel resto
Sempre avea avuta, avesse ancora in questa 17 Come era a punto quella cosa
stata Venia Isabella raccontando allotta:Come nel palischermo fu salvata, Prima
ch'avesse il mar la nave rotta: La forza che V avea Odorico usata:E come tratta
poi fosse alla grotta. Né giimt' era anco al fin di quel sermone, Che trarre il
malfattor vider prigione. 12 Dentro non vi trovò piccol né grande, Che '1 borgo
ognun per tema avea lasciato. V'erano in copia povere vivande. Convenienti a un
pastorale stato. Senza il pane discerner dalle ghiande, Dal digiuno e dalP
impeto cacciato, Le mani e il dente lasciò andar di botto In quel che trovò
prima, o crudo o cotto. Dava la caccia e agli uomini e alle fere; E scorrendo
pei boschi, ta'.or prese capri snelli, e le damme leggiere; Spesso con orsi e
con ciui;hiai coniese, E con man nude li pose a giacere; E di lor canie con
tutUi la spoglia Più volte il ventre empi con fiera voglia. 18 I duo ch'in
mezzo avean preso Odorico, D'Isabella notizia ebbono vera; E s'avvisare esser
di lei l'amico, E'I signor lor, colui ch'appresso l'era; Ma più, che nello
scudo il segno antico Vider dipinto di sua stirpe altiera: E trovar, poi che
guardar meglio al viso, Che s'era al vero apposto il loro avviso. 19 Saltaro a
piedi, e con aperte braccia Correndo se n' andar verso Zerbino, E l'abbracciare
ove il maggior slabbracela. Col capo nudo, e col ginocchio chino. Zerbin,
guardando l'uno e l'altro in faccia Vide esser l'un Corebo il Biscaglino,
Almonio l'altro, ch'egli avea mandati Con Odorico in sul uavilio armati. stanza
13. 20 Almonio disse: Poiché piace a Dio (La sna mercè) che sia Isabella teco.
Io posso ben comprender, signor mio, Che nulla cosa nuova ora t'arreco: S'io
vodir la cagion che questo rio Fa che cosi legato tedi meco; Che da costei, che
più sentì l'oifesa, A punto avrai tutta T istoria intesa. 21 Come dal traditore
io fui schernito Quando da sé levommi. saper dèi; E come poi Corebo fu ferito,
Ch'a difender s'avea tolto costei. Ma quanto al mio ri tomo sia seguito. Né
veduto né inteso fu da lei. Che te l'abbia potuto riferire: Di questa parte
dunque io ti vo'dire. 22 Della cittade al mar ratto io veniva Con cavalli eh'
in fretta avea trovati, Sempre con gli occhi intenti s' io scopriva Costor che
molto addietro eran restati. Io vengo innanzi, io vengo in su la riva Del mare,
al luogo ove io gli avea lasciati: Io guardo, né di loro altro ritrovo. Che
nell'arena alcun vestigio nuovo. 23 La pesta seguitai, che mi condusse Nel
bosco fier; né molto addentro fui, Che, dove il suon l'orecchie mi percusse.
Giacere in terra ritrovai costui. Gli domandai che della donna fusse. Che
d'Odorico, e chi avea offeso lui. 10 me n' andai, poi che la cosa seppi, 11
traditor cercando per quei greppi. 26 La giustizia del re, che il loco franco
Della pugna mi diede, e la ragione; Ed oltre alla ragion, la fortuna anco, Che
spesso la vittoria " ove vuol, pone; 31 i giovar si, che di me potèmancoIl
traditore: onde fu mio prigione. Il re, udito il gran fallo, mi concesse Di
poter fame quanto mi piacesse. Stanza 'Z4. 24 Molto aggirando vommi, e per quel
giorno Altro vestigio ritrovar non posso. Dove giacca Corebo alfin ritomo. Che
fatto appresso avea il terren sì rosso, poco più che vi facea soggiorno. Gli
saria stato di bisogno il fosso, E i preti e i frati più per sotterrarlo, Ch'i
medici e che'l letto per sanarlo. 25 Dal bosco alla città feci portallo, E posi
in casa d'uno ostier mio amico, Che fatto sano in poco termine hallo Per cura
ed arte d'un chirurgo antico. Poi d'arme provveduti e di cavallo, Corebo ed io
cercammo d'Odorico, Ch'in corte del re Alfonso di Biscaglia Trovammo; e quivi
fili seco a battaglia. 27 Non r ho voluto uccider né lasciarlo, Ma, come vedi,
trarloti in catena Perchè vo'ch'a te stia di giudicarlo, Se morire o tener si
deve in pena. L'avere inteso ch'eri appresso a Carlo, E '1 desir di trovarti
qui mi mena. Ringrazio Dio che mi fa in questa parte, Dove lo sperai meno, ora
trovarte. 28 Ringraziolo anco, che la tua Isabella Io veggo (e non so come) che
teco hai; Di cui, per opra del fellon, novella Pensai che non avessi ad udir
mai. Zerbino ascolta Almonio, e non favella, Fermando gli occhi inOdorico
assai; Non si per odio, come che gì' incresce Ch'a si mal fin tanta amicizia
gli esce. 29 Finito chebbe Almonìo il suo sermone, Zerbin riman gran pezzo
sbigottito, Che chi d ogni altro men n' avea cagione, Si espressamente il possa
aver tradito. Ma poi che d'una lunga ammirazione Fu, sospirando > finalmente
uscito, Al prigion domandò se fosse vero Quel eh avea di lui detto il
cavaliero. 30 II disleal con le ginocchia in terra Lasciò cadérsi, e disse:
signor mio, Ognun che vive al mondo, pecca ed erra: Né differisce in altro il
buon dal rio, Se non che Puno è vinto ad ogni guerra Che gli yien mossa da un
piccol disio: L altro ricorre all'arme e si difende; Ma se'l nemico è forte,
anco ei si rende. 31 Se tu m'avessi posto alla difesa D'una tua rocca, e ch'ai
primiero assalto Alzate avessi, senza far contesa, Degr inimici le bandiere in
alto; Di viltà, 0 tradimento, che più pesa, Su gli occhi por mi si potria uno
smalto: Ma s'io cedessi a forza, son ben certo Che biasmo non avrei, ma gloria
e merto. 82 Sempre che Tinimico è più possente, Più chi perde accettabile ha la
scusa. Mia fé guardar dovea non altrimente Chuna fortezza d'ognintorno chiusa.
Cosi, con quanto senno e quanta mente Dalla Somma Prudenzia m'era infusa, 10 mi
sforzai guardarla; ma alfin vinto Da in tollerando assalto, ne fui spinto. 33
Così, disse Odorico, e poi soggiunse (Che saria Inngo a ricordarvi il tutto),
Mostrando che gran stimolo lo punse, E non per lieve sferza s'era indutto. Se
mai per prieghi ira di cor si emunse, S' umiltà di parlar fece mai flutto,
Quivi far lo dovea: che ciò che muova Di cor durezza, ora Odorico trova. 34
Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta, Tra il sì Zerbino e il no resta
confuso. 11 vedere il demerito lo alletta A far che sia il fellon di vita
escluso: n ricordarsi l'amicizia stretta Ch'era stata tra lor per sì lungo uso,
C<m l'acqua di pietà l'accesa rabbia Nel cor gli spegne, e vuol che mercè
n'abbia. 85 Mentre stava cosi Zerbino in forse Di liberare, o di menar captivo,
Oppure il disleal dagli occhi torse Per morte, oppur tenerlo in pena vivo;
Quivi rìgnando il palafreno corse, Che Mandricardo avea di brigrlia privo; E vi
portò la vecchia che vicino A morte dianzi avea tratto 2bino. 36 n palaU;
ch'udito di lontano Avea quest'altri, era tra lor venuto; E la vecchia
portatavi, ch'invano Venia piangendo e domandando alita Come Zerbin lei vide,
ahò la mano Al ciel, che sì benigno gli era snto, Che datogli in arbitrio avea
quedoi Che soli odiati esser dovean da Ini. 37 Zerbin fa ritener la mala
vecchia, Tanto che pensi quel che debba fame. Tagliarle il naso e l'una e
l'altra orecchia Pensa, ed esempio a' malfattori dame: Poi gli par assai
meglio, s' apparecchia Un pasto agli avoltoi di quella carne. Punizì'on diversa
tra sé voi ve; E così finalmente si risolve. 38 Si rivolta ai compagni, e dice:
Io sono Di lasciar vivo il disleal contento; Che s' in tutto non merita
perdono, Non merita anco sì crudel tormento. Che viva e che slegato sia gli
dono, Però ch'esser d'amor la colpa sento; E facilmente ogni scusa s'ammette,
Quando ip amor la colpa si riflette. 89 Amore ha vòlto sottosopra spesso Senno
più saldo che non ha costui; Id ha condotto a via maggiore eccesso Di questo,
ch'oltraggiato ha tutti nm. Ad Odorico debbe esser rimesso: Punito esser debbo
io, che cieco fui; Cieco a dargline impresa, e non por sente Che'l foco arde la
paglia &cihnente. 40 Poi mirando Odorico: Io vo'che sia, Gli disse, del tuo
error la penitènza, Che la vecchia abbi un anno in compagnitf Né di lasciarla
mai ti sia licenza; Ma notte e giorno, ove tu vada o stia, Un'ora mai non te ne
trovi senza; E fin a morte sia da te difem Centra ciascun che voglia farle
offesa. 41 yo\ se da lei ti sarà comandato, Che pigli contra ognun contesa e
guerra: Vo'in questo tempo che tu sia ubbligato Tutta Francia cercar di terra
in terra. Così dicea Zerbiu; che pel peccato Meritando Òdorico andar sotterra,
Questo era porgli innanzi un alta fossa, Che fia gran sorte che schivar la
possa. 42 Tante donne, tanti uomini traditi Avea la vecchia, e tanti offesi e
tanti. Che chi sarà con lei, non senza' liti Potrà passar de' cavalieri
erranti. Così di par saranno ambi puniti:Ella de' suoi commessi errori innauti;
Fgli di tome la difesa a torto, Né molto potrà andar che non sia morto. 43 Di
dover servar questo, Zerbin diede Ad Odorico un giuramento forte, Con patto che
se mai rompe la fede, E ch'iiiKauzi gli capiti per sorte, Senz;i udir prieghi e
averne più mercede Lo debba far morir di cruda morte. Ad Almouio e a Corebo poi
rivolto, Fece Zerbin che fu Odorico sciolto. 44 Corebo, consentendo Almon'o,
sciolse Il traditore alfin, mi non in fretta; Ch'air uno e all'altro esser
turbato dilse Da si desiderata sua vendetta. Quindi partissi il disleale, e tolse
In compagaia la vecchia maledetta. Non si legge iu Turpin che n'avvenisse; Ma
vidi già un autor che più ne scrisse. 45 Scrive l'autore, il cui nome mi
taccio, Che non furo lontani una giornata. Cheper torsi Odorico quello
impaccio, Contra ogni patto ed ogni fede data. Al collo di Gabrina gittò un
laccio, E che ad un olmo la lasciò impiccata: E ch'indi a un anno (ma non dice
il loco) Almonio a lui fece il medesmo gioco. 46 Zerbin, che dietro era venuto
all'orma Del paladin, né perder la vorrebbe, Manda a dar di sé nuove alla sua
torm", Che star senza gran dubbio non ne debba: Almonio manda, e di più
cose informa, Che lungo il tutto a ricontar sarebbe; Almonio manda, e a lui
Corebo appresso; Né tien, ftiorchè Isabella, altari con esso. 47 Tant'era l'amor
grande che Zerbino, E non minor del suo quel che Isabella Portava al virtuoso
paladino:Tanto il desir d'intender la novella, Ch' egli avesse trovato il
Saracino Che del destrier lo trasse con la sella; Che non faràr all' esercito
ritorno, Se non finito che sia il terzo giorno; stanza 45. 48 II termine eh'
Orlando aspettar disse Il cavdlier eh' ancor non porta spada. Non é alcun luogo
dove il conte gisse, Che Zerbin pel me'desimo non vada. Giunse alfin tra quegli
arbori che scrisse L'ingrata donna, un poco fuor di strada; E con la fonte e
col vicino sasso Tutti li ritrovò messi in fracassi". 4.9 Vede lontan non
sa che luminoso, E trova la corazza esserdelconte;EtroyaV elmo poi, non quel
famoso Ch armò già il capo air africano Almonte; Il destrier nella seka più
nascoso Sente a nitrire, e leva al suon la fronte; vede Brigliador pascer per
Terba, Che dall'arcion pendente il freno serba. 50 Durindana cercò per la
foresta, fuor la vide del fodero starse. Trovò, ma in pezzi, ancor la
sopravvesta Ch'in cento lochi il miser conte sparse. Isabella e Zerbin con
faccia mesta Stanno mirando, e non san che pensarse:Pensar potrian tutte le
cose, eccetto Che fosse Orlando fuor dell'intelletto. 55 Se fosse stata a
quell'oste! d'Atlante, Veduto con Ghradasso andare errando L'avrebbe, con
Ruggier, con Bradamante, E con Ferraù prima, e con Orlando. Ma poi che cacciò
Astolfo il negromante Col suon del corno orribile e mirando, Brandimarte tornò
verso Parigi; Ma non sapea già questo Fiordiligi 56 Come io vi dico,
sopraggiunta a caso A quei duo amanti Fiordiligi bella, Conobbe l'arme, e
Brigliador rimaso Senza il patrone, e col freno alla selk. Vide con gli occhi
il miserabii caso, £ n' ebbe per udita anco novella; Che similmente il pastorel
narrolle Aver veduto Orlando correr folle. 51 Se di sangue vedessino una
goccia, Creder potrian che fosse stato morto. Intanto lungo la corrente doccia
Vider venire un pastorello smorto. Costui pur dianzi avea di su la roccia
L'alto furor dell'inf elire scorto, Come l'arme gittò, squarciossi i panni,
Pastori uccise, e fé' mill' altri danni. 52 Costui, richiesto da Zerbin, gli
diede Vera informazì'on di tutto questo. Zerbin si maraviglia, e a pena il
crede; E tuttavia n'ha indizio manifesto. Sia come vuole; egli discende a
piede, Pien di pietade, lacrimoso e mesto, E ricogliendo da diversa parte Le
reliquie ne va, eh' erano sparte. 53 Del palafren discende anco Isabella, va
quell'arme riducendo insieme. Ecco lor sopravviene una donzella Dolente in
vista, e di cor spesso geme. mi domanda alcun chi sia, perch'ella s' affligge,
e che dolor la preme; Io gli risponderò eh' è Fiordiligi, Che dell'amante suo
cerca i vestigi. 57 Quivi Zerbin tutte raguna V arme E ne £Ek come un bel
trofeo s'un pino; E volendo vietar che non se n'arme Cavalier paèsan né peregrino,
Scrive nel verde ceppo in breve carme: Armatura d' Orlando Paladino; Come
volesse dir: Nessun la mova, Che star non possa con Orlando a prova. 58 Finito
ch'ebbe la lodevol opra, Tornava a rimontar sul suo destriero; Ed ecco
Mandricardo arrivar sopra, Che visto il più di quelle spoglie altiero, Lo
priega che la cosa gli discopra: E quel gli narra, come hainteso, il vero.
Allora il re pagan lieto non bada, Che viene al pino, e ne leva la spada. 59
Dicendo: Alcun non me ne può riprendere. Non è pur oggi ch'io l'ho fatta mia;
Ed il possesso giustamente prendere Ne posso in ogni parte, ovunque sia.
Orlando, che temea quella difendere, S' ha finto pazzo, e 1' ha gittata via; Ma
quando sua viltà pur così scusi, Non debbe far eh' io mia ragion non usi 54 Da
Brandimarte senza farle motto Lasciata fu nella città di Carlo, Dov' ella
l'aspettò sei mesi ed otto:E quando alfin non vide ritornarlo, Da un mare
all'altro si mise, fin sotto Pirene e l'Alpe, e per tutto a cercarlo:L'andò
cercando in ogni parte, fuore Ch'ai palazzo d'Atlante incantatore. 60 Zerbino a
lui gridava: non la tórre, 0 pensa non l'aver senza questione. Se togliesti
così l'arme d'Ettorre, Tu l'hai di furto, più che di ragione. Senz'altro dir
l'un sopra l'altro corre, D'animo e di virtù gran paragone. Di cento colpi già
rimbomba il suono; Né bene ancor nella battaglia sono. 61 Di prestezza Zerbin
pare una fiamma A torsi, ovunque Durindana cada:Di qua di là saltar come una
damma Fa 'J suo destrier, dove è miglior la strada. E ben convien cbe non ne perda
dramma: Ch'andrà, s'un tratto il coglie quella spada, Aritrovargl'innamorati
spirti, Ch' empion la selva degli ombrosi mirti. 62 Come il veloce can che'l
porco assalta, Cbe fuor del gregge errar vegga nei campi, Lo va aggirando, e
quinci e quindi salta; Ma quello attende ch'una volta inciampi; Cosi, se vien
la spada o bassa od alta, Sta mirando Zerbin come ne scampi; Come la vita e
l'onor salvi a un tempo, Tien sempre l'occhio, e fiere e fugge a tempo. 63
Dall'altra parte, ovunque il Saracino La fiera spada vibra o piena o vota.
Sembra fra due montagne un vento alpino Ch'una frondosa selva il marzo scuota;
Ch'ora la caccia a terra a capo chino, Or gli spezzati rami in aria ruota.
Benché Zerbin più colpi e fugga e schivi, Non può schivare alfin eh' un non gli
arrivi. 64 Non può schivare alfin un gran fendente, Che tra'l brando e lo scudo
entra sul petto. Grosso l'usbergo e grossa parimente Era la piastra, e '1
panziron perfetto:Pur non gli steron contra, ed ugualmente Alla spada crudel
dieron ricetto. Quella calò tagliando ciò che prese. La corazza e l'arcion fin
sull'arnese: 65 E se non fu scarso il colpo alquanto, Per mezzo lo fendea come
una canna; Ma penetra nel vivo appena tanto, Che poco più che la pelle gli
danna. La non profonda piaga è lunga quanto Non si misureriacon una spanna. Le
lucid'arme il caldo sangue irriga, Per sino al pie, di rubiconda riga. 66 Cosi
talora un bel purpureo nastro Ho veduto partir tela d'argento Da quella bianca
man più ch'alabastro. Da cui partire il cor spesso mi sento. Quivi poco a
Zerbin vale esser mastro Di guerra, ed aver forza e più ardimento; Che di
finezza d'arme e di possanza 11 re di Tartaria troppo l'avanza. 67 Fu questo
colpo del pagan maggiore In apparenza, che fosse in effetto; Tal eh' Isabella
se ne sente il core Fendere in mezzo all'agghiacciato petto. Zerbin, pien
d'ardimento e di valore, Tutto s' infiamma d'ira e di dispetto:E quanto più
ferire a due man puote, In mezzo l'elmo il tartaro percuote. 68 Quasi sul collo
del destrier piegosse Per l'aspra botta il Saracin superbo; E quando l'elmo
senza incanto fosse, Partito il capo gli avria il colpo acerbo. Con poco
differir ben veudicosse; Né disse: A un' altra volta io te la serbo:E la spada
gli alzò verso l'elmetto. Sperandosi tagliarlo infin al petto.(JJ) Zerbin, che
tenea rocchio ove la mente, Presto il cavallo alla man destra volse; Non si
presto però, che la tagliente Spada fuggisse, cbe lo scudo colse. Da sommo ad
imo ella il partì ugualmente, E di sotto il braccial roppe e disciolse, E lui
ferìnel braccio; e poi l'arnese Spezzògli, e nella coscia anco gli scese. 70
Zerbin di qua di là cerca ogni via, Né mai di quel che vuol, cosa gli viene;
Che l'armatura, sopra cui feria, Cu piccol segno pur non he ritiene. Dall'altra
parte il re di Tartaria Sopra Zerbino a tal vantaggio viene, Che l'ha ferito in
sette parti o in otto, Tolto lo scudo, e mezzo l'elmo rotto. 71 Quel tuttavia
più va perdendo il sangue; Manca la forza, e ancor par che noi senta. Il
vigoroso cor, che nulla langue, Val si, che '1 debol corpo ne sostenta. La
donna su%, per timor fatta esangue, Intanto a Doralice s' appresenta, E la
priega e la supplica per Dio, Che partir voglia il fiero assalto e rio. 72
Cortese, come bella, Doralice, Né ben sicura come il fatto segua, Fa volontier
quel ch'Isabella dice, E dispone il suo amante a pace e a triegua. Così
a'prieghi dell'altra l'ira ultrice Di cor fugge a Zerbino e si dilegua; Ed
egli, ove a lei par, piglia la strada. Senza finir l'impresa della spada. 73
Fiordiligi che mal vede difesa La buona spada del misero conte, Tacita duolsì;
e tanto le ne pesa, Che d'ira piange, e battesi la fronte. Vorria aver
Brandimarte a quella impresa; E se mai lo ritrova e gli lo conte, Non crede poi
che Mandricardo vada Lunga stagione altier di quella spada. 74 Fiordiligi
cercando pure invano Va Brandimarte suo mattina e sera; E fa cammin da lui
molto lontano. Da lui che già tornato a Parigi era. Tanto ella se n'andò per
monte e piano, Che giunse ove, al passar d'una rÌTiera, Vide e conobbe il miser
paladino; Ma diciam quel che avvenne di Zerbino "3 ii" X<ii:
Stanza 88. 75 Che U lasciar Durindana si gran fallo Gli par, che più d'
ogn'(altro mal gP incresce; Quantunque appena star possa a cavallo. Pel molto
sangue che gli è uscito ed esce. Or, poiché dopo non troppo intervallo Cssa con
IMra il caldo, il dolor cresce:Cresce il dolor sì impettiosamente, Che mancarsi
la vita se ne sente. 76 Per debolezza più non potea gire; Sì che fermossi
appresso una fontana. Non sa che far, né che si debba dire, Per aiutarlo, la
donzella umana. Sol di disagio lo vede morire; Che quindi è troppo ogni città
lontana, Dove in quel punto al medico ricorra, Che per pietade o premio gli
soccorra. 77 Ella non sa, se non invàn dolersi, Chiamar fortuna e il cielo
empio e crudele. Perchè, ahi lassa ! dicea, non mi sommersi Quando levai
neirOce&n le vele? Zerbin, che i languidi occhi ha in lei conversi, Sente
più doglia eh ella si querele, Che della passion tenace e forte Che rhacondotto
ornai vicino a morte. 78 Cosi, cor mio, vogliate (le diceva), Dopo chMo sarò
morto, amarmi ancora, Come solo il lasciarvi è che m'aggreva Qui senza guida, e
non già perch'io mora: Che se in sicura parte m'accadeva Finir della mia vita
l'ultima ora, Lieto e contento e fortunato appieno Morto sarei, poich'io vi
moro in seno. 8tAnE&9C). 7u Ma poiché 1 mio destino iniquo e duro Vuol
ch'io vi lasci, e non so in man di cnij Per questa bocca e per questi occhi
giuro. Per queste chiome onde allacciato fui, Clic disperato nel profondo
oscuro Yo dello 'nfemo, ove il pensar lìi vili, Cb' abbia così laeciata assai
piii ria Sani doj' altra pena ebe vi sia. 80 A questo la mestissima Isabella,
la faccia lagrimosa, E congiungendo la sua bocca a quella non còlta in sua
stagion, bì ch'ella Impallidisca in m la siepe ombrosa; Disse '. Non vi pensate
gift, mia vita t Fnr aensca me (inent ultima partite SjyDi dò, cor mio, nessun
timor vi tocchi; Ch' io vo' seguirvi o in cielo o nello 'nferno. Convien che V
uno e 1' altro spirto scocchi, Insieme vada, insieme stia in eterno. Non sì
tosto vedrò chiudervi gli occhi, 7/ XI che m'ucciderà il dolore interno, / 0,
se quel non può tanto, io vi prometto l Con questa spada oggi passarmi il
petto. 82 De' corpi nostri ho ancor non poca speme, Che me' morti, che vivi,
ahbian ventura. Qui forse alcun capiterà, eh' insieme, Mosso a pietà, darà lor
sepoltura. Così dicendo, le reliquie estreme Dello spirto vital che morte fura,
Va ricogliendo con le labbra meste. Fin ch'una mìnima aura ve ne reste. 87 In
tanta rabbia, in tal furor sommersa L'avea la doglia sua, che facilmente Avria
la spada in sé stessa conversa, Poco al suo amante in questo ubbidiente: S'uno
eremita, ch'alia fresca e tersa Fonte avea usanza di tornar sovente Dalla sua
quindi non lontana cella, Non s'opponea, venendo, al voler d'elk. 88 n
venerabil uom, eh' alta boutade Avea congiunta a naturai pmdeiuria, Ed era
tutto pien di caritade, Di buoni esempi ornato e d'eloquenzia, Alla giovan
dolente persuade Con ragioni efficaci pazìenzia; Ed innanzi le pon, come uno
specchio . Donne del testamento e nuovo e vecchio. 83 Zerbin, la debol voce
rinforzando, Disse: Io vi priego e supplico, mia diva. Per quello amor che mi
mostraste, quando Per me lasciaste la patema riva; E se comandar posso, io ve
'1 comando, Che, finché piaccia a Dio, restiate viva; Né mai per caso pogniate
in obblio, Che, quanto amar si può, v'abbia amato io. 84 Dio vi provvederà
d'aiuto forse, Per liberarvi d'ogni atto villano, Come fé' quando alla spelonca
torse, Per indi trarvi, il senator romano. Così (la sua mercé) già vi soccorse
Nel mare, e contra il Biscaglin profano; E se pure avverrà che poi si deggia
Morire, allora il minor mal s' eleggia. 89 Poi le fece veder, come non fosse
Alcun, se non in Dio, vero contento; E ch'eran l'altre transitorie e flusse
Speranze umane, e di poco momento: E tanto seppe dir, che la ridusse Da quel
crudele ed ostinato intento, Che la vita seguente ebbe disio Tutta al servigio
dedicar di Dio. 90 Non che lasciar del suo signor voglia nnqne Né '1 grande
amor, né le reliquie morte: Convien che l'abbia ovunque stia, ed ovunque Vada,
e che seco e notte e dì le porte. Quindi aiutando l'eremita dunque, Ch' era
della sua età valido e forte, Sul mesto suo destrìer Zerbin posaro, E molti di
per quelle selve andaro. 85 Non credo che quest'ultime parole Potesse esprimer
sì, che fosse inteso; E fini come il debol lume suole, Cui cera manchi, od
altro in che sia acceso. Chi potrà dire appien come si duole. Poiché si vede
pallido e disteso, La giovanetta, e freddo come ghiaccio Il suo caro Zerbin
restar in braccio? 86 Sopra il sanguigno corpo s'abbandona, E di copiose
lacrime lo bagna; Estride sì, ch'intorno ne rìsuona A molte miglia il bosco e
la campagna. Né alle guance né al petto si perdona, Che l'uno e l'altro non
percuota e fragna; E straccia a tx)rto l'auree crespe chiome, Chiamando sempre
invan l'amato nome. 91 Non volse il cauto vecchio ridur seco, Sola con solo, la
giovane bella Là dove ascosa in un selvaggio speco Non lungi avea la solitaria
cella; Fra sé dicendo: Con periglio arreco In una man la paglia e la facella.
Né si fida in sua età né in sua prudenzia, Che di sé faccia tanta esperienzia.
92 Di condurla in Provenza ebbe pensiero, Non lontano a Marsiglia in un
castello, Dove di sante donne un monastero Ricchissimo era, e di edificio
bello:E per portarne il morto cavaliere, Composto in una cassa aveano quello,
Che in un castel, eh' era tra via, si fece Lunga e capace, e ben chiusa di
pece. 93 Più e più giorni gran spazio di terra Cercaro, e sempre per lochi più
inculti, Che pieno essendo ogni cosa di guerra, Voleauo gir più che poteano
occulti. Alfine un cavalier la via lor serra, Che lor fé' oltraggi e disonesti
insulti; Di cui dirò quando il suo loco fia: Ma ritomo ora al re di Tartaria.
99 Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'ire, Al trar de' brandi, al crudel
suon dei ferri; Come Tento che prima appena spire, Poi cominci a crollar
frassini e cerri; Et indi oscura polve in cielo aggire, Indi gli arbori svella,
e case atterri, Sommerga in mare, e porti ria tempesta Che '1 gregge sparso
uccida alla foresta. 94 Avuto ch'ebbe la battaglia il fine Che già v' ho detto,
il giovin si raccolse Alle fresche ombre e all'onde cristalline, Ed al destrier
la sella e '1 freno tolse, E lo lasciò per l'erbe teneriue Del prato andar
pascendo ov' egli volse:Ma non stè molto, che vide lontano Calar dal monte un
cavaliere al piano. 95 Conobbel, come prima alzò la fronte, Doralice, e
mostrollo a Mandricardo, Dicendo: Ecco il superbo Rodomonte, Se non m'inganna
di lontan lo sguardo. Per far teco battaglia cala il monte: Or ti potrà giovar
l'esser gagliardo. Perduta avermi a grande ingiuria tiene. Oh' era sua sposa, e
a vendicar si viene. 96 Qual buono astor che l'anitra o l'acceggia. Starna o
colombo o simil altro augello Venirsi incontra di lontano veggia, Leva la
testa, e si fa lieto e bello; Tal Mandricardo, come certo deggia Di Rodomonte
ìslt strage e macello, Con letizia e baldanza il destrier piglia, Le staffe ai
piedi, e dà alla man la briglia. Stanza 100. 97 Quando vicini fur sì, ch'udir
chiare Tra lor poteansi le parole altiere. Con le mani e col c minacciare
Incominciò gridando il re d'Algiere, Ch'a penitenza gli faria tornare, Che per
un temerario suo piacere Non avesse rispetto a provocarsi Lui ch'altamente era
per vendicarsi. 100 De' duo pagani, senza pari in terra, Gli audacissimi cor,
le forze estreme Partoriscono colpi ed una guerra Conveniente a si feroce seme.
Del grande e orribil suon trema la terra. Quando le spade son percosse insieme:
Gettano l'arme insin al ciel scintille. Anzi lampadi accese a mille a mille. 98
Rispose Mandricardo: Indarno tenta Chi mi vuol impaurir per minaociarme. Cosi
fanciulli o femmine spaventa, 0 altri che non sappia che sieno arme; Me non,
cui la battaglia più talenta D'ogni riposo; e son per adoprarme A pie, a
cavallo, armato, e disarmato, Sia alla campagna, o sia nello steccato. 101
Senza mai riposarsi o pigliar fiato Dura fra quei duo re l'aspra battaglia,
Tentando ora da questo, or da quel lato Aprir le piastre, e penetrar la maglia.
Né perde l'un, né l'altro acquista il prato; Ma come intorno siau fosse o
muraglia, 0 troppo costi ogn' oncia di quel loco, Non si parton d'un cerchio
angusto e poco. 102 Fra mille colpi il tartaro una volta Colse a duo roani in
fronte il re d'Algiere, Che gli fece reder girare in volta Quante mai fiiron
fiaccole e lumiere. Come ogni forza all' African sia tolta, Le groppe del
destrier col capo fere; Perde la staffa, ed è, presente quella Che cotant'ama,
per uscir di sella. Stanza 10& 105 II cavallo del Tartaro, cii'abborre La
spada che fischiando cala d'alto. Al suo signor, con suo gran mal, Perchè b'
arretra, per fuggir, d'irn Il brando in mezzo il capo gli traaconey Ch' al
signor, non a lui, movea V Il miser non avea V elmo di Troia, Come il patrone;
onde convien che mi 106 Quel cade, e Mandricardo in piedi Non più stordito, e
Durindana aggiia. Veder morto il cavallo entro gli adixa, E fuor divampa un
grave incendio d'iia. L African, per urtarlo, il destrier driaa: Ma non più
Mandricardo si ritira. Che scoglio far soglia dall'onde: e aTTCBBe Che '1
destrier cadde, ed egli in pie si te&at 107 L'African, che mancarsi il
destrier settL Lascia le staffe, e su gli arcion si ponta, E resta in piedi e
sciolto agevolmente: Cosi r un V altro poi di pari affronta. La pugna più che
mai ribolle ardente; E l'odio e r ira e la superbia monta; Ed era per seguir;
ma quivi giunse In fretta un messaggier che li disgiunse. 108 Vi giunse un
messaggier del popol mori Di molli che per Francia eran mand&U A
ricliiamare agU stendardi loro Icapitani e i cavalier privati; Perchè Timperator
dai gìgli d'oro Gli avea gli alloggiamenti già assediati; E se non è il
soccorso a venir presto, L'eccidio suo conosce manifesto. 103 Ma come ben
composto e valido arco Di fino acciaio, in buona somma greve, Quanto si china
più, quanto è più carco E più lo sforzan martinelli e leve, Con tanto più
furor, quando è poi scarco. Ritorna, e fa più mal che non riceve; Cosi quello
Afìrican tosto risorge, E doppio il colpo air inimico porge. 104 Rodomonte a
quel segno ove fu colto. Colse appunto il figliuol del re Agricane. Per questo
non potè nuocergli al volto, Chin difesa trovò Parme troiane; Ma stordi in modo
il Tartaro, che molto Non sapea s'era vespero o dimane. L'irato Rodomonte non
s' arresta, Che mena V altro, e pur segua alla teista. 109 Riconobbe il messaggio
i cavalieri, Oltre air insegne, oltre alle sopravveste, Al girar delle spade, e
ai colpi fieri Ch'altre man non farebbouo che queste. Tra lor però non osa
entrar, che speri Che fra tant' ira sicurtà gli preste L'esser messo del re; né
si conforta Per dir, eh' imbasciator pena non porta; 110 Ma viene a Doralice,
ed a lei narra Ch' Agramante, Marsilio, e Stordihino, Con pochi dentro a mal
sicura sbarra Sono asseliati dal popol cristiano. Narrato il caso, con prieghi
ne inirra Che faccia il tutto ai duo guerrieri piano. E che gli accordi
insieme, e per Io scampo Del popol saraoin li meni in campo. Stanza 9j.
ABI08T0. 111 Tra i cavalier la donna di gran core Si mette, e dice loro: Io vi
comando, Per quanto so che mi portate amore, Che riserbiate a migàor uso il
brando: E ne vegnate subito in favore Del nostro campo Saracino, quando Si
trova ora assediato nelle tende, E presto aiuto o gran mina attende. 112 Indi
il messo soggiunse il gran periglio Dei Sara Cini, e narrò il fatto appieno; E
diede insieme lettere del figlio Del re Troiano al figlio d' Ulicuo. Sì piglia
finalmente per consiglio, Che i duo guerrier, deposto ogni veneno, . Facciano
insieme triegua infino al giorno Che sia tolto T assedio ai Mori intorno; 113 E
senza più dimora, come pria Libera d'assedio abbiau lor gente, Non s'intendano
aver più compagnia. Ma crudel guerra e inimicizia ardente, Finché con l'arme
diffiaito sia Chi la donna aver de' meritamente. Quella, nelle cui man giurato
fue, Fece la sicurtà per ambedue. 114 Quivi era la Discordia impaziente,
Inimica di pace e d'ogni tregua; E la Superbia v'è, che non consente Né vuol
patir che tale accordo segua. Ma più dilorpuòAmorquivipresente, Di cui l'alto
valor nessuno adegua; E fé ch'indietro, a colpi di saette, E la Discordia e la
Superbia stette. 115 Fu conclusa la tregua fra costoro, Si come piacque a chi
di lor potè a. Vi mancava uno dei cavalli loro; Che morto quel del Tartaro
giacea; Però vi venne a tempo Brigliadoro, Che le fresche erbe luiigo il rio
pascea. Ma al fin del Canto io mi trovo essr giunto; Si ch'io farò, con vostra
grazia, punto. NOTE. St. 35. V.5. Rignando, da rigìiare o ringhiare: di.esi
propriamente de cani; ma è stato anche appro priato a' cavalli, invece di
nitrire. Si dice aiicoiu in molti luoghi della Toscana. St. 38. V.8. Si re
flette: si fa ricadere. St. 47. V, 56. H Saracino ecc.: Mandricardo. ST. 49.
V.34. E trova V elmo poi, non quel fa moso, ecc.; perchè di quel famoso se
n'era g:à impa dronito Ferraù. Vedi CanJo XII, St. 60. St. 51. V.3. Boccia: qui
flumicello. St. 61. V.8. La selva degli ombrosi mirti: favo leggiata da
Virgilio nel VI dell'Eneide, per sede dell'a nime degli uccisi per cagion
d'amore. 11 mirto eia sim bolo dell'amore. St. €4. V.48. Piastra: armatura di
dosso. Pan ziron: aimatura della pancia. Corazza: arraatuia del busto,
altrimenti corsaletto. Arcione: parte della sella, fatta a guisa
d'arco,dovesedevano icavalieri.Arnese nome generico che può adattarsi a il ogni
parte dell'ai mituia. Sr. 65. V.4. Gli danna: gli dannoggia. St. t6. V.14. Cosi
talora, ere. Comparazione che il Poeta ha tratta da un nastro, il quale
attorniando il polso della sua donna (Alessandra Benncci) rendeva di Etinta la
di lei mano dalla manica di drappo d'argento che vestivale il braccio. St. 69.
V.6. Braceial: parte dell'armatura che di fende il braccio. St. 84. V.6.
Profano: qui lascivo, disonesto. St. 89. V.3. Flusse: passaggere, dal latino
/ifttcre. St. 90. V.34. Scrivendo questo l'Ariosto pensava forse della sua
contemporanea, V infelice Giovanna la pazza, di Spagna, la quale, anche
viaggiando, voleva sempre con sé il feretro del marito morto, Filippo
d'Austria. St. 86. V.1. Acceggia: beccaccia. St. 101. V.8. Poco: di poca
estensione. St. 113. V.4. Martinelli: ordigni usati per cari care le grosse
balestre o gli archi. St. 106. V.3. Adizza: attizza. 8t. 110. V.5. Inarra: qui
impegna. St. IH. V.6. Quando: mentre. St. 115. V.?. A chi di lor potei,: a chi
era signora di loro. Canto XXV nh \xx,\\\ eoniriutii In irsivenil pensiero,
Ii.;ìr ili laiiik' . ed im[rt'tLJ d'aniore Nl, lIiì ]iÈii v.iirlia, \w.\tx A
tiuvii il veri; ULé rutila or queatu ur quel isuperiore" Neir uno ebbe e
ueir altro cavaliero Quivi gran forza il debito e T onore:Che l'amorosa lite
s'intermesse, Finché soccorso il campo lor s'avesse. Ma più ve l'ebbe Amor: che
se non era Che così comandò la donni loro, Non si sciogliea quella battaglia
fiera, Che Tun n'avrebbe il trionfale alloro; Ed Agramante invan con la sua
schiera L'aiuto avria aspettato di costoro. Dunque Amor sempre rio non si
ritrova: Se spesso nuoce, anco talvolta giova. 3 Or r uno e l'altro cavalier
pagano, Che tutti ha differiti i suoi litigi, Va, per salvar l'esercito
africano, Con la donna gentil verso Parigi; E va con essi ancora il piccol
nano, Che seguitò del Tartaro i vestigi, Finché con lui condutto a fronte a
fronte Avea quivi il geloso Rodomonte. 4 Capitare in un prato, ove a diletto
Erano avalier sopra un ruscello, Duo disarmati, e duo ch'avean l'elmetti, E una
donna con lor di viso bello. Chi fosser quelli, altrove vi fia detto:Or no, che
di Ruggier prima fìivello; Del buon Rugcier, di cui vi fu narrato Che lo scudo
nel pozzo avei gittato. 5 Non è dal pozzo ancor lontano un miglio, Che venire
un corrier vede in gran fretta, Di quei che manda di Troiano il figlio Ai
cavalieri onde soccorso aspetta: Dal qual ode cheCarlo in tal periglio La gente
saracina tieu ristretta. Che se non è chi tosto le dia aita, Tosto l'onor vi
lascierà o la vita. 8 Perch' era conosciuta dalla gente Quella donzella eh'
avea in compagnia, Fu lasciato passar liberamente, Né domandato pure onde
venia. Giunse alla piazza, e di fuoco lucente. E piena la trovò di gente ria; E
vide in mezzo star con viso smorto Il giovine dannato ad esser morto. 9
Ruggier, come gli alzò gli occhi nel viso. Che chino a terra e lacrimoso stava,
Di veder Bradamante gli fu avviso: Tanto il giovine a lei rassomigliava. Più
dessa gli parca, quanto più fiso Al volto e aUa persona il riguar"iava; E
fra sé disse: 0 questa é Bradamante, 0 ch'io non son Ruggier, com'era innante.
10 Per troppo ardir si sarà forse mes?a Del garzon condennato alia difesa; E
poiché mal la cosa l' é successa, Ne sarà stata, come io veggo, presa. Deh
perchè tanta fretta, che con essa Io non potei trovarmi a questa impresa? Ma
Dio ringrazio che ci son venuto, Ch'a tempo ancora io potrò darle aiut. 1 1 E
senza più indugiar, la spada stringe (Ch'avea all'altro caste! rotta la
lancia), E addosso il vulgo inerme il destrier spinge Per lo petto, pei fianchi
e per la pancia. Mena la spada a cerco; ed a chi cinge La fronte, a chi lagola,
a chi la guancia. Fugge il popol gridando; e la gran frotta Resta 0 sciancata,
o con la testa rotta. 6 Fu da molti pensier ridutto in forse Ruggier, che tutti
l'assalirò a un tratto; Ma qual per lo miglior dovesse torse. Né luogo avea né
tempo a pensar atto. Lasciò andare il messaggio, e'I freno torse Là dove fu da
quella donna tratto, Ch'ad or ad or in modo egli affrettava, Che nessun tempo
d'indugiar le dava. 7 Quindi seguendo il cammin preso, venne (Già declinando il
sole) ad una terra Che '1 re Marsilio in mezzo Francia tenne, Tolta di min di
Carlo in quella guerra. Né al ponte né alla porta si ritenne. Che non gli niega
alcuno il passo o serra, Bench'intorno al rastrello e in su le fosse Gran
quantità d'uomini e d'arme fosse. 12 Come stormo d'augei, ch'in ripa a un
stagno Vola sicuro, e a sua pastura attende,S'improvviso dal ciel falcon
grifagno Gli dà nel mezzo, ed un ne batte o prende, Si sparge in fuga, ognun
lascia il compagno, E dello scampo suo cura si prende; Così veduto avreste far
costoro. Tosto che'l buon Ruggier diede fra loro. 13 A quattro o sei dai colli
i capi netti Levò Ruggier, eh' indi a fuggir fnr lenti:Ne divise altrettanti
inim ai petti. Fin agli occhi infiniti e fin ai denti. Concederò che non
trovasse elmetti, Ma ben di ferro assai cuffie lucenti:E s' elmi fini anco vi
fosser stati, Così gli avrebbe, o pcco men, tagliaf. 14 La forza di Riiggìer
non era qnale Or 8Ì ritrovi in cavalier moderno, Né in orso né in leon né in
animale Altro più fiero o nostrale od esterno. Forse il tremuoto le sarebbe
uguale, Forse il gran diavol; non quel dello 'nferno, Ma quel del mio signor,
che va col fuoco, di' a cielo e a terra e a mar si fa dar loco. stanza 24. 1 .5
D'Ogni suo colpo mai non cadea manco D'un uom in terra, e le più volttì un paio;
E quattro a un colpo, e cinque n'uccise auco; Sì che si venne tosto al
centinaio. Tagliava il brando che trasse dal fianco, Come un tenero latte, il
duro acciaio. Falerina, per dar morte ad Orlando, Fé' nel giardin d'Orgagna il
crudel brando. 16 Averlo fatto poi ben le rincrebbe. Che '1 suo giardin disfar
vide con esso. Che strazio dunque, che ruina debbe Far or, eh' in man di tal
guerriero è messo?Se mai Ruggier furor, S3 mii forza ebbe. Se mai fu l'alto suo
valor espresso. Qui r ebbe, il pose qui, qui fu veduto, Sperando dare alla sua
donna aiuto. 17 Qual fa la lepre contra i cani sciolti, Facea la turba contra
lui riiaro. Quei che restaro uccisi, furon molti; Furo infiniti
queich'infugaandaro.Avea la donna intanto i lacci tolti, Ch' ambe le mani al
giovine legaro; E, come potè maglio, presto armollo. Gli die una spaia in mano,
e un scado al eoD, 18 Egli che molto è offeso, più che pnote Si cerca vendicar
di quella gente:E quivi son si le sue forze note, Che riputar si fa prode e
valente. Già avea attulTato le dorate raote Il sol nella marina d'occidente,
Quando Ruggier vittorioso e quello Giovine seco uscir fuor del castello. 19
Quando il garzon sicuro della vita Con Ruggier si trovò fuor delle porte. rendè
molta grazia ed infinita Con gentil modi e con parole accorte, Che, non lo
conoscendo, a dargli aita . Si fosse messo a rischio della morte:E pregò che '1
suo nome gli dicesse. Per sapfr a chi tanto obbligo avesse.'O Veggo, dicea
Ruggier, la faccia belLi, le belle fattezze e '1 bel sembiante.; Ma la suavità
della favella Non odo già della mia Bradamante; Né la relazion di grazie è
quella Ch'ella usar debba al suo fedele amante. Ma se pur questa è Bradamante,
or come Ha sì tosto in obblio messo il mio nome? 21 Per ben saperne il certo,
accortamente Ruggier le disse: Io v'ho veduto altrove; Ed ho pensato e penso, e
finalmente Non so né posso ricordarmi dove. Ditemei voi, se vi ritornaamente; E
fate che '1 nome anco udir mi giove, Acciò che saper possa a cui mia aita Dal
fuoco abbia salvata ogi la vita. 22 Che voi m' abbiate visto esser potria,
Rispose quel, che non so dove o quando. Ben vo pel mondo anch'io la parte mia,
Strane avventure or qua or là cercando. Forse una mia sorella stata fia, Che
veste l'm'me, e porti al lato il brando; Che nacque meco, e tanto mi sonuglia,
Che non ne può discerner la famiglia. 3 Né primo né secondo né ben quarto Sete
di quei ch'errore in ciò preso hanno: Né U padre né i fratelli né chi a un
parto Ci produsse ambi, scernere ci sanno. Gli è ver che questo criu raccorcio
e sparto Ch'io porto, come gli altri uomini fanno, Ed il suo lungo e in treccia
al capo avvolta, Ci solea far già differenzia molta: 4 Ma poi eh' un giorno
ella ferita fu Nel capo (lungo saria a dirvi come), E per sanarla un servo di
Gesù A mezza orecchia le tagliò le chiome; Alcun segno tra noi non restò più Di
differenzia, fuorché '1 sesso e '1 nome Ricciardetto son io, Bradamante ella;
Io fratel di Rinaldo, essa sorella. 25 E se non v' increscesse l'ascoltarmi,
Cosa direi che vi farla stupire, La qual m'occorse per assimigliarmi A lei,
gioia al principio, e al fin martire. Ruggiero, il qual piùgraziosi carmiChe
dove alcun ricordo intervenisse Della sua donna, il pregò si, che disse: 26
Accadde a questi di, che pei vicini Boschi passando la sorella mia, Ferita da
uno stuol di Saracini Che senza l'elmo la trovar per via. Fu di scorciarsi
astretta i lunghi crini, Se sanar volse d'una piaga ria Ch'avea con gran
periglio nella testa; E cosi scorcia errò per la foresta. ii7 Errando giunse ad
un' ombrosa fonte; E perchè afflitta e stanca ritrovosse, Dal destrier scese, e
disarmò la fronte, E su le tenere erbe addormentosse. Io non credo che favola
si conte, Che più di questa istoria bella fosse. Fiordispina di Spagna
soprarriva, Che per cacciar nel bosco ne veniva. 28 E quando ritrovò la mia
sirocchia Tutta coperta d'arme, eccetto il viso, Ch'avea la spada in luogo di
conocchia; Le fu vedere un cavaliero avviso. La faccia e le viril fattezze
adocchia Tanto, che se ne sente il cor conquiso. La invita a ciccia, e tra l'ombrose
fronde Luuge dagli altri aliìu seco s'asconde. 29 Poi che l'ha seco in
solitario loco. Dove non teme d'esser sopraggiunta. Con atti e con parole a
poco a poco Le scopre il fisso cor di grave punta. Con gli occhi ardenti e coi
sospir di fuoco Le mostra l'alma di disio consunta. Or si scolora in viso, or
siraccende:Tanto s'arrischia, eh' un bacio ne prende. 30 La mia sorella avea
ben conosciuto Che questa donna in cambio l'avea tolta: Né dar poteale a quel
bisogno aiuto, E si trovava in grande impaccio avvolta. Gli è meglio, dicea
seco, s'io rifiuto ' Questa avuta di me credenza stolta, E s' io mi mostro
femmina gentile, Che lasciar riputarmi un uomo vile. : 1 E dicea il ver, eh'
era viltade espressa, Conveniente a un uom fatto di stucco, Con cui sì bella donna
fosse messa. Piena di dolce e di nettareo succo, E tuttavia stesse a parlar con
essa. Tenendo basse l'ale come il cucco. Con modo accorto ella il parlar
ridusse. Che venne a dir come donzella fusse. 32 Che gloria, qual già Ippolita
e Camilla, Cerca nell' arme; e in Africa era nata In lito al mar, nelhi città
d'Arzilla, A scudo e a lancia da fanciulla usata. Per questo non si smorza una
scintilla Del fuoco della donna innamorata. Questo rimedio all'alta piaga è
tardo: Tant' avea amor cacciato innanzi il dardo. 33 Per questo non le par men
bello il viso, Men bel lo sguardo, e men belli i costumi; Per ciò non toma il
cor che, già diviso Da lei, godea dentro gli amati lumi. Vedendola in
quell'abito, l'è avviso Che può far che 1 desir non la consumi; E quando
ch'ella è pur femmina pensa, Sospira e piange, e mostra doglia immensa. 34 Chi
avesse il suo rammarico e '1 suo pianto Quel giorno udito, avria pianto con
lei. Quai tormenti, dicea, furon mai tanto Crudel, che più non sian crudeli i
miei?D'ogn' altro amore, o scellerato o santo. Il desiato fin sperar potrei;
Saprei partir la rosa dalle spine:Solo il mio desiderio é senza fine. 35 Se pur
volevi, Amor, darmi tormento, Che t' increscesse il mio felice stato, D'alcun
martir dovevi star contento, Che fosse ancor negli altri amanti usato. Né tra
gli uomini mai né tra V armento, Che femmina ami femmina ho trovato; Non par la
donna air altre donne hella, Né a cervie cervia, né all'agnello agnella. 36 In
terra, in aria, in mar sola son io Che patisco da te sì duro scempio; E questo
hai fatto acciò che Perror mio Sia nell'imperio tuo l'ultimo esempio. La moglie
del re Nino ebhe disio, Il figlio amando, scellerato ed empio, E Mirra il
padre, e la Cretense il toro; Ma gli é più folle il mio, eh' alcun dei loro. 37
La femmina nel maschio fé' disegno, Speronne il fine, ed ebbelo, come
odo:Pasife nella vacca entrò di legno; Altre per altri mezzi, e vario modo. Ma
se volasse a me con ogni ingegnò Dedalo, non potria scioglier quel nodo, Che
fece il mastro troppo diligente. Natura d'ogni cosa più possente. 38 Cosi si
duole, e si consuma ed auge La bella donna, e non s'accheta in fretta. Talor si
batte il viso, e il capei frange, E di sé centra sé cerca vendetta. La mia
sorella per pietà ne piange, Ed è a sentir di quel dolor costretta. Del foUe e
van disio si studia trarla; Ma non fa alcun profitto, e invano parla. 39 Ella,
eh' aiuto cerca e non conforto, Sempre più si lamenta e più si duole. Era del
giorno il termine ormai corto, Che rosseggiava in occidente il sole, Ora opportuna
da ritrarsi in porto, A chi la notte al bosco star non vuole, Quando la donna
invitò Bradamante A questa terra sua poco distante. 40 Non le seppe negar la
mia sorella:E così insieme ne vennero al loco, Dove la turba scellerata e fella
Posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco. Fece là dentro Fiordispina bella La
mia sirocchia accarezzar non poco; E rivestita di femminil gonna, Conoscer fé'
a ciascun ch'ella era donna. •al Perocché conoscendo che nessuno Util traea da
quel virile aspetto, Non le parve anco di voler ch'aleono Biasmo di sé per
questo fosse detto:Fèllo anco, acciò chfe'l mal ch'avea dairiis Virile abito,
errando, già conce ttx>, Ora con l'altro, discoprendo il vero, Provasse di
cacciar fuor del pensiero. 42 Comune il letto ebbon la notte inssieme, Ma molto
differente ebbon riposo:Che runa dorme, e l'altra piange e gem. Che S3mpre il
suo disir sia più focosa. E se 'l sonno talor gli occhi le preme, Quel breve
sonno è tutto immanoso: Le par veder che'l ciel l'abbia concedo Bradamante
cangiata in miglior sesso. 43 Come l'infermo acceso di gran sete, S'in quella
ingorda voglia s'addormenta, Neil'interrotta e turbida quiete, D'ogni acqua che
mai vide si rammenta; Cosi a costei di far sue voglie liete L'immagine del
sonno rappresenta. Si desta; e nel destar mette la mano, E ritrova pur sempre
il sogno vano. 44 Quanti prieghi la notte, quanti voti Offerse al suo Macone e
a tutti i Dei, Che con miracoli apparenti e noti Mutassero in miglior sesso
costei! Ma tutti vede andar d'effetto vóti; E forse ancora il ciel ridea di
lei. Passa la notte; e Febo il capo biondo Traea del mare, e dava luce al
mondo. 45 Poi che'l dì venne, e che lasciaro il letto. A Fiordispina
s'augumenta doglia; Che Bradamante ha del partir già detto, Ch' uscir di questo
impaccio avea gran voglii. La gentil donna un ottimo ginetto In don da lei vuol
che partendo teglia, Guernito d'oro, ed una sopravvesta Che riccamente ha di
sua man contesta. 46 Accompagnolla un pezzo Fiordispina; Poi fé', piangendo, al
suo Castel ri tomo. La mia sorella sì ratto cammina, Che venne a Montai bano
anco quel giorno. Noi suoi fratelli e la madre meschina Tutti le siamo
festeggiando intorno; Che di lei non sentendo, avuto forte Dubbio e tema avevam
della sua morte. Stanza 45 47 Mirammo (al trar dell'elmo) al mozzo crine,Ch'
intorno al capo prima s' avvolgea; Cosi le sopravveste peregriue Né fèr
meravigliar, ch'indosso avca Ed ella il tutto dal principio al fine Narroune,
come dianzi io vi dicea: Come ferita fosse al bosco, e come Lasciasse, per
guarir, le belle chiome; 48 E come poi dormendo in ripa all'acque, La bella
cacciatrice sopraggìunse, A cui la falsa sua sembianza piacque; E come dalla
schiera la disgiunse. Del lamento di lei poi nulla tacque, Che di pieUide V
anima ci punse:E come alloggiò seco, e tutto quello Che fece, finché ritornò al
castello. 49 Dì Fiordispiua gran notizia ebb io, Ch'in Saragozza e già la vidi
in Francia; £ piacquer molto all'appetito mio I suoi begli occhi e la polita
guancia: Ma non lasciai fermarvisi il disio;Che l'amar senza speme è sogno e
ciancia, Or, quando in tal ampiezza mi si porge, L'antiqua fiamma subito
risorge. 50 Di questa spemeAmore ordisce 1 nodi; Che d'altre fila ordir non li
potea: Onde mi piglia, e mostra insieme i modi. Che dalla donna avrei quel
ch'io chiedea. A succeder saran facil le frodi; Che, come spesso altri
ingannato area La simiglianza e' ho di mia sorella, Forse anco ingannerà questa
donzella. 51 Faccio, 0 noi faccio? Alfin mi par che buono Sempre cercar quel
che diletti, sia. Del mio pensier con altri non ragiono, Né vo'ch'in ciò
consiglio altri mi dia. Io vo hi notte ove quell'arme sono, Che s'avea tratte
la sorella mia:, e col destrier suo via cammino; Né sto aspettar che luca il
mattutino. 52 Io me ne vo la notte (Amore è duce) A ritrovar la bella Fiordispina;
E v' arrivai che non era la luce Del sole ascosa ancor nella marina. Beato é
chi correndo si conduce Prima degli altri a dirlo alla regina, Da lei sperando,
per l'annunzio buono, Acquistar grazia, e riportarne dono. 53 Tutti m'aveano
tolto così in fallo, Com'hai tu fatto ancor, per Bradamante; Tanto più che le
vesti ebbi e '1 cavallo, Con che partita era ella il giorno innante. Vien
Fiordispina di poco intervallo Con feste incontra e con carezze tante, E con si
allegro viso e sì giocondo. Che più gioja mostrar non potria al mondo. 54 Le
belle braccia al collo indi mi getta, E dolcemente stringe e bacia in bocca. Tu
puoi pensar s' allora la saetta Dirizzi Amor, s'in mezzo al cor mi tocca. Per
man mi piglia, e in camera con fretta 311 mena: e non ad altri, eh' a lei,
tocca Che dall'elmo allo spron l'amie mi slacci; E nessun altro vuol che se n
impacci. 55 Poi fattasi arrecare una sua veste Adoma e ricca, di sua man la
spiega: E, come io fossi femmina, mi veste, E in reticella d'or il cria mi lega.
Io muovo gli occhi con maniere oneste; Né ch'io sia donna, alcun mio gesto
nicgx La voce ch'accusar mi potea forse. Sì ben usai, eh' alcun non se n'
accorse. 56 Uscimmo poi là dove erano molte Persone in sala, e cavalieri e
donne. Dai quali fummo con l'onor raccolte, Ch'alle regine fassi e gran
madonne. Quivi d'alcuni mi risi io più volte " Che, non sappiendo ciò che
sotto gonne Si nascondesse valido e gagliardo, Mi vagheggiavan con lascivo
sguardo. 57 Poi che si fece la notte più grande. E già un pezzo la mensa era
levata, La mensa che fu d'ottime vivande, Secondo la stagione, apparecchiata;
Non aspetta la donna ch'io domande Quel che m'era cagion del venir stata; Ella
m' invita, per sua cortesia, Che quella notte a giacer seco io stia. 58 Poi che
donne e donzelle ormai levate Si furo, e paggi e camerieri in tomo; Essendo
ambe nel letto dispogliate. Coi torchi accesi, che parca di giorno, Io
cominciai: Non vi maravigliate, Madonna, se sì tosto a voi ritomo; Che forse
v'andavate immaginando Di non mi riveder fin Dio sa quando. 69 Dirò prima la
causa del partire, Poi del ritorno l'udirete ancora. Se'l vostro ardor,
madonna, intiepidire Potuto avessi col nùo far dimora, Vivere in vostro
servizio e morire Voluto avrei, né starne senza un'ora; Ma visto quanto il mio
star vi nocessi, Per non poter far meglio, andare elessi. 60 Fortuna mi tirò
fuor del cammino In mezzo un bosco d'intricati rami, Dove odo un grido risonar
vicino, Come di donna che soccorso chiami. V accorro, e sopra \m lago
cristallino Ritrovo un Fauno ch'avea preso agli ami In mezzo all' acqua una
donzella nuda, E ulangiari il crudel la volea cruda. :>l Colà mi trassi, e
con la spada in mano (Perch' aiutar non la potea altrimente) Tolsi (li vita il
pescator villano:Ella saltò nell'acqua immantinente. Non m' avrai, disse, dato
aiuto invano:Ben ne sarai premiato, e riccamente, Quanto chieder saprai; perchè
son Ninfa Che vivo dentro a questa chiara linfa; 62 Ed ho possanza far cose
stupende, E sforzar gli elementi e la natura. Chiedi tu quanto il mio valor
s'estende,Poilascia a me di satisfarti cura. Dal ciel la luna al mio cantar
discende, S' agghiaccia il fuoco, e V aria si fa dura; Ed ho talor con semplici
parole Mossa la terra, ed ho fermato il sole. H.3 Non le domando a questa
offerta unire Tesor, né dominar popoli e terre:Né in più virtù, ne in più vigor
salire, Né vincer con onor tutte le guerre; Ma sol che qualche via, donde il
desire Vostro s'adempia, mi schiuda e disserre: Né più le domando un, eh' un
altro effetto, Ma tutta al suo giudicio mi rimetto. 64 Ebbile appena mia
domanda esposta, Ch' un' altra volta la vidi attuffata; Né fece al mio parlare
altra risposta, Che di spruzzar ver me l'acqua incantata. La qnal non prima al
viso mi s'accosta, Ch' io, non so come, son tutta mutata, lo'l veggo, io'l
sento; e appena vero panni: Sento in maschio, di femmina, mutarmi. 65 E se non
fosse che senza dimora Vi potete chiarir, noi credereste: E, qual nell'altro
sesso, in questo ancora Ho le mie voglie ad ubbidirvi preste. Comandate lor
pur; che' fieno or ora, E sempre mai per voi vigili e deste. Così le dissi; e
feci eh' ella istessa Trovò con man la veritade espressa. 66 Come interviene a
chi già fuor di speme Di cosa sia che nel pensier molt' abbia, Che, mentre più
d'esserne privo geme. Più se n'affligge e se ne strugge e arrabbia; Sebben la
trova poi, tanto gli preme L'aver gran tempo seminato in sabbia, E la
disperazion l'ha si male uso, Che non crede a sé stesso, e sta confuso:67 Cosi
la donna, poiché tocca e vede Quel di ch'avtlto avea tanto desire, Agli occhi,
al tatto, a sé stessa non crede, E sta dubbiosa ancor di non dormire: E buona
prova bisognò a far fede Che sentia quel che le parea sentire. Fa, Dio
(diss'ella), se son sogni questi. Ch'io dorma sempre, e mai più non mi desti.
stanza eo. 68 Non rumor di tamburi o suon di trombe Furon principio all'amoroso
assalto; Ma baci eh' imitavan le colombe, Davan segno or di gire, or di fare
alto. Usammo altr'arme, che saette o frombe; Io senza scale in su la rocca
salto, E lo stendardo piantovi di botto, E la nimica mia mi caccio sotto. 69 Se
fu quel letto la notte dinanti Pien di sospiri e di querele gravi. Non stette
l'altra poi senz' altrettanti Risi, feste, gioir, giochi soavi. Non con più
nodi i flessuosi acanti Le colonne circondano e le travi. Di quelli con che noi
legammo stretti E colli e fianchi e braccia e gambe e petti. 70 La cosa stava
tacita fra noi, Si che durò il piacer per alcun mese: Par si trovò chi se
n'accorse poi, Tanto che con mio danno il re lo 'ntese. • Voi che mi liberaste
da quei suoi Che nella piazza avean le fiamme accese, Comprendere oggimai
potete il resto i Ma Dio sa ben con che dolor ne resto. 71 Così a Rnggier
narrava Ricciardetto, E la notturna via facea men grave, Salendo tuttavia verso
un poggetto Cinto di ripe e di pendici cave. Un erto calle, e pien di sassi e
stretto Apria il cammin con faticosa chiave. Sedea al sommo un caste! detto
Agrismonte, Ch' avea in guardia Aldìgier di Chiaramonte. 72 Di Buovo era costui
figliuol bastando, Fratel di Malagigi e di Viviano: Chi legittimo dice di
Gherardo, È testimonio temerario e vano. Fosse come si voglia, era gagliardo,
Prudente, liberal, cortese, umano; E facea quivi le fraterne mura La notte e il
dì guardar con buona cura. 73 Raccolse il cavalier cortesemente. Come dovea, il
cugin suo Ricciardetto, Ch'amò come fratello; e parimente Fu ben visto Ruggier
per suo rispetto. Ma non gli uscì già incontra allegramente. Come era usato,
anzi con tristo aspetto, Perch' uno avviso il giorno avuto avea, Che nel viso e
nel cor mesto il facea. 76 Rinaldo nostro n'ho awito or ora. Ed ho cacciato il
messo di galoppo:Ma non mi par ch'arrivar possa ad ora Che non sia tarda; chè'l
cammiao è tr. Io non ho meco gente da uscir faora: L'animo è pronto, ma il
potere è zoppa. Se gli ha quel traditor, li fia morire; Si che non so che far,
non so che dire. 77 La dura nuova a Ricciardetto spiace; . E perchè spiace a
lui, spiace a Roggiso. Che poiché questo e quel vede che tace. Né tra' profitto
alcun del suo penderò, Disse con grande ardir: Datevi pace: Sopra me
quest'impresa tutta chero; E questa mia varrà per mille spade A riporvi i.
fratelli in libertade. 78 Io non voglio altra gente, altri snasdi; Ch'io credo
bastar solo a questo fatto. Io vi domando solo un che mi gfiddi Al luogo ove si
dee fare il baratta Io vi farò sin qui sentire i gridi Di chi sarà presente al
rio contratto. Così dicea: né dicea cosa nuova All'un de' dui, che n'avea visto
pniova. 79 L'altro non l'ascoltava, se non qaaato S'ascolti un ch'assai parli,
e sappia poco: Ma Ricciardetto gli narrò da canto, Come fu per costui tratto
del foco, E eh' era certo che maggior del vanto Farla veder l'effetto a tempo e
a loco. Gli diede allor udienza più che prima, E riverillo, e fé' di lui gran
stima. 74 A Ricciardetto, in cambio di saluto, Disse: Fratello, abbiam nuova
non buona. Per certissimo messo oggi ho saputo Che Bertolagi iniquo di Eaiona
Con Lanfusa crudel s' è convenuto. Che iirezVose spoglie esso a lei dona. Ed
essa a lui pon nostri frati in mano, Il tuo buon lilalfigigi e il tuo Viviano.
7.5 Ella dal dì che Ferraù li prese. Gli ha ognor tenuti in loco oscuro e
fello, Finché '1 brutto contratto e discortese N' ha fatto con costui di eh' io
favello. Gli de' mandar domane al Maganzese Nei confin tra Baiona e un suo
castello. Verrà in persona egli a pagar la mancia Che compra il miglior sangue
che sia in Francia. 80 Ed alla mensa, ove la Copia fase Il corno, l'onorò come
suo donno. Quivi senz'altro aiuto si concluse . Che liberare i duo fratelli
ponno. Intanto sopravvenne e gli occhi chiuse Ai signori e ai sergenti il pigro
sonno, Fuor eh' a Ruggier; che, per tenerlo desto, Gli punge il cor sempre un
pensier molesto. 81 L'assedio d'Agramante, eh' avea il giorno Udito dal corner,
gli sta nel core. Ben vede ch'ogni minimo soomo. Che faccia d'aiutarlo, è suo
disnore. Quanta gli sarà infamia, quanto scorno, Se coi nemici va del suo
signore! Oh come a gran viltade, a gran delitto, Battezzandosi allor, gli sarà
ascritto ! Siaiun71. 82 Potria in ogn' altro tempo esser creduto Che vera
religion V avesse mosso:Ma ora che bisogna col suo aiuto Agramante d'assedio
esser riscosso, Piuttosto da ciascun sarà tenutoChetimore e viltà l'abbia
percosso, Ch'alcuna opinion di miglior fede. Questo il cor di 'Ruggiero stimola
e fiede. 83 Che s'abbia da partire anco lo punge Senza licenzia della sua
regina. Quando questo pensier, quando quel giunge, Che'I dubbio cor
diversamente inchina. Gli era l'avviso riuscito lunge Di trovarla al Castel di
Fiordispina, Dove insieme dovean, come ho già detto, In soccorso venir di Ricciardetto.
84 Poi gli sowien ch'egli le avea promesso Di seco a Vallombrosa ritrovarsi.
Pensa eh' andar v' abbi' ella, e quivi d'esso, Che non vi trovi poi,
maravigliarsi. Potesse almen mandar lettera o messo, Si ch'ella non avesse a
lamentarsi Che, oltre eh' egli mal le avea ubbidito, Senza far motto ancor
fosse partito. 85 Poi che più cose immaginate s' ebbe, Pensa scriverle alfin
quanto gli accada; E bench'egli non sappia come debbe La lettera inviar, si che
ben vada, Non però vuol restar; che ben potrebbe Alcun messo fedel trovar per
strada. Più non s' indugia, e salta delle piume:Si fa dar carta, inchiostro,
penna e lume. 86 I camerieri discreti ed avveduti Arrecano a Euggier ciò che
comanda. Egli comincia a scrivere, e i saluti. Come si suol, nei primi versi
manda: Poi narra degli avvisi che venuti Son dal suo re, eh' aiutoglidomanda; E
se l'andata sua non è ben presta, 0 morto 0 in man degl'inimici resta. 87 Poi
seguita, eh' essendo a tal partito, E eh' a lui per aiuto si volgea. Vedesse
ella, che 'I biasmo era infinito S'a quel punto negar gli lo volea: E ch'esso,
a lei dovendo esser marito, Guardarsi da ogni macchia si dovea; Che non si
convenia con lei, che tutta Era sincera, alcuna cosa brutta. 88 E se mai per
addietro un nome chiaro, Ben oprando, cercò di guadagnarsi; E guadagnato poi,
se avuto caro. Se cercato l'avea di conservarsi; Or lo cercava, e n'era fatto
avaro, Poiché dovea con lei parteciparsi, La qual sua moglie, e totalmente in
dui Corpi esser dovea un'anima con lui. 89 E sì come già a bocca le avea detto,
Le ridicea per questa carta ancora:Finito il tempo in che per fede astretto Era
al suo re, quando non prima muora. Che si farà Cristian cosi d'effetto, Come di
buon voler stato era ogni ora; E ch'ai padre e a Rinaldo e agli altri suoi Per moglie
domandar la farà poi. 90 Voglio, le soggiungea, quando yri pUeéi L'assedio al
mio signor levar d intorni, Acc;ò che l'ignorante vulgo taccia, Il qual
direbbe, a mia vergogna e scotoq. Euggier, mentre Agramante ebbe bonaceu. Mai
non l'abbandonò notte né g:iomo; Or che fortxma per Carlo si piega, Egli col
vincitor l'insegna spiega. 91 Voglio quindici di termine, o Tenti, Tanto che
comparir possa una volta, Si che degli africani alloggiamenti La grave ossedìon
per me sia tolta. Intanto cercherò convenienti Cagioni, e che sian giuste, di
dar volta. Io vi domando per mio cuor sol questo:Tutto poi vostro è di mia vita
il resto. 92 In simili parole si diffuse Ruggier, che tutte non so dirvi
appieno; E segui con molt' altre, e non concluse, Finche non vide tutto il
foglio pieno:poi piegò la lettera e la chiuse, E suggellata se la pose in so,
Con speme che gli occorra il di seguente Chi alla donna la dia secretamente. 93
Chiusa ch'ebbe la lettera, chiose anco Gli occhi sul letto, e ritrovò quiete;
Che 'l sonno venne, e sparse il corpo staDec Col ramo intinto nel liquor di
Lete: E posò fin eh' un nembo rosso e bianco Di fiori sparse le contrade liete
Del lucido oriente d'ogn' intomo, Ed indi usci dell'aureo albergo il giorno. 94
E poi eh' a salutar la nova luce Pei verdi rami incominciar gli augelli,
Aldigier che voleva esser il duce Di Ruggiero e dell'altro, e guidar quelli Ove
faccin che dati in mano al truce Bertolagi non siano i duo fratelli, Fu'l primo
in piede; e quando sentir Ini, Del letto uscirò anco quegli altri dui. 95 Poi
che vestiti furo e bene armati, Coi duo cugin Ruggier si mette in via, Già
molto indamo avendoli pregati Che questa impresa a lui tutta si dia. Ma essi,
pel desir e' han de' lor frati, E perchè lor parca discortesia, Steron negando
più duri che sassi, Né consentiron mai che solo andassi. 96 Giunsero al loco il
di che si doyea Malagigi mutar nei carriaggi. Era un'ampia campagna che giacea
Tutta scoperta agli apollinei raggi. Quivi né allór né mirto si vedea, Né
cipressi nò frassini nò faggi: Ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto. Non mai
da marra o mai da vomer culto. 97 I tre guerrieri arditi si fermaro Dove un
sentier Fendea quella pianura; E giunger quivi un cavalier miraro, Ch avea
d'oro fregiata 1 armatura, E per insegna in campo verde il raro E hello augel
che più d'un secol dura. Signor, non più; che giunto al fin mi veggio Di questo
Canto, e riposarmi chieggio. NOTE. St 13. V.6. Cuffie. La cuffia d'acciaio era
un'ar 1 matura della testa che si portava sotto Telmo. | St. 14. V.68. Jl gran
diavol, ecc.: nome dato ad un cannone di straordinario calibro, appartenente al
duca Alfonso. St. 2 . V.7. Fiordispina di Spagna: è la giovine figlia del re
Ifarsilio di cui fé' cenno alla St. 39 del Canto XXII. T. 28. V.1. SiroccMa:
soreUa. St. 29. V.4. Fisso: trafitto. Funta: puntura amorosa. St. 32.
V.13.Ippolita: famosa amazzone che com battè con Ercole e con Teseo. Argilla:
la Zilia di Plinio, notata sulle odierne mappe col nome di Arxilia, nel regno
di Fez. St. 36. V.57. La moglie di Nino: Semiramide.Mirra: figlia di Ciniro. La
Cretenae: Pasifae, mo glie di Minos re di Greta St. 37. V.6. Dedalo:
ingegnosissimo artefice ate niese, a cui si attribuiscono dai poeti diverse
invenzioni, fra le quali il labirinto di Creta, d'onde usci volando, con Icaro
suo figlio. St. 42. V.6. Imaginoso: pieno di visioni. St. 45. V.5. Oinetto:
cavallo di razza spagnaola. St. 60. V.6. Un Fauno: nome di una famiglia di
divinità boscherecce. St. 62. V.18. Gli antichi non attribuirono mai tanta
potenza alle Ninfe. Ma le Ninfe nel medio evo diventarono fate. St. 74. V.45.
Bertolagi: era uno della casa di Ma ganza. Lanfusa: la madre di FerraU. St 75.
V.6. Baiona: città di Francia non lungi dal golfo di Guascogna, nel
dipartimento dei Bassi Pi renei. ST. 81. V.3. Soggiorno: qui indugio. St. 83.
V.56. Gli era V avviso, ecc.: erasi ingan nato nell'opinione di ritrovarla,
ecc. St. 91. V.4. Ossedion: assedio. St. 93. V.4. Col ramo, ecc. Rammenta il
ramo con cui Virgilio fingeche il; onno bagnò le tempie a Fa linuro per farlo
dormire. Lete: fiume delllnfemo, le acque del quale toglievano la memoria del
passato. St. 97. V.56. Il raro e hello augel, ecc.: la fe nica, insegna di
Marfisa. LirAia é il cavaliere giunto ove ì due di Olilibr4m5ELt" doTSTU
essr vnluLi ai loro nomici. I Maanztìtì, uiiìtl t QninenTii ?< chi Era di
Morì, sono disfatti, e i due pHffioni restuio lib"ii. M%lLìi;i;ri
diLìhiEira il signìAcatc) delle tìura scolpito nlli fonCnii di M<rUno. Air
ivi Ippalca aeii/.iL Frontino " Rif gicro va con lei pot reitiperailo.
Handricardo giiuis" iUi rontaaiL. Cam batti mento tra lui e Uarflja,
iai"irrotto daBo doizi>>nte, cho diapqna Marfl"a a recarci al
c&tii|iQ di ign nuoto. RrLfiero viìx?. alU fjEi!iini, al ivi, per dì farM
gi gioni, afìiadtj mia ztilfa fra i guerrieri pagani. Malafigj li 'livido,
fcaudo C(3n ìncaatesiiiLi aIli::)iitanarDomUc" dij loof I quattro
guorrìeri mtioTono v&im PulgL Cortesi rìoiiuc ebbe IVaiitiqua etade, Che le
virtù, non le riedieze, amaro. Al tempo no=5tro si ritrovali radè A cai I pili
del gaEvdigao, altre" sìa c.uo. Ma quelle che per lor vera boutade Non
seguou delle più lo stile avaro, Viveoilù rhgne soii d'eàier con leu te;
Gloriosa e immorcal poi che fiaa spente. Degna d' eterea laude è Bradamaute,
Che non amè tesar, non amò impero " Ma la virtù, ma T animo prestante Ma
Falta gentilezza di Buggiero; E meritò che ben le fosse amante Un cosi valoroso
cavaliero; £ per piacere a lei &cesse cose Nei secoli a venir miracolose.
Rnggier, come di sopra tì fa detto, Coi duo di Chiaramonte era venuto; Dico con
Aldigier, con Ricciardetto, Per dare ai duo fratei prigioni aiuto. Vi dissi
ancor, che di superbo aspetto Venire un cavaliere avean veduto, Che portava
laugei che si rinnova, E sempre unico al mondo si ritrova. [ Come di questi il
cavalier s accorse, Che stavan per ferir quivi su V ale, In prova disegnò di
voler porse. Sballa sembianza avean viirtude uguale. É di voi, disse loro,
alcuno forse Che provar voglia chi di noi più vale. A colpi 0 della lancia o
della spada, Finché Pun resti in sella, e l'altro cada? 5 Sarei, disse
Aldigier, teco, o volessi Menar la spada a cerco, o correr Tasta; Ma un altra
impresa che, se qui tu stessi Veder potresti, questa in modo guasta, Ch' a
parlar teco, non che ci traessi A correr giostra, appena tempo basta; Seicento
uomini al varco, o più, attendiamo . Coi qua' d'oggi provarci obbligo abbiamo.
6 Per tor lor duo de' nostri che prigioni Quinci trarran, pietade e amor n'ha
mosso. E seguitò narrando le cagioni Che li fece venir con l'arme indosso. Si
giusta è questa escusa che m' opponi, Disse il guerrìer, che contraddir non
posso; E fo certo giudici o che voi siate Tre cavalier che pochi pari abbiate.
7 Io chiedea un colpo o dui con voi scontrarme, Per veder quanto fosse il valor
vostro; Ma quando all' altrui spese dimostrarme Lo vogliate, mi basta, e più
non giostro. Vi priego ben, che por con le vostr'arme Quest'elmo io possa e
questo scudo nostro; E spero dimostrar, se con voi vegno, Che di tal compagnia
non sono indegno. ) Parmi veder ch'alcun saper desia Il nome di costui, che
quivi giunto A Ruggiero e a' compagni si offeria Compagno d'arme al periglioso
punto. Costei (non più costui detto vi sia) Era Marfisa, che diede l'assunto Al
misero Zerbin della ribalda Vecchia Gabrìna ad ogni mal si calda. 9 I duo di
Chiaramonte e il buon Ruggiero L'accett&r voleutier nella lor schiera, Ch'
esser credeano certo un cavaliere j E non donzella, e non quella eh' eli' era.
Non molto dopo scoperse Aldigiero, E veder fé ai compagni una bandiera Che
facea l'aura tremolare in volta, E molta gente intomo avea raccolta. Stanza 7.
10 E poi che più lor fiir fatti vicini, E che meglio notar l'abito moro.
Conobbero che gli eran Saracini, E videro i prigioni in mezzo a loro Legati, e
tratti su piccol ronzini A'Maganzesi, per cambiarli in oro. Disse Marfisa agli
altri: Ora che resta, Poiché son qui, di cominciar la festa? 11 Ruggier
rispose: Gli invitati ancora Non ci son tutti, e manca una gran parte. Gran
ballo s'apparecchia di fare ora, E perchè sia solenne, usiamo ogn'arte:Ma far
non ponno omai lunga dimora. Cosi dicendo, veggono in disparte Venire i
traditori di Maganza: Si eh' eran presso a cominciar la danza. 12 Gitmgean
dalPuna parte i Maganzesi, E conducean con loro i muli carchi D'oro e di vesti
e d'altri ricchi arnesi; Da l'altra, in mezzo a lance, spade ed archi, Venian
dolenti i duo germani presi, Che si vedeano essere attesi ai varchi; E
Bertolagi, empio inimico loro, Udian parlar col capitano Moro. 15 Di qui naque
un error tra gli assaliti, Che lor causò lor ultima ruina. Da un lato i Maganzesi
esser traditi Credeansi dalla squadra saracina; Dall'altro, i Mori in tal modo
feriti L'altra schiera chiamavano assassina:E tra lor cominciar con fiera clade
A tirare archi, e a menar lance e spade. stanza la 18 Né di fiuovo il figliuol,
né quel d'Amone, Veduto il Maganzese, indugiar puote: La lancia in resta Tuno e
T altro pone, E r uno e V altro il traditor percuote. L'nn gli passa la pancia
e'I primo arcione, E r altro il viso per mezzo le gote. Cosi n' andasser pur
tutti i malvagi, Come a quei colpi n'andò Bertolagi. 14 Marfisa con Ruggiero a
questo segno Si muove e non aspetta altra trombetta; Né prima rompe l'arrestato
legno. Che tre, l'un dopo l'altro in terra gtitta. Dell'asta di Huggier fu il
Pagan degno,Che guidò gli altri, e usci di vita in fretta; E per quella
medesima con lui Uno ed un altro andò nei regni bui. 16 Salta or in questa
squadra ed ora in quelli Ruggiero, e via ne toglie or dieci or venti Altri
tanti per man della donzella Di qua e di là ne son scemati e spentL Tanti si
veggon gir morti di sella . Quanti ne toccan le spade taglienti, A cui dan gli
elmi e le corazze loco, Come nel bosco i secchi legni al fuoco. 17 Se mai
d'aver veduto vi raccorda, 0 rapportato v' ha fama all' orecchie, Come,
allorché '1 collegio ai discorda, E vansi in aria a far guerra le pecchie.
Entri fra lor la rondinella ingorda, E mangi e uccida e guastine parecchie;
Dovete immaginar che similmente Ruggier fosse e Marfisa in quella gente. 18 Non
così Ricciardetto e il suo cugino Fra le due genti varìavan danza, Perché,
lasciando il campo Saracino, Sol tenean l'occhio all'altro di Maganza. lì
fratel di Rinaldo paladino Con molto animo avea molta possanza, E quivi
raddoppiar glie la facea L'odio che centra ai Maganzesi avea. 19 Facea parer
questa medesma causa Un leon fiero il bastardo di Buovo, Che con la spada senza
indugio e pausa Fende ogn'elmo, o lo schiaccia come un ovt.. E qnal persona non
saria stata ausa, Non saria comparita un Ettor nuovo, Marfisa avendo in
compagnia e Ruggiero, Ch' eran la scelta e '1 fior d'ogni guerriero?20 Marfisa
tuttavolta combattendo, Spesso ai compagni gli occhi rivoltava; E di lor forza
paragon vedendo, Con maraviglia tutti li lodava: Ma di Ruggier pur il valor
stupendo E senza pari al mondo le sembrava; E talor si credea che fosse Marte
Sceso dal quinto cielo in quella parte. SI Mirava quelle orrìbili percosse,
Miravale non mai calare in fallo: Parea che contra Balisarda fosse Il ferro
carta, e non doro metallo. Gli elmi tagllaya e le corazze grosse, E gli uomini
fendea fin sul cavallo, E li mandava in parti uguali al prato, Tanto da Pun
quanto da T altro lato. 22 Continuando la medesma botta, XJecidea col signore
il cavallo anche. I capi dalle spalle alzava in frotta, E spesso i busti
dipartia dalP anche. Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta; E se non che
pur dubito che manche Credenza al ver, e ha faccia di menzogna. Di più direi;
ma di men dir bisogna. 23 H buon Turpin, che sa che dice il vero, E lascia
creder poi quel ch'all'uom piace,Narra mirabil cose di Ruggiero, Ch'udendolo,
il direste voi mendace. Cosi parea di ghiaccio ogni guerriero Contra Marfisa,
ed ella ardente face: E non men di Ruggier gli occhi a sé trasse, Ch ella di
lui l'alto valor mirasse. 27 Oltre una buona qjuautità d'argento Che in diverse
vasella era formato, Ed alcun muliebre vestimento. Di lavoro bellissimo
fregiato, E per stanze reali un paramento D'oro e di seta in Fiandra lavorato,
Ed altre cose ricche in copia grande; Fiaschi di vin trovar, pane e vivanda. 28
Al trar degli elmi, tutti vider come Avea lor dato aiuto una donzella. Fu
conosciuta all'auree crespe chiome. Ed alla faccia delicata e beila. L'onoran
molto, e pregano che'l nome Di gloria degno non asconda; ed ella. Che sempre
tra gli amici era cortese, A dar di sé notizia non contese. 29 Non si ponno
saziar di riguardarla; Che tal vista Pavean nella battaglia. Sol mira ella
Ruggier, sol con lui parla; Altri non prezza; altri non par che vagli.! Vengono
i servi intanto ad invitarla Coi compagni a goder la vettovaglia,
Ch'apparecchiata avean sopra una fonte Che difendea dal raggio estivo un monte.
24 E s' ella luì Marte stimato avea, Stimato egli avria lei forse Bellona, Se
per donna così la conoscea. Come parea il contrario alla persona. E forse
emulazion tra lor nascea Per quella gente misera, non buona. Nella cui carne e
sangue e nervi ed ossa Fan prova chi di lor abbia più possa. 25 Bastò di
quattro l'animo e il valore A far eh' un campo e l'altro andasse rotto. Non
restava arme, a chi fuggia, migliore Che quella che si porta più di sotto.
Beato chi il cavallo ha corridore; Ch'in prezzo non ò quivi ambio né trotto: E
chi non ha destrier, quivi s' avvede Quanto il mestier dell'armi é tristo a
piede. 2(5 Biman la preda e'I campo ai vincitori. Che non é fante o mulattier
che restì. Là Maganzesi, e qua fuggono i Mori; Quei lasciano i prigion, le some
questi. Furon, con lieti visi e più coi cori, Malagigi e Viviano a scioglier
presti:Non fur men diligenti a sciorre i paggi, E por le some in terra e i
carriaggi. 30 Era una delle fonti di Merlino, De le quattro di Francia da lui
fatte. D'intorno cinta di bel marmo fino Lucido e terso, e branco più che
latte. Quivi d'intaglio con lavor divino Avea Merlino immagini ritratte:
Direste che spiravano; e, se prive Non fossero di voce, ch'eran vive. 31 Quivi
una bestia uscir della foresta Parea, di crudel vista, odiosa e brutta, Ch'
avea P orecchie d'asino, e la testa Di lupo e i denti, e per gran fame
asciutta: Branche avea di leon; P altro che resta, Tutto era volpe; e parea
scorrer tutta E Francia e Italia e Spagna ed Inghilterra, L'Europa e l'Asia, e
alfin tutta la terra. 32 Per tutto avea genti ferite e morte. La bassa plebe e
i più superbi capi: Anzi nuocer parea molto più forte A re, a signori, a
principi, a satrapi. Peggip facea nella romana corte, Che v' avea uccisi
cardinali e papi:Contaminato avea la bella sede Di Pietro, e messo scandol
nella Fede. 33 Par che dinanzi a questa bestia orrenda Cada ogni muro, ogni
ripar che tocca. Non si vede città che si difenda: Se l'apre incontra ogni
castello e rocca. Par che agli onor divini anco s'estenda, E sia adorata dalla
gente sciocca, E che le chiavi s' arroghi d'avere Del ciel e dell'abisso in suo
potere. 34 Poi si vedea d'imperiale alloro Cinto le chiome un cavalier venire
Con tre giovani a par, che i gigli d'oro Tessuti avean nel lor real vestire; E,
con insegna simile, con loro Parca un leon centra quel mostro uficire. Avean
lornomichi sopra la testa . E chi rei lembo scritto della vesto. Stanza 25. 35
L'un eh' avea fin air elsa nella pancia La spada immersa alla maligna fera,
Francesco primo, avea scritto, di Francia:Massimiliano d'Austria a par seco
era; E Carlo quinto, imperator, di lancia Avea passata il mostro alla gorgiera;
E l'altro che di strai gli figge il petto. L'ottavo Enrigo d'Inghilterra è detto.
36 Decimo ha quel leon scritto sul dosso, Ch'ai brutto mostro i denti ha negli
orecchi; E tanto l'ha già travagliato e scosso. Che vi sono arrivati altri
parecchi. Parca del mondo ogni timor rimosso; Ed in emenda degli errori vecchi
Nobil gente accorrea, non però molta. Onde alla belva era la vita tolta. 37 I
cavalieri stavano e Marfisa Con desiderio di conoscer questi, Per le cui maui
era la bestia uccida Che fatti avea tanti luoghi atri e mesti Awengachè la
pietra fosse incisa Dei nomi lor, non eran manifesti. Si pregavan tra lor, che,
se sapesse L'istoria alcuno, agli altri la dicesse. 38 Voltò Viviano a Malagigi
gli occhi, Che stava a udire, e non £Etcea lor motto:A te, disse, narrar
l'istoria tocchi, Ch'esser ne dèi, per quel ch'io vegga, dotto. Chi son costor
che con saette e stocchi E lancie e morte han l'animai condotto? Rispose
Malagigi: Non è istoria Di ch'abbia autor fin qui fatto memoria. 39 Sappiate
che costor che qui scrìtto hanno Nel marmo i nomi, al mondo mai non faro; Ma
fra settecento anni vi saranno, Con grande onor del secolo futuro. Merlino, il
savio incantator britanno, Fé' far la fonte al tempo dei re Arturo; E di cose
eh' al mondo hanno a venire, La fe'da buoni artefici scolpire. 40 Questa bestia
crudele usci del fondo Dello 'nfemo a quel tempo che far fatti Alle campagne i
termini, e fa il pondo Trovato e la misura, e scritti i patti. Ma non andò a
principio in tutto '1 mon lu:Di sé lasciò molti paesi intatti. Al tempo nostro
in molti lochi sturba; Ma i popolari offende e la vii turba. 41 Dal suo
principio infin al secol nostro Sempre è cresciuto, e sempre andrà crescen
l;:Sempre crescendo, al lungo andar fia il mostro 11 maggior che mai fosse e Io
più orrendo. Quel Piton, che per carte e per inchiostro S' ode che fu sì
orribile e stupendo, Alla metà di questo non fu tutto. Né tanto abbominevol né
si brutto. 42 Farà strage crudel, né sarà loco Ohe non guasti, contamini ed
infetti:E quanto mostra la scultura, é poco De' suoi nefandi e abbominosi
effetti. Al mondo, di gridar mercé già roco, Questi, dei quali i nomi abbiamo
letti, Che chiari splenderan più che pircpo, Verranno a dare aiuto al maggior
aopo. 45 E quindi scenderà nel ricco piano Di Lombardia, col fior di Francia
intomo; E si r Elvezio spezzerà, eh' invano Farà mai più pensier d'alzare il
corno. Con grande e della Chiesa, e dellMspano Campo e del fiorentin vergogna e
scorno, Espugnerà il Castel che prima stato Sarà non espugnabile stimato.
""' ' "N ¦ 43 Alla fera crudele il più molesto Non sarà di
Francesco il re de' Franchi:E ben convien che molti ecceda in questo, E nessun
prima e pochi n'abbia a' fianchi; Quando in splendor real, quando nel resto Di
virtù farà molti parer manchi, Che già parver compiuti; come cede Tosto ogn'
altro splendor, che'l sol si vede. 46 Sopra ogn' altr' arme ad espugnarlo,
molto Più gli varrà quella onorata spada, Con la qual prima avrà di vita tolto
Il mostro corruttor d'ogni contrada. Convien eh' innanzi a quella sia rivolto
In fuga ogni stendardo, o a terra vada; Né fossa né ripar né grosse mura Possan
da lei tener città sicura. 44 L'anno primier del fortunato regno. Non ferma
ancor ben la corona in fronte, Passerà l'Alpe, e romperà il diseguo Di chi
all'incontro avrà occupato il monte; Da giusto spinto e generoso sdegno. Che
vendicate ancor non siano l'onte Che dal furor da paschi e mandre uscito
L'esercito di Francia avrà patito. 47 Questo Principe avrà quanta eccellenza
Aver felice imperator mai debbia: L'animo del gran Cesar, la prudenza Di chi
mostrolla a Trasimeno e a Trebbia Con la fortuna d'Alessandro, senza Cui saria
famo ogni disegno, e nebbia. Sarà sì liberal, ch'io lo contemplo Qui non aver
né paragon né esemplo. 48 Cosi diceva Malagigi, e messe Desire a'cavalier
d'aver contezza Del nome d'alcun altro ch'uccidesse L'infemal bestia, uccider
gli altri avvezza. Quivi un Bernardo tra' primi si lesse, Che Merlin molto ne'
suoi scritti apprezza. Pia nota per costui, dicea, Bibiena, Quanto Fiorenza sua
vicina e Siena. stanza 41. 49 Non mette piede innanzi ivi persona A Sismondo, a
Giovanni, a Ludovico:Un Gonzaga, un Salviati, un d'Aragona, Ciascuno al brutto
mostro aspro nimico. V è Francesco Gonzaga, né abbandoni Le sue vestigie il
figlio Federico; Ed ha il cognato e il geaero vicino, Quel di Ferrara, e quel
duca d'Urbino. 51 Duo Ercoli, duo Ippoliti da Este, Un altro Ercole, un altro
Ippolito anco Da Gonzaga, de' Medici, le peste Seguon del mostro, e l'han,
cacciando, stas Né Giuliano al figliuol, né par che reste Ferrante al fratel
dietro; né che manoo Andrea Doria sia pronto; néche lassi Francesco Sforza,
ch'ivi uomo Io passi. 52 Del generoso, illustre e chiaro sangue D'Avalo vi son
dui c'han per insia Lo scoglio, che dal capo ai piedi d'angie Par che l'empio
Tifeo sotto si teerna Non é di questi duo, per fare essngue L'orribil mostro,
chi più innanzi vegna: L'uno Francesco di Pescara invitto, L'altro Alfonso del
Vasto ai piedi ha scritte 53 Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato, L'Ispano
onor, ch'in tanto pregio v'eri. Che fu da Malagigi si lodato, Che pochi il
pareggiar di quella schiera? Guglielmo si vedea di Monferrato Fra quei che
morto avean la bratta fera: Ed eran pochi, verso gl'infiniti Ch'ella v'avea chi
morti e chi feriti. 54 In giuochi onesti e parlamenti lieti, Dopo mangiar,
spesero il caldo giorno. Corcati su finissimi tappeti Tra gli arbuscelli
oad'era il rivo aiomo. Malagigi e Vivian, perché quieti Più fosser gli altri,
tenean l'arme intomo; Quando una donna senza compagnia Vider, che verso lor
ratto venia. 55 Questa era quella Ippalca, a cui fa tolto Frontino, il buon
destrier, da Rodomonte. L'avea il di innanzi ella seguito molto, Pregandolo
ora, ora dicendogli onte; Ma non giovando, avea il cammin rivolto Per ritrovar
Ruggiero in Agrismonte Tra via le fu, non so fifià come, detto Che quivi il
troveria con Ricciardetto. 50 Dell'un di questi il figlio Guidobildo Non vuol
che'l padre o ch'altri aidietro il mtta. Con Ottobon del Eliseo, Sinibaldo
Caccia la fera, e van di pari in fretta. Luigi à% Gazalo il ferro caldo Fatto
nel collo le ha d'una saetta Che con l'arco gli die Febo, quando anco Marte la
spada sua gli messe al fianco. 56 E perché il luogo ben sapea (che v'er Stata
altre volte), se ne venne al dritto Alla fontana; ed in quella maniera Ve lo
trovò, ch'io v'ho di sopra scritto. Ma come buona e cauta messaggiera. Che sa
meglio eseguir che non l'é ditto, Quando vide il fratel di Bradamante, Non
conoscer Rugier fece sembiante 57 A, Ricciardetto tatta rÌTol tosse, Si come
drittamente a lui yenisse:E quelf che la conobbe, se le mosse Incontra, e
dimandò dove ne gisse. Elia, disancora avea le luci rosse Del pianger lungo,
sospirando disse: Ma disse forte, acciò che fosse espresso A Ruggero il suo
dir, che gli era presso. 58 Mi traea dietro, disse, per la briglia. Come
imposto m'avea la tua sorella. Un bel cavallo e buono a meraviglia, Ch'ella
molto ama, e che Frontino appella; E l'avea tratto più di trenta miglia Verso
Marsiglia, ove venir debb'ella Fra pochi giorni, e dove ella mi disse ChMo
l'aspettassi finché vi venisse. 59 Era si baldanzoso il creder mio, Ch'io non
stimava alcun di cor si saldo, Che me l'avesse a tor, dicendogli io, Ch'era
della sorella di Rinaldo. Ha vano il mio disegno ier m' uscio, Che me lo tolse
un Saracin ribaldo; Né per udir di chi Frontino fusse, A volermelo rendere
s'indusse. 60 Tutto ieri e oggi l'ho pregato; e quando Ho visto uscir prieghi e
minacele invano, Maledicendol molto e bestemmiando, L'ho lasciato di qui poco
lontano, Dove il cavallo e sé molto affannando. S'aiuta, quanto può, con l'arme
in mano Contra un guerrier eh' in tal travaglio il mette, Che spero ch'abbia a
far le mie vendette. 61 Ruggiero a quel parlar salito in piedi, Ch'avea potuto
appena il tutto udire, Si volta a Ricciardetto, e per mercede E premio e
guiderdon del ben servire (Prieghi aggiungendo senza fin) gli chiede Che con la
donna solo il lasci gire Tanto, che '1 Saracin gli sia mostrato, Ch'a lei di
mano ha il buon destrier levato. 62 A Ricciardetto, ancorché discortese 11
conceder altrui troppo paresse Di terminar le a sé debite imprese. Al voler di
Ruggier pur si rimesse:E quel licenzia dai compagni prese, E con Ippalca a
ritornar si messe. Lasciando a quei che rimanean stupore. Non maraviglia pur
del suo valore. B Poi che dagli altri allontanato alquanto Ippalca l'ebbe, gli
narrò eh' ad esso Era mandata da colei che tanto Avea nel core il suo valore
impresso:E, senza finger più, seguitò quanto La sua donna al partir le avea
commesso:E che se dianzi avea altrimente detto. Per la presenzia fu di
Ricciardetto. stanza 57. 64 Disse, che chi le avea tolto il destriero, Ancor
detto l'avea con molto orgoglio:Perchè so che '1 cavallo é di Ruggiero, Più
volentier per questo te lo toglio. S'egli di racquistarlo avrà pensiero. Fagli
saper (eh' asconder non gli voglio) Ch' io son quel Rodomonte, il cui valore
Mostra per tutto '1 mondo il suo splendore. 65 Ascoltando, Raggier mostra nel
volto Di quanto sdegno acceso il cor gli sia; Si perchè caro avria Frontino
molto, Si perchè venia il dono onde venia, Sì perchè in suo dispregio gli par
tolto. Vede che hiasmo e disonor gli fia, Se torlo a Rodomonte non s affretta,
E sopra lui non fa degna vendetta. stanza 63. 6() La donna Ruggier guida, e non
soggiorna; Che por lo brama col Pagano a fronte: E giunge ove la strada fa duo
corna; Lun va giù al piano, e l'altro va su al monte:E questo e quel nella
vallea ritorna, Dov'ella avea lasciato Rodomonte. Aspra, ma breve era la via
del colle; L'altra più lunga assai, ma piana e molle. 67 II desiderio che
conduce Ippalca, D'aver Frontino e vendicar V oltraggio, Fa che '1 sentier
della montagna calca, Onde molto più corto era il viaggio. Per r altra intanto
il re d'Algier cavalca Col Tartaro e cogli altri che detto aggelo; E giù nel
pian la via più facil tiene, Né con Ruggier ad incontrar si viene. 68 Già son
le lor querele differita Finché soccorso ad Agramante sia (Questo sapete); ed
han d'ogni lor lite La cagion, Dorallce, in compagnia. Ora il successo
dell'istoria udite. Alla fontana è la lor dritta via, Ove Aldigier, Marfisa,
Ricciardetto, Malagigi e Vivian stanno a diletto. b9 Marfisa a'prieghi de' compagni
area Veste da donna ed ornamenti presi. Di quelli eh' a Lanfusa si credea
Mandare il traditor de' Maganzesi:E benché veder raro si solca Senza V usbergo
e gli altri buoni arnesi, Pur quel dì se li trasse; e come donna, A'prieghi lor
lasciò vedersi in gonna. 70 Tosto che vede il Tartaro Marfisa, Per la credenza
e ha di guadagnarla, In ricompensa e in cambio ugual s'avvisa Di Doralice, a
Rodomonte darla; Si come amor si regga a questa guisa. Che vender la sua donna
o permutarla Possa l'amante, né a ragion s'attrista, Se quando una ne perde,
una n' acquista. 71 Per dunque provvedergli di donzella, Acciò per sé quest'
altra si ritegna, Marfisa che gli par leggiadra e bella, E d'ogni cavalier
femmina degna, Come abbia ad aver questa, come quella Subito cara, a lui donar
disegna; E tutti i cavalier che con lei vede, A giostra seco ed a battaglia
chiede. 72 Malagigi e Vivian, che l'arme aveano Come per guardia e sicurtà del
resto, Si mossero dal luogo ove sedeano, L'un come l'altro alla battaglia
presto, Perchè giostrar con amenduo credeano; Ma r African, che non venia per
questo, Non ne fé' segno o movimento alcuno:Si che la giostra restò lor contra
uno. 73 Vìnano è il primo, e con gran cor si muove, E nel venire abbassa an
asta grossa; E'I Re pagan dalle famose prove, DalP altra parte vien con maggior
possa. Dirizza V uno e V altro, e senza dove Crede meglio fermar l'aspra
percossa. Viviano indamo all'elmo il Pagan fere; Che non lo fa piegar, nonché
cadere. 74 II Re pagan, eh' avea più l'asta dura, Fé' 0 scudo a Vivian parer di
ghiaccio £ fuor di sella in mezzo alla verdura. Air erbe e ai fiori il fé'
cadere in braccio. Vien Malagigi, e ponsi in avventura Di vendicare il suo
fratello avaccio; Ma poi d'andargli appresso ebbe tal fretta, Che gli fé'
compagnia più che vendetta. 75 L'altro fratel fu prima del cugino Coli' arme
indosso, e sul destrier salito; E disfidato, centra il Saracino Venne a
scontrarlo a tutta briglia ardito. Risonò il colpo in mezzo all'elmo fino Di
quel Pagan sotto la vista un dito:Volò al ciel l'asta in quattro tronchi rotta;
Ma non mosse il Pagan per quella botta. 76 II Pagan feri lui dal Iato manco; E
perchè il colpo fu con troppa forza. Poco lo scudo e la corazza manco Gli
valse, che s' aprir come una scorza. Passò il ferro crudel l'omero bianco:
Piegò Aldighier ferito a poggia e ad orza; Tra fiori ed erbe alfin si vide
avvolto, Rosso su l'arme, e pallido nel volto. 77 Con molto ardir vien
Ricciardetto appresso:E nel venire arresta si gran lancia, Che mostra ben, come
ha mostrato spesso, Che degnamente è paladin di Francia: Ed al Pagan ne facea
segno espresso, Se fosse stato pari alla bilancia; Ma sozzopra n'andò, perchè
il cavallo Gli cadde addosso, e non già per suo fallo. 78 Poich'auro cavalier
non si dimostra. Ch'ai Pagan per giostrar volti la fronte. Pensa aver
guadagnato della giostra La donna, e venne a lei presso alla fonte, E disse:
Damigella, sete nostra. S'altri non è per voi ch'in sella monte. Noi potete
negar, uè fame iscusa; Che di ragion di guerra cosi s'usa. 79 Marfisa, alzaudo
con un viso altiero La faccia, disse: Il tuo parer molto erra. Io ti concedo
che diresti il vero, Ch' io sarei tua per la ragion di guerra, Quando mio
signor fosse o cavaliero Alcun di questi ch'hai gittato in tena. Io sua non
son: né d'altri son, che mia; ' Dunque me tolga a me chi mi desia. stanza 76.
80 So scudo e lancia adoperare anch'io, E più d'un cavaliero in terra ho posto.
Datemi l'arme, disse, e il destrier mio Agli scudier che l'ubbidirò tosto.
Trasse la gonna, ed in farsetto uscio; E le belle fattezze e il ben disposto
Corpo mostrò, eh' in ciascuna sua parte, Fuorché nel viso, assimigliava a
Marte. 81 Poi che fu armata, la spada si cinse, E sul destrier montò d'un
leggier salto; E qua e là tre volte e più lo spinse, E quinci e quindi fé'
girare in alto; E poi, sfidando il Saracino, strinse La grossa lancia, e
cominciò l'assalto. Tal nel campo troian Pentesilea Contra il tessalo Achille
esser dovea.82 Le lancie ìnfin al calce si fiaccare, A quel superbo scontro,
come vetro; Né però chi le corsero, piegaro, Che si notasse, un dito solo
addietro. Marfisa, che volea conoscer chiaro S'a più stretta battaglia simil
metro Le servirebbe contra il fier Pagano, Se gli rivolse con la spada in mano.
88 Raniero in questo mezzo avea seguito Indarno Ippalca per la via del monte; E
trovò, giunto al loco, che partito Per altra via se n' era Rodomonte:E pensando
che lungi non era ito, E che 1 sentier tenea dritto alla fonte, Trottando in
fretta dietro gli venia Per Torme cheran fresche in sa I& via. 83 Bestemmiò
il cielo e gli elementi il crudo Pagan, poiché restar la vide in sella; Ella,
che gli pensò romper lo scudo. Non men sdegnosa contra il ciel favella. Già
l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo, E su le fatai arme si martella:
L'arme fatali han parimente intomo, Che mai non bisognar più di quel giorno. 84
Si buona ò quella piastra e quella maglia, Che spada o lancia non le taglia o
fora: Sì che potea seguir l'aspra battaglia Tutto quel giorno, e l'altro
appresso ancora. Ma Rodomonte in mezzo lor si scaglia, E riprende il rivai
della dimora. Dicendo: Se battaglia pur far vuoi, Finiam'la cominciata oggi fra
noi. 85 Facemmo, come sai, triegua con patto Di dar soccorso alla milizia
nostra. Non dobbiam, prima che sia questo fatto, Incominciare altra battaglia o
giostra. Indi a Marfisa, riverente in atto, Si volta, e quel messaggio le
dimostra; E le racconta come era venuto A chieder lor per Agramante aiuto. sa
La priega poi, che le piaccia non solo Lasciar quella battaglia o differire, Ma
che voglia in aiuto del figliuolo Del re Troian con essi lor venire; Onde la
fama sua con maggior volo Potrà far meglio infin al ciel salire, Che per
querela di poco momento Dando a tanto disegno impedimento. 87 Marfisa, che fu
sempre disiosa Di provar quei di Carlo a spada e a lancia; Né l'avea indotta a
venire altra cosa Di si lontana regione in Francia, Se non per esser certa se
famosa Lor nominanza era per vero o ciancia; Tosto d'andar con lor partito
prese, Che d'Armante il gran bisogno intese. 89 Volse che Ippalca a Montalban pigliasse
La via, ch'una giornata era vicino; Perché s'alia fontana ritornasse. Si torna
troppo dal dritto cammino. E disse a lei, che già non dubitasse Che non s'
avesse a ricovrar Frontino:Ben le farebbe a Montalbano, o dove Ella si trovi,
udir tosto le nuove. 90 E le diede la lettera che scrisse In Agrismonte, e che
si portò in seno; E molte cose a bocca anco le disse, E la pregò che T
escusasse appieno. Nella memoria Ippalca il tutto fisse; Prese licenzia, e
voltò il palafreno; E non cessò la buona messaggiera, Ch'in Montalban si
ritrovò la sera. 91 Seguia Ruggiero in fretta il Saracino Per l'orme
ch'apparian nella via piana; Ma non lo giunse prima che vicino Con Mandricardo
il vide alla fontana.Già promesso s'avean che per cammino L'un non farebbe all'
altro cosa strana, Né fin eh' al campo si fosse soccorso, A cui Carlo era
appresso a porre il morso. 92 Quivi giunto Ruggier, Frontin conobbe, E conobbe
per lui chi addosso gli era; E su la lancia fé' le spalle gobbe, E sfidò
l'African con voce altiera. Rodomonte quel dì fé' più che Giobbe, Poiché domò
la sua superbia fiera, E ricusò la pugna, eh' avea usanza Di sempre egli cercar
con ogni instanza. 93 II primo giorno e l'ultimo, che pugna Mai ricusasse il Re
d'Algier, fa questo; Ma tanto il desiderio che si giugna In soccorso al suo Re
gii pare onesto, Che se credesse aver Ruggier nell'ugna Più che mai lepre il
pardo isnello e presto. Non si vorria fermar tanto con lui, Che fèsse un colpo
della spada o dai. 4 Agglangi che sapea cVera Raggiero, Che seco, per Frontin
facea hittaglia, Tanto famoso, ch'altro cavaliero Non è eh' a par di lai di
gloria saglia; L'nom che hramato ha di saper, per vero Esperimento, quanto in
arme vaglia: Eppur non vuol seco accettar l'impresa; Tanto l'assedio del suo Re
gli pesa. 95 Trecento miglia sarehhe ito e mille, Se ciò non fosse, a comperar
tal lite; Ma se l'avesse oggi sfidato Achille, Più fatto non avria di
quelch'udite:Tanto a quel punto sotto le faville Le fiamme avea del suo furor
sopite. Narra a Ruggier perchè pugna rifiuti:Ed anco il priega che l'impresa
aiuti; 96 Che, facendol, farà quel che far deve Al suo Signore un cavalier
fedele. Sempre che questo assedio poi si leve, Avran hen tempo da finir
querele. Rujer rispose a lui: Mi sarà lieve Differir questa pugna finchò de le
Porze di Carlo si treggia Agramantej Purché mi rendi il mio Frontino innante.
97 Se di provarti e' hai fatto gran fallo, E fatto hai cosa indegna ad un uom
forte, D'aver tolto a una donna il mio cavallo, • Vuoi eh' io prolunghi finché
siamo 'n corte, Lascia Frontino, e nel mio arhitrio dallo. Non pensare
altrimente, ch'io sopporte Che la battaglia qui tra noi non segua, 0 ch'io ti
fEiccia sol d'un' ora triegua. 98 Mentre Ruggiero all'African domanda 0
Frontino, o battaglia allora allora; E quello in lungo e l'uno e l'altro manda,
Né vuol dare il destrier, né far dimora; Mandricardo ne vien da un' altra
banda, E mette in campo un'altra lite ancora. Poiché vede Ruggier che per
insegna Porta l'augel che sopra gli altri regna. 99 Nel campo azzur l'aquila bianca
avea. Che de' Troiani fu l'insegna bella:Perchè Ruggier l'origine traea Dal
fortissimo Ettór, portavaquella.MaquestoMandricardo non sapea, Né vuol patire,
e grande ingiuria appella, Che nello scudo un altro debba porre L'aquila bianca
del famoso Ettorre. 100 Portava Mandricardo similmente L' augel che rapi in Ida
Ganimede. Come l'ebbe quel di, che fu vincente Al Castel periglioso, per
mercede. Credo vi sia con l'altre istorie a mente; E come quella Fata gli lo
diede Con tutte le bell'arme che Vulcano Avea già date al cavalier troiano. 101
Altra volta a battaglia erano stati Mandricardo e Ruggier solo per questo:E per
che ciso fosser distornati, Io noi dirò; che già v' è manifesto. Dopo non
s'eran mai più raccozzati. Se non quivi ora; e Mandricardo presto, Visto lo
scudo, alzò il superbo grido Minacciando, e a Ruggier disse: Io ti sfid. 102 Tu
la mia insegna, temerario, porti; Né questo è il primo dì ch'io te l'ho detto.
E credi, pazzo, ancor ch'io tei comporti, Per una volta ch'io t'ebbi rispetto?
Ma poiché né minacce né conforti Ti pdn questi follia levar del petto, Ti
mostrerò quanto miglior partito T'era d'avermi subito ubbidito. 103 Come ben
riscaldato arido legno A picciol soffio subito s' accende; Cosi s'avvampa di
Ruggier lo sdegno Al primo motto che di questo intende. Ti pensi, disse, farmi
stare al segno, Perchèquest'altro ancor meco contende? Ma mostrerotti ch'io son
buon per torre Frontino a lui, lo scudo a te d'Ettorre. 104 Un'altra volta pur
per questo venni Teco a battaglia, e non è gran tempo anco; Ma d'ucciderti
allora mi contenni, Perchè tu non avevi spada al fianco. Questi fatti saran,
quelli fur cenni; E mal sarà per te queir augel bianco, Ch'antiqua insegna è
stata di mia gente: Tu te l'usurpi; io'l porto giustamente. 105 Anzi t'usurpi
tu l'insegna mia, Rispose Mandricardo; e trasse il brando. Quello che poco
innanzi per follia Avea gittate alla foresta Orlando. Il buon Ruggier, che di
sua cortesia Non può non sempre ricordarsi, quando Vide il Pagan eh' avea
tratto la spada. Lasciò cader la lancia nella strada. 106 E tutto a un tempo
Balisarda strìnge, La baona spala, e meMo scudo imbraccia: Ma l'Africano in
mezzo il destrìer spinge, E Marfisa con lui presto si caccia; E r uno questo, e
V altro quel respinge, E priegano amendui che non si faccia. Rodomonte si duol
che rotto il patto Due volte ha MandricarJo, che fu fatto. 107 Prima, credendo
d'acquistar Marfisa. Fermato s' era a far più d una giostra Or, per privar
Ruggier d una divisa, Di curar poco il re Agramante mostra. Se pur, dicea, dèi
fare aquestagnisa,Finiamprima tra noi la lite nostra, Conveniente e più debita
assai, Ch'alcuna di quest'altre che prese ha Stanza 116. 108 Con tal condizìon
fu scabilita La triegua e quisto accordo eh' è fra nui. Come la pugna teco avrò
finita, Poi del destrìer risponderò a costui. Tu del tuo scudo, rimanendo in
vita, La lite avrai da terminar con lui; Ma ti darò da far tanto, mi spero, Che
non n'avanzerà troppo a Ruggiero. 109 La parte che ti pensi, non n'avrai
(Rispose Mandricardo a Rodomonte):Io te ne darò più che non vorrai, E ti farò
sudar dal pie alla fronte:E me ne rimarrà per darne assai (Come non manca mai
l'acqua del fonte) Ed a Ruggiero, ed a mill'altri seco, E a tutto il mondo che
la voglia meco. 110 Moltiplica van l'ire e le parole Quando da questo e quando
da quel lato. Con Rodomonte e con Ruggier la vuole Tutto in un tempo
Mandricardo irato. Ruggier, eh' oltraggio sopportar non suole, Non vuol più
accordo, anzi litigio e piato. Marfisa or va da questo or da quel canto Per
riparar, ma non può sola tanto. Ili Come il villan, se fuor per l'alte sponde
Trapela il fiume, e cerca nuova strada, Frettoloso a vietar ohe non affonde I
verdi paschi e la sperata biada, Chiude una via ed un'altra, e si confonde; Che
se ripara quinci che non cada, Quindi vede lassar gli argini molli, E fuor
l'acqua spicciar con più rampolli: 112 Cosi, mentre Ruggiero e Mandricardo E
Rodomonte son tutti sozzopra, Ch ognun vuol dimostrarsi più gagliardo, Ed ai
compagni rimaner di sopra; Marfisa ad acchetarli ave riguardo, E s affatica, e
perde il tempo e Topra: Che, come ne spicca uno e io ritira, Gli altri duo
risalir vede con ira. 113 Marfisa, che volea porgli d'accordo, Dicea: Signori,
udite il mio consiglio: Differire ogni lite è buon ricordo, Fin chAgramante sia
fuor di periglio. S' ognun vuole al suo fatto essere ingordo, AnchMo con
Mandricardo mi ripiglio; E voWedere alfin se guadagnarme. Com'egli ha detto, è
buon per forza d'arme. Stanza 121. 114 Ma se si de' soccorrere Agramante,
Soccorrasi, e tra noi non si contenda. Per me non si starà d'andare innante,
Disse Ruggier, purché '1 destrier si renda. O che mi dia il cavallo (a far di
tante Una parola), o che da me il difenda: O che qui morto ho da restare, o
ch'io In campo ho da tornar sul destrier mio. 115 Rispose Rodomonte: Ottener
questo Nun fia cosi, come quell'altro, lieve. E seguitò dicendo: Io ti protesto
Che, s' alcun dinno il nostro Re riceve, Fia per tua colpa; eh' io per me non
resto Di fare atempo quel che far si deve. Ruggiero a quel pretesto poco bada;
Ma, stretto dal furor, stringe la spada. 116 Al Re d'AIgier come cinghiai n
scaglia E l'urta con lo scudo e con la spalla; E in modo lo disordina e
sbaraglia, Che fa che d'una staffa il pie gli falla. Mandricardo gli grida: 0
la battaglia Differisci, Ruggfiero, o meco falla: E crudele e felloa più che
mai fosse, Ruggier sull'elmo in questo dir percosse. 117 Fin sul collo al
destrier Ruggier s'inchina, Né, quando vuoisi, rilevar si puote; Perché gli
sopraggiunge la mina Del figlio d'Ulien, che lo percuote. Se non era di tempra
adamantina, Fesso l'elmo gli avria fin tra le gote. Apre Ruggier le mani per V
ambascia; E l'una il fìren, l'altra la spada lascia. 118 Se lo porta il
destrier per la campagna; Dietro gli resta in terra Balisarda. Marfisa, che
quel di fatta compagna Se gli era darme, par ch avvampi ed arda, Che solo fra
queMuo cosi rimagna: E come era magnanima e gagliarda, Si drizza a Mandricardo,
e col potere Chavea maggior, sopra la testa il fere. 119 Rodomonte a Rnggier
dietro si spinge: Vinto è Frontin, s' un' altra gli n'appicca; Ma Ricciardetto
con Yivian si stringe, E tra Ruggiero e1 Saracin si ficca. L'uno urta
Rodomonte, e lo respinge, E da Rnggier perforzalo dispicca; L'altro la spada
sua, che fu Viviano, Pone a Rnggier, già risentito, in mano. 120 Tosto che'l
buon Rnggiero in so ritoma, E che Vivian la spada gli appresenta, A vendicar T
ingiuria non soggiorna, E verso il Re d'Algier ratto s'avventa; Come il leon
che tolto sn le coma Dal bue sia stato, e che '1 dolor non senta:Si sdegno ed
ira ed impeto l'affretta, Stimola e sferza a far la sua vendetta. 124 Avea
Marfisa a Mandricardo intanto Fatto sudar la fronte, il viso e il petto; Ed
egli avea a lei fatto altrettanto: Ma si l'usbergo d'ambi era perfetto, Che mai
poter &lsarlo in nessun canto. E stati eran sin qui pari in effetto; Ma in
un voltar che fece il sno destriero " Bisogno ebbe Marfisa di Ruggiero.
125 II destrier di Marfisa in un voltarsi Che fece stretto, ov' era molle il
prato, Sdrucciolò in guisa, che non potè aitarà Di non tutto cader sul destro
lato; E nel volere in fretta rilevarsi, Da Brigliador fu pel traverso urtato.
Con che il Pagan poco cortese venne; Si che cader di nuovo gli convenne. 126
Rnggier, che la donzella a mal partito Vide giacer, non differì il soccorso. Or
che l'agio n' avea, poiché stordito Da sé lontan qnell' altro era trascorso.
Feri sn l'elmo il Tartaro; e partito Quel colpo gli avria il capo comeun torso,
Se Ruggier Balisarda avesse avuta, 0 Mandricardo in capo altra barbuta. 121
Ruggier sul capo al Saracin tempesta: E se la spada sua si ritrovasse. Che,
come ho detto, al cominciar di questa Pugna, di man gran fellonia gli trasse Mi
credo eh' a difendere la testa Di Rodomonte l'elmo non bastasse, L'elmo che
fece il Re far dì Babelle, Quando muover pensò guerra alle stelle. 122 La
Discordia, credendo non potere Altro esser quivi che contese e risse, Né vi
dovesse mai più luogo avere 0 pace 0 triegua, alla sorella disse Ch' omai
sicuramente a rivedere 1 monachetti suoi seco venisse Lasciamle andare, e stiam
noi dove in fronte Ruggiero avea ferito Rodomonte. 123 Fu il colpo di Ruggier
di sì gran forza. Che fece in su la groppa di Frontino Percuoter l'elmo e
quella dura scorza Di eh' avea armato il dosso il Saracino, E lui tre volte e
quattro a poggia e ad orza Piegar per gire in terra a capo chino; E la spada
egli ancora avria perduta. Se legata alla man non fosse suta. 127 II Re
d'Algier, che si risente in questo, Si volge intomo, e Ricciardetto vede; E si
ricorda che gli fa molesto Dianzi, quando soccorso a Ruggier diede. A lui si
drizza; e saria stato presto A dargli del ben fare aspra mercede, Se con grande
arte e nuovo incanto tosto Non se gli fosse Malagigi opposto. 128 Malagigi, che
sa d'ogni malia Quel che ne sappia alcun mago eccellente, Ancorché '1 libro suo
seco non sia, Con che fermare il sole era possente. Pur la scongiurazione, onde
solia Comandare ai demonii, aveva a mente: Tosto in corpo al ronzino un ne
constringe Di Doralice, ed in furor lo spinge. 129 Nel mansueto ubino, che sul
dosso Avea la figlia del re Stordilano, Fece entrar un degli angel di Minosse
Sol con parole il frate di Viviano:E quel che dianzi mai non s' era mosso, Se
non quanto ubbidito avea alla mano, Or d'improvviso spiccò in aria un salto Che
trenta pie fu lungo, e sedid alto. 130 Fu grande il salto, non però di sorte,
Che ne dovesse alcun perder la sella. si vide in alto, gridò forte (Che si
tenne per morta) la donzella. Quel ronzin, come il Diavol se lo porte, Dopo un
gran salto se ne va con quella, pur grida soccorso, in tanta fretta, Che non T
avrebbe giunto una saetta. 181 Dalia battaglia il figlio d'Ulieno Si levò al
primo suon di quella voce; E dove furiava il palafreno, Per la donna aiutar,
n'andò veloce. Mandrìcardo di lei non fece meno:Ma, senza chieder loro o paci o
tregue, E Rodomonte e Doraiice segue. 132 Marfisa intanto silevò di terra; E
tntta ardendo di disdegno e d'ira, Credesi far la sua vendetta, ed erra;
Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra, Rugge come un leon, nonché sospira.
Ben sanno che Frontino e Brìgb'adoro Giunger non ponno coi cavalli loro. 133
Ruggier non vuol cessar finché decisa Col Re d'Algier non l'abbia del
cavallo:Non vuol quietar il Tartaro Marfisa; Che provato a suo senno ancor non
hallo. la sua querela a questa guisa Parrebbe all'uno e all'altro troppo fallo.
Di comune parer disegno fassi Di chi offesi gli avea seguire i passi. 134 Nel
campo saracin li troveranno. Quando non possa ritrovarli prima; Che per levar
l'assedio iti saranno, Prima che '1 Re di Francia il tutto opprima. drittamente
se ne vanno Già non andò Ruggier co di botto, Che non facesse ai suoi compagni
motto. E se gli prefiferisce in ogni parte Amico, per fortuna e buona e
fella:ludi lo priega (e lo fa con héìV arte) Che saluti in suo nome la sorella;
E questo cosi ben gli venne detto, né a lui die né agli altri alcun sospetto.
136 E da lui, da Vivian, da Malagigi, Dal ferito Aldigier tolse commiato. lui,
debitor sempre in ogni lato. Marfisa avea si il cor d'ire a Parigi, Che '1
salutar gli amici avea scordato; Malagigi andò tanto e Viviano, pur lasalutaron
n cavaliere, i tre giovani e il leone di que sta ottava, 8on quelli stessi
designati a nome nelle due segnenti, cioè Francesco I di Francia, Massimiliano
d'Austria, Carlo V, Arrigo Ylil dlnghilterra, e Leone X papa. " Rimane nn
dabbio (scrive Giaointo Casella) per chè dia a tntti questi il vestimento
tessuto a gigli d'oro; il òhe a prima vista gli farebbe creder tutti della real
casa di Francia. Per Leone X codesta insegna del giglio facilmente, perché
fiorentino e Medici; ma per gli altri tre? Forse qui il giglio d'oro è quello
impresso fiorino, preo a simbolo di liberalità. Il cavaliere coronato d'alloro
credo che sia non Francesco di Fmncia come intendono i più, ma Timperatore
Massimiliano; altrimenti esìì dovrebbe essere uno dei tre giovani, e quando
l'Ariosto scriveva questo, aveva più di cin quant'anni. " St. 35. V.6.
Gorgiera t qui gola. . V.7. Fige, trafigge.St 41. V.5 Qwil Pitont ecc.: nome di
uno smi surato serpente che i mitologi dissero generalo dalla Terra dopo il
diluvio, e ucciso da Apollo. St. 44. V.78. Dal furor, ecc.: allude agli
Sviizeri,, sebbene allora pastori e bifolchi, eransi armati con tro le forze di
Francia. St. 45. V.78. Nella battaglia di Mariemano, che il Trivulzio chiamò
battaglia digiganti.Espugnerà il castello ecc, quello di Milano. St. 47. V.45.
Di chi mostrolla, ecc.: intende di Annibale, che sconfisse i Romani nei luoghi
indicati. Con la fortuna ecc.: parlasi forse della fortuna che ar rideva al re
Francesco nel 1515, quando sali in trono, e l'Autore scrìveva questi versi. St.
48. V.57. Quivi un Bernardo y ecc.: il cardi nale Bernardo Divìzio da Bibbiena,
che scrisse la celebre commedia Calandra. St. 49. V.23. A Siamondo ecc.: tre
cardinali, Si gismondo Oomaga, Giovanni Salviati, Lodovico d'Ara gona. St. 50.
V.1. Quidobaldo H figlio di Francesco Maria. FIASCO scrive latin, l'Ar.) erano
fratellL Dm ""wM nacque quel Gian Luigi che peri nella coBrn% coiei i
Doria. v.58. Luigi Gonzaga, amante delle arai i della poesia. Mori a 33 anni
d'nn arehibiuriaCa. St. 51. V.1. Ercole I ed Ercole II, daehi di FeiraL due
Ippoliti sono il cardinale a cai V Ariosto éùb il poema e l'altro pur cardinale
figlio d' AUbofte " t Lucrezia Borgia. v.23. Ercole Oonzmi., aack' .
L'altro Ippolito ò fratello di Leone X;;r" tesse i letterati, coltivò le
lettere. St. 52. V.34. Lo scoglio, ecc.: risola dIhia I piedi d angue: I poeti
finsero che i eigaati avenss i piedi d'angue, ossia terminassero in ayvolmenti
ar pontini, onde li disseroangttipedi. St. 53. V.14. Lo spagnuolo Consalvo
detto Ofm Capitano. v.5. Guglielmo, marchese di Howaaau, della famiglia dei
Paleologhi. St. 74. V.6 Avaceio, subito. St. 81. V.78. Tal nel campo
troianPieniesUeaett. questa regina delle Amazzoni fu adia<3ice éé'TwtIm
contro i Greci, e più volte combattè con Addile. St. 91. V.8. Appresso a porre
il mrso: rUtas i dare l'estrema sconfitta. St. 93. y. 5. Faville: qui s intende
quella tmmt sottile ohe ricuopre la brace; e raetaforicameate It iv gioni che
impedivano Rodomonte di accettare la tur" desiderata battaglia con Ruggiero.
St. 100. V.2. L'augel, ee.: l'aquila. Ivi. Y. 34. n castello della fata di
5ria; oomb ììh l'Ariosto al canto XIV, Se. 31. St. 111. V.7. Lassare; qui, per
sctofflitrsL St. 124. y. 5. Falsarlo: qui guastarlo. St. 128. y. 14. Malagigi
avea stadiato magia t Toledo, e la professava. St. 129. y. 3. Un degli angel di
Hiinosso: BBdto volo di quelli che ministrano a Minos, costituito da Gìoh
giudice nell'inferno. Canto XXVII. C Mandri&aplOf Rufrgiero,Rojlomoiité e
MarÉlsap iiissguendo Doralice (giungono sotto Parigi, ft.salgono T esercito
cristiaiio.e resp intono Carlo dentro le mura. Ciò fatto, tonsano alle p rare d
finti pare. 11 re africano rittiettfl itelFarbitrio di T>oraUce lo scegliere
fra Slanddianlo e Rodoraoirte; iii.sti d H fintato, onde si parte indi
spettito, con disenfilo di tornarsene in Afrìpa; bi3 al loggia una sera presso
un albergatore sulla Saona. Molti concigli delle donne .sono Mejlio
improTYi.so, eh' a pensarvi, usciti; ('Ile questo è fpeziale e proprio dono Fra
tanti e tanti lor dal ciel largiti: Ma pnò mal quel degli uouiini esser buono;
Che maturo discorso non aiti, Ove non s'abbia a ruminarvi sopra Speso alcun
tempo e molto studio ed opra. Parve, e non fa però buono il consiglio Di
Malagigi, ancorché (come ho detto) Per questo di grandissimo periglio Liberasse
il cogin sno Ricciardetto. levare indi Rodomonte e il figlio Del re Agrican, lo
spirto avea constretto, Non avvertendo che sarebbon tratti Dove i Cristian ne
rimarrian disfatti. Ma se spazio a pensarvi avesse ATOto, Creder si può che
dato similmente Al sno cugino avria debito aiuto, Né fatto danno alla cristiana
gente. Comandare allo spirto avria potuto, Ch alla via di levante o di ponente
Si dilungata avesse la donzella, Che non n udisse Francia più novelia. Stanza
6. Cosi gli amanti suoi Pavrìan seguita, Come a Parigi, anco in ogn altro loco;
Ma fu quest'avvertenza inavvertita DaMalagigi, per pensarvi poco:E la Malignità
dal ciel bandita, Che sempre vorria sangue e strage e fuoco, Prese la via donde
più Carlo afflisse, Poiché nessuna il mastro gli prescrìsse. palafren, eh' avea
il demonio al bs> Portò la spaventata Doralice, Che non potè arrestarla
fiume, e manco Fossa, bosco, palude, erta o pendice, Finché per mezzo il campo
inglese e frtfco, £ r altra moltitudine fautrice Deir insegne di Cristo,
rassegnata Non r ebbe al padre suo re di Granata Bodomonte col figlio dAgricane
La segnitaro il primo giorno un pezzo, Che le yedean le spalle, ma lontane. Di
yista poi perderonla da sezzo, E venner per la traccia, come il cane La lepre o
il caprì'ol trovare avvezzo; Né si fermar, che foro in parte dove Di lei, eh'
era col padre, ebbono nuove. Guardati, Carlo; che ti vien addosso Tanto furor,
eh' io non ti veggo scampo:Né questi pur; ma 1 re Gradasso è mosso Con
Sacripante a danno del tuo campo. Fortuna, per toccarti fin air osso, Ti tolle
a un tempo Tuno e l'altro lampo Di forza e di saper, che vivea teco; E tu
rimase in tenebre sei cieco. W0 stanza 10,Io ti dico d'Orlando e di Rinaldo;
Che l'uno al tutto furioso e folle. Al sereno, alla pioggia, al freddo, al
caldo, Nudo va discorrendo il piano e'I colle:L'altro con senno, non troppo più
saldo, D'appresso al gran bisogno ti si tolle; Che, non trovando Angelica in
Parigi, Si parte, e va cercandone vestigi. Un fudolente vecchio incantatore Gli
fé' (come a principio vi si disse) Creder per un fantastico suo errore, Che con
Orlando Angelica venisse: Onde di gelosia tocco nel core. Della maggior eh'
amante mai sentisse, Venne a Parigi; e come apparve in corte, D'ire in Bretagna
gli toccò per sorte. 10 Or, fatta la battaglia onde portonne Egli l'onor d'aver
chiuso Agramante, Tornò a Parigi, e monister di donne; E case e rocche cercò
tutte quante. Se murata non é tra le colonne, L'avria trovata il curioso
amante. Vedendo alfin ch'ella non v'é né Orlando, Amenduo va con gran disio
cercando. 11 Pensò che dentro Anglante o dentro a Brava Se la godesse Orlando
in festa e in giuoco; E qua e là per ritrovarla andava, Né in quel la ritrovò
né in questo loco. A Parigi di nuovo ritornava, Pensando che tardar dovesse
poco Di capitare il Paladino al varco; Ché'l suo star fuor non era senza
incarco. 12 Un giorno o duo nella città soggiorna Rinaldo; e poich' Orlando non
arriva, Or verso Anglante, or verso Brava torna, Cercando se di lui novella
udiva. Cavalca e quando annotta equandoaggiorna, Alla fresca alba e ali ardente
ora estiva; E fk al lume del sole e della luna Dugento volte questa via, non
ch'una. Stanza 15. 13 Ma l'antiquo avversario, il qual fece Eva All'interdetto
pome alzar la mano A Carlo un giorno i lividi occhi leva, Che'l buon Rinaldo
era da lui lontano; E vedendo la rotta che poteva Darsi in quel punto al popolo
cristiano, Quanta eccellenzia d'arme al mondo fusse Fra tutti i Saracini, ivi
condusse. 14 Al re Gradasso e al buon re Sacripante, Ch'eran fatti compagni
all'uscir fuore Della piena d' error casa d' Atlante, Di venire in soccorso
messe in core Alle genti assediate d'Agramante, E a distruzion di Carlo
imperatore: Ed egli per T incognite contrade FeMor )a scorta, e agevolò le
strade. 15 Et ad un altro suo diede negozio D'affrettar Rodomonte e Mandrìcardo
Per le vestigie donde l'altro sozio A condur Doralice non è tardo. Ne manda
ancor un altro, perchè in ozio Non stia Marfisa né Ruggier gagUardo: Ma chi
guidò l'ultima coppia, tenne La briglia più; nò quando gli altri, venne. 16 La
coppia di Marfisa e di Roggiero Di mezza ora più tarda si condusse; Però
ch'astutamente l'angel nero. Volendo agli Cristian dar delle busse, Provvide
che la lite del destriero Per impedire il suo desir non fusse; Che rinnovata si
saria, se giunto Fosse Ruggiero e Rodomonte a on ponto. 17 I quattro primi si
trovaro insieme Onde potean veder gli alloggiamenti Dell'esercito oppresso e di
chi'l preme, E le bandiere in che feriano i venti:Si consigliare alquanto; e
fur l'estreme Conclusì'on dei lor ragionamenti, Di dare aiuto, mal grado di
Carlo . Al re Agramante, e dall'assedio trarlo. 18 Stringcnsi insieme, e
prendono la via Per mezzo ove s'alloggiano i Cristiani, Gridando, Africa e
Spagna tuttavia; E si scoprirò in tutto esser Pagani. Pel campo, arme, arme
risonar s'udia; Ma menar si sentir prima le mani:E della retroguardia una gran
frotta, Non ch'assalita sia, ma fugge in rotta. 19 L'esercito Cristian, mosso a
tumulto, Sozzopra va senza sapere il h.tu>. Estima alcun che sia un usato
insulto Che Svizzeri o Guasconi abbino fatto. Ma perch'alia più parte è il caso
occulto, S'aduna insieme ogni nazion di fatto. Altri a suon di tamburo, altri
di tromba:Grande è '1 rumore, e fin al ciel rimbomba 20 II magno Imperator, fuorché
la testa, É tutto armato, e i Paladini ha presso; E domandando vien che cosa è
questa, Che le squadre in disordine gli ha messo; E minacciando, or questi or
quelli arresta; E vede a molti il viso o il petto fesso, \i\ altri insanguinare
o il capo o il gozzo. Alcuu toruar cou mano o braccio mozzo. 1 Giunge più
iunauzi, e ne ritrova molti Giacere in terra, anzi in vermiglio lago Nel
proprio sangue orribilmente involti, Né giovar lor pnò medico né mago; E vede
dagli busti i capi sciolti, E braccia e gambe con crudele imago; E ritrova, dai
primi alloggiamenti Agli ultimi, per tutto uomini spenti. 2 Dove passato era il
piccol drappello, Di chiara fama eternamente degno, Per lunga riga era rimaso
quello Al mondo sempre memorabil segno. Carlo mirando va il crudel macello,
Maraviglioso, e pien d'ira e di sdegno:Come alcuno in cui danno il fùlgur
venne, Cerca per casa ogni sentier che tenne. 23 Non era agli ripari anco
arrivato Del re african questo primiero aiuto, Che con Marfisa fu da un altro
lato L animoso Ruggier sopravvenuto. Poi ch'una volta o due l'occhio aggirato
Ebbe la degna coppia, e ben veduto Qual via più breve per soccorrer fosse
L'assediato signor, ratto si mosse. 24 Come quando si dà fuoco alla mina, Pel
lungo solco della negra polve Licenziosa fiamma arde e cammina Si, ch'occhio
addietro a pena se le voi ve; E qual si sente poi l'alta ruìna Che'l duro sasso
a%ì grosso muro solve Cosi Ruggiero è lléirfisa veniro, E tai nella battaglia
si sentirò. .S.i stanza 1& i6 Per lungo e per traverso a fender teste Tncominciaro,
e tagliar braccia e spalle Delle turbe che mal erano preste Ad 'espedire e
sgombrar loro il calle. Chi ha notato il passar delle tempeste, Ch'una parte
d'un monte o d'una valle Offerde, e l'altra lascia; s'appresenti La via di
questi duo fra quelle genti. 26 Molti che dal furor di Rodomonte E di quegli
altri primi eran fuggiti. Dio ringraziavan, ch'avea lor si pronte Gambe
concesse, e piedi si espediti; E poi dando del petto e della fronte In Marfisa
e in Ruggier, vedean, scherniti, Come l'uom né per star né per fuggire, Al suo
fisso destin può contraddire. 27 Chi fugge l'un pericolo, rimane Nell'altro, e
paga il fio d'ossa e di polpe. Così cader coi figli in bocca al cane Suol,
sperando fuggir, timida volpe, Poiché la caccia dell'antique tane Il suo vicin
che le dà mille colpe, E cautamente con fumo e con fuoco Turbata l'ha da non
temuto loco. 28 Negli ripari entrò de' Saracini Marfisa con Ruggiero a
salvamento. Quivi tutti con gli occhi al ciel supini Dio ringraziar del buono
avvenimento. Or non v' è più timor de' Paladini; Il più tristo pagan ne sfida
cento; Ed é concluso che senza riposo Si tomi a far il campo sanguinoso. 29
Corni, bussoni, timpani moreschi Empiéno il ciel di formidabil suoni:Nell'aria
tremolare ai Tenti freschi Si veggon le bandiere e i gonfaloni. Dall'altra
parte i capitan Carleschi Stringon con Alamanni e con Britoni Quei di Francia,
d'Italia e d Inghilterra; E si mesce aspra e sanguinosa guerra. 30 La forza del
terrìbil Rodomonte, Quella di Mandricardo furibondo. Quella del buon Ruggier,
di virtù fonte. Del re Gradasso si famoso al mondo, E di Marfisa T intrepida
fronte. Col re Circasso a nessun mai secondo, Feron chiamar San Gianni e San
Dionigi Al re di Francia, e ritrovar ParìgL stanza 22. 31 Di questi cavalieri e
di Marfisa 'L'ardire invitto e la mirabil possa Non fu f signor, di sorte, non
fu in guisa Ch'immaginar non che descriver possa. Quindi si può stimar che
gente uccisa Fosse quel giorno, e che crudel percossa Avesse Carlo. Arroge poi
con loro Con Ferraù più dun famoso Moro. 2 Molti per fìretta s'aifogaro in
Senna (Che '1 ponte non pò tea supplire a tanti), E desVàr, come Icaro . la
penna, Perchè la morte avean dietro e davanti. Eccetto Uggieri e il marchese di
Vienna, I Paladin fur presi tutti quanti Olivier ritornò ferito sotto La spalla
destra, Uggier col capo rotto. 33 E se, comeRinaldo e come Orlando, Lasciato
Brandimarte avesse il giuoco, Carlo n' andava di Parigi in bando, Se potea vivo
uscir di si gran fuoco. Ciò che potè, fé' Brandimarte; e quando Non potè più,
diede alla furia loco. Cosi Fortuna ad Agramante arrise, Ch' un' altra volta a
Carlo assedio mise. 34 Di vedovelle i gridi e le querele, E d'orfani fanciulli,
e di vecchi orbi, Nell'eterno seren, dove Michele Sedt a, salir fuor di questi
aer torbi; E gli fecion veder come il fedele Popol preda deMupi era e de'corbi,
Di Francia, d'Inghilterra e di Lamagna, Che tutta avea coperta la campagna. 35
Nel viso s' arrossi V Angel beato, Parendogli che mal fosse ubbidito Al
Creatore, e si chiamò ingann&to Dalla Discordia perfida, e tradito.
D'accender liti tra i Pagani dato Le avea l'assunto, e mal era eseguito; Anzi
tutto il contrario al suo disegno Parea aver fatto, a chi guardava al segno. 36
Come servo fedel, che più d'amore Che di memoria abbondi, e che s'aweggia Aver
messo in oblio cosa eh' a core Quanto la vita e l'anima aver deggia; Studia con
fretta d'emendar l'errore. Né vuol che prima il suo signor lo veggia: Così r
Angelo a Dio salir non volse, Se dell'obbligo prima non si sciolse. stanza 25.
37 Al monister, dove altre volte avea LaDiscordia veduta, drizzò l'ali.
Trovolla ch'in capitolo sedea A nuova elezì'on degli ufficiali; E di veder
diietto si prendea. Volar pel capo a' frati i breviali. Le man le pose l'Angelo
nel crine, E pugni e calci le die senza fine. 38 Indi le roppe un manico di
croce Per la testa, pel dosso e per le braccia. Mercè grida la misera a gran
voce, E le ginocchia al divin nunzio abbraccia. Michel non l'abbandona, che
veloce Nel campo del re d' Africa la caccia; E poi le dice: Aspettati aver
peggio, Se fuor di questo campo più ti veggio. 39 Comechè la Discordia avesse
rotto Tutto il dosso e le braccia, pur temendo Un'altra volta ritrovarsi sotto
A quei gran colpi, a quel furor tremendo, Corre a pigliare i mantici di botto,
Ed agli accesi fuochi esca aggiungendo, Ed accendendone altri, fa salire Da
molti cori un alto incendio d'ire. 40 E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggier n' infiamma sì, che innanzi al Moro Li fa tutti venire, or che non
preme Carlo i Pagani, anzi il vantaggio è loro. Le differenzie narrano, ed il
seme Fanno saper, da cui produtte foro:Poi del re si rimettono al parere, Chi
di lor prima il campo debba aMarfisa del suo caso anco favella, E dice che la
pugna yaol finire, Che cominciò col Tartaro; perchella Provocata da lui vi fn a
venire:Né per dar loco air altre, volea quella Un' ora, non che un giorno,
differire; Ma d'esser prima U l'instanzia grande, Ch'alia battaglia il Tartaro
domande. 42 Non men vuol Rodomonte il ]irìmo crnspc Da terminar col suo rivai
l'impresa Che, per soccorrer l'africano campo, Ha già interrotta e fin a qui
sospesa. Mette Ruggier le sue jKirole a campo. E dice che patir troppo gli
pesa, Che Rodomonte il suo destrier gli tena, E eh' a pugna con luì prima non
vengm. stanza 32. 43 Per più intricarla il Tartaro vien anche, E niega che
Ruggiero ad alcun patto Debba l'aquila aver dall'ale bianche; E d'ira e di
furore è cosi matto, Che vuol, quando dagli altri tre non manche, Combatter
tutte le querele a un tratto. Né più dagli altri ancor saria mancato, Se '1
consenso del re vi fosse stato. 45 Fé quattro brevi porre: un Mandricardo E
Rodomonte insieme scritto avea, Nell'altro era Ruggiero e Mandricardo;
Rodomonte e Ruggier l'altro dicea; Dicea l'altro Marfisa e Mandricardo. Indi
all' arbitrio dell' instabii Dea Li fece trarre; e '1 primo fu il signore Di
Sarza a uscir con Mandricardo faore. 44 Con prieghi il re Agramant e buon
ricordi Fa quanto può, perchè la pace segua: E quando alfin tutti li vede sordi
Non volere assentire a pace o a triegua, Va discorrendo come almen gli accordi
Si, che l'un dopo l'altro il campo assegna; E pel miglior partito alfin gli
occorre, Ch'ognuno a sorte il campo s'abbia a tórre. 46 Mandricardo e Ruifgier
fu nel secondo; Nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte: Restò Marfisa e Mandricardo
in fondo; Di che la donna ebbe turbata fronte Né Ruggier più di lei parve
giocondo: Sa che le forze dei duo primi pronte Han tra lor da finir le liti in
guisa, Che non ne fia per sé, né per Marfisa. 47 Giacea non longi da Parigi un
loco, Che volgea nn miglio o poco meno intorno: Lo cingea tatto un argine non
poco Sublime . a guisa d un teatro adorno. Un Castel già vi fu j ma a ferro e a
fuoco Le mura e i tetti ed a ruina andomo. Un simil può vederne in su la
strada, Qual volta a Borgo il Parmigiano vada. 50 Sedeva in tribunale ampio e
sublime Il re d Africa, e seco era V Ispano; Poi Stordilano, e T altre genti
prime Che riveria l'esercito pagano. Beato a chi pdn dare argini e cime
D'arbori stanza che gli alzi dal piano! Grande è la calca, e grande in ogni
lato Popolo ondeggia intomo al gran steccato. 51 Eran con la regina di Casdglia
Regine e principesse e nobil donne D'Aragon, di Granata e di Siviglia, E fin di
presso all' atlantee colonne:Tra qua! di Stordi lan sedea la figlia, Che di duo
drappi avea le ricche gonne; L'un d'un rosso mal tinto, e l'altro verde; Ma'!
primo quasi imbianca, e il color perde. 48 In questo loco fu la lizza fatta, Di
brevi legni d' ogn' intorno chiusa, Per giusto spazio quadra, al bisogno atta,
Con due capaci porte, come s'usa. Giunto il di ch'ai re par che si combatta Tra
i cavalier che non ricercan scusa, Furo appresso alle sbarre in ambi i lati Con
tra i rastrelli i padiglion tirati. 49 Nel padiglion eh' è più verso ponente
Sta il re d'Algier, e' ha membra di gigante Gli pon lo scoglio indosso del
serpente L'ardito Ferraù con Sacripante. re Gradasso e Falsiron possente Sono
in quell'altro al lato di levante, E metton di sua man l'arme troiane Indosso
al successor del re Agricaiie. stanza l 2 In abito succinta era Marfisa, Qual
si convenne a donna ed a guerriera. Termodonte forse a quella guisa Vide
Ippolita ornarsi e la sua schiera Già, con la cotta d'arme alla divisa Del re
Agramante, in campo venut'era L'araldo a far divieto e metter leggi, Che né in
fatto né in detto alcun parteggi. 53 La spessa torba aspetta disiando La pugna,
e spesso incolpa il yenir tardo Dei duo famosi cavalieri; qnando Sode dal
padiglion di Mandricardo Alto rumor, che vien moltiplicando. Or sappiate,
signor, che '1 re gagliardo Di Serlcana e U Tartaro possente Fanno il tnmnlto e
'1 grido che si sente. Stanza 50. 54 Avendo armato il re di Sericana Di sua man
tutto il re di Tartaria, Per porgli al fianco la spada soprana, Che già d
Orlando fa, se ne venia; Qnando nel pome scritto, Durindana Vide, e U quartier
eh' Almonte aver solia, Oh' a quel meschin fu tolto ad una fonte Dal giovenetto
Orlando in Aspramonte. 66 Vedendola, fa certo ch'era quella Tanto famosa del
signor d'Auglante, Per cui con grande armata, e la più bella Che giammai si
partisse di Levante, Soggiogato avea il regno di Castella, £ Francia vinta esso
pochi anni innante:Ma non può immaginarsi come avvenga Ch'or Mandricardo in suo
poter la tenga. 66 E domandogli se per forza o patto. L'avesse tolta al Conte,
e dove e qnaoda E Mandricardo disse eh' avea fatt Gran battaglia per essa con
Orlando; E come finto quel s'era poi matto, Così coprire il suo timor sperando,
Ch' era d'aver continua guerra meco, Finché la buona spada avesse seco. 57 E
dicea ch'imitato avea il Castore, Il qual si strappa i genitali sni, Vedendosi
alle spalle il cacciatore, Che sa che non ricerca altro da lui Gradasso non udì
tutto il tenore, Che disse: Non vo' darla a te né altmL Tant' oro . tanto
affanno e tanta gente Ci ho speso, che è ben mia debitamente. 58 Cercati pur
fornir d' un'altra spada: Ch' io voglio questa, e non ti paia noom Pazzo 0
saggio eh' Orlando se ne Tadi, Averla intendo, ovunque io la rìtroYO. Tu senza
testimoni in su la strada Te r usurpasti: io qui lite ne maoro. La mia radon
dirà mia scimitarra; E faremo il giudicio nella sbarra. 59 Prima, di
guadagnarla t'apparecchia, Che tu Tadopri contra Rodomonte. Di comprar prima
l'arme è nsania vecda Ch'alia battaglia il cavalier s'affrontc. Piò dolce suon
non mi viene all'orecchiai Rispose alzando il Tartaro la fronte, Che quando di
battaglia alcun mi tenta; Ma fa che Rodomonte lo consenta. 60 Fa che sia tua la
prima, e che ffl tolgi Il re di Sarza la tenzon seconda: E non ti dubitar ch'io
non mi volga, E eh' a te et ad ogni altro io non rispouà Ruggiet gridò: Non vo'
che si disciolgi Il patto, 0 più la sorte si confonda: 0 Rodomonte in campo
prima saglia, 0 sia la sua dopo la mia battaglia. 61 Se di Gradasso la ragion
prevale, Prima acquistar che porre in opra l'tfinc: Nò tu r aquila mia dalle
bianche ale Prima usar dèi, che nonme ne disanne: Ma poich'é stato il mio voler
già tale, Di mia sentenza non voglio appellanne, Che sia seconda la battaglia
mia, Quando del re d'Algier la prima sii. Se turberete voi V ordine in parte,
"o totalmente tnrberoUo ancora. !o non intendo il mio scudo lasciarte, Se
contra a me non lo combatti or ora. 5e l'uno e l'altro di voi fosse Marte,
Elispose Madricardo irato allora, on saria l'un né l'altro atto a vietarme La
buona spada, o quelle nobili arme. E, tratto dalla collera, ayyentosse Col
pugno chiuso al re di Sericana; £ la man destra in modo gli percosse, Ch'
abbandonar gli fece Durindana. Gradasso, non credendo ch'egli fosse Di così
folle audacia e cosi insana, Colto improvviso fu, che stava a bada, E tolta si
trovò la buona spada. 64 Cosi scornato, di vergogna e d'ira Nel viso avvampa, e
par che getti fuoco; E più r affligge il caso e lo martira, Poiché gli accade
in si palese loco. Bramoso di vendetta si ritira, A trar la scimitarra,
addietro un poco. Mandricardo in sé tanto si confida, Che Ruggiero anco alla
battaglia sfida. 66 Venite pur innanzi amenduo insieme, E vengane pel terzo
Rodomonte, Africa e Spagna e tutto. l'uman seme; Ch'io son per sempre mai
volger la fronte. Cosi dicendo, quel che nulla teme. Mena d'intorno la spada d'
Almonte; Lo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero, Contra Gradasso e contra il
buon Ruggiero. . si;Stanza 67. )6 Lascia la cura a me, dicea Gradasso, Ch'io
guarisca costui della pazzia. Per Dio, dicea Ruggier, non te la lasso; Ch'esser
convien questa battaglia mia. Va indietro tu; vavvi pur tu: né passo Però
tornando, gridan tuttavia; Ed attaccossi la battaglia in terzo. Ed era per
uscirne un strano scherzo, 67 Se molti non si fossero interposti A quel furor,
non con troppo consiglio; Ch'a spese lor quasi imparar che costf Voler altri
Si>lvar con suo periglio. Né tutto '1 mondo mai gli avria composti, Se non
venia col re d'Ispagna il figlio Del famoso Troiano, al cui conspetto Tutti
ebbon riverenzia e gran rispetto. 68 Si fé' Agramante la cagion esporre Di
questa nuova lite cosi ardente: Poi molto aifaticossi, per disporre Che per
quella giornata solamente A Mandricardo la spada d'Ettorre Concedesse Gradasso
umanamente, Tanto ch'avesse fin l'aspra contesa Ch'avea già incontra a
Rodomonte presa. 69 Mentre studia placarli il re Agramante, Ed or con questo ed
or con quel ragiona; Dall' altro padiglion tra Sacripante E Rodomonte un'altra
lite suona. Il re Circasso, come é detto innante. Stava di Rodomonte alla
persona; Ed egli e Ferraù gli aveano indotte L'arme del suo progenitor
Nembrotte. 70 Ed eran poi venuti ove il destriero Facea, mordendo, il ricco
fren spumoso: Io dico il buon Frontin, per cui Rugfgiero Stava iracondo e più
che mai sdegnoso. Sacripante cli a por tal cavaliero In campo avea, mirava curioso,
Se ben ferrato e ben guernito e in punto Era il destrier, come doveasi a punto.
71 E venendo a guardargli più a minuto 1 segui, le fattezze isnelle ed atte.
Ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto Che questo era il destrìer suo Frontalaue.
Che tanto caro già s' avea tenuto, Per cui già avea mille querele fatte; E poi
che gli fu tolto, un tempo volse Sempre ire a piedi: in modo glie ne dolte.
Stanza 78. 72 Innanzi Albracca gli V avea Brunello Tolto di sotto quel medesmo
giorno Chad Angelica ancor tolse l'anello, Al conte Orìando Balisarda e '1
corno, E la spada a Marfisa; ed avea quello. Dopo che fece in Africa ritomo,
Con Balisarda insieme a Ruggier dato. Il qual l'avea Frontin poi nominato. 73
Quando conobbe non si apporre in fallo, Disse il Circasso al re d'Algier
rivolto: Sappi, signor, che questo è mio cavallo, Ch'ad Albracca di furto mi fu
tolto. Bene avrei testimoni da provallo; Ma perchè sou da noi lontani molto, S'
alcun lo niega, io gli vo' sostenere Con Tarme in man le mie parole vere. 74 Ben
son contento per la compaguia In questi pochi di stata fra noi, Che prestato il
cavallo oggi ti sia; Ch'io veggo ben che senza far non pnoi; Però con patto, se
per cosa mia E prestata da me conoscer vuoi:Altrimente d'averlo non far stima,
0 se non lo combatti meco prima. 75 Rodomonte, del quale un più orgoglioso Non
ebbe mai tutto il mestier dell'arme; Al quale in esser forte e coraggioso
Alcuno antico d'uguagliar non parroe; Rispose: Sacripante, ogni altro ch'oso,
Fuorché tu, fosse in tal modo a parlarme, Con suo mal si saria tosto avveduto
Che meglio era per lui di nascer muto. Ma per la compagnia che, come hai detto,
Novellamente insieme abbiamo presa, Ti son contento aver tanto rispetto, Ch'io
t ammonisca a tardar quest'impresa, Finché della battaglia veggi effetto. Che
fra il Tartaro e me tosto fia accesa; Dove porti un esempio innanzi spero,
Ch'avrai di grazia a dirmi: Abbi il destriero. 2 Rodomonte che '1 re suo signor
mira, Frena P orgoglio, e torna indietro il passo; Né con minor rispetto si
ritira. Al venir d'Agramaute, il re Circasso. Qael domanda la cansa di tantMra
Con real viso, e parlar grave e basso; E cerca, p<"i che n'ha compreso
il tutto, Porli d'accordo; e non vi fa alcun frutto. ' Oli é teco cortesia
Tesser villano. Disse il Circasso pien d'ira e di sdegno; Ma più chiaro ti dico
ora e più piano, Che tu non faccia in quel destrier disegno: Che te lo difendo
io, tanto ch'in mano Questa vindice mia spada sostegno; E metterowi iasino
l'ugna e il dente, Se non potrò difenderlo altrimente. ì Venner dalle parole
alle contese, Ai gridi, alle minacce, alla battaglia, Che per molt'ira in più
fretta s'accese. Che s'accendesse mai per fuoco paglia. Rodomonte ha l'usbergo
ed ogni arnese; Sacripante non ha piastra né maglia; Ma par (si ben con lo
schermir s'adopra) Che tutto con la spada si ricopra. 9 Non era la possanza e
la fierezza Di Rodomonte, ancorch' era infinita, Più che la Provvidenza e la
destrezza Con che sue forze Sacripante aita. Non voltò ruota mai con più
prestezza Il macigno sovran che'l grano trita. Che faccia Sacripante or mano or
piede Di qua di là, dove il bisogno vede. 0 Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
Trasson le spade, e si cacciar tra loro. Dal re Grandonio, da Isolier seguiti,
Da molt altri signor del popol moro. Questi erano i romori, i quali uditi
Nell'altro padiglion fur da costoro, Quivi per accordar venuti in vano Col
Tartaro Ruggiero e '1 Sericano. Venne chi la novella al re Agramante Riportò
certa, come pel destriero Avea con Rodomonte Sacripante Incominciato un aspro
assalto e fiero. 11 re, confuso di discordie tante, Disse a Marsilio: Abbi tu
qui pensiero Che fra questi guerrier non segua peg:gio, Mentre all'altro
disordine io provveggio. stanza 89. 83 II re Circasso il suo destrier non vuole
Ch'ai re d'Algier più lungamente resti, Se non s'umilia tanto di parole, Che lo
venga a pregar che glie lo presti. Rodomonte, superbo come suole, Gli risponde:
Né '1 ciel né tu faresti Che cosa che per forza aver potessi, Da altri, che da
me, mai conoscessi. 84 II re chiede al Circasso, che ragione Ha nel cavallo, e
come gli fu tolto:E quel di parte in parte il tutto espone, Ed esponendo s'
arrossisce in volto, Quando gli narra che'l sottil ladrone. Ch'in un alto
pensier l'aveva cólto. La sella su quattro aste gli suffolse, E di sotto il destrier
nudo gli tolse. 85 Marfisa che tra gli altri al grido venne, Tosto che 1 furto
del cavallo udì, In viso si turbò; che le sovvenne Che perde la sna spada ella
quel di: E qnel destrier che parve aver le penne, Da lei fuggendo, riconobbe
qui; Riconobbe anco il buon re Sacripante, Che non avea riconosciuto innante.
86 Gli altri ch'erano intorno e che vantarsi Brunel di questo aveano udito
spesso, Verso lui cominciaro a rivoltarsi, E f.ir palesi cenni eh' era desso;
Marfisa, sospettando, ad informarsi Da questo e da quell'altro eh' avea
appresso, Tanto che venne a ritrovar che quello Che le tolse la spada, era
Brunello: 89 Gli diede a prima giunta ella di pigib In mezzo il petto, e da
terra lerollo Come levar suol col falcato artiglìo Talvolta la rapace aqnila il
pollo; E li dove la lite innanzi al figlio Era del re Troiano, così portollo.
Brunel, che giunto in male man si xeée, Pianger non cessa e domandar mercede.
90 Sopra tutti i rumor, strepiti e di. Di che'l campo era pien quasi
ngualraecte. Brunel, eh' ora pietade, ora sndi Domandando venia, così si sente,
Ch'ai suono di rammarichi e di strìdi Si fa d'intorno accor tutta la gente.
Giunta innanzi al re d'Africa Marfisa . Con viso altier gli dice in questa
guisa: stanza 94. 91 Io voglio questo ladro tuo vassallo Con le mie niani
impender per la gola, Perchè il giorno medesmo che'l cavallo A costui tolle, a
me la spada invola. Ma s'egli è alcun che voglia dir ch'io Mi: Facciasi innanzi
e dica una parola; Ch'in tua presenzia gli vo sostenere Che se ne mente, e
ch'io fo il mio dovere. 92 Ma perchè si potria forse impntarme C ho atteso a
farlo in mezzo a tante liti, Mentre che questi, più famosi in arme, D'altre
querele son tutti impediti; Tre giorni ad impiccarlo io vo' indngiarme. Intanto
o vieni o manda chi l'aiti; Che dopo, se non fia chi me lo vieti, Farò di lui
mille uccellacci lieti. 87 E seppe che pel furto, ond'era degno Che gli
annodasse il collo un capestro unto, Dal re Agraraaute al Tingitano regno Fu,
con esempio inusitato, assunto. Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
Disegnò vendicarsene a quel punto, E punir schemi e scorni che per strada Fatti
Tavea sopra la tolta spada. 88 Dal suo scudier l'elmo allacciar si fece; Che
del resto dell'arme era guemita. Senza usbergo io non trovo che mai dìece Volte
fosse veduta alla sua vita; La sua persona, oltre ogni fede ardita. Con l'elmo
in capo andò dove fra i primi Brunel sedea negli argini sublimi. 93 Di qui
presso a tre leghe a qnella torre siede innanzi ad un piccol boschetto, Senza
più compagnia mi vado a porre. Che d'una mia donzella e d'un valletto. S'
alcuno ardisce di venirmi a tórre Questo ladron, là venga, eh' io l'aspetto.
Cosi diss' ella, e dove disse prese Tosto la via, né più risposta attese. 94
Sul collo innanzi del destrier si pone Brunel, che tuttavia tien perlechiome.
Piange il misero e grida, e le persone In che sperar solìa, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione Di questi intrichi, che non vede come Poterli
sciorre; e gli par via più greve Che Marfisa Brunel cosi gli leve. Non che
l'apprezzi o che gli porti amore, A.nzi più giorni son che l'odia molto; E
spesso ha d'impiccarlo avuto in core, Dopo che gli era stato l'anel tolto. Ma
questo atto gli par contra il suo onore; Si che n'avvampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta, E a tutto suo poter farne vendetta.
Ma il re Sohrino, il quale era presente, Da questa impresa molto il dissuade,
Dicendogli che mal conveniente Era all'altezza di Sua Maestade, Sebben avesse
d'esserne vincente Ferma speranza e certa s.curtade: Più ch'onor, gli fia
hiasmo, che si dica Ch' abbia vinto una femmina a fatica. 7 Poco l'onore, e
molto era il periglio D' ogni hattaglia che con lei pigliasse; E che gli dava
per miglior consiglio, Che Brunello alle forche aver lasciasse; E se credesse
ch'uno alzar di ciglio A torlo del capestro gli bastasse, Non dovea alzarlo per
non contraddire Che s' abbia la giastizia ad eseguire. 8 Potrai mandare un che
Marfisa prieghi, Dicea, ch'in questo giudice ti faccia Con promission
ch'ailadroncel si leghi Il laccio al collo, e a lei si soddisfaccia: E quando
anco ostinata te lo nieghi, Se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia: Porche
da tua amicizia non si spicchi, Brunello e gli altri ladri tutti impicchi. )9
II re Agramante volentier s'attenne Al parer di Sobrin discreto e saggio; E
Marfisa lasciò, che non le venne. Né pati ch'altri andasse a farle oltraggio:
Né di farla pregare anco sostenne; E tollerò. Dio sa con che coraggio, Per
poter acchetar liti maggiori, E del suo campo tor tanti romori. 100 Di ciò si
ride la Discordia pazza, Che pace o triegua omai più teme poco. Scorre di qua
di là tutta la piazza. Né può trovar per allegrezza loco. La Superbia con lei
salta e gavazza, E legne ed esca va aggiungendo al fuoco; E grida sì, che fin nell'
alto regno Manda a Michel della vittoria segno. 101 Tremò Parigi, e turbidossi
Senna All'alta voce, a quell'orrlbil grido; Rimbombò il suon fin alla selva
Ardenna Si, che lasciar tutte le fiere il nido. Udiron l'Alpi e il monte di
Qebenna, Di Blaia e d'Arli e di Roano il lido; Rodano e Sonna udì, Garonna e il
Reno:Si strinsero le madri i figli al seno. Stan7a 100. 102 Son cinque cavalier
c'han fisso il chiodo D'essere i primi a terminar sua lite, L'una nell'altra
avviluppata in modo. Che non l'avrebbe Apolline espedite. Comincia il re
Agramante a sciorre il nodo Delle prime tenzon ch'aveva udite. Che per la
figlia del re Stordilano Eran tra il re di Scizia e il suo Africano. 103 II re
Agramante andò per porre accordo Di qua di là più volte a questo e a quello; E
a questo e a quel più volte die ricordo Da signor giusto e da fedel fratello: E
quando parimente trova sordo L un come l'altro, indomito e rubello Di volere
esser quel che resti senza La donna, da cui vien lor diiferenza, 107 Poi lor
convenzìon ratificaro In man del re quei duo prochi famosi. Ed indi alla
donzella se n'andajt) Ed ella abbassò gli occhi vergognosi, E disse che più il
Tartaro avea caro: Di che tutti restar meravigliosi:Rodomonte si attonito e
smarrito, Che di levar non era il viso ardito. 104 S'appiglia alfin, come a
miglior partito (Di che amendui si contentar gli amanti), Che della bella donna
sia marito L'uno de' duo, quel che vuole essa innanti; E da quanto per lei sia
stabilito, Più non si possa andar dietro nò avanti. All'uno e all'altro piace
il compromesso, Sperando ch'esser debbia a favor d'esso. 105 U re di Sarza, che
gran tempo prima Di Mandricardo amava Doralice, Ed ella l'avea posto in su la
cima D'ogni favoreh' a donna casta lice; Che debba in util suo venire estima La
gran sentenzia che '1 può far felice:Né egli avea questa credenza solo, Ma con
lui tutto il barbaresco stuolo.Stanza 115. i:<'.r'?''ii' Stanza lU. lOH
Ognun sapea ciò ch'egli avea già fatto Per essa in giostre, in tomiamenti, in
guerra; E che stia Mandricardo a questo patto, Dicono tutti che vaneggia ed
erra. Ma quel, che più fiate e più di piatto Con lei fu mentre il sol stava
sotterra, E sapea quanto avea di certo in mano, Ridea del popular giudicio
vano. .08 Ma poi che l'usata ira cacciò quella Vergogna che gli avea la faccia
tinta, Ingiusta e falsa la sentenzia appella; E la spada impugnando, ch'egli ha
cinu, Dice, udendo il re e gli altri, che vuol eh' di Gli dia perduta questa
causa o vinta, E non l'arbitrio di femmina lieve, Che sempre inchina a quel che
men far dere. 109 Di nuovo Mandricardo era risorto, Dicendo: Vada pur come ti
pare. Si che prima che '1 legno entrasse in porto, V'era a solcare un gran
spazio di mare. Se non che '1 re Agramante diede torto A Rodomonte, che non può
chiamare Più Mandricardo per quella querela; E fé' cadere a quel furor la vela.
110 Or Rodomonte che notar si vede Dinanzi a quei signor di doppio scorno, Dal
suo re, a cui per riverenzia cede, E dalla donna sua, tutto in un giorno; Quivi
non volse più fermare il piede: E dalla molta turì)a eh' avea intomo. Seco non
tolse più che duo sergenti, Ed uscì dei moreschi alloggiamenU. 111 Come,
partendo, afflìtto tauro suole, Cbe la gioYBDca al vincitor cesso abbia, Cercar
le selve e le rive più sole Lungi dai paschi, o qualche arida sabbia; Dove
muggir non cessa air ombra e al sole Né però scema l'amorosa rabbia: Così sen
va di gran dolor confuso Il re d'Algier, dalla sua donna escluso. 112 Per
riavere il buon destrier si mosse Ruggier, che già per questo s'era armato; Ma
poi di Mandricardo ricordosse, A cui della battaglia era obbligato: Non segui
Rodomonte, e ritomosse Per entrar col re Tartaro in steccato Prima ch'entrasse
il re di Sericana, Che l'altra lite avea di Durindana. Stanza 117. Ila Veder
torsi Frontin troppo gli pesa Dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo; Ma dato
ch'abbia fine a questa impresa, Ha ferma intenzìon di ricovrarlo. Ma Sacripante
che non ha contesa. Come Ruggier, che possa distornarlo, E che noii ha da far
altro che questo, Per l'orme vien di Rodomonte presto. 114 E tosto l'avria
giunto, se non era Un caso strano che trovò tra via. Che lo fé' dimorar fin
alla sera, E perder le vestigio che seguia. Trovò una donna che nella riviera
Di Senna era caduta, e vi peria S'a darle tosto aiuto non veniva: Saltò
nell'acqua e la ritrasse a riva. 115 Poi quanlo in sella volse risalire,
Aspettato non fu dal sno destriero, Che fin a sera si fece seguire, E non si
lasci(\ prender di leggiero. Preselo alfin: ma non seppe venire PKi d'onde
s'era tolto dal sentiero: Ducento miglia er; ò tra piano e monte, Prima che
ritrovasse Rodomonte. 118 Né lunga servitù, né grand'amore, Che ti fu a mille
prove manifesto, Ebbono forza di tenerti il core, Che non fosse a cannarsi
almen si presto. Non perch'a Mandricardo inferiore Io ti paressi, di te privo
resto; Né so trovar cagione ai casi miei. Se non quest' una, che femmina sei.
Stanza 121. 119 Credo che t'abbia la Natura e Dio Produtto, 0 scellerato sesso,
al mondo Per una soma, per un grave fio Dell'nom, che senza te saria giocondo:
Come ha produtto anco il serpente rio, E il lupo e l'orso; o fa l'aer fecondo E
di mosche e di vespe e di ta&ci; E loglio e avena fa nascer tra i gnnL 120
Perché fatto non ha l'alma Natura, Che senza te potesse nascer l'acme, Come s'
innesta per umana cara L'un fopra l'altro il pero, il sorbo e'I poDo' Ma quella
non può far sempre a misura: Anzi, s'io vo' guardar come io la nomo, Veggo che
non può far cosa perfetta, Poiché Natura femmina vien detti. 121 Non siate però
tumide e fastose, Donne, per dir che 1' uom sia vostro %Iio; Che delle spiue
ancor nascon le rose, E d'una fetida erba nasce il giglio:Importune, superbe,
dispettose. Prive d'amor, di fede e di consiglio. Temerarie, crudeli, inique,
ingrate. Per pestilenzia eterna al mondo nate. 1 1 6 Dove trovollo, e come fu
conteso Con disvantaggio assai di Sacripante; Come perde il cavallo, e restò
preso, Or non dirò; e' ho da narrarvi innante Di quanto sdegno e di quanta ira
acceso Contra la donna e contra il re Agramante Del campo Rodomonte si
partisse, E ciò che contra all'uno e all'altro disse. 117 Di cocenti sospir
l'aria accendea Dovunque andava il Saracin dolente. Eco, per la pietà che gli
n'avea, Da' cavi sassi rispondea sovente. Oh femminile ingegno, egli dicea.
Come ti volgi e muti facilmente ! Contrario oggetto proprio della fede Oh
infelice, oh miser chi ti crede ! 122 Con queste ed altre ed infinite preso
Querele il re di Sarza se ne giva Or ragionando in un parlar sommerò, Quando iu
un suon che di lontan s'udift, In onta e in biasmo del femmineo sesso. E certo
da ragion si dipartiva; Che per una o per due che trovi ree, Che cento buone
sien creder si dee. 123 Sebben di quante io n'abbia fin qui """
Non n'abbia mai trovata nna fedele; Perfide tutte io non vo'dir né ingrate, Ma
darne colpa al mio destin crudele. Molte or ne sono, e più gà ne son state, Che
non dan causa ad uom che si querele; Ma mia fortuna vuol che s'una Ha Ne sia
tra cento, io di lei preda sia 124 Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora, Anzi
prima che '1 crin più mi s' imbianchi, Che forse dirò nn dì, che per me anccra
Alcuna sia che di sua fé' non manchi. Se questo avvien (che di speranza fuora
Io non ne son), non fia mai ch'io mi stanchi Di farla, a mia possanza, gloriosa
C("n lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa. 125 II Saracin non
area manco sdegno Centra il suo re, che contra la donzella; E cosi di ragion
passava il segno, Biasmando lui, come biasmando quella. Ha disio di veder che
fopra il regno Gli cada tanto mal. tanta procella, Ch' in Africa ogni casa si
funesti, Né pietra salda sopra pietra resti;126 E che, spinto del regno, in
duolo e in lutto Viva Agramante misero e mendico; E ch'esso sia che poi gli
renda il tutto, E lo riponga nel suo seggio antico, E della fede sua produca il
frutto; E gli faccia veder eh' un vero amico A dritto e a torto esser dovea
preposto. Se tutto '1 mondo se gli fos.se opposto. 127 E così, quando al re,
quando alla donna Volgendo il cor turbato, il Saracino Cavalca a gran giornate,
e non assonna E poco riposar lascia Frontino. Il di seguente o l'altro in su la
Senna Si ritrovò; ch'avea dritto il cammino Verso il mar di Provenza, con
disegno Di navigare in Africa al suo regno. 128 Di barche e di sotti 1 legni
era tutto Fra runa ripa e T altra il fiume pieno: ' Ch' ad uso dell' esercito
condutto Da molti lochi vettovaglie avieno; Perchè in poter de' Mori era
ridutto, Venendo da Parigi al lito ameno D' Acquamorta, e voltando invér la
Spagna. Ciò che v'è da man destra di campagna. 129 Le vettovaglie in carra ed
in giomeBri. Tolte fuor delle navi, erano carche, E tratte con la scorta delle
entj, Ove venir non si potea con barche. Avean piene le ripe i grassi armenti
Quivi condotti da diverse marche; E i conduttori intomo alla riviera Per vari
tetti alhergo avean la sera. Stanza 131. 130 II re d'Algier, perchè gli
sopravvenne Quivi la notte, e V aer nero e cieco, D'un ostier paesan lo 'nvitj
tenne Che lo pregò che rimanesse seco. Adagiato il destrier, la mensa venne Di
vari cibi, e di viii corso e greco; ChèM Saracin nel resto alla moresca, Ma
volse &r nel bere alla francesca. 131 L'oste con buona mensa e miglior viso
Stadio di fare a Rodomonte onore; Che la presenzia gli die certo avviso, Ch'era
uomo illustre e pien d'alto valore; Ma quel che da sé stesso era diviso, Né
quella sera avea ben seco il core, (Che mal suo grado s'era ricondotto Alla
donna già sua), non facea motto. II buon oBtier, che fa dei diligenti Che mai
si sien per Francia ricordati, Quando tra le nimiche e strane genti L'albergo e
beni suoi s'avea salvati; Per servir quivi alcuni saoi parenti, A tal servigio
pronti, avea chiamati; De' qnai non era alcun di parlar oso, Vedendo il Saradn
muto e pensoso. 133 Di pensiero in pensiero andò vagando Da sé stesso lontano
il Pagan molto, Col viso a terra chino, uè levando Si gli occhi mai, ch'alcun guardasse
in volto. Dopo un lungo star cheto, sospirando, Si come d'un gran sonno allora
sciolto, Tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia, E voltò gli occhi all' oste
e alla famiglia. 134 Indi ruppe il silenzio, e con sembianti Più dolci un poco,
e viso men turbato, Domandò alV oste e agli altri circostanti, Se d'essi alcuno
avea mogliere a lato. Che l'oste e che quegli altri tutti quanti L'aveano, per
risposta gli fu dato. Domanda lor quel che ciascun si crede Della sua donna nel
servargli fede. 135 Eccetto V oste, fér tutti risposta, Che si credeano averle
e caste e buone. Disse r oste: Ognun pur creda a sua posta; Ch' io so eh' avete
falsa opinione. Il vostro sciocco credere vi costa Ch' io stimi ognun di voi
senza ragione; E cosi far questo signor deve anco, Se non vi vuol mostrar nero
per bianco. 136 Perchè, si come è sola la fenice, Né mai più d'una in tutto il
mondo vive; Cosi uè mai più d'uno esser si dice . Che della moglie i tradimenti
schive. Ognun si crede d'esser quel felice, D'esser quel sol eh' a questa palma
arrive. Come è possibil che v' arrivi ognuno, Se non né può nel mondo esser più
d'uno? 137 Io fui già nell' error che siete voi, Che donna casta anco più d'una
fùsse. Un gentiluomo di Vinegia poi, Che qui mia buona sorte già condusse. Seppe
far si con veri esempi suoi, Che fnor dell'ignoranza mi ridusse. Gian Francesco
Valerio era nomato: Che 'l nome suo non mi s' è mai scordato. 138 Le fraudi che
le mogli e che l'amiche Sogliono usar, sapea tutte per conto:E sopra ciò
moderne istorie e antiche, E proprie esperienze avea si in pronto. Che mi
mostrò che mai donne pudiche Non si trovare, o povere o di conto; E s'una casta
più dell'altra parse, Venia, perchè più accorta era a celarse. 139 E fra
l'altre (che tante me ne disse, Che non ne posso il terzo ricordarmi) Si nel
capo un' istoria mi si scrìsse, Che non si scrìsse mai più saldo in marmi; E
ben parria a ciascuno che l'udisse,Di queste rìe quel eh' a me parve e parmi. E
se, signor, a voi non spiace udire, A lor oonfùsìon ve la vo' dire. 140 Rispose
il Saradn: Che puoi tu farmi. Che più al presente mi diletti e piaccia, Che
dirmi storìa e qualche esempio darmi, Che con l'opinion mia si con&ccia?
Perch' io possa udir meglio, e tu narrarmi, Siedimi incontra, ch'io ti vegga in
faccia. Ma nel Canto che segue io v' ho da dire Quel che fé' l'oste a Rodomonte
udire. N OTB. St. 4. V.5. Xa Malignità dal del bandita: il dia volo cacciato
dal paradiso. St. 11. V.8. SeTua incarco: senza biasimo. St. 15. V.3. L'altro
aozio: l'altro diavolo. St. 22. V.6. MaraviglioBo: qui pieno di maraviglia. St.
27. V.2. Foga il fio d ossa e di polpe: paga il fio, lasciandovi la vita. St.
29. y. 1. Bi$soni: stromenti da fiato, usati dli antichi; forse risponde alla
ìmcina dei latinL St. 32. V.35. E desiar, cowi" Icaro, la penna. Icaro,
figlio 4i Dedalo, osci con lui dal labirinto, mercè dell'ali fabbricategli dal
padre. Uggieri: il danese, mentovato più addietro. JZ marchese di Vietma:
Oliviero, che il Poeta ha detto esser padre di Aquilante e di Grifone. St. 3.
V.34. Nell'eterno seren: nel cielo. St. 44. V.6. Sì, c/w V un dopo V altro il
campo assegna: ottenga il campo. St. 47. V.78. • Un simil, ecc.: Castel Guelfo,
situato fra Parma e Borgo San Donnino. St. 61. V.68. Che di duo drappi ecc.
Sono i co lori dei drappi a dimostrazione dell'amore di Doralice, intiepidito
per Rodomonte, e vivo per Mandricardo. St. 52. V.35. Termodonte: fiume di
Cappadocia, che mette nell Ensino, presso cui abitavano le Amaz odierne mappe
col nome di Thermeh. Cotta d'arme: soprawesta che portavano gli araldi. St. 54.
V.6. Quartiere: divisa, insegna. St. 57. V.14. JZ Castore, ecc.: era questa V
opi nione comunemente seguita ai tempi del Poeta. St. 62. V, 8. Arme: anche qui
insegne. St, 69. V.7. Indotte: indossate. St. 75. v.5. Oso: ardito. &t. 77.
v.5. Te lo difendo: te lo vieto. Anche il nel Filosirato usa il verbo difendere
in que sto senso: Se non mi fosse per forza difeso, Di por tarlo farei il mio
potere. E dopo T Ariosto, il T" Oer., V.8283: E chi (riprende Crucciose il
gitrm: a me il contende f Io tei difenderò colta ritjsu. Tu per coloro che il
tacciano di francesismo. St. J4. V.7. SUfffòlae: sollevò in alto. St. 86. y.b.
Ad informarci: sottinteDdiricMut St. 99. y. 6. Coraggio: qui disposizione itm.
T. 101. y.56. Qebenna: Cérenfi".catei"diM. nella Francia, che si
estendono dal éipaitìamitk TAude nella Linguadoca, fino a quello diSiontUa
Borgogna. Blaia: Blaye, città dells Gsm Con le tre città ricordate in questo
?erM> e con ri e i fiumi denota gli opposti termini della Fiudi St. 102.
v.4a Apolline: intendesi l'oneokèi pollo nell'isola di Delfo, celebrato una
volta pe kit risposte. lire di Scisia e il suo AfHcano: be cardo e Rodomonte.
St. 106. V.5. Di piatto: di soppiatto. St. 107. V.2. Fiochi o Proci: rivali in
aam. questo il nome di qne' principi che iDasienzadin" 0 ritenendolo
morto, con tendevansi la maso di PeMk> luogo di Frochi legon per abbaglio
prodi. St. 117. V.3. Eco: ninfa condannata aripetoilt ultime sillabe delle
parole altrui. St. 129. V.6. Marche. Marra i"ignifioa j>f"twu di
confine, e per estensione, come qui, vale fni&"Sf St. 137. V.7. Gian
Francesco Valerio: gaiUm che lo finge vivente ai tempi di Caxìo Magno. Ser
parla con bella espréÌBsione d' amore al Canto E Stanza 15. Egli fU giustiziato
in Venezia nel ló£ p: aver rivelato all'ambasciator di Francia le delifew"
del governo circa la pace che si stava trattaai" "i Porta. Vedi il
Paruta, Ist. Venez., lib X. St. 138. V.2. JVr conto: ad una ad gm, ¦ a"
dito. Canto XXVIII. dì Rodo monto rìì imira la novella ili Fiamfnntn, in
hiasimo delle donne, HOflomont si partn di là; e miiuto, il pensiero d'ani! are
in AfritST ftìrma statica \n una e li ì esetta atabÈvndtmata, aìh quale pimiie
Isaltella col romito, e conte Hpoglie mortali cìeU" ucciso Zerbino. Il
pascano vuole [llato glìere IftabUa dalla piesa rifiolUT'ioniì dì ritirarsi dal
mondo, e> ìmpaKieniisce alle rimoatraiiKe del romito. Donne, e toì che le
tlonue avete in pregioi Per Dìo, non <late a ([ueMB, i'toria oreocliin, A
qnesta clie l'ontier dire in clispregin E in vostra infamia e biasrao
s'appareceliia; Benché né macchia ri può dar né fregio Lingna si vite ¦ e sia V
usanza veechia t The '1 voliefare it,aifirante ognun rijireufla, E parli piti
di quel clie nieno intenda. Lasciate qneato Canto; cbè senz' e§so Vnò star V
istoria non sarà men chiara. Mettendolo Tiirjiirin. nmh'irh Thn messo, Non per
malivolenzia né per gara. ChMo Yami, oltre mia lingua che Tha espresso, Che mai
non fa di celebrarvi avara, N'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro Ch' io son,
né potrei esser se non vostro. Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
Leggerne verso; e chi pur legger vuole, Gli dia quella medesima credenza Che si
suol dare a finzioni e a fole. Ma, tornando al dir nostro, poi ch'udienza
Apparecchiata vide a sue parole, E darsi luogo incontra al cavaliero, Così
ristoria incominciò Postiero. Tra gli altri di sua corte avea an Fausto Latini,
nn cavalier romano, Con cui sovente essendosi' lodato Or del bel viso, or della
bella mano Ed avendolo nn giorno domandato Se mai veduto avea, presso o lontiM Altro
uom di forma cosi ben comp Contra quel che credea, gli fu stanza 3. Astolfo, re
de' Longobardi, quello A cui lasciò il fratel monaco il regno, Fu nella
giovinezza sua sì bello, Che mai poch altri giunsero a quel segno. N'avria a
fatica un tal fatto a pennello Apelle 0 Zeusi, o se v'è alcun più degno. Beilo
era, ed a ciascun cosi parea; Ma di molto egli ancor piò si tenea. Non stimava
egli tanto per l'altezza Del grado suo, d'avere ognun minore; Né tanto, che di
genti e di ricchezza, Di tutti i re vicini era il maggiore; Quanto, che di
presenzia e di bellezza Avea per tutto '1 mondo il primo onore. Godea, di
questo udendosi dar loda, Qnanto di cosa volentier più s' oda. 7 Dico (rispose
Fausto) che, secondò Ch io veggo, e che parlarne odti a Nella bellezza hai
pochi pari al monda; E questi pochi io Vt resfrioo in nca. Quest'uno è nn
fraiel iiiì< detto tììo Eccetto hii, ben crederò eh' ognnm Di bella molto
addietro tu ti las?i; Ma questo sol credo t' aileg'uì e 8 Al re parve
ìmpossibil cosa udiri,.; Che sua la palma infin allora tenne; E d'aver
conoscenza alto delire Di sì lodato gióvene gli venne. Fe sì coti Fausto, che
di far venÌTt Quivi il fratel prometter gli co a reni Bench'a poterlo indur che
ci veuiMt Saria fatica, e la cagìon gli dìs: CLeU suo fratello era uom cbe
mosmi Mai non avea di Roma alla m& vita",' Che, eì ben die fortuna gli
concede, Tranquilla e seu affanni avea nuirit La ruba di eli e 1 padre il
lascia eredi j Né mai creaci uta avea né minili tu;E che parrebbe n Ini Pavia
lontana Pift che non parria a un altro ire ali" 10 E la difficnltà saria
inagJore A poterlo spiccar dalla moglire, Con cui legflto era di tanro amore,
Che non volendo lei, non può volere. Pur" per uh hi il ir hiì che
gli" è Bgnore, DkQ d'atiilftre, e fare oltre il ptere Gjunse il re a'
prìeghì tali ofFertfl e àm. Che di negar non gli lasciò ragioni. 11 Partisse, e
in pochi giorni ritroT(vs.<" Dentro di Koma alh patenie t'&s Quivi
tantopregù, che 1 fratel m Sì, eh' a venire al re gli permiaset E fece ancor
(benché rìifficii fosse) p Che la cognata tacita rimase, Proponendole il ben
che ti uscì ria. Oltre ch'obbligo sempre egli raTria Stiii;ìii 13.Fìsse
Giocondo alla partita il giorno: Trovò cavalli e servitori intanto; Vesti fé'
far per comparire adomo, Che talor cresce una beltà un bel manto. La notte a
lato, e 1 di la moglie intorno, Con gli occhi ad or ad or pregni di pianto, Gli
dice ohe non sa come patire Potrà tal lontananza, e non morire; 3 Che
pensandovi sol, dalla radice Sveller si sente il cor nel lato manco. Deh, vita
mia, non piagnere, le dice Giocondo; e seco piagne egli non manco. Cosi mi sia
questo cammin felice. Come tornar vo' fra dao mesi almanco:Né mi farla passar d
un giorno il segno, Se mi donasse il re mezzo il suo regno. 4 Né la donna per
ciò si riconforta: Dice che troppo termine si piglia; E s' al ritorno non la
trova morta, Esser non può se non gran maraviglia. Non lascia il duol che
giorno e notte porta, Che gustar cibo e chiuder possa ciglia; Talché per la
pietà Giocondo spesso Si pente ch'ai fratello abbia promesso. 5 Dal collo un
suo monile ella si sciolse. Ch'una crocetta avea riccadi gemme, E di sante
reliquie che raccolse In molti luoghi un peregrin boemme; Ed il padre di lei,
ch'in casa il tolse Tornando infermo di Gemsaleune, Venendo a morte poi ne
lasciò erede: Questa levossi, ed al marito diede. 16 E che la porti per suo
amore al collo Lo prega, si che ognor gli ne sovvenga. Piacque il dono al
marito ed accettollo; Non perchè dar ricordo gli convenga:Che né tempo né
absenzia mai dar crollo, Né buona o ria fortuna che gli avvenga, Potrà a quella
memoria salda e forte C ha di lei sempre, e avrà dopo la morte. 17 La notte
ch'andò innanzi a quell'aurora Che fu il termine estremo alla partenza. Al suo
Giocondo par ch'in braccio muora La moglie, che n' ha tosto da star senza. Mai
non si dorme; e innanzi al giorno un'ora Viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo, e si partì in effetto; E la moglier si ricorcò nel letto. 18
Giocondo ancor duo miglia ito non era, Che gli venne la croce raccordata,
Ch'avea sotto il guancial messo la sera, Poi per obblivìon l'avea lasciata.
Lasso ! dicea tra sé, di che maniera Troverò scusa che mi sia accettata, Che
mia moglie non creda che gradito Poco da me sia l'amor suo infinito? 19 Pensa
la scusa; e poi gli cade in mente. Che non sarà accettabile uè buona, Mandi
famigli, mandivi altra geate, S'egli medesmo non vi va in persona. Si ferma, e
al f ratei dice: Or pianamente Fin a Baccano al primo albergo sprona, Che
dentro a Roma è forza eh' io rivada:E credo anco di giugnerti per strada. 20
Non potria fare altri il bisogno mio: Né dubitar, eh' io sarò tosto teco. Voltò
il ronzin di trotto e disse: Addio; Né de' famigli suoi volse alcun seco. Già
cominciava, quando passò il rio. Dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco. Smonta
in casa; va al letto; e la consorte Quivi ritrova addormentata forte. 21 La
cortina levò senza far motto, E vide quel che men veder credea; Che la sua
casta e fedel moglie, sotto La coltre, in braccio n un giovene giacca.
Riconobbe 1' adultero di botto, Per la pratica lunga che n'avea; Ch' era della
famiglia sua un garzone, Allevato da lui, d'umìl nazione. 22 S' attonito
restasse e mal contento, Meglio é pensarlo e fame fede altrui, Ch'esserne mai
per far l'esperimento Che con suo gran dolor ne fé' costui. Dallo sdegno
assalito, ebbe talento Di trar la spada, e ucciderli ambedui; Ma dall' amor che
porta, al suo dispetto, Air ingrata moglier, gli fu interdetto. 23 Né lo lasciò
questo ribaldo amore (Vedi se si l'avea fatto vassallo) Destarla pur, per non
le dar dolore.Chefosse da lui colta in si gran fallo. Quanto potè più tacito
uscì fuore, Scese le scale, e rimontò a cavallo; E punto egli d'amor, cosi lo
punse, Ch' all' albergo non fu, che '1 fratel giunse. 24 Cambiato a tutti parve
esser nel volto; Vider tutti clieU cor non area lieto: Ma non vè chi s apponga
già di molto, £ possa penetrar nel suo secreto. Credeano che da lor si fosse
tolto Per gire a Roma, e gito era a Corneto. Ch'amor sia del mal causa ognun
s'avvisa; Ma non è già chi dir sappia in che guisa. 27 Par che gli occhi si
ascondan nella t"u Cresciuto il naso par nel viso scarno: Della beltà si
poca gli ne resta, Che ne potrà far paragone indarno. Col duol venne una febbre
si molesta, Che lo fé' soggiornar all'Arbia e all'Ani/ E se di bello avea
serbata cosa, Tosto restò come al sol colta rosa. ''X'yrfrn''''Stanza 21.25
Estimasi il fratel che dolor abbia D'aver la moglie sua sola lasciata; E pel
contrario duolsi egli ed arrabbia Che rimasa era troppo accompagnata. Con
fronte crespa e con gonfiate labbia Sta r infelice, e sol la terra guata.
Fausto eh' a confortarlo usa ogni prova, Perchè non sa la causa, poco giova. 26
Di contrario liquor la piaga gli unge, E dove tor dovria, gli accresce doglie:
Dove dovria saldar, più l'apre e punge: Questo gli fa col ricordar la moglie.
Né poa di né notte: il sonno lunge Fugge col gusto, e mai non si raccoglie; E
la faccia, che dianzi era si bella, Si cangia d, che più non sembra quella. 28
Oltre eh' a Fausto incresca del fratdlo, Che veggia a simil termine condatto,
Via più gì' incresce che bugiardo a quello Principe, a chi lodollo, parrà in
tutto. Mostrar di tutti gli uomini il pia bello avea promesso, e mostrerà il
più bnr. 3Ia put continuando la sua via, Seco lo trasse alfin dentro a Pavia.
non mostrarsi di giudicio privo: Ma per lettere innanzi gli dà avviso, Che'l
suo fratel ne viene appena vivo; E eh' era stato all' aria del bel viso affanno
di cor tanto nocivo. da una febbre ria, Che più non parca quel eh' esser solia.
Grata ebbe la venuta di Giocondo, Che non avea desidei;ato al mondo Cosa
altrettanto, che di lui vedere. Né gli spiace vederselo secondo, E di bellezza
dietro rimanere; Benché conosca, se non fosse il male, Che gli saria superiore
o uguale. Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio; Lo visita ogni giorno, ogni
ora n' ode; Fa gran provvision che stia con agio, E d'onorarlo assai si studia
e fÀt. Langue Giocondo; chè'l pensier malvagio C ha della ria moglier, sempre
\o rode: Né '1 veder giochi, né musici udire, Dramma del suo dolor può minuire.
32 Le stanze sue, che sono appresso al tetto L'ultime, innanzi hanno una sala
antica. Quivi solingo (perché ogni diletto, Perch'ogni compagnia prova nimica)
Si ritraea, sempre aggiungendo al petto Di più gravi pensier nuova fatica; E
trovò quivi (or chi lo croderia?) Chi lo sanò della sua piaga ria. In capo
della sala, ove è più scuro (Che non vi s'usa le finestre aprire), Vede cbe
palco mal si giunge al muro, E fa d'aria più chiara un raggio uscire. Pon r
occhio quindi, e vede quel che duro A creder fora a chi T udisse dire: Non
l'ode egli d'altrui, ma se lo vede; Ed anco agli occhi suoi propri non crede.
34 Quindi scopria della rena tutta La più secreta stanza e la più hella, Ove
persona non verria introdutta, Se per molto fedel non l'avesse ella. Quindi
mirando vide in strana lutta, Oh' un nano avviticchiato era con quella; Ed era
quel piccin stato si dotto, Che la regina avea messa di sotto. 35 Attonito
Giocondo e stupefatto, E credendo sognarsi, nn pezzo stette; £ quando vide par
chegli era in fatto, E non in sogno, a sé stesso credette. A uno sgrignato
mostro e contraffatto, disse, costei si sottomette, Che'l maggior re del mondo
hapermarito,Più bello e più cortese? Oh che appetito! 86 E della moglie sna,
che così spesso Più drogai altra biasmava, ricordosse, Perchè U ragazzo savea
tolto appresso; Ed or gli parve che scasabil fosse. Non era colpa sua più che
del sesso, Che dnn solo aomo mai non contentosse: E shan tatto ana macchia dano
inchiostro, Almen la sua non s' avea tolto un mostro. 87 n di seguente, alla
medesima ora, Al medesimo loco fa ritorno; E la regina e. il nano vede ancora,
Che fanno al re par il medesmo scorno. Trova P altro dì ancor che si lavora, E
V altro; e alfin non si fa. festa giornoE la regina (che gli par più strano)
Sempre si duol che poco Tami il nano. 38 Stette fra gli altri un giorno a
veder, chella Era turbata e in gran malenconia, Che due volte chiamar per la
donzella Il nano fatto avea, né ancor venia. Mandò la terza volta; et adi
quella. Che: Madonna, egli giucca: riferia; E per non stare in perdita d'un
soldo, A voi niega venire il manigoldo. 39 A si strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhi e il viso, E, quale in nome, diventò giocondo
D'effetto ancora, e tornò il pianto in riso. Allegro toma e grasso e rubicondo.
Che sembra un cherubin del Paradiso; Che'l re, il fratello e tutta la famiglia
Di tal mutazi'on si maraviglia. 40 Se da Giocondo il re bramava udire Onde
venisse il subito conforto. Non men Giocondo lo bramava dire, E fare il re di
tanta ingiuria accorto. non vorria che più di sé, punire Volesse il re la
moglie di quel torto, Si che per dirlo, e non far danno a lei, n re fece giurar
su l'agnusdei. 41 Giurar lo fé', che nò per cosa detta, Né che gli sia mostrata
che gli spiaceu, Ancorch'egli conosca che diretta Mente a sua Maestà danno si
faccia, Tardi o per tempo mai farà vendetti: E di più, vuol ancor che se ne
taccia; che né il malfattor giammai comprerà fatto 0 in detto, che'l re il caso
loiaiiL 42 II re, eh' ogni altra cosa, se non qoeiu. Creder potria, gli givarò
largamente. Giocondo la cagion gli manifesta, Ond'era molti dì .stato dolente:
Perché trovata avea la disonesta Sua moglie in braccio d'un suo vii sageiu: E
che tal pena alfin l'avrebbe morto, Se tardato a venir fosse il conforto. 43 Ma
in Casa di Sua Altezza avea vedot" Cosa che molto gli scemava il duolo;
Che sebbene in obbrobrio era caduto, Cosi dicendo, e al bucolin venuto, Gli
dimostrò il bruttissimo omiccioolo, Che la giumenta altrui sotto si tiene,
Tocca di sproni, e fa giuocar di scheoe. 44 Se parve al re vituperoso l'atto,
Lo crederete ben, senza eh' io '1 giuri. Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
Ne fu per dar del capo in tutti i mini: Fu per gridar, fu per non stare al
patto; Ma forza é che la bocca alfin ai tori, E che l'ira trangugi amara ed
aera. Poiché giurato avea su l'ostia sacra. 45 Che debbo far, che mi consigli,
frate, Disse a Giocondo, poiché tu mi tolli Che con degna vendetta e crudeltatc
Questa giustissima ira io non satolli? Lasciam, disse Giocondo, queste ingrate,
E proviam se son l'altre cosi molli: Facciam delle lor femmine ad altrui Quel
ch'altri delle nostre han fatto a ""• 46 Ambi gioveni siamo, e di
bellezia Che facilmente non troviamo pari. Qual femmina sarà che n'usi
asprezza? Se centra i brutti ancor non han ripari r Se beltà non varrà né
giovinezza, Varranno almen l'aver con noi danari Non vo' che tomi, che non abbi
prima Di mille mogli altrui la spoglia opim La lunga absenzia, il veder vari
luoghi, Praticare altre femmine di fuore. Par che sovente disacerbi e sfoghi
Dell amorose passioni il core. Landa il parer, nò vuol che si proroghi Il re r
andata, e fra pochissime ore Con dao scudieri, oltre alla compagnia Del cavaUer
roman, si mette in via. 48 Travestiti cercaro Italia, Francia, Le terre de'Fiamminghi
e degl'laglesi; E quante ne vedean di bella guancia, Trovavan tutte a' prieghi
lor cortesi. Davano, e data loro era la mancia; E spesso rimetteano i danar
spesi. Da lor pregate foro molte, e foro Anch' altrettante che'pregaron Joro.
49 lu questa terra un mese, in quella dui Soggiornando, accertarsi a vera prova
Che non men nelle lor . che nell' aitimi Femmine, fede e castità si trova. Dopo
alcun tempo increbbe ad ambedui Di sempre procacciar di cosa nuova; Che mal
poteano entrar neir altrui porte, Senza mettersi a rischio della morte. 51 Una
(senza sforzar uostro potere, quando il naturai bisogno inviti) In festa
goderemoci e in piacere; Che mai contese non avrem, né liti. Né credo che si
debba ella dolere; Che s'anco ogni altra avesse duo mariti. Più eh' ad un solo,
a duo sarìa fedele, Né forse s'udirian tante querele. Stanza 52. 50 Gli è
meglio una trovarne, che di faccia £ di costumi ad ambi grata sia. Che lor
comunemente soddisfaccia, E non n'abbin d'aver mai gelosia. E perchè, dicea il
re, vub' che mi spiaccia Aver più te eh' un altro in compagnia? So ben eh' in
tutto il gran femmineo stuolo Una non è che stia contenta a un solo. 52 Di quel
che disse il re, molto conttfuto Rimaner parve il giovineromano.Dunque fermati
iu tal proponimento, Cercar molte montagne e molto piano. Trovaro alfin,
secondo il loro intento, Una figliuola d'uno ostiero ispano, Che tenea albergo
al porto di Valenza, Bella di modi e bella di presenza. 53 Era ancor sul fiorir
di primavera Sua tenerella e quasi acerba etade. Di molti figli il padre
aggravat' era, Si eh' a disporlo fìi cosa leggiera, Che desse lor la figlia in
potestade; Ch'ove piacesse lor potesson trarla, Poiché promesso avean di ben
trattarla. 54 Pigliano la fanciulla, e piacer n'haiuo Or l'uno or T altro, iu
caritode e in pace, Come a vicenda i mantici che danno, Or l'uno or l'altro,
fiaty alla fornace. Per veder tutta Spagna indi ne vanno, E passar poi nel
regno di Siface: E'I di che da Valenza si partirò, Ad albergare a Zattiva
veniro. 55 I patroni a veder strade e palaza Ne vanno, e lochi pubblici e
divini, Ch'usanza han di pigliar simil sollaffi; In ogni terra ov'entran
peregrini, E la fanciulla resta coi ragazzi Altri i letti, altri acconciano i
ronzini, Altri hanno cura che sia alla tornata Dei signor lor la cena
apparecchiata. 56 Nell'albergo un garzon stava per fante, Ch' in casa della
giovene già stette A' servigi del padre, e d'essa amante Fu da' primi anni, e
del suo amor godette. Ben s' adocchiar, ma non ne fér semhunte Ch'esser notato
ognun di lor temette: Ma tosto ch'i patroni e la famiglia Lor dieron luogo,
alzar tra lor le cigli" II fante domandò do? ella gisse, E qnal dei dao
signor P avesse seco. A ponto la Fiammetta il fatto disse (Così avea nome, e
quel garzone il Greco). Quando sperai che 1 tempo, oiraè ! venisse (Il Greco le
dicea) di viver teco, Fiammetta, anima mìa, tu te ne vai, E non so più di
rivederti mai. 58 Fannosi i dolci miei disegni amari, Poiché sei d'altri, e
tanto mi ti scosti. Io disegnava, avendo alcun danari Con gran fatica e gran
sudor riposti, Ch' avanzato m' avea de' miei salari E delle bene andate di
molti osti. Di tornare a Valenza e domandarti Al padre tuo per moglie, e di
sposarti. ((;¦(//'(, 'y.i)' stanca M. d La fanciulla negli omeri si stringe, E
rispomle che fu tardo a venire, riaiige il Greco e sospira, e parte finale,
Vuummi, dice, lisciar così morire? Con le tue braccia i fianchi almen mi cinye;
Lanciami disfogar tanto desire: i.V innanzi che tu parta ugni momento riifì
leco io iitìai mi fa morir cunteut. 60 La pietosa fanciulla rispondendo: Credi,
dicea, che meri di te noi bramo \ Ma né luogo uè tempo ci comprendo Qui, dove
in mezzr" di tanti occhi siamo. Il Greco aoggiungea: Certo mi rendo, Che
a' un terzo ami me di quel eh' io t' amo, In questa notte alineu troverai loco
Che ei potrem godere insieme un poco. 61 Come potrò, diceagli la fanciulla, Che
sempre in mezzo a duo la notte giaccio?E meco or l'uno or Taltrp si trastulla,
E sempre all'un dì lor mi trovo in braccio? Questo ti fia, soggiunse il Greco,
nulla; Che ben ti saprai tor di questo impaccio, E uscir di mezzo lor, purché
tu voglia: E dèi voler, quando di me ti doglia. 62 Pensa ella alquanto, e poi
dice che vegna Quando creder potrà eh' ognuno dorma; E pianamente come far
convegna, E dell'andare e del tornar l'informa. Il Greco, si come ella gU
disegna. Quando sente dormir tutta la torma. Viene all'uscio e lo spinge, e
quel gli cede: Entra pian piano, e va a tenton col piede. 63 Fa lunghi i passi,
e sempre in quel di dietro Tutto si ferma, e l'altro par che muova A guisa che
di dar tema nel vetro; Non che'l terreno abbia a calcar, ma l'uova: E tien la
mano innanzi simil metro; Va brancolando infin che '1 letto trova; E di là dove
gli altri avean le piante, Tacito si cacciò col capo innante. 64 Fra l'una e
l'altra gamba di Fiammetta Che snpiia giacea, diritto venne; E quando le fu a
par, l'abbracciò stretta, E sopra lei sin presso al di si tenne. Cavalcò forte,
e non andò a staffetta. Che mai bestia mutar non gli convenne: Che questa pare
a lui che si ben trotte. Che scender non ne vuol per tutta notte. 65 Avea
Giocondo ed avea il re sentito Il calpestio che sempre il letto scosse; E r uno
e l'altro, d'uno error schernito, S'avea creduto chel compagno fosse. Poi
ch'ebbe il Greco il suo cammin fornito, Si come era venuto, anco tornosse.
Saettò il Sol dall' orizzonte i raggi; Sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.
66 II re disse al compagno motteggiando:Frate, molto cammin fòtto aver dei; E
tempo ò ben che ti riposi, quando Stato a cavallo tutta notte sei. Giocondo a
lui rispose di rimando, E disse: Tu di' quel eh' io a dire avrei, A te tocca
posare, e prò ti faccia; Che tutta notte hai cavalcato a caccia. 67 Anch' io,
soggiunse il re, senza alaa L Lasciato avria il mio can correre un tn& Se
m' avessi prestato un po' il caTallo, Tanto che '1 mio bisogno avessi futto.
Giocondo replicò: Son tuo vassallo, E puoi far meco e rompere ogni tto; Si che
non convenia tal cenni usare; Ben mi potevi dir: Lasciala stare. 68 Tanto
replica l'no, tanto soggiunge L'altro, che sono a grave lite insieme. Vengon
da' motti ad un parlar che pm; Ch' ad amenduo l'esser beffato preme. Chiaman
Fiammetta (che non era Inuge, E della fraudo esser scoperta teme). Per fare in
viso l'uno all' altro dire Quel che negando ambi parean mentile. 69 Dimmi, le
disse il re con fiero sguardo, E non temer di me né di costui: Chi tutta notte
fu quel sì gagliardo, Che ti godè senza far parte altroi? Credendo Tun provar
l'altro bugiardo, La risposta aspettavano ambeduL Fiammetta a' piedi lor si
gettò incerta Di viver più, vedendosi scoperta. 70 Domandò lor perdono, che
d'amore, Ch'a un giovinetto avea portato, spinta, E da pietà d'un tormentato
core, Che molto avea per lei patito. Tinta, Caduta era la notte in quello
enore: E seguitò, senza dir cosa finta. Come tra lor con speme si condusse, Ch'
ambi credesson che '1 compagno tm 71 D re e Giocondo si guardare in tìm, Di
maraviglia e di stupor confasi: Né d'aver anco udito lor fu avTiso, Ch' altri
duo fiisson mai così delusi:Poi scoppiare ugualmente in tanto riso. Che, con la
bocca aperta e gli occhi chlaà, Potendo a pena il fiato aver del petto.
Addietro si lavsiàr cader sul letto. 72 Poi eh' ebbon tanto riso, che ' Se ne
sentiano il petto, e pianger gUocdu. Disson tra lor: Come potremo avere
Guardia, che la moglier non ne raccocdu. Se non giova tra duo questa tenere, E
stretta sì, che l'uno e l'altro tocchi? Se più che crini avesse occhi il mòto,
Non potria far che non fosse tradito. Provate mille abbiamo, e tutte belle; Né
di tante una è ancor che ne contraste. Se proviam l'altre, fian simil
anch'elle: Ma per nltima prova costei baste. Donqne possiam creder che più
felle Non sien le nostre, o men dell' altre caste:E se son come tutte P altre
sono, Che torniamo a godercile fia buono. 74 Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar
fero Per Fiammetta medesima il suo amante; E in presenzia dì molti gli la diero
Per moglie I e dote che gii fu bastante Poi montare a C41T!ìUo> e il lor
sentiero cuberà a Poneute volsero a Levante; Ed alle mogli lor ae ne tomaro, Di
eh' affanno mai più non ai pigli aro. 75 Lostìer qui fìae alla ua istoria pose,
Olle fu con molta attenzione udita. UdìlU il Saracin, né gli rispose Parolft
mai, finché non fu finita Pui disse; Io credo hen clie lìeil'ascoae Femmìnil
frode sia copia infinita i Né si potrla della millesma parte Tener memoria con
tutte le carte. 76 Quivi era un uom d'età, eh ave a più retta Opiuion degli
altri, e ingegno e ardire; E non potendo ormai che b\ uegletta Ogni femmina
fosse,più patire; 8i Tolae a quel ch avea V istoria detta E li diafse: Assai
cose udimmo dire Che Terìtade in sé non hanno alcuna; E ben di queste è la tua
favola una. 77 A chi te la narrò non dci credenza, S eTaogelista ben foga e nel
resto; Ch'Opinione, più di' esperienza Ch abbia di donne, Io facea dir questo.
V avere ad una o due tn ali vo lenza, Fa ch'odia e bìaiìraft T altre oltre air
onesto; 3Ia se gli passa rìra, io vo'tu Toda Più eh ora biaarao, anco dar lor
gran loda, 78 E ae Torrà lodarne, avrà maggiore Il (;ampo assai, eh' a dirne
mal non ebbe; Di cento potrà dir degne d onore, Verso una trista che bìasmar si
debba Non biasmar tutte, raa serbarne fuore La hontA d'inlinite si dovrebbe; E
se U Valerio tuo disse altri men te, Disse per ira, e non per quel che sente.
79 Ditemi un poco: è di Toi forse alcuno Ch abbia servato alla sua moglie fede?
Che nieghi andar, quando gli sia opportuno. Air altrui donna, e darle ancor
mercede? Credete in tutto U mondo trovarne uno?Chi '1 dice, mente; e folle è
ben chi '1 crede. Trovatene vo' alcuna che vi cliiami? (Non parlo delle
pubbliche ed infami). &tajì£a 76. 80 Conoscete alcun voi, che non Jasciasse
La moglie sola, ancorché fosse bella, Per seguire altra donna, se sperasse In
breve e facilmente ottener quella? Che farebbe egli, quando lo pregase, 0 dense
premio a lui donna o donzella? Credo, per compiacere or queste or quelle, Che
tutti lasceremmovi la pelle. 91 Quelle che 1 Io? mariti hanno lasciati Le più
volte cagione avuta n hanno Del suo di casa li veggon svogliati, E e II e fuor
de IP altrui brAmosi vanno Dovriano amar, volendo essere amati; E tor cou la
misura eh' a lor danno. Io farei (se a me stesse il darla e tfìnre) Tal legge,
eh' uom non vi potrebbe opporre. 82 Saria la legge, ch'ogni donna cólta In
adulterio, fosse messa a morte, Se provar non potesse ch'ana volta Avesse
adulterato il suo consorte; Se provar lo potesse, andrebbe asciolta, Né temeria
il marito né la corte. Cristo ha lasciato nei precetti suoi: Non far altrui
quel che patir non vuoi. 83 La incontinenza è quanto mal si puote Imputar lor,
non già a tutto Io stuolo. Ma in questo, chi ha di noi più brutte note? Che
continente non si trova un solo. E molto più n'ha ad arrossir le gote, Quando
bestemmia, ladroneccio, dolo, Usura ed omicidio, e se v'è peggio, Raro, se non
dagli uomini, far veggio. 84 Appresso alle ragioni avea il sincero E giusto
vecchio in pronto alcuno esempio Di donne che né in fatto né inpensiero Mai di
lor castità patiron scempio. Ma il Saracin, che fuggìa udire il vero, Lo
minacciò con viso crudo ed empio, Sì che lo fece per timor tacere; Ma già non
lo mutò di suo parere. 85 Posto ch'ebbe alle liti e alle contese Termine il re
pagan, lasciò la mensa: Indi nel letto, per dormir, si stese Fin al partir
dell'aria scura e densa; % Ma della notte, a sospirar l'offese Più della donna,
eh' a dormir, dispensa. Quindi parte all'uscir del nuovo raggio, E far disegna
in nave il suo viaggio. 86 Però ch'avendo tutto quel rispetto Ch'a buon cavallo
dee buon cavaliero, A quel suo bello e buono, ch'a dispetto Tenea di Sacripante
e di Ragfifiero; Vedendo per duo giorni averlo stretto Più ci? e non si dovria
si buon destriero. Lo pon, per riposarlo, e lo rassetta In una barca, e per
andar più in fretta, 87 Senza indugio al nocchier varar la barca, E dar fa i
remi all'acqua della sponda. Quella, non molto grande e poco carca, Se ne va
per la Sonna giù a seconda. Non fugge il suo pensier, né se ne scarca Rodomonte
per terra né per onda: Lo trova in su la proda e in su la poppa:E se cavalca,
il porta dietro in groppa. 88 Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede, E di fuor
caccia ogni conforto e sem. Di ripararsi il misero non vede, Dappoiché gli
nemici ha nella terra. Non sa da chi sperar possa mercede, Se gli fanno i
domestici snoi guerra: La notte e '1 giorno sempre è comhattnu Da quel crudel
che dovria dargli aiuto. 89 Naviga il giorno e la notte seguente Rodomonte col
cor d'affanni grave: E non si può l'ingiuria tor di mente. Che dalla donna e
dal suo re avuto hAn; E la pena e il dolor medesmo sente, Che sentiva a
cavallo, ancora in nave: Né spegner può, per star nell'acqua, fi faoa Né può
stato mutar, per mutar loco. 90 Come l'infermo che, dirotto e stinco Di febbre
ardente, va cfingiando lato; 0 sia su l'uno, o sia su l'altro fianco, Spera
aver, se si volge, miglior stato; Né sul destro riposa né sul manco, E per
tutto ugualmente é travagliato: Così il Pagano al male, ond'era inferno, Mal
trova in terra e male in acqut scherno. 91 Non puote in nave aver più pazienza,
E si fa porre in terra Rodomonte. Lion passa e Vienna, indi Valenza, E vede in
Avignone il ricco ponte; Che queste terre ed altre ubbidienza. Che son tra il
fiume e '1 celtibero monte, Rendean al re Agramante e al re dì Spag" Dal
di che fùr signor' della campagna. 92 Verso Aoquamorta a man dritta si tesse
Con animo in Algier passare in fretta: E sopra un fiume ad una vUia venne E da
Bacco e da Cerere diletta, Che per le spesse ingiurie che sostenne Dai soldati,
a votarsi fu costretta. Quinci il gran mare, e quindi nell'apriche Valli vede
ondeggiar le bionde spiche. 93 Quivi ritrova una piccola chiesa Di nuovo sopra
un monticel murata. Che, poich'intorno era la guerra accesa, 1 sacerdoti vota
avean lasciata. Per stanza fu da Rodomonte presa; Che pel sito, e perch'era
sequestrata Dai campi, onde avea in odio udir noteil" Gli piacque ri, che
mutò Algierì in qn"U Mutò d'andare in Africa pensiero: Sì comodo gli parve
il luogo e bello. Famigli e carriaggi e il suo destriero Seco alloofgiar fé'
nel medesmo ostello. Vicino a poche leghe a Mompoliero, E ad alcun altro ricco
e buon castello Siede il villaggio a lato alla riviera; Si che d'avervi ogni
agio il modo v' era. > Stanilo vi un giofiio il Sjiraciii pen.:>j?o (Come
imr era it più del tempo u3:\to), Vide venir per mezzo un prato erboso Ohe iV
un piccol aentiero era seiuto, Una dimzellii rlì vio amoroso In cosiipatrob
d'uà monaco barbEtto; E si trieaiio dietro nu |?:ran destriero Sotto una soma
coperta "li nero. 6 Chi la donzclb, cbiU monnco sìa, Chi portin Sicm, vi
debb esser chiaro. Conoscere Isabella t dovria.Che '1 corpo tivea <!el suo inerbino
caro. Lasciai che per Provenza ne venia Sotto la scorta del vecchie preclaro,
Che le avea persuaso tutto il reato Dicaie a. Dio Jel suo vivere onesto. 7 Come
oh è Ìii vi>o pallida e smarrita Sia la doniella, ed abbia [ crini iticootì;
E facciano i so?3j)ir coutimiaudtii Del petto acceso, e gli occhi sìen duo
fonti; altri testiraoui d'una vita Misera e grave in lei si veggan pronti;
Tanto i>erò di bello anco le avama Che con le Grazie Amor vi pu(> aver
stanza, 18 Toito elle 'l Saracin vi(ìe la bella Donna apjiarir, messe il
pensiero al fondo, Ch'area di biaamar sempre e d orlìar i|UelJa Schiera gentil
clu pur aflorna il mondo. E ben gli par dignissima Isabella, In cui locar debba
ìl suo amor secondo E spegner totalmente il primo, a modo Che daUaase si trae
chiodo con chiodo, )9 Incontra se le fece, e cnl pìiì m<dle Parlar che
seppe, e col mitili or sembiante, Di sua condizione domandolle: Ed ella oui
pensier gli spif?gÒ innante; Come era per laciare il mondo folle, E far<3i
amica a Dio con opre sante. Ride il Paghino stUicr, clf in Dio wììì erede
D'ogni legge nimico e d' ogni fede: 100 E chiama intenzione erronea e lieve, E
dice che per certo ella troppo erra; Né men biasmar che P avaro si deve, Che'l
suo ricco tesor metta sotterra: Alcuno util per sé non ne riceve, E dalPuso
degli altri uomini.il serra. leon si denno, orsi e serpenti, . E non le cose
belle ed innocentistanza 89. 101 II monaco chU questo avea P orecchia, E per
soccorrer la giovane incauta, Che ritratta non sia per la via vecchia, Hcilea
al governo qua! pratico nauta; Quivi di ispiri tal cibo apparecchia Tosto una
menstti sontuosa e lauta. Ma il Saracin, che con mal gusto nacque Non pur la
saporò, che gli dispiacque; 102 E poi cbMn vanti il monaci interroppe, H non
potè mai far si che tacesse E che di paiieuza il freno toppe Le mani aldosso
con furor gli mosse. Ma le parole mìe parervi troppe Potriauo omai, se più se
ne dicesse Sì che finirò il l'antri e mi fia specchio Quel che per troppo dire
accidde al vecchi ". N o t: St. 4. V.12. Astolfo: modiflcazione di
Aistulfo, come nelle storie si nomina quel re longobardo. Il fratti monaco:
Rachi, che abdicò la corona, e abbrac ciò la vita monastica. St. 9. V.8. Alla
Tana: al Tanaì, fiume di Rassia, oggi chiamato Don; e dagli antichi riguardato
come estremo accessibìl confine deirEnropa settentrìonale. St. 19. y. 6.
Baccano paesello con osteria a poche miglia da Roma. St. 20. V.5. IZ rio, il
Tevere. Usa Rio per fiume grosso, al modo degli Spagnuoli. St. 24. V.6. Comeio.
Città del già Stato Romano. Scherza con equivoco facile a capirsi. St. 27. V.6.
AWArbia e all'Arno; a Siena e a Fi renze, città denotate col nome di quei due
fiumi St. 40. V.8. VAgimBdti: qui significa Vostia sacra. St. 42, V.6. In
hrckceio d'un 9uo vii sergente: dì un suo vile ministro, o meglio di un garzone
di fami glia, come Fautore stesso lo chiama alla St. 21, v.7. ST. 54. V.68. Nel
regno di Sifaee: nella Numidia, e per estensione in Africa. Zattiva: Xativa,
città di Spagna, nel regno di Valenza. St. ò8. V.6. Bene andate: mance che si
danno ai garzoni degli albergatori. Osti: ospitL St. 83. V.3. Note: macchie,
colpe. St. 87. V.18. Varar la barca: farla scendere di terra in acqua.
Propriamente varare si dice de navigli nuovi o rifatti, che dai cantieri per
mezzo di nn piano inclinato si fanno scivolar in mare. Qai m intendere FAdosto,
che dar Vabrivo al naviglio, &f' pigliare il largo, poiché gli antichi, se
il legno mam o di giiLnde portata, usavano tirarlo alquanta da pRi in terra,
per assicurarlo da colpi del flusso e rifcr St. 89. V.8. Né pud stato mutar,
ptrnmUsrìùa Son parole di Dante inverse: E muta Ufffft paA niuta lato. St. 91.
V.36. Vienna: città di Francia noi D finato, Tra il fiume e' l eeltibero monte:
tra il E dano, fiume di Francia, e il monte Idabeda, dette f" tibero dal
Poeta, perchò sorge in quella reat deQi Spagna Tarraconese, che i Romani
denomiBanae Caf tiberia. St. 96. V.8. Dicare: dedicare. St. 97. V.28. Ed abbia
i eritii inconti: iaecls. rabbuffati, dal latino ineompiL Che con U Grut Amor,
ecc. Le Giazie" figliuole di Giove e di Euiws" 0, com' altri dicono,
di Bacco e di Venere, eraad e Eufrosina, Talia, ed Aglaia. Omero ne dùama oaa
f% sitea, e cosi Stazio, nel n libro della Tifoide. St. 98. V.8. Che dalV asse
si trae chiodo cm chiodo. Lo stesso concetto incontreremo al Cairto 1L\ St. 29;
e l'usò prima il Petrarca. Tr. d'Am., caf. Bl terz. 22: Come d'asse si trae
chiodo con chiodo. St. 101. V.8. Non pur la sapore, che gli diapiaetw appena
l'assaporò, gli, ecc.; non prima TassapOTò, eie gli, ecc. Triiita fine del
romito esortatore Iabolla, per serbare in pe Isolante sua castità, iijJucii
Rodoraoìite a decapitarla. Il pagano fabbrica imo strutto ponte sul fiume
vieitio, a Tu ji ri Rioni i cavalieri che vi s ìnibattoiio, o gii ucfile;o we
peno lu armi a trofeo Bai cimitero d'Isabella Capita ivi Urlando, c1j"ìi
aìuDacoii Hudomonte lo gelta nel tì\im% e lascia ùi Vìm:! segui di sua pazzia.
0 degli uomini inferma e instabii niente ! Come niam i>restì a viir'iax
disegno! Tatti i peusier mutiamo facilmente, Più "luel che nascua
d'amoroso sdegno, lo vidi diauKi il Saracin sì ardente Contrii le dui] ne e
ijasair tanto il seguo, Olie uun elle spegner l'odio ma p e usai Che noi
dovesse intiepidirlo mai. Donne gentil, per quel eli' et biasmo vostro rarlò
contra il dover, hi offeso sono, Che sin clic col suo mal non gli dimostro
Quanto abbia fatto error, non gli perdono. Io farò si con penna e con
inchiostro, Gh' ognun vedrà che gli era utile e buono Aver taciuto, e mordersi
anco poi Prima la lingua, che dir mal di voi. 8 Ma che parlò come ignorante e
sciocco, Ve lo dimostra chiara esperienzia. Incontra tutte trasse fuor lo
stocco Dell'ira, senza fervi differenzia: Poi d'Isabella nn sguardo si l'ha
tocco, Che sabito gli fe mutar sentenzia. Già in cambio di quell'altra la
disia: L'ha vista appena, e non sa ancor chi sia. 4 E come il nuo7o amor lo
punge e scalda, Muove alcune ragion di poco frutto, Per romper quella mente
intera e salda Ch'ella avea fissa al Creator del tutto. Ma l'Eremita, che Ve
scudo e falda, Perchè il casto pensier non siadistrutto, Con argumenti più
validi e fermi, Quanto più può, le fa ripari e schermi. 5 Poi che l'empio Pagan
molto ha sofferto Con lunga noia quel monaco audace, E che gli ha detto invan
ch'ai suo deserto Senza lei può tornar, quando gli piace; E che nuocer si vede
a viso aperto, E che seco non vuol triegua né pace; La mano al mento con furor
gli stese, E tanto ne pelò, quanto ne prese: 6 E sì crebbe la furia, che nel
collo Con man lo stringe a guisa di tanaglia; E poi eh una e due volte
raggirollo, Da sé per l'aria e Terso il mar lo scaglia. Che n'avvenisse, né
dico né sollo: Varia fama è di lui, né si ragguaglia. Dice alcun, che sì rotto
a un sasso resta, Che '1 pie non si disceme dalla testa:7 Ed altri, eh' a
cadere andò nel mare, Ch'era più dì tre miglia indi lontano, E che mori per non
saper notare, Fatti assai prieghie orazioni invano: Altri, eh' un Santo lo
venne aiutare, Lo trasse al lito con visibil mano. Di queste, qual si vuol, la
vera sia: Di lui non parla più l'istoria mia. 9 E si mostrò sì costumato allora.
Che non le fece alcun segno di forza li sembiante gentil che l'innamora,
L'usato orgoglio in lui spegne ed; E benché '1 frutto trar ne possa fiiora,
Passar non però vuole oltre alla aeom; Che non gli par che potesse esser bnoM,
Quando da lei non lo accettasse in dono. 10 E cosi di disporre a poco a poeo A'
suoi piaceri Isabella credea. Ella, che in sì solingo e strano loco, Qua! topo
in piede al gatto, si vedea, Vorria trovarsi innanzi in mezzo il foooo; E seco
tuttavolta rivolgea S' alcun partito, alcuna via fosse atta A trarla quindi
immaculata e intatta 11 Fa nell'animo suo proponimento Di darsi con sua man
prima la morte, Che '1 Barbaro crudel n'abbia il sao inteatc. E che le sia
cagion d'errar sì forte Centra quel cavalier ch'in braccio spenui Le avea
crudele e dispietata sorte; A cui fatto ave col pensier devoto Della sua
castità perpetuo voto. 12 Crescer più sempre 1' appetito cieco Vede del Re
pagan, né sa che farsL Ben sa che vuol venire all'atto bieco. Ove i contrasti
suoi tutti fien scarsi. Pur discorrendo molte cose seco, Il modo trovò alfiu di
ripararsi, E di salvar la castità sua, come Io vi dirò, con lungo e chiaro
nome. 13 Al brutto Saracin, che le venia Già centra con parole e con effetti
Privi di tutta quella cortesia Che mostrata le avea ne' primi detti: Se fate
che con voi sicura io sia Del mio onor, disse, e ch'io non ne soiettl Cosa
all'incontro vi darò, che molto Più vi varrà, ch'avermi l'onor tolto. 8
Rodomonte crudel,poi che levato S'ebbe da canto il garrulo Eremita, Si ritornò
con viso men turbato Verso la donna mesta e sbigottita; E col parlar eh' è fra
gli amanti usato, Dicea ch'era il suo core e la sua vita E'I suo conforto e la
sua cara speme, Ed altri nomi tai che vanno insieme. 14 Per un piacer di si
poco momento. Di che nha sì abbondanza tutto '1 mondo. Non disprezzate un
perpetuo contento. Un vero gaudio a nullo altro secondo. Potrete tuttavia
ritrovar cento E mille donne dì viso giocondo; Ma chi vi possa dar questo mio
dono, Nessuno al mondo, o pochi altri ci sono. Ho notizia d'un' erba, e l'ho
veduta Venendo, e so dove trovarne appresso, Che bollita con ellera e con ruta
Ad un fuoco di legna di cipresso, £ fra mani innocenti indi' premuta, Manda un
liquor, che chi si bagna d'esso Tre volte il corpo, in tal modo l'indura, Che
dal ferro e dal fuoco l'assicura. 16 Io dico, se tre volte se n'immolla, Un
mese invulnerabile si trova. Oprar conviensi ogni mese l'ampolla; Che sua virtù
più termine non giova. Io 80 far l'acqua, ed oggi ancor farolU, Ed oggi ancor
voi ne vedrete prova: E vi può, s'io non fallo, esser più grata. Che d'aver
tutta Europa oggi acquistata. Staiiz 6, 7 Da voi domando inguide rdon di
questo, Che su la fetle vostra mi giuriate, Che né In detto uè in opera molesto
Mai più sarete alla mia castimte. Cosi dicendo, Rodomonte oiieatti Fé ¦' r i
torna r, eh' 1 n tau ta tu 1 o " tate Venne ch'innulabìl si facesse, Cile
più ch ella uon dise, le iiromese:18 E serveralle finché vegga fiitto Della
mirabil acqua esperienza; E sforzerasae intinto a non fare atto, A nuli far
aegnf) alcun di violenta, Ma pensa puì di non tenere il patto Fercliè non ha
timor né riverenza Dì Dio u di Santi; e nel mancar di fede, Tutta il lui la h
un'iarda Afrit:a cede. 19 Ad Isabella il Re d'Algier scongiuri Di non la
molestar fé più di mille, Purch'essa lavorar l'acqua procuri, Che far lo può
qual fu già Cigno e Achille. Ella per balze e per valloni oscuri Dalle città
lontana e dalle ville Ric(tg1ie di molte erbe; e il Saracino Non l'abbandona, e
Tè sempre vicino. 20 Poi ch'in più parti, quant'era a bastanza, Colson
dell'erbe e con radici e senza. Tardi si ritornaro alla lor stanza; Dove quel
paragon di continenza Tutta la notte spende, che l'avanza, A bollir erbe con
molt' avvertenza:£ a tutta l'opra e a tutti quei misteri Si trova ognor presente
il e d'Algierij 21 Che producendo quella notte in giuoco Con lineili pochi
servi ch'eran seco, Sentia, per lo calor del vicin fuoco Ch'era rinchiuso in
quello angusto sfpeco, Tal sete, che bevendo or molto or poco. Due barili votar
pieni di greco, Ch' aveano tolto uno o duo giorni innanti I suoi scudieri a
certi viandanti. 25 Bagnossi, come disse, e lieta porse All'incauto Pagano il
collo ignudo; Incauto, e vinto anco dal vino forse, Incontra a cui non vale
elmo né scodo. Queir uom bestiai le prestò fede, e seofse Si colla mano e si
col ferro erodo, Che del bel capo, già d'Amore albergo. Fé' tronco rimanere il
petto e il tergo. 26 Quel fé' tre balzi; e fanne udita diian Voce, ch'uscendo
nominò Zerbino, Per cui seguire ella trovò si rara Via di fuggir di man del
Saracino. Alma, ch'avesti più la fede cara, E '1 nome, quasi ignoto e peregrino
Al tempo nostro, della castitade, Che la tua vita e la tua verde etade; 27
Vattene in pace, alma beata e bella, Cosi i miei versi avesson forza, come Ben
m'affaticherei con tutta qoella Arte che tanto il parlar orna e come, Perchè
mille e mill' anni, e più novella, Sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede, E lascia all' altre esempio di tua fede. 22
Non era Rodomonte usato al vino. Perchè la legge sua lo vieta e danna: E poi
che lo gustò, liquor divinoGlipar, miglior che '1 nettare o la manna; E
riprendendo il rito Saracino, Gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna. Fece il
buon vino, ch'andò spesso intorno, Girare il capo a tutti come un tomo. 28
All'atto incomparabile e stupendo. Dal cielo il Creator giù gli occhi volse, E
disse: Più di quella ti commendo, La cui morte a Tarquinio il regno tolse; E
per questo una legge fare intendo Tra quelle mie che mai tempo non sciolge, La
qual per le inviolabil acque gioro Che non muterà secolo futuro. 23 La donna in
questo mezzo la caldaia Dal fuoco tolse, ove quell'erbe cosse; E disse a
Rodomonte: Acciò che paia Che mie parole al vento non ho mosse. Quella che '1
ver dalla bugia dispaia, E che può dotte far le genti grosse. Te ne farò
l'esperienzia ancora. Non nell'altrui, ma nel mio corpo or ora. 29 Per
l'avvenir vo'che ciascuna ch'aggia Il nome tuo, sia di sublime ingegno, E sia
bella, gentil, cortese e saggia, E di vera onestade arrivi al segno: Onde materia
agli scrittori caggia Di celebrare il nome inclito e degno; Talché Parnassoy
Pindo ed Elicone Sempre Isabella, Isabella risuone. 24 Io voglio a far il
saggio esser la prima Del felice liquor di virtù pieno. Acciò tu forse non
facessi stima Che ci fosso mortifero veneno. Di questo bagnerommi dalla cima
Del capo giù pel collo e per lo seno: Tu poi tua forza in me prova e tua spada
Se questo abbia vigor, se quella rada. 30 Dio cosi disse, e fé' serena intomo
L'aria, e tranquillo il mar, più che mai fosse. Pe' r alma casta al terzo del
ritorno, E in braccio al suo Zerbin si ricondusse. Rimase in terra con vergogna
e scorno Quel fier senza pietà nuovo Breusse; Che, poi che '1 troppo vino ebbe
digesto Biasmò il suo errore, e ne restò funesto. Placare o in parte satisfar
pensosse All'anima beata d'Isabella, Se, poich'a morte il corpo le percosse,
Desse aUnen vita alla memoria d'ella. TroYò per mezzo, acciò che cosi fosse. Di
convertirle quella chiesa, quella Dove abitava, e dove ella fu uccisa. In un
sepolcro; e vi dirò in che guisa. 32 Di tutti i lochi intomo fa venire Mastri,
chi per am&rc e clii per tema; E fatto beti seimila uomini unire, Be' gravi
Rai??i i vicin monti scema, E ne €i una gran massa fitabìUre, Che dalla cima
era alla parte estrema Novanta braccia e vi rinehiade dentro La cliiesa, che i
duo amanti ave nel centro. 33 IniitA qua,si la superba mole Che fé' Adriano air
onda tiberina. Presso al sepolcro una torre alt4i vuole; Ch'abitarvi alcun
tempo sì ilestina. Un ponte stretto, e di due braccia sole. Fece su T acqua
clie correa vicina. Lnngo il ponte, ma largo era sì poco, Che dava appena a duo
cavalli loco; 4 A duo cavalli che venuti a paro, O eh' insieme si fossero
scontrati: E non avea uè sponda né riparo; E sì potea cader da tutti i lati. n passar
tiuimli vuol che costi caro guerrieri o pagani o battezzati: Che delle spoglie
lor mille trofei Promette al cimitero di costei > In dieci giorni e in manco
fu perfetta L'opra (iel ponticel che passa il fiume; Ma non fu già il sepolcro
così in fretta, Né la torre condotta al suo cacume: Pur fu levata si, ch'alia
veletta Starvi in cima una guardia avea coatnme, Che dogni cavalier che venia
ai ponte. Col corno facea segno a Rodomonte. 87 Aveasi immaginato il Saracino,
Che per gir spesso a rischio di cadere Dal ponticel nel finme a capo chinoi
Dove gli converrìa molt'acqoa bere, Del fallo a che Tindnsse il troppo vino,
Dovesse netto e mondo rimanere; Come l'acqua, non men che il vino, estingua
L'error che fa pel vino o mano o lingua. StajiTa 2à E quel s'armava, e se gli
venia a opporre Ora su Tuna ora su T altra riva: Che sei guerrier venia di vOr
la torre, 3u I' altra proda il Re dAlgier veniva, ri ponticello è il campo ove
si corre; E se '1 ilestrier poco del seguo usciva, Uadea nel finme ch'alto era
e profondo r Jgual perig:lio a quel non avea il mondo p Sfolti fra pochi di vi
capi taro Alcuni k via dritta vi condusse; Ch'a quei ch verso Italia o Spoa
andaro, Altra non era che più trita fusse: l'ardire, e più che vitA caro L'
onore, a farvi di sé prova indusse; E tutti, ove acquistar credeau la palma,
Lasciavan Tarme e molti insieme Talma. 39 Di quelli eh' abbattea, s' eran
Pagani, Si contentava d'aver spoglie ed armi; E di chi prima furo i nomi piaini
Vi facea sopra, e sòspeadeiale ai marmi: Ma ritén in prigion tutti i Cristiani
E che in Aigier poi li mandasse parmi. Finita ancor non era Popra quando stanza
29. 40 A caso venne il furioso Conte A capitar su questa gran riviera, Dove,
com'io vi dico, Rodomonte Fare in fretta facea, uè finita era La torre, né il
sepolcro, e appena il ponte; E di tutt'arme, fuorché di visiera, A quell'ora il
Pagan si trovò in punto, Gh' Orlando al fiume e al ponte è sopraggiunto. 41
Orlando (come il suo furor lo caccia) Salta la sbarra, é sopra il ponte corre,
Ma Rodomonte con turbata faccia, A pie, com'era innanzi alla gran torre, Gli
grida di lontano e gli minaccia, Né se gli degna con laspadaopporre:Indiscreto
villan, ferma le piante, Temerario, importuno ed arrogante. 42 Sol per signori
e cavalieri é fitto Il ponte, non per te, bestia balorda. Orlando, ch'era in
gran pensier distratto, Vien pur innanzi, e fa l'orecchia sorda. Bisosrna ch'io
castighi questo matto, Disse il Pagano; e con la voglia ingorda Venia per
traboccarlo giù nell'onda. Non pensando trovar chi gli risponda. 43 In questo
tempo una gentil donzella. Per passar sovra il ponte, al fiume arriva.
Leggiadramente ornata, e in viso bella, E nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, Signor) quella Che per ogni altra via cercando giva Di
Brandimarte, il suo amator, vestigi. Fuorché, dov'era, dentro di Parigi. 44
Nell'arrivar di Fiordiligi al ponte (Che cosi la donzella nomata era), Orlando
s'attaccò con Rodomonte, Che lo voleagittar, nella riviera. La donna, eh' anrea
pratica del Conte, Subito n' ebbe conoscenza vera; E restò d'alta maraviglia
piena. Della follìa ohe cosi nudo il mena. 45 Fermasi a riguardar che fine
avere Debba il furor dei duo tanto possenti. Per far del ponte l'un l'altro
cadere A por tutta lor forza sono intenti. Come é eh' un pazzo debba sì valere?
Seco il fiero Pagan dice tra' denti; E qua e là si volge e si raggira. Pieno di
sdegnoedisuperbia é d'ira. 46 Con l'una e l'altra man va ricercando Far nova
presa, ove il suo meglio vede: Or tra le gambe or fuor gli pone, quamlo arte il
destro, e quando il manco piede. Simiglia Rodomonte intorno a Orlando Lo
stolido orso, che sveller si crede Quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
47 Orlando, che l'ingegno avea sonimerso Io non so dove, e sol la forza usava.
L'estrema forza, a cui per l'universo Nessuno o raro paragon si dava; Cader del
ponte si lasciò riverso Col Pagano, abbracciato come stava. Cadon nel fiume, e
vanno al fondo insieme Ne salta in aria l'onda, e il lito geme. L'acqua li fece
distaccare in fretta. Orlando è nudo, e nuota com'un pesce: Di qua le braccia,
e di là i piedi getta, E viene a proda; e come di fuor esce, Correndo va, né
per mirare aspetta, Se in biasmo o in loda questo gli riesce. Ma il Pagau, che
dalfarme era impedito, Tornò più tardo e con più affimno ai lito. 49 Sicuramente
Fiordiligi intanto Avea passato il ponte e la riviera, E guardato il sepolcro
in ogni canto Se del suo Brandimarte insegna v'era. Poiché né Tarme sue vede né
il manto, Di ritrovarlo in altra parte spera. Ma ritorniamo a ragionar del
Conte, Che lascia addietro e torreefiume e ponte. 50 Pazzia sarà, se le pazzie
d'Orlando Prometto raccontarvi ad una ad una; Che tante e tante fnr, ch'io non
so quando Solenne ed attarda narrar cantando, E eh' air istoria mi parrà
opportuna; Né quella tacerò miracolosa. fu ne' Pirenei sopra Tolosa. 51
Trascorso avea molto paese il Conte, Come dal grave suo furor fu spinto; Ed
alfin capitò sopra quel monte, Per cui dal Franco é il Tarracon distinto;
Tenendo tuttavia vòlta la fronte Verso là dove il Sol ne viene estinto:E quivi
giunse in un angusto calle. Che pendea sopra una profonda valle. 52 Si vennero
a incontrar con esso al varco Duo boscherecci gioveni eh' innante Avean di
legna un lor asino carco: E perchè ben s' accorsero al sembiante Ch'avea di
cervel sano il capo scarco. Gli gridano con voce minacciante, 0 ch'addietro o
da pirte se ne vada, 0 che si levi di mezzo la strada. 53 Orlando non risponde
altro a quel detto, Se non che con furor tira d'un piede, E giunge a punto
l'asino nel petto Con quella forza che tutte altre eccede; Ed alto il leva si,
ch'uno augelletto Che voli in aria sembra a chi lo vede Quel va a cadere alla
cima d'un colle Ch' un mìglio oltre la valle il giogo estolle. 54 ludi verso i
duo gioveni s'avventa, Dei quali un, più chesenno, ebbe avventura: Che dalla
balza che due volte trenta Braccia cadea, si gittò per paura. A mezzo il tratto
trovò molle e lenta Una macchia di rubi e di verzura, cui bastò graffiargli un
poco il volto; Del resto, lo mandò libero e sciolto. Stanza S5. 55 L'altro
s'attacca ad un scheggion ch'usciva Fuor della roccia, per salirvi sopra;
Perché si spera, s'alia cima arriva. Di trovar via che dal pazzo lo copra. Ma
quel nei piedi (che non vuol che viva) Lo piglia, mentre di salir s'adopra; E
quanto più sbarrar puote le braccia. Le sbarra si, ch'in duo pezzi lo straccia;
56 A quella guisa che veggiam talora Farsi d'un aèron, farsi d'un pollo. Quando
si vuol delle calde interiora Che falcone o ch'astor resti satollo. Quanto é
bene accaduto che non muora Quel che fu a risco di fiaccarsi il collo! Ch'ad
altri poi questo miracol disse, Sì che l'udì Turpino, e a noi lo scrisse. 57 E
queste ed altre assai cose stupende Fece nel traversar della montagna. Dopo
molto cercare, alfin discende Verso merigge alla terra di Spagna; E lungo la
marina il cammin prende Oh' intomo a Tarracona il lito bagna: E come vuol la
furia che lo mena, Pensa farsi uno albergo in quell'arena, Dove dal Sole
alquanto si ricopra; E nel sabbion si caccia arido e trito. Stando così, gli
venne a caso sopra Angelica la bella e il suo marito, Ch'eran (siccome io vi
narrai di sopra) Scesi dai monti in su T Ispano lito. A men d'un braccio ella
gli giunse appresso. Perchè non s'era accorta ancora d'esso. 63 Come Orlando
sentì battersi dietro, Girossi, e nel girare il pugno strinse, E con la forza
che passa ogni metro, Ferì il destrier che '1 Saracino spinse. Ferii sul capo;
e come fosse vetro, Lo spezzò si, che quel civallo estinse, E rivoltosse in un
medesmo istante Dietro a colei che gli fiijgia innante. 64 Caccia Angelica E
con sferza e con Che le parrebbe a Sebben volasse più Dell' anel e' ha nel Che
può salvarla, E Panel, che nuu La fa sparir come in fretta la giumenta, spron
tocca e ritocca: quel bisogno lenta, che strai da cocca dito si rammenta, e se
lo getta in bocca: perde il suo costume, ad un soffio il lume. 59 Che fosse
Orlandj), nulla le sovviene; Troppo è diverso da quel eh' esser suole. Da indi
in qua che quel furor lo tiene, È sempre andato nudo all'ombra e al Sole. Se
fosse nato all'aprica Siene, 0 dove Ammone il Garamante cole, 0 presso ai monti
onde il gran Nilo spiccia. Non dovrebbe la carne aver più arsiccia. 60 Quasi
ascosi avea gli occhi nella testa. La faccia macra, e come un osso asciutta, La
chioma rabbuffata, orrida e mesta, La barba folta, spaventosa e brutta. Non più
a vederlo Angelica fu presta, Che fosse a ritornar, tremando tutta: Tutta
tremando, e empiendo il ciel di grida, Si volse per aiuto alla sua guida. 61
Come di lei s'accorse Orlando stolta, Per ritenerla si levò di botto: Così gli
piacque il delicato volto. Così ne venne immantinente ghiotto. D'averla amata e
riverita molto Ogni ricordo era in lui guasto e rotto. Le corre dietro, e tien
quella maniera Che terria il cane a seguitar la fera. II giovine, che '1 pazzo
seguir vede La donna sua, gli urta il cavallo addosso, E tutto a un tempo lo
percuote e fiede, Come lo trova che gli volta il dosso. Spiccar dal busto il
capo se gli crede: Ma la pelle trovò dura come osso, Anzi via più ch'acciar;
ch'Orlando nato Impenetrabile era ed affatato. 65 0 fosse la paura, o che
pigliasse Tanto disconcio nel mutar l'anello, Oppur che la giumenta
traboccasse, Che ncn posso affermar questo né quello; Nel medesmo momento che
si trasse L'anello in bocca, e celò il viso bello, Levò le gambe, e usci dell'arcione,
E si trovò riversa in sul sabbione, 66 Più corto che quel salto era due dita
Avviluppata rimanea col matto. Che con l'urto le avria tolta la vita. Ma
granventura l'aiutò a quel tratto. Cerchi pur eh' altro furto le dia aita D'un'
altra bestia, come prima ha fatto; Che più non è per riaver mai questa,
Ch'innanzi al Paladin l'arena pesta. 67 Non dubitate già eh' ella non s' abbia
A provvedere; e seguitiamo Orlando, In cui non cessa l'impeto e la rabbia,
Perchè si vada Angelica celando. Segue la bestia per la nuda sabbia, E se le
vien più sempre approssimando: Già già la tocca, ed ecco l'ha nel crine, Indi
nel freno, e la ritiene alfine. 68 Con quella festa il Paladin la piglia, Ch'un
altro avrebbe fatto una donzella: Le rassetta le redine e la brìglia, E spicca
un salto, ed entra nella sella; E correndo la caccia molte miglia, Senza
riposo, in questa parte e in quella:Mai non le leva né sella né freno, Né le
lascia gustare erba né fieno. Volendosi cacciare oltre una fossa, se ne va con
la cavalla. Non nocque a lui, né senti la percossa; Ma nel fondo la misera si
spalla. Non vede Orlando come trar la possa, E finalmente se l'arreca in
spalla, E su ritorna, e va con tutto il carco, Quanto in tre volte non
trarrebbe un arco. 70 Sentendo poi cbe gli gravava troppo, La pose in terra, e
volea trarla a mano: Ella il seguia con passo lento e zoppo. Dicea
Orlando:Cammina; e dicea invano. Se l'avesse seguito di galoppo. Assai non era
al desiderio insano. Alfin dal capo le levò il capestro, 71 E cosi la trascina,
e la conforta Che lo potrà seguir con maggior agio. Qual leva il pelo, e quale
il cuoio porta, Dei sassi ch'eran nel cammin malvagio. La mal condotta bestia
restò morta Finalmente di strazio e di disagio. Orlando non le pensa e non la
guarda; via correndo, il suo cammin non tarda. 72 Di trarla, anco che morta,
non rimase. Continuando il corso ad occidente:E tuttavia saccheggia ville e
case, Se bisogno di cibo aver si sente; E frutte e carne e pan, pur eh' egli
invase, Rapisce, ed usa forza ad ogni gente: Qual lascia morto, e qual
storpiato lassa; Poco si ferma, e sempre innanzi passa. 73 Avrebbe così fatto,
o poco manco, Alla sua donna, se non s'ascondea; non discemea il nero dal
bianco, E di giovar, nocendo, si credea. Deh maledetto sia Panello, ed anco Il
cavalier che dato le Tavea! Che se non era, avrebbe Orlando fatto Di sé
vendetta e di mill'altri a un tratto. Né questa sola, ma fosser pur state In
man d'Orlando quante oggi ne sono: Ch'ad ogni modo tutte sono ingrate, Né si
trova tra lor oncia di buono. Ma prima che le corde rallentate Al Canto
disugual rendano il suono, Fia meglio diiferirlo a un'altra volta, Aoiò men sia
noioso a chi l'ascolta. NOTE. . 4. V.5. Falda: qui per difesa deUa persona,
come lorica ecc. St. 6. V.6. Né si ragguaglia: non è concorde. St. 17. V.7.
Inviolabil: invulnerabile. St. 19. V.4. Cigno: personaggio mitologico, diverso
dal re ligure nominato nella Stanza 34 del Canto III. I poeti lo finsero
figliuol di Nettuno, e invulnerabile come Achille. St. 23. V.5. Dispaia:
separa, disceme. St. 27. V.4. Come: fa bello; voce latina. St. 28. Y. 4 7. La
cui morte ecc. Parla di Lucrezia moglie di GoUatino, violata da Sesto
Tarquinio; onde la cacciata di quella famiglia da Roma. Per le inviolabil
acque: per la palude Stigia; fìrase adoperata dai poeti, ond'esprìmere il
giuramento inviolabile degli Dei. St 30. V 3 8. Al terzo del: al cielo di
Venere, sede delle anime innamorate. Breusse: personaggio cru dele di cui
parlano i romanci della Tavola Rotonda, ivi pure soprannominato senza pietà.
Funesto: fu nestato, afflitto. St. 33. V.12. La superba mole, ecc.: il sepolcro
di Adriano sul Tevere, ora Castel Sant'Angelo. T. 35. V.45. Cacume: cima. St.
51. V.4. Tarraeon, V abitante della Spagna Tarragonese, ossia dell'Aragona. St.
54. V.56. Lenta: qui cedevol\ Rubi: rovi. St. 56. V.2. Aeron: aironei grande
uccello acqua tico. St. 59. V.57. Ali aprica Siene: città d' Egitto, detta dai
Latini Sence, ai confini deirEtiopia, sotto la zona torrida. 0 dove Ammone il
Garamante cole. Oaramanti chiamaronsi alcuni popoli della Libii, ora forse i
TibbouSf come altrove si è detto; Ivi fu il tempio e roracolo di Giove Ammone.
0 presso ai monti, ecc. Ai monti della Luna in Etiopia. St. 64 V.4. Cocca: la
tacca della fieccia, dov' entra la corda dell'arco; e qui, per estensione,
l'arco stesso 0 il luogo della corda dove si posa la freccia. St. 72. V.5.
Purch'egli invase: purché invasi, metta nel vaso, ossia nel ventre; mangi.
Altre <'.raiie pazìA di Orlando. MilnirJosfdo " Rdgifi"ro Orlando.
Euggiero vi rfsta ferito, e Mandrti?fttdo vi muore. Bradamanti riceve di
Ippalualaktefiradi Rmg. jErOf 1 Hi duote di |ui.Hina)<lo vienfi a
MontalbaoUp e cotiduee ssco i fratelli e i cugini in "ìitto di Carlo'
Quaulo vincer dall'impeto e dall'im Si hm k ragion né si difende, E che '1
cieco farar sì iananzi tira 0 TU Lino 0 Jiuia s clic gli amici offende; 'ebbeii
di poi si piange g sì sospira, ìsùa è per questo che l'errot a' emende. Jjasso!
io mi doglio e affliggo invan di quanto Pisi per ira al Jin dell altro Canto.
Ma simile son fatto ad uno infenno, CLCt dopo molta pazi'enzia e molta. Quando
contraU dolor non ha pia schermo Cede alla nebbia, e a besttìmiuiar sì volta.
Manca il dolor, uè l'impeto ata fermo, Che la lingaa al dir mal facea si
sciolta: £ si ravvede e peate, e u'ha dispetto. Ben spero, donne, in vostra
cortesia Aver da voi perdon, poich' io ve '1 chieggio. Voi scuserete, che per
frenesia, Vinto dall' aspra passì'on, vaneggio. Date la colpa alla nimica mia.
Che mi £& star, chMo non potrei star peggio; E mi fa dir quel di eh io son poi
gramo:Sallo Iddio, s'ella ha il torto; essa, sMo Pamo. Non men Fon fuor di me,
che fosse Orlando; E non son men di lui di scusa degno. Ch'or per li monti, or
per le piaggie errando. Scorse in gran parte di Marsilio il regno, di la
cavalla strascinando Morta, com' era, senza alcun ritegno; Ma giunto ove un
gran fiume entra nel mare, Gli fu forza il cadavere lasciare. 5 E perchè sa
nuotar come una lontra, Entra nel fiume, e surge air altra riva. Ecco un pastor
sopra un cavallo incontra, Che per abbeverarlo al fiume arriva. Colui, benché
gli vada Orlando incontra, Perchè egli è solo e nudo, non lo schiva. Vorrei del
tuo ronzin, gli disse il matto, Con la giumenta mia far un baratto. 6 Io te la
mostrerò di qui se vuoi; Che morta là su V altra ripa giace:La potrai far tu
medicar di poi:Altro difetto in lei non mi dispiace. qualch aggiunta il ronzi n
darmi puoi:Smontane in cortesia, perchè mi piace. Il pastor ride, e senz' altra
risposta Va verso il guado, e dal pazzo si scosta. 7 Io voglio il tuo cavallo: olà,
non odi? Soggiunse Orlando, e con furor si mosse. Avea un baston con nodi
spessi e sodi Quel pastor seco, e il Paladin percosse. La rabbia e l'ira passò
tutti i modi Del Conte, e parve fier più che mai fosse. Sul capo del pastore un
pugno serra, Che spezza Fosso, e morto il caccia in terra. 8 Salta a cavallo, e
per diversa strada Va discorrendo, e molti pone a sacco. Non gusta il ronzin
mai fieno né biada; Tanto chMn pochi di ne riman fiacco: Ma non però ch'Orlando
a piedi vada, Che di vetture vuol vivere a macco; E quante ne trovò, tante ne
mise In uso, poi che i lor patroni uccise. 9 Capitò alfin a Malega, e più danno
Vi fece, ch'egli avesse altrove fatto; Che, oltre che ponesse a saccomanno il
popol sì, che ne restò disfatto. Né si potè rifar quel né Paltr'anno, Tanti
n'uccise il periglioso matto, Vi spianò tante case, e tante accese, disfè più
che '1 terzo del paese. 10 Quindipartilo,venne ad una terra, Zizera detta, che
siede allo stretto Di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra, Che l'uno e l'altro
nome le vien detto; una barca che sciogliea da terra, Vide piena di gente da
diletto. Che sollazzando all'aura mattutina Già per la tranquillissima marina.
1 1 Cominciò il pazzo a gridar forte: Ajspetti:Che gli venne disio d'andare in
barca. Ma bene invano e i gridi e gli urli getta; Che volentier tal merce non
si carca. Per l'acqua il legno va con quella fretta. Che va per l'aria irondine
che varca. Orlando urta il cavallo e batte e stringhe, E con un mazzafrusto
all'acqua spinge. 12 Forza è ch'alfin nell'acqua il cavaro entic, Ch'invan
contrasta, e spende invano ogni opra: Bagna i ginocchi e poi la groppa e '1
ventre, Indi la testa, e appena appar di sopra. Tornare addietro non si speri,
mentre La verga tra l'orecchie se gli adopra. Misero ! o si convlen tra via
affogare, 0 nel lito african passare il mare. 13 Non vede Orlando più poppe né
sponde. Che tratto in mar l'avean dal lito asdutto; Che son troppo lontane, e
le nasconde Agli occhi bassi 1' alto e mobil flutto:tuttavia il destrier caccia
tra Tonde; Ch' f ndar di là dal mar dispone in tutttì. Il destrier, d'acqua
pieno e d'alma vóto, Finalmente finì la vita e il nuoto. 14 Andò nel fondo, e
vi traea la salma . Se non si tenea Orlando in su le braccia. Mena le gambe, e
l'una e l'altra palma, E soffia, e l'onda spinge daUa faccia. Era Paria soave,
e il mare in calma: E ben vi bisognò più che bonaccia; Ch' ogni poco che U mar
fosse più sorto, Restava il Paladin nell'acqua morto. 15 Ma la Fortuna, che dei
pazzi ha cura. Del mar lo trasse nel lito di Setta, In una spiaggia, lungi
dalle mura, Quanto sarian duo tratti di saetta. Lungo il mar molti giorni alla
ventura Verso Levante andò correndo in fretta. Finché trovò, dove tendea sul
lito, Di nera gente esercito infinito. 16 Lasciamo il Paladin ch'errando vada;
Ben di parlar di lui tornerà tempo. Quanto, Signor, ad Angelica accada Dopo
ch'usci di man del pazzo a tempo, E come a ritornare in sua ( ijtrada Trovasse
e buon navilio e miglior tempo, E dell' India a Medor desse lo scettro, Forse
altri canterà con miglior plettro.Io sono a dir tante altre cose intento, Che
di seguir più questa non mi cale. Volger convierarai il bel ragionamento Al
Tartaro che, spinto il suo rivale, Quella bellezza si godea contento, A cui non
resta in tutta Europa eguale, Poscia che se n'è Angelica partita, E la casta
Isabella al ciel salita. 18 Della sentenzia Maniricardo altiero, Ch' in suo
favor la bella donna diede, Non può fruir tutto il diletto intero; Che contra
lui son altre liti in piede. gli muove il giovene Ruggiero, Perchè P aquila bianca
non gli cede; L'altra il famoso re di Sericana, Che da lui vuol la spada
Durindana. 19 S affatica Agramante, uè disciorre, Né Mnrsilio con lui, sa
questo intrico:Né solamente non li può disporre Che voTlia Pun dell'altro esser
amico; Ma che Ruggiero a Mandricardo torre Lasci lo scudo del Troiano antico, 0
Gradasso la spada non gli vieti, Tanto che questa o quella lite accheti. 20
Ruggler non vuol ch'in altra pugna vada Con lo suo scudo; né Gradasso vuole
Che', fuor che contra sé, porti la spada Che '1 glorioso Orlando portar suole.
• Alfin veggìamo in cui la sorte cada, Disse Agramante, e non sian più parole:
Veggiam quel che Fortuna ne disponga, E sia preposto quel ch'ella preponga.
Stanza 12. E se compiacer meglio mi volete, Onde d'aver ve n'abbia obbligo
ognora, Chi de' di voi combatter sortirete; Ma con patto, ch'ai primo che esca
fuora, le querele in man porrete; Sì che, per sé vincendo, vinca ancora Pel
compagno; e perdendo l'un di vui, Così per luto abbia per ambidui. 22 Tra
Gradasso e Ruggier credo che siaDi valor nulla o poca differenza E di lor qual
si vuol venga fuor pria, So eh' in arme farà per eccellenza; Poi la vittoria da
quel canto stia, Che vorrà la divina Provvidenza. 11 cavalier non avrà colpa
alcuna, Ma il tutto imputerassi alla Fortuna. 23 Steron taciti al detto
d';Agramante E Ruggiero e Gradasso; ed accordarsi Che qualunque di loro uscirà
innante, E l'una briga e V altra abbia a pigliarsi. Così in duo brevi ch'avean
simigliante Ed egual forma, i nomi lor notarsi; E dentro un' urna quelli hanno
rinchiusi, Versati molto, e sozzopra confusi. 24 Un semplice fanciul nell' urna
messe mano, e prese un breve; e venne a caso questo il nome di Ruggier si
lesse. Essendo quel del Serican rimaso. Non si può dir quanta allegrezza avesse
Quando Ruggier si senti trar del vaso, d'altra parte il Sericano doglia; Ma
quel che manda il ciel, forza è che toglia. 25 Ogni suo stadio il Sericaoo,
ogni opra A favorire, ad aintar converte, Perchè Ruggiero abbia a restar di
sopra; E le cose in suo prò, eh' avea già esperte, Come or di spada, or di
scudo si copra, Qual sien botte fallaci, e qual sien certe, Quando tentar,
quando schivar fortuna Si dee, gli torna a mente ad una ad una. stanza 37. 26
II resto di quel di che dair accordo E dal trar dellesorti sopravanza, É speso
dagli amici in dar ricordo, Chi all'un guerrier, chi all'altro, com'è usanza.
Il popol, di veder la pugna ingordo, S'affretta a gara d'occupar la stanza: Né
basta a molti innanzi giorno andarvi, Che voglion tutta notte anco veggiarvi.
27 La sciocca turba disìosa attende Ch'i duo buon cavalier vengano in prova;
Che non mira più lungi né comprende Di quel ch'innanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi più intende, E vede ciò che nuoce e ciò che giova,
Biasma questa battaglia, ed Agramante, Che voglia comportar che vada innante.
28 Né cessan raccordargli il grave danoo Che n' ha d'avere il popol Saracino,
Muora Ruggiero o il Tartaro tiranno, Quel che prefisso è dal suo fier destino:
D'un sol di lor via più bisogno avranno Per contrastare al figlio di Pipino,
Che di dieci altri mila che ci sono, Tra'quai fatica è ritrovare un buono. 29
Conosce il re Agramante che gli è Tero; Ma non può più negar ciò e' ha
promesso. Ben prega Mandricardo e il buon Raggiero Che gli ridonin quel c'ha lor
concesso: E tanto più, che '1 lor litigio è un zero, Né degno in prova d'arme
esser rimesso:E s' in ciò pur noi vogliono ubbidire, Veglino almen la pugna
differire. 30 Cinque o sei mesi il singular certame, 0 meno o più, si
differisca, tanto Che cacciato abbin Carlo dal reame. Tolto lo scettro, la
corona e il manto. Ma r nn e l'altro, ancorché vogUa e brame Il Re ubbidir, pur
sta duro da canto; Che tale accordo obbrobrioso stima A chi '1 consenso suo vi
darà prima. 31 Ma più del Re, ma più d'ognun ch'invano Spenda a placare il
Tartaro parole, La bella figlia del re Stordilano il priega, e si lamenta e
duole:Lo prega che consenta al Re africano, E voglia quel che tutto il campo
vuole; Si lamenta e si duol che per lui sia Timida sempre e piena d'angonia. 32
Lassa! dicea, che ritrovar poss'io Rimedio mai, eh' a riposar mi vaglia, S'or
centra questo, or quel, nuovo disio Vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
C'ha potuto giovare al petto mio Il gaudio che sia spenta la battaglia Per me
da voi centra quell'altro presa, Se un'altra non minor se n'è già acoesa? 83
Oimè! ch'invano i'me n'andava altiera Ch' un Re sì deguo, un cavalier si forte
Per me volesse in perigliosa e fiera Battaglia porsi al risco della morte;
Ch'or veggo per cagion tanto leggiera Non meno esporvi alla medesma sorte. Fu
naturai ferocità di core, quella v'instigò, più che'l mio amore. 3ra se gli è
ver cheU vostroamorsiaquello Che vi sforzate di mostrarmi ognora, Per lui vi
prego, e per quel gran flagello Che mi percuote Palma e che m'accora, non vi
caglia se'l candido augello Ha nello scudo quel Ruggiero ancora. Utile 0 danno
a voi non so eh' importi, Che lasci quella insegna, o che la porti. 35 Poco
guadagno, e perdita uscir molta Della hattaglia può, che per far sete. Quando
ahhiate a Ruggier l'aquila tolta, Poca mercè d'un gran travaglio avrete; Ma se
Fortuna le spalle vi volta (Che non però nel crin presa tenete). Causate un
danno, eh' a pensarvi solo Mi sento il petto già sparar di duolo. Stanza 46. 36
Quando la vita a voi per voi non sia Cara, e più amate un'aquila dipinta, Vi
sia almen cara per la vita mia:Non sarà l'una senza l'altra estinta. Non già
morir con voi grave mi fia:Son di seguirvi ii vita e in morte accinta; Ma non
vorrei morir si mal contenta, Come io morrò, se dopo voi son spenta. 38 Deh,
vita mia, non vi mettete affanno. non, per Dio, di cosi lieve cosa, Che se
Carlo e'I re d'Africa, e ciò ch'hanno Qui di gente moresca e di franciosa,
Spicgasson le handiere in mio sol danno, Voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere Se per me un Ruogier sol vi fa temere. 37
Con tai parole e simili altre assai, Che lacrime accompagnano e sospiri. Pregar
non cessa tutta notte mai, Perch' alla pace il suo amator ritiri. E quel,
suggendo dagli umidi rai Quel dolce pianto, e quei dolci martiri Dalle
vermiglie labhra più che rsi, Lacrimando egli ancor, così rispose: 39 E vi
dovria pur rammentar che, solo (E spada io non avea né scimitarra), Con un
troncon di lancia a un grosso stuolo D'armati cavalier tolsi la sbarra.
Gradasso, ancor che con vergogna e duolo Lo dica, pure, a chi '1 domanda, narra
Che fa in Boria a un Castel mio prigioniero; Ed è pur d'altra fama, che
Ruggiero. 40 Non niega similmente il re Gradasso, E sallo Isolier vostro e
Sacripante, Io dico Sacripante il re Circasso. El famoio Grifone ed Aquilante.
Cent' altri e più. che pure a questo passo Stati eran presi alcuni giorni
innante, Macomettani e gente di battesmo, Che tutti liberai quel di medesmo. 41
Non cessa ancor la meraviglia loro Della gran prova eh' io feci quel giorno,
Maggior che se l'esercito del Moro E del Franco inimici avessi in tomo. Ed or
potrà Ruggier, giovine soro, Farmi da solo a solo o danno o scorno? Ed or e' ho
Durindana e l'armatura D'Ettor, vi de' Ruggier metter paura?42 Deh perchè
dianzi in prova non venn'io,Sefar di voi con Tarme io potea acquisto? So che
v'avrei si aperto il valor mio, Ch'avreste il fin già di Ruggier previsto.
Asciugate le lacrime, e per Dio Non mi fate uno augurio così tristo; E siate
certa che 'l mio onor m' ha spinto:Non nello scudo il bianco augel dipinto. 43
Cosi disse egli; e molto ben risposto Gli fu dalla mestissima sua donna. Che
non pur lui mutato di proposto, Ma di luogo avria mossa una colonna. Ella era
per dover vincer lui tosto, Ancor eh' armato, e eh' ella fosse in gonna; E
l'avea indotto a dir, se'l Re gli parla D'accordo più, che volea contentarla.
44 E lo facea: se non tosto eh' al Sole La vaga Aurora fé l'usata scorta,
L'animoso Ruggier, che mostrar vuole Clie con ragion la bella aquila porta, Per
non udir più d'atti e di parole Dilazi'on, ma far la lite corta. Dove circonda
il popol lo steccato, Sonando il corno, s'appresenta armato. 45 Tosto che sente
il Tartaro superbo Ch'alia battaglia il suono altier lo sfida. Non vuol più
dell'accordo intender verbo, 31 a si lancia del letto, ed arme grida; E si
dimostra sì nel viso acerbo. Che Doralice i stessa non si fida I>i dirgli
più di pace né di triegua: E forza è infin che la battaglia segua. 46 Subito
s'arma, ed a fatica aspetta Da' suoi scudieri i debiti servigi: Poi monta sopra
il buon cavallo in fretta. Che del gran difensor fu di Parigri; E vien correndo
inver la piazza eletta A terminar con l'arme i gran liti. Vi giunse il Re e
1" Corte allora allora: Sì eh' all' assalto fu poca dimora. 47 Posti lor
furo ed allacciati in testa I lucidi elmi, e date lor le latce. Segue la tromba
a dare il segno presta. Che fece a mille impallidir le guance. Posero l'aste i
cavalieri in resta, E i corridori punsero alle pance: E venner con tale impeto
a ferirsi, Che parve il ciel cader, la terra aprirsi. 48 Quinci e quindi venir
si vede il branco Augel che Giove per l'aria sostenne; Come nella Tessalia si
vide anco Venir più volte, ma con altre penne. Quanto sia l'uno e l'altro
ardito e franco. Mostra il portar delle massicce antenne; E molto più, eh' a
quello incontro duro Quai torri ai venti, o scogli air onde furo. 49 I tronchi
fin al ciel ne sono ascesi, Scrive Turpin, verace in questo loco, Che dui 0 tre
giù ne tornare acctsi, Ch'eran saliti alla sfera del fuoco. I cavalieri i
brandi aveano presi:E come quei che si temeano poco. Si ritomaro incontra; e a
prima giunta Ambi alla vista si ferir di punta. 50 Ferirsi alla visiera al
primo tratto; E non miraron, per mettersi in terra, Dare ai cavalli morte, eh'
è mal'atto, Perch' essi non han colpa della guerra. Chi pensa che tra lor fosse
tal patto, Non sa l'usanza antiqua e di molto erra:Senz' altro patto, era
vergogna e fello E biasmo eterno a chi feria il cavaUo. 51 Feiìrsi alla
visiera, ch'era doppia, Ed appena anco a tanta furia resse. L'un colpo appresso
all'altro si raddoppia: Le botte, più che grandine, son spesse, Che spezza
fronde e rami e grano e stoppia, E uscir invan fa la sperata messe. Se
Durindana e Balisarda taglia Sapete, e qaanto in queste mani vaglia. Ma degno
dì sé colpo ancor non fanno, Si r uno e r altro ben sta su l'avviso. Uscì da
Maudricardo il primo danno, Per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso. D'uno di
quei gran colpi che far sanno, Gli fa lo scudo pel mezzo diviso, E la corazza
apertagli di sotto; E fin sul vivo il crudel brando ha rotto. 03 L'aspra
percossa agghiacciò il cor nel petto, Per dubbio di Ruggiero, ai circonstmti,
Nel cui favor si conoscea lo affetto Dei più inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna ponesse ad effetto Quel che la maggior parte vorria innanti, Già
Mandricardo sana morto o preso: che M suo colpo ha tutto il campo offeso. 54 Io
credo che qualche agnol sMnterpose Per salvar da quel colpo il cavaliere. Ma
ben senza più indugio gli rispose, Terribil più che mai fosse, Ruggiero. La
spada in capo a Mandrìcardo pose; Ma sì lo sdegno fu subito e fiero, E tal
fretta gli fe\ ch'io men T incolpo Se non mandò a ferir di taglio il colpo. 55
Se Balisarda lo giungea pel dritto. L'elmo d'Ettorre era incantato invano. Fu
sì del colpo Mandricardo afflitto, Che si lasciò la briglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fìtto, Mentre scorrendo va d'intorno il piano
Brigliador che conoscete al nome, Dolente ancor delle mutate some. 58 E
Balisarda al suo ritorno trasse Di fuori il sangue tiepido e vermiglio, vietò a
Durindana che calasse Impetuosa con tanto periglio: Benché fin su la groppa si
piegasse Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:E s'elmo in capo avea di
peggior tempre, Gli era quel colpo memorabil sempre. Stanza 49. 56 Calcata
serpe mai tanto non ebbe. Né ferito leon, sdegno e furore, Quanto il Tartaro,
poi che si riebbe Dal colpo che di sé lo trasse fuore:quanto l'ira e la
superbia crebbe. Tanto e più crebbe in lui forza e valore. Fece spiccare a
Brigliadoro un salto Verso Ruggiero, e alzò la spada in alto. 57 Levossi in su
le staffe, ed all'elmetto S2gnògli, e si credette veramente a quella volta fin
al petto:Ma fui lui Ruggierpiùdiligente;Chepria che'l braccio scenda al duro
effeito, Gli caccia sotto la spada pungente, E gli fa nella magb'a ampia
finestra, Che sotto difendea l'ascella destra. 59 Ruggier non cessa, e spinge
il suo cavallo E Mandricardo al destro fianco trova. Quivi scelta finezza di
metallo, E ben condutta tempra poco giova Centra la spada che non scende in
fallo, Che fu incantata non per altra prova . Che per far eh' a' suoi colpi
nulla vaglia Piastra incantata ed incantata maglia 60 Taglionne quanto ella ne
prese, e insieme Lasciò ferito il Tartaro nel fianco, Che '1 ciel bestemmia, e
di tant' ira freme, Che'l tempestoso mare è orribil manco. Or s'apparecchia a
por le forze estreme: Lo scudo ove in azzurro è l'augel bianco, Vinto da
sdegno, si gittò lontano E messe al brando e l'una e l'altra mano. 61 Ah, disse
a lui Ruggier, senza più basti A mostrar che non mertì quella insegna, Ch' or
tu la getti, e dianzi la tagliasti:Né potrai dir mai più che ti convegna. Cosi
dicendo, forza è ch'egli attasti Con quanta furia Durindana vegna; Che sì gli
grava e si gli pesa in fronte, Che più leggier potea cadervi un monte:stanza
67. 62 E per mezzo gli fende la visiera; Buon per lui, che dal viso si
discosta: Poi calò su Tarcion che ferratoera,Nélo difese averne doppia crosta:
Giunse alfin su T arnese, e come cera L'aperse con la falda soprapposta; E feri
gravemente nella coscia Ruggier, si ch'assai stette a guarir poscia. 63
Dell'un, come dell'altro, fatte rosse n sangue l'arme avea con doppia riga;
Talché diverso era il parer, chi fosse Di lor, ch'avesse il meglio in quella
briga. Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse la spada che tanti ne castiga: Mena
di punta, e drizza il colpo crudo Onde gittato avea colui lo scudo. 64 Fora
della corazza il lato manco, E di venire al cor trova la strada; Che gli entra
più d'un palmo sopra il fiasca Sì che convien che Mandricardo cada D'ogni
ragion che può nell'augel bianco, 0 che può aver nella famosa spada; E della
cara vita cada insieme, Che, più che spada e scudo, assai gli preme. 65 Non
mori quel meschin senza vendetta: Ch' a quel medesmo tempo che fu edito, La spada,
poco sua, menò di fretta; Fd a Ruggier avria partito il volto, Se già Ruggier
non gli avesse intercetta Prima la forza, e assai del vigor tolto. Di forza e
di vigor troppo gli tolse Dianzi, che sotto il destro braccio il colse. <)6
Da Mandricardo fu Ruggier percosso Nel punto ch'egli a lui tolse la vita; Tal
eh' un cerchio di ferro, anco che grosso .Euna cuffia d'acciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna ed osso, E nel capo a Ruggiero entrò due dita. Ruggier
stordito in terra si riversa . E di sangue nn ruscel dal capo versa. 67 n primo
fa Ruggier ch'andò per terra . E di poi stette l'altro a cader tanto, Che quasi
crede ognun che della guerra Mandricardo il pregio e il vanto: E Doralice sua,
che con gli altri erra, E che quel dì più volte ha riso e pianto. Dio ringraziò
con mani al ciel supine, Ch'avesse avuta la pugna tal fine. 68 Ma poi ch'appare
a manifesti segni Vivo chi vive, e senza vita il morto Nei petti de'fautor
mutano i regni; Di là mestizia, e di qua vien conforto. 1 Re, i Signori, i cavalier
più degni, Con Ruggier eh' a fatica era risorto, A rallegrarsi ed abbracciarsi
vanno, E gloria senza fine e onor gli danno. 69 Ognun s' allegra con Ruggiero,
e sente Il medesmo nel cor, e' ha nella bocca. Sol Gradasso il pensiero ha
differente Tutto da quel che fuor la lingua sSòcca. Mostra gaudio nel viso, e
occultamente Del glorioso acquisto invidia il tocca; E maledice o sia destino o
caso, II qual trasse Ruggier prima del vaso. Che dirò del favor, che delle
tante Carezze e tante, affettuose e vere, Che fece a quel Ruggiero il re
Agramante, Senza il qual dare al vento le handìere, Né volse muover d'Africa le
piante, Né senza lui si fidò in tante schiere? Or che del re Agricane ha spento
il seme, Prezza più lui, che tutto il mondo insieme. Né di tal volontà gli
uomini soli Eran verso Ruggier, ma le donne anco, Che d'Africa e di Spagna fra
gli stuoli Eran venute al tenitorio franco. E Doralice istessa, che con duoli
Piangea ramante suo pallido e bianco, Forse con P altre ita sarebbe in schiera.
Se di vergogna un duro firen non era. Stanza 93. 72 Io dico forse, non ch'io ve
raccerti, Ma potrebbe esser stato di leggiero; Tal la bellezza, e tali erano i
merti, I costumi e i sembianti di Ruggiero. Ella, per quel che già ne siamo
esperti. Sì facile era a variar pensiero, Che per non si veder priva d'amore,
Avria potuto in Riiggier porre il core. 73 Per lei buono era vivo
Mandricardo:Ma che ne volea far dopo la morte? le convien d'un che gagliardo
Sia notte e di ne' suoi bisogni, e forte. Non era stato intanto a venir tardo
Il pii\ perito medico di corte, Che di Ruggier veduta ogni ferita, Già l'avea
assicurato della vita. 74 Con molta diligenzia il Re Agramante Pece colcar
Ruggier nelle sue tende; Che notte e di yeder sei vuole innante:Sì r ama, sì di
lui cura si prende. Lo scudo al letto e V arme tutte quante Che fur di
Mandricardo, il Re gli appende; Tutte le appende, eccetto Durindana, Che fii
lasciata al re di Sericana. 75 Con Tarme T altre spoglie a Ruggier sono Date di
Mandricardo, e insieme dato Gli è Brigliador, quel destrier bello e buono, Che
per furore Orlando avea lasciato. Poi quello al Re diede Ruggiero in dono: Che
s'avvide ch'assai gli saria grato. Non più di questo; che tornar bisogna A chi
Ruggiero invan sospira e agogna. 76 Gli amorosi tormenti che sostenne
Bradamante, aspettando, io v'ho da dire. A Montalbano Ippalca a lei rivenne, E
nuova le arrecò del suo desire. Prima, di quanto di Frontin le avvenne Con
Rodomonte, l'ebbe a riferire; Poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte Con
Ricciardetto e' frati d'Agrismonte; 77 E che con esso lei s'era partito Con
speme di trovare il Saracino, E punirlo di quanto avea fallito D'aver tolto a
una donna il suo Frontino; E che '1 disegno poi non gli era uscito, Perchè
diverso avea fatto il cammino:La cagione anco, perchè non venisse A Montalban
Ruggier, tutta le disse; 78 E rìferille le parole appieno, Ch'in sua scusa
Ruggier le avea commesse. Poi si trasse la lettera di seno, Ch' egli le die,
perch' ella a lei la desse. Con viso più turbato, che sereno. Prese la carta
Bradamante, e lesse; Che, se non fosse la credenza stata Già di veder Ruggier,
fora più grata. 79 L'aver Ruggiero ella aspettato, e, invece Di lui, vedersi
ora appagar d'un scritto, Del bel viso turbar l'aria le fece Di timor, di
cordoglio e di despitto. Baciò la carta diece volte e diece. Avendo a chi la
scrisse il cor diritto. Le lagrime vietar, che su vi sparse, Che con sospiri
ardenti ella non l'arse. 80 Lesse la carta quattro volte e sei, E volse eh'
altrettante l'imbasciata Replicata le fosse da colei Che l'una e V altra avea
quivi arrecata, Pur tutta via piangendo: e crederei Che mai non si Siria pili
racchetata, Se non avesse avuto pur conforto Di rivedere il suo Ruggier di
corto. 81 Termine a ritornar quindici o venti Giorni avea Ruggier tolto, ed
affermato L'avea ad Ippalca poi con giuramenti Da non temer che mai fosse
mancato. Chi m'assicura, oimè! degli accidenti, Ella dicea, c'han forza in ogni
lato, Ma nelle guerre più, che non distomi Alcun tanto Ruggier, che più non
tomi? 82 Oimè ! Ruggiero, oimè ! chi avria creduto Ch'avendoti amato io più di
me stessa,, più di me, non eh' altri, ma potato Abbi amar gente tua inimica
espressa? A chi opprimer dovresti, doni aiuto; Chi tudovresti aitare, è da te
oppressi. Non so se biasmo o laude esser ti credi. Ch'ai premiar e al punir sì
poco vedi. 83 Fu morto da Troian (non so se il sai) n padre tuo; ma fin ai
sassi il sanno:E tu del figlio di Troian cura hai Che non riceva alcun disnor
né danno. É questa la vendetta che ne fai, Ruggiero? e a quei che vendicato
l'hanno, Rendi tal premio, che del sangfue loro Me fai morir di strazio, e di
martore?84 Dicea la donna al suo Ruggiero absente Queste parole ed altre,
lacrimando, Non una sola volta, ma sovente. la venia pur confortando Ruggier
serverebbe interameute Sua fede, e eh' ella l'aspettasse, quando Altro far non
potea, fino a quel giorno Ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno. 85 I
conforti d'Ippalca, e la speranza Che degli amanti suole esser compagna, Alla
tema e al dolor tolgon possanza Dì far che Bradamante ognora piagna. Montalban,
senza mutar mai stanza, Voglion che fin al termine rimagna; Fin al promesso
termine e giurato. Che poi fu da Ruggier male osservato. Ma chegli alla
promessa sua mancasse, Non però debbe aver la colpa affatto; Chiana causa ed
un'altra sì lo trasse, gli fu forza preterire il patto. Convenne che nel letto
sì colcasse, E più d'un mese sìstesse di piatto In dubbio di morir: si il dolor
crebbe Dopo la pugna che col Tartaro ebbe. 87 L'innamorata giovane l'attese
Tutto quel giorno, e deslollo invano, Né mai ne seppe, fuor quanto nentese Ora
da Ippalca, poi dal suo germano, Questa novella, ancor ch'avesse grata, Pur di
qualche amarezza era turbata:88 Che di Marfisa in quel discorso udito L'alto
valore e le bellezze avea: Udì come Ruggier s'era partito Con esso lei, e che
d'andar dicea Là dove con disagio in debol sito Mal sicuro Agramante si tenea.
Si degna compagnia la donna lauda, Ma non che se n' allegri, o che l'applauda.
89 Né picciolo è il sospetto che la preme; Che se Marfisa é bella, come ha
fama, E che fin a quel di sien giti insieme, È maraviglia se Ruggier non Tama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme; E '1 giorno che la può far lieta e
grama, Misera aspetta; e sospirando stassi, Da Montalban mai non movendo ì passi.
90 Stando ella quivi, il Principe, il Signore bel castello, il primo de' suoi
frati (Io non dico d'etade, ma d'onore; Che di lui prima duo n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore Gli ha, come il Sol le stelle,
illuminati, Giunse al castello un giorno in su la nona; Né, fuor eh' un paggio,
era con lui persona. 91 Cagion del suo venir fu, che da Brava Ritornandosi un
dì verso Parigi, Come v'ho detto che sovente andava Per ritrovar d'Angelica
vestigi, Avea sentita la novella prava Del suo Viviano e del suo Malagigi,
Ch'eran p" esser dati al Maganzese; E perciò ad Agrismonte la via prese:92
Dove intendendo poi eh' eran salvati, E gli avversari lor morti e distrutti, E
Marfisa e Ruggiero erano stati, Che gli aveano a quei termini ridutti; E' suoi
fratelli e' suoi cugin tornati A Montalbano insieme erano tutti; Gli parve
un'ora un anno di trovarsi Con esso lor là dentro ad abbracciarsi. 93 Venne
Rinaldo a Montalbano, e quivi Madre, moglie abbracciò, figli e fratelli, E i
cugini che dianzi eran captivi; E parve, quando egli arrivò tra quelli, Dopo
gran fame irondine ch'arrivi Col cibo in bocca ai pargoletti augelli: E poi eh'
un giorno vi fu stato o dui, Partissi, e fé' partire altri con lui. 94
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi d' Amone, il più vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi In arme dietro a Paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s'appressi Il tempo ch'ai disio suo ne vien tardo.
Inferma, disse alli fratelli, eh' era:E non volse con lor venire in schiera. 96
E ben lor disse il ver, ch'ella era inferma. Ma non per febbre o eorporal
dolore: Era il disio che l'alma dentro inferma, E le fa alterazion patir
d'amore. Rinaldo in Monlbano più non si ferma, E seco mena di sua gente il
fiore. a Parigi appropinquosse, e quanto Carlo aiutò, vi dirà l'altro Cauto.
NOTE. Sr. 8. V.6 Che di vetture vxiol vivere a macco: cioè gratis. St. 9. V.3.
Ponesse a saccomanno: a sacco. St. 10. V.2, Zizera. L'antica Igilgilis. Ora
Algesi rcks, 0 Gibilterra vecchia neir Andalusia, porto sulla co sta
meridionale della baia di Gibilterra, di cui è lon tana tre leghe soltanto. St.
11. V.8. Il Mazzafrusto è propriamente una frusta fatta con cordicella o fili
di metallo che hanno in cima palle di piombo, e son legati a un manico di legno
0 di ferro. Qui pare usato per grosso bastone. St. 15. V.7. Tendea. Qui tendere
è usato alla la per stare attendato. St. 16. V.8. Forse altri canterd con
miglior plet tro, n Brnsantini ne ha cantato, ma assai male, nel V Angelica
Innamorata. St. 17. V.4 Spinto: qui allontaìiato . St. 21. V.3. Sortirete:
trairete a sorte. St. 23. V.8. Versati: agitati. St. 41. V.5. Saro: inesperto.
St. 46. V.4. Del gran dìfensor, ecc.: d'Orlando. St. 48. V.14. Il Manco augel:
T aquila, che il Poeta dice bianca y perchè di quel colore ve lesi nella stemma
di Casa d'Este, di cui Ruggiero è rautico ceppa. Come nella T<ssaHa, ecc.
Allude alle battaglie eoi battute in quei luoghi dalle legioni romane, di cai
lii ' segna era Taquila. St. 61. V.5. Aitasti: provi. St. 62. V.6. Falda:
diconsi falde quelle sthsee metalliche che attorniano la cintura delFusbergo, e
sc"b dono a riparare i fianchi e le cosce del gieniero. St. 68. V.34.
MiUano regni, ecc.: mataoo seli dov'era mestizia subentra conforto, e
viceversa. St. 76. V.4. Del suo desire: del suo desiderato amante. St. 86. V.6.
Di piatto: ritirato. St. 90. V.56. Secondo le credenze deirantica astro nomia,
il sole dava luce a tutte le stelle. St. 93. V.2. Madre, moglie. Beatrice,
figlia di Nino duca di Baviera, fu madre di Rinaldo, e la moglie di lai era
Clarice, sorella di Ugone di Bordò. Si ha del Tasso un poema sugli amori di
Rinaldo e Clarice, iutitokio Rinaldo. Canto XXXf.IVró dr turili ftlo a muro
ch" "ì pone Tra questa suaviÉiima doleezsMi . É na nuiitiienti",
uita iHTfivJoDcs Ed è un condurre amore a più finezza. L'ncque parer fa
saporite e buone La sete, e il cibo pel digiun s apprezza:Non conosce la pace e
non l'estima provato non ha la guerra prima. Canto XXXI. 3 Se ben non veggon
gii occhi ciò che vede Ognora il core, in pace si sopporta. Lo starlontano, poi
qnando si riede y Quanto più lungo fu, più riconforta. Lo stare in servitù
senza mercede, Purché non resti la speranza morta, Patir si può; che premio al
ben servire 4 Gli sdegni, le repulse, e finalmente Tutti i martìr d'Amor, tutte
le pene Fsa, per lor rimembranza, che si sente Sfa se l'infernal peste una egra
mente Awien eh infetti, ammorbi ed awelene; Sebben segue poi festa ed
allegrezza. Non la cura ramante e non P apprezza. 5 Questa è la cruda e
avvelenata piaga, A cui non vai liquor, non vai impiastro. Né murmurc, né
immagine di saga. Né vai lungo osservar di benigno astro. Né quanta esperìenzia
d'arte maga Fece mai V inventor. suo Zoroastro; Piaga crudel che sopra ogni
dolore Conduce Tuom che disperato muore. 6 Oh incurabil piaga che nel petto
D'un amator sì facile s'imprime Non men per falso che per ver sospetto ! Piaga
che Puom si crudelmente opprime. Che la ragion gli offusca e l'intelletto E lo
trae fuor delle sembianze prime! Oh iniqua gelosia, che così a torto Levasti a
Bradamante ogni conforto ! 7 Non di questo eh' Ippalca e che '1 fratello Le
avea nel core amaramente impresso, Ma dico d'uno annunzio crudo e fello, Che le
fu dato pochi giorni appresso. Questo era nulla a paragon di quello Ch'io vi
dirò, ma dopo alcun digresso. Di Rinaldo ho da dir primieramente, Che ver
Parigi vien con la sua gente. 8 Scontrare il di seguente invér la sera Un
cavalier eh' avea una donna al fianco, Con scudo e sopravvesta tutta nera; Se
non che per traverso ha un fregio bianco. Sfidò alla giostra Ricciardetto,
ch'era Dinanzi, e vista avea di guerrier franco:E quel che mai nessun ricusar
volse, Girò la briglia, e spazio a correr tolse. 9 Senza dir altro, o più
notizia dard Dell'esser lor, si vengono all'incontro. Rinaldo e gli altri
cavalier fermarsi, Per veder come seguirla lo scontro. Tosto costui per terra
ha da versarsi, Se in luogo fermo a mìo modo lo incontro (Dicea fra sé medesmo
Ricciardetto); Ma contrario al pensier segui l'effetto: 10 Perocché lui sotto
la vista offese Di tanto colpo il cavalier istrano, Che lo levò di sella, e lo
distese Più di due lande al suo destrier lontano. Di vendicarlo incontinente
prese L'assunto Alardo, e ritrovossi al piano Stordito e male acconcio: si fu
crudo Lo scontro fier, che gli spezzò lo scado. 11 Guicciardo pone incontinente
in resta L'asta, che vede i duo germani in terra. Benché Rinaldo gridi: Resta,
resta; Che mia convien che sia la terza guerra: Ma l'elmo ancor non ha
allacciato in testa; Si che Guicciardo al corso si disserra; Né più degli altri
si seppe tenere, E ritrovossi subito a giacere. 12 Vuol Ricciardo, Viviano e
Malagigi, E l'un prima dell'altro essere in giostra: Rinaldo pon fine ai lor
litigi:Ch'innanzi a tutti armato si dimostra, loro: È tempo ire a Parigi; E
saria troppo la tardanza nostra, S'io volessi aspettar finché ciascuno Di voi
fosse abbattuto ad uno ad uno. 13 Dissel tra sé, ma non che fosse inteso; saria
stato agli altri ingiuria e scorno. e l'altro del campo avea già preso, E si
faceano incontra aspro ritomo. Non fu Rinaldo per terra disteso; Che valea
tutti gli altri eh' avea intomo. Le lance si fiaccar, come di vetro; Né i
cavalier si piegar oncia addietro. L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse,
Che gli fu forza in terra a por le groppe. Baiardo immantinente ridrizzosse, Tanto
ch'appena il correre interroppe. Sinistramente si l'altro percosse. la spalla e
hi schiena insieme roppe. Il cavalier che '1 destrier morto vede, Lascia le
staffe, ed é subito in piede. Ed al figlio d' Amon, che già rivolto Tornava a
lui con la man vota, disse: Signore, il buon destrier che tu mhai tolto, Perchè
caro mi fu mentre che visse, Mi faria uscir del mio debito molto. Se così
invendicato si morisse: Sì che vientene, e fa ciò che tu puoi; Perchè battaglia
esser convien tra noi. 16 Disse Rinaldo a lui: Se U destrier morto, E non altro
ci depporre a battaglia, Un de' miei ti darò, piglia conforto, men del tuo non
crederò che vaglia. Colui soggiunse: Tu sei mal accorto, Se creder vuoi che
d'un destrier mi caglia. Ma poiché non comprendi ciò che io voglio, Ti
spiegherò più chiaramente il foglio. 17 Vo'dir che mi parria commetter fallo,
Se con la spaa non ti provassi anco, E non sapessi s' in quest' altro ballo
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo: Purché le man tu non ti tenga al
fianco, Io son contento ogni vantaggio darti; alla spada bramo di provarti. E
disse: La battaglia ti prometto; E perchè tu sia ardito, e non ti punga Di
questi, e' ho d'intorno, alcun sospetto, Andranno innanzi finch'io gli
raggiunga; Né meco resterà fuor eh' un valletto Che mi tenga il cavallo: e così
'disse Alla sua compagnia che se ne gisse. stanza 13. 19 La cortesia del
paladin gagliardo Commendò molto il cavaliere estrauo. Smontò Rinaldo, e del
destrier Baiardo Diede al valletto le redine in mano: E poi che più non vede il
suo stendardo, Il qual di lungo spazio è gfià lontano, Lo scudo imbraccia e
stringe il brando fiero, E sfida alla battaglia il cavaliere. 20 E quivi
s'incomincia una battaglia, Di ch'altra mai non fu più fiera in vista. crede
l'un che tanto l'altro vaglia, Che troppo lungamente gli resista. Ma poiché '1
paragon ben li ragguaglia, Né l'un dell'altro più s'allegra o attrista, Pongon
r orgoglio ed il furor da parte, Ed al vantaggio loro usano ogn'arte. 21 S'
odon lor colpi dispietati e crudi Intorno rimbombar con suono orrendo, Ora i
canti levando a' grossi scudi, Schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi A ben ferir, quanto a parar, volendo Star
l'uno all'altro par; ch'eterno danno Lor può causar il primo error che fanno.
22 Durò l'assalto un'ora, e più che'l mezzo D'un' altra: ed era il Sol già
sotto l'onde, Ed era sparso il tenebroso rezzo Dell'orizzou fin all'estreme
sponde; Né riposato, o fatto altro intermezzo Aveano alle percosse furibonde
Questi guerrier, che non ira o rancore, Ma tratto all'arme avea disio d'onore.
23 Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo Chi sia r estrano cavalìer si forte, Che non
por gli sta contra ardito e saldo, Ma spesso il mena a risco della morte; E già
tanto travaglio e tanto caldo Oli ha posto, che del fin dubita forte; E
volentier, se con suo onor potesse, Vorria che quella pugna rimanesse. 24 Dair
altra parte ilcavalier estrano, Che similmente non avea notizia Che quel fosse
il signor di Montalbano, Quel si famoso in tutta la milizia, Che gli avea
incontra con la spada in mano Condotto cosi poca nimicizia, Era certo che d'uom
di più eccellenzi Non potesson dar Tarme esperienza. 26 Vorrebbe dell'impresa
esser digiuno, Ch'avea di vendicare il suo cavallo; E se potesse senza biasmo
alcuno, Si trarrla fuor del periglioso ballo, n mondo era già tant.o oscuro e
bruno, Che tutti i colpi quasi ivano in fallo. Poco ferire, e men parar
sapeano; Ch appena in man le spade si vedeano. 26 Fu quel da Montalbano il
primo a dire Ma quella indugiar tanto e differire Ch'avesse dato volta il pigro
Arturo; che può intanto al padiglion venire, Ove di sé non sarà men sicuro. Ma
servito, onorato o ben veduto, Quanto in loco ove mai fosse venuto. 27 Non
bisognò a Rinaldo pregar molto; Che 1 cortese Baron tenne lo nvito. Ne vanno
insieme ove il drappel raccolto Di Montalbano era in sicuro sito. Rinaldo al
suo scudiero avea già tolto Un bel cavallo, e molto ben guernito, A spada e a
lancia e ad ogni prova buono, Ed a quel cavalier fattone dono. 28 II guerrier
peregri n conobbe quello Esser Rinaldo, che venia con esso; Che prima che
giungessero air ostello, Venuto a caso era a nomar sé stesso: E perché l'un
dell'altro era fratello. Si sentì dentro di dolcezza oppresso, E di pietoso
affetto tocco il core; E lacrimò per gaudio e per amore. 29 Questo guerriero
era Guidon Selvaggio, Che dianzi con Marfisa e Sansonetto E' figli d' Olivier
molto viaggio fatto per mar, come v'ho detto. Di non veder più tosto il suo
lignaggio Il fellon Pinabel gli avea interdetto, Avendol preso, e a bada poi
tenuto Alla difesa del suo rio statuto. 30 Guidon, che questo esser Rinaldo
adìo, Famoso sopra ogni famoso duce. Ch'avuto avea più di veder disio. Che non
ha il cieco la perduta luce, Con molto gaudio disse: 0 signor mio, Qual fortuna
a combatter mi conduce Con voi che lungamente ho amato ed amo, E sopra tutto il
mondo onorar bramo?31 Mi partorì Costanza nell'estreme Ripe del mar Eusino: io
son Guidone, Concetto dello illustre inclito seme, Come ancor voi, del generoso
Amone. Di voi vedere e gli altri nostri insieme Il desiderio é del venir
cagione; E dove mia intenzion fa d'onorarvi. Mi veggo esser venuto a
ingiuriarvi. 32 Ma scusimi appo voi d' un error tanto, Oh' io non ho voi né gli
altri conosciuto; E s' emendar si può, ditemi quanto Far debbo, ch'in ciò far
nullarifiuto. Poi che si fu da questo e da quel canto De' complessi iterati al
fin venuto, Rispose a lui Rinaldo: Non vi caglia Meco scusarvi più della
battaglia; 33 Che per certificarne che voi sete Di nostra antiqua stirpe un
vero ramo. Dar miglior testimonio non potete. Che '1 gran valor ch'in voi
chiaro proviamo. Se più pacifiche erano e quiete Vostre maniere, mal vi
credevamo; Che la damma non genera il leone, Né le colombe l'aquila o il
falcone. 34 Non, per andar, di ragionar lasciando. Non di seguir, per ragionar,
lor via, Vennero ai padiglioni: ove narrando Il buon Rinaldo alla sua compagnia
Che questo era Guidon, che disiando Veder, tanto aspettato aveano pria, Molto
gaudio apportò nelle sue squadre E parve a tutti assimigliarsi al padre. Non
dirò l'accoglienze che gli fero Alardo, Ricciardetto e gli altri dui; Che gli
fece Viviano ed Aldigiero, E Malagigi, frati e cugin sui; Ch' ogni signor gli
fece e cavaliere; Ciò ch egli disse a loro, ed essi a lui:Ma vi concluderò, che
finalmente Fa ben veduto da tutta la gente. 36 Caro Guidone a' suoi fratelli
stato Credo sarebbe in ogni tempo assai; Ma lor fu al gran bisogno ora più
grato, Ch esser potesse in altro tempo mai. Poscia che'l nuovo Sole incoronato
Del mare osci di luminosi rai, Guidon coi frati e coi parenti in schiera Se ne
tornò sotto la lor bandiera. 37 Tanto un giorno ed un altro se n' andare, Che
di Parigi alle assediate porte A men di dieci miglia s'accostaro In ripa a
Senna: ove per buona sorte Grifone ed Aquilante ritrovare, I duo guerrier delP
armatura forte:Grifone il bianco, ed Aquilante il nero, Che partorì Gismonda
d'Oliviero. 38 Con essi ragionava una donzella, Non già di vii condizione in
vista. Che di sciamilo bianco la gonnella Fregiata intomo avea d'aurata lista;
Molto leggiadra in apparenza e bella, Fosse quantunque lacrimosa e trista: E
mostrava ne' gesti e nel sembiante Di cosa ragionar molto importante. stanza
36. 89 Conobbe i cavalier, com' essi lui, Guidon, che fii con lor pochi di
innanzi; Ed a Rinaldo disse: Eccovi dui A cui van pochi di valore innanzi; E se
per Carlo ne verrau con nui, Non ne staranno i Saracini innanzi. Rinaldo di
Guidon conferma il detto, Che l'uno e l'altro era guerrier perfetto. 40 Gli
avea riconosciuti egli non manco; Perocché quelli sempre erano usati, L'un
tutto nero, e l'altro tutto bianco Vestir su l'arme, e molto andare ornati.
Dall'altra parte essi conobber anco E salutar Guidon, Rinaldo e i frati; E
abbracciar Rinaldo come amico . Messo da parte ogni lor odio antico. 41 S' ebbero
un tempo in urta e in gran dispetto Per Truffaldin, che fora lungo a dire; Ma
quivi insieme con fraterno affetto S'accarezzar, tutte obbliando l'ire. Rinaldo
poi si volse a Sansonetto, Ch'era tardato un poco più a venire, E lo raccolse
col debito onore. Appieno instrutto del suo gran valore. 42 l'osto che la
donzella più vicino Vide Rinaldo, e conosciuto l'ebbe (Ch'avea notizia d'ogni
paladino), Gli disse una novella che gl'iucrebbe; E cominciò: Sigrore, il tuo
cugino, A cui la Chiesa e l'alto Imperio debbe, Quel già s) saggio ed onorato
Orlando, È fatto stolto, e va pel mondo errando. 43 Onde causato co strano e
rio Accidente gli sia, non so narrarte. La sua spada e V altr arme ho vedute
io, Che per li campi avea gittate e sparte; E vidi un cavalier cortese e pio
Che le andò raccogliendo da ogni parte; E poi di tutte quelle un arbuscello Fé,
a guisa di trofeo, pomposo e bello. 44 Ma la spada ne fu tosto levata Dal
figliuol d'Agricane il dì medesmo. Tu puoi considerar quanto sia stata Gran
perdita alla gente del battesmo L'esser un'altra volta ritornata Durindana in
poter del Paganesmo. Né Brigliadoro men, eh errava sciolto Intorno all'arme, fu
dal Pagan tolto. 45Son pochi di ch'Orlando correr vidi, Senza vergogna e senza
senno, ignudo, Con urli spaventevoli e con gridi: . Ch'é ffttto pazzo insomma
ti conchiudo; E non avrei, fuor eh' a questi occhi fidi, Creduto mai si acerbo
caso e crudo. Poi narrò che lo vide giù dal ponte Abbracciato cader con
Rodomonte. 49 Ma già lo stuolo avendo fatto unire, Sia volontà del Cielo, o sia
avventura, Vuol fare i Saracin prima fuggire, E liberar le parigine mura.
consiglia l'assalto differire (Che vi par gran vantaggio) a notte senra . Nelk
terza vigilia o nella quarta, Ch' avrà V acqua di Lete il Sonno sparta. 50
Tutta la gente alloggiar fece al boseo, E quivi la posò per tutto '1 giorno:Ma
poi che '1 sol, lasciando il mondo fosco . Alla nutrice antiqua fé' ritomo, Ed
orsi e capre, e serpi senza tosco, E l'altre fere ebbono il cielo adorno, Che
state erano ascose al maior lampo, Mosse Rinaldo il taciturno campo: 61 E venne
con Grifon, con Aquilante, Con Vivian, con Alardo e con Guidone, Con
Sansonetto, agli altri un miglio innante, A cheti passi e senza alcun sermone.
Trovò dormir l'ascolta d'Agramante: Tutta l'uccise, e non ne fé' un prigione.
Indi arrivò tra l'altra gente mora, Che non fu visto né sentito ancora. 46 A
qualunque io non credaessernimico D'Orlando, soggiungea, di ciò favello; Acciò
eh' alcun di tanti a eh' io lo dico, Mosso a pietà del caso strano e fello, Cerchi
o a Parigi o in altro luogo amico Ridurlo, fin che si purghi il cervulo. Ben
so, se Brandimarte n' avrà nuova, Sarà per fame ogni possibil prova. 47 Era
costei la bella Fiordiligi, Più cara a Brandimarte che sé stesso: La qual, per
lui trovar, venia a Parigi:E della spada ella soggiunse appresso, Che discordia
e contese e gran litigai Tra il Sericano e'I Tartaro avea messo; E ch'avuta
l'avea, poiché fii casso Di vita Mandricardo, alfin Gradasso. 48 Di cosi strano
e misero accidente Rinaldo senza fin si lagna e duole; Né il core intenerir men
se ne sente, Che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole: E con disposta ed
iramutabil mente, Ovunque Orlando sia, cercar lo vuole, Con speme, poi che
ritrovato l'abbia, Di farlo risanar di quella rabbia. 52 Del campo d'Infedeli a
prima giunti La ritrovata guardia all'improvviso Lasciò Rinaldo si rotta e
consanta, Ch' un sol non ne restò, se non ucciso. Spezzata che lor fu la prima
punta, I Saracin non l'avean più da riso:Che sonnolenti, timidi ed inermi,
Poteano a tai guerrier far pochi schermi. 63 Fece Rinaldo per maggior spavento
Dei Saracini, al muover dell' assalto, A trombe e a corni dar subito vento, E,
gridando, il suo nome alzar in alto. Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
Che dentro ali alte sbarre entrò d'un salto . E versò cavalier, pestò pedoni,Ed
atterrò trabacche e padiglioni. 64 Non fu si ardito tra il popol pagano, A cui
non s'arricciassero le chiome, Quando senti Rinaldo e Montalbano Sonar per
l'aria, il formidato nome. Fugge col campo d'Africa l'Ispano, Né perde tempo a
caricar le some; Ch'aspettar quella furia più non vuole, Ch' aver provata anco
si piagne e duole. Guidon lo see, e non fa men di lui; Né men fanno i dao figli
d'Oliviero, Alardo e Ricciardetto e gli altri dui: Col brando Sansonetto apre
il sentiero; Aldigiero e Vivian provar altrui Fan quanto in arme Puno e l'altro
è fiero. Cosi fa ognun che segue Io stendardo Di Chiaramonte, da gaerrier
gagliardo. 56 Settecento con lui tenea Rinaldo In Montalbano e intorno a quelle
ville, Usati a portar l'arme al freddo e al caldo, Non già più rei dei Mirmidon
d'Achille. Ciascun d'essi al bisogno era si saldo, Che cento insieme non
fuggian per mille; E se ne potean molti sceglier fuori, Che d'alcun dei famosi
eran migliori. 57 E se Rinaldo ben non era molto Ricco né dicittàné di tesoro,
Facea sì con parole e con buon volto, E ciò ch'avea partendo ognor con loro,
Ch'un di quel numer mai non gli fu tolto Per offerire altrui più somma d'oro.
Questi da Montalban mai non rimove, Se non lo stringe un gran bisogno altrove.
58 Ed or, perch'abbia il Magno Carlo aiuto. Lasciò con poca guardia il suo
castello. Tra gli African questo drappel venuto. Questo drappel del cui valor
favello, Ne fece quel che del gregge lanuto Sul falanteo Galeso il lupo fello,
0 quel che soglia del barbato, appresso barbaro Cinifio, il leon spesso. 59
Carlo, eh' avviso da Rinaldo avuto Avea, che presso era a Parigi giunto, E che
la notte il campo sprovveduto Volea assalir, stato era in arme e in punto: E,
quando bisognò, venne in aiuto Coi Paladini; e ai Paladini aggiunto Avea il
figliuol del ricco Monodante, Di Fiordiligi il fido e saggio amante; 60 Ch'
ella più giorni per si lunga via Cercato avea per tutta Francia invano. Quivi,
all' insegne che portar solia, Fu da lei conosciuto di lontano. Come lei
Brandimarte vide pria. Lasciò la guerra, e tornò tutto umano, corse ad
abbracciarla: e d'amor pieno, Mille volte baciolla, o poco meno. 61 Delle lor
donne e delle lor donzelle Si fidar molto a quella antica etade. Senz' altra
scorta andar lasciano quelle Per piani e monti, e per strane contrade; Ed aJ
ritomo l'han per buone e belle. Né mai tra lor suspiz'ione accade. Fiordiligi
narrò quivi al suo amante, Che fatto stolto era il Signor d'Anglante.
Brandimarte si strana e ria novella Credere ad altri a pena avria potuto; Ma lo
credette a Fiordiligi bella, A cui già maggior cose avea creduto. Non pur
d'averlo udito gli dice ella, Ma che con gli occhi propri l'ha veduto; C ha
conoscenza e pratica d'Orlando, Quanto alcun altro; e dice dove e quando: 63 E
gli narra del ponte periglioso. Che Rodomonte ai cavalier difende, Ove un
sepolcro adoma e fa pomposo Di sopravveste e d'arme di chi prende. Narra e' ha
visto Orlando furioso Far cose quivi orribili e stupende; Che nel fiume il
Pagan mandò riverso, Con gran periglio di restar sommerso. 64 Brandimarte,
che'l Conte amava quanto Si può compagno amar, fratello o figlio, di cercarlo,
e di far tanto, Non ricusando affanno né periglio, Che per opra di medico o
d'incanto Si ponga a quel furor qualche consiglio, Cosi come trovossi armato in
sella. Si mise in vìa con la sua donna bella. .65 Verso la parte ove la donna
il Conte Avea veduto, il lor cammin drizzare. Di giornata in giornata, fin eh'
al ponte, Che guarda il re d'Algier si ritrovare. La guardia ne fé' segno a
Rodomonte, E gli scudieri a un tempo gli arrecare L'arme e'I cavalloj e quel si
trovò in punto" Quando fu Brandimarte al passo giunto. 66 Con voce qual
conviene al suo furore, Il Saracino a Brandimarte grida: Qualunque tu ti sia,
che, per errore Di via 0 di mente, qui tua sorte guida, Scendi e spogliati
l'arme, e fanne onore Al gran sepolcro, innanzi eh' io t' uccida, E che vittima
all'ombre tu sia offerto; Ch'io'l farò poi, né te n'avrò alcun morto. 67 Non
volse Brandimarte a quell'altiero Altra risposta dar, che della lancia. Sprona
Batoldo, il suo gentil destriero, E inverso quel con tanto ardir si lancia, Che
mostra che può star d'animo fiero Con qnal si voglia al mondo alla bilancia: E
Rodomonte, con la lancia in resta, stretto ponte a tutta briglia pesta. 68 II
suo destrier, ch'avea continuo uso D'andarvi sopra, e far di quel sovente
Quando uno e quando un altro cader giuso, Alla giostra correa sicuramente.
L'altro, del corso insolito confuso, Venia dubbioso, timido e tremente. Trema
anco il ponte, e par cader nell'onda. Oltre che stretto e che sia senza sponda.
I cavalier, dì giostra ambi maestri. Che le lance avean grosse come travi, qual
fur nei lor ceppi silvestri. Sidieron colpi non troppo soavi. Ai lor cavalli
esser possenti e destri Non giovò molto agli aspri colpi e gravi; Che si versar
di pari ambi sul ponte, E seco i signor lor tutti in un monte. 73 L'onda si
leva, e li fa andar sozsopra E dove è più profonda lì trasporta: Va Brandimarte
sotto, e '1 destrier sopri. Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta E le lacrime
e i voti e i prìeghi adopra:Ah Rodomonte, per colei che morta Tu riverisci, non
esser si fiero, Ch' affogar lasci un tanto cavaliero ! 74 Deh, cortese Signor,
s' unqua tu amasti, Di me, eh' amo costui, pietà ti vegna. Di farlo tuo
prigion, per Dio, ti basti; Che s'orni il sasso tuo di quella insegna Di quante
spoglie mai tu gli arrecasti. Questa fia la più bella e la più degna. E seppe
si ben dir, eh' ancorché fosse Si crudo il re Pagan, pur lo commosse; 75 E fé'
che '1 suo amator ratto soccorse, Che sotto acqua il destrier tenea sepolto, E
della vita era venuto in forse, senza sete avea bevuto molto. Ma aiuto non però
prima gli porse. Che gli ebbe il brando e di poi l'elmo tolto. Dell'acqua mezzo
morto il trasse, e porre Con molti altri lo fé' nella sua torre. 70 Nel volersi
levar con quella fretta Che lo spronar de' fianchi insta e richiede, L'asse del
ponticel lor fii si stretta, Che non trovare ove fermare il piede; Si che una
sorte ugnale ambi li getta Nell'acqua; e gran rimbombo al cìel ne riede, Simile
a quel ch'uscì del nostro fiume. Quando ci cadde il mal rettor del lume. 71 I
duo cavalli andar con tutto '1 pondo Dei cavalier, che steron fermi in sella, A
cercar la riviera insin al fondo, Se v'era ascx)sa alcuna Ninfa bella. Non è
già il primo salto né '1 secondo, Che giù del ponte abbia il Pagano in quella
Onda spiccato col destriero audace; Però sa ben come quel fondo giace:72 Sa
dove è saldo, e sa dove é più molle Sa dove è l'acqua bassa, e dove è alta. Dal
fiume il capo e il petto e i fianchi estolle, E Brandimarte a gran vantaggio
assalta. Brandimarte il corrente in giro tolle: Nella sabbia il destrier, che'l
fondo smalta Tutto si ficca, e non può riaversi, Cn rischio di restarvi ambi
sommersi. 76 Fu nella donna ogni allegrezza spenta, prigion vide il suo amante
gire Ma di questo pur meglio si contenta, Che di vederlo nel fiume perire. Di
sé stessa, e non d'altri, si lamenta, Che fu cagion di farlo qui venire, Per
avergli narrato eh' avea il Conte Riconosciuto al periglioso ponte. 77 Quindi
si parte, avendo già concetto menarvi Rinaldo paladino, 0 il Selvaggio Guidone,
o Sansonetto, 0 altri della corte di Pipino, In acqua e in terra cavalier
perfetto Da poter contrastar col Saracino; Se non più forte, almen più fortunato
Che Brandimarte suo non era stato. 78 Va molti giorni, prima che s'abbatta In
alcun cavalier ch'abbia sembiante D'esser come lo vuol, perchè combatta Col
Saracino, e liberi il suo amante. Dopo molto cercar di persona atta Al suo
bisogno, un le vien pur avante, Che soprawesta avea ricca ed ornata, A tronchi
di cipressi ricamata. Stanza 70. Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi; Che
prima ritornar voglio a Parigi, E del'a gran sconfitta seguitarvi, Ch' a Mori
die Rinaldo e Malagigi. Quei che fuggirò, io non saprei contarvi, Né quei che
fur cacciati ai fiumi stigi. Levò a Turpino il conto Paria oscura, Che di
contarli s'avea preso cura. 80 Nel primo sonno dentro al padiglione Dormia
Àgramante; e un cavalier lo desta, Dicendogìi che fia fatto prigione, Se la
foga non è via pili che presta. Guarda il Re intomo, e la confusione Vede de'
suoi, che van senza far testa Chi qua chi ]à fuggendo inermi e nudi, Che non
han tempo di pur tor gli scudi. 81 Tutto confuso e privo di consiglio Si facea
porre indosso la corazza, Quando con Falsiron vi giunse il figlio Grandonio, e
Balugante, e quella razza; £ al re Àgramante mostrano il periglio Di restar
morto o preso in quella piazza; E che può dir, se salva la perna, Che Fortuna
gli sia propizia e buona. 82 Cosi Marsilio e cosi il buon Sobrino, E cosi dicon
gli altri ad una voce, Ch' a sua distruzion tanto è vicino, Quanto a Rinaldo il
qual ne vien veloce; Che s'aspetta che giunga il Paladino Con tanta gente, e un
uom tanto feroce. Render certo si può ch'egli e i suo' amici Rimarran morti, o
in man degli nimicL Ma ridur si può in Arli o sia in Narbona Con quella poca
gente e' ha d'intorno; Che runa e l'altra terra è forte e buona Da mantener la
guerra più d'un giorno: E quando salva sia la sua persona, Si potrà vendicar di
questo scorno. Rifacendo l'esercito in un tratto. Onde alfin Carlo ne sarà
disfatto. 84 II re Àgramante al parer lor s'attenne. Benché il partito fosse
acerbo e duro. Andò verso Arli, e parve aver le penne, Per quel cammin che più
trovò sicuro. alle guide, in gran favor gli venne, Ventimila tra d'Africa e di
Spagna Fur, eh' a Rinaldo uscir fuor della ragna. 85 Quei ch'egli uccise, e
quei che i suoi fratelli, Quei che i duo figli del signor di Vienna, Quei che
provaro empj nimici e felli I settecento a cui Rinaldo accenna, E quei che
spense Sansonetto, e quelli Che nella fuga s' affogaro in Senna, Chi potesse
contar, conteria ancora Ciò che sparge d'aprii Favonio e Flora. Istima alcun
che Malagigi parte Nella vittoria avesse della notte; Non che di sangue le
campagne sparte Fosser per lui, né per lui teste rotte; Ma che gì' infernali
angeli per arte Facesse uscir dalle tartaree grotte, E con tante bandiere e
tante lance, Ch'insieme più non ne porrian due Franco:87 E che facesse udir
tanti metalli. tamburi, e tanti vari suoni. Tanti annitriri in voce di cavalli.
Tanti gridi e tumulti di pedoni, Che risonare e piani e monti e valli Dovean
delle longinque regioni; Ed ai Mori con questo un timor diede, Che li fece
voltare in fuga il piede. 88 Non si scordò il re d'Africa Ruggiero, Ch' era
ferito e stava ancora grave. Quanto potè più acconcio s'un destriero Lo fece
por, ch'avea l'andar soave; E poi che l'ebbe tratto ove il sentiero più sicuro,
il fé' posare in nave, verso Arli portar comodamente, Dove s'avea a raccòr
tutta la gente, 89 Quei eh' a Rinaldo e a Carlo dièr le spalle (Fur, credo,
cento mila o poco manco), Per campagne, per boschi e monte e valle Cercare
uscir di man del popol franco; Ma la più parte trovò chiuso il calle, E fece
rosso ov'era verde e bianco. Cosi non fece il re di Serìcana, Ch'avea da lor la
tenda più lontana: 90 Anzi, come egli sente che '1 Signore Di 3[ontalbano é
questo che gli assalta. Gioisce di tal giubilo nel core, Che qua e là per
allegrezza salta. Loda e ringrazia il suo sommo Fattore, Che quella notte gli
occorra tant'alta E sì rara avventura, d'acquistare Baiardo, quel destrier che
non ha pare. 91 Ayea quel Re gran tempo desiato (Credo ch'altrove voi l'abbiate
letto) aver la buona Durindana a lato, E cavalcar quel corridor perfetto. E già
con più di centomila armato Era venuto in Francia a questo effetto; E con
Rinaldo già sfidato s' era Per quel cavallo alla battaglia fiera:92 E sul lite
del mir s'era condutto Ove dovea la pugna diffiuire; Ma Malagigi a turbar venne
il tutto, Che fé' il cugin, mal grado suo, partire, Avendol sopra un legno in
mar ridutto. Lungo saria tutta l'istoria dire. Da indi in qua stimò timido e
vile Sempre Gradasso il Paladin gentile. 93 Or che Gradasso esser Rinaldo
intende Costai ch'assale il campo, se n'allegra. Si veste l'arme, e la sua
Alfana prende, E cercando lo va per l'aria negra: E quanti ne riscontra, a
terra stende; Ed in confuso lascia afflitta ed egra La gente o sia di Libia o
sia di Francia: Tutti li mena a un par la buona lancia. 94 Lo va di qua, di là
tanto cercando, Chiamando spesilo e quanto può più forte, E sempre a quella
parte declinando. Ove più folte son le genti morte, Ch'alfin s'incontra in lui
brando per brando; le lance loro ad una sorte Eran salite in mille scheggio
rotte Sin al carro stellato della Nott 95 Quando Gradasso il Paladin gagliardo,
e non perchè ne vegga insegna, Ma per gli orrendi colpi, e per Baiardo Che par
che sol tutto quel campo tegna; Non è, gridando, a improverargli tardo La prova
che di sé fece non degna:Ch'ai dato campo il giorno non comparse, Che tra lor
la battaglia dovea farse. 96 Soggiunse poi: Tu forse avevi speme, Se potevi
nasconderti quel punto, Che non mai più per raccozzarci insieme Fossimo al
mondo: or vedi ch'io t'ho giunto. Sie certo, se tu andassi nell'estreme Fosse
di Stige, o fossi in cielo assùnto, Ti seguirò, quando abbi il destrier teco.
Nell'alta luce, e giù nel mondo cie"e. Se d'aver meco a far non ti dà il
core. E vedi già che non puoi starmi a paro, E più stimi la vita che l'onore, Senza
periglio ci puoi far riparo, Quando mi lasci in pace il corridore; viver puoi,
se sì t' è il viver caro:Ma vivi a pie, che non merti cavallo, S'alia
cavalleria fai sì gran fallo. 98 A quel parlar si ConRicciardetto il cavalier
Selvaggio; E le spade ambi trasser egualmente . Per far parere il Serican mal
saggio. Ma Rinaldo s' oppose immantinente, E non pati che se gli fèsse
oltraggio, Dicendo: Senza voi dunque non sono A chi m' oltraggia per risponder
buono?99 Poi se ne ritornò verso il Pagano, E disse: Odi, Gradasso; io voglio
farte. Se tu m'ascolti, manifesto e piano Ch'io venni alla marina a ritrovarte;
poi ti sosterrò con l'arme in mano, t' avrò detto il vero in ogni parte; E
sempre che tu dica, mentirai, Ch'aUa cavalleria mancass'io mai. 100 Ma ben ti
priego che prima che sia Pugna tra noi, che pianamente intenia La giustissima e
vera scusa mia, Acciò eh' a torto più non mi riprenda; E poi Baiardo al termine
di pria noi vorrò eh' a piedi si contenda Da solo a solo in solitario lato. Si
come appunto fu da te ordinato. 101 Era cortese il re di Sericana, Come ogni
cor magnanimo esser suole; Ed è contento udir la cosa piana, E come il Paladin
scusar si vuole. Con lui ne viene in ripa alla fiumana, Ove Rinaldo in semplici
parole sua vera istoria trasse il velo, E chiamò in testimonio tutto 'l
cielo:102 E poi chiamar fece il figliuol di Buovo, che di questo era informato
appieno; Ch'a parte a parte replicò di nuovo L'incanto, uè disse più né meno.
Soggiunse poi Rinaldo: Ciò ch'io provo Col testimonio, io vo'che l'arme sieno,
Che ora, ed in ogni tempo che ti piace. Te n'abbiano a far prova più verace. 11
re Gradasso, che lasciar non volle Per la seconda la querela prima, Le scuse di
Rinaldo in pace tolle; Ma se son vere o false, in dubbio stima. Non tolgon
campo più sul lito molle Di Barcellona, ove lo tolser prima; Ma s'accordaro per
T altra mattina Trovarsi a una fontana indi vicina: 108 E più degli altri il
frate di Viviano Stava di questa pugna in dubbio e iu tema; Ed anco volentier
vi porrla mano, Per farla rimaner d'effetto scema:Ma non vorria che quel da
Montai bano Seco venisse a inimicizia estrema; Ch anco avea di qnell' altra
seco sdegno, Che gli turbò, quando il levò sul legao. 104 Ove Rinaldo seco
abbia il cavallo, posto sia comunemente in mezzo. Se'l Re uccide Rinaldo, o il
fa vassallo. Se ne pigli il destrier senz' altro mezzo:Ma se Gradasso è quel
che faccia fallo, Che sìa condotto alP ultimo ribrezzo, O, per più non poter,
che gli si renda, Da lui Rinaldo Durindana prenda. 105 Con maraviglia molta, e più
dolore. Cerne v'ho detto, avea Rinaldo udito Da Fiordiligi bella, ch'era fuore
Deir intelletto il suo cugino uscito. Avea dell'arme inteso anche il tenore, E
del litigio che n'era seguito; E ch'insomma Gradasso avea quel brando Ch'ornò
di mille e mille palme Orlando. 106 Poi che furon d'accordo, ritomosse Il re
Gradasso ai servitori sui; Benché dal Paladin pregato fosse Che ne venisse al
alloggiar con lui. Come fu giorno, il re pagano armosse:Così Rinaldo: e
giunsero ambedui Ove dovea non lungi alia fontana 110. Delia battaglia che
Rinaldo avere Gradasso dovea da solo a solo, Parean gli amici suoi tutti
temere; E innanzi il caso ne faceano duolo. Molto ardir, molta forza, alto
sapere Gradasso; ed or che del figliuolo gran Milone avea la spada al fianco,
Di timor per Rinaldo era ognun bianca. 109 Mastianogli altriin dubbio, in tema,
in doglia; se ne va lieto e sicuro. Sperando eh' ora il biasmo se gli toglia,
Si che quei da Pontieri e d'Altafoglia Faccia cheti restar, come inai furo. Va
con baldanza e sicurtà di core Di riportarne il trionfale onore. Poi che l'un
quinci e l'altro quindi giunto Fu quasi a un tempo in su la chiara fonte, S'
accarezzare; e fero a punto a punto Cosi serena ed amichevol fronte. Come di
sangue e d'amistà congiunto Fosse Gradasso a quel di Chiaramente. Ma come
pois'andasseroaferire,.Vivoglio a un'altra volta differire. N O TB. St. 5.
V.36. Murmure: parole mormorate nel far grincantesimi. Immagine: Agore magiche,
adoperate per lo stesso efifetto. Saga: voce latina, vai quanto presaga" che
conosce o predice il futaro, maga, indo vina, incantatrice. Zoroastro: re
de'Battrìani: creduto inventore dell'arte magica. St. 12. V.1. Ricciardo. Qui e
nella stanza 94 del canto antecedente, TAriosto distingue Ricciardo da Ric
ciardetto. St. 22. y. 3. Rezzo, Fombra della notte. St. 26. V.4. Il pigro
Arturo: una delle stelle vi cine al Polo artico; e Tepiteto che le dà il Poeta
è re lativo alla maggior prestezza, con che le altre stelle più discoste dal
Polo terminano l'apparente loro rivolgersi iotomo alla Terra. St. 34. V.12.
Non, per andar, di ragionar la sciando, Non, ecc. Il poeta imitò Dante, Inf.,
IV, 64: Non laaciavam rondar, perch'ei dicessi; e, meglio, Purg., XXIV, 12: Né
il dir l'andar, né l'andar lu più lento Facea, ma ragionando amdavam forte. St.
38. V.3. Sciamilo: sorta di drappo. St. 41. V.12. In urta: in odio. Per
Truffaldin: uomo di mal aflkre, per cui Grifone, Aquìlante e Rinaldo vennero un
tempo a contesa. St. 49. V.7. Vigilia: cosPchiamavasi dai Romani ognuna delle
quattro parti incuidivìdevanola notte; e tal denominazione traevano dal
vigilare o vegliare delle sentinelle, dette similmente vigiles. La terza vi
gilia sarebbe dalla mezzanotte alle tre. St. 50. V.47. Alla nutrice antiqua:
alla terra. Ed orsi e capre, ecc. indica diverse costellazioni, alle quali i
poeti e gli astronomi diedei'o i nomi di vari ani t mali; come le due Orse, la
Capra AmaUea, e il Ser pente, che si accennano nel quinto verso. Ai mof gior
lampo: alla luce del sole, o durante H giorni St. 51. V.5. Ascolta, o scolta:
sentinella; ma qsi è da intendersi un numero di soldati cbe stanno a gmr dia,
detto oggi corpo di guardia. St. 53. V.8. Trabacche: casotti posticci di legno
o di tela, sostenuti da travicelli, per alloggiare i soldati in accampamento.
Padiglioni: tende, sotto cui allog giavano i capi deiresercito accampato. St.
54. V.4. Formidato: paventato. St. 56. V.4. Non già più rei dei Mirmidon
d'Achille. non inferiori in valore ai Mirmidoni, condotti da Adiill all'assedio
di Troia. St. 58. V.5a Sul falanteo Galeso: finme noo tos tano da Taranto che
credesi edificata da Falanto; e qn si prende per tutta la regione Tarentina, le
coi pecore (il gregge lanuto) producono lana di molto pregio. Del barbato: del
gregge caprino. Il barbaro dnifiù: il fiumeMagra in Africa, detto dai Latini
Ofn o CyniphuSf lungo il quale pascevano capre, fi detto barbaro perchè
d'Africa. St. 6a V.2. Difende: vieta, impedisce. Vedi al Canto XIV, St. 7, e al
Canto XXVII, St. 77. ST. 70. y. 7S. Del nostro fiume: del Po Zi mal rettor del
lume: Fetonfe precipitato nel Po. St. 87. y. 3. Annitriri: nitriti St. 102.
v.1. 2/ figliuol di Buovo: Malagtgi St. 104. v.6. All'ultimo ribrezzo: al
freddo della morte. St. 109. v.5. Pontieri e Alta foglia. Due castelli dei
Maganzesi. Cure di Afframante iirr l'inforzai e l'esercito Bradamaitt",
ingelosita di Rupjiero per caiùn di Mai fisa partu dal auo cartello, e capita
alla locta di Tri stana Ivi é obbli gsita a combattere con tr ]>i incJpi; e
dopo averli tolti di sella, ode l'origine ài qull usanza. Sovvienimi eli e
cantare io vi doTca (Già lo prò miai j e poi ra' uscì di mente) D'una sospìion
che fatto avea La bella dùima (ìi Ruggier dolente. Dell'altra più spiacevole e
più rea, E di più acuto e Tetieiioso dente Che, per quel di' ella udì da
Ricciardetto, A de varare il cor T entrò nel petto. 2 Dovea cantarne, ed altro
incominciai, Pere li è Rinaldo in meiszo sopravvenne E poi (niidon ìlì die che
fare assai, i he tra cannnìiio a bada un pezo il tenne, D una cosa in un'altra
in modo entrai, Che mal di Bradamante mi sovvenne. Sovvìenmene ora, e vo
narrarne innanti Che di Rinaldo e di Gradasso io canti. 3 Ma bisogna anco,
prima ch'io ne parli, Che d'Àgramante io vi ragioni nn poco, Oh' avea ridotte
le relìquie in Arli, Che gli restar del gran notturno fuoco; Quando a raccor lo
sparso campo, e a darli Soccorso e vettovaglie era atto il loco: L'Africa
incontra, e la Spagna ha vicina . Ed è in sul fiume assiso alla marina. stanza
9. Per tutto 'l regno fa scriver Marsilio Gente a piedi e a cavallo, e trista e
buona. Per forza e per amore ogni navilio Atto a battaglia s'arma in
Barcellona. Agramante ogni dì chiama a concilio; Né a spesa né a fatica si
perdona. Intanto gravi esazioni e spesse Tutte hanno le città d'Africa
oppresse. Egli ha fatto offerire a Rodomonte, Perché ritorni (ed impetrar noi
pnote). Una cugina sua, figUa d'Almonte, E'I bel regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse V altier muover dal ponte, Ove tantarme e tante selle vote Di quei
che son già capitati al passo. Ha ragunate, che ne copre il sasso. Già non
volse Marfisa imitar Tatto Di Rodomonte: anzi com' ella intese Ch' Agramante da
Carlo era dis&tto, Sue gentimorte,saccheggiate e prese, E che con pochi in
Arli era ritratto, Senza aspettare invito, il cammin prese, Venne in aiuto
della sua corona, E r aver gli profferse e la persona:7 E gli menò Brunello, e
gli ne fece Libero dono, il qual non avea oflfeso. L'avea tenuto dieci giorni e
diece Notti sempre in timor d'essere appeso:E poiché né con forza né con prece
Da nessun vide il patrocinio preso. si sprezzato sangue non si volse Bruttar
l'altiere mani, e lo disciolse. Tutte r antique ingiurie gli rimesse, E seco in
Arli ad Agramante il trasse. Ben dovete pensar che gaudio avesse Il Re di lei
eh' ad aiutarlo andasse:E del gran conto eh' egli ne facesse, Volse che Brunel
prova le mostrasse; Che quel, di eh' ella gli avea fatto cenno, Di volerlo
impiccar, fé' da buon senno. Il manigoldo, in loco occulto ed ermo. Pasto di
corvi e d'avoltoi lasciollo. Ruggier, eh' un' altra volta gli fu schermo, E
che'l laccio gli avria tolto dal collo, La giustizia di Dio fa eh' ora infermo
S'ò ritrovato, ed aiutar non puoUo: E quando il seppe era già il fatto occorso;
Si che restò Brunel senza soccorso. 10 Intanto Bradamante iva accusando Che
cosi lunghi sian quei venti giorni, Li quai finiti, il termine era, quando A
lei Ruggiero ed alla Fedetomi.Achiaspetta di carcere o di bando Uscir, non par
che '1 tempo più soggiorni A dargli libertade, o dell' amata Patria vista
gioconda e desiata. In quel duro aspettare ella talvolta Pensa ch'£to e Piróo
sia fatto zoppo, 0 sia la mota guasta; eh' a dar volta Le par che tardi, oltr'
air usato troppo. Più lungo di quel giorno a cui, per molta Fede, nel cielo il
giusto Ebreo fé' intoppo; Più della notte ch'Ercole produsse, Parea lei ch'ogni
notte, ogni di fusse. 12 0 quante volte da invidiar le diero E gli orsi e i
ghiri e i sonnacchiosi tassi ! Che quel tempo voluto avrebbe intero Tutto
dormir, che mai non si destassi; Né potere altro udir, finché Ruggiero Dal
pigro sonno lei non richiamassi. Ma non pur questo non può fsa, ma ancora Non
può dormir di tutta notte un' ora. 13 Di qua di là va le noiose piume Tutte
premendo, e mai non si riposa. Spesso aprir la finestra ha per costume, Per
veder s'anco di Titon la sposa Sparge dinanzi al mattutino lume Il bianco
giglio e la vermiglia rosa: Non meno ancor, poi che nasciuto é'I giorno, Brama
vedere il ciel di stelle adomo. 14 Poi che fu quattro o cinque giorni appresso
11 termine a finir, piena di spene Stava aspettando d'ora in ora ilmessoChe le
apportasse: Ecco Ruggier che viene. Montava sopra un'alta torre spesso, Ch'i
folti boschi e le campagne amene Scoprìa d'intorno, e parte della via Onde di
Francia a Montalban si ga. 15 Se di lontano o splendor d'arme vede, 0 cosa tal
eh' a cavalier simiglia, Che sia il suo disiato Ruggier crede, rasserena i
begli occhi e le ciglia: Se disarmato o viandante a piede. Che sia messo di lui
speranza piglia; E sebben poi fallace la ritrova. Pigliar non cessa una ed
un'altra nuova. 16 Credendolo incontrar, talora armossi, Scese dal monte, e giù
calò nel piano:Né lo trovando, si sperò che fossi Per altra strada giunto a
Montalbano; E col disir con ch'avea i piedi mossi Fuor del Castel, ritornò
dentro invano: Né qua né là trovollo; e passò intanto Il termine aspettato da
lei tanto. 17 II termine passò d'uno, di dui, Di tre giorni, di sei, d'otto e
di venti; Né vedendo il suo sposo, né di lui Sentendo nuova, incominciò lamenti
Ch'avrian mosso a pietà nei regni bui Quelle Furie crinite di serpenti; E fece
oltraggio a' begli occhi divini, Al bianco petto, agli aurei crespi crini.
stanza 14. 18 Dunque fia ver, dicea, che mi convegna Cercare un che mi fugge e
mi s'asconde? Dunque debbo prezzare un che mi sdegna? Debbo pregarchimai non mi
risponde? Patirò che chi m'odia, il cor mi tegna? Un che si stima sue virtù
profonde, Che bisogno sarà che dal ciel scenda Immortai Dea che'l cor d'amor
gli accenda? 19 Sa questo altìer chìo Taino e ch'io Padoro; Né mi vuol per
amante, né per serva. n cnidel sa che per lai spasmo e moro; E dopo morte a
darmi aiuto serva. E perchè io non gli narri il mio mart6ro, Atto a piegar la
sua voglia proterva, Da me s'asconde, come aspide suole, Che, per star empio,
il canto udir non vuole. 20 Deh ferma, Amor, costui che cod sciolto Dinanzi al
lento mio correr s' affretta; 0 tornami nel grado onde m'hai tolto. Quando né a
te né ad altri era suggetta! Deh come é il mio sperar fallace e stolto, Ch'in
te con prìeghi mai pietà si metta; Che ti diletti, anzi ti pasci e vivi Di trar
dagli occhi lagriraosi rivi! 21 Ma di che devo lamentarmi, ahi lassa ! Fuorché
del mio desire irrazionale? Ch'alto mi leva, e si nell'aria passa. Ch'arriva in
parte ove s'ahhrucia l'ale; Poi, non potendo sostener, mi lassa Dal ciel cader:
né qui finisce il male; Che le rimette, e di nuovo arde: ond'io Non ho mai fine
al precipizio mio. 22 Anzi, via più che del disir, mi deggio Di me doler, che
si gli apersi il seno; Onde cacciata ha la ragion di seggio, Ed ogni mio poter
può di lui meno. Quel mi trasporta ognor di male in peggio. Né lo posso frenar,
che non ha freno:E mi fa certa che mi mena a morte, Perch' aspettando il mal
noccia più forte. 23 Deh perchè voglio anco di me dolermi? Ch'error, se non
d'amarti, unqua commessi?Che maraviglia, se fragili e infermi Femminil sensi
far subito oppressi? Perchè dove v' io usar ripari e schermi. Che la somma
beltà non mi piacessi, alti sembianti, e le saggie parole? Misero è ben chi
veder schiva il Sole ! 24 Ed oltre al mio destino, io ci fui spinta Dalle
parole altrui degne di fede. Somma felicità mi fu dipinta. Ch'esser dovea di
questo amor mercede. Se la persuasione, oimè ! fii finta. Se fu inganno il
consiglio che mi diede Merlin, posso di lui ben lamentarmi; 3Ia non d'amar
Rngier posso ritrarmi. 25 Di Merlin pos5o e di Melissa insieme Dolermi, e mi
dorrò d'essi in etemo; Che dimostrare i frutti del mio seme Mi féro dagli
spirti dello 'nferno, Per pormi sol con questa falsa speme In servitù: né la
cagion disoemo, Se non ch'erano forse invidiosi De' miei dolci, sicuri, almi
riposi 26 3 l'occupa il dolor, che non avanza Loco, ove in lei conforto abbia
rioetto: Ma, malgrado di quel, vien la speranza, E vi vuole alloggiare inmezzo
il petto. Rinfrescandole pur la rimembranza Di quel ch'ai suo partir l'ha
Roggier detto, E vuol, centra il parer degli altri affetti, Che d'ora in ora il
suo ritomo aspetti. Questa speranza dunque la sostauie, Finiti i venti giorni,
un mese appresso; Sì che il dolor sì forte non le tenne, Come tenuto avria,
l'animo oppresso. Un di che per la strada se ne venne, Che per trovar Ruggier
solea fer speoso. Novella udi la misera, ch'insieme Fé' dietro all' altro ben
fuggir la speme. 28 Venne a incontrare un cavalier guascone Che dal campo
african venia diritti. Ove era stato da quel di prigione. Che fu innanzi a
Parigi il gran conflitto. Da lei fu molto posto per ragione, Finché si venne al
termine prescritto. Domandò di Ruggiero, e in lui fermosje; Né fuor di questo
segno più si mose. 29 n cavalier buon conto ne rendette; Che ben conoscea tutta
quella corte: E narrò di Ruggier, che contrastette Da solo a solo a Mandricardo
forte; E come egli 1 uccise, e poi ne stette Ferito più d'un mese presso a
morte: E s'era la sua istoria qui conclusa, Fatto avria di Ruggier la vera
esco". 30 Ma come poi sounse, una donzella Esser nel campo, nomata
Marfisa, Che men non era, che gagliarda, bella, Né meno esperta d'arme in ogni
guisa, Che leiRuggiero amava, e Ruggiero ella; Ch' egli da lei, eh' ella da lui
divisa Si vedea raro; e ch'ivi ognuno crede Che s! abbiano tra lor data la
fède; stanza E che, come Ruggier si faccia sano, Il matrimonio pubblicar si
deve; E ch'ogni Re, ogni Principe pagano Gran piacere e letizia ne riceve:Che
dell' uno e delP altro sopranmano Conoscendo il valor, sperano in breve Far una
razza d'uomini da guerra, La pia gagliardi che mai fosse in terra. 82 Credea il
Guascon quel che dicea, non senzi Cagion; che neir esercito de' Mori Opinione e
universal credenza, E pubblico parlar n'era di fuori. I molti seg di
benivolenza Stati tra lor facean questi romori; Che tosto, 0 baona o ria che la
fama esce Fuor d'una bocca, in infinito cresce. 33 L'esser venuta a' Mori ella
in aita Con lui, uè senza lai comparir mai, Avea questa credenza stabilita; Ma
poi l'avea accresciuta pur assai, essendosi del campo già partita, Portandone
Brunel, come h contai, Senza esservi d'alcuno richiamata, Sol par vedir Rogier
v'era tornata. 34 Sol per lui visitar, che gravemente Languia ferito, in campo
venuta era Non una sola volta, ma sovente: Vi stava il giorno, e si parda la
sera:E molto più da dir dava alla gente; Ch' essendoconosciuta cosi altiera,
Che tutto '1 mondo a so le parca vile. Solo a Ruggier fosse benigna e umile. 35
Come il Guascon questo affermò per vero, Fu Bradamante da cotanta pena, Da
cordoglio assalita cosi fiero, Che di quivi cader si tenne a pena. Voltò, senza
far motto, il suo destriero, Di gelosia, d'ira e di rabbia piena; E, da sé
discacciata ogni speranza. Ritornò furibonda alla sua stanza:36 E senza
disarmarsi, sopra il letto, Col viso volta in giù, tutta si stese, Ove per non
gridar, si che sospetto Di sé facesse, i panni in bocca prese, E ripetendo quel
che l'avea detto II cavaliere, in tal dolor discese. Che più non lo potendo
sofferire, Fu forza a disfogarlo, e cosi a dire:37 Misera! a chi mai più creder
debb'io? Vo'dir ch'ognuno é perfido e crudele, Se perfido e orudel sei, Ruggier
mio, Che si pietoso tenni e si fedele. Qual crudeltà, qual tradimento rio Unqua
s'uli per triache querele, Che non trovi minor, se pensar mai Al mio merto e al
tuo debito vorrai?38 Perché, Ruggier, come di te non vive Cavalier di più
ardir, di più bellezza, Né che a gran pezzo al tuo valore arrive, Né a' tuoi
costumi, né a tua gentilezza; Perché non fai che, fra tue illustri e dive
Virtù, si dica ancor ch'abbi fermezza? Si dica eh' abbi invì'olabil fede, A chi
ogni altra virtù s'inchina e cede? 39 Non sai che non compar, se non v'é
quella, Alcun valore, alcun nobil costume? Come né cosa (e sia quinto vuol
bella) Si può vedere ove non splenda lume. Facil ti fu ingannare una donzella.
Di cui tu sigQor eri, idolo e nume; A cui potevi far con tue parole Creder che
fosse oscuro e fre Ido il Sole. 40 Crudel, di che peccato a doler t'hai. Se
d'uccider chi t'ama non ti penti? Se '1 mancar di tua fé si leggier fai, Di
ch'altro peso il cor gravar ti senti? Come tratti il nimico, se tu d&i A
me, che t' amo si, questi tormenti?Ben dirò che giustizia in oiel non sia, S'a
veder tardo la vendetta mia. 41 Se d'ogn' altro peccato assai più quello
Dell'empia ingratitudine l'nom grava, E per questo dal ciel l'Angel più bello
Fu relegato in parte oscura e cava; E se gran fallo aspetta gran flagello,
Quando debita emenda il cor non lava; Guarda eh' aspro flagello in te non
scenda, Che mi se' ingrato, e non vuoi farne emenda. 42 Di furto ancora, oltre
ogni vizio rio, Di te" crudele, ho da dolermi molto. Che tu mi tenga il
cor, non ti dico io; Di questo io vo' che tu ne vada assolto:Dico di te che
t'eri fatto mio, E poi centra ragion mi ti sei tolto. Renditi, iniquo, a me;
che tu sai bene Che non si può salvarchil'altrui tiene. 48 Tu m'hai, Rnggier,
lasciaU: io te non voglio, Né lasciarti volendo anco potrei: Ma, per uscir
d'affanno e di cordoglio, Posso e voglio finire i giorni miei. Di non morirti
in grazia sol mi doglio; Che se concesso m'avessero i Dei Ch'io fossi morta
quando t'era grata, Morte non fu giammai tanto beata. 44 Cosi dicendo, di morir
disposta, Salta del letto, e di rabbia infiammata pon la spada alla sinistra
costa; Ma si ravvede poi che tutta è armata. Il miglior spirto in questo le
s'accosta, £ nel cor le ragiona: 0 donna nata Di tant'alto lignaggio, adunque
vuoi Finir con si gran biasmo i giorni tuoi? 49 Senza scudiero e senta
compagnia Scese dal monte, e si pose in cammiBo Verso Parigi alla più dritta
via, Ove era dianzi il campo Saracino; la novella ancora non s'udia Che
l'avesse Rinaldo paladino. Aiutandolo Carlo e Malagigi, Fatto tor dall'assedio
di Parigi. 50 Lasciati avea i Cadorci e la cittade Di Caorse alle spalle, e
tatto 1 monte Ove nasce Dordona, e le contrade Scopria di Monferrante e di Clarmonte;
Quando venir per le medesme strade Vide una donna di benigna fronte, Ch'uno
scudo all'arcione avea attaccato; £ le venian tre cavalieri a lato. 5 Non è
meglio ch'ai campo tu ne vada, Ove morir si può con laude ogn'ora? Quivi
s'avvien ch'innanzi a Ruggier cada. Del morir tuo si dorrà forse ancora; Ma s'
a morir t' avvien per la sua spada, Chi sarà mai che più contenta mora? è
l>en che di vita ti privi, Poich' è cagion eh' in tanta pena vivi. 46 Verrà
forse anco che, prima che muori, Farai vendetta di quella Marfisa Che t'ha con
fraudi e disonesti amori, Da te Ruggiero alienando, uccisa. Qaesti pensieri
parvero migliori Alla donzella; e tosto una divisa Si fé' su l'arme, che volea
inferire Disperazione, e voglia di morire. 47 £ra la sopravveste del colore In
che rìman la foglia che s'imbianca Quando del ramo è tolta, o che l'umore Che
facea vivo l'arbore, le manca. Ricamata a tronconi era, di fùore, Di cipresso
che mai non si rinfranca, Poich' ha sentita la dura bipenne: L'abito al suo
dolor molto convenne. 48 Tolse il destrier ch'Astolfo aver solea, E quella
lancia d'òr, che, sol toccando, Cader di sella i cavalier facea. Perchè la le
die Astolfo, e dove e quando, Non credo che bisogni ir replicando. Ella la
tolse, non però sapendo Che fosse del valor, ch'era stupendo. 51 Altre donne e
scudier venivano anco, Qual dietro e qual dinanzi, e in lunga schieri. Domandò
ad un che le passò da fianco. La figliuola d'Amen, chi la donna era; £ quel le
disse: Al re del popol franco Questa donna, mandata messaggiera Fin di là dal
polo artico, è venata Per lungo mar dall'Isola Perduta. 52 Altri Perduta, altri
ha nomata Islanda L'isola, donde la Regina d'essa, Di beltà sopra ogni beltà
miranda; Dal del non mai, se non a lei, concessa. Lo scudo che vedete, a Carlo
manda; Ma ben con patto e condizione espressa. Ch'ai miglior cavalier lo dia,
secondo Il suo parer, eh' oggi si trovi al mondo. 58 Ella, come si stima, e
come in vero É la più bella donna che mai fosse. Cosi vorria trovare un
cavaliero Che sopra ogn' altro avesse ardire e poste:Perchè fondato e fisso è
il "no pensiero " Da non cader per cento mila scosse, Che sol chi
terrà in arme il primo onore. Abbia d'esser suo amante e suo signore. 54 Spera
ch'in Francia, alla famosa corte Di 0arlo Magno, il cavalier si trove, Che
d'esser più d'ogni altro ardito e forte Abbia fatto veder con mille prove. I
tre che son con lei come sue scorte, Re sono tutti, e dirovvi anco dove Uno in
Svezia, uno in Gozia, in Norvegia uno, Che pochi pari in armi hanno o nessuno.
Questi tre, la coi terra non vicina, Ma men lontana è all' Isola Perduta, Detta
cosi, perchè quella marina Da pochi naviganti è conosciuta, Erano amanti, e
son, della Regina, E a gara per moglier V hanno voluta; E, per aggradir lei,
cose fatt' hanno, Che, fin che giri il ciel, dette saranno. 61 Le preme il cor
questo pensier; ma molto Più le lo preme e strugge in peggior guisa Quel
ch'ebbe prima di Ruggier, che tolto Il suo amor le abbia, e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo è si sepolto, Che non mira la strada, né divisa Ove
arrivar, né se troverà innanzi Comodo albergo, ove la notte stanzi. 56 Ma né
questi ella, né alcun altro vuole, Ch'ai mondo in arme esser non creda il
primo. Ch' abbiate fatto prove, lor dir suole, In questi luoghi appresso, poco
istimo. E s' un di voi, qual fra le stelle il Sole, Fra gli altri duo sarà, ben
lo sublimo; Ma non però che tenga il vanto parme Del miglior cavalier ch'oggi
port'arme. 57 A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro Pel più savio signor
ch'ai mondo sia, Son per mandare un ricco scudo d'oro, Con patto e condizion
ch'esso lo dia Al cavaliero il quale abbia fra loro 11 vanto e il primo onor di
gagliardia. Sia il cavaliero o suo vassallo o d'altri. Il parer di quel Re vo'
che mi scaltri. r.8 Se, poi che Carlo avrà lo scudo avuto, E Tavià dato a quel
si ardito e forte,Ched'ogn'altro migliore abbia creduto, Che'n sua si trovi o
in alcun' altra corte, Uno di voi sarà, che con l'aiuto Di sua virtù lo scudo
mi riporte; Porrò in quello ogn amore, ogni disio, E quel sarà il marito e'I signor
mio. e 9 Queste parole bau qui fatto venire Questi tre Re dal mar tanto
discosto; Che riportarne lo scudo, o morire Per man di chi l'avrà, s' hanno
proposto. Ste' molto attenta Bradamante a udire Quanto le fu dallo scudier
risposto, 11 qual poi l'entrò innanzi, e così pnyse Il suo cavallo, che i
compagni giunse. Stanza 65. (JO Dietro non gli galoppa né gli corre Ella, eh'
ad agio il suo cammin dispensa, E molte cose tuttavia discorre. Che son per
accadere; e in somma pensa Che questo scudo in Francia sia per porre Discordia
e rissa e nimicizia immensa Fra' Paladini ed altri, se vuol Carlo Chiarir chi
sia il miglior, e a colui darlo. 62 Come nave che vento dalla riva, 0 qualch'
altro accidente abbia disciolta, Va di nocchiero e di governo priva Ove la porti
o meni il fiume in volta; Cosi l'amante giovane veniva. Tutta a pensare al suo
Ruggier rivolta. Ove vuol Rabican; che molte miglia Lontano è il cor che de'
girar la briglia. 63 Leva alfin gli occhi, e vede il Sol cheU tergo Avea
mostrato alle città di Rocco;Epoi s'era attuffato, come il mergo, In grembo
alla natrice oltr'a Marocco: E se disegna che la frasca albergo Le dia ne
campi, fa pensier di sciocco; Che soffia nn vento freddo, e Paria grieve
Pioggia la notte le minaccia o nieve. 64 Con maggior fretta fa movere il piede
Al suo cavallo; e non fece via molta, Che lasciar le campagne a un pastor vede.
La donna lai con molta istanzia chiede Che le 'nsegni ove possa esser raccolta,
0 bene o mal; che mal si non s'alloggia, Che non sia peggio star faori alla
pioggia. 65 Disse il pastore: Io non so loco alcano Ch'io vi sappia insegnar,
se non lontano Più di qnattro o di sei leghe, fuor ch'ano Che si chiama la
rocca di Tristano. Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno; Perchè bisogna, con
la lancia in mano, Che se l'acquisti e che se la difenda Il cavalier che
d'alloggiarvi intenda, 66 Se, quando arriva un cavalier, si trova Vota la
stanza, il castellan l'accetta; Ma vnol, se soprawien poi gente nuova, Ch'uscir
fuori alla giostra gli prometta. Se non vien, non accade che si mova; Se vien,
forza è che l'arme si rimetta, E con lui giostri: e chi di lor vai meno, Ceda
l'albergo ed esca al ciel sereno. 67 Se duo, tre, quattro o più guerrieri a un
tratto Vi giungon prima, in pace albergo hanno; E chi di poi vien solo, ha
peggior patto, Perchè seco giostrar quei più lo fanno. Cosi, se prima un sol si
sarà fatto Quivi alloggiar, con lui giostrar vorranno Sì che, s' avrà valor,
gli fia a grande uopo. 68 Non men se donna capita o donzella, Accompagnata o
sola a questa rocca, poi v'arrivi un'altra, alla più bella L'albergo, ed alla
men star dì fuor tocca. Domanda Rradamante ove sia quella; E il buon pastor non
pur dice con bocca. Ma le dimostra il loco anco con mano, Da cinque o da sei
miglia indi lontano. 69 La donna, ancorché Rabican ben trotte. Sollecitar però
non lo sa tanto Per quelle vie tutte fangose e rotte Dalla stagion ch'era
piovosa alquanto. Che prima arrivi, che la cieca notte Fatt' abbia oscuro il
mondo in ogni canto. Trovò chiusa la porta; e a chi n'avea La guardia disse
ch'alloggiar volea. 70 Rispose quel, ch'era occupato il loco Da donne e da
guerrier che venner dianzi, E stavano aspettando intomo al faoco, Che posta
fosse lor la cena innanzi Per lor non credo l'avrà fatta il cuoco, S'ella v'è
ancor, uè l'han mangiata innanzi Disse la donna: or va, che qui gli attendo;
Che so l'usanza, e di servarla intendo. 71 Parte la guardia, e porta
l'imbasciata Là dove i cavalier stanno a grand'agfio. Laqualnonpotèlortroppo
esser grata, Ch'all'aer li fa uscir freddo e malvagio; Ed era una gran pioggia
incominciata. Si levan pure, e pigUan l'arme ad agio; Restano gli altri; e quei
non troppo in fretti Escono insieme ove la donna aspetta. 72 Eran tre cavalier
che valean tanto, pochi al mondo valean più di loro; Ed eran quei che'l di
medesmo accanto Veduti a quella messaggiera fòro; Quei ch'in Islanda s'avean
dato vanto Dì Francia riportar lo scudo d'oro: E perchè avean meglio i cavalli
punti, Prima di Rradamante erano giunti. 78 Di loro in arme pochi eran
migliori; Ma di quei pochi ella sarà ben l'una:Ch'a nessun patto rimaner di
fuori Quella notte intendea molle e digiuna. Quei dentro alle finestre e ai
corridori Miran la giostra al lume della Luna, Che malgrado de' nugoli lo
spande, E (a veder, benché la pioggia è gnuide. 74 Come s'allegra un bene
acceso amante Ch'ai dolci furti per entrar si trova, Quando alfin senta, dopo
indugie tante, Che'l taciturno chiavìstel si muova; Cosi, volonterosa
Rradamante Di far di sé coi cavalieri prova, S'allegrò quando udì le porte
aprire, Calare il ponte, e fuor li vide uscire. Tosto che fuor del ponte i
gnerrier vede Uscire insieme o con poco intervallo, Si volge a pigliar campo, e
di poi riede Cacciando a tutta briglia il buon cavallo, E la lancia arrestando,
che le diede Il suo cugin, che non si corre in fallo, Che fuor di sella è forza
che trabocchi, Se fosse Marte, ogni guerrier che tocchi. 76 H re di Svezia, che
primier si mosse, Fu il primier anco a riversarsi al piano; Con tanta forza V
elmo gli percosse L'asta che mai non fu abbassata invano. corse il re di Gozia,
e ritrovosse Coi piedi in aria al suo destrier lontano. Rimase il terzo
sottosopra vólto, Neir acqua e nel pantan mezzo sepolto. 77 Tosto eh' ella ai
tre colpi tutti gli ebbe Fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,Alla rocca
ne va, dove aver debbe notte albergo; ma prima che passi, V è chi la fa giurar
che n' uscirebbe, Sempre eh' a giostrar fuori altri chiamassi Il Signor di là
dentro, che'l valore Ben n' ha veduto, le fa grande onore. 78 Così le fa la
donna che venuta Era con quelli tre quivi la sera, Come io dicea, dall'Isola
Perduta, Mandata al re di Francia messaggiera. Cortesemente a lei che la
saluta, Siccome graziosa e affabil era, Si leva incontra, e con faccia serena
Piglia per mano, e seco al fuoco mena. La donna, cominciando a disarmarsi,
S'avea lo scudo e di poi l'elmo tratto; Quando una cuffia d'oro, in che celarsi
Soleano i capei lunghi e star di piatto, Usci con l'elmo; onde caderon sparsi
Giù per le spalle, e la scoprirò a un tratto, E la feron conoscer per donzella.
Non men che fiera in arme, in viso bella. 80 Quale al cader delle cortine suole
Parer fra mille lampade la scena, D'archi, e di più d'una superba mole, D' oro
e di statue e di pitture piena; 0 come suol fuor della nube il Sole Scoprir la
faccia limpida e serena: Cosi, l'elmo levandosi dal viso, Mostrò la donna
aprisse il paradiso. 81 Già son cresciute, e fatte lunghe in modo Le belle
chiome che taglioUe il Frate, Che dietro al capo ne può fare un nodo, Benché
non sian come son prima state. Che Bradamante sia, tien fermo e sodo (Che ben
l'avea veduta altre fiate) II Signor della rocca; e più che prima Or
l'accarezza, e mostra farne stima. Stanza 76. 82 Siedono al fuoco, e con
giocondo e onesto Ragionamento dan cibo all'orecchia, Mentre, per ricreare ancora
il resto Del corpo, altra vivanda s'apparecchia. La donna all'oste domandò se
questo Modo d'albergo è nuova usanza o vecchia, E quando ebbe principio, e chi
la pose; E '1 cavaliere a lei cosi rispose:83 Nel tempo che regnava Fieramente,
Clodi'one, il figliuolo, ebbe una amica Leggiadra e bella, e di maniere conte,
Quant' altra fosse a quella etade antica; La quale amava tanto, che la fronte
Non rivolgea da lei più che si dica Che facesse da Jone il suo pastore, Perch'
avea ugual la gelosia all' amore. 84 Qui la tenea; chè'l laogo avuto in dono
Avea dal padre, e raro egli n ascia; dei miglior di Francia tuttavia. Qui
stando, venne a capitarci il buono, ed una donna in compagnia, Liberata da lui
poch'ore innante, Che traea presa a forza un fier gigante. Tristano ci arrivò
cheU Sol già vòlto Avea le spalle ai liti di Siviglia; E domandò qui dentro
esser raccolto Perchè non cè altra stanza a dieci mlgHi.Ma Clodì'on, che molto
amava e molto Era geloso, in somma si conaigUa Che forestier, sia chi si
voglia, mentre stia la bella donna, qui non entre. suiiza80. 96 Poi che con
lunghe ed iterate preci Non potè aver qui albergo il cavaliero; quel che far
con prieghi io non ti feciChe 1 facci, disse, tuo malgrado, spero. E sfidò
Clodì'on con tutti i dieci Che tenea appresso; e con un grido altiero Se gli
offerse con lancia e spada in mano Provar che discortese era e villano; 87 Con
patto, che se fa che con lo stuolo Suo cada in terra, ed ei stia in sella
forte, Nella rocca alloggiar vuole egli solo, E vuol gli altri serrar fuor
delle porte. Per non patir quest'onta, va il figliuolo Del re di Francia a
rìschio della morte; aspramente percosso cade in terra, E cadon gli altri, e
Trìstan fuor li serra. Stanza 91.Entrato nella rocca, trova quella, qoal Vho
detto, a Olodìon si cara, E ch'avea, a par d'ogn' altra, fatto bella Natura, a
dar bellezze cosi avara. Con lei ragiona: intanto arde e martella Di fuor
l'amante aspra passione amara; Il qual non differisce a mandar prìeghi
cavalier, che dar non gli la nieghi. 89 Tristano, ancorché lei molto non
prezze,Né prezzar, fuor eh' Isotta, altra potrebbe:né ch'ami vaol né che
accarezze Pur, perchè vendicarsi dell'asprezze Di far gran torto mi pania, gli
disse, Che tal bellezza del suo albergo uscisse. 94 Ohe'l cavalier ch'abbia maggior
possanza, E la donna beltà, sempre ci alloggi; chi vinto riman vóti la stanza,
Dorma sul prato, o altrove scenda e poggi. E finalmente ci fé' por l'usanza Che
vedete durar fin al di d'oggi. scalco por la mensa fatto avea. 95 Fatto l'avea
nella gran sala porre. che non era al mondo la più bella; con torchi accesi
venne a tórre Le belle donne, e le condusse in quella., all'entrar, con gli
occhi scorre, E similmente fa l'altra donzella; ' tutte piene le
superbemuraVeggondinobilissima pittura. 90 E quando a Clodion dormire incresca
Solo alla frasca, e compagnia domandi. Una ovane ho meco bella e fresca, Non
però di bellezze cosi grandi Questa sarò contento che fuor esca, E ch'ubbidisca
a tutti i suoi comandi; Ma la più bella mi par dritto e giusto Che stia con
quel di noi eh' è più robusto. 96 Di si belle figure é adorno il loco, Che per
mirarle obblian la cena quasi: Ancorché ai corpi non bisogni poco, Pel
travaglio del di lassi rimasi: E lo scalco di doglia e doglia il cuoco. Che i
cibi lascin raffreddar nei vasi. Pur fu chi disse: Meglio fia che voi Pasciate
prima il ventre, gli occhi poi. 91 Escluso Clodì'one e mal contento. Andò
sbuffando tutta notte in volta. Come s'a quei che nell'alloggiamento Dormiano
ad agio, fésse egli l'ascolta; E molto più che del fireddo e del vento, Si
dolca della donna che gli é tolta. La mattina Tristano, a cui ne' ncrebbe, Gli
la rendè; donde il dolor fin ebbe: 97 S'erano assisi, e porre alle vivande
Voleano man, quando il Signor s' avvide Che l'alloggiar due donne è un error
grande; L'una ha da star, l'altra convien che snido. la più bella, e la men
fuor si mando Dove la pioggia bagna e 'l vento stride. Perche non vi son giunte
amendue a un'ora, L'una ha a partir e l'altra a far dimora. 92 Perchè gli
disse, e lo fé' chiaro e certo, Che qual trovolla, tal gli la rendea:E benché
degno era d'ogni onta, in morto Della discortesia ch'usata avea; Pur contentar
d'averlo allo scoperto Fatto star tutta notte si volea: r escusa accettò, che
fosse Amore cagion di co grave errore; 98 Chiama duo vecchi, chiama alcune sue
Donne di casa, a tal giudizio buone: E le donzelle mira, e di lor due Chi la
più bella sia, fa, paragone. Finalmente parer di tutti fue, Ch'"ra più
bella la figlia d'Amene; E non men di beltà l'altra vincea, Che di valore i
guerrier vinti avea. 93 Ch' Amor de' far gentile un cor villano, E non far d'un
gentil contrario effetto. Partito che si fu di qui Tristano, Clodion non sté
molto a mutar tetto; Ma prima consegnò la rocca in mano A un cavalier che molto
gli era accetto. Con patto ch'egli e chi da lui venisse, Quest' uso in albergar
sempre seguisse:99 Alla donna d'Islanda, che non senza Molta sospizi'on stava
di questo, Il Signor disse: Che serviam l'usanza, v'ha, donna, a parer se non
onesto. A voi convien procacciar d'altra stanza, Quando a noi tutti è chiaro e
manifesto Che costei di bellezze e di sembianti, Ancor eh' inculta sia, vi
passa innanti. 100 Come in uu momento oscura Nube salir d umida valle al cielo,
Che la feuxda che prima era si pura, Copre del Sol con tenebroso velo; Cosi la
donna alla sentenzia dura, fuor la caccia ove è la pioggia e '1 gelo, si vide,
e non parer più quella Che fu pur dianzi si gioconda e bella. 101
S'impallidisce, e tutta cangia in viso; Che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ha Bradamajite con un saggio avviso, Che per pietà non vuoi òhe se ne vada,
Rispose: A me non par che ben deciso Né che ben giusto alcun giudicio cada, Ove
prima non s'oda quanto nieghi La parte o affermi, e sue ragioni alleghi. 103 Io
cVa difender questa causa toglie, : 0 più bella o men ch'io sia di lei. Non
venni come donna qui, né voglio Che sian di donna ora i progressi miei. Ma chi
dirà, se tutta non mi spoglio, S' io sono 0 s' io non son quel eh' è costei?E
quel che non si sa, non si de' dire; È tanto men, quando altri n'ha a patire.
103 Ben son degli altri ancor, ch'hanno le chiome Lunghe, com'io; né donne son
per questo. " Se come cavalier la stanza, o come Donna acquistata m'abbia,
è manifesto. Perchè dunque volete darmi nome Di donna, se di maschio è ogni mio
gesto V La legge vostra vuol che ne sian spinte Donne da donne, e non da
guerrier vinte. 104 Poniamo ancor che, come a voi pur pare, Io donna sìa (che
non però il concedo). Ma che la mia beltà non fosse pare A quella di costei;
non però credo Che mi vorreste la mercè levare mia virtù, sebbeu di viso io
cedo. Perder per men beltà giusto non parmi Quel eh' ho acquistato per virtù
con l'armi. 105 E quando ancor fosse l'usanza tale. Che chi perde in beltà, ne
dovesse ire. 10 d vorrei restare, o bene o male Che la mia ostinazion dovesse
uscire. Per questo, die contesa disegnale É tra me e questa donna, vo' inferire
Che, contendendo di beltà, può assai Perdere, e meco guadagnar non mai. 106 E
se guadagni e perdite non sono In tutto pari, ingiusto è ogni partito; Si eh' a
lei per ragion, si ancor per dono Speziai, non sia i' albeigo proibito. E s'
alcuno di dir che non sia buono E dritto il mio giudizio sarà ardito. Sarò per
sostenergli a suo piacere, '1 mio sia vero, 9 falso il suo parere. 107 La
figliuola d'Amen, mossa a pietade Che questa gentil donna debba a torto Ove né
tetto, ove neppure è un spcnrto, Al signor dell' albergo persuade Con ragion
molte e con parlare accorto. Ma molto più con quel eh' alfin concluse. Che
resti cheto, e accetti le sue scuse. 108 Qual sotto il più cocente ardore
estivo. Quando di ber più desiosa è l'erba, 11 fior eh' era vidno a restor
privo Di tutto queir umor che in vita il serba, Sente l'amata pioggia, e si fa
vivo, Cosi, poiché difesa si superba Si vide apparecchiar la messaggiera. Lieta
e bella tornò come prim'era. 109 La cena, stata lor buon pezzo avante, Né ancor
pur tocca, alfin godersi in festa, Senza che più di cavaliere errante Nuova
venuta fosse lor molesta. La goder gli altri, ma non Bradamante, Pure,
all'usanza, addolorata e mesta; Che quel timor, che quel sospetto ingiusto, Che
sempre at nel cor, le toUea il gusto. HO Finita ch'ella fu (che saria forse
Stata più lunga se '1 desìr non era Di cibar gli occhi), Bradamante sorse, E
sorse appresso a lei la messaggiera. Accennò quel Signore ad un che corse, E
prestamente allumò molta cera, Che splender fé' la sala in ogni canto. Quel che
seguì dirò nell' altro Canto.. St. 3. V.4. Fuoco: incendio 81 guerra. St. 4.
v.1. Fa scriver: fa aimolare. St. 11. V.28. Eto e Piroo: due dei quattro
cavalli attaccati al carro del Sole. Piti lungo di quel gior no, ecc. Allude a
quando Giosuè fermò il sole, cioè "ol suo comando allungò di molte ore il
corso della gior nata, affinchè grisraeliti riportassero intiera la vittoria
sui re della Palestina. Più della notte, ecc. Finsero ì mitologi che la notte
in cui Ercole tu concepito, e quella in cui nacque, venissero dagli Dei
protratte alla durata di più nolti. Sr. 13. V.7. Nasciuto: nato. St. 18. V.6.
Sì.... profonde: tanto sublimi. St. 19. V.47. Serva: serba, aspetta. Coinè
aspide suole, ecc,: credevasi in que' tempi che l'aspide, per non udire
l'incantesimo che lo attraeva, posasse un orecchio in terra, e chiudesse
l'altro con l'estremità della co la. St. 28. V, 5. Fu molto posto per ragione:
gli fu chiesto minuto conto. St. 29. V.3. Contrastette: contrastò. St. 32. V.1.
Il Giiascone. Non a caso fa guascone questi cavaliere. I Guasconi sono tenuti
per ciarlieri e spavaldi; è quindi naturale che costui dicesse di Rug gero e di
Marflsa molto più del vero. St. 37. V.6. Per tragiche querele: per tragici
poemi. St. 50. V.14. I Cadurci: con tal nome si chia mavano in antico gli
abitanti di quella parte della Gallia AquitanicaNarbonese che corrisponde a una
regione della Guienna, detta poi Le Qnercy. Eia cittade di Gaorae: Cahors,
città della Guienna, già terra principale dei Oadurci. Tutto 7 monte ove vnace
Dordona: il Monte d'Oro nelI'Alveniia; ivi scaturisce la Dordogne, che tra
versa il Limosino e la Guienna. E le contrade Sco jìria di Monferrante e di
Clarmonte. Questi due luo ghi dell'Alveiiiia erano, nei tempi addietro, due
comuni separati e brevìdistanti fra loro; ma nel 1633, sotto Luigi XIII, furono
uniti; ed ora formano la città di ClermontFerrand, attuale cap)Iuogo del
dipartimento di PuydeDóme. St. 14. V.7. Gozia. lì Gotland, ora provincia della
Svezia, che bi vuole prendesse il nome dai Goti loro antichissima abitazione.
St. 57. V.8. Ifi scaltri: mi scaltrisca, mi faccia accorta. St. 63. V.24. Alle
città di Bacco: alla Mauritania occidentale, signoreggiata anticamente da
Socco. Marocco: città capitale dell'impero omonimo. St. 83. V.17. Fieramonte 0
Faramndo: primo re dei Franchi. Questi popoli erano dapprima Sicambri, detti
poi Franchi, per una temporanea franchigia da tributi che ebbero dairimpeiatore
Valentiniano. Costoro, non volendo più sottomettersi dopo spirato il termine
della concessa franchigia, furono battuti diversa volte; e i pochi superstiti
peivennero nella Tnringia, guidati da Marcomiro loro capo. Egli, insieme con i
suoi, pose la sede in una regione denominata quindi Franconia, e posta a
settentrione fra la Bavieia e la Sassonia. Da lui nacque Faramondo, del quale
qui si parla. Di ma niere conte: di maniere gentili. Che facesse da Jone il suo
pastore. Alludesi qui alla favola d'Ione od Io, amata da Giove, e da lui
trasformata in vacca per prevenire i sospetti di Giunone; la quale nondimeno la
faceva cu stodire da un pastore di nome Argo, che avea cent'occhi. St. 89. V.4.
La posion, che già incantati bebbe. Leggesi nel Tristano, romanzo cavalleresco,
che la ma dre d'Isotta aveva prepaiata una bevanda incantata, per fare che sua
figlia fosse amata da Marco re di Corno vaglia, a cui l'avea destinata in
moglie. Mentre Isotta era condotta allo sposo da Tristano, questi inavveduta
mente bevette insieme con la giovine la pozione ama toria, onde s'invaghirono
perdutamente l'uno dell'altra. St. 10 5. V.7. Spinte: cacciate fuori. St. 107.
v.4. Sporto: parte dell' edifizio che prò tendesi all'infuori del muro
principale, e sotto cui si può stare al coperto. Iei urift [lala della
ioc<;a ili TrisEaiio ? Bradamunte eJe diptni le tur uve fjuene dei Francesi
in Ualìit Poi, sfidila iliHff i.']k aveva [li ià alilAEtutì, IL oai'cla
iiqovametite di ftllt Itinldo e GmdaitHO vciifjoiio alle mani p&r BaÌArdo,
iJqBiìf. spnveutato dn un mostruoio uccella, fuggv in ntia i"ki; t cu al
la [11] glia e sa.<rivujaH Astolfo sdK Ipporìfo va i" Eti<f"iiu
ed ivi ool suono del stio comò caccj a "n eli' inferno li ¦ e Ile
insozzavano le mense del re Seuapo. Timai;orat ParrasiOj Poliguoto, Protofrene.
Tiinantet Apollodoru, Apell(% \n\\ di tutti questi noto, E Zeui, e gli altri
dia quei tempi fort"; Di'Njuai In fama malgrado di CJoto, Che speose ì
corpi, e tlì poi Topre loro) Sempre nurà Muebè ai legga e scriva, Mercè degli scrii
torì| al mondo Tim: E quei che foro a' nostri dì, o sono on, Leouartlo, Andrea
Man legna, Gian Bellino, Duo DosMt e quel eh' a pur sculpe e coltura . Mi[liel,
]niì che mortale, Angel divino; Bari(uvnu, lìafail. Tìz'au eh'onorA Non men
Cador, che quei Venezia e Urbino j E gli altri di cui tal Topra si vede, Qual
delia prisca età si legge e crede. Questi che noi vegiam pittori, e quelli Che
già mille e miil'anui in prego foro, Le cose che son state, coi pennelli Fatt'
hanno, altri suir ase, altri sul muro. Non però udiste antiqui, né novelli
Vedeste mai dipingere il futuro: Eppur si sono istorie anco trovate, Che son
dipinte innanzi che sian state. 4 Ma di saperlo far non si dia vanto Pittore
antico, né pittor moderno; E ceda pur quest'arte al solo incanto, Del qual
trieman gli spirti dello' nferno. La sala eh' io dicea nel!' altro Canto,Merlin
col lihro, o fosse al lago Averne, 0 fosse sacro alle Nursine grotte, Fece far
dai demonj in una notte. 5 Quest'arte, con che i nostri antiqui fenno Mirande
prove, a nostra etade è estinta. Ma ritornando ove aspettar mi denno Quei che
la sala hanno a veder dipinta. Dico eh' a uno scudier fu fatto cenno. Ch'accese
i torchi: onde la notte, vinta Dal gran splendor, si dileguò d'intomo; Né più
non si vedria, se fosse giorno. 6 Quel Signor disse lor: Vo' che sappiate Che
delle guerre che son qui ritratte. Fin al di d'oggi poche ne son state; E son
prima dipinte, che sian fatte. Chi l'ha dipinte, ancor l'ha indovinate; Quando
vittoria avran, quando disfatte In Italia saran le genti nostre, Potrete qui
veder come si mostre. 7 Le guerre ch'i Franceschi da far hanno Di là dall'
Alpe, o hene o mal successe, Dal tempo suo fin al millesim'anno, Merlin profeta
in questa sala messe; n qual mandato fu dal Re hritanno Al franco Re eh' a
Marcomir successe: E perché lo mandassi, e perché fatto Da Merlin fa il lavor,
vi dirò a un tratto. 8 Re Fieramente, che passò primiero Con l'esercito franco
in Gallia il Reno, Poi che quella occupò, facea pensiero Di porre alla superba
Italia il freno. Faceal per ciò, che più'l romano Impero Vedea di giorno in
giorno venir meno; E per tal causa col britanno Arturo Volse far lega; ch'ambi
a un tempo furo. 9 Artur, ch'impresa ancor senza cousijjlio Del profeta Merlin
non fece mai: Di Merlin, dico, del Demonio figlio, Che del futuro antivedeva
assai; Per lui seppe, e saper fece il periglio A Fieramente, a che di molti
guai Porrà sua gente, s'entra nella terra Ch'Apennin parte, e il mare e l'Alpe
serra. 10 Merlin gli fé' veder che quasi tutti Gli altri che poi di Francia
scettro avranno, 0 di ferro gli eserciti distrutti, 0 di fame o di peste si
vedranno; E che brevi allegrezze e lunghi lutti. Poco guidago ed infinito danno
Riporteran d'Italia; che non lice Che '1 Giglio in quel terreno abbia radice.
11 Re Fieramente gli prestò tal fede, Ch'altrove disegnò volger l'armata; E
Merlin, che cosi la cosa vede Ch'abbia a venir, come se già sia stata, Avere
a'prieghi di quel Ri si crede La sala per incinto istoriata, Ove dei Franchi
ogni futuro gesto. Come già stato sia, fa manifesto. 12 Acciò chi poi succederà
comprenda Che, come ha da acquistar vittoria e onore, Qualor d'Italia la difesa
prenda Incontra ogn' altro barbaro furore; Così, s'awien eh' a danneggiarla
scenda Per porle il giogo e farsene signore. Comprenda, dico, e rendasi ben
certo Ch' oltre a quei monti avrà il sepolcro aperto. 13 Cosi disse; e menò le
donne dove Incomincian l'istorie: e Singiberto Fa lor veder, che per tesor si
muove. Che gli ha Maurizio imperatore offerto. Ecco che scende dal monte di Giove
Nel pian dal Lambro e dal Ticino aperto. Vedete Eutar, che non pur l'ha
respinto. Ma volto in fuga e fracassato e vinto. 14 Vedete Clodoveo, eh' a più
di cento Mila persone fa passare il monte. Vedete il duca là di Benevento. Che
con numer dispar vien loro a fronte. Ecco finge lasciar l'alloggiamento, E pon
gli agguati: ecco, con morti ed onte, Al vin lombardo la gente francesca Corre;
e riman come la lasca all'esca. Stanza 9. 15 Ecco in Italia Childìberto quanta
Gente di Francia e capitani invia: Xè più che Clodoveo, si gloria e vanta Ch
abbia spogliata o vinta Lombardia; Che la spada del del scende con tanta Strage
de' suoi, che n'è piena ogni via, Morti di caldo e di profluvio d'alvo; Sì che
di dieci non ne torna un salvo. 16 Mostra Pipino, e mostra Cario appresso, Come
in Italia un dopo T altro scenda, £ v'abbia questo e quel lieto successo: Che
venuto non v' è perchè V offenda; Ma l'uno, acciò il Pastor Stefano oppresso,
L'altro Adriano, e poi Leon difenda. L'un doma Aistulfo; e l'altro vince e prende
II successore, e al Papa il suo onor rende. Lor mostra appresso nù gioveoe
Pipino, Che con sua gente par che tutto copra Dalle Fornaci al lito Palestine;
E faccia con gran spesa e con lungopra Il ponte a Malamocco; e che vicino
Giunga a Rialto, e vi combatta sopra. Poi fuggir sembra e che i suoi lasci
sotto L'acque; che M ponte il vento e '1 mar gli han rotto. 18 Ecco Luigi
Borgognon, che scende Là dove par che resti vinto e preso, E che giurar gli
faccia chi lo prende, Che più dalParme sue non sarà offeso. Ecco che U
giuramento vilipende; Ecco di nuovo cade al laccio teso; Ecco vi lascia gli
occhi, e come talpe Lo rif orfano i suoi di qua dall'Alpe. 19 Vedete un Ugo
d'Arli far gran fatti. E che d'Italia caccia i Berengari; E due 0 tre volte gli
ha rotti e disfatti. Or dagli Unni rimessi, or dai Bavàri. Poi da più forza è
stretto di far patti Con Tiiiimico, e non sta in vita guari; Né guari dopo lui
vi sta T erede, E '1 regno intero a Berengario cede. 20 Vedete un altro Carlo,
che a' conforti Del buon Pastor fuoco in Italia ha messo; E in due fiere
battaglie ha duo Re morti, Manfredi prima, e Corradino appresso. Poi la sua
gente, che con mille torti Sembra tenere il nuovo regno oppresso, Di qua e di
là per le città divisa. Vedete a un suon di vespro tutta uccisa.Si Lor mostra
poi (ma vi parea intervallo Di molti e molti, non channi, ma Instri) Scender
dal monti nn capitano Gallo, E romper guerra ai gran Visconti illustri; £ con
gente francesca a pie e a cavallo Par eh' Alessandria intomo cinga e lustri; E
chel Duca il presidio dentro posto, E fuor abbia V agguato un po' discosto;
Stanza 20. if2 E la gente di Francia mal accorta, Tratta con arte ove la rete è
tesa, Col conte Armeni'aco, la cui scorta L'avea condotta all'infelice impresa,
Giaccia per tutta la campagna morta. Parte sìa tratta in Alessandria presa; E
di sangue non men che d'acqua grosso, 11 Tauaro si vede il Po far rosso. 23 Un,
detto della Marca, e tre Angioini Mostra l'un dopo l'altro, e dice: Questi A
Bruci, a Dauni, a Marsi, a Salentini Vedete come son spesso molesti. Ma né de'
Franchi vai né de' Latini Aiuto sì, ch'alcun di lor vi resti: Ecco li caccia
fuor del regno, quante Volte vi vanno, Alfonso, e poi Ferrante. 24 Vedete Carlo
ottavo, che discende Dall'Alpe, e seco ha il fior di tutta Fnad Che passa il
Liri, e tutto '1 reo prenik Senza mai stringer spada o abbassar hi"
Fuorché lo scoglio ch'a Tifeo si stende Su le braccia, sul petto e sa la
pancia; Che del buon sangue d'Avalo al contrasta La virtù trova d'Inico del
Vasto. 25 11 Signor della rocca, che venia Quest'istoria additando a
Bradamante, Giostrato che l'ebbe Ischia, disse: Pria Ch'a vedere altro più vi
meni avante, 10 vi dirò quel ch'a me dir solìa 11 bisavolo mio, quand'io era
infante: E quel che similmente mi dicea Che da suo padre udito anch'esso avea:
26 E'I padre suo da un altro, o padre o fu Avolo, e l'un dall'altro, s'n a
quello Ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse. Che l'immagini fé' senza
pennello, Che qui vedete bianche, azzurre e rosàe: Udì che quando al Re mostrò
il castello. Ch'or mostro a voi su quest'altiero scoglio. Gli disse quel ch'a
voi riferir voglio. 27 Udì che gli dicea ch'in questo loco Di quel buon
cavalier che lo difende Con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco Che d'ogn'
intorno e sino al Faro incende. Nascer debbe in quei tempi, o dopo poco (E ben
gli disse e l'anno e le calende). Un cavaliere, a cui sarà secondo Ogu' altro
che sin qui sia stato al mondo. 28 Non fu Nireo si bel, non si eccellente Di
forze Achille, e non si ardito Ulisse, Non si veloce Lada, non prudente Nestor,
che tanto seppe e tanto visse. Non tanto liberal, tanto clemente L'antica fama
Cesare descrisse; Che verso l'uom ch'in Ischia nascer deve, Non abbia ogni lor
vanto a restar lieve. 29 E se si gì Oliò l'antiqua Creta, Quando il nipote in
lei nacque di Celo. Se Tebe fece Ercole e Bacco lieta. Se si vantò dei duo
gemelli Delo; Né questa isola avrà da starsi cheta, Che non s'esalti e non si
levi in cielo, Quando nascerà in lei quel gran Marchese Ch'avrà si d'ogni
grazia il Ciel cortese. Merlin gli disse, e replicogli spesso, Ch'era serbato a
nascere all'etade Che più il romano Imperio saria oppresso, Acciò per lui
tornasse in libertade. Ma perchè alcuoo de' suoi gesti appresso Vi mostrerò,
predirli non accade. Cosi disse; e tornò air istoria, dove Di Carlo si vedean V
inclite prove. 36 Cosi dicendo, sé stesso riprende Che quel ch'avea a dir
prima, abbia lasciato: E torna addietro, e mostra uno che vende 11 Castel che'l
Signor suo gli avea dato;. Mostra il perfido Svizzero, che prende Colui eh' a
sua difesa V ha assoldato:Le quai due cose, senza abbassar lancia, Han dato la
vittoria al Re di Francia. 31 Ecco, dicea, si pente Ludovico D'aver fatto in
Italia venir Carlo; Che sol per travagliar l'emulo antico Chiamato ve l'avea,
non jer cacciarlo; E se gli Scopre al ritornar nimico Co' Veneziani in lega, e
vuol pigliarlo. Ecco la lancia il Re animoso abbassa, Apre la strada, e, lor
malgrado, passa. 32 Ma la sua gente, eh' a difesa resta Del nuovo regno, ha ben
contraria sorte; Che Ferrante, con l'opra che gli presta Il Signor mantuan,
toma si forte, ChMn pochi mesi non ne lascia testa O in terra o in mar, che non
sia messa a morte:Poi per un uom che gli è con frdude estinto, Kon par che
senta il gaudio d'aver vinto. 33 Cosi dicendo, mostragli il marchese Alfonso di
Pescara, e dice: Dopo Che costui comparito in mille imprese Sarà più
risplendente che piropo. Ecco qui nell'insidie che gli ha tese Con un trattato
doppio il rio Etiopo, Come scannato di saetta cade Il miglior cavalier di
quella etade. 34 Poi mostra ove il duodecimo Luigi Passa con scorta italiana i
monti; E, svelto il Moro, pon la Fiordaligi Nel fecondo terren gi& de'
Visconti: Indi manda sua gente pei vestigi Di Carlo, a far sul Garigliano i
ponti; La quale appresso andar rotta e dispersa Si vede, e morta, e nel fiume
sommersa. 35 Vedete in Puglia non minor macello Dell'esercito franco, in fuga
volto; E Consalvo Ferrante ispano è quello Che due volte alla trappola 1' ha
colto. E come qui turbato, cosi bello Mostra Fortuna al re Luigi il volto Nel
ricco pian che, fin dove Adria stride, Tra l'Apennino e l'Alpe il Po divide. hi
Poi mostra Cesar Borgia col favore Di questo Re farsi in Italia grande; Ch'ogni
Baron di Roma, ogni Signore Suggetto a lei par che in esilio mande. Poi mostra
il Re che di Bologna fuore Leva la Sega, e vi fa entrar le Giande; Poi come
volge i Genovesi in fuga Fatti ribelli, e la città soggiuga. 38 Vedete, dice
poi, di gente morta Coperta in Giaradadda la campagna. Par ch'apra ogni cittade
al Re la porta, E che Venezia appena vi riraagna. Vedete come al Papa non
comporta Che, passati i confini di Romagna, Modena al Duca di Ferrara toglia;Né
qui si fermi, e '1 resto tor gli voglia: 39 E fa, air incontro, a lai Bologna
tórre; Che Y entra la Bentivola famiglia. Vedete il campo de' Francesi porre A
sacco Brescia, poi che la ripiglia: E quasi a un tempo Felsina soccorre, EU
campo ecclesiastico scompiglia; E Tuno e P altro poi nei luoghi bassi Par si
riduca del lito de' Chiassi. 40 Di qua la Francia, e di là il campo iiigrMB La gente
Ispana; e la battaglia è grande. Cader si vede, e far la terra rossa La gente
d'arme in amendua le bande. Piena di sangue uman pare ogni fossa:Marte sta in
dubbio u'ia vittoria mande. Per virtù d'un Alfonso alfin si vede Che resta il
Franco, e che T Ispano cede.stanza 40. 41 E che Ravenna saccheggiata resta. Si
morde il Papa per dolor le labbia, E fA da' monti, a guisa di tempesta.
Scendere in fretta una tedesca rabbia, Ch'ogni Frare senza mai far testa, Di
qua dall par che cacciat' abbia, E che posto u .inpollo abbia del Moro Nel
giardino oi svelse i gigli d'oro. 43 E con migliore auspizio ecco ritorna.
Vedete il re Francesco innanzi a tutti, Che cosi rompe a' Svizzeri le corna,
Che poco resta a non gli aver distratti. Si che 'i titolo mai più non gli
adoma, Ch'usurpato s'avran quei vilkn brutti: Che domator de' Principi, e
difesa Si nomeran della cristiana Chiesa. 42 Ecco torna il Francese: eccolo
rotto Dall'infedele Elvezio, ch'in suo aiuto Con troppo rischio ha il giovine
condotto, Del quale il padre avea preso e venduto. Vedete poi l'esercito che
sotto La ruota di Fortuna era caduto, Creato il nuqyo Re, che si
preparaDell'onta vendicar ch'ebbe a Novara: 44 Ecco, malgrado della Lega,
prende Milano, e accorda il giovene Sforzesco. Ecco Borbon che la città difende
Pel Re di Francia dal furor tedesco. Eccovi poi, che mentre altrove attende Ad
altre magne imprese il re Francesco, Né sa quanta superbia e crudeltade Usino i
suoi, gli è tolta la cittade. Ecco un altro Francesco, eh assimìglia Di virtit
all'avo, e non di nome solo; Che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia Col favor
della Chiesa il patrio suolo. Francia anco torna, ma ritien la briglia, Né
scorre Italia, come suole, a volo; Che U buon Duca di Mantua sul Ticino Le
chiude il passo, e le taglia il cammino. 46 Federico, eh' ancor non ha la
guancia De' primi fiori sparsa, si fa degno Di gloria etema, ch'abbia con la
lancia. Ma più con diligenzia e con ingegno, Pavia difesa dal furor di Francia,
E del Leon del mar rotto il disegno. Vedete duo Marchesi, ambi t.rrore Di
nostre genti, ambi d'Italia onore; 47 Ambi dun sangue, ambi iu un nido nsti. Di
quel marchese Alfonso il primo è figlio, Il qual, tratto dal Negro negli
agguati, Vedeste il terren far di sé vermiglio. Vedete quante volte son
cacciati D'Italia i Franchi pel costui consiglio. L'altre, di si benigno e
lieto aspetto, Il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto. 48 Questo è il buon
Cavalier di cui dicea, Quando l'isola d Ischia vi mostrai, Che gi&
profetizzando detto avea Merlino e Fieramonte cose assai: Che differire a
nascere dovea Nel tempo che d'aiuto più che mai L'afflitta Italia, la Chiesa e
l'Impero Contra ai barbari insulti avria mestiero. Stanza 49. 49 Costui dietro
al cugin suo di Pescara Con l'auspicio di Prosper Colonnese, Vedete come la
Bicocca cara Fa parere airElvezio, e più al Francese. Ecco di nuovo Francia si
prepara Di ristaurar le mal successe imprese. Scende il Re con un campo in
Lombardia; Un altro per pigliar Napoli invia. 50 Ma quella che di noi fa come
il vento D'arida polve, che l'aggira in volta, La leva fin al cielo, e in un
momento A terra la ricaccia, onde l'ha tolta; Fa ch'intorno a Pavia crede di
cento Mila persone aver fatto raccolta 11 Re, che mira a quel che di man gli
esce, Nou se la gente sua si scema o cresce. 51 Così per colpa de' ministri
avari, £ per bontà del Re che se ne fida. Sotto r insegne si raccoglion rari.
Quando la notte il campo all'arme grida; Che si vede assalir dentro ai ripari
Dal sagace Spagnuol, che con la uida Di duo del sangue d'Avalo ardirla Farsi
nel cielo e nello 'nfemo via. 52 Vedete il meglio della nobiltade Di tutta
Francia alla campagna estinto: Vedete quante lance e quante spade Han d'ogni
intorno il Re animoso cìnto: Vedete che '1 destrier sotto gli cade:Né per
questo si rende, o chiama vinto; Bench'a lui solo attenda, a lui sol corra Lo
stuol nimico, e non è chi'l soccorra. 53 II Re gagliardo si difende a piede, £
tutto dell' ostil sangue si bagna; Ma virtù alfine a troppa forza cede. £cco il
Re preso, ed eccolo in Ispagna:£d a quel di Pescara dar si vede, Ed a chi mai
da lui non si scompagna, A quel del Vasto, le prime corone Del campo rotto e
del gran Re prigione. 54 Rotto a Pavia l'un campo, l'altro ch'era, Per dar
travaglio a Napoli, in cammino Restar si vede come, se la cera Oli manca o
l'olio, resta il lumicino. Ecco che '1 Re nella prigione ibera Lascia i
figliuoli, e torna al suo domino:Ecco fa a un tempo egli iu Italia guerra, Ecco
altri la fa a lui nella sua terra. 55 Vedete gli omicidi e le rapine In ogni
parte far Roma dolente E con incendj e stupri le divine E le profane cose ire
ugualmente. 11 campo della Lega le ruine Mira d'appresso, e'I pianto e'I grido
sente; E dove ir dovria innanzi . torna indietro, E prender lascia il successor
di Pietro. 56 Manda Lotrecco il Re con nuove squadre, Non più per fare in
Lombardia l'impresa, Ma per levar delle mani empie e ladre Il Capo e l'altre
membra della Chiesa; Che tarda sì, che trova al Santo Padre Non esser più la
libertà contesa. Assedia la cittade ove sepolta É la Sirena, e tutto il regno
volta. Ecco l'armata imperiai si scioglie Per dar soccorso alla città
assediata; Ed ecco il Doria che la via le toglie, E rha nel mar sommersa, arsa
e spezzata. Ecco Fortuna come cangia voglie, Sin qui a' Francesi si propizia
stata; Che di febbre gli uccide, e non di lancia, Si che di mille un non ne
toma in Francia. 63 II dolce sonno mi promise pace; Ma l'amaro vegghiar mi
torna in guerra: Il dolce sonno è ben stato fallace; Ma r amaro vegghiare, oimè
! non erra. Ss'l vero annoia, e il falso si mi piace, Non oda o vegga mai più
vero in terra: Se '1 dormir mi dà gaudio, e il vegghiar guai Possa io dormir
senza destarmi mai. 58 La sala queste ed altre istorie molte, Che tutte saria
lungo riferire. In vari e bei colori avea raccolte; Ch' era ben tal, che le
potea capire. Tornano a rivederle due e tre volte. Né par che se ne sappiano
partire; E rileggon più volte quel eh' in oro Si vedea scritto sotto il bel
lavoro. 59 Le belle donne, e gli altri quivi stati, Mirando e ragionando
insieme un pezzo, Fur dal Signore a riposar menati; Ch'onorar gli osti suoi
molt'era avvezzo. Già sendo tutti gli altri addormentati, Bradamante a corcar
si va da sezzo; E si volta or su questo or su quel fianco, Né può dormir sul
destro né sul manco. 60 Pur chiude alquanto appresso all'alba i lumi, E di
veder le pare il suo Ruggiero, Il qual le dica: Perchè ti consumi, Dando
credenza a quel che non è vero? Tu vedrai prima all' erta andare i fiumi, Ch'ad
altri mai, eh' a te, volga il pensiero. S'io non amassi te, né il cor potrei Né
le pupille amar degli occhi miei. 61 E par che le soggiunga: Io son venuto Per
battezzarmi, e far quanto ho promesso; E s' io son stato tardi, m' ha tenuto
Altra ferita, che d'amore, oppresso. Fuggesi in questo il sonno, né veduto È
più Ruggier, che se ne va con esso. Rinnova allora i pianti la donzella, E
nella mente sua cosi favella: 62 Fu. quel che piacque, un falso sogno: e que4o
Che mi tormenta, ahilassa! è un vegghiar vero. Il ben fu sogno a dileguarsi
presto; Ma non è sogno il martire aspro e fiero. Perch'or non ode e vede il
snso desto Quel ch'udire e veder parve al pensiero? A che condizione, occhi
miei, sete, Che chiusi il ben, e aperti il mal vedete? 64 Oh felici animai eh'
un sonno forte Sei mesi tien senza mai gli occhi aprire! Che s'assimigli tal
sonno alla morte. Tal vegghiare alla vita, io non vo'dire; Ch'a tutt' altre
contraria la mìa sorte Sente morte a vegghiar, vita a dormire: Ma s'a tal sonno
morte s' assimiglia, Deh, Morte, or ora chiudimi le ciglia ' Stanza 52. 65
Dell' orizzonte il Sol fatte avea rosse L'estreme parti, e dileguate intorno S'
eran le nubi, e non parca che fosse Simile all'altro il cominciato giorno;
Quando svegliati Bradamante armosse, Per fare a tempo al suo cammin ritorno,
Reudute avendo grazie a quel Signore Del buon albergo e dell'avuto onore. 66 E
trovò che la donna messaggiera. Con damigelle sue, con suoi scudieri Uscita
della rócca, venut'era Là dove l'atteudeau quei tre guerrieri; Quei che con
l'asta d'oro essa la sera Fatto avea riversar giù dei destrieri, E che patito
aveau con gran disagio La notte l'acqua e il vento e il elei malvagio. 67
Arroge a tanto mal, eh a corpo vóto Ed essi e i lor cavalli eran rimasi,
Battendo i denti e calpestando il loto; Ma quasi lor più incresce, e senza
quasi Incresce e preme più, che farà noto La messaggìera, appresso agli altri
casi, Alla sua Donna, che la prima lancia Gli abbia abbattuti, c'han trovata in
Fr.iiic.a. Stanza 55 68 E presti o di morire, o di vendetta Subito far del
ricevuto oltraggio, Acciò la messaggiera, che fu detta Dilania, che nomata più
non aggio, La mala opinion ch'avea concetta Forse di lor, si tolga del
coraggio, La figliuola d Amon sfidano a giostra Tosto che fuor del Spente ella
si mostra:69 Non pensando però che sia donzella; Che nessun gesto di donzella
avea. Bradamante ricusa, come quella Ch'in fretta già, né soggiornar volea. Pur
tanto e tanto fur molesti, eh' ella, Che negar senza biasmo non potea, Abbassò
V asta, ed a tre colpi in terra Li mandò tutti; e qui fini la guerra; 70 Che
senza più voltarsi mostrò loro Lontan le spalle, e dileguossi tosto. Quei che,
per guadagnar lo scudo d' oro, Di paese venian tanto discosto, Poi che senza
parlar ritti si foro, Che ben V avean con ogni ardir deposto, Stupefatti parean
di maraviglia, Né verso Ullania ardìan d'alzar le ciglia; 71 Che con lei molte
volte percammino Dato s' avean troppo orgogliosi vanti:Che non é cavalier né
paladina Ch'ai minor di lor tre durasse avanti. La donna, perchè ancor più a
capo chiuo Vadano, e più non sian cosi arroganti, Fa lor saper che fu femmina
quella, Non paladin, che li levò di sella. 72 Or che dovete, diceva ella,
quando Cosi v' abbia una femmina abbattuti, Pensar che sia Rinaldo o che sia
Orlando, Non senza causa in tant'onoie avuti? S'un d'es8Ì avrà lo scudo, io vi
domando Se migliori di quel che siate suti Coutra una donna, contra lor sarete?
Non credo io già, né voi forse il credete. 73 Questo vi può bastar; né vi
bisogna Del valor vostro aver più chiara prova:E quei di voi, che temerario
agogna Far di sé in Francia esperienzia nuova, Cerca giungere il danno alla
vergogna In che ieri ed oggi s' è trovato e trova; Se forse egli non stima
utile e onore " Qualor per man di tai guerrier si muore. 74 Poi che ben
certi i cavalieri fece Ullania, che quell'era una donzella. La qual fatto avea
nera più che pece La fama lor, ch'esser solea si bella; E dove una bastava, più
di diece Persone il detto conferm&r di quella; Essi fur per voltar l'arme
in sé stessi, Da tal dolor, da tanta rabbia oppressi. E dallo sdegno e dalla
furia spinti, L arme si spoglian, quante n'hanno indosso; Né si lascian la
spada onde erau cinti, E del Castel la gittano nel fosso; E giuran, poiché gli
ha una donna vinti, E fatto sul terren hattere il dosso, Che, per purgar sì
grave error, staranno Senza inni vestir Tarme intero un anno; 76 E che n'
andranno a pie pur tuttavia, 0 sia la strada piana, o scenda o saglia; Né, poi
che Tanno anco finito sia, Saran per cavalcare o vestir maglia, S'altr'arme,
altro destrier da lor non fia Guadagnato per forza di battaglia. Cosi
senz'arme, per punir lor fallo, Essi a pie 83 n'andar, gli altri a cavallo. 77
Bradamante la sera ad an castello Ch' alla via di Parigi si ritrova, Di Carlo e
di Rinaldo suo fratello, Ch'avean rotto Agramante, udì la nuova. Quivi ebbe
buona mensa e buono ostello:Ma questo ed ogn' altro agio poco giova; Che poco
mangia, e poco dorme e poco, Non che posar, ma ritrovar può loco. 79 SeuzA che
tromb"i o segno altro accennasse Quando a muover s'avean, senza maestro
Che lo schermo e 'I ferir lor ricordasse, E lor pungesse il cor d'animoso
estro, L'uno e 1' altro d'accordo il ferro trasse, E si venne a trovare agile e
destro. I spessi e gravi colpi a farsi udire Incominciaro, ed a scaldarsi
l'ire. 78 Non però di costei voglio dir tanto, Ch'io non ritomi a quei duo
cavalieri Che d'accordo legato aveano accanto La solitaria fonte i duo
destrieri. La pugna lor, di che vo' dirvi alquanto, Non è per acquistar terre
né imperi; Ma perché Durindana il più gagliardo Abbia ad avere, e a cavalcar
Baiardo. 80 Due spade altre non so, per prova elette Ad esser ferme e solide e
ben dure, Ch' a tre colpi di quei si fosser rette, Cir erano fuor di tutte le
misure:3Ia quelle fur di tempre sì perfette, Per tante esperienzie sì sicure,'
Che ben poteano insieme riscontrarsi Con mille colpi e più, senza spezzarsi. 81
Or qua Binaldo or là mutando il passo Con gran destrezza, e molta industria ed
arte, Fuggia di Durindana il gran fracassò; Che sa ben come spezza il ferro e
parte. Feria maggior percosse il re Gradasso; Ma quasi tutte al vento erano
sparte:Se coglieva talor, coglieva in loco Ove potea gravare e nuocer poco.
stanza 84. 82 L altro con più ragion sua spada inchina, £ fa spesso al Pagan
stordir le braccia; £ quando ai fianchi e quando ove confina La corazza con V
elmo, gli la caccia:Ma trova V armatura adamantina:Sì ch'una maglia non ne
rompe o straccia. Se dura e forte la ritrova tanto, Avvien perch'ella è fatta
per incanto. 83 Senza prender riposo erano stati Gran pezzo tanto alla
battaglia fisi. Che vólti gli occhi in nessun mai de' Iati Aveano, fuor che nei
turbati visi; Quando da un'altra zuffa distornati, £ da tanto furor furon
divisi. Ambi voltaro a un gran strepito il ciglio, £ videro Baiardo in gran
periglio. 84 Vider Baiardo a zuffa con nn mostro Ch'era più di lui grande, ed
era augnello: Avea più lungo di tre braccia il rostro; L'altre fattezze avea di
vipistrello; Avea la piuma negra come inchiostro, Avea l'artiglio grande, acuto
e fello; Occhi di fuoco, e sguardo avea crudele:L'ale avea grandi, che parean
due vele. 85 Forse era vero augel; ma non so dove 0 quando un altro ne sia
stato tale. Non ho veduto mai, né Ietto altrove, Fuor ch'in Turpin, d'un sì
fatto animale. Questo rispetto a credere mi muove, • Che r augel fosse un
diavolo infernale Che Malagìgi in quella forma trasse, Acciò che la battaglia
disturbasse. 86 Rinaldo il credette anco, e gran parole £ sconce poi con
Malagìgi n'ebbe. £gli già confessar non glie lo vuole; £ perchè tor di colpa si
vorrebbe, Giura pel Inme che dà lume al Sole, Che di questo imputato esser non
debbe. Fosse augello o demonio, il mostro scese Sopra Baiardo, e con l'artiglio
il prese. 87 Le redini il destrier, eh' era possente, Subito rompe, e con
sdegno e con ira Contra l'augello i calci adopra e'I dente; Ma quel veloce in
aria si ritira:Indi ritoma, e con l'ugna pungente Lo va battendo, e d'ogn'
iutomo gira. Baiardo offeso, e che non ha ragione Di schermo alcun, ratto a
fuggir si pone. 88 Fugge Baiardo alla vicina selva, £ va cercando le più spesse
fronde: Segue di sopra la pennuta belva Con gli occhi fisi ove la via seconde:
Ma pure il buon destrier tanto s'inselva, Ch'alfin sotto una grotta si
nasconde. Poi che r alato ne perde la traccia, Ritoma in cielo, e cerca nuova
caccia. 89 Rinaldo e '1 re Gradasso, che partire Veggono la cagion della lor
pugna, Restan d'accordo quella differire Finché Baiardo salvino dall'ugna Che
per la scura selva il fa fuggire; Con patto, che qual d'essi lo raggiogna, A
quella fonte lo restituisca, Ove la lite lor poi si finisca. Seguendo, si
partir dalla fontana, L'erbe novellamente in terra peste. Molto da lor Baiardo
s' allontana, Ch'ebbon le piante in seguir lui mal preste. Gradasso, che non
lungi ayea V Alfana, Sopra vi salse, e per quelle foreste Molto lontano il
Paladin lasciosse, Tristo e peggio contento che mai fosse. I Einaldo perde V
orme in pochi passi Del suo destrier, chefa strano Viaggio; Ch' andò rivi
cercando, arbori e sassi, II più spinoso luogo, il più selvaggio. Acciò che da
quella ugna si celassi, Che cadendo dal ciel gli facea oltraggio. Einaldo, dopo
la fatica vana, Ritornò ad aspettarlo alla fontana; Se da Gradasso tI fosse
condutto, 3ì come tra lor dianzi si convenne. Ma poi che far si vide poco
frutto, Dolente e a piedi in campo se ne venne. )r torniamo a quell'altro, al
quale in tutto )iverso da Rinaldo il caso avvenne. on per ragion, ma per suo
gran destino enti annitrire il buon destrier vicino; 96 Voglio Astolfo seguir,
ch'a sella e a morso A uso fàcea andar di palafreno L'Ippogrifo per V aria a si
gran corso, Che l'aquila e il falcon vola assai meno. Poi che de' Galli ebbe il
paese scorso Da un mare all'altro, e da Pirene al Reno, Tornò verso Ponente
alla montagna Che separa la Francia dalla Spagna. 97 Passò in Navarra. et indi
in Aragona, Lasciando a chi '1 vedea gran maraviglia. Restò lungi a sinistra
Tarracona, Biscaglia a destra, ed arrivò in Castiglia. Vide Galizia e'I regno
d'Ulisbona; Poi volse il corso a Cordova e Siviglia: Né lasciò presso il mar né
fra campagna Città, che non vedesse tutta Spagna. 98 Vide le Gade, e la meta
che pose Ai primi naviganti Ercole invitto. Per l'Africa vagar poi si dispose
Dal mar d'Atlante ai termini d'Egitto. Vide le Baleariche famose, E vide Eviza
appresso al cammiu dritto. Poi volse il freno e tornò verso Arzilla Sovra '1
mar che da Spagna dipartilla. E lo trovò nella spelonca cava, •eir avuta paura
anco sì oppresso, h' uscire allo scoperto non osava: erciò l'ha in suo potere
il Pagan messo, sn della convenzion si raccordava, i' alla fonte tornar dovea
con esso; a non è più disposto d'osservarla, cosi in mente sua tacito
parla:Abbial chi aver lo vuol con lite e guerra; d'averlo con pace più disio,
li' uno all' altro capo della terra i venni, e sol per far Baiardo mio. ch'io
l'ho in mano, ben vaneggia ed erra i crede che depor lo voless'io. Rinaldo lo
vuol, non disconviene, ne io già in Francia, or s'egli in India viene. on men
sicura a lui fia Sericana, : già, dne yolte Francia a me sia stata. ì dicendo,
per la via più piana venne in Arli, e vi trovò l'armata; uindi con Baiardo e
Durindana "arti sopra una galea spalmata. questo a un'altra volta; ch'or
Gradasso, lido e tutta Francia addietro lasso. 99 Vide Marocco, Feza, Orano,
Ippona, Algier, Buzea, tutte città superbe, C hanno d'altre città tutte corona.
Corona d'oro, e non di fronde o d'erbe. Verso Biserta e Tunigi poi sprona; Vide
Capisse e l'isola d'Alzerbe, E Tripoli e Bemicche e Tolomitta, Sin dove il Nilo
in Asia si tragitta. 100 Tra la marina e la silvosa schena Del fiero Atlante
vide ogni contrada. Poi die le spalle ai monti di Carena, E sopra i Cirenei
prese la strada; E traversando i campi dell'arena. Venne a'confin di Nubia in
Albaiada. Rimase dietro il cimiter di Batto, E'I gran tempio d'Amon, ch'oggi è
disfatto. 101 Indi giunse ad un'altra Tremisenne, Che di Maumetto pur segue lo
stilo. Poi volse agli altri Etìopi le penne. Che con tra questi son di là dal
Nilo. Alla città di Nubia il cammin tenne Tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi Cristiani son, quei Saracini; E stan con l'arme in man sempre a'
confini. 102 Senàpo ìmperator della Etiopia, di' in loco tìen di scettro in man
la croce, Di gente, di cittadi e d'oro ha copia Quindi fin là dove il mar Rosso
ha foce; E serva quasi nostra Fede propia, Che può salvarlo dall'esilio atroce.
Gli è, s'io non piglio errore, in questo loco Ove al battesmo loro usano il
fuoco. 103 Dismontò il duca Astolfo alla gran come Dentro di Nubia, e visitò il
Senàpo. Il castello è più ricco assai che forte. Ove dimora d'Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e delle porte. Gangheri e chiavistei da piedi a capo, E
finalmente tutto quel lavoro Che noi di ferro usiamo, ivi usan d ore. stanza 99
tJ ' ' '/ /.} . ?f ::104 Ancorché del finissimo metallo Vi sia tale abbondanza,
è pur in pregio. Colonnate di limpido cristallo Son le gran logge del palazzo
regio. Fan rosso, bianco, verde, azzurro e giallo Sotto i bei palchi un
relucente fregio, Divisi tra proporzionati spazj, Ruin . smeraldi, zaffiri e
topazj. 105 In mura, in tetti, in pavimenti sparte Eran le perle, eran le
ricche gemme. Quivi il balsamo nasce: e poc.i parte N'ebbe appo questi mai
Gerusalemme. Il muschio eh' a noi vi.u, quindi si parte; Quindi vien l'ambra, e
cerca altre maremme; Vengon le cose in somma da quel canto. Che rei paesi
nostri vagliou tanto. Si dice che'l Soldan, Re dell'Egitto, A qnel Re dà
tributo, e sta soggetto, Perebbe in poter dì lui dal cammin dritto Levare il
Nilo, e dargli altro ricetto, E per questo lasciar subito afflitto Di fame il
Cairo e tutto quel distretto. Senàpo detto è dai sudditi suoi:Gli diciam Presto
o Preteianni noi. 107 Di quanti Re mai d' Etiopia foro, n più ricco fu questi e
il più possente; Ma con tutta sua possa e suo tesoro, Gli occhi perduti avea
miseramente. E questo era il minor d'ogni martore:Molto era più noioso e più
spiacente, Che, quantunque ricchissimo si chiame, Cruciato era da perpetua
fame. stanza 126 Se per mangiare o ber quello infelice iiia cacciato dal
bisogno grande, sto apparia rinfemal schiera ultrice, monstmose Arpie brutte e
nefande, i col grrifo e con V ugna predatrice rg:eano i vasi, e rapian le
vivande [liei che non capia lor ventre infiordo:rimanea contaminato e lordo.
109 E questo, perch essendo d'anni acerbo, E vistosi levato in tanto onore,
Che, oltre alle ricchezze, di più nerbo Era di tutti gli altri, e di più core;
Divenne, come Lucifer, superbo, E pensò muover guerra al suo Fattore. Con la
sua gente la via prese al dritto Al monte ond' esce il gran fiume d'Egitto. 110
Inteso ayea che su quel monte alpestre, Ch'oltre alle nuhi e presso al del si
leva, Era quel Paradiso che terrestre Si dice, ove ahitò già Adamo ed Eva. CJon
caramelli, elefanti, e con pedestre Esercito, orgoglioso si moveva Con gran
desir, se v'abitava gente, Di farla alle sue legi ubbidiente. Ili Dio gli
represse il temerario ardire, E mandò V Angel suo tra quelle frotte, Che
centomila ne fece morire, E condannò lui di perpetua notte. Alla sua mensa poi
fece venire L'orrendo mostro dall' infernal grotte. Che gli rapisce e contamina
i cibi. Né lascia che ne gusti o ne delibi. 112 Ed in desperazion continua il
mésse Uno che già gli avea profetizzato Che le sue mense non sarieno oppresse
Dalla rapina e dall'odore ingrato, Quando venir per l'aria si vedesse Un
cavalier sopra un cavallo alato. Petckè dunque impossibil parea questo, Privo
d'ogni speranza vivea mesto. 116 E di marmore un tempio ti prometto Edificar
nell'alta reggia mia, Che tutte d'oro abbia le porte e '1 tetto, E dentro e
fuor di gemme ornato aia; E dal tuo santo nome sarà detto, E del miracol tuo
scolpito fia. Cosi dicea quel Re che nulla vede. Cercando invan baciar al Duca
il piede. 117 Rispose Astolfo: Né l'Angel di Dio, Né son Messia novel, né dal
ciel vegno; Ma son mortale e peccatore anch'io. Di tanta grazia a me concessa
indegno. Io farò ogn'opra, acciò chel mostro rio, Per morte o fuga, io ti levi
del regno. S' io il fo, me ncn, ma Dio ne loda solo, Che per tuo aiuto qui mi
drizzò il volo. 118 Fa questi voti a Dio, debiti a Ini: A lui le chiese edifica
e gli altari Cosi parlando, andavano ambidui Verso il castello fra i Baron
preclari, n Re comanda ai servitori sui, Che subito il convito si prepari,
Sperando che non debba essergli tolta La vivanda di mano a questa volta. 113 Or
che con gran stupor vede la gente Sopra ogni muro e sopra ogni alta
torreEntrare il cavaliere, immantinente É chi a narrarlo al Re di Nubia corre,
A cui la profezia ri toma a mente; Ed obbli'ando per letizia torre La fedel
verga, con le mani innante Vien brancolando al cavalier volante. 119 Dentro una
ricca sala immantinente Apparecchiossi il convito solenne. Col Senape s' assise
solamente Il duca Astolfo, e la vivanda venne. Ecco per l'aria lo strider si
sente, Percossa intome dall'erribil penne; Ecco venir l'Arpie bratta e
ne&nde, Tratte dal ciel a odor delle vivande. 114 Astolfo nella piazza del
castello Con spaziose mote in terra scese. Poi che fu il Re condotto innanzi a
quello, Inginocchiossi, e le man giunte stese, E disse: Angel di Die, Messia
novello, S'io non merto perdono a tante offese. Mira che proprio é a noi peccar
sovente, A voi perdonar sempre a chi si pente. 115 Del mio error consapevole,
non chieggie Né chiederti ardirei gli antiqui lumi. Che tu lo possa far, ben
creder deggio; Che si de' cari a Die beati numi. Ti b.3ti il gran martir ch'io
non ci veggio, Senza ch'ognor la fame mi consumi. Almen discaccia le fetide Arpie,
Che non rapiscan le vivande mie: 120 Erano sette in una schiera, e tutte Volto
di donne avean, pallide e smorte. Per lunga &me attenuate e asciutte,
Orribili a veder più che la morte. L'alacde grandi avean, deformi e brutte; Le
man rapaci, e Pugne incurve e torte; Grande e fetide il ventre, e lunga coda.
Come di serpe che s'aggira e snoda. 121 Si sentono venir per l'aria, e quasi Si
veggon tutte a un tempo in sulla Rapire i cibi, e riversare i vasi: E molta
feccia il ventre lor dispensa. Talché gli é forza d'atturare i nasi; Che non si
può patir la puzza immensa. Astolfo, come l'ira lo sospinge. Centra gl'ingordi
augelli il ferro strìnge. Uno sol collo, un altro su la groppa Percuote, e chi
nel petto, e chi nelPala; Ma come fera in snn sacco di stoppa, Poi langae il
colpo, e senza effetto cala; E quei non vi lasciar piatto né coppa Che fosse
intatta; né sgombrar la sala Prima che le rapine e il fiero pasto Contaminato
il tutto avesse e guasto. 125 E così in una loggia s'apparecchia Con altra
mensa altra vivanda nuova. Ecco l'Arpie che fan l'usanza vecchia: Astolfo il
corno subito ritrova. Gli augelli, che non han chiusa l'orecchia, Udito il
suon, non puon stare alla prova; Ma vanno in fuga pieni di paura, " Né di
cibo né d'altro hanno più cura. 123 Avuto avea quel Ee ferma speranza Nel Duca,
che l'Arpie gli discacciassi; £d or che nulla ove sperar gli avanza, Sospira e
geme, e disperato stassi. Viene al Duca del corno rimembranza. Che suole
aitarlo ai perigliosi passi; E conchiude tra sé, che questa via Per discacciar
i mostri ottima sia. 126 Subito il Paladin dietro lor sprona: Volando esce il
destrier fuor della loggia, E col Castel la gran città abbandona, E per l'aria
cacciando i mostri, poggia. Astolfo il corno tnttavolta suona: Fuggon l'Arpie
verso la zona roggia, Tanto che sono all'altissimo monte, Ove il Nilo ha, se in
alcun luogo ha, fonte. 24 E prima fa che '1 Re, con suoi Baroni, Di calda cera
l'orecchia si serra. Acciò che tutti, come il corno suoni. Non abbiano a fuggir
fuor della terra: Prende la briglia, e salta su gli arcioni Dell' Ippogrlfo, ed
il bel corno afferra; E con cenni allo scalco poi comanda Che riponga la mensa
e la vivanda. 127 Quasi della montagna alla radice Entra sotterra una profonda
grotta, Che certissima porta esser si dice Di eh' allo 'nferno vuol scender
talotta. Quivi s'è quella turba predatrice. Come in sicuro albergo, ricondotta,
E giù sin di Oocito in sulla proda Scesa, e più là, dove quel suon non oda. 128
All'infemal caliginosa buca Ch'apre la strada a chi abbandona il lume, Finì
l'orribil suon l'inclito Duca, E fe'raccorre al suo destrier le piume. Ma prima
che più innanzi io lo conduca, Per non mi dipartir del miocostume,Poiché da
tutti i lati ho pieno il foglio. Finire il Canto e riposar mi voglio. V OTB. T.
1. V.14. Timaffora di Oalcide gareggiò con Fidia. Parrasio, nato in Efeso,
emalo di ZeusL Polignoto Taso, isola dell'Arcipelago, fa de' primi ad usare i
co . Protogene nato a Canno, città di Caria dipendente Rodi. Timante credesi
nato a CIdna, una delle Ci li, rivaleggiò con Parrasio. Apollodoro ateniese, in
gran fama circa il 428. Apelle, nativo di Coo, e adino di Efeso, oscurò gli
artisti che lo avevano pre ito; visse ai tempi di Alessandro il Macedone.,8i
ebbe i natali in Eraclea, e contese la palma a rasio e ad Apolloioro suoi
contemporanei. 'I. V.5. doto: una delle tre Parche, r. 2. V.15. JB quei che
fwro ai nostri dì, ecc. nardo f detto da Vinci, dal luogo ove nacque nel 1452,
)n nel 1445, come leggesi in alcune vite, fu pittor", ulioo ed architetto
militare: mori in Francia nel 1519. Andrea Mantegna, nato in Padova nel 1430,
lavorò molto in Mantova: morto nel 1505. Gian Bellino nacque in Venezia nel
1426, e di 79 anni dipingeva uno de' suoi capi d'opera che adomano il Louvre.
Duo Dossi. Erano fratelli e ferraresi, uno di nome Dosso, Taltro Giambat tista.
Dosso nacque nel 1474, fa grande amico del Poeta, a cui fece il ritiatto.
Giambattista era paesista, e lavorò assai pel duca Alfonso. Michel, più che
mortale, Angel divino: il Buonarroti, ch'ebbe i natali in Caprese del ter
ritorio Aretino, nell'anno 1474; fu gigante nelle tre arti sorelle: mori nel
1564. Bastiano: più conosciuto sotto il nome di Sebastiano del Piombo, benché
Luciano fosse il vero suo nome. Nacque a Venezia nel 1485, e morì in Roma nel
1547. Rafael: Rafaello Sanzio, nato in Ur bino nel 1483; mori nel 1520 Tizian:
Tiziano Vecel lio, nato nel 1477 a Pieve di Cadore, U più iUustre pennello
della scuola veneta: il contagio Io tolse di vita nel 1576. St. 4. V.67. AI
lago Avemo: lago che tuttora esiste nei dintoini di Pozzuoli. Ivi posero i
mitologi Fin grosso all'inferno. Alle Nursine grotte. Indica qui il Poeta nel
numero del più una grotta detta della Sibilla, che apresi sul monte San
Vittore, presso ad un lago, nel territoi;io di Norcia, e dove credevasi che si
adunassero le streghe per feu'e i loro incantesimi St. 8. V.8. Ch ambi a un
tempo furo. È questa una finzione del Poeta; perchè Fieramente o Faiamondo
visse un secolo prima del re Arturo. St. 9. V.58. Ter lui: da Merlino. Saper
fece il periglio a Fieramonte, a che di molti guai, ecc.: co struisci : fece
sapere a Fieramonte il periglio di molti guaita che porrà 6fM gente.
S'entranella terra, ecc., cioè in Italia, quasi colle stesse parole del
Petrarca:Vedrollo il bel paese Ch Appennin parte il mar cir conda e VAlpe. St.
13. V.28. Singiberto Fa lor veder, ecc. Vuol dire che Maurizio, imperatore di
Costantinopoli, adescò con denaro il re di Francia Singiberto a scendere in
Italia per cacciarne i Longobardi Dal monte di Giove: il grande San Gottardo.
Nel pian dal Lambro e dal Ticino aperto: cioè la pianura lombarda: il Lam bro è
fiume che scorre vicino a Monza; il Ticino procede dal lago Maggiore, e
toccando Pavia, mette foce nel TAdriatico. Vedete Eutar, ecc. Eutari o Autari,
re longobardo, fu quello che batto e disfece Singiberto. Si. 14. V.18. Vedete
Clodoveo, ecc. Rammenta un altro re di Francia che condusse per V Alpi numeroso
esercito alla conquista d'Italia; ma restò sconfitto da Orimoaldo, duca di
Benevento, che, con finta ritirata e con lasciare negli alloggiamenti molti
viveri e vino assai, ade scò i soldati fiancesiad inebbriarsi; e cosi gli
distrusse. St. 15. V.18. Ecco in Italia Childìberto, ecc. Que sti fu zio di
Clodoveo; ed a vendicare la morte del ni pote fece scendere in Lombardia tre corpi
d'esercito; i quali perirono quasi intieramente per la spada del del; cioè di
caldo e di dissenteria. ST. 16. V.18. Mostra Pipino, e nostra Carlo ap presso f
ecc. Pipino e il figlino! suo Carlo Magno ven nero successivamente in Italia a
sostenere i papi qui nominati contro i re Longobardi. Aistulfo fu vinto da
Pipino; e Carlo Magno soggiogò e fece prigione il re Desiderio, dando cosi fine
a quel regno. St. 17. V.18. Lor mastra appresso un giovene Pipino, ecc. Ora il
Poeta introduce Pipino, Aglio di Carlo Magno, il quale movendo contro i
Veneziani, oc cupò un tratto di paee, dalle Fornaci, cioè dalla foce del Po
detta Bocca di Fossone, air isola stretta e bis lunga che chiamasi Lido di
Pelestrina. Dopo ch'egli si fki impadronito delle isolette circostanti a
Venezia, fece gettare a Malamocco un ponte di legno per cui giunse presso
Rialto, dove combattè; e ritirandosi, trovò il ponte disfatto dalla burrasca,
onde i suoi ebbero gra vissima perdita. St. 18. V.18. Ecco Luigi Borgognon,
ecc. Venne anche costui in Italia per farsela sua; ma vinto e preso da
Berengario I, riebbe la libertà sotto promessa di non più muovere a danno della
Penisola; ed avendo rotta la data fede, fu preso di nuovo dal secondo
Berengario; e privato degli occhi, fu rimandato in Borgogna. Talpe per talpa.
Si credeva in que' tempi che a cosi fatti animali fosse impedito da una
pellicola V organo della vista. St. 19. V.18. Vedete un Ugo d'Arti, ecc gario
II, detronizzato da Rodolfo re di Borgogna, s.ty volse agli Unni o Ungheri,
perdio lo aosteneesero eo"n quel re; dai quali egli mal difendendosi per
la snméKt pocaggine, gì' Italiani ricorsero ad Ugo conte di Ari . che, riuscito
nell'impresa, regnò per dieci attaL Ma te nuto anch' egli nell'odio de'
sudditi, dovè pattuire cu Berengario III, il quale dopo la morte di Ugo e dd ii
lui figlio Lottarlo, riebbe il dominio d Italia. St. 20. v.18. Vedete un altro
Carlo, ecc. Fa q" sti Carlo d'Angìò, fratello di Luigi IX re dì Fraasa,
che invitato da Clemente IV discese in Italia; ed aveaé combattuto e vinto
Manfredi a Benevento, poi CoixadiM a Tagliacozzo, usurpò il regno di Napoli e
la Sicilia. dove per le oppressioni dei Francesi scoppiò il Fefpro Siciliano.
Del buon pastor: ò detto per ironia, poi ché a Clemente IV dovette l'Italia una
terribOe seiic di gueiTe. E Corradtno. Coi radino di Svevia non fa veramente
morto in battaglia, ma preso mentre iogp vasene in rotta, e dopo alcuni mesi di
prione" a mci tamen o del buon pastore, decapitato sulla piazza del
l'Annunziata in Napoli. St. 21. V.38. Scender dai monti un eapHmm Gallo, ecc
Giovanni III, conte d'Armagnac, detto ncik Stanza seguente Armeniaco. Venuto in
Italia codk al leato dei Fiorentini contro Galeazzo Visconti duca Ai Milano, fu
preso in mezzo sotto Alessandria, ed ivi battuto e rimasto prigioniero, mori
poco appresso, per le riportate ferite. St. 23. V.18. Un, detto della Marca:
Iacopo diBorbone, conte della Marca. Fu marito della regiat Giovanna, che poi
lo scacciò dal regno, e adottò AlfoBS" d'Aragona, il quale sconfisse
successivamente Lsigi e Rinieri d'Angiò, pretendenti al regno di Napoli Mone
Alfonso, il figlio di lui, Ferrante d'Aragona, che gli sncee dette, vinse
Giovanni d'Angiò che contrastavali il trono. St. 24. V.18. Vedete Carlo ottavo,
ecc. Parlasi della discesa di Carlo Vili in Italia (1494), U quale dopo aver
passato il Liri, cioè il Garigliano, occupò senza eoa trasto il reame di
Napoli, meno l'isola d'Ischia (qaì a nella St. 52 del Canto XXVI detta scoglio,
e montt nella St. 23 del Canto XVI), difesa da Inico del Tasto del sangue degli
Avalos. St. 27. V.78. Un cavaliero, ecc. Accenna il mar chese Don Alfonso del
Vasto. St. 28. y. 18. Paragona le qualità del marchese del Vasto a queUe che
Omero attribuisce a Nireo, ad Achille, ad Ulisse e a Nestore, e che la storia
dà a Ce sare. Lada: velocissimo cursore di Alessandro il Macedone. St. 29.
V.24. Quando il nipote, ecc. Giove figUooIo di Saturno, ch'era figlio di Gelo e
di Opi, ebbe i natali in Creta, secondo i mitologi. Dei duo gemelli Delo:
Apollo e Diana, nati ad un parto in queir isola da Iia tona, ohe trovò ivi
refùgìo dall'ira di Giunone. St. 31. V.18. Ecco, dicea si pente Ludovico, ho
dovico Sforza, emulo di Alfonso d'Aragona, eccitò Gir lo Vni a venire in
Italia. St. 32. V.ìS. Mala sua gente, ecc. Ferrante, figlio di Alfonso, con V
aiuto de' Veneziani e del mar<Aese di Mantova, cacciò intieramente dal regno
i Francesi; e l'ultimo fatto d'armi fu la battaglia d'Atella. St. 33. V.68. Con
un trattato doppio, ecc. 11 mar chese di Pescara avea guadagnato con denaro un
negro schiavo nell'esercito Aancese, che gli promise d intro durre gli
Aragonesi nel Castel Nuovo di Napoli; ma il negro, doppiamente traditore,
scoperse il tatto ai Fran cesi, e prezzolalo, accise insidiosamente il Pescara.
St. 34. V.18. Fui mostra il duodecimo Luigi, eco. Luigi XU re di Francia, scése
in Italia il 1499, cacciò Lodovico Sforza dal dacato di Milano, e quindi si
volse ad occupare il regno di Nnpoli; ma le sue genti furono rotte e disperse
dagli Aragonesi al passaggio del (origliano. St. 35. V.18. Vedete in Puglia,
ecc. Si allude alla battaglia della Cirignola vinta dagli Aragonesi nel 1503
Balle truppe di K rancia. Nel ricco pian, ecc.: nella pianura lombarda. Adria:
TAdriatico. St. 36. V.36. Uno che vende, ecc. Bernardino da lOTte, a cui lo
Sforza aveva affidata la custodia del castello di Milano, lo cedo per danaro ai
Francesi. U lerfido Svinerò. Lo Sforza fu tradito dagli Svizzeri. St. 37. V.18.
Cesar Borgia, ecc. Questo famoso igliuolo di papa Alessandro VI, sposata eh'
ebbe una arente del re di Navarra, e divenuto signore di Ro iagna,pose in opera
ferro e veleno contro i Colonnesi, Gaetanì, gli Orsini: spense i Varano da
Camerino, e )lse Io Stato a molti baroni, fra i quali i Malatesta di imini, i
Manfredi di Faenza, Giovanni Sforma di Pesaro Ouidobaldo di Montefeltro. Poi
mostra il re, ecc. aria ancora di Luigi XII, che dopo avere espulsi di So gna i
Bentivoglio, lo stemma de' quali presentava una iffa, fece rientrare quella
città sotto il dominio di papa iulio II, indicato con l'emblema delle Giande,
St. 38. V.14. Vedete, dice poiy di gente morta, ecc, geenna alla giomata di
Ghiaradadda, combattuta nel maggio 1509, nella quale i Veneziani furono
sconfitti, sendovi rimasto prigione il comandante del loro eser o, Bartolommeo
d'Alviano. v.58. Vedete come al pa, ecc. Lo stesso Luigi XU si oppose a papa
Giulio, e, dichiarata la guerra al duca Alfonso, gli avea tolta •dona; ed anzi
fece riavere ai Bentivoglio la signoria Bologna, spogliandone il papa. >T.
39. V.38. Vedete il campo de' Franceschi: jcheggio di Brescia, nel 1512. Del
lito de Chiassi: 8se, luogo presso Ravenna, antico porto de Romani, .
pienamente interrito. T. 40. V.18. Di qua la Francia, ecc. Rammenta nuovo la
battaglia di Ravenna. T. 41. V.78. E che posto un rampollo, ecc. Mas illano,
figlio di Lodovico Sforza, che riebbe il ducato Milano perduto dal padre. r.
42. V.14 Ecco toma il Francese, ecc. Accen i qui la battaglia della Riotta
presso Novara, com ;uta e vinta da Massimiliano (6 giugno 1513) col mezzo e
truppe svizzere, che il Poeta dice infedeli, pel tra ento anteriore, a danno di
Lodovico. Per tale vitto Leon X, che aveva fornito il soldo agli Svizzeri,
diede il titolo di difensori della Chiesa. : 43, V.18. -E con miglior auspicio,
ecc. Fran 0 I, succeduto a Luigi XII, disfece gli Sviz eri nella aglia di
Marignano, e quindi s'impadroni di Milano. .44. V.38. Ecco Borbon, ecc. Carlo
di Borbone ideva per Francesco 1 Milano contro gì' Imperiali, poi gliela
tolsero. . 45. V.18 Intende di Francesco Sforza, nipote )monimo, che, aiutato
dal papa, riacquistò il Mila e continuando nella guerra i Francesi, questi f
trattennti da Federigo Gonzaga, duca di Mantova oro impedi d'entrar in Pavia.
46. V.68. E del Leon del mar: de' Veneziani. uo fnarehesi, ecc.: di Pescara e
del Vasto. St. 49. V.3 La Bicocca: castello vicino a Pavia, sotto il quale
Svizzeri e Francesi perderono molta gente. St. 50. V.17. Ma quella, ecc.: la
Fortuna. A quel che diman gli esce: alle grandi somme di denaro da lui disposte
per raccogliere un esercito numeroso. St. 52. V.18. Accennasi alla battaglia di
Pavia (25 febbraio 1525) perduta da Francesco I, che vi restò prigioniero. St.
54. V.58. Ecco che l re nella prigione ibe ra, ecc.: Francesco ricuperò la
libertà, lasciando a Car lo V due figliuoli in ostaggio; poi mandò un altro eser
cito in Italia, mentr'egli stesso era assalito in Francia dalle forze
britanniche. St. 55. V.18. Vedete gli omicidj e le rapine, ecc. Accenna al
saccheggio di Roma e la prigionia del pon tefice insieme coi cardinali. Il
campo della Lega, ecc. Per discordie fra il marchese di Saluzzo, Federigo da
Bozzolo, e i duchi di Milano e di Urbino che comanda vano Fesercito detto della
Lega, Roma non fu soccorsa, ed ebbero luogo gFindicati disastri. St. 56. V.78.
La cittade ove sepolta, ecc. Napoli, che fu detta Partenope dal nome della
Sirena che si favoleggia ivi morta. St. 57. V.18. Carlo V spedi per mare
un'armata a soccorso di Napoli; ma la fiotta genovese al servigio di Francia,
comandata da Filippino Dona, distrusse gl'Im periali presso la costa di Amalfi.
Le malattie però tra vagliarono gli assedianti francesi per modo, che dovet
tero levare il campo e lasciar libero il regno di Napoli. St. 68. V.6. Si tolga
del coraggio: si levi dalla mente, dall'animo. St. la V.17. Le Qade: Cadice;
gli antichi geo grafi conobbero in quel luogo due isole, una delle quali, detta
da Strabene Erithia, è scomparsa. Ev/a; Ivica, una delle Baleari. Arzilla: nel
regno di Fez. St. 99. V.17. Feza: Fez. Ippona: Bona; Btizea: Bugia; ambedue
città dell' Algeria, come pure Orano. Biserta: nel regno di Tunisi. Capisse:
Cabes, città marittima dello Stato di Tunisi, sul golfo omonimo. Alzerbe:
Gerbi, piccola isola sullo stesso golfo. Bemic che: V antica Berenice, a
levante di Cirene, sul golfo della gran Sirte. Tolomitta: anticamente Ptolema'S,
nello Stato di Tripoli. St. 100. V.38. Monti di Carena: diramazione del monte
Atlante. Cirenei: abitanti del paese di Baroi. U cimiter di Batto: la Cyrene
degli antichi, oggi Coirvan, fabbricata da Batto che vi mori. Il gran tempio
dAmon: Giove Ammone ebbe un tempio nella Libia cirenaica, oggi deserto di
Barca. St. 101. V.14 Un'altra Tremisenne. il Poeta ha voluto indicare la
Tremessus della Pisidia? S'ignora. Agli altri Etiopi: agli Abissini, la regione
de' quali riguardavasi come una seconda Etiopia. St. 102. V.6. Dall'esilio
atroce: dall'inferno. St. 106. v: a Presto o Preteiannù Cosi dai nostri antichi
fu chiamato il sovrano dell'Abissinia; vedi viaggi di Marco Polo. St. 109. V.2
a -Al monte, ecc. 1 monti della Luna, donde credesi derivare il Nilo. St. 112.
V.6. Un cavalier, ecc. Fineo, raccontano Apollonio e Fiacco, sarebbe stato
liberato dalle Arpie, alla venuta, nella sua corte, di Calai e Zete, che
faceano il viaggio a Colchide cogli Argonauti. St. 126. y.6. La jro/iarofa: la
zona torrida. Dante chiamò pure città roggia (rossa) la città di Dite. JjQ|4u
lina I? luq Utente invtìt ti v& contro
L'iin]mii"&Tldì£à,ilP<>u li arni. tU" Atolfd, entrato nella
grotta dove iJ t" mài t fetno. ode Jn un'anima U peni impoKla ai diio(Ma¦:
u la ni uro alU liI Sate quindi ni par&diso ieiTO&"> " di
li al ]"iajigu Lunare, ove gli è dato il meSEO di i senno n j Orbìido.
Deacrizione del p&lizsa deD" Ftrt iìh fameliche inique e Bere Arpie,
rif all\icc€i:ata Italia e derror piena, Ter imiiir fora e antique colpe rie lu
ogni mensa aìtu giudi citi ineEa! Iiiiii't'unti fanciulli e madri pie Cascali
di fame, e veggon ch'uiia cena Di (juesti mostri rei tutto divora Ciò che del
viver lor aostcguo fura, Tropiio fallò chi le spelonche apenie; Che ìk
uìclt'anui erano state chiuse; Oudtì il fetore e T ingordigia emerse, rh\d
ammurhare Italia si dìlfuic. Il bel vivere allora si summerse; £ la quiete iu
tal modo s escluse. Ch'in guerre, in povertÀ sempre e in aflkoni È dopo stata,
ed è per star molt' aonì; Finch' e)la nn giorno ai neghittosi figli Scuota la
chioma, e cacci fuor di Lete, Gridando lor: Non fia chi rassimigli Alla virtù
di Calai e di Zete? Che le mense dal puzzo e dagli artigli Liberi, e tomi a lor
mondizia liete? Come essi già quelle di Fineo, e dopo Fé' il Paladin quelle del
Re eti'ópd. Ali or senti parlar con voce mesta; Deh, senza fare altrui danno,
giù cala. Pur troppo il negro fumo mi molesta. Che dal fuoco infernal qui tutto
esala. Il Duca stupefatto allor s'arresta, E dice all'omhra: Se Dio tronchi
ogni ala Al fumo si, eh' a te più non ascenda, Non ti dispiaccia che'l tuo
stato intenda. Il Paladin col suono orribil Tenne Le brutte Arpie cacciando in
fuga e in rotta, Tanto ch'appiè d'un monte si ritenne Ov'esse erano entrate in
una grotta. L'orecchie attente allo spiraglio tenne, E l'aria ne senti percossa
e rotta Da pianti e d'urli, e da lamento eterno; Segno evidente quivi esser lo
'nfemo. Astolfo si pensò d'entrarvi dentro, E veder quei e' hanno perduto il
giorno, E penetrar la terra fin al centro, E le bolge infernal cercare intorno.
Di che debbo temer, dicea, s'io v'entro? Ohe mi posso aiutar sempre col corno.
Parò fuggir Plutone e Satanasso, E '1 Oan trif&uce leverò dal passo.
Dell'alato destrier presto discese, B lo lasciò legato a un arbuscello: oi si
calò nell'antro, e prima prese '1 corno, avendo ogni sua spems in quello. Ton
andò molto innanzi, che gli offese 1 naso e gli occhi un fumo oscuro e fello ù
che di pece grave e che di zolfo, on sta d'andar per questo innanzi Astolfo. Ma
quanto va più innanzi, più s'ingrossa l fumo 6 la caligine; e gli pare h'
andare innanzi più troppo non possa, he sarà forza addietro ritornare, eco, non
sa che sia, vede far mossa alla volta di sopra, come fare cadavero appeso al
vento suole, ile molti di sia stato all'acqua e al Sole. Si poco, e quasi nulla
era di luce 1 quella affumicata e nera strada, le non comprende e non disceme
il Duce ii questo sia, che sì per l'aria vada; per notizia averne si conduce
dargli uno o due colpi della spada, ima poi ch'uno spirto esser quel debbia; lè
gli par di ferir sopra la nebbia. Stanza 9. 10 E se vaoi che di te porti
novella Nel mondo su, per satisfarti sono. L'ombra rispose: Alla luce alma e
bella Tornar per fama ancor si mi par buono. Che le parole è forza che mi
svella Il gran desir e' ho d'aver poi tal dono; E che '1 mio nome e l'esser mio
ti dica. Benché '1 parlar mi sia noia e fatica. 11 E cominciò: Signor, Lidia
son io, Dal Re di Lidia in grande altezza nata, Qni dal gindicio altissimo di
Dio Al famo eternamente condannata, Per esser stata al fido amante mio, Mentre
io vissi, spiacevole ed ingrata. Dalore infinite è questa grotta piena, Poste
per simil fallo in simil pena. 12 Sta la cmda Anassarete più al basso, Ove è
maggiore il fumo e più martire. Restò converso al mondo il corpo in sasso, E
Fanima quaggiù venne a patire; Poiché veder per lei l'afllitto e lasso Suo
amante appeso potè soiferire. Qui presso è Dafne, ch'or s'avvede quanto Errasse
a fare Apollo correr tanto. 18 Lungo saria se gP infelici spirti Delle femmine
ingrate, che qui stanno, Volessi ad uno ad ano riferirti: Che tanti son, eh' in
infinito vanno. Più lungo ancor saria gli uomini dirti, A' quai l'esser ingrato
ha fatto danno, E che puniti. sono in peggior loco, Ove il fumo gli acceca, e
cuoce il fuoco. 14 Perchè le donne più facili e prone A creder son, di più
supplicio è degno Chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Giasone, E chi turbò a
Latin l'antiquo regno: Sallo ch'incontra sé il frate Absalone Per Tamar trasse
a sanguinoso sdegno; Ed altri ed altre, che sono infiniti. Che lasciato bau chi
moglie e chi mariti. lo Ma per narrar di me più che d'altrui, E palesar l'error
che qui mi trasse. Bella, ma altiera più, si in vita fui, . Che non so s' altra
mai mi s'agguagliasse:Né ti saprei ben dir, di questi dui, S'in me l'orgoglio o
la beltà avanzasse: Quantunque il fasto e l'alterezza nacque Dalla beltà eh' a
tutti gli occhi piacque. 16 Era in quel tempo in Tracia un cavaliere Estimato
il miglior del mondo in arme, Il qual da più d'un testimonio vero Di siogolar
beltà senti lodarme; Talché spontaneamente fé' pensiero Di voler il suo amor
tutto donarme. Stimando meritar per suo valore, Che caro aver di lui dovessi il
co>'e. 17 In Lidia venne; e d'un laccio più forte Vinto rastò, poi che
veduta m'ebbe. Con gli altri cavalier si messe in corte Del padre mio, dove in
gran fama crebbe L'alto valore, e le più d'una sorte Prodezze che mostrò, lungo
sarebbe A raccontarti, e il suo merto infinito, Quando egli avesse a più grato
uom servita. 18 Pamfilia e Caria, e il regno de' Olici Per opra di costui mio
padre vinse; Che r esercito mai centra i nimici, Se non quanto volea costui,
non spinse. Costui, poi che gli parve i benefici Suoi meritarlo, un di col Re
si strinse A domandargli, in premio delle spoglie Tante arrecate, ch'io fossi
sua moglie. 19 Fu repulso dal Re, ch'in grande stato Maritar disegnava la
figliuola; Non a costui che, cavalier privato. Altro non tien che la virtude
sola: E '1 padre mio, troppo al guadagno dato, E all'avarizia, d'ogni vizio
scuola, Tanto apprezza costumi, o virtù ammira Quanto l'asino fa il suon della
lira. 20 Alceste, il cavalier di eh' io ti parlo (Che così nome avea), poi che
si vede Repulso da chi più gratificarlo Era più debitor, commiato chiede; E lo
minaccia, nel partir, di farlo Pentir, che la figliuola non gli diede. Se
n'andò al Re d'Armenia, emulo antico Del Re di Lidia, e capital nimico; 21 E
tanto stimulò, che lo dispose A pigliar l'arme, e far guerra a mio padre Esso,
per l'opre sue chiare e famose. Fu fatto capitan di quelle squadre. Pel Re
d'Armenia tutte l'altre cose Disse eh' acquisteria: sol le leggiadre E belle
membra mie volea per frutto Dell'opra sua, vinto ch'avesse il tutto. 22 Io non
ti potrei esprimere il gran duino Ch' Alceste al padre mio fa in quella guerra.
Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno Lo mena a tal, che non gli lascia
terra, Fuor ch'un castel eh' alte pendici fanno Fortissimo; e là dentro il Re
si serra Con la famiglia che più gli era accetta, E col tesor che trar vi puote
in fratta. 537 Quivi assedionne Alceste; ed in non molto Perniine a tal
disperazion ne trasse, 'he per bnon patto avria mio padre tolto 'he mogrlie e
serra ancor me gli lasciasse )on la metà del regno, s' indi assolto testar
d'ogni altro danno si sperasse, ledersi in breve dell'avanzo privo Ira ben certo,
e poi morir captivo. Tentar, prima ch'accada, si dispone gni rimedio che
possibil sia; me, che d'ogni male era cagione, aor della rocca, ov'era Alceste,
invia. " To ad Alceste con intenzione i dargli in preda la persona mia,
pregar che la parte che vnol, tolga b1 regno nostro, e l'ira in pace volgn.
Come ode Alceste eh' io vo a ritrovarlo, 1 viene incontra pallido e tremante,
vinto e di prigione, a rignardarlo, h che di vincitore, ave sembiante, che
conosco ch'arde, non gli parlo, come avea già disegnato innante: ita
l'occasìon, fo peusier nuovo nvenìente al grado in ch'io lo trovo. l maledir
comincio l'amor d'esso, li sua crudeltà troppo a dolermi, iniquamente abbia mio
padre oppresso, :he per forza abbia cercato avermi; ! con più grazia gli saria
successo i a non molti dì, se tener fermi uto avesse i mudi cominciati, al Re e
a tutti noi si furon grati. I sebben da principio il padre mio avea negata la
domanda onesta 'occhè di natura è un poco rio, mai si piega alla prima
richiesta), jì per ciò di ben servir restio doveva egli, e aver l'ira sì
presta: ., ognor meglio oprando, tener certo re in breve al desiato merto. 29 E
sebben era a lui venuta, mossa Dalla pietà ch'ai mio palre portava, Sia certo
che non molto fruir pos Il piacer ch'ai dispetto mio gli dava: Ch'era per far
di me la terra rossa. Tosto ch'io avessi alla sua voglia prava Con questa mia
persona satisfatto Di quel che tutto a forza saria fatto. stanza 38. 30 Queste
parole e simili altre usai, Poiché potere in lui mi vidi tante: E'I più pentito
lo rendei, che mai Si trovasse nell'eremo alcun santo. Mi cadde a' piedi, e
supplicommi assai, Che col coltel che si levò da cinto (E volea in ogni modo
eh' io '1 pigliassi) Di tanto fallo suo mi vendicassi. quando anco mio padre a
lui ritroso > fosse, io l'avrei tanto pregato, rrìa l'amante mio fatto mio
sposo. se veduto io l'avessi ostinato, i fatto tal opra di nascoso, di me
Alceste si saria lodato. )oich' a lui tentar parve altro modo, mai non l'amar
fisso avea il chiodo. 31 Poich'io lo trovo tale, io fo disegno La gran vittoria
insin al fin seofuire. Gli do speranza di farlo anco degno Che la persona mia
potrà fruire, S'emendando il suo error, l'antiquo regno Al padre mio farà
restituire; E nel tempo avvenir vorrà acquistarme Servendo, amando, e non mai
più per arme. 82 Cosi far mi promesse, e nella rocca Intatta mi mandò, come a
lui Tenni. Né di badarmi pur s' ardi la bocca:Vedi s'al collo il giogo ben gli
tenni; Vedi se bene Amor per me lo tocca, Se convien che per lui più strali
impenni. Al Be d'Armenia andò, di cui doTca Esser per patto ciò che si
prendea:33 E con quel miglior modo ch'usar puote, Lo priega ch'ai mio padre il
regno lassi, Del qual le terre ha depredate e vote, Ed a goder l'antiqua
Armenia passi. Quel Re, d'ira infiammando ambe le gote, Disse ad Alceste che
non vi pensassi; Che non si volea tor da quella guerra, Finché mio padre avea
palmo di terra. 34 E s' Alceste è mutato alle parole D'una vii femminella,
abbiasi il danno. Già a'prieghi esso di lui perder non vuole Quel eh' a fatica ha
preso in tutto un anno. Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole Che seco
effetto i prieghi suoi non fanno. All'ultimo s'adira, e lo minaccia. Che vuol,
per forza o per amor, lo faccia. 35 L'ira multiplicò si, che li spinse Dalle
male parole ai peggior fatti. Alceste contra il Re la spada strìnse Fra mille
ch'in suo aiuto s'eran tratti; E, malgrado lor tutti, ivi l'estinse:E quel di
ancor gli Armeni ebbe disfatti Con l'aiuto de' Cilici e de' Traci Che pagava
egli, e d'altri suoi seguaci. 36 Seguitò la vittoria, ed a sue spese, Senza
dispendio alcun del padre mio, Ne rendè tutto il regno in men d'un mese. Poi
per ricompensarne il danno rio, Oltr'alle spoglie che ne diede, prese In parte,
e gravò in parte di gran fio Armenia e Cappadocia che confina, E scorse Ircania
fin su la marina. 38 E quando sol, quando con poca gioite. Lo mando a strane
imprese e perigliose. Da fEUne morir mille agevolmente:Ma a lui successer ben
tutte le cose; Che tornò con vittoria, e fu sovente Con orribil persone e
monstmose. Con giganti a battaglia e Lestrigoni, Ch' erano infesti a nostre
regioni Non fu da Euristeo mai, non fii mai untD Dalla matrigna esercitato
Alcide In Lema, in Nemea, in Tracia, inErìmante. Alle valli d'Etolia, alle
Numide, Sul Tebro, su l'Ibero, e altrove; quanto Con prieghi finti e con voglie
omicide Esercitato fii da me il mio amante, Cercando io pur di torlomi davante.
40 Né potendo venire al primo intento, Vengone ad un di non minore effetto:Gli
fo quei tutti ingiuri ir, ch'io sento Che per lui sono, e a tutti in odio il
metto.Egli, che non sentia maggior contento Che d'ubbidirmi, senza alcun
rispetto Le mani ai cenni miei sempre avea pronte, Senza guardare un più d'un
altro in fironte. 41 Poi che mi fu, per questo mezzo, avviso Spento aver del
mio padre ogni nimico, E per lui stesso Alceste aver conquiso, Che non si avea,
per noi, lasciato amico; Quel ch'io gli avea con simulato viso Celato fin
allor, chiaro gli esplico:Che grave e capitale odio gli porto, E pur tuttavia
cerco che sia morto. 42 Considerando poi, s' io lo facessi, Ch'in pubblica
ignominia ne verrei (Sapeasi troppo quanto io gli dovessi, E (HTudel detta
sempre ne sarei), Mi parve &re assai, eh' io gli togliesm Di mai venir pii\
innanzi agli occhi mieL Né veder né parlar mai più gli volsi, Né messo udì', nò
lettera ne tolsi 37 In luogo di trionfo, al suo ritomo, Facemmo noi pensier
dargli la morte. Restammo poi, per non ricever scorno; Che lo veggiam troppo
d'amici forte. Fingo d'amarlo, e più di giorno in giorno Gli do speranza
d'essergli consorte; prima contra altri nimici nostri Dico voler che sua virtù
dimostri" 43 Questa mia ingratitudine gli diede Tanto martir, eh' alfin
dal dolor vinto, E dopo un lungo domandar mercede, Infermo cadde, e ne rimase
estinto. Per pena ch'ai fallir mio si richiede, Or gli occhi ho lacrimosi, e il
viso tinto Del negro fumo: e cosi avrò in etemo; Che nulla redenzione é nell'
Infemo. i Poiché non parla più Lidia infelice, Va il Dnca per saper s' altri vi
stanzi:Ma la caligine alta, eh' era ultrice Dell'opre ingrate, si glMngrossa
innanzi, Ch'andar nn palmo sol più non gli lice: Anzi a forza tornar gli
conviene; anzi, Perchè la vita non gli sia intercetta Dal filmo, i passi
accelerar con fretta. Il mutar spesso delle piante ha vista Di corso, e non di
chi passeggia o trotta. Tanto, salendo inverso V erta, acquista, ]!he vede dove
aperta era la grotta; i) r aria, già caliginosa e trista, )al lume cominciava
ad esser rotta. Jfin con molto affanno e grave ambascia Isce dall'antro y e
dietro il fumo lascia. E perchè del tornar la via sia tronca, quelle bestie, e'
han si ingorde 1' epe, aguna sassi, e molti arbori tronca, tie v'eran qoal
d'amomo e qnal di pepe; come può, dinanzi alla spelonca ibbrica di sua man
quasi una siepe, gli succede cosi ben quell'opra le più l'Arpie non torneran di
sopra. n negro fumo della scura pece, intre egli fu nella caverna tetra, n
macchiò sol quel 'eh' apparia, ed infece: sotto ipanni ancor entra e
penetra:che per trovar acqua andar lo fece cando un pezzo; e alfin fuor d'una
pietra e una fonte uscir nella foresta, la qual si lavò dal pie alla testa. 60
Cantan fra i rami gli augelletti vaghi Azzurri e bianchi e verdi e rossi e
gialli. Murmuranti ruscelli e cheti laghi Di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi A nn modo sempre, e dal suo stil non falli
Facea si l'aria tremolar d'intomo, Che non potea noiar caler del giorno: stanza
47. oi monta il volatore, e in aria s'alza, g:i anger di quel monte in su la
cima, non lontan con la superna balza cerchio della Luna esser si stima. to è
il desir che di veder lo 'ncalza, li cielo aspira, e la terra non stima. ' aria
più e più sempre guadagna:0 ch'ai giogo va della montagna. ffir, rubini, oro,
topazj e perle 3.nianti e crisoliti e jacinti ano i fiori assimigliar, che per
le 1 piaggio v'avea l'aura dipinti; rdi V erbe, che possendo averle gin, ne
foran gli smeraldi vinti; len belle degli arbori le frondi, frutti e di fior
sempre fecondi. 51 E quella ai fiori, ai pomi e alla verzura Gli odor diversi
depredando giva; E di tutti facea una mistura Che di soavità l'alma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alla pianura Ch' acceso esser parea di fiamma
viva:Tanto splendore intorno e tanto Inme Raggiava, fuor d'ogni mortai costume.
52 Astolfo il suo destrier verso il palagio. Che più dì trenta miglia intomo
aggira, A passo lento fa muovere adagio, E quinci e quindi il bel paese ammira;
E giudica, appo quel, brutto e malvagio, £ che sia al cielo ed a natura in ira
Questo ch'abitiam noi fetido mondo: Tanto è soave quel, chiaro e giocondo. 53 Come
egli è presso al laminoso tetto, Attonito riman di maraviglia; Che tatto dUma
gemma è 1 muro schietto, Più che carbonchio lucida e yermìglia. Oh stupenda
opra, oh dedalo architetto! Qual fabbrica tra noi le rassimiglia? Taccia
qualunque le mirabil sette Moli del mondo in tanta gloria mette. 56 Per imparar
come soccorrer del Carlo, e la santa Fé tor di perìglio, Venuto meco a
consigliar ti sei Per cosi lunga via senza consiglio. Né a tuo saper né a tua
virtù vorrei Ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio; Che né il tuo corno né
il cavallo alato Ti valea, se da Dio non t'era dato. Stanza 54. 54 Nel lucente
vestibulo di quella Felice casa un vecchio al Duca occorre. Che '1 manto ha
rosso, bianca la gonnella, Che Tun può al latte, l'altro al minio opporre. I
crini ha bianchi e bianca la mascella Di folta barba ch'ai petto discorre; Ed é
si venerabile nel viso, Ch'un degli eletti par del Paradiso. 57 Eagionerem più
ad agio insieme poi, E ti dirò come a procedere hai: Ma prima vienti a ricrear
con noi; Che '1 digiun lungo de' noiartì ormai. Continuando il vecchio i detti
suoi, Fece maravigliare il Duca a.S8aì, Quando, scoprendo il nome suo, gli
disse Esser colui che l'Evangelio serìcee; Stanza 50. 55 Costui con lieta
feiccia al Paladino, Che riverente era d'arcion disceso, Disse: 0 Baron, che
per voler divino Sei nel terrestre Paradiso asceso; Comeché né la causa del
cammino, Né il fin del tuo desir da te sia inteso; Pur credi che non senza alto
misterio Venuto sei dall'artico emisperio. 58 Quel tanto al Redentor caro
Giovanni, Per cui il sermone tra i fhitelli uscio, Che non dovea per morte
finir gli anni; Si che f\i causa che '1 Figliuol di Dio A Pietro disse: Perché
pur t'afianni, S' io vo' che così aspetti il venir mio?Benché non disse: Egli
non de' morire; Si vede pur che cosi volse dire. Staiusa 51. i9 Quivi fa
assunto, e troTò compagnia, Che prima Enoch, il patriarca, v'era, Erayi insieme
il gran profeta Elia, Che non han rista ancor V ultima sera; E fuor dell'aria
pestilente e ria Si goderan l'etema primavera. Finché dian segno T angeliche
tuhe Che tomi Cristo in su la bianca nube. 60 Con accoglienza grata il
cavaliero Fu dai Santi alloggiato in una stanza: Fu provvisto in un'altra al
suo destriero Di buona biada, che gli fii abbastanza De' frutti a lui del
Paradiso diéro, Di tal sapor, eh' a suo giudicio, sanza Scusa non sono i duo
primi parenti, Se per quei fur sì poco ubbidienti. stanza 00. Poi eh' a natura
il Duca avventuroso tisfece di quel che se le debbo, me col cibo, così col
riposo, è tutti e tutti i comodi quivi ebbe; sciando gi& l'Aurora il
vecchio sposo, ' ancor per lunga età mai non l'increbbe, vide incontra
nell'uscir del letto discepol da Dio tanto diletto; Jhe lo prese per mano, e
seco scorse molte cose di silenzio degne; 3oi disse: Figliuol, tu non sai forse
i iB Francia accada, ancorché tunevegne. pi che 1 vostro Orlando, perchè torse
cammin dritto le commesse insegne, •unito da Dio, che più s'accende tra chi
egli ama più, quando s'offende, 63 II vostro Orlando, a cui nascendo diede
Somma possanza Dio con sommo ardire, E fuor dell'uman uso gli concede Che ferro
alcun non Io può mai ferire; Perchè a difesa di sua santa Fede Cosi voluto l'ha
constituire. Come Sansone incontra a' Filistei Constituì a difesa degli Ebrei:
64 Renduto ha il vostro Orlando al suo Signore, Di tanti beneficj iniquo morto:
Che quanto aver più lo dovea in favore, N'è stato il fedel popol più deserto.
Sì accecato Tavea l'incesto amore D'una Pagana, ch'avea già sofferto Due volte
e più venire empio e crudele. Per dar la morte al suo cugin fedele. Stanca 79.
65 E Dio per questo fa eh' egli va folle, E mostra nndo il yentre il petto e il
fianco; E l'intelletto si gli offasca e tolle, Che non può altrui conoscere, e
sé manco. A questa guisa si legge che volle Nabuccodonosòr Dio punir anco, Che
sette anni il mandò di furor pieno Sì che, qual bue, pasceva Terba e il fieno.
66 Ma perch'assai minor del Paladino, Che di Nabucco, è stato pur P eccesso,
Sol di tre mesi dal voler divino A purgar questo error termine è messo. Né ad altro
effetto per tanto cammino Salir quassù t'ha il Redentor concesso. Se non perchè
da noi modo tu apprendi, Come ad Orlando il suo senno si renda. Sfcanza 89. i)7
Gli è yer che ti bisogna altro viaggio Far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio della Luna a menar t aggio, Che dei pianeti a noi più prossima
erra; Perchè la medicina che può saggio Rendere Orlando, 1& dentro si
serra. Come la Lana questa notte sia Sopra noi giunta, ci porremo in via. ? Di
questo e d'altre cose fu diffuso Il parlar dell'Apostolo quel giorno. Ma poi
che'l Sol s'ebbe nel mar rinchiuso, E sopra lor levò la Luna il corno. Un carro
apparecchiossi, ch'era ad uso D'andar scorrendo per quei cieli intomo: Quel già
nelle montagne di Giudea Da' mortali occhi Elia levato avea. Quattro destrier
via più che fiamma rossi Ài giogo il santo Evangelista aggiunse; 5 poi che con
Astolfo rassettossi, 3 prese il freno, inverso il ciel li punse, botando il
carro, per l'aria levossi, S tosto in mezzo il fuoco etemo giunse; )he'l
vecchio fé' miracolosamente, !he, mentre lo pass&r, non era ardente. Tutta
la sfera varcano del fuoco t indi vanno al regno della Luna, eggon per la più
parte esser quel loco )me un acciar che non ha macchia alcuna; Io trovano
uguale, 0 minor poco, [ ciò ch'in questo globo si raguna, questo ultimo globo
della terra, attendo il mar che la drcondcT e serra. Quivi ebbe Astolfo doppia
maraviglia; e quel paese appresso era si grande, quale a un picdol tondo
rassimiglia noi che lo miriam da queste bande; ch'aguzzar conviengli ambe le
ciglia, adi la terra e '1 mar, eh' intomo spande, cerner vuol; che non avendo
luce, magin lor poco alta si conduce. Jtri fiumi, altri laghi, altre campagne )
lassù, che non son qui tra noi; i piani, altre valli, altre montagne, ban le
cittadi, hanno i castelli suoi, case delle quai mai le più magne vide il
Paladin prima né poi: sono ampie e solitarie selve, le Ninfe ognor cacciano
belve. 73 Non stette il Duca a ricercare il tutto; Che là non era asceso a
quello effetto. Dall'Apostolo santo fu condutto In un vallon fra duo montagne
istretto. Ove mirabilmente era ridutto Ciò che si perde o per nostro difetto, 0
per colpa di tempo o di Fortuna: Ciò che si perde qui, là si raguna. 74 Non pur
di regni o di ricchezze parlo, In che la ruota instabile lavora; Ma di quel
ch'in poter di tor, di darlo Non ha Fortuna, intender voglio ancora. Molta fama
è lassù, che, come tarlo. Il tempo al hmgo andar quaggiù divora: Lassù infiniti
prieghi e voti stanno, Che da noi peccatori a Dio si fanno. 75 Le lacrime e i
sospiri degli amanti, L'inutil tempo che si perde a giuoco, E l'ozio lungo
d'uomini ignoranti. Vani disegni che non bau mai loco; 1 vani desideri sono
tanti. Che la più parte ingombran di quel loco: Ciò che in somma quaggiù
perdesti mai. Lassù salendo ritrovar potrai. 76 Passando il Paladin per quelle
biche, Or di questo or di quel chiede alla guida. Vide un monte di tumide
vessiche. Che dentro parea aver tumulti e grida; E seppe ch'eran le corone
antiche E degli Assiij e della terra Lida, E de' Persi e de' Greci che già furo
Incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro. 77 Ami d'oro e d'argento appresso vede
In una massa, ch'erano quei doni Che si fan con speranza di mercede Ai Re, agli
avari principi, ai patroni. Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, Et ode
che son tutte adulazioni. Di cicale scoppiate imagine hanno Versi ch'in laude
dei signor si fanno. 78 Di nodi d'oro e di gemmati ceppi Vede c'han forma i mal
seguiti amori.V'eran d'acquile artìgli; e che fur, seppi. L'autorità ch'ai suoi
danno i Signori. I mantici ch'intorno bau pieni i greppi. Sono i fumi dei
Principi, e i favori Che danno un tempo ai Ganimedi suoi, Che se ne van col
fior degli anni poi. Buine di dttadi e di castella Stavan con gran tesor quivi
sozzopra. Domanda, e sa che son trattati, e quella Congiura che si mal par che
si copra. Vide serpi con &ccia di donzella, Di monetieri e di ladroni V
opra: Poi vide bocce rotte di più sorti, Oh'era il serrò delle misere corti. 80
Di versate minestre una gran massa Vede, e domanda al suo Dottor, ch'importo.
L'elemosina è, dice, che si lassa Alcun, che fatta sia dopo la morte. Di vari
fiori ad nn gran monte passa, Ch'ebbe già buono odore, or putia forte. Questo
era il dono (se però dir lece) Che Costantino al buon Silvestro fece. 81 Vide
gran copia di panie con visco, Ch'erano, o donne, le bellezze vostre. Ltmgo
sarà, se tutte in verso ordisco Le cose che gli ftir quivi dimostre; Che dopo
mille e mille io non finisco, E vi son tutte l'occorrenzie nostre:Sol la pazzia
non v' è poca né assai; Che sta quaggiù, né se ne parte mai. 82 Qaivi ad alcuni
giorni e &tti sui, Ch'egli già avea perduti, si converse: Che se non era
interprete con lui. Non discemea le forme lor diverse. Poi giunse a quel che
par si averlo a nui. Che mai per esso a Dio voti non fèrse; 10 dico il senno: e
n' era quivi un monte. Solo assai più, che l'altre cose conte. 83 Era come un
liquor suttile e molle. Atto a esalar, se non si tien ben chiuso; E si vedea
raccolto in varie ampolle, Qaal più, qual men capace, atte a quell'uso. Quella
è maggior di tutte, in che del folle Signor d'Anglante era il gran senno
infuso; E fu dall'altre conosciuta, quando Avea scritto di fuor: Senno
d'Orlando. 84 E cori tutte l'altre avean scritto anco 11 nome di color di chi
fu il senno. Del suo gran parte vide il Duca franco; Ma molto più meravigliar
lo fènno Molti ch'egli credea che dramma manco Non dovessero averne, e quivi
dònno Chiara notàsia che ne tenean poco; Che molu quantità n'era in quel lece.
85 Altri in amar lo perde, altri in onori. Altri in cercar, scorrendo il mar,
rìcèbecze: Altri nelle speranze de' Signori Altri dietro alle magiche
sciocchezze: Altri in gemme, altri in opre di pittori, Ed altri in altro che
più d'altro apprezze. Di sofisti e d'astrologhi raccolto, E di poeti ancor ve
n'era molto. 86 Astolfo tolse il suo; che gliel concesse Lo scrìttor
dell'oscura Apocalisse. L'ampolla in ch'era, al naso sol si messe, E par che
quello al luogo suo ne gisse; E che Turpin da indi in qua confesse Ch'Astolfo
lungo tempo saggio visse; Ma ch'uno error che fece poi, fu quello Ch' un' altra
volta gli levò il cervello. 87 La più capace e piena ampolla, ov' era n senno
che solea fyn savio il Conte, Astolfo toUe: e non è sì leggiera, Come stimò,
con l'altre essendo a monte. Prima che '1 Paladin da quella sfera Piena di luce
alle più basse smonte. Menato fu dall'Apostolo santo In un palagio, o v'era un
fiume accanto; 88 Ch'ogni sua stanza avea piena di velli Di lin, di seta, di
coton, di lana. Tinti in vari colori e brutti e belli. Nel primo chiostro una
femmina oana Fila a un aspo traea da tutti quelli; Come veggiam l'estate la
villana Traer dai bachi le bagnate sposrlie, Quando la tfuova seta si
raccoglie. 89 Ve chi, finito un vello, rimettendo Ne viene un altro, e chi ne
porta altronde: Un'altra delle filze va scegliendo Il bel dal brutto che quella
confonde. Che lavor si fa qui, eh' io non l'intendo?Dice a Giovanni Astolfo: e
quel risponde: Le vecchie son le Parche, che con tali Stami filano vite a voi
mortali 90 Quanto dura un de' velli, tanto dura L'umana vita, e non di più un
momento. Qui tien l'oochio e la Morte e la Natura, Per saper l'ora ch'un debba
esser spento. Sceglier le belle fiU ha l'altra cura. Perchè si tesson poi per
ornamento Del Paradiso; e dei più brutti stami Si fan per li dannati aspri
legami 91 Dì tatti i yelli eh' erano già messi In aspo, e scelti a Gume altro
lavoro, Erano in brevi piastre i nomi impressi: Altri di ferro, altri d'argento
o d'oro; E poi fitti n'avean cumuli spessi, De' quali, senza mai farvi ristoro.
Portarne via non si vedea mai stanco Un yecchio, e ritornar sempre per anco. 92
Era quel vecchio si espedito e snello. Che per correr parea ohe fosse nato: E
da quel monte il lemho del mantello Portava pien del nome altrui segnato. Ove
n' andava, e perchè facea quello, Nell'altro Canto vi sarà narrato, Se d'averne
piacer segno fìtrete Con quella grata udienza che solete. N o T B. St. 1. V.1.
Arpie sono qui i barbari soeei in Italia i loro desolata. 8t. 2. V.14. Troppo
falld, $ec. Allude a Giulio n, e, dopo la giornata di Ravenna, riaccese la
guerra in Jia, chiamandovi gli Svizzeri per discaociame i Fran ii, y. 5. iZ bel
vivere è la bella vita che in Italia menava prima della discesa di Oarlo YIII.
IT. 3. V.27. Cacci fiAor di Lete: fàccia dimenti e; e ciò riguarda la misera
condizione deglltaliani. !a virtù di Calai e di Zete, ecc.: due figli di Borea
li Oritia, i quali cacciarono sino alle Strofadi le Arpie brattavano le mense
di Fineo re di Tracia. T. 5. V.8. JZ can trifauce, è Cerbero da tre teste. T.
7. V.5. Far mossa, dondolare. T. 12. V.17. Anassarete: donzella di Cipro, la
insensibilità all'amore dlfl, principe cipriotto, cen so il giovine ad
appiccarsi; ed ella Ai convertita in IO. Dafne: ninfa, che fuggendo da Apollo,
da cui amata, venne cangiata in lauro. r. 14. V.3e. JZ "a Teseo e Giasone,
ecc. Rammenta 'oeta quattro ingannatori di donne: Teseo cioè e ione, che
delusero, Tuno Arianna, Paltro Medea; Enea, [uistatore del Lazio, che abbandonò
Didone, e Am, figlio di David, che mutò in odio il suo amore per ar; di che
nacque odio mortale fta lui e Absalon. . 18. V.1. ~ La Panfilia, la Caria, la
Cilicia, come e la Lidia, erano regni dell'Asia minore, oggi Ana 32. V.6. Più
strali impenni: guarnisca di ), prepari altri strali per innamorarlo. 36. y. 6.
Tributo pagato per vassallaggio. Ircania, provincia dell'antica Persia, sul mar
Ca famosa per le sue tigri (tigri ireane) che non vi iù. 38. V.7. Lestrigoni:
rozzi popoli del Lazio, asentati neHOdissea come antropofSaigi. 30. V.15. Non
fu da EuHsteo mai, ecc. Vedi i mitologi le molte prove a cui Alcide (Brcole) fu
osto, per l'odio ohe gli portava Giunone. In Lema, l'Idra; in Nomea, il Leone;
in Tracia, Diomede; in ato accise on cinghiale ferocissimo; in Nnmidia, •nte
Anteo; sul Tevere, Caco; solllbero, Gerione. 17. V.3. Infeee: deturpò. iO. V.5.
Vaghi: scorra intomo. St. 53. V.5. Dedalo: qui ifieoso, a modo di epiteto. Le
mirahil sette moli: le sette, chiamate dagli antichi, maraviglie del mondo;
vale a dire, le Piramidi egiziane, il sepolcro di Mausolo, il tempio di Diana
in Efeso, il colosso di Rodi, il palazzo di Ciro re dei Medi, la statua di
Giove Olimpico, e le mura di Babilonia. St. 58. V.18 Giovanni l'evangelista,
figlinol di Zebedeo. St. 69. v.28. Enoch, U patriarca, ecc. In letà d'anni 365
fu rapito sopra un carro di fuoco, e portato vivo nel paradiso terrestre, dove
si dice che debba stare fino alla consumazione dei secoli. Il gran profeta
Elia. Presso al fiume Giordano, e sugli occhi del profeta Eli seo, suo
discepolo, anche Elia scomparve sopra un carro di fuoco. Tube, trombe, voce latina
usata da Dante. St. 61. v.5. Il vecchio sposo: Titone. St. 62. V.1. ~ Scorse:
discorse, ragionò. St. 69. V.16. Quattro destrier, via più che /lammu rossi; ed
il Petrarca, Trionfo d'Amore, I: Quattro de strier via più che neve bianchi. E
tosto in messo U fuoco etemo giunse. Intendi nella sfera del fuoco, che,
secondo le teorie di Tolomeo, credevasi intermedia fm la terra e il cielo della
luna. St. 75. V.4. Non han mai loco: non sono mai eseguiti. St. 76. v.1. Biche:
qui cumuli, mucchi. St. 78. V.Ò, Jcppi; le pelli de' mantici, che di latandosi
e restringendosi a vicenda, accolgono l'aria e la respingono fuori. Ganimedi:
qui sta per i favoriti de'principi. Ganimede, figliuolo di Troe, era si beUo e
ben formato, che Giove lo rapi per farsene un coppiere in cielo. St. 80. V.8.
Che Costantino, ecc. Costantino im peratore, di cui senza fondamento storico si
dice, che passando ad abitare a Costantinopoli donasse Roma a S. Silvestro. St.
84, V.3. Il dtéca franco: Astolfo, che, sebbene inglese, era paladino di Francia.
St. 88. V.4. Oana: canuta. St. 91. V.8. £ ritornar sempre per anco: sottin
tendi a levarne. St. 92. V.1. Era quel vecchio, ecc. Descrive alle goricamente
la velocità del tempo. dell amore auo; poi, tOjLìeiido occ&slone d&ì
lavoro d6lJ" Pattdit, fa uno Bi>Ii.''ULlidij elogio al cjìidinal d' Kto
Hostra qiuQcli tOMÈÈ il tem|iu Hpi,'iiga i nomi deIi nomini ofìiurì, e come
salg a i immortùlr. (lUi'l f!iri prcdaii. E ripiiliandu U filo dui
Foi:im&" ri ferisce alcuni fatti lj;ì Brad cimante, elle, punta tuttora
dì, pei' Ruggiero, Io sfida a Uattaglia, Chi salirà per moi Madonna in cielo A
riportarne il miu p erti ut a ingegno Che poi cli'n:ìcì debeì Toatri occM il
telo Cile 1 cor mi fisee, ognor perdendo Tegno?Ké di tauU iattura mi querelo,
rurchè non cresca, ma sda a quesito segno; Cy ii> dubito, SG più si Ta
scemando, Dì venir tal, qual lio descritto Orlando. Per riaTer l'ingeierno mio
mè aTTiso Cile non bisogna che per Tana io poggi Nel cercliio della Luna o in
Paradisa; Chè'ì mio non credo che tanto alto alloggi. Nc bei vostri occld e nel
sereno viso Nel sen davoris> e alabagtrìm poggi Se ne va errando; ed io con
queste labbia Lo còrrò y se vi par ch'io lo riabbia. Per gli ampli tetti andava
il Paladino \itte mirando le fatare vite, 'oi ch'ebbe visto sul fatai molino
olgerd quelle <ih' erano già ordite:scòrse nn vello che più che d'dr fino
)Iender parea; né sarian gemme trite, in filo si tirassero con arte, a
comparargli alla millesma parte. Mirabilmente il bel vello gli piacque, le tra
infiniti paragon non ebbe; di sapere alto disio gli nacque, landò sarà tal
vita, e a chi si debbe. Evangelista nulla glie ne tacque:e venti anni principio
prima avrebbe, le coll'M e col D fosse notato anno corrente dal Verbo
incarnato. 9 Quegli ornamenti che divisi in molti, A molti basterìan per tutti
ornarli, In suo ornamento avrà tutti raccolti Costui, di ch'ai volato ch'io ti
parli. Le virtudi per lui, per lui suffolti Saran gli studi; e s'io vorrò
narrar li Alti suoi merti, al fin son si lontano, Ch'Orlando il senno aspetterebbe
invano. 10 Cosi venia V imitator di Cristo Ragionando col Duca: e poi che tutte
Le stanze del gran luogo ebbono visto, Onde l'umane vite eran condutte. Sul
fiume uscirò, che d'arena misto Con l'onde discorrea turbide e brutto; E vi
trovar quel vecchio in su la riva, Che con gì' impressi nomi vi veniva. E come
di splendore e di beltade el vello non avea simile o pare; sì saria la
fortunata etade, e dovea uscirne al mondo, singulare; rchè tutte le grazie
inclite e rade, alma Natura, o proprio studio dare, )enigna Fortuna ad uomo
puote, rà in perpetua ed infallibil dote. )el Be de' fiumi tra l'altiere coma
siede umil, diceagli, e piccol borgo; anzi il Po, di dietro gli soggiorna Jta
palude un nebuloso gorgo;, volgendosi gli anni, la più adoma tutte le città
d'Italia scorgo, pur di mura e d'ampli tetti regi, di bei studi e di costumi
egregi anta esaltatone e cosi presta, fortuita 0 d'avventura casca; V ha
ordinata il Ciel perchè sia questa uà in che l'uom, di ch'io ti parlo, nasca: j
doYe il fhitto ha da venir, s' innesta •n studio si fa crescer la frasca;
artefice l'oro affinar suole, he legar gemma di pregio vuole. " si
leggiadra né si bella veste la ebbe altr'alma in quel terrestre regno; ro è
sceso e scenderà da queste superne un spirito si degno, ) per fame Ippolito da
Este e V eterna Mente alto disegno, ito da Este sarà detto mo a ehi Dio si
ricco dono ha eletto. 11 Non so se vi sia a mente, io dico quello Ch' al fin
dell' altro Canto vi lasciai. Vecchio di faccia, e si di membra snello. Che
d'ogni cervio è più veloce assai. Degli altrui nomi egli si empia il mantello;
Scemava il monte, e non finiva mai; Ed in quel fiume che Lete si noma,
Scarcava, anzi perdea la ricca soma. 12 Dico che, come arriva in su la sponda
Del fiume, quel prodigo vecchio scuote Il lembo pieno, e nella turbida onda
Tutte lascia cader l'impresse note. Un numer senza fin se ne profonda, Ch'un
minimouso aver non se ne puote; E di cento migliaia che l'arena Sul fondo
involve, un se ne serva appena. 13 Lungo e d'intomo quel fiume volando Gfivano
corvi ed avidi avoltori> Mulacchie e vari augelli, che gridando Facean
discordi strepiti e r omeri; Ed alla preda correan tutti, quando Sparger vedean
gli amplissimi tesori: E chi nel becco, e chi nell'ugna torta Ne prende; ma
lontan poco gli porta. 14 Come vogliono alzar per l'aria i voli. Non han poi
forza che '1 peso sostegna; 1 che convien che Lete pur involi De ricchi nomi la
memoria degna. Fra tanti augelli son duo cigni soli. Bianchi, Signor, come è la
vostra insegna, Che vengon lieti riportando in bocca Sicuramente il nome che
lor tocca. 562 ORLANDO PUBIOSO. stanza 16. 16 Cosi contra i pensieri empi e
maUgm Del yecchio, che donar gli yorria ai ùmim Alcan ne salyan gli augelli
benigni Tatto Tayanzo obblivìon oonsnme. Or se ne yan notando i sacri di, Ed or
per l'aria battendo le pinme, Finché presso alla ripa del fiiime empio Troyano
un colle, e sopra il colle un tempii. 16 All'Immortalitade il laogo è sacro,
Oye una bella Ninfa giù del colle Viene alla ripa del letéo layacro, E di bocca
dei cigni i nomi tolle; E quelli affigge intorno al simalacro Ch'in mezzo il
tempio una colonna "tolle.Qoiyi li sacra, e ne fa tal goyemo. Che yi si
puon yeder tutti in eterno. 17 Chi sia quel yecchio, e perchè tatti al rk Senza
alcun frutto i bei nomi dispensi, E degli augelli, e di quel luogo pio Onde la
bella Ninfa al fiume yiend, Ayeya Astolfo di saper desio I gran misteri e gli
incogniti sensi; E domandò di tutte queste cose L'uomo di Dio, che cosi gli
rispose:18 Tu dèi saper che non si muoye fronda Laggiù, che segno qui non se ne
fiaccLL Ogni effetto conyien che corrisponda In terra e in ciel, ma con diyersa
faccia. Quel yecchio, la cui barba il petto innond&. Veloce si che mai
nulla V impaccia, Gli effetti pari e la medesima opra Che '1 Tempo fa laggiù,
fa qui di sopra. 19 Vòlte che son le fila in su la ruota, Laggiù la yita umana
arriva al fine. La fama 1&, qui ne riman la nota; Ch' immortali sariano
ambe e divine, Se non che qui quel dalla irsuta gota, E laggiù il Tempo ognor
ne fk rapine Questi le getta, come yedi, al rio:E quel l'immerge nell'eterno
obblio. 20 E come quassù i corvi e gli avoltori E le mulacchie e gli altri vari
augelli S' affaticano tutti per trar fuori Dell'acqua i nomi che veggion più
beUi; Cosi laggiù ruffiani, adulatori, Buffon, cinedi, accusatori, e quelli Che
vivono alle corti, e che vi sono Più grati assai che '1 virtuoso e 1 buono;
stanza 13. 21 E son chiamati cortigian gentili, Perchè sanno imitar l'asino e
'1 ciacco; DeMor Signor tratto che nahhia i fili La giusta Parca, anzi Venere e
Bacco, Questi di ch'io ti dico, inerti e vili. Nati solo. ad empir di cibo il
sacco. Portano in bocca qualche giorno il nome; Poi nelPobblio lascian cader le
some. 7 Omero Agamennon vittorioso, E fé i Troian parer xili ed inerti; E che
Penelopea, fida al suo sposo, Dai prochi mille oltraggi avea sofferti. E se tu
vuoi cheU ver non ti sia ascoso, Tutta al contrario V istoria converti:Che i
Greci rotti, e che Troia vittrice E che Penelopea fu meretrice. ?2 Ma come i
cigni, che cantando lieti Rendono salve le medaglie al tempio; Cosi gii uomini
degni da poeti Son tolti dalPobblio, più che morte empio. 0 beue accorti
Principi e discreti, Che seguite di Cesare V esempio, E gli scrittor vi fate
amici, donde Non avete a temer di Lete Fonde! 3 Son, come i cigni, anco i poeti
rari, Poeti che non sian del nome indegni. Si perchè il Ciel degli uomini
preclari Non paté mai che troppa copia regni, Sì per gran colpa dei Signori
avari Che lascian mendicare i sacri ingegni; Che le virtù premendo, ed
esaltando I vizj, caccian le buone arti in bando. [ Credi che Dio questi
ignoranti ha privi Dello 'ntelletto, e loro offusca i lumi; Che della poesia
gli ha fatto schivi, Acciò che morte il tutto ne consumi. Oltre che del
sepolcro uscirian vivi, Ancor chavesser tutti i rei costumi; Purché sapesson
farsi amica Cirra, Più grato odore avrian, che nardo o mirra. Non si pietoso
Enei, né forte Achille u, come è fama, né sì fiero Ettorre; ne son stati e
mille e mille e mille he lor si puon con verità anteporre; i donati palazzi e
le gran ville )ai discendenti lor, gli ha fatto porre Q questi senza fin
sublimi onori )air onorate man degli scrittori. Non fa si santo né benigno
Auguste, 'ome la tuba di Virgilio suona: "' avere avuto in poesia buon
gusto, a proscrizione iniqua gli perdona. essun sapria se Neron fosse ingiusto,
è sua ma saria forse men buona, vesse avuto e terra e ciel nimid, i gli
scrittor sapea tenersi amici. stanza 24. 28 Dair altra parte odi che fama
lascia Elisa, ch'ebbe il cor tanto pudico; Che riputata viene una bagascia,
Solo perché Maron non le fu amico. Non ti maravigliar eh io n'abbia ambascia, E
se di ciò diffusamente io dico. Gli scrittori amo, e fo'il debito mio; Chal
vostro mondo fui scrittore anch'io. 21 E sopra tutti gli altri io feci acquisto
Che non mi può levar tempo nò morte: E ben convenne al mio lodato Cristo
Rendermi guiderdon di si gran sorte. Ducimi di quei che sono al tempo tristo.
Quando la cortesia chiuso ha le porte; Che con pallido viso e macro e asciutto
La notte e '1 di vi picchian senza frutto. 80 che, continuando il primo detto,
Sono i poeti e gli studiosi pochi; Che dove non han pasco né ricetto, Insin le
fere abbandonano i lochi. Cosi dicendo il vecchio benedetto Gli occhi infiammò,
che parveno duo fuochi: Poi volto al Duca con un saggio riso, Tornò sereno il
conturbato viso. 31 Resti con lo scrittor dell'Evangelo Astolfo ormai, ch'io
voglio far un salto. Quanto sia in terra a venir fin dal cìdo: Ch4o non posso
più star su l'ali in alto. Tomo alla donna, a cui con grave telo Mosso avea
gelosia crudele assalto. Io la lasciai eh' avea con breve erra Tre Re gittati,
un dopo l'altro, in terra; Stanza 40. E che giunta la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova, D'Agramante che, rotto dal fratello, S'era
ridotto in Arli, ebbe la nuova. Certa che'l suo Rnggier fosse con quello; Tosto
ch'apparve in ciel la luce nuova. Verso Provenza, dove ancora intese Ohe Carlo
lo seguia, la strada prese. 33 Verso Provenza per la via più dritta Andando,
s'incontrò in una donzella, Ancorché fosse lacrimosa e afflitta. Bella di
faccia, e di maniere bella. Questa era quella si d'amor trafitta Per lo
figliuol di Monodante, quella Donna gentil ch'avea lasciato al ponte L'amante
suo prigion di Rodomonte. stanza 31. 84 Ella venia cercando un cavalìero, Cb' a
far battaglia usato, come lontra In acqua e in terra fosse, e co fiero, Che lo
potesse al Pagan porre incontra. La sconsolata amica di Ruggiero, Come
quest'altra sconsolata incontra, Cortesemente la saluta, e poi Le chiede la
cagion dei dolor suoi. 35 Fiordiligi lei mira, e veder parie Un cavalier eh al
suo bisogno fia; E comincia del ponte a ricontarle, Ove impedisce il Re d
Algier la via; E ch'era stato appresso di levarle suo: non che più forte sia;
Ma sapea darsi il Saracino astuto Col ponte stretto e con quel fiume aiuto. (6
Se sei, dicea, si ardito e si cortese, Come ben mostri 1 uno e 1 altro in
vista, vendica, per Dio, di chi mi prese Il mio signore, e mi fa gir si trista;
E consigliami akneno in che paese Possa io trovare un eh' a colui resista, E
sappia tanto d'arme e di battaglia, Che '1 fiume e '1 ponte al Pagan poco
vaglia. 7 Oltre che tu farai quel che conviensi Ad uom cortese e a ca vallerò
errante, In beneficio il tuo valor dispensi Del più fedel d'ogni fedele amante.
Dell'altre sue virtù non appartiensi A me narrar; che sono tante e tante, Che
chi non n' ha notizia, si può dire Che sia del veder privo e dell'udire. B La
magnanima donna, a cui fu girata Sempre ogni impresa che può farla degna
D'esser con laude e gloria nominata. Subito al ponte di venir disegna: Ed ora
tanto più, eh' è dispei 'a, Vien volentier, quando anco a mor, vegna; Che
credendosi, misera! esser priva Del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva. )
Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa. Rispose Bradamante, io m' offerisco Di
far l'impresa dura e perigliosa. Per altre cause ancor, ch'io preterisco; Ma
più, che del tuo amante narri cosa ( he narrar di pochi uomini awertisco, Che
sia in amor fedel; ch'afiè ti giuro Ch'in ciò pensai eh' ognun fosse pergiuro.
40 Con un sospir quest'ultime parole Finì, con un sospir eh' usci dal core; Poi
disse: Andiamo; e nel seguente sole Giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte dalla guardia che vi suole Fame segno col corno al suo Signore, n
Pagan s'arma; e, quale è'I suo costume. Sul ponte s' appresenta in ripa al
fiume:41 E come vi compar quella guerriera. Di porla a morte subito minaccia,
Quando dell'arme e del destrier, su ch'era, Al gran sepolcro oblazi'on non
faccia. Bradamante che sa l'istoria vera, Come per lui morta Isabella giaccia,
Che Fiordiligi detto le l'avea, Al Saracin superbo rispondea: 42 Perchè vuoi
tu, bestiai, che gl'innocenti Facciano penitenzia del tuo fallo? Del sangue tuo
placar costei convienti. Tu l'uccidesti; e tutto '1 mondo sallo. Sì che di
tutte l'arme e guernimenti Di tanti che gittati hai da cavallo, Oblazione e
vittima più accetta Avrà, ch'io te le uccida in sua vendetta. 43 E di mia man
le fia più grato il dono, Quando, com' ella fu, son donna anch' io:Né qui
venuta ad altro effetto sono, Oh' a vendicarla; e questo sol disio. Ma far tra
noi prima alcun patto è buono, Che'l tuo valor si compari col mio. S'abbattuta
sarò, di me farai Quel che degli altri tuoi prigion fatt' hai:44 Ma s' io t'
abbatto, come io credo e spero, Guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi, E
quelle offerir sole al cimitero, E tutte l'altre distaccar da' marmi; E voglio
che tu lasci ogni guerriero. Rispose Bodomonte: Giusto parmi Che sia come tu
di'; ma i prigion darti Già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti. 45 Io
gli ho al mio regno in Africa mandati Ma ti prometto e ti do ben la fede, Che
se m'awien per casi inopinati Che tu stia in sella, e ch'io rimanga a piede,
Farò che saran tutti liberati In tanto tempo, quanto si richiede Di dare a un
messo che 'n fretta si mandi A far quel che, s' io perdo, mi comandi. 46 Ma 8 a
te tocca star di sotto, come Più si conviene, e certo so che fia, Non yoche
lasci Parme, né il tao nome, di vinta, sottoscritto sia: Al tuo bel viso, a
begli occhi, alle chiome; Che spiran tutti amore e leggiadria. Voglio donar la
mia vittoria; e basti Che ti disponga amarmi, ove m'odiasti. 49 Nel trapassar
ritrovò appena loco Ove entrar col destrìer quella gnenierm; E fu a gran risco,
e ben vi mancò poeo. non traboccò nella riviera; Ma Rabicano, il quale il vento
e 1 faoeo Concetto avean, si destro ed agii era. Che nel margine estremo trovò
strada; E sarebbe ito anco s'un fil di spada. stanza 50 EUa si volta, e centra
rabbattuto Pagan ritoma: e con leggiadro mott<":Or puoi, disse, veder
chi abbia perduto, E a chi di noi tocchi di star di sotto. Di maraviglia il
Pagan resta muto, Ch' una donna a cader V abbia condotto; E far risposta non
potè o non volle, E fu come uom pien di stupore e foUe.' 51 Di terra si levò
tacito e mesto; E poi ch'andato fu quattro o sei passi. Lo scudo e Telmo, e
dell'altre arme il resm Tutto si trasse, e gittò contra i sassi; E solo e a pie
fu a dileguarsi presto; Non che commissì'on prima non lassi A un suo scudier,
che vada a far V eflfeao Dei prigion suoi,• secondo che fu detto. 52 Partissi;
e nulla poi pia se n'intese. Se non che stava in una grotta scura. Intanto
Bradamante avea sospese Di costui l'arme all' alta sepoltura; E fattone levar
tutto l'arnese, D qual dei cavalieri, alla scrittura. Conobbe della corte esser
di Carlo, Non levò il resto, e non lasciò levarlo. 47 Io son di tal valor, son
di tal nerbo, Ch'aver non dèi d'andar di sotto a sdegno. Sorrise alquanto, ma
d'un riso acerbo, Che fece d'ira, più che d'altro, segno. La donna: uè rispose
a quel superbo; Ma tornò in capo al ponticel di legno. Spronò il cavallo, e con
la lancia d'oro Venne a trovar quell'orgoglioso Moro. 53 Oltr'a quel del
figliuol di Monodante, V'è quel di Sansonetto e d'Oliviero, Che, per trovare il
Principe d'Anglante, Quivi condusse il più dritto sentiero. Quivi fur presi, e
fiiro il giorno innante Mandati via dal Saracino altiero: Di questi T arme fé'
la donna tórre Dall'alta mole, e chiuder nella torre. 4S Rodomonte alla giostra
s' apparecchia:Viene a gran corso; ed è si grande il suono Che rende il ponte,
eh' intronar l'orecchia Può forse a molti che lontan ne sono. La lancia d'oro
fé' l'usanza vecchia: Che quel Pagan, si dianzi in giostra buono. Levò di
sella, e in aria lo sospese, Indi sul ponte a capo ingiù lo stese. 54 Tutte
l'altre lasciò pender dai sa&M. Che fur spogliate ai cavalier padani. V
eran l arme d'un Re, del quale i pafsi Per Frontalatte mal fur spesi e va i:Io
dico l'arme del Re de' Circassi, Che dopo lungo errar per colli e piani, Venne
quivi a lasciar V altro destriero; E poi senz'arme andossene leggiero. 5 S'era
partito disarmato e a piede Quel Re pagan dal periglioso ponte, Si come gli
altri, cheran di sua Fede, Partir da sé lasciava Rodomonte. Ma di tornar più al
campo non gli diede Il cor; chMvi apparir non avria fronte; Che, per qnel che
vantossi, troppo scorno Gli saria &ryi in tal gnisa ritorno. 68 Ove navilio
e buona compagnia Spero trovar, da gir neir altro lito. Mai non mi fermerò,
finch'io non sia Venuta al mio Signore e mio marito. Voglio tentar, perchè in
prigion non stia, Più modi e più: che, se mi vien fallito Questo che Rodomonte
t' ha promesso, Ne voglio avere nno ed un altro appresso. X _r Stanza 62.
Stanza 62. 5 Di pur cercar nuovo desir lo prese Colei che sol avea fissa nel
core. Fu r avventura sua, che tosto intese (Io non vi saprei dir chi ne fu
autore) Oh' ella tornava verso il suo paese:Ondesso, come il punge e sprona
Amore, Dietro alla pesta subito si pone. Ma tornar voglio alla figlia d'Amene.
' Poi che narrato ebbe con altro scritto, Come da lei fa liberato il passo; A
Fiordiligi eh' avea il core afflitto, E tenea il viso lacrimoso e basso,
Domandò umanamente ov'ella dritto y olea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: Il mio cammino Vo' che sia in Arli al campo Saracino,
AaiosTo. Io m'offerisco, disse Bradamante, D'accompagnarti un pezzo della
strada, Tanto che tu ti vegga Arli davante, Ove per amor mìo vo'che tu vada A
trovar quel Ruggier del re Agramante, Che del suo nome ha piena ogni contrada;
E ohe gli rendi questo buon destriero, Onde abbattuto ho il Saracino altiero 60
Voglio eh' a punto tu gli dica questo:Un cavalier che di provar si crede, E
fare a tutto '1 mondo manifesto Che contra lai sei mancator di fede; Acciò ti
trovi apparecchiato e presto, Questo destrier, perch'io tei dia, mi diede. Dice
che trovi tua piastra e tua maglia, E che l'aspetti a &r te"o
battaglia. 61 Digli questo, e non altro; e se quel vuole Saper da te elisio
son, di' che noi sai. Quella rispose umana come suole:Non sarò stanca in tuo
servizio mai Spender la vita, non che le parole; Che tu ancora per me cosi
fatto hai. Grazie le rende Bradamante, e piglia Frontino, e le lo porge per la
briglia. 62 Lungo il fiume le belle pellegrine Giovani vanno a gran giornate
insieme, Tanto che veggono Arli, e le vicine Rive odon risonar del mar che
freme. Bradamante si ferma alle confine Quasi de' borghi ed alle sbarre
estreme, Per dare a Fionliligi atto intervallo. Che condurle a Raggier possa il
cavallo. 63 Vien Fiordiligì" ed entranel rastrelk. Nel ponte e nella
porta; e seco prende Chi le fa compagnia fino all'ostello Ove abita Ruggiero, e
quivi scende; £, secondo il mandato, ai damigello Fa r imbasciata, e il buon
Frontin gii rak Indi va, che risposta non aspetta, Ad eseguire il suo bisogno
in fretta. 64 Ru&:gier ri man confuso e in pensìer gn::ir E non sa ritrovar
capo né via Di saper chi lo sfide, e chi gli mande A dire oltraggio, e a fargli
cortesia. Che costui senza fede lo domande, 0 possa domandar uomo che sia, Non
sa veder né imaginare; e prima, Ch'ogu' altro sia che Bradamante, istinti. '
''n jt.._. _ stanza rL:, S 7 65 Che fosse Rodomonte, era più presto Ad aver,
che fosse altri, opinione; E perchè ancor da lui debba udir questo Pensa, né
iraaginar può la cagione. Fuorché con lui, non sa di tutto '1 resto Del mondo
con chi lite abbia e tenzone. Tu tanto la donzella di Dordona Chiede battaglia,
e forte il corno suona. C6 Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante, Cli'un
cavalier di fuor chiede battaglia. caso Serpentin loro era avante, Ed impetrò
di vestir piastra e maglia, E promesse pigliar questo arrogante. Il popol venne
sopra la muraglia; Né fanciullo restò, né restò veglio, Che non fosse a veder
chi fésse meglio. 67 Con ricca sopravvesta e bello arnese Serpentin dalla
Stella in giostra venne. Al primo scontro in terra si distese:Il destrìer aver
parve a fuggir penne. Dietro gli corse la donna cortese, E per la briglia al
Saracin lo tenne, E disse: Monta, e fa che '1 tuo Signore Mi mandi un cavalier
di te migliore. 68 II Re african, eh' era con gran fiinuglìt Sopra le mura alla
giostra vicino, Del cortese atto assai si maraviglia, Ch'usato ha la donzella a
Serpentino. Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia. Diceva, udendo il popol
Saracino. Serpentin giunge; e com'ella comanda, Un miglior da sua parte al Re
domanda. 9 Grandonio di Yolteraa furibondo . Il più superbo cavalier di Spagna,
Pregando fece sì, che fd il secondo, Ed usci con minacce alla campagna: Tua
cortesia nulla ti vaglia al mondo; Che, quando da me vinto tu rimagna, Al mio
Signor menar preso ti voglio: Ma qui morrai, s io posso come soglio. 0 La donna
disse lui: Tua villania Non vo che men cortese far mi possa, ChUo non ti dica
che tu torni, pria Che sul duro terren ti doglian Tossa. Ritorna, e di al tuo
He da parte mia, Che per simile a te non mi son mossa; Ma per trovar guerrier
che '1 pregio vaglia, Son qui venuta a domandar battaglia. 1 li mordace parlare
acre ed acerbo, Graii fuoco al cor del Saracino attizza; Si che, senza poter
replicar verbo, Volta il destrier con collera e con stizza. Volta la donna, e
centra quel superbo La lancia d'oro e Rabicano drizza. Come Tasta fatai lo
scudo tocca, Coi piedi al cielo il Saracin trabocca. 2 11 destrier la magnanima
guerriera Gli prese, e disse: Pur tei prediss' io, Che far la mia ambasciata
meglio t'er/, Che della giostra aver tanto disio. Di' al Re, ti prego, che fuor
della schier.i Elegga un cavalier che sia par mio; Né voglia con voi altri
aifaticarme, Ch'avete poca esperienzia d'arme. 75 Contra la donna per giostrar
si fece Ma prima salutolla, ed ella lui. Disse la donna: Se saper mi lece,
Ditemi in cortesia chi siate vui. Di questo Ferraù le satisfece: Ch'usò di rado
di celarsi altrui. Ella soggiunse: Voi già non rifiuto; Ala uvria più
volentieri altri voluto. stanza 71. 3 Quei dalle mura, che stimar non sanno Chi
sia il guerriero in su T arcion si saldo, Quei più famosi nominando vanno, Che
tremar li fan spesso al maggior caldo. Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
La più parte s' accorda esser Rinaldo:Molti su Orlando avrian fatto disegno; Ma
il suo caso sapean, di pietà degno. 4 La terza giostra il figlio di Lanfusa
Chiedendo, disse: Non che vincer speri, Ma perchè di cader più degna scusa
Abbian, cadendo anch' io, questi guerrieri. E poi di tutto quel ch'in giostra
s'usa, Si messe in punto; e di cento destrieri Che tenea in stalla, d'un tolse
Teletta, Ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta. 76 E chi? Ferraù disse.
Ella rispose:Ruggiero; e appena il potè proferire; E sparse d'un color, come di
rose. La bellissima faccia in questo dire. Soggiunse al detto poi: Le cui
famose Lode a tal prova m han fatto venire. Altro non bramo, e d'altro non mi
cale, Che di provar com' egli in giostra vale. 77 Semplicemente disse le parole
Che forse alcuno ha già prese a malizia. Rispose Ferraù: Prima si vuole Provar tra
noi chi sa più di milizia. Se (li me avvien quel che di molti suole, Poi verrà
ad emendar la mia tristizia Quel gentil cavalier che tu dimostri Aver tanto
desio che teco giostri.78 Parlando tattavolta la donzella, Teneva la visiera
alta dal viso. Mirando Ferraù la faccia bella, Si sente rimaner mezzo conquiso;
E taciturno dentro a sé favella: Questo un Angel mi par del Paradiso; E ancor
che con la lancia non mi tocchi, Abbattuto 'son già da suoi begli occhi. 79
Preson del campo: e, come agli altri avvenne, Ferraà se n usci di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli riteane, E disse: Torna, e serva quel ch'hai
detto. Ferraù vergognoso se ne venne, E ritrovò Ruggier eh era al conspetto Del
re Agramante; e gli fece sapere Ch'alia battaglia il cavalier lo chere. 80
Ruggier, non conoscendo ancor chi fosse Che a sfidar lo mandava alla battaglia,
Quasi certo di vincere, allegrosse; E le piastre arrecar fece e la maglia:Né
Taver visto alle gravi percosse Che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armxsse, e come uscisse, e quanto Poi ne seguì, lo serbo all'altro
Canto. N o TB, 'T. 3. V.58. E scórse un vello, ecc. In quel vello si denota il
corso vitale del cardinale Ippolito da Este, ch'ebbe TAriosto in sna corte. St.
4. V.68. Che venti anni prima, ecc. Il car dinale Ippolito nacque nel 1479; ed
erano allora com pinti venti anni prima del 1500. St. 6. V.12. Ferrara aveva in
antico il Po da due lati. St, 11. V.7. Ed in quel finme che Lete si noma: fiume
deirobblio, finto dal Poeta nella luna, come Dante lo finse nel paradiso
terrestre. St. 13. V.a Mulacchie. Uccelli molto slmili ai corvi. St. 14. V.6.
Come è la vostra insegna: come è r aquila di casa d' £st": cioè Taquila
bianca in campo azzurro. St. le. V.2. Questa bella ninfa ò la Fama. St. 22.
V.6. Cesare. Qui Cesare Augusto. St. 24. V.7. -Cirra .città nella Focide,
presso Delfo alle radici del Parnaso. I poeti la finsero stanza delle Muse; ed
è qui nominata per indicare i poeti. Tt. 28. V.2. Elisa: ossia Didone, regina
di Carta gine, innamorata di Enea. St. 33. V.56. Questa era quella, ecc.,
Fiordiligi Lo figliuol di Monodante: Brandimarte. St. 54. V.5 Del re de
Circassi: di .Sacripante, pri no posseditore di Frontalatte, che, venuto in
poter di Ruggiero, ta poi detto Frontino. St. 70. V.68. Bradamante, preoccupato
dai suoi pensieri, si cara poco che altri la prenda per uomo o per donna; tanto
ò vero che teneva anche la visiera al zata, com'è detto alla Stanza 78. St. 80.
V.6. Il cor gli smaglia: gli fiacca, gli prostra 0 C' stanza. Bradamante nello
sfidare Ruggiero, Marfisa, che Io ha prevenuto, è rovesciata più volte dalla
magica allori si accende mischia tra i cavalieri dell'an campo e dell'altro,
spettatori della contesa. Bradam ante, aelli ha riconosciuto Ruggiero, si
scaglia contro di lui; ma non soif erendo di fargli oltraggio, si getta sa li
disperde. Ridottasi poi con Ruggiero in luogo appartato, in cui sorge un
avello, ivi giunge Marfisa, uale Bradamante si attacca di nuovo. Ruggiero si
sforza invano di separare le due combattenti; e 11 pure è alle prese con
l'ostinata Marfisa, una voc3 uscita dall'avello li manifesta per fratello e
sorella. m eh ovunque sia, sempre cortese •r gentil, ch'esser non può
altrimente; natura e per abito prese I di mutar poi non è possente, eh' ovunque
sia, sempre palese rillan si mostri similmente, nchina al male; e viene a farsi
poi difficile a mutarsi. rtesia, di gentilezza esempj antiqui guerrier si vider
molti, fra i moderni; ma degli empj avvien ch'assai ne vegga e ascolti, i
guerra, Ippolito, che i tempj ornaste agi' inimici tolti, ¦aeste lor galee
captive i carche alle paterne rive, Tutti gli atti crudeli ed inumani Ch'
usasse mai Tartaro o Turco o Moro, Non già con volontà de' Veneziani, Che
sempre esempio di giustizia ioro, Usaron l'empie e scellerate mani Dei rei
soldati, mercenari loro. Io non dico or di tanti accesi fuochi, Ch'arson le
ville e i nostri ameni lochi: Benché fu quella ancor brutta vendetta,
Massimamente contra voi, eh' appresso Cesare essendo, mentre Padua stretta Era
d'assedio, ben sapea che spesso Per voi più d'una fiamma fu interdetta, E
spento il fuoco ancor, poi che fu messo, Da villaggi e da templi; come piacque
All'alta cortesia che con voi nacque. Io non parlo di questo, né di tanti Altri
lor discortesi e crudeli atti; Ma sol di quel che trar dai sassi i pianti Debbe
poter, qual volta se ne tratti. Quel dì, Signor, che la femiglia innanti Vostra
mandaste là dove ritratti Dai legni lor con importuni auspici S'erano in luogo
forte gP inimici: Stanza 17. 8 Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
Della milizia? In qual Scizia sMntende Ch'uccider si debba un, poi ch'egli è
preso. Che rende l'arme, e più non si difende? Dunque uccidesti lui, perchè ha
difeso La patria? Il sole a torto oggi risplende, Crudel secolo, poiché pieno
sei Di Tiesti, di Tantali e di Atrei. 9 Fésti, Barbar crudel, del capo scemo Il
più ardito garzon che di sua etade Fosse da un polo all'altro, e dall'estremo
Lito degl'Indi a quello ove il sol cade. Potea in Antropofago, in Polifemo La
beltà e gli anni suoi trovar pietade; Ma non in te, più crudo e più fellone
D'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone. 10 Simile esempio non credo che sia Fra gli
antiqui guerrier, de'quai gli studi Tutti fur gentilezza e cortesia; Né dopo la
vittoria erano crudi. Bradamante non sol non era ria A quei eh' avea, toccando
lor gli scudi, Fatto uscir della sella; ma tenea Loro i cavalli, e rimontar
facea. 11 Di questa donna valorosa e bella Io vi dissi di sopra, che abbattuto
Aveva Serpentin quel dalla Stella, Grandonio di Volterna e Ferrauto, E ciascun
d'essi poi rimesso in sella; E dissi ancor, che '1 terzo era venuto, Da lei
mandato a disfidar Ruggiero, Là dove era stimata un cavaliero. 6 Qual Ettorre
ed Enea sm dentro ai flutti, Per abbruciar le navi greche, andaro; Un Ercol
vidi e un Alessandro, indutti Da tropp(f ardir, partirsi a paro a paro; E
spronando i destrier, passarci tutti; E i nemici turbar fin nel riparo; E gir
si innanzi, ch'ai secondo molto Aspro fu il ritornare, e al primo tolto. 7
Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo. Che cor, Duca di Sora, che consiglio
Fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo Fra mille spade al generoso figlio, E
menar preso a nave, e sopra un schelmo Troncargli il capo? Ben mi maraviglio
Che darti morte lo spettacol solo Non potò, quanto il ferro a tuo figliuolo. 12
Ruggier tenne lohivito allegramente, E l'armatura sua fece venire. Or, mentre
che s' armava, al Re presente Tomaron quei Signor di nuovo a dire, Chi fosse il
Cavalier tanto eccellente. Che di lancia sapea si ben ferire; E Ferraù, che
parlato gli avea. Fu domandato se lo conoscea. 13 Rispose Ferraù: Tenete certo
Che non è alcun di quei ch'avete detto. A me parea, eh' il vidi a viso aperto,
Il fratel di Rinaldo giovinetto: Ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto, E so
che non può tanto Ricciardetto, Penso che sia la sua sorella, molto (Per quel
ch'io n'odo) a Ini simil di volto. Ella ha ben fama d'esser forte a pare Del
ano Rinaldo e d'ogni Paladino; 3ra, per quanto io ne veggo oggi, mi pare Che
vai più del fratel, più del cugino. Come Ruggier lei sente ricordare, Del
vermiglio color che '1 mattutino Sparge per Tarla, si dipinge in faccia, £ nel
cor criema, e non sa che si faccia. 15 A questo annunzio, stimolato e punto
Dair amoroso strai, dentro infiammarse, E per l'ossa senti tutto in un punto Correr
un giaccio che '1 timor vi sparse; Timor eh' un novo sdegno abbia consunto Quel
grande amor che già per lui si l'arse. Di ciò confuso, non si risolveva,
S'incontra uscirle, oppur restar doveva. 20 Forza è a Marfisa eh' a quel colpo
vada A provar se '1 terreno è duro o molle; E cosa tanto insolita le accada,
Ch' ella n' è per venir di sdegno folle. Fu in terra appena, che trasse la
spada, E vendicar di quel cader si volle. La figliuola d'Amon non meno altiera
Gridò: Che fai? tu sei mia prigioniera. 21 Sebbene uso con gli altri cortesia,
Usar teco, Marfisa, non la voglio; Come a colei che d'ogni villania Odo che sei
dotata e d'ogni orgoglio. Marfisa a quel parlar fremer s'udia Come un vento
marino in uno scoglio. Grida, ma sì per rabbia si confonde, Che non può
esprimer fuor quel che risponde. 16 Or quivi ritrovandosi Marfisa, Che d'uscire
alla giostra avea gran voglia. Ed era armata, perchè in altra guisa É raro, o
notte o di, che tu la coglia, Sentendo che Ruggier s'arma, s'avvisa Che di
quella vittoria ella si spoglia, Se lascia che Ruggiero esca fuor prima:Pensa
ire innanz, e averne il pregio stima 17 Salta a cavallo, e vien spronando in
fretti Ove nel campo la figlia d' Amone Con palpitante cor Ruggiero aspetta.
Desiderosa farselo prigione; £ pensa solo ove la lancia metta. Perchè del colpo
abbia minor lesione. Marfisa se ne vien fuor della porta, E sopra Telmo una
fenice porta: stanza 20. 22 Mena la spada, e più ferir non mira Lei, che '1
destrier, nel petto e nella pancia; Ma Bradamante al suo la briglia gira, E
quel da parte subito si lancia; E tutto a un tempo con isdegno ed ira La
figliuola d'Amon spinge la lancia, E con quella Marfisa tocca appena. Che la fa
riversar sopra l'arena. 18 0 sia per sua superbia, dinotando Sé stessa unica al
mondo in esser forte, 0 pur sua casta intenzi'on lodando, Di viver sempre mai
senza consorte. La figliuola d' Amon la mira; e quando Le fattezze ch'amava non
ha scorte. Come si nomi le domanda; et ode Esser colei che del suo amor si
gode; 23 Appena ella fu in terra, che rizzosse.. Cercando far con la spada
mal'opra. Di nuovo l'asta Bradamante mosse, E Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Benché possente Bradamante fosse, Non però sì a Marfisa era di sopra, Che T
avesse ogni colpo riversata; Ma tal virtù nell'asta era incantata. 19 0, per
dir megUo, esser colei che crede Che goda del suo amor, colei che tanto Ha in
odio e in ira, che morir si vede, Se sopra lei non vendica il suo pianto. Volta
il cavallo, e con gran furia riede. Non per desir di porla in terra, quanto Di
passarle con Tasta in mezzo il petto, libera restar d'ogni sospetto. 24 Alcuni
cavalieri in questo mezzo. Alcuni, dico, della parte nostra Se n'erano venuti
dove, in mezzo L'un campo e l'altro, si facea la giostra (Che non eran lontani
un miglio e mezzo), Veduta la virtù che'l suo dimostra; Il suo, che non
conoscono altrimente Che per un cavalier della lor gente. 25 Questi vedendo il
generoso figlio Di Troiano alle mnra approssimarsi, Per ogni caso, per ogni
periglio Non volse sprovveduto ritrovarsi; E fé che molti all' arme diér di
piglio, E che fuor dei ripari appresentArsi. Tra questi ta Ruggiero, a cui la
fretta Dì Marfisa la giostra avea intercetta. 23. 26 L'innamorato giovene
mirando Stava il successo, e gli tremava il core, Della sua cara moglie
dubitando; Che di Marfisa ben sapea il valore. Dubitò, dico, nel principio,
quando Si mosse V una e V altra con furore; 3ra visto poi come successe il
fatto. Restò maraviglioso e stupefatto: 27 E poiché fin la lite lor non ebbe,
Com'avean T altre avuto, al prim' incontro, Nel cor profondamente gli ne
'ncrebbe, Dubbioso pur di qualche strano incontro. Dell'una egli e dell'altra
il ben vorrebbe. Ch'ama amendue; non che da porre incontro Sien questi amori: è
l'un fiamma e furore, altra benivolenza più eh' amore. 29 Di qua di là gridar
si sente all' arme, Come usati eran far quasi ogni giorno. Monti chi è a pie,
chi non è armato a' arme, Alla bandiera ognun faccia ritorno, Dicea con chiaro
e bellicoso carme Più d'una tromba che scorrea d'intorno: E come quelle
svegliano i cavalli, Svegliano i fanti i timpani e i taballi. 30 La scaramuccia
fiera e sanguinosa, Quanto si possa imaginar, si mesce. La donna di Dordona
valorosa, A cui mirabilmente aggrava e incresce Che quel di ch'era tanto
disìosa, Di por Marfisa a morte, non riesce; Di qua di là sì volge e si
raggira, Se Ruggier può veder, per cui sospira. 31 Lo riconosce all'aquila
d'argento C'ha nello scudo azzurro il giovinetto. Ella con gli occhi e col
pensiero intento Si ferma a contemplar le spalle e '1 petto, Le leggiadre
fattezze, e '1 movimento Pieno di grazia; e poi con gran dispetto, Imaginando
ch'altra ne gioisse. Da furore assalita cosi disse: Stanza 26. 2 Dunque baciar
si belle e dolci labbia Deve altra, se baciar non le posa' io?Ah non sia vero
già ch'altra mai t'abbia; Che d'altra esser non dèi, se non sei mio. Piuttosto
che morir sola di rabbia, Che meco di mia man mori, disio; Che sebben qui ti
perdo, almen F Inferno Poi mi ti renda, e stii meco in eterno. 28 Partita
volentier la pugna avria, Se con suo onor potuto avesse farlo. Ma quei ch'egli
avea seco in compagnia. Perchè non vinca la parte di Carlo, Che già lor par che
superior ne sia, Saltan nel campo, e vogliono turbarlo. Dall'altra parte i
cavalier cristiani Si fanno innanzi, e son quivi alle mani. 33 Se tu m' cecidi,
è ben ragion che deggi Darmi de la vendetta anco conforto; Che voglion tutti
gli ordini e le leggi. Che chi dà morte altrui, debba esser morto. Né par eh'
anco il tuo danno il mio pareggi: tu morì a ragione, io moro a torto. Farò
morir chi brama, oimè ! eh' io mora; Ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora. S4
lerchè non dèi tn, mano, essere ardita D'aprir col ferro ài mio nimico il core?
Che tante volte a morte m'ha ferita Sotto la pace in sicurtà d'amore, Ed or può
consentir tormi la vita, Né por aver pietà del mio dolore. Contra quest'empio
ardisci, animo forte: Vendica mille mie con la sua morte. 36 Ben pensa quel che
le parole denno Volere inferir piiì; ch'ella l'accusa Che la convenzì'on
ch'insieme fènno, Non le osservava: onde, per farne iscusa, Di volerle parlar
le fece cenno. Ma qnella già con la visiera, chiusa Venia, dal dolor spinta e
dalla rabbia, Per porlo, e forse ove non era sabbia. { Gli sprona contra in
questo dir; ma prima. Guardati, grida, perfido Ruggiero:Tu non andrai, s' io posso,
della opima Spoglia del cor d'una donzella altiero. Come Ruggiero ode il
parlare, estima Che sia la moglie sua, com'era in vero; La cui voce in memoria
si bene ebbe, Ch'in mille riconoscer la potrebbe. 37 Quando Ruggier la vede
tanto accesa. Si ristringe nell' arme e nella sella:La lancia arresta; ma la
tien sospesa, Piegata in parte ove non noccia a quella. Li donna, eh' a ferirlo
e a fargli offesa Venia con mente di pietà rubella, Non potè soiferir, come fu
appresso, Di porlo in terra, e fargli oltraggio espresso. stanza 29. 88 Cosi
lor lance van d'effetto vuote A qnello incontro; e basta ben, s' Amore Con l'un
giostra e con l'altro, e gli percuote D'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote Di far onta a Ruggier, volge il furore, Che
l'arde il petto, altrove; e vi fa cose Che saran, finché giri il ciel, famose.
e 9 In poco spazio ne gittò per terra Trecento e più con quella lancia d'oro.
Ella sola quel di vinse la guerra, Hesse ella sola in fuga il popol moro.
Ruggier di qua di là s'aggira ed erra Tanto, che se le accosta e dice: Io moro,
non ti parlo: oimè ! che t'ho fatt'io. Che mi debbi fuggire? Odi, per Dio. 40
Come ai meridional tiepidi venti, Che spirano dal mare il fiato caldo Le nevi
si disciolgono e i torrenti, E il ghiaccio che pur dianzi era si saldo; Cosi a
quei prieghi, a quei brevi lamenti Il cor della sorella di Rinaldo Subito
ritornò pietoso e molle, Che l'ira, più che marmo, indurar volle. 41 Non vuol
dargli, o non puote, altra risposta; Ma da traverso sprona Rabicano, E quanto
può dagli altri si discosta, Ed a Ruggiero accenna con la mano. Fuor della
moltitudine in reposta Valle si trasse, ov' era un piccol piano, Ch'in mezzo
avea un boschetto dr cipressi Che parean d'una stampa tutti impressi. In quel
boftchetto era di bianchi marmi Fatta di nuovo un'alta sepoltura. Chi dentro
giaccia, era con brevi carmi Notato a chi saperlo avesse cura. Ma quivi giunta
Bradamante, parmi Che già non pose mente alla scrittura. Euggier dietro il
cavallo affretta e punge Tanto, ch'ai bosco e alla donzella giunge. 43 Ma
ritorniamo a Maifisa, che s' era In questo mezzo in sul destrier rimessa, E
venia per trovar quella guerriera Che l'avea al primo scontro in terra messa; E
la vide partir fuor della schiera, E partir Kuggier vide, e seguir essa; Né si
pensò che per amor seguisse, Ma per finir con l'arme ingiurie e risse. Stanza
38. 44 Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta Tanto, eh' a un tempo con lor
quasi arriva. Quanto sua giunta ad ambi sia molesta, Chi vive amando il sa,
senza ch'io'l scriva. Ma Bradamante offesa più ne resta; Che colei vede, onde
il suo mal deriva. Chi le può tor che non creda esser vero Che l'amor ve la
sproni di Ruggiero?46 E perfido Ruggier di novo chiama. Non ti bastava,
perfido, disse ella, Che tua perfidia sapessi per fama, Se non mi facevi anco
veder quella? Di cacciarmi da te veggo e' hai brama: E per sbramar tua voglia
iniqua e fella, Io vo'motir; ma sforzerommi ancora Che muora meco chi è cagion
ch'io mora. Stanza. Sdegnosa più che yipera, si spicca Cosi dicendo, e va
contra Marfisa; Ed allo scudo V asta sì le appicca, Che la fa addietro
riversare in guisa, Che quasi mezzo Telmo in terra ficca: Né si può dir che sia
colta improvvisa; Anzi fa incontra ciò che far si puote:Eppure in terra del capo
percuote. 47 La figliuola d'Amon, che vuol morire 0 dar morte a Marfisa, è in
tanta rabbia, Che non ha mente di nuovo a ferire Con l'asta, onde a gittar di
nuovo T abbia; Ma le pensa dal busto dipartire capo mezzo fitto nella sabbia:
Getta da sé la lancia d oro, e prende La spada, e del destrier subito scende.
48 Ma tarda é la sua giunta: che si trova Marfisa incontra, e di tanta ira
piena (Poiché s'ha vista alla seconda prova Cader sì facilmente su V arena),
Che pregar nulla, e nulla gridar giova A Ruggier, che di questo avea gran pena
Si l'odio e Tira le guerriere abbaglia, Che fan da disperate la battaglia. 49 A
mezza spada vengono di botto:E per la gran superbia che V ha accese, Van pur
innanzi, e si son già sì sotto. Ch'altro non puon che venire alle prese. Le
spade, il cui bisogno era interrotto, Lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue; Ma poco frutto han le parole sue. 50 Quando
pur vede che '1 pregar non vale, Di partirle per forza si dispone: Leva di mano
ad amendua il pugnale, Ed al pie d'un cipresso li ripone. Poiché ferro non han
più da far male, Con prieghi e con minacce s' interpone:Ma tutto é iuvan: che
la battaglia fanno A pugni e a calci, poi ch'altro non hanno, 51 Ruggier non
cessa; or l'una or l'altra prende Per le man, per le braccia, e la ritira; E
tanto fa che di Marfisa accende Contra di sé, quanto si può più, l'ira. Quella,
che tutto il mondo vilipende. All'amicizia di Ruggier non mira. Poi che da
Bradamante si distacca. Corre alla spada, e con Ruggier s'attacci. 52 Tu fai da
discortese e da villano, Ruggiero, a disturbar la pugna altrui; Ma ti farò
pentir con questa mano, Che vo'che basti a vincervi ambedui. Cerca Ruggier con
parlar molto umano Marfisa mitigar; ma contra lui La trova in modo disdegnosa e
fiera, Ch'un perder tempo ogni parlar seco era. Stanza 45 58 Ali ultimo Ruggier
la spada trasse, Poiché l'ira anco lui fé' rubicondo. Non credo che spettacolo
mirasse, Atene o Roma o luogo altro del mondo, Che così a' riguardanti
dilettasse. Come dilettò questo e fu giocondo Alla gelosa Bradamante, quando
Questo le pose ogni sospetto in bando. 54 La sua spada avea tolta ella di
terra, E tratta s' era a riguardar da parte; E le parca veder che '1 Dio di
guerra Fosse Ruggiero alla possanza e all'arte. Una Furia ìnfemal, quando si
sferra, Sembra Marfisa, se quel sembra Marte. Vero é ch'un pezzo il giovene
gagliardo Di non far il poter ebbe riguardo. 572 orlando;furios . 55 Sapea ben
la Tirtù della sua spada; Che tante espeiieuze n' ha già fatto. Ove giunge, convien
che se ne vada L'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto; Sì che ritien che '1
colpo suo non cada Di taglio 0 punta, ma sempre di piatto. Ebbe a questo
Ruggier lunga avvertenza; Ma perde pure un tratto la pazienza, 56 Perchè
Marfisa una percossa orrenda Gli mena per dividergli la testa. Leva lo scudo,
che '1 capo difenda, Ruggiero, e 1 colpo in su T aquila pesta. Vieta lo'ncanto
che lo spezzi o fenda; Ma di stordir non però il braccio resta: £ s'avea
altr'arme che quelle d'Ettorre, Gli potea il fiero Colpo il braccio tórre 57 E
saria sceso indi alla testa, dove Disegnò di ferir V aspra donzella. Ruggiero
il braccio manco a pena muove, A pena più sostien l'aquila bella. Per questo
ogni pietà da sé rimuove; Par che negli occhi avvampi una facella. E quanto può
cacciar, caccia una punta. Marfisa, mal per te, se n'eri giunta. 68 Io non vi
so ben dir come si fosse:La spada andò a ferire in un cipresso, E un palmo e
più nell' arbore cacciosse:In modo era piantato il luogo spesso. In quel
momento il monte e il piano scosse Un gran tremuoto; e si sentì con esso Da
quell'avel ch'in mezzo il bosco siede, Gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
Stanxa 5 59 Grida la voce orribile: Non sia Lite tra voi: gli è ingiusto ed
inumano Ch'alia sorella il f ratei morte dia, 0 la sorella uccida il suo
germano. Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia, Credete al mìo parlar che non è
vano: In un medesimo utero d'un seme Foste concetti, e usciste al mondo insieme
60 Concetti foste da Ruggier secondo:Vi fu Galacì'ella genitrice, 1 cui
fratelli avendole dal mondo Cacciato il genitor vostro infelice, Senza guardar
eh' avesse in corpo il pondo Di voi, eh' usciste pur di lor radice, La fèr,
perchè s'avesse ad affogare, S' un debo legno pone in mezzo al mare. 61 Ma Fori
una che voi, benché non nati. Avea già eletti a gloriose imprese, Fece che'l
legno ai liti inabitati Sopra le Sirti a salvamento scese; Ove, poi che nel
mondo v'ebbe dati, L'anima eletta al paradiso ascese, Come Dio volse e fu
vostro destino:A questo caso io mi trovai vicino. 62 Diedi alla madre sepoltura
onesta, Qual potea darsi in sì deserta arena; E voi teneri, avvolti nella
vesta, Meco portai sul monte di Carena; E mansueta uscir della foresta Feci e
lasciare i figli una leena, Delle cui poppe dieci mesi e dieci Ambi nutrir con
molto studio fed. 3 Un giorno che d andar per la contrada, E dalla stanza
allontanar moccorse, Vi soprayyenne a caso nna masnada D'Arabi (e ricordarvene
de' forse), Che te, Marfisa, tolser nella strada; Ma non poter Ruggier, che
meglio corse. Restai della tua perdita dolente, E di Rnggier guardian più
diligente. (54 Ruggier, se ti guardò, mentre che visse, 11 tuo maestro Atlante,
tu lo sai. Di te sentii predir le stelle fisse, Che tra' Cristiani a tradigion
morrai:E perchè il mal'influsso non seguisse, Tenertene lontan m'affaticai; Né
ostare alfin potendo alla tua voglia. Infermo caddi, e mi morii di doglia. 65
Ma innanzi a morte, qui dove previdi Che con Marfisa aver pugna dovevi, Feci
raccor con infemal sussidi A formar questa tomba i sassi grevi; Ed a Caron
dissi con alti gridi: Dopo morte non vo' lo spirto levi Di questo bosco, finché
non ci giugna Ruggier con la sorella per far pugna. 66 Cosi lo spirto mio per
le belle ombre Ha molti di aspettato il venir vostro:Si che mai gelosia più non
t' ingombre, 0 Bradamante, ch'ami Ruggier nostro. Ma tempo é ormai che della
luce io sgombre, E mi conduca al tenebroso chiostro. Qui si tacque: e a Marfisa
ed alla figlia D'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia. 67 Riconosce Marfisa
per sorella Ruggier con molto gaudio, ed ella lui E ad abbracciarsi, senza
offender quella Che per Ruggiero ardea, vanno ambidui E rammentando dell'età
novella Alcune cose: Io feci, io dissi, io fui; Vengon trovando con più certo
effetto, Tutto esser ver quel e' ha lo spirto detto. 68 Ruggiero alla sorella
non ascose Quanto avea nel cor fissa Bradamante; E narrò con parole affettuose
Delle obbligazion che le avea tante: .E non cessò, eh' in grand' amor compose
Le discordie ch'insieme ebbono avante: E ffc', per segno di pacificarsi, Ch'umanamente
andaro ad abbracciar:]. Stanza 62. A domandar poi ritornò Marfisa Chi stato
fosse, e di che gente il padre, E chi l'avesse morto, ed a che guisa, S'in
campo chiuso, o fra l'armate squadre; E chi commesso avea che fosse uccisa Dal
mar atroce la misera madre:Che, se già l'avea udito da fanciulla, Or ne tenea
poca memoria o nulla. 70 Kuggiero incominciò: che da' Troiani Per la linea
d'Ettorre erano scesi; Che poi che Astì'anatte delle mani Campò d'Ulisse e
dalli agguati tesi, Avendo un de' fanciulli coetani Per lui lasciato, usci di
quei paesi; E dopo un lungo errar per la marina, Venne in Sicilia, e dominò
Messina. 72 Fu Ruggier primo, e Gìanbaron di questi, Buovo, Rambaldo, alfin
Rnggier secondo, Che fe\ come d'Atlante udir potesti, Di nostra madre P utero
fecondo. Della progenie nostra i chiari gesti Per l'istorie vedrai celebri al
mondo. Segui poi, come venne il re Agolante Con Almonte e col padre
d'Agramante: stanza 66. 71 I descendenti suoi di qua dal Faro Signoreggiar
della Calabria parte; E dopo più successioni andare Ad abitar nella città di
Marte. Più d'uno Imperatore e Re preclaro Fu di quel sangue in Roma e in altra
parte, Cominciando a Costante e a Costantino, Sino a Re Carlo, figlio di
Pipino. 73 E come menò seco una donzella Ch' era sua figlia, tanto valorosa,
molti Paladin gittò di sella, E di Ruggiero alfin venne amorosa E per suo amor
del padre fu ribella, E battezzossi, e diven tògli sposa. Narrò come Beltramo
traditore Per la cognata arse d'incesto amore; 74 E che la patria e'I padre e
duo fratelli Tradì, cosi sperando acquistar lei; Aperse Risa agl'inimici, e
quelli Fér di lor tutti i portamenti rei: Come Agolante e i figli iniqui e
felli Poser Galacì'ella, che di sei Mesi era grave, in mar senza governo,
Quando fu tempestoso al maggior verno. 7.5 Stava Marfisa con serena fronte Fisa
al parlar che'l suo german facea; Ed esser scesa dalla bella fonte, Ch' avea sì
chiari rivi, si godea. Mongrana, e quindi Chiaramonte, Le due progenie derivar
sapea, Ch'ai mondo fur molti e molt'anni e lustri Splendide, e senza par,
d'uomini illustri. 76 Poi che '1 fratello alfin le venne a dire Che '1 padre
d'Agramante e l'avo e '1 zio Ruggiero a tradigion feron morire, E posero la
moglie a caso rio; Non lo potè più la sorella udire, Che lo 'nterroppe, e
disse: Fratel mio (Salva tua grazia), avuto hai troppo torto A non ti vendicar
del padre morto. Se in Almonte e in Troian non ti potevi Insanguinar, ch'erano
morti innante. Dei figli vendicar tu di dovevi. Perchè, vivendo tu, vive
Agramante? Questa è una macchia che mai non ti levi Dal viso; poiché, dopo
offese tante, Non pur posto non hai questo Re a morte, Ma vivi al soldo suo
nella sua corte. 78 Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio Cristo Dio vero,
ch'adorò mio padre), Che di questa armatura non mi spoglio,' Finché Ruggier non
vendico e mia madre. £ vo' dolermi, e finora mi doglio. Di te, se più ti veggo
fra le squadre Del re Agraraante, o d'altro Signor moro. Se non col ferro in
man per danno loro. 79 Oh come a quel parlar leva la faccia La bella Bradamante,
e ne gioisce ! E conforta Bnggier, che cosi faccia. Come Marfisa sua ben V
ammonisce; E venga a Carlo e conoscer si faccia, Che tanto onora, lauda e
riverisce Del suo padre Kuggier la chiara fama, Ch' ancor guerrier senza alcun
par lo chiama. 80 Ruggiero accortamente le rispose, Che da principio questo far
dovea; Ma per non bene aver note le cose. Come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose La spada al fianco, farebbe opra rea
Dandogli moite, e saria traditore, Che già tolto Tavea per suo signore. 81 Ben,
come a Bradamante già promesse Promettea a lei di tentare ogni via. Tanto
ch'occasione, onde potesse Levarsi con suo onor, nascer faria. E se già fatto
non l'avea, non desse La colpa a lui, ma al Re di Tartaria, Dal qual nella
battaglia che seco ebbe. Lasciato fu, come saper si debbe:82 Ed ella, che ogni
di gli venia al letto, Buon testimon, quanto alcun altro, n' era. Fu sopra
questo assai risposto e detto Dall'una e dall'altra inclita guerriera. L'ultima
conclusìon, l'ultimo effetto È, che Ruggier ritomi alla bandiera Del suo
Signor, finché cagion gli accada Che giustamente a Carlo se ne vada. 83
Lascialo pur andar, dicea Marfisa A Bradamante, e non aver timore:Fra pochi
giorni io fard bene in guisa Che non gli fia Agramante più signore. Così dice
ella; né però divisa Quanto di voler fare abbia nel core. Tolta da lor licenzia
alfin Ruggiero, Per tornar al suo Re, volgea il destriero; 84 Quando un pianto
s'udì dalle vicine Valli sonar, che li fé' tutti attenti. A quella voce fan
l'orecchie chine, Che di femmina par che si lamenti. Ma voglio questo Canto
abbia qui fine, E di quel che voglio io siate contenti; Che miglior cose vi
prometto dire, S' all'altro Canto mi verrete a udire. iq o T E. St. 2. V.4 8.
Jn quella giiena ecc. Parlasi della gaeiTa fra i Veneziani e gli Estensi,
accaduta nel 1509, nella quale il cardinale Ippolito riportò la vittoria del 22
decembre, facendo poi sospendere nella chiesa di Fenara i rostri delle galere e
le insegne tolte ai nemici. St. 4. V.14. Benché fu quella ancor brutta ven
ditta, ecc, I Veneziani, rinfrancatisi dopo la sconfitta di Ghiaiadadda
ch'ebbero nel 14 maggio del 1509, riac quù"tarono Padova, la quale fxi poi
cinta d'assedio dal Tinaperatore Massimiliano. Il duca Alfonso nel 3 settem
spedi il cardinale Ippolito con gente d armi a rin is dell'imperatore, il quale
nondimeno, dopo qn Iche AmosTO. tempo, dovè levare l'assedio. Allora i
Veneziani si sca gliarono con poderoso esercito sul Fen arese sino a Fran
colino, vincendo sempre. St. 5. V.3 4. Ma sol di quel, ecc. Ecco in succinto il
fatto, che il Poeta accenna in questa e nelle due Stanze seguenti. L'irruzione
dei Veneziani vittoriosi sopia enun ciata fu respinta poi da Ippolito: i
Veneziani si raccol sero allora alla Polesella, ov' eressero una bas ita e vi
si fortificarono. Nel 30 novembre 1509, Ippolito spinse le sue genti ad
attaccare la bastita. Fia queste erano Ercole (lantelmo, figlio di Sigismondo,
già duca di Sora, e Alessandro FerrnABno. Cantelmo cadde prigioniero de ICH Sohiavoni,
in serTigio della Repubblica Veneta, i | quali gli mozzarono il capo; il
Ferrufflno si salvò a stento. St. 7. V.5. Sopra un schelmo. Dicesi aeìelmo ed
anche scalmo la caviglia a cui nelle galere si lega il remo. ST. 8. V.a 2X
TiesH, di Tantali dAtreL Di Tie 8te e di Atreo si ò avuta opportunità
di]}arlare altrove. Tantalo ò anch' egli noto per la sua crudeltà, avendo
imbandita la mensa con le carni di Pelope suo figliuolo, per esperimentare la
divinità de' suoi ospiti. St. 9. Y. 5S. ~ Polifemo: crudelissimo fra i Ciclopi,
noclso da Ulisse con un tizzone. I Ciclopi e i Lestrigoni erano antropofaghi.
St. 29. V.8. TaballL È il tàballo o timballo uno strumento musicale moresco,
specie di timpano, con la cassa di rame semisferica. 8T. 36. v.8. Per porlo, e
forse ove non era sabbia, non per porlo nella sabbia, abbatterlo, scavalcarlo,
ma forse per ucciderlo, porlo nel sepolcro, dove non ò sab bia, U quale suolsi
distendere sullo spazzo de' tornei e dogni agone militare ST. &5. V.46.
Stia di piatto: stia nascosto. St. 60. y. 2. Vi fu Gal<utiella genitriee.
Èquesta la disperata figlia d Agolante, di cui nella St. 32 del Canto U. Venuta
col padre in Europa, s' innamorò di Ruggiero II, signore di Risa, ossia di
Reggio in Cala bria; e per isposarlo si separò dal padre e si fece cristiana.
Beltramo di lei cognato se ne invaghì, e, ftt averla, tradi il fratello,
aprendo le porte di Risa id Agolante, che entratovi, uccise Ruggiero, e, fatta
porre la figlia incinta in una barca senza governo Tabbu donò al mare. La barca
pervenne sulle Sirtif cioè "olle seocagne della costa africana, dove
(Hlaciella si sgnvò ad un parto di Ruggiero e di Mar fisa. St. 62. v.6. Leena:
lionessa. St. 6K. V.3. Vi sopravvenne a cao una masnada d'Arabi, eec Marfisa
rapita dagli Arabi fu veudiiu al re di Persia. Al crescere negli anni ella non
ebbe pari in quel regno per bellezza e valore. Tenta" di basso amore da
quel monarca, lo uccise e fa signora del reame; donde poco dopo, vaga di
imprese cavallerescbe, si parti, cercando Francia e molt'altrì paesi. 8t. 75.
v.56. Quinci Mongrana, e quindi Chia ramontef eec. Nomi delle due case a cui
appartengono i personaggi notati nella genealogia degli eroi romantici. St. 77.
v.8. Ma vivi al soldo suo nella sua corte. Non ò che Ruggiero avesse soldo da
Agramante; ss Marfisa vuol pungerne Tamor proprio con quella espi" sione
di avvilimento, per determinarlo ad abbandonare le bandiere moresche St. 78. Y.
8. Marfisa parla secondo lo spirito del medio evo, quando V uccisione d'un
parente era qnaii acro legato di vendetta. A t' cannando vuri scrittori che
adoperarono le loro p"nae Tit?U encomiale il bel snsfìo, toglie il Poeta
opportunità di lodare Vittoria Colonoa, e le rime gentili da lei consa crate
"]la meinorìa i3t;l snurchese ài Pescara suo sposo. In irorluce quindi
UHaiiia, la iae.58JLfjgIerft della regina del rl,sola Perduta, a uartare a
Rugii.ro, a Bradamaute e a Mar lÌJia Y ìndirgiìn usanza g tali Ulta da
Marganorre nel proprio castello a vitupÉrD lìdle doline: di che k due gq<fr
rkre i3 Ruggiero fanxio subire a colui lamentata punizioni. Se come iti
acquistar quakli' altro dono Cbe senza itidn stria non può diir Natura,
Affaticale notte e dì si sono Cun 5omma dilìgenzia e hmga cura Le valorose
donne, e se con buono yuccesso n è UcìC opra non oscura j Cosi si fosson poste
a quelli studi Ch'immortal fanno le mortai virtodi; 2 £ che per sé medesime
potato Avesson dar memoria alle sae lode. Non mendicar dagli scrittori aiuto,
Ai quali astio ed invidia il cor si rode, Che'l ben che ne puon dir, spesso è
taciuti, E'I mal, quanto ne san, per tutto s'ode; Tanto il lor nome sorgerla,
che forse Viril fama a tal grado unqua non sorse. 3 Non basta a molti di
prestarsi Topra In far r un l'altro glorioso al mondo, Ch'anco studian di far
che si discopra Ciò che le donne hanno fra lor d'immondo. Non le vorrian
lasciar venir di sopra, E quanto puon, fan per cacciarle al fondo:Dico gli
antiqui; quisi Tonor debbia D'esse il loro oscurar, come il Sol nebbia. 4 Ma
non ebbe e non ha mano né lingua, Formando in voce o descrivendo in carte
(Quantunque il mal, quanto può. accresce e impin E minuendo il ben va con ogni
arte), [gua, Poter però, che delle donne estingua La gloria si, che non ne
resti parte; Ma non già tal, che presso al segno giunga, Né eh' anco se gli
accosti di gran lunga: 5 Ch'Arpalice non fu, non fu Tomirì, Non fti chi Turno,
non chi Ettor soccorse; Non chi seguita da'Sidonj e Tiri Andò per lungo mare in
Libia a porse; Non Zenobia, non quella che gli Assiri, I Persi e gl'Indi con
vittoria scorse: Non fur queste e poch' altre degne sole. Di cui per arme etema
f.ima vole. 6 E di fedeli e caste e sagge e forti State ne son, non pur in
Grecia e in Roma, Ma in ogni parte, ove fra gì' Indi e li orti Delle Esperide
il Sol spiega la chioma; Delle quaì sono i pregi e gli onor morti. Si eh' a
pena di mille una si noma; E questo perché avuto hanno ai lor tempi Gli
scrittori bugiardi, invidi ed empi. 7 Non restate però, donne, a cui giova II
bene oprar, di seguir vostra via; Né da vostr'alta impresa vi rimuova Tema che
degno onor non vi si dia: Che, come cosa buona non si trova Che duri sempre,
cosi ancor né ria. Se le carte sin qui state e gl'inchiostri Per voi non sono,
or sono a' tempi nostri. 8 Dianzi Marnilo ed il Pontan per vai Sono, e duo
Strozzi, il padre e'I figlio, stati: C'è il Bembo, c'è il Capei, c'è chi, qual
Ini Vediamo, ha tali i cortigian formati: C'è un Luigi Alaman; ce ne son dui,
Di par da Marte e dalle Muse amati Ambi del sangue che regge la terra Che'l
Menzo fende, e d'alti stagni serra. 9 Di questi l'uno, oltre che '1 proprio
istinto Ad onorarvi e a riverirvi inchina, E far Parnaso risonare e Cinto Di
vostra laude, e porla al del vicina; L'amor, la fede, il saldo e non mai vinto
Per minacciar di strazi e di mina, Animo ch'Isabella gli ha dimostro, Lo fa
assai più, che di sé stesso, vostro:10 Si che non è per mai trovjrsi stanco Di
farvi onor nei suoi vivaci carmi E s' altri vi dà biasmo, non è eh 'anco Sia
più pronto di lui per pigliar V armi. E non ha il mondo cavalier che manco La
vita sua per la virtù risparmi. Dà insieme egli materia ond'altri scriva; E fa
la gloria altrui, scrivenlo, viva. 11 Ed è ben degno che si ricca donna"
Ricca di tutto quel valor che possa Esser fra quante a:l mondo portin gonna,
Mai non si sia di sua costanza mossa E sia stata per lui veracolonna,
Sprezzando di Fortuna ogni percossa: Di lei degno "gli, e degna ella di
lui; Né meglio s'accoppiare unque altri dui. 12 Nuovi trofei pon su la riva
d'Oglio; Ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a mote Ha sparso alcun tanto
ben scritto foglio, Che'l vicin fiume invidia aver gli puote. Appresso a questo
un Ercol Benti voglio Fa chiaro il vostro onor con chiare note, E Renato
Trivulcio, e '1 mio Guidetto, E '1 Molza, a dir di voi da Febo eletto. 13 C'è']
duca de'Camuti Ercol, figliuolo Del Duca mio, che spiega Tali, come Canoro
cigno, e va cantando a volo, E fin al cielo udir fa il vostro nome. C'è il mio
Signor del Vasto, a cui non solo Di dare a mille Atene e a mille Rome Di sé
materia basta; eh' anco accenna eteme far con la sua penna. Ed oltre a questi
ed altri eh' oggi avete, Che v'hanno dato gloria, e ve la danno, Voi per voi
stesse dar ve la potete: Poiché molte, lasciando l'ago e '1 panno, Son con le
Muse a spegnersi la sete Al fonte d' Aganippe andate, e vanno; E ne ritoman
tai, che V opra vostra É più hisogno a noi, eh' a voi la nostra. 15 Se chi sian
queste, e di ciascana voglio Render huon conto, e degno pregio darle, Bisognerà
eh' io verghi più d'un foglio, E eh' oggi il Canto mio d'altro non parie:E s' a
lodarne cinque o sei ne toglie. Io potrei l'altre offendere e sdegnarle. Che
farò dunque? Ho da tacer d'ognuna, Oppur fra tante sceglierae sol una? 16
Sceglieronne una: e sceglierò Ila tale, Che superato avrà l'invidia in modo,
Che nessun' altra potrà avere a male, Se l'altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur sé fatta immortale Col dolce stll di che il miglior non
odo; Ma pud qualunque, di cui parli o scriva, Trar del sepolcro, e far eh'
etemo viva. 17 Come Feho la candida sorella Fa più di luce adoma, e più la
mira. Che Venere o che Maia, o ch'altra stella " Che va col cielo, o che
da sé si gira:Così facondia, più eh' all'altre, a quella Di eh' io vi parlo, e
più dolcezza spira; E dà tal forza all' alte sue parole, Ch'orna a' di nostri
il ciel d'un altro Sole. 20 S'al fiero Achille invidia della chiara
Meoniatromha il Macedonico ehhe; Quanto, invitto Francesco di Pescara. Maggiore
a te, se vivesse or, l'avrebbe! Che si casta mogliere, e a te si cara, Canti
l'eterno ouor che ti si debbe; E che per lei si'l nome tuo rimbombe, Che da
bramar non hai più chiare trombe. Staiiza 10. 18 Vittoria é'I nome; e ben
conviensi a nata Fra le vittorie, ed a chi o vada, o stanzi, Di trofei sempre e
di trionfi ornata, La vittoria abbia seco, o dietro o innanzi. Questa é
un'altra Artemisia che lodata Fa di pietà verso il suo Mausolo; anzi Tanto
maggior, quanto é più assai bell'opra. Che por sotterra un uom, trarlo di
sopra. 21 Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto Io n'ho desir, volessi porre
in carte. Ne direi lungamente; ma non tanto, Ch'a dir non ne restasse anco gran
parte: E di Marfisa e dei compagni intanto La bella istoria rimarria da parte.
La quale io vi promisi di seguire, S' in questo Canto mi verreste a udire. 19
Se Laodamia, se la moglier di Bmto, S'Arria, s' Argia, s'Evadne, e s' altre
molte Meritar laude per aver voluto. Morti i mariti, esser con lor sepolte;
Quanto onore a Vittoria é più dovuto. Che di Lete e del rio che nove volte L'
ombre circonda, ha tratto il suo consorte, Malgrado delle Parche e della Morte!
22 Ora essendo voi qui per ascoltarmi, Ed io per non mancar della promessa.
Serberò a maggior ozio di provarmi Ch' ogni laude di lei sia da me espressa;
Non perch'io creda bisognar miei carmi A chi se ne fa copia da sé stessa; Ma
sol per satisfare a questo mio, C ho d'onorarla e di lodar, disio. 582 0RLA9Ba
f URIOSO. 23 Donne, io conchiudo insomma, ch'ogni etade Molte ha di voi degne
di storia avute; Ma, per invidia di scrittori, state Non sete dopo morte
conosciute: Il che non più sarà, poiché voi fate Per voi stesse immortai vostra
virtute. Se far le dae cognate sapean questo, Si sapria meglio ogni lor degno
gesto. 24 Di Bradamante e di Marfisa dico, Le cui vittoriose inclite prove Di
ritornare in luce m' affatico; Ma delle diece mancanmi le nove. Queste ch'io
so, hen volentieri esplico; Si perchè ogni heir opra si de', dove Occulta sia,
scoprir; si perchè bramo A voi, donne, aggradir, eh' onoro ed amo. Stava
Ruggier, com' io vi dissi, in atto Di partirsi, ed avea commiato preso, E
dall'arbore il brando già ritratto. Che, come dianzi, non gli fu conteso:Quando
un gran pianto, che non lungo tratto Era lontan, lo fé' restar sospeso; E con
le donne a quella via si mosse Per aiutar, dove bisogno fosse. 26 Spingcnsi
innanzi, e via più chiaro il suon ne Viene, e vìa più son le parole intese.
Giunti nella vallea trovan tre donne Che fan quel duolo, assai strane in
arnese; Che fin all'ombilico ha lor le gonne Scorciate non so chi poco cortese;
E per non saper meglio elle celarsi, Sedeano in terra, e non ardlan levarsi 27
Come qnef HgfkÈ él TbIbbì che venne Fuor della polve senza madre m wlft" E
Pallade nutrir fé' con solenne Cura d'Aglauro al veder troppo ardita. Sedendo,
ascosi i brutti piedi tenne Su la quadriga da lui prima ordita: Così quelle tre
giovani le cose Secrete lor tenean, sedendo, ascose. 28 Lo spettacolo enorme e
disonesto L'una e l'altra magnanima guerriera Fé' del color che nei giardin di
Pesto Esser la rosa suol da primavera. Riguardò Bradamante, e manifesto Tosto
le fu, eh' Dilania una d'esse era, Dilania che dall'Isola Perduta In Francia
messaggiera era venuta: 29 E riconobbe non men T altre due; Che dove vide lei,
vide esse ancora. Ma se n'andaron le parole sue quella delle tre, eh' ella più
onora; E le domanda chi si iniquo fue, E sì di legge e di costumi fuora, Che
quei secreti agli occhi altrui riveli, Che, quanto può, par che Natura celi. 30
Dilania che conosce Bradamante, Non meno eh' alle insegne, alla favella, Esser
colei che pochi giorni innante Avea gittati i tre guerrier di sella; Narra che
da un Castel poco distante Dna ria gente e di pietà ribella, Oltre all'
ingiuria di scorciarle i panni, L'avea battuta, e fattoi' altri danni 31 Né le
sa dir che dello scudo sia. Né dei tre Re che per tanti paesi Fatto le avean si
lunga compagnia; Non sa se morti, o sian restati presi; E dice e' ha pigliata
questa vìa. Ancor eh' andare a pie molto le pesi, Per richiamarsi
dell'oltraggio a Carlo, Sperando che non sia per tollerarlo. 82 Alle guerriere
ed a Ruggier, che meno Non bau pietosi i cor, ch'audaci e forti, De'bei visi
turbò l'aer sereno L'udire, e più il veder, si gravi torti; Ed obbliando ogn'
altro affar che avieno, E senza che li prieghi o che gli esorti La donna
afflitta a far la sua vendetta, Piglian la via verso quel luogo in fretta. 83
Di cornane parer le sopravreste, Mosse da gran bontà, saveano tratte, Ch'a
ricoprir le parti meno oneste Di quelle sventurate assai furo atte. Bradamante
non yuol chUlIania peste Le strade a pie, ch'avea a piede anco fatte, E se la
leva in groppa del destriero: L'altra Marfisa, l'altra il buon Ruggiero: 34
Ullania a Bradamante che la porta, Mostra la vìa che va al Castel più dritta;
Bradamante alP incontro lei conforta, Che la vendicherà di chi V ha afflìtta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta Sagliono un colle or a man manca or
ritta; E prima il sol fu dentro il mare ascoso. Che volesser tra via prender
riposo. 35 Trovaro una villetta che la schena D'un erto colle, aspro a salir,
tenea; Ove ebbon buono albergo e buona cena. Quale avere in quel loco si potea.
Sì mirano d'intorno, e quivi piena Ogni parte dì donne sì vedea. Qua! giovani,
quai vecchie; e in tanto stuolo Faccia non v' apparìa d'un uomo solo. 36 Non
più a Giason dì maraviglia dénno, Né agli Argonauti che venian con lui, Le
donne che i mariti morir fènuo, E ì figli e i padri coi fratelli sui, che per
tutta l'isola di Lenno Di vini faccia non si vìder dui; Che Rnggier quivi, e
chi con Ruggier era, ALiraviglia ebbe all'alloggiar li sera. 37 Fero ad Ullania
ed alle damigelle Che venivan con lei, le due guerriere La sera provveder di
tre gonnelle. Se non cosi polite, almeno intere. A sé chiama Ruggiero, una dì
quelle Donne ch'abìtan quivi, e vuol sapere Ove gli uomini sian, eh' un non ne
vede; Ed ella a luì questa risposta diede:38 Questa che forse è maraviglia a voi"
Che tante donne senza uomini siamo, È grave e ìntollerabil pena a noi, Che qui
bandite misere viviamo. E perchè il duro esilio più ci annoi,Padri, figli e
mariti, che si amiamo, Aspro e lungo divorzio da noi fanno, Come piace al
crudel nostro tiranno. 39 Dalle sue terre, le quai son vìcme A noi due leghe, e
dove noi siam nate, Qui ci ha mandato il barbaro in confine, Prima di mille
scorni ingiuriate.; Ed ha gli uomini nostri e noi meschine Di morte e d'o
strazio minacciate, quelli a noi verranno, o gli fia detto Ole noi diam lor,
venendoci, ricetto. 40 Nimico è si costui del nostro nome. Che non ci vuol più,
ch'io vi dico, appresso, Né eh' a noi venga alcun de' nostri, come l'ammorbi
del femmineo sesso. Già due volte l'onor delle lor chiome S' hanno spogliato
gli alberi e rimessti. Da indi in qua che '1 rio Signor vaneggia In furor
tanto; e non è chi '1 correggia:41 Che '1 popolo ha dì lui quella paura Che
maggior aver può l'uom della morte; Ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
Una possanza fuor d'umana sorte. U corpo suo, di gigantea statura, É più, che
di cent' altri insieme, forte. pur a noi sue suddite è molesto: Ma fa alle
strane ancor peggio dì questo. 42 Se l'onor vostro, e queste tre vi sono Punto
care, eh' avete in compagnia, Più vi sarà sicuro, utile e buono Non gir più
innanzi, e trovar altra vìa. Questa al Castel dell'uom di ch'io ragiono, provar
mena la costuma ria Che v'ha posta il crudel, con scorno e danno Di donne e dì
gnerrier che di là vanno. 43 Margauor il fellon (cosi si chiama n Signore, il
tiran di quel castello). Del quai Nerone, o s'altri è ch'abbia fama Di
crudeltà, non fd più iniquo e fello, Il sangue uman, ma'l femminil più brama
Che '1 lupo non lo brama dell' agnello. Fa con onta scacciar le donne tutte Da
lor ria sorte a quel Castel condutte. 44 Perché quell'empio in tal furor
venisse, Volson le donne intendere e Ruggiero: Pregar colei, ch'in cortesia
seguisse. Anzi che comincia.sse il conto intero. Fu il Signor del Castel, la
donna disse, Sempre crudel, sempre inumano e fiero; Ma tenne un tempo il cor
maligno ascosto. Né si lasciò conoscer cosi tosto: btanza 43. 45 Che mentre duo
suoi figli erano tìtì, Molto diversi dai patemi stili, Ch'amavan forestieri, ed
eran schivi Di crudeltade e degli altri atti vili, Quivi le cortesie fiorivan,
quivi I bei costumi, e T opere gentili: Che U padre mai, quantunque avaro
fosse, Da quel cl.e lor piacea, non li rimosse. 46 Le donne e i cavalier che
questa via Facean talor, venian kì ben raccolti, Che si partian delalta
cortesia Del duo germani innamorati molti. Amendui questi di cavalleria
Parimente i santi ordini avean tolti diandro Tun, l'altro Tanacro detto.
Gagliardi e arditi, e di reale aspetto. Stanza 42. 47 Ed eran veramente, e
sarìan stati Sempre di laude degni e dogni onore, SMn preda non si fossino si
dati A quel disir che nominiamo amore; Per cui dal buon sentier fur traviati Al
labirinto ed al cammin d'errore; E ciò che mai di buono aveano fatto, Bestò
contaminato e brutto a un tratto. 63 Non men di questa il gioveue Tana ero, cheU
suo fratel di quella ardesse Che gli fé gustar fine acerbo ed acro Del
desiderio ingiusto ch'in lei messe. Non men di lui di violar del sacro E santo
ospizio ogni ragione elesse, Piuttosto che patir che'l duro e forte Nuovo desir
lo conducesse a morte. 48 Capitò quivi un cavalier di corte Del greco
Imperator, che seco avea Una sua donna di maniere accorte, Bella quanto bramar
più si potea. Cilandro in lei s' innamorò si forte, Che morir, non V avendo,
gli parea:Gli parea che dovesse, alla partita Di lei, partire insieme la sua
vita. 49 E perchè i prieghi non v'avriano loco. Di volerla per forza si
dispose. Armossi, e dal Castel lontano un poco, Ove passar dovean, cheto s'
ascose. L'usata audacia e V amoroso fuoco Non gli lasciò pensar troppo le cose:
Si che vedendo il cavalier venire, L'andò lancia per lancia ad assalire. 50 Al
primo incontro credea porlo in terra, Portar la donna e la vittoria indietro;
Ma '1 cavalier, che mastro era di guerra, L'osbergo gli spezzò, come di vetro.
Venne la nuova al padre nella terra. Che lo fé' riportar sopra un feretro; E
ritrovando! morto, con gran pianto Gli die sepulcro agli antiqui avi accanto.
51 Né pii\ però né manco si contese L'albergo e l'accoglienza a questo e a
quellO) Perchè non men Tanacro era cortese, Né meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese Con la moglie un Baron venne al castello, A
maraviglia egli gagliardo, ed ella, Quanto si possa dir, leggiadra e bella; 52
Né men che bella, onesta e valorosa, £ degna veramente d'ogni loda; 11 cavalier
di stirpe generosa. Di tanto ardir, quanto più d'altri s' oda. E ben conviensi
a tal valor, che cosa Di tanto prezzo e si eccellente goda. Olindro il cavalier
da Lunga villa; La donna nominata era Drusilla. 54 Ma perch'avea dinanzi ili
occhi il tema Del suo fìratel, che n'era stato morto. Pensa di torla in guisa,
che non tema Ch' Olindro s'abbia a vendicar del torto. Tosto s'estingue in lui,
non pur si scema Quella virtù, su che solea star sorto; Che non lo sommergean
dei vizj l'acque, Delle quai sempre al fondo il padre giacque. Stanza 50. 55
Con gran silenzio fece quella notte Seco raccor da vent' uomini armati E lontan
dal castel fra certe grotte. Che si trovan tra via, messe gli agguati. Quivi ad
Olindro il di le strade rotte, E chiusi i passi fur da tutti i lati; E benché
fé' lunga difesa e molta, Pur la moglie e la vita gli fti tolta. 56 Ucciso
Olindro, ne menò captiva La bella donna, addolorata in guisaCh'a patto alcun
restar non volea viva. E di grazia chiedea d'essere uccisa. Per morir sì gittò
giù d'una riva Che vi trovò sopra un vallone assisa: E non potè morir: ma colla
testa Rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.67 Altrìmente Tannerò riportarla A
casa non potè, che suna bara. Fece con diligeuzia medicarla; Che perder non
volea preda si cara. E mentre che s' indugia a risanarla Di celebrar le nozze
si prepara: Chaver si bella donua e sì pudica Debbe nome di moglie, e non d
amica. 60 Simula il viso pace; ma vendetta Chiama il cor dentro, e ad altro non
attende. Molte cose rivolge, alcune accetta, Altre ne lascia ed altre in dubbio
appende. Le par che quando essa a morir si metta . Avrà il suo intento; e quivi
alfin s apprende E dove meglio può morire, o quando, Che'l suo caro marito
vendicando? 61 Ella si mostra tutta lieta, e finge Di queste nozze aver sommo
disio; E ciò che può indugiarle addietro spinge, Non ch'ella mostri averne il
cor restio. Più deir altre s' adoma e si dipinge:Olindro al tutto par messo in
oblio; Ma che sian fatte queste nozze vuole, Come nella sua patria far si
suole. Stanza 55. 58 Non pensa altro Tanacro, altro non brama, D'altro non
cura, e d'altro mai non parla. Si vede averla offesa, e se ne chiama In colpa,
e ciò che può, fa d'emendarla. Ma tutto è invano: quanto egli più l'ama, Quanto
più s'affatica di placarla, Tant' ella odia più lui, tanto è più forte, Tanto è
più ferma in voler porlo a morte. 59 Ma non però quest'odio cosi ammorza La
conoscenza in lei, che non comprenda Che, se vuol far quanto disegna, è forza
Che simuli, ed occulte insidie tenda; E che'l desir sotto contraria scorza (TI
quale è sol, come Tanacro offenda) Veder gli faccia; e che si mostri tolta Dal
primo amore, e tutta a lui rivolta. 62 Non era però ver che questa usanza, Che
dir volea, nella sua patria fosse; Ma perchè in lei pensier mai non avanza, Che
spender possa altrove; imaginosse Una bugia, la qual le die speranza Di far
morir chi '1 suo Signor percosse:E disse di voler le nozze a guisa Della sua
patria; e'I modo gli divisa. 63 La vedovella che marito prende, Deve, prima
(dicea) eh a lui s'appresse, Placar Talma del morto ch'ella offende, Facendo
celebrargli officj e messe, In remissiou delle passate mende, Nel tempio ove di
quel son V ossa messe; E dato fin eh al sacrificio sia, Alla sposa Tanel lo
sposo dia: 65 Tanacro, che non mira quanto importe Ch'ella le nozze alla sua
usanza faccia, Le dice: Purché 1 termine sì scorte D'essere insieme, in questo
si compiaccia. Né 8 avvede il meschin eh' essa la morte D'Olindro vendicar cosi
procaccia; £ si la voglia ha in uno oggetto intensa, Che sol di quello, e mai
d'altro non pensa. Stanza 61. 64 Ma ch'abbia in questo mezzo il sacerdote Sul
vino ivi portato a tale effetto Appropriate orazì'on devote, Sempre il liquor
benedicendo, detto; Indi che '1 fiasco in una coppa vote, E dia alli sposi il
vino benedetto:Ma portare alla sposa il vino tocca, Ed esser prima a porvi su
la bocca. Stanza 67. 66 Avea seco Drusilla una sua vecchia, Che seco presa,
seco era rimasa. A sé chiamolla, e le disse all' orecchia, Si che non potè
udire uomo di casa:Un subitano tosco m'apparecchia, Qual so che sai comporre, e
me lo invasa; C'ho trovato la via di vita torre Il traditor figliuol di
Marganorre; 67 E me so come, e te salvar non meno; Ma differisco a dirtelo più
ad agio. Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno, Ed acconciollo, e ritornò al
palagio. Di vin dolce di Candia un fiasco pieno Trovò da por con quel succo
malvagio, E lo serbò pel giorno delle nozze; Ch' ornai tutte l'indugie erano
mozze. 68' Lo statiùto giorno al tempio venne, Dì gemme ornata e di leggiadre
gonne; Ove d01indro, come gli convenne, Fatto avea Parca alzar sn dne colonne.
Qnivi r ufficio bì cantò solenne:Trasseno a udirlo tutti, uomini e donne; E
lieto Marganor più dell'usato, Venne col figlio e con gli amici a lato. Tosto
chalfin le sante esequie foro, E fu col tosco il vino benedetto, Il sacerdote
in una coppa d'oro Lo versò, come avea Drusilla detto. Ella ne bebbe quanto al
suo decoro Si conveniva, e potea far l'effetto: Poi dio allo sposo con viso
giocondo Il nappo; e quel gli fé' apparire il fondo. 70 Penduto il nappo al
sacerdote, lieto abbracciar Drusilla apre le braccia. Or quivi il dolce stile e
mansueto In lei si cangia, e quella gran bonaccia. Lo spinge addietro, e gli ne
fa divieto, £) par eh' arda negli occhi e nella faccia; E con voce terribile e
incomposta Gli grida: Traditor, da me ti scosta. 71 Tu dunque avrai da me
sollazzo e gioia, Io lagrime da te, martiri e guai? 10 vo'per le mie man ch'ora
tu muoia: Questo è stato venen, se tu noi sai. Ben mi duol ch'hai troppo
onorato boia, Che troppo lieve e facii morte fai; Che mani e pene io non so si
nefande. Che fosson pari al tuo peccato grande. 72 Mi duol di non veder in
questa morte 11 sacrificio mio tutto perfetto: Che s' io '1 poteva far di
quella sorte Ch' era il disio, non avria alcun difetto. Di ciò mi scusi il
dolce mio consorte: Riguardi al buon volere, e l'abbia accetto; Chò non potendo
come avrei voluto, 10 t'ho fatto morir come ho potuto. 73 E la punizi'on che
qui, secondo 11 desiderio mio, non posso 4rti, Spero l'anima tua nell'altro
mondo Veder patire; ed io starò a mirarti. Poi disse, alzando con viso giocondo
I torbidi occhi alle superne parti: Questa vittima, Olìndro, in tua vendetta
Col buon voler della tua moglie accetta; 74 Ed impetra per me dal Signor nostro
Grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco. Se ti dirà che senza merto al vostro
Regno anima non vien, di' eh' io l'ho meco:Che di questo empio e scellerato
mostro Le spoglie opime al santo tempio arreco. E che merti esser puon maggior
di questi,Spegner si brutte e abbominose pesti?75 Fini il parlare insieme colla
vita; E morta anco parea lieta nel volto D'aver la crudeltà cosi punita Di chi
il caro marito le avea tolto. Non so se prevenuta o se seguita Fu dallo spirto
di Tanacro sciolto. Fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe Prima il veneno in
lui, perchè più bebbe. 76 Marganor che cader vede il figliuolo, E poi restar
nelle sue braccia estinto. Fu per morir con lui, dal grave duolo, Ch'alia
sprovvista lo trafisse, vinto. Duo n' ebbe un tempo; or si ritrova solo:Duo
femmine a quel termine l'han spinto. La morte all'un dall'una fu causata; E
l'altra all'altro di sua man l'ha data. 77 Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira,
Disio di morte e di vendetta insieme Quell'infelice ed orbo padre aggira, Che,
come il mar che turbi il vento, freme. Per vendicarsi va a Drusilla, e mira Che
di sua vita ha chiuse l'ore estreme: E, come il pnn?e e sferza V odio ardente,
Cerca offendere il corpo che non sente. 78 Qual serpe che nell' asta eh' alla
sabbia La tenga fissa, indarno i denti metta; 0 qual mastin ch'ai ciottolo che
gli abbia Gittate il viandante, corra in fìretta, E morda invano con stizza e
con rabbia, Né se ne voglia andar senza vendetta: Tal Marganor, d'ogni mastin,
d'ogni angue Via più crudel, fa contro il corpo esangue. 79 E poi che per
stracciarlo e feume scempio Non si sfoga il fellon nò disacerba, Vien fra le
donne di che è pieno il tempio, Né più l'una dell'altra ci riserba; Ma di noi
fa col brando crudo ed empio Quel che fa con la falce il villan d'erba. Non vi
fu alcun ripar, ch'in un momento Trenta n'uccise, e ne feri ben cento. 80 Egli
dalla sua gente è si ternato, Ch' uomo non fu eh' ardisse alzar la testa.
Faggon le donne col popol minato Faor della chiesa, e chi può ascir non resta.
Quel pazzo impeto alfin fa ritenuto Dagli amici con prieghi e forza onesta: E
lasciando ogni cosa in pianto al hasso, Fatto entrar nella rocca in cima al
sasso. 81 E tattavia la collera durando, Di cacciar tutte per partito prese:
Poiché gli amici e '1 popolo pregando, Che non ci uccìse affatto, gli contese;
E quel medesmo dì fé' andare im bando, Che tutte gli sgombrassimo il paese; E
darci qui gli piacque le confine. Misera chi al castel più s'avricine! 82 Dalle
mogli cosi furo i mariti, Dalle madri cosi i figli divisi. S' alcuni sono a noi
venire arditi, Noi sappia già chi Marganor n'avvisi: C!he di multe gravissime
puniti N'ha molti, e molti crudelmente uccisi. Al suo castello ha poi fatto una
logge. Di cui peggior non s'ode né si legge. 83 Ogni donna che trovin nella
valle, La legge vuol (ch'alcuna pur vi cade) Che percuotan con vimini alle
spalle, £ la faccian sgombrar queste contrade:Ma scorciar prima i panni, e
mostrar falle Quel che natura asconde ed onestade: E s alcuna vi va, eh' armata
scorta di cavalier, vi resta morta. 84 Quelle e' hanno per scorta cavalieri,
Son da questo nimico di pietate, Come vittime, tratte ai cimiteri Dei morti
figli, e di sua man scannate. Leva con ignominia arme e destrieri, E poi caccia
in prigion chi l'ha guidate: E lo può far, che sempre notte e giorno Si trova
più di mille uomini intomo. 85 E dir di più vi voglio ancora, ch'esso, S' alcun
ne lascia, vuol che prima giuri i a l'ostia sacra, che '1 femmineo sesso In
odio avrà finché la vita duri. Se perder queste donne, e voi appresso Danque vi
pare, ite a veder quei muri Ove alberga il fellone, e fate prova S' in lui più
forza o crudeltà si trova. 86 Cosi dicendo, le guerriere mosse y Prima a
pietade, e poscia a tanto sdegno. Che se, com'era notte, giorno iDsee, Sarian
corse al castel senza ritegno. La bella compagnia quivi pososse: E tosto che
l'aurora fece segno Che dar dovesse al sol loco ogni stella, Ripigliò l'arme, e
si rimesse in selli. 87 Già sendo in atto di partir, s'udirò Le strade risonar
dietro le spalle D'un lungo calpestio, che gli occhi in giro Fece a tutti
voltar giù nella valle E lungi quanto esser potrebbe un tiro Di mano, andar per
uno istretto calle Vider da forse venti armati in schiera, Di che parte in
ardon, parte a pied' era:88 E che traean con lor sopra un cavallo Donna eh' al
viso aver parca molt' anni, A guisa che si mena im che per fallo A fuoco 0 a
ceppo o a laccio si condanni:La qual fu, non ostante l'intervallo, Tosto
riconosciuta al viso e ai panni. La riconobber queste della villa Esser la
cameriera di Drusilla: 89 La cameriera che con lei fa presa Dal rapace Tanacro,
come ho detto, Ed a chi fd di poi data l'impresa Di quel venen che fe"l
crudele effetto. Non era entrata ella con l'altre in chiesa; Che di quel che
segui stava in sospetto:Anzi in quel tempo, della villa uscita, Ov' esser sperò
salva, era friggita. 90 Avuto Marganor poi di lei spia, La qual s'era ridotta
in Ostericche, Non ha cessato mai di cercar via Come in man l'abbia, acciò
l'abbruci o impicche: E finalmente l'Avarizia ria, Mossa da doni e da profferte
ricche, Ha fatto eh' un Baron, ch'assicurata L'avea in sua terra, a Marganor
l'ha data: 91 E mandata glie l'ha fin a Costanza Sopra un somier, come la merce
s'usa, Legata e stretta, e toltole possanza Di far parole, e in una cassa
chiusa: Onde poi questa gente l'ha, ad instanza Dell' uom eh' ogni pietade ha
da sé esclusa, Quivi condotta con diseino ch'abbia L'empio a sfogar sopra di
lei sua rabbia. Stanza )75. 92 Come il gran fiuma che dì Vésiilo esce, Quanto
più innanzi e verso il mar discende, E che con lui Lambro e Ticin si mesce. Ed
Adda, e gli altri onde tributo prende, Tanto più altiero e impetuoso cresce:
Così Ruggier, quante più colpe intende Di Marganor, cosi le due guerriere Se
gli fan con tra più sdegnose e fiere. 93 Elle fur d'odio, elle far d'ira tanta
Contra il crudel, per tante colpe, accese, Che di punirlo, malgrado di quanta
Gente egli avea, conclusìon si prese. Ma dargli presta morte troppo santa Pena
ior parve, e indegna a tante offese; Ed era meglio fargliela sentire, Fra
strazio prolunganduU e martire. 94 Ma prima liberar la donna è onesto, Che sia
condotta da quei birri a morte. Lentar di briglia col calcagno presto Fece
appresti destrier far le vie corte. Non ebbon gli assaliti mai di questo Uno
incontro più acerbo né più forte; Si che han di grazia di lasciar gli sondi E
la donna e V arnese, e fuggir nudi:95 Sì come il lupo che dì preda vada Carco
alla tana, e quando più si crede D'esser sicur, dal cacciator la strada E da'
suoi cani attraversar si vede; Getta la soma, e dove appar men rada La scura
macchia innanzi, affretta il pieile:(tià men presti non fur quelli a fuggire.
Che li fnsson quest'altri ad assalire. Stanza 94. 96 Non pur la donna e V arme
vi lasciaro, Ma de' cavalli ancor lasciaron molti, E da rive e da grotte si
lanciaro, Parendo lor cosi d'esser più sciolti. Il che alle donne ed a Ruggier
fu caro; Che tre di quei cavalli ebbono tolti, Per portar quelle tre che '1
giorno d'ieri Feron sudar le groppe ai tre destrieri. 97 Quindi espediti
seguono la strada Verso l'infame e dispietata villa. Voglion, che seco quella
vecchia vada, Per veder la vendetta di Drusilla. Ella, che teme che non ben le
accada, Lo niega indamo, e piange e grida e strilla; Ma per forza Ruggier la
leva in groppa Del buon Frontino, e via con lei galoppa. Stanza 97. 98 Giunsero
in somma onde vedeano al basso Di molte case un ricco borgo e grosso, Che non
serrava d'alcun lato il passo, Perchè né muro intomo avea né fosso. Avea nel
mezzo un rilevato sasso, Ch' un' alta rocca sostenea sul dosso. A quella si
drizzar con gran baldanza. Ch'esser sapean di Slarganor la stanza. 99 Tosto che
son nel borgo, alcani fanti Che v' erano alla guardia dell' entrata, Dietro
chiudon la sbarra, e già davanti Veggion che l'altra uscita era serrata: Ed
ecco Marganorre, e seco alquanti A pie e a cavallo, e tutta gente armata; Che
con brevi parole, ma orgogliose, La ria costuma di sua terra espose. 100
Marftsa, la qual prima avea composta Con Bradamante e con Ruggier la cosa Gli
spronò incontro in cambio di risposta: E com'era possente e valorosa. Senza
ch'abbassi lancia, o che sia posta In opra quella spada sì famosa. Col pugno in
guisa l'elmo gli martella, Che lo fa tramortir sopra la sella. 101 Con Mariisa
la gioTane di Francia Spinge a un tempo il destrier; né Ruggier resta, Ma con
tanto valor corre la lancia, Che sei, senza levarsela di resta, N'uccide, uno
ferito nella pancia, Duo nel petto, un nel collo, un nella testa: Nel sesto,
che fuggia, V asta si roppe, C h' entrò alle scheno, e riuscì alle poppe. 102
Là figliuola d'Amon quanti ne tocca Con la sua lancia d'ór, tanti ne atterra.
Fulmine par che U cielo ardendo scocca, Che ciò ch'incontra, spezza e getta a
terra. Il popol sgombra, chi verso la rocca. Chi verso il piano: altri si
chiude e serra, Chi nelle chiese, e chi nelle sue erse; Né, fuorché morti, in
piazza uomo rimase. 105 Perocché Tun dell'altro non si fida, E non ardisce
Conferir sua voglia, Lo lascian eh' un bandisca, un altro nccidi, A quel r
avere, a questo V onor toglia. Ma il cor che tnce qui, su nel ciel grida.
Finché Dio e Santi alla vendetta iuvoglia; La qual, sebben tarda a venir,
compensa L'indugio poi con punizione immensa. 106 Or quella turba, d'ira e
d'odio pregna. Con fatti e con mal dir cerca vendetta. Com'è in proverbio ognun
corre a far legna All' arbore che '1 vento in terra getta. Sia Mnrganorre
esempio di chi regna; Che cLi mal opra, male alfine aspetta. Di vederlo punir
de' suoi nefandi Peccati, aveau piacer piccioli e grandi. Stanza 106. 107
Molti, a chi fur le mogli o le sorelle 0 le figlie 0 le madri da lui morte, Non
più celando l'animo ribelle, Correan fer dargli di lor man la morte: E con
fatica lo difeser quelle Magnanime gueniere e Ruggier forte, Che disegnato
avean farlo morire D'affanno, di disagio e di martire. 108 A quella vecchia,
che l'odiava quanto Femmina odiare alcun nimico possa. Nudo in mano lo dier,
legato tanto. Che non si scioglierà per una scossa; Ed ella, per vendetta del
suo pianto, Gli andò facendo Li persona rossa Con un stimulo aguzzo eh' un
villano. Che quivi si trovò, le pose in mano. 103 Marfisa Marganorre avea
legato Int'\uto con le man dietro alle rene, Ed alla vecchia di Drusilla dato,
Ch'appagata e contenta se ne tiene. D'arder quel borgo poi fu ragionato, S'a
penitenzia del suo error non viene. Levi la legge ria di Marganorre, E questa
accetti, ch'essa vi vuol porre. 104 Non fu già d'ottener questo fiitica; Che
quella gente, oltre al timor eh' avea Che più faccia Marfisa che non dica.
Ch'uccider tutti ed abbruciar volea, Di 3Iarganorre al!i\tto era nimica, E
della legge sua crudele e rea. Ma '1 popolo facea, come i più fanno,
Ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno. 109 La messaggi era e le sue
giovani anco, Che quell'onta non son mai per scordarsi, Non s' hanno più a
tener le mani al fianco, Né meno che la vecchia, a vendicarsi. Ma si è il desir
d'offenderlo, che manco Viene il potere, e pur vorriau sfogarsi:Chi con sassi
il percuote, chi con l'ugue; Altra lo morde, altra cogli aghi il pugne. 110
Come torrente che superbo faccia Lunga pioggia talvolta o nevi sciolte. Va
ruinoso, e giù da' monti caccia Gli arbori e i sassi e i campi e le rìculte;
Vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia Gli cade, e sì le forze gli son tolte,
Ch' un fanciullo, una femmina per tutto Passar lo puote, e spesso a piede
asciutto:111 Cosi già fu che Marganorre intorno Fece tremar, dovunque udiasi il
nome: Or venuto è chi gii lia spezzato il corno Di tanto orgoglio, e si le
forze dome, Che gli pnon far sin a' bambini scorno, Chi pelargli la barba, e
chi le chiome. Quindi Eiiggiero e le donzelle il passo Alla rocca voltar,
ch'era sul sasso. 114 Perchè stata saria, com'eran tutte Qnelle ch'armate avean
seco le scorte. Al cimitero misere condutte Dei duo fratelli, e in sacrificio
morte. Gli è pur men che morir, mostrar le brutte E disoneste parti, duro e
forte; E sempre questo e ogni altro obbrobrio ammorza 11 poter dir che le sia
fatto a forza. 112 La die senza contrasto in poter loro Chi v' era dentro, e
così i ricchi arnesi, Ch' in parte messi a sacco, in parte foro Dati ad Ullania
ed accompagni offesi. Ricovrato vi fu lo scudo d'oro, E quei tre Be ch'avea il
tiranno presi, Li quai venendo quivi, come parrai D'avervi detto, erano a pie
senz'armi; 113 Perchè dal di che fur tolU di sella Da Bradamante, a pie sempre
eran iti Senz'arme, in compagnia della donzella La qual venia da si lontani
liti. Non so se meglio o peggio fti di quella, Che di lor armi non fusson
guerniti. Era ben meglio esser da lor difesa; Ma peggio assai, se ne perdean
l'impresa: Stanza 121. 115 Prima ch'indi si partan le guerriere. Fan venir gli
abitanti a giuramento, Che daranno i mariti alle mogliere Della terra e del
tutto il reggimento:E castigato con pene severe Sarà chi contrastare abbia
ardimento. In somma, quel eh altrove è del marito, Che sia qui della moglie è
statuito. 16 Poi si fecion promettere eh' a quanti . Mai Yenian quivi, non
darian ricetto, 0 fosson cavalieri o fosson fanti; Né 'ntrar gli lascerian pur
sotto un tetto, Se per Dio non giurassino e per Santi, 0 s'altro giuramento v'è
più stretto, • Che sarian sempre delle donne amici, E dei nimici lor sempre
nimici:117 E s'avranno in quel tempo, e ne saranno. Tardi o più tosto, mai per
aver moglie, Che sempre a quelle sudditi saranno, E ubbidienti a tutte lelor
voglie. Tornar Marfisa, prima eh' esca l'anno, Disse, e che perdan gli arbori
le foglie; E se la legge in uso non trovasse, Fuoco e ruina il borgo
s'aspettasse. 119 L'animose guerriere a lato un teDipio Videno quivi una
colonna in piazza. Nella qual fatt'avea quel tiranno empio Scriver la legge sua
crudele e pazza. Elle, imindo d'un trofeo l'esempio. Lo scudo v'attaccaro e la
corazza Di 3[arganorre, e V elmo; e scriver fénuo La legge appresso, ch'esse al
loco dénno. 120 Quivi s' indugiar tanto, che Marfisa Fé' por la legge sua nella
colonna. Contraria a quella che già v'era incisa A morte ed ignominia d'ogni
donna. Da questa compagnia restò divisa Quella d Islanda, per rifar la gonna;
Che comparire in corte obbrobrio stima, Se non si veste ed orna come prima. 118
Né quindi si partir, che dell'immondo Luogo dov' era, fér Drusilla torre, E col
marito in un avel, secondo Ch'ivi potean più riccamente, pone. La vecchia facea
intanto rubicondo Con lo stimulo il dosso a Marganorre: Sol si dolea di non
aver tal lena. Che potesse non dar triegua alla pena. 121 Quivi rimase Ullania;
e Marganorre Di lei restò in potere: ed essa poi, Perché non s'abbia in qualche
modo a sciorre. E le donzelle un' altra volta annoi, Lo fé' un giorno saltar
giù d'una torre, Che non fé' il maggior salto a' giorni suoi. Non più di lei,
né più dei suoi si parli; Ma della compagnia che va verso Arli. 122 Tutto quel
giorno, e l'altro fin appresso L' ora di terza andaro, e poi che furo Giunti
dove in due strade è il cammin fésso(L'una va al campo, e l'altra d'Arli al
muro). Tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso A tor commiato e sempre
acerbo e duro. Alfin le donne in campo, e in Arli é gito Kuggiero; ed io il mio
Canto ho qui finito. NOTE. St. 5. V.16. Arpalice: figlia del re di Tracia, che
difese il regno paterno contro Neottolemo, ossia Pirro, figliuolo d'Achille.
Tomiri, regina de' Massageti, che riportò vittoria sopra Ciro persiano. Non fu
ehi Turno, ecc. Accenna Camilla, figlia del re de' Volaci, la quale die aiuto a
Turno. Non chi Ettor soccorse: parla di Pentesilea, regina delle Amazzoni,
quale ausi liaria dei Troiani. Non chi seguita, ecc. Allude a Didone, che,
rimasta vedova di Sicheo, e quindi emi grata da Tiro, si condusse sulla costa
d'Africa, dove fondò Cartagine. Zenohia, celebre regina di Palmira, che dopo
essersi difesa con molto valore contro l'impe ratore Aureliano, restò
prigioniera di lui. Non quella che gli Assiri f ecc. Questa è Semiramide qui
mento vata per le bellicose sue geste. St. 6. V.34. Ove fra gVJndi e gli orti
Delle Espe ride, ecc. Prendesi qui l'India per l'estremo contineita a levante;
e gli orti dell' Esperidi per l'ultima tem a ponente. Si finsero quegli orti
nella parte occidentale dell'Etiopia, e appartenenti alle tre figlie di Espero,
die ivi tenevano sotto la guardia di un drago i pomi d'oro recati in dote da
Giunone a Giove. St. 8., v.18. In questa stanza e in altre che seguono, il
poeta nomina vari letterati che scrinerò ia lode delle donne, e dei quali si
darà breve oenio. Marnilo: ebbe nome Michele, nato da genitori greei. ma
allevato in Italia; fa scrittore di epigrammi e d'inni, detti da lui naturali:
mori sommerso nel fiume Cecina in Toscana. Ed il Pontan, ecc. Giande e meritata
fama ebbe nelle lettere Giovanni o Gioviano Fontano, nato a Cereto nello
Spoletino Tanno 1426. Ritrasse le grazie degli antichi poeti; mori nel 1503. E
duo Strozzi f il padre e 7 figlio. Il padre fa Tito Vespasiano, discendente
dagli Strozzi di Firenze. Cominciò ad essere celebrato nel secolo XV; e tutti
gli scrittori di quei tempi esaltarono con somme lodi le rime di lui. Finiva di
vivere circa il U08. Il figlio chiamavasi Ercole, e superò il padre. Fu stimato
ammirabile nella poesia latina, felicissimo nell'italiana, e dotto nella lingua
greca. ucciso a tradimento nel 6 giugno 1508. Il Bembo. Pietro Bembo nacque in
Venezia nel 1470; fu storiografo di quella Repubblica, e cardinale nel 15:. Era
amicis simo del Poeta. Jl Capei, Bernardo Cappello, verseg giatore veneziano,
amico pure deirAriosto. Chi, guai lui Vediamo, ha tali i cortigian formati,
intende di Baldassar Castiglione, mantovano, nato nel 1468, eru dito, rimatore
elegante, e autore del Cortigiano. Cessò di vivere in Toledo nel 1529. Luigi
Alaman. È questi r elegante poeta Luigi Alamanni, nato in Firenze nel 1495,
autore della Coltivasione, e di altri due poemi, uno intitolato Girone il cortese,
e Taltro, YAvarchide. Ce ne son dui di par da Marte, ecc. Accenna Luigi
Gonzaga, secondo conte di Sabbioneta, soprannominato Rodomonte, e Francesco
Gonzaga, marito d'Isabella d'Este. Il primo nacque nel 1500, e mori in età di
33 anni. L'altro fu marchese di Mantova dal 1484 al 1519; ed entrambi si
dimostrarono cosi fervidi proteggitorì, come gentili cultori delle buone
lettere, e prodi nel Tarmi. La terra Che H Menzo fende, ecc.: Mantova, situata
in mezzo di un lago formato dal Mincio. St. 9, v. 38. Cinto: monte dell'isola
di Delo, e luogo natale di Apollo. L'amor, la fede, ecc. Clemente VII, irritato
perchè Luigi Gonzaga favoriva i Pallavicino contro i Rangoni, voleva impedire
con mi nacce il matrimonio stabilito tra esso Luigi e Isabella figlia di Vespasiano
Colonna duca di Traetto; la quale, a malgrado del papa, mantenne al Gonzaga la
data fede e il matrimonio ebbe luogo nel 1531. St. 12. v.58. Un Ercol
Bentivoglio. Questi nacque in Bologna nel 1506i anno in cui la sua famiglia
perde la signoria di quella città. Educato nella corte di Al fonso I di cui era
nipote, aggiunse lustro alla nobiltà dlla stirpe col suo valore nella volgar
poesia. E Renato Trivulcio, eH mio Guidetto, E'I Molza, ecc. Il piimo fondò in
Milano, o almeno restaurò circa il 1543 l'Accademia detta de FenicJ, L'altro
era Francesco Guidetti, uno dei collaboratori all'edizione del Boccac cio fatta
nel 1527; e Ftancesco Maria Molza, nato in Modena il 18 giugno 1489, ed ivi
morto nel 28 febbraio 1544, riusci felicemente in tutti i generi di poesia in
cui piacquegli esercitarsi. St. 13. V.18. Ce 7 duca de' Carnuti Ercol figliuo
lo, ecc. Ercole II, figlio d'Alfonso I, ch'ebbe da Luigi XII, insieme con altre
signorie, il ducato di Chartres, città detta dai Latini Chamutum, fu splendido
fautore e col tivatore delle buone lettere. C è il mio signor del Vasto, ecc.
Annoverasi fra i mecenati e cultori della letteratura anche Alfonso dAralos,
marchese del Va sto, cognato del marchese di Pescara, di cui più sotto. St. 44.
V.6. Al fonte d'Aganippe. Quel fonte scen deva dal monte Elicona, era
consacrato ad Apollo e alle Muse: e le sue acque avevano la virtù dUnspirare i
poeti: St. 17. V.3. Maia: una delle Pleiadi, nella costel lazione del Toro; od
anche il pianeta Mercurio, a cui si è dato il nome di quel Dio ohe fu figliuolo
di Maia. St. 18. V.16. Vittoria è'I nome. Parlasi di Vit toria Colonna, nata in
Marino, feudo di sua casa, circa il 1490. Fu sposa a Ferdinando Francesco
d'Avalos, mar chese di Pescara. Fornita di rare doti di corpo e di spi, restò vedova
nel 1525, e con egregie rime, che ce lebrarono la memoria del perduto sposo,
cercò sfogo al dolore della vedovanza. Mori in Roma nel febbraio del 1547.
Unaltra Artemisia, ecc. Questa regina di Caria, oltreché fece costruire al
marito un mausoleo, che fu una delle sette maraviglie del mondo, ne inghiotti
le ceneri, non trovando pel suo sposo un più degno sepolcro. St. 19. v.17.
Laodamia: figlia di Acasto, e mo glie di Protesilao, ucciso da Ettore, non gli
volle soprav vivere, e si gettò nelle fiamme. Lamoglier di Bruto: ebbe nome
Porzia, e morto il marito, si uccise ingo, iando carboni accesi. Arria: moglie
di Cecina Peto implicato in una congiura contro l'imperator Claudio. Non
potendo salvare il marito, s' immeise un pugnale nel petto. Argia: moglie di
Polinice, fatta morire Creonte tiranno di Tebe, per aver data sepoltura al
l'ucciso marito a malgrado il divieto fatto dal tiranno. Evadne: moglie di
Capaneo morto nell'oppugnazione di Tebe. Pel dolore di quella perdita si gettò
anch'essa nel rogo. Del rio che nove volte Vomirà circonda: del fiume Stige, a
cui Virgilio dà nove giri. St. 20. V.23. Il Macedonico: Alessandro, figliuol di
Filippo, re di Macedonia, invidiava ad Achille V es sere stato celebrato da
Omero. Francesco di Pescara: sposo di Vittoria Colonna. Egli protesse con
munifi cenza e coltivò con amore le buone lettere; f assai valoroso nell' aimi,
e morì di ferite riportate combat tendo per Carlo V nella famosa battaglia di
Pavia, l'anno 1525. St. 27. V.14. Come quel figlio di Vnlcan, occ. Fu detto
Eriltonio, e nacque coi piedi di dragone. Cre sciuto per le cure di Aglauro,
figlia di Eritteo, re d'A tene, inventò il cocchio per coprire, sedendo in
esso, la deformità de' suoi piedi. Al veder troppo ardita. Rammenta il Poeta
questa circostanza, perchè Aglauro, portando invidia ad Erse sua sorella, amata
da Mercurio, pose ostacoli agli amori del nume; e per questa colpa fu da lui
convertita in sasso. St. 36. V.16. Non più a Giason, ecc. Racconta Stazio nel V
della Tebaide che Giasone, approdato con gli Argonauti in Lenno, trovò queir
isola abitata sol tanto da femmine, perchè tutti i maschi erano stati messi a
morte da quelle. St. 44. V.4. J/ conto: il racconto. St. 54. V.16. Tema: qui
esempio. Su che solca star sorto: sulla quale solca star fermo, reggersi. St.
90. V.2. Osterricche: Austria. St. 92. V.14 Jl gran fiume: il Po. Vesulo:
Monviso, ano dei monti liguri che fanno parte delle Alpi Cozie. Lambro e
Ticin.... Et Adda: tre fiumi di Lombardia. St. 93. v.56. Troppo santa Pena lor
parve e indegna a tante offese: pena di cui egli non era degno. XXXVIII.
lltiffÉficro, fefJelo all'onore ehe Ip chiami presso Agri' matite va in kv\L Sì
prebcntano alla Corto dì C&rlo, Bnnìamniitt? e Marflsa; e questa riceva il
baitesiiafli. D altra p".rte Astolfo con un esercito dì KubJ mette rAfrtea
a soqquadvo, e minaccia BirUu Agr"mftate, di ciò ìjitvuito, ottit>ne da
Carlo che "E dcdd la em fra loro cai combat ti incaica di due camici oni
eletti uno per parte. Cortesi donnea clic beuigna udienza Date a' miei versi, io
vi vegg'o al seminante, Che quej?t altra si subita partenza Che fa Eiiggier
dalla sua ftda amante, Vi dà gran noia e avete displiceuza Puco minor
cbives.'ie Brad amante; E fate anco arfl:omeDt<>, ch esser poco In hii
doveae l'amoroso foco. Per oiiì altra cagiun ch'allontanato Cuiitia la volgila
d'esiga se ne fusae, Ancor di' arcisse più tesor spera tu, Che Creso o Crasso
insieme non ri(lnss€; Io crederla con voi, che penetrato Non fosse al cor lo
strai che lo percosse: Ch un almo gaudio, un cosi gran contento Non potrebbe
comprare oro uè argento. XXXVIII. 3 Pur, per salvar Tonor, non solamente
D'escnsa, ma di laude è degno ancora; Per salvar, dico, in caso eh altrimente
Tacendo, biasmo ed ignominia fora:E se la donna fosse renitente, Ed ostinata in
fargli far dimora, Darebbe di sé indizio e chiaro segno O d'amar poco, o d'aver
poco ingegno. 4 Che se l'amante dell'amato deve La vita amar più della propria,
o tanto (Io parlo d'uno amante a cui non lieve Colpo d'Amor passò più là del
manto); Al piacer tanto più, eh' esso riceve, L' onor di quello antepor deve,
quanto L' onore è di più pregio che la vita, Ch'a tutti altri piaceri è
preferita. R Fece Ruggiero il debito a seguire II suo Signor; che non se ne
potea. Se non con ignominia, dipartire; Che ragion di lasciarlo non avea. E
s'Almonte gli fé' il padre morire, Tal colpa in Agramante non cadea; Ch'in
molti effetti avea con Ruggier poi Emendato ogni error dei maggior suoi. 0 Farà
Ruggiero il debito a tornare Al suo Signore; ed ella ancor lo fece, Che sforzar
non lo volse di restare, Come potea, con iterata prece. Ruggier potrà alla
donna satisfare A un altro tempo, s' or non satisfece:Ma all'onpr, chi gli
manca d'un momento, Non può in cento anni satisfar uè in cento. 7 Toma Ruggiero
in Arli, ove ha ritratta Agramante la gente che gli avanza. Bradamante e
Marfisa, che contratta Col parentado avean grande amistanza, Andaro insieme ove
re Carlo fetta La maggior prova avea di sua possanza, Sperando, o per battaglia
o per assedio, Levar di Francia cosi lungo tedio. 8 Di Bradamante, poi che
conosciuta III campo fu, si fé' letizia e festa. Ognun la riverisce e la
saluta; Ed ella a questo e a quel china la testa. Rinaldo, come udì la sua
venuta. Le venne incontra; uè Ricciardo resta, Né Ricciardetto, od altri di sua
gente, E la raccoglion tutti allegramente. 9 Come s'intese poi che la compagna
Era Marfisa, in arme si famosa, Che dal Cataio ai termini di Spagna Di mille
chiare palme iva pomposa; Non è povero o ricco che rimagna Nel padiglion: la
turba disiosa "Vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme, Sol per
veder sì bella coppia insieme, 10 A Carlo riverenti appresentarsi. Questo fu il
primo dì, scrive Turpino, Che fu vista Marfisa inginocchiarsi; Che sol le parve
il figlio di Pipino Degno, a cui tanto onor dovesse farsi. Tra quanti o mai nel
popol Saracino 0 nel cristiano, Imperatori e Regi Per virtù vide o per
ricchezza egregi. 11 Carlo benignamente la raccolse, E le uscì incontra ftior
dei padigfa'oni: E che sedesse a lato suo poi volse Sopra tutti, Re, Principi e
Baroni. Si die licenzia a chi non se la tolse, Sì che tosto restaro in pochi e
buoni. Restaro i Paladini e i gran Signori: La vilipesa plebe andò di fuori. 12
Marfisa cominciò con grata voce: Eccelso, invitto e gloiioso Augusto, Che dal
mar Indo alla Tirinzia foce, Dal bianco Scita all'Etìope adusto Riverir fai la
tua candida croce, • Né di te regna il più saggio o'I più giasto; Tua fama, eh'
alcun termine non serra, Qui tratto m'ha fin dall'estrema terra. 13 E, per
narrarti il ver, sola mi mosse Invidia, e sol per farti guerra io venni, Acciò
che sì possente un Re non fosse. Che non tenesse la lejrge ch'io tenni. Per
questo ho fatto le campagne rosse Del Cristian sangue; ed altri fieri cenni Era
perfarti da cru iel nimica, Se non cadea chi mi t' ha fatto amica. 14 Quando
nuocer pensai più alle tue squadre. Io trovo (e come sia dirò più ad agio)
Che'l buon Ruggier di Risa fu mio padre Tradito a torto dal f ratei malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre Di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un Mago infin al settimo anno, A cui gli Arabi poi rubata m' hanno; 15
E mi venderò in Persia per ischiava A un Re che poi cresciuta, io posi a morte.
Che mia virginità tor mi cercava. Uccisi lui con tutta la sua corte:Tutta
cacciai la sua progenie prava; E presi il regno, e tal fu la mìa sorte, Che
diciotto anni d'uno o di duo mesi Io non passai, che sette regni presi. 16 E di
tua fam\ invidiosa, come 10 t'ho già detto, avea fermo nel core La grande
altezza abbatter del tuo nome: Forse il faceva, o forse era in errore. Ma ora
avnen che questa voglia dome, E faccia cader Pale al mio furore. L'aver inteso,
poi che qui son giunta, Come io ti son d'affinità congiunta. 17 E come il padre
mio parente e servo Ti fu, ti son parente e serva anch' io:E quella invidia e
quell' odio protervo, 11 qual io t'ebbi un tempo, or tutto obblio; Anzi centra
Agramante io lo riservo, E contra ògn' altro che sia al padre o al zio Di lui
stato parente, che fur rei Di porre a morte i genitori miei. 18 E seguitò,
voler cristiana farsi, E, dopa eh' avrà estinto il re Agramante, Voler,
piacendo a Carlo, ritornarsi A battezzare il suo regno in Levante, Et indi
contra tutto il mondo armarsi, Ove Macon s'alori e Trivigante; E con
promissi'on, eh' ogni suo acquisto Sia dell' Imperio, e della fé' di Cristo. 19
L'Imperator, che non meno eloquente Era, che fose valoroso esaggio, Molto
esaltando la donna eccellente, E molto il padre e molto il suo lignaggio.
Rispose ad ogni parte umanamente, E mostrò in fronte aperto il suo coraggio; E
conchiuse nell' ultima parola, Per parente accettarla e per figliuola. 20 E qui
si leva, e di nuovo l'abbraccia, E, come figlia, bacia nella fronte. Vengono
tutti con allegra faccia Quei di Mongrana e quei di Chiaramente. Lungo a dir
fora quanto onor le faccia Rinaldo, che di lei le prove conte Vedute avea più
volte al paragone, Quando Albracca assediar col suo girone. 21 Lungo a dir fora
quanto il giovinetto Guidon s'allegri di veder costei, Aquilante e Grifone e
Sansonetto, Ch' alla città, crudel furon con lei • Malagigi e Viviano e
Ricciardetto, Ch' all' occision de' Maganzesi rei . E di quei venditori empj di
Spagna L'aveano avuta sì fedel compagna. 22 Apparecchiar per lo seguente giorno
. Ed ebbe cura Carlo egli medesmo, Che fosse un luogo riccamente adomo . Ove
prendesse Marfisa battesrao. I véscovi e gran chierici d'intorno, Che le leggi
sapean del Cristianesmo, Fece raccorre, aedo da loro in tutta La santa Fé'
fosse Marfisa in strutta. 23 Venne in pontificale abito sacro L'arcivesco
Turpino, e battezzolla: Carlo dal salutifero lavacro Con cerimonie debite
levolla. Ma tempo è ormai ch'ai capo vóto e micri' Di senno si soccorra con
l'ampolla, Con che dal ciel più basso ne venia II duca Astolfo sul carro
d'Elia. 24 Sceso era Astolfo dal giro lucente Alla maggiore altezza della
terra, . Con la felice ampolla che la mente Dovea sanare al gran mistro di
gaem. Un'erba quivi di virtù eccellente Mostra Giovanni al Dum d'Inghilterr
i:Con essa vuol ch'ai suo ritorno tocchi Al Re di Nubia e gli risani gli
occhi:25 Acciò per questi e per li primi merti Gente gli dia. con che Bierta
assaglia. E come poi quei popoli inesperti Armi ed acconci ad uso di battaglia,
E senza danno passi pei deserti Ove l'arena gli uomini abbarbaglia, A punto a
punto l'ordine che tegna, Tutto il Vecchio santissimo gl'insegna. 26 Poi lo fé
rimontar su quello alato Che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante. Il Paladin
lasci, licenziato Da san Giovanni, le contrade sante; E secondando il Nilo a
lato a lato, Tosto i Nubi apparir si vide innante; E nella terra che del regno
è capo, Scese dall'aria, e ritrovò il Senàpo. Stanza 26. 27 Molto fu il gaudio
e molta fu la gioia Che portò a quel Signor nel buo ritorno; Che hen si
raccordava della noia Che gli avea tolta, deir Arpie, d'intorno, Afa poi che la
grossezza gli discuoia Di quello umor che già gli tolse il giorio, E che gli
rende la vista di prima, I/arlora e cole, e come un Dio sublima: '2S Si che non
pur la gente che gli chiede Per muover guerra al regno di Biserta, Ma cento
mila sopra gli ne diede, E gli fé' ancor di sua persona offerta. La gente
appena, ch'era tutta a piede, Potea cajiir nella campagna aperta; Che di
cavalli ha quel paese inopia, 3Ta d'elefanti e di camelli copia. 29 L<\
notte innanzi il ì\ì che a suo cammino L'esercito di Nubia dovea porse, Montò
su rippogrifo il Paladino, E verso Mezzodì con fretta corse, Tanto che giunse
al monte che TAustrino Vento produce, e spira contra T Orse. Trovò la cava,
onde per stretta bocca, Quando si desta, il furioso scocca. 80 E, come
raccordògli il suo maestro, Ayea seco arrecato un utre vóto, Il qual. mentre
nell'antro oscuro alpestre AiliRticato dorme il fiero Noto, Allo spiraglio pon
tacito e destro; {)d è l'agguato in modo al vento ignoto, Ohe, oredendosi uscir
fuor la dimane, Preso • legato in quello utre rimane. 33 Poi che, inchinando le
ginocchia, fece Al santo suo maestro orazione, Sicuro che sia udita la sua
prece, Copia di sassi a far cader si pone. Oh quanto, a chi ben crede in
Cristo, lece! I sassi, fuor di naturai ragione Créscendo, si vedean venire in
giuso, E formar ventre e gambe e collo e muso: 34 E con chiari annitrir giù per
quei calli Venian saltando; e giunti poi nel piano, Scotean le groppe, e fatti
eran cavalli, Chi baio e chi leardo e chi rovano. La turba ch'aspettando nelle
valli Stava alla posta, lor dava di mano:Si che in poche ore fnr tutti montati;
Che con sella e con freno erano nati. Stanza 35 Ottanta mila cento e dua in un
giorno Fe\di pedoni, Astolfo cavalieri. Con questi tutta scorse Africa intomo,
Facendo prede, incendj e prigionieri Posto Agramante avea, fin al ritomo. Il Re
di Fersa e '1 Re degli Algazeri, Col re Branzardo a guardia del paese:E questi
si fèr contra al Duca inglese; 36 Prima avendo spacciato un sottil legno, Ch'a
vele e a remi andò battendo Ad Agramante avviso, come il r>igno PatJa dal Re
de' Nubi oltraggi e mali. Giorno e notte andò quel senza ritegno, Tanto che
giunse ai liti provenzali:E trovò in Arli il suo Re mezzo oppresso:ChèU campo
avea di Carlo un miglio appresso. 81 Di tanta preda il Paladino allegro,
Ritorna in Nubia, e la medesma luce Si pone a camminar col popol negro, E
vettovaglia dietro si conduce. A salvamento con lo stuolo integro Verso
l'Atlante il glorioso Duce Pel mezzo vien della minuta sabbia, Senza temer
che'l vento a nuocer gli abbia. 33 B giunto poi, di qua dal giogo, in parte
Onde il pian si discopre e la marina, Astolfo elegge la più nobil parte Del
campo, e la meglio atta a disciplina; E qua e là per ordine la parte Appiè d'un
colle, ove nel pian confina. Quivi la lascia, e su la cima ascende In vista
d'uom eh' a gran pensieri intende. 37 Sentendo il re Agramante a che periglio,
Per guadagnare il regno di Pipino, Lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
Principi e Re del popol Saracino. E poi ch'una o due volte girò il ciglio
Quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino, I quaì d'ogni altro fur, che vi
venisse, I duo più antiqui e saggi, cosi disse: 38 Quantunque io sappia come
mal convegna A un capitano dir, Non me '1 pensai, Pur lo dirò; ohe quando un
danno vegna Da ogni discorso uman lontano assai, A quel fallir par che sia
escusa degna: E qui si versa il caso mio; ch'errai A lasciar d'arme 1' Africa
sfornita . Se dalli Nubi esser dovea assalita. 39 Ma chi pensato avria, fuorché
Dio solo, A cui non è cosa fdtura ignota, Che dovesse venir con si gran stuolo
A farne danno gente si remota, Tra i quali e noi giace IMnstabil suolo Di
quell'arena ognor da' venti mota? Pur è venuta ad assediar Biserta, Ed ha in
gran parte l'Africa deserta. 40 Or sopra ciò vostro consiglio chieggio: Se par;
irmi di qui senza far frutto, Oppur seguir tanto l'impresa deggìo, Che prigion
Carlo meco abbi condutto; 0 come insieme io salvi il nostro seggio, E questo
imperiai lasci distrutto. S' alcun di voi sa dir, prego noi taccia, Acciò si
trovi il meglio, e quel si faccia. 41 Cosi disse Agramante; e volse gli occhi
Al Re di Spagna, che gli sedea appresso, Come mostrando di voler che tocchi, Di
quel e' ha detto, la risposta ad esso. E quel, poi che surgendo ebbe i ginorchi
Per riverenzia, e così il capo flesso. Nel suo onorato seggio si raccolse; ludi
la lingua a tai parole sciolse:42 0 bene o mal che la Fama ci apporti. Signor,
di sempre accrescer ha in usanza. Perciò non sarà mai ch'io mi sconforti, 0 mai
più del dover pigli baldanza Per casi, o buoni o rei, che sieno sorti; Ma
sempre avrò di par tema e speranza Ch'esser debban minori, e non del modo Ch'a
noi per tante lingue venir odo. 45 Yo' concedergli ancor, che sieno i Nubi Per
miracol dal ciel forse piovuti; 0 forse ascosi venner nelle nubi. Poiché non
far mai per cammin veduti. Temi tu che tal gente Africa rubi, Sebben di più
soccorso non l'alati? U tuo presidio avria ben trista pelle, Quando temesse un
popolo si imbelle. 46 Ma se tu mandi ancor che poche navi, Purché si veggan gli
stendardi tuoi, Non scioglieran di qua si tosto i cavi, Che fuggiranno nei
confini suoi Questi, 0 sien Nubi o sieno Arabi ignavi Ai quali il ritrovarti
qui con noi, Separato pel mar dalla tua terni, Ha dato ardir di romperti la
£:uerra. Stanza 36. 43 E tanto men prestar gli debbo fede, Quanto più al
verisimile s'oppou'". Or se gli é verisimile si vede. Ch'abbia con tanto
numer di persone Posto nella pugnace Africa il piede Un Re di sì lontana
regione, Traversando l'arene a cui Cambile Con male augurio il popol suo
commise. 44 Crederò ben che sian gli Arabi scesi Dalle montagne, ed abbian dato
il guasto, E saccheggiato, e morti uomini e presi. Ove trovato avran poco
contrasto; E che Branzardo, che di queipaesiLuogotenente e viceré é rimasto,
Per le decine scriva le migliaia, Acciò la scusa sua più degna paia. 47 Or
piglia il tempo che, per esser senza Il suo nipote Carlo, hai di vendetta.
Poich' Orlando non c'è, far resistenza Non ti può alcun della nimica setta. Se
per non veder lasci, o negligenza, L'onorata vittoria che t' aspetta, Volterà
il calvo ove ora il crin ne mostra, Con molto danno e lunga infamia nostra. 48
Con questo ed altri detti accortamente L'Ispano persuader vuol nel concilio,
Che non esca di Francia questa gente, Finché Carlo non sia spinto in esilio. Ma
il re Sobrin, che vide apertamente Il cammino a che andava il re Marsilio, Che
più per l'util proprio queste cose, Che pel comun, dicea, cosi rispose:49
Quando io ti coufortava a stare in pace, Foss io stato, Sigfnor, falso
indovino; 0 tu, s'io dovea pure esser verace, Creduto avessi al tuo fedel
Sobrino, £ non piuttosto a Rodomonte audace, A Marbalnsto, a Alzirdo e a
Martasino, Li quali ora vorrei qui avere a fronte: Ma vorrei più degli altri
Rodomonte, 50 Per rinfacciargli che volea di Francia Far quel che si faria d'uu
fragil vetro, E in cielo e nello 'uferno la tua lancia Seguire, anzi
lasciarsela di dietro; Poi nel bisogno si gratta la pancia, Neir ozio immerso
abbominoso e tetro:Ed io, che per predirti il vero, allora Codardo detto fui,
son teco ancora: 51 E sarò sempre mai, finchMo finisca Questa vita, eh ancor
che d'anni grave, Porsi incontra ogni dì per te smarrisca A qualunque di
Francia più nome bave. Né sarà alcun, sìa chi si vuol, ch'ardisca Di dir che
l'opre mie mai fosser prave: E non han più di me fatto né tanto Molti che si
donar di me più vanto. 52 Dico cosi, per dimostrar che quello Ch'io dissi
allora, e che ti voglio or dire, Né da vìltade vien né da cor fello, Ma d'amor
vero e da fedel servire. Io ti conforto ch'ai paterno ostello, Più tosto che tu
puoi, vogli redire; Che poco saggio si può dir colui Che perde il suo per
acquistar l'altrui. 53 S'acquisto c'è, tu'l sai. Trentadui fummo Re tuoi
vassalli a uscir teco del porto: Or se di nuovo il conto ne rassuroroo, C'è
appena il terzo, e tutto '1 resto è morto. Che non ne cadan più, piaccia a Dio
sommo: Ma se tu vuoi seguir, temo di corto, Che n"n ne rimarrà quarto né
quinto; E'I miser popol tuo fia tutto estinto. 54 Ch'Orlando non ci sia, ne
aiuta; ch'ove Siam pochi, forse alcun non ci saria. Ma per questo il periglio
non rimuove, Sebben prolunga nostra sorte ria. Ecci Rinaldo, che per molte
prove Mostra che non minor d'Orlando sia. C è il suo li naggio, e tutti i
Paladini, Timore etemo a' nostri Saracini; 55 Ed hanno appresso quel secondo
Marte . (Benché i nemici al mio dispetto loio). Io dico il valoroso
Brandimarte, Non men d'Orlando ad ogni prova sodo; Del qual provato ho la
virtnde in parte, Parte ne yegs;o all'altrui spese et odo. Poi son più di che
non e' è Orlando stato; E più perduto abbiam, che guadagnato. 56 Se per
addietro abbiam perduto, io temo Che da qui innanzi perderem più in grosso. Del
nostro campo Mandricardo è scemo; Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciati al punto estremo; E cosi il Re d'Algler, di cui dir posso
Che, S3 fosse fedel come gagliardo, Poco uopo era Gradasso o Mandricardo. 57
Ove sono a noi tolti questi aiuti, E tante mila son dei nostri morti; E quei
eh' a venir han son già venuti, Né s'aspetta altro legno che n'apporti: Quattro
son giunti a Carlo, non tenuti Manco d'Orlando o di Rinaldo forti; E con
ragion, che da qui sino a Battro Potresti mal trovar tali altri quattro. 58 Non
so se sai chi sia Guidon Selvaggio e Sansonetto e i figli d'Oliviero. Di questi
fu' più stima e più tema aggio che d'ogni altro lor duca e cavaliero che di
Lamagna o d'altro stran linguaggio sia contra noi per aiutar l'impero;
bench'importa anco assai la gente nuova ch'a' nostri danni in campo si ritrova.
59 Quante volte uscirai alla campagna, Tante avrai la peggiore, o sarai rotto. Se
spesso perde il campo Africa e Spagna, quando sian stati sedici per otto; che
sarà poi ch'Italia e che Lamagna con Francia è unita, e'l popolo anglo e
scotto, e che sei contra dodici saranno? ch'altro si può sperar, che biasmo e
danno? 60 La gente qui, là perdi a un tempo il regrno. S'in questa impresa più
duri ostinato; Ove, s'al ritornar muti disegno. L'avanzo di noi sèrvi ccn lo
stato. Lasciar Marsilio è di te caso indegno: Ch' ognun te ne terrebbe molto
ingrato. Ma c'è rimedio: far con Carlo pace; Ch'a lui deve piacer, se a te pur
piace. stanza 33. 61 Pur se ti par che non ci sia il tuo onore, Se tu, che
prima offeso sei, la chiedi:E la battaglia più ti sta nel core, Che, come sia
fin qui successa, vedi; Studia almen di restame vincitore; Il che forse avverrà,
se tu mi credi, Se d'ogni tua querela a un cavaliero Darai l'assunto; e se quel
fia Ruggiero. 62 lo'l so, e tu'l sai, che Ruggier nostro è tale, Che già da
solo a sol con l'arme in mano, Non men d'Orlando o di Rinaldo vale, Né d'alcun
altro cavalier cristiano. Ma se tu vuoi far guerra universale, Ancorché '1
valor suo sia soprumano, Egli però non sarà più eh' un solo, Ed avrà di par
suoi contra uno stuolo. 63 A me par, sa te par, ch'a dir si luandi Al Re
Cristian, che per finir le liti, E perchè cessi il sangue che tu spandi Ognor
de' suoi, egli de'tuoi infiniti, Che contra un tuo guerrier tu gli domandi Che
metta in campo uno dei suoi più arditi: E faccian questi duo tutta la guerra.
Finché Tun vinca, e T altro resti in terra; Stanza 65. 64 Con patto, che qual
d'essi perde, faccia CheU suo Re all'altro Re tributo dia. Questa condizi'on
non credo spiaccia A Carlo, ancorché sul vantaggio sia. Mi fido sì nelle
robuste braccia Poi di Ruggier, che vinci tor ne fia; E ragion tanta é dalla
nostra parte, Che vincerà, s'avesse incontra Marte. 65 Con questi ed altri più
efficaci detti Fece Sobrin sì, che '1 partito ottenne; E gì' interpreti fur
quel giorno eletti, E quel dì a Carlo l'imbasciata venne Carlo, ch'avea tanti
guerrier perfetti, Vinta per sé quella battaglia tenne, Di cui l'impresa al
buon Rinaldo diede, In ch'avea, dopo Orlando, maggior fede. 66 Di questo
accordo lieto parimente L'uno esercito e l'altro si godea; Chè'l travaglio del
corpo e della mente Tutti avea stanchi, e a tutti rincrescea. Ognun di riposare
il rimanente Della sua vita disegnato avea: Ognun maledicea l'ire e i furori
Ch' a risse e a gare avean lor desti i cori. 67 Rinaldo che esaltar molto si
vede. Che Carlo in lui dì quel che tanto pesa, Via più eh' in tutti gli altri,
ha avuto fede . Lieto si mette all'onorata impresa: Ruggier non stima; e
veramente crede Che contra sé non potrà far difesa:Che suo pari esser possa non
gli è avviso, Sebben in campo ha Mandricardo ucciso. 68 Ruggier dall'altra
parte, ancorché molto Onor gli sia che '1 suo Re V abbia eletto, E pel miglior
di tutti ì buoni tolto, A cui commetta un sì importante effetto: Pur mostra
affanno e gran mestizia in volto: Non per paura che gli turbi il petto; Che non
eh' un sol Rinaldo, ma non teme Se fosse con Rinaldo Orlando insieme: 69 Ma,
perché vede esser di lui sorella La sua cara e fidissima consorte, Ch'ognor
scrivendo stimola e martella. Come colei ch'é ingiuriata forte. Or s'alle
vecchie oflTese aggiunge quella D'entrare in campo a porle il frate a morte, Se
la farà, d'amante, così odiosa, Ch'a placarla mai più fia dura cosa. 70 Se
tacito Ruggier s'affligge ed auge Della battaglia che mal grado prende. La sua
car" moglier lacrima e piange. Come la nuova indi a poche ore intende.
Barte il bel petto, e l'auree chiome frange, E le guance innocenti irriga e
offende; E chiama con rammarichi e querele Ruggiero ingrato, e il suo destin
crudele, 71 D'ogni fin che sortisca la contesa, A lei non può venirne altro che
doglia. Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresi Pensar non vuol; che par
che '1 cor le toglia:Quando anco, per punir più d'una offesa, La ruina di
Francia Cristo voglia, Oltre che sarà morto il suo fratello, Seguirà un danno a
lei più acerbo e fello; 72 Ohe non potrà, se non con biasrao e scorno E
nimìcizia dì tutta sua gente, Fare al marito suo mai più ritorno, Si che lo
sappia ogun pubblicamente, Come s' avea, pensando notte e giorno, Più volte
disegnato nella mente: E tra lor era la promessa tale, Ohe 1 ritrarsi e il
pentir più poco vale. 73 Ma quella usata nelle cose avverse Di non mancarle di
soccorsi fidi, Dico Melissa maga, non sofferse Udirne il pianto e i dolorosi
gridi:E venne a consolarla, e le profferse, Quando ne fosse il tempo, alti
sussidi, E disturbar quella pugna futura, Di ch'ella piange e si pon tanta
cura. 74 Rinaldo intanto e F inclito Ruggiero Apparecchiavan Tarme alla
tenzone, Di cui dovea Teletta al Oa vallerò Che del romano Imperio era
campione. E come quel che, poi oboi buon destriero Perde Baiardo, andò sempre
pedone, Si elesse a pie, coperto a piastra e a maglia, Con Tazza e col pugnai
far la battaglia. 75 0 fosse caso, o fosse pur ricordo Di Malagigi suo provvido
e saggio, Che sapea quanto Balisarda ingordo Il taglio avea di fare alF arme
oltraggio, Combatter senza spada fur d'accordo L'uno e l'altro guerrier, come
detto aggio. Del luogo s'accordar presso alle mura DelT antiquo Arli, in una
gran pianura. 76 Appena avea la vigilante Aurora Dall' ostel di Titon fuor
messo il capo, Per dare al giorno terminato, e all'ora Ch'era prefissa alla battaglia,
capo: Quando di qua e di là vennero fuora I deputati: e questi in ciascun capo
Degli steccati i padiglion tiraro, Appresso ai quali ambi un aitar fermaro. 77
Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera, Si vide uscir l'esercito pagano.
In mezzo armato e sontuoso v'era Di barbarica pompa il Re africano; E s'un baio
corsier di chioma nera, Di fronte bianca, e di duo pie balzano, A par a par con
lui venia Ruggiero, A cui servir non è Marsilio altiero. 78 L'elmo che dianzi
con travi\glio tanto Trasse di testa al Re di Tarlarla, L' elmo che celebrato
in maggior Canto Portò il troiano Ettor milT anni pria, Gli porta il re
Marsilio a canto a canto: Altri Principi ed altra Baronia S' hanno partite
Taltrarme fìra loro, Ricche di gioie e ben fregiate d'oro 79 Dall'altra parte
fuor dei gran ripari Re Carlo usci con la sna gente d'arme, Con gli ordini
medesmi e modi pari Che terria se venisse al fatto d'arme. Cingonlo intorno i
suoi famosi Pari; E Rinaldo è con lui con tutte Tarme, Fuorché T elmo che fu del
re Mambrino, Che porta Uggier danese, paladino. 80 E di due azze ha il duca
Namo l'una, E l'altra Salamon re di Bretagua. Carlo da un lato i snoi tutti
raguna; Dall'altro son quei d'Africa e di Spagna. Nel mezzo non appar persona
alcuna; Voto riman gran spazio di campagna: Che per bando comune a chi vi sale,
Eccetto ai duo guerrieri, è capitale. 81 Poi che dell'arme la seconda eletta Si
die al campion del popolo pagano, Duo sacerdoti, T un dell' una setta, L'altro
dell' altra, uscir coi libri in mano. In quel del mstro è la vita perfetta
Scritta di Cristo, e T altro è l'Alcorano: Con quel dell'Evangelio si fé'
innante L'Imperator, con l'altro il re Agramante. 82 Giunto Carlo all'alter che
statuito I suoi gli aveano, al ciel levò le palme, E disse: 0 Dio, e' hai di
morir patito Per redimer da morte le nostr'alme; 0 Donna, il cui valor fu sì
gradito. Che Dio prese da te l'umane salme, E nove mesi fu nel tuo santo alvo.
Sempre serbando il fior virgineo salvo:83 Siatemi testimoni, ch'io prometto Per
me e per ogni mia successione, Al re Agramante, ed a chi dopo eletto Sarà al
governo di sua regione, Dar venti some ogni anno d'oro schietto, S' oggi qui
riman vinto il mio campione; E ch'io prometto subito la trìegua Incominciar che
poi perpetua segua 84 £ se'n ciò manco, subito sfaccenda La formidabil ira
dambidui La qnal me solo e i miei figliuoli offenda, Non alcun altro che sìa
qui con nui; Sì che in brevissima ora si comprenda che sia il mancar della
promessa a vui. Così dicendo, Carlo sul Vangelo Tenea la mano, e gli occhi
fissi al cielo. 87 Ruggier promette, se della tenzone Il suo Re Tiene o manda a
disturbarlo, Che né suo guerrier più, né suo barone £sser mai vuol, ma darsi
tutto a Carlo. Giara Rinaldo ancor, che se cagione Sarà del suo Signor quindi
levarlo. Finché non resti vinto egli o Ruggiero, Si farà d'Agramante cavaliero.
85 Si levan quindi, e poi vanno all'altare Che riccamente avean Pagani adomo;
Ove giurò Agramante, eh' oltre al mare, Con V esercito suo farà ritomo, Ed a
Carlo daria tributo pare, Se restasse Ruggier vinto quel giorno: E perpetua tra
lor triegua saria, Coi patti ch'avea Carlo detti pria. 86 E similmente con
parlar non basso, Chiamando in testimonio il gran Maumette, Sul libro che in
man tiene il suo Papasso, Ciò che detto ha, tutto osservar promette Poi del
campo si partono a gran passo, E tra i suoi l'uno e l'altro si rimette: Poi
quel par di campioni a giurar venne; E'I giuramento lor questo contenne. 88 Poi
che le cerimonie finite hanno, Si ritoma ciascun dalla sua parte; Né v'indugiano
molto, che lor danno Le chiare trombe segno al fiero Marte. Or gli animosi a
ritrovar si vanno, Con senno i passi dispensando ed arte. Ecco si vede
incominciar l'assalto Sonar il ferro, or girar basso, or alto. 89 Or innanzi
col calce, or col martello Accennau quando al capo e quando al piede, Con tal
destrezza e con modo si snello. Cli'ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier, che combattea centra il fratello Di chi la misera alma gli possiede, A
ferir lo venia con tal riguardo, Che stimato ne fu manco gagliardo. 90 Eia a
parar, più eh' a ferire, intento; E non sapea egli stesso il suo desire.
Spegner Rinaldo saria mal contento; Né vorria volentieri egli morire. Ma ecco
giunto al termine mi sento, Ove convien l'istoria diflFerire. Nell'altro Cauto
il resto intenderete, S'udir nell'altro Canto mi verrete. NOTE: St. 2. v.4.
Creso o Crasso: V uno fa re di Lidia, l'altro patrizio romiiio, tutti e due
ricchissimi. St. 12. V.3. Alla Tirinzia foce: allo stretto di Gibilterra,
formato dalle colonne d'Ercole, soprannomi nato alcune volte Tirinzio, perchè
educato in Tirinta, antica città del Peloponneso. St. 20. V.8. Albracca
assediar col suo girone: con tutto il grosso cerchio delle più alte fortezze
inteme. St. 26. v.1. Sm mcìo o/afo. iiiteiidesi l'Ippogiifo. St. 29. v 56
Anstrino vento: vento che spira da mezzogiorno. St 31 .v.2. Ela medesma luce: e
nello stesso giorno. St. 35. V.6. Il re di Fersa e il re de ili Algazeri. Il
primo nominavasi Folvo, e l'altro Bua far. st. 3. V.6. Mota: mossa, agitata.
St. 41. V.6. Flesio: piegato. St. 4:1 V.78. L'arene a cui Camhise, ecc. Questo
re di Persia spedi uu esercito contro gli Ammonì, popoUi della Libia ai confini
della Cirenaica, e i soldati restarono sepolti sotto l'arena sollevata dal
vento. St. 47. V.7. Volterà il calvo ove ora il erin u mostra" La Fortuna
rappresentasi con un sol daffa di capelli sul davanti del capo, e calva in
tutto il rìmaaeot?. St. 57. V.7. Battro: antica città, tr& il Caucaso ed il
mar Caspio. É qui usato senz'altro per paese lontano. come dire fino al più
lontano oriente. St. 77. V.18. Instrutto: qui disposto. St. 78. V.3. In maggior
Canto: neW Iliade di Onero. St. 79. V.5. J suoi famosi Pari: i paladini, ch'e
rano dodici, e cosi detti perchè tutti di egnal disnirà nella corte di Carlo.
St. 80. V.28. /; capitale: è delitto da pnnirsi con U morte. St. 86. V.3.
Papasso: sacerdote. XXXIX Stanza 27 Htilrnsn f'ol m'Kf> iU un
ìnriiiilosiiiio Th vho jjrmanl romim I palli gì II rati uello fTaliilire il
dm'llo; ijuìjiili vonono alle mani i dne PHcrciti, e i >I{ii i hanno la
l>'f;io. Astolfo fa proiieze iit Afika e vi crK'n iini llolta. Egli d i suoi
conipapiù s'Imbniltoiio in Orlando, li Astfilfii gli rfinde il siivun
Afìraiìiante, pojtosl alla vela, con le Kilt'' tTUppi iiTC'tintra Isti JUdta
crbtiaiia. da imi vk'iio a>sdalLto. !/aflUnnri di Riisiier ben veramente K
K(]ira tsgif ftlrro duro, acerba e forte, T"i cui tràvas:li;i il cur|ìii,
e pili la mente Puìcìiè di due fntir non può una mnrte; o dEi Riimldo, 5=e di
lui posseiito Fia Tiii'iio; 0 P" tiii più. dalla couìorte: (he tìel fratel
le uccide, sa clf incorre Xeir odio suo, che più clic nicirtc abburre KiniiMo,
die non h;x simìl jfeniiiery. Tu ri] tri i lujili alla virluria asjiira: Mtna
deirjiKza dispetroso e riero; (nauibi allt braccia e quando al capo mìr;\.
Vultcfiaudo con Taita il Luou Riu%nerfi Ribatte il colpo, e quinci e quindi
gira; E se percuote pur, disegna loco Ove possa a Rinaldo nuocer poco. B Alla
più parte dei Signor pagani Troppo par disegnai esser la zuffa: Troppo è
Ruggier pigro a menar le mani; Troppo Rinaldo il giovine ribuffa. Smarrito in
faccia il Re degli Africani Mira l'assalto, e ne sospira e sbuffa; Ed accusa
Sobrin, da cui procede Tutto l'error, cbe'l mal consiglio diede. 4 Melissa in
questo tempo, ch'era fonte di quanto sappia incantatore o mago, Avea cangiata
la femminil fronte, E del gran Re d' Algier presa IMmago. Sembrava al viso, ai
gesti Rodomonte, E pnrea armata di pelle di drago; E tal lo scudo, e tal la
spada al fianco Avea, quale usava egli, e nulla manco. 5 Spinse il Demonio
innanzi al mesto fiorilo Del re Troiano, in forma di cavallo; K con gran voce e
con turbato ciglio Disse: Signor, questo è pur troppo fallo. Oh' un giovene
inesperto a far periglio Contra un si forte e si famoso Gallo Abbiate eletto in
cosa di tal sorte, Che'l regno e Touor d'Africa n'importe. 6 Non sì lassi
seguir questa battaglia, Che ne sarebbe in troppo detrimento. Su Rodomonte sia;
né ve ne caglia L'avere il patto rotto e'I giuramento. Dimostri ognun, come sua
spada taglia: Poich'io ci sono, ognun di voi vai cento. Potè questo parlar si
in Agr.imante, Che, senza più pensar, si cacciò innante. 7 II creder d'aver
seco il Re d'Algieri Fece che si curò poco del patto; E non avria di mille
cavalieri Giunti in suo aiuto si gran stima fatto. Perciò lance abbassar,
spronar destrieri Di qua dì là veduto fu in un tratto. Melissa, poi che con sue
finte larve La battaglia attaccò, subito sparve. 8 I duo campion, che vedono
turbarsi Contra ogni accordo, contra ogni promessa. Senza più l'un con l'altro
travagliarsi, Anzi ogni ingiuria avendosi rimessa. Fede si dan, né qua né là
impacciarsi, Finché la cosa non sia meglio espressa, Chi stato sia che i patti
ha rotto innante, O'I vecchio Carlo, o'I giovene Agramante. 9 E replican con
nuovi giuramenti D'esser nimici a chi mancò di fede. Sozzopra se ne van tutte
le genti:Chi porta innanzi, e chi ritorna il piede. Chi sia fra i vili, e chi
tra i più valenti, In un atto medesimo si vede. Son tutti parimente al correr
presti; Ma quei cirrono innanzi, e indietro questi. 10 Come levrier che la
fugace fera Correre intorno ed aggirarsi mira, Né può con gli altri cani andare
in schiera. Che'l cacciator lo tien, si strugge d'ira Si tormenta, s'affligge e
si dispera, Schiattisce indamo, e si dibatte e tira: Cosi sdegnosa infin allora
stata Marfisa era quel di con la cognata. 11 Fin a quell'ora avean quel dì
vedute Si ricche prede in spazioso piano; E che fosser dal patto ritenute Di
non poter seguirle e porvi mano . Rammaricate s' erano e dolute, E n' avean
molto sospirato invano. Or che i patti e le triegue vider rotte, Liete saltar
nell'africane frotte. 12 Marfisa cacciò l'asta per lo petto Al primo che
scontrò, due braccia dietro: Poi trasse il brando, e in men che non V ho dett
Spezzò quattro elmi che sembrar di vetro. Bradamante non fé' minore effetto; Ma
l'asta d'or tenne diverso metro: Tutti quei che toccò, per terra mise; Duo
tanti fur, né però alcuno uccise. 13 Questo si presso l'una all'altra fero, Che
testimonie se ne flir tra loro; Poi si scostare, ed a ferir si diero, Ove le
trasse l'ira, il popol moro. Chi potrà conto aver d'ogni guerriero Ch'a terra
mandi quella lancia d'oro? E d'ogni testa che tronca o divisa Sia dall'orribil
spada di Marfisa? 14 Come al soffiar de' più benigni venti. Quando Apennin
scopre l'erbose spalle, Muovonsi a par duo turbidi torrenti . Che nel cader fan
poi diverso calle; Svellono i sassi e gli arbori eminenti Dall'alte ripe, e
portan nella valle Le bia'e e i campi; e quasi a gara fanno A chi far può nel
suo cammin più danno: 611 15 Così le due magnanime guerriere, Scorrendo il
campo per diversa strada, Gran strage fan neir africane schiere, Lnna con
Tasta, e 1 altra con la spada. Tiene Adamante a pena alle bandiere La gente
sua, eh' in fuga non ne vada. Invan domanda, invan volge la fronte; Né pnò
saper che sìa di Rodomonte. 16 A conforto di lui rotto avea il patto (Cosi
credea) che fu solennemente, I Dei chiamando in testimonio, fatto; Poi s era
dileguato sì repente. Né Sobria vede ancor. Sobrin ritratto lu Arli s'era, e
dettosi innocente; Perchè di quel pergiuro aspra vendetta Sopra Agramante il dì
medesmo aspetta. 17 Marsilio anco è fuggito nella terra; Si la religi'on gli
preme il core. Perciò male Agramante il passo serra A quei che mena Carlo
imperatore, D Italia, di Lamagna e d'Inghilterra, Che tutte genti son d'alto
valore; Ed hanno i Paladin sparsi tra loro, Come le gemme in un ricamo 4 oro:18
E presso ai Paladini alcun perfetto, Quanto esser possa al mondo cavaliero,
Guidon Selvaggio, l'intrepido petto, E i duo famosi figli d'Oliviero. Io non
voglio ridir, ch'io l'ho già detto. Di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti saraeine Tanto, che non v'è numero né fine. 19 Ma,
differendo questa pugna alquanto. Io vo' passar senza navilio il mare. Non ho
con quei di Francia da far tanto. Ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare. La
grazia che gli die l'Apostol santo Io v'ho già detto, e detto aver mi pare
Che'l re Branzardo e il Re dell'Algazera Per girgli incontra armasse ogni sua
schiera. 20 Furon di quei ch'aver poteano in fretta. Le schiere di tu tt'
Africa raccolte. Non men d'inferma età che di perfetta; Quasi eh' ancor le
femmine fur tolte. Agramante ostinato alla vendetta, Avea già vota l'Africa due
volte. Poche genti rimase erano, e quelle Esercito facean timido e imbelle. 21
Ben lo mostrar; che gl'inimici appena Vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo, come pecore " li mena Dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti, E
fa restarne la campagna piena: Pochi a Biserta se ne son ridotti: Prigion
rimase Bucifar gagliardo; Salvossi nella terra il re Branzardo. 22 Via più
dolente sol di Bucifaro, Che se tutto perduto avesse il resto. Biserta è
grande, e farle gran riparo Bisogna, e senza lui mal pnò far questo. Poterlo
riscattar molto avria caro. Mentre vi pensa, e ne sta afflitto e masto, Gli
viene in mente come tieu prigione Già molti mesi il paladin Dudone. 23 Lo prese
sotto a Monaco in riviera U Re di Sarza nel primo passaggio. Da indi in qua
prigion sempre stato era Dudon, che del Danese fu lignaggio. Mutar costui col
Re dell'Algazera Pensò Branzardo, e ne mandò messaggio Al capitan de' Nubi
perchè intese. Per vera spia, eh' egli era Astolfo' inglese. 24 Essendo Astolfo
paladin, comprende Che dee aver caro un paladino sciorre. Il gentil Duca, come
il caso intende, Col re Branzardo in un voler concorre. Liberato Dudon, grazie
ne rende Al Duca, e seco si mette a disporre Le cose che appartengono alla
guerra, Così quelle da mar, come da terra. 25 Avendo Astolfo esercito infinito
Da non gli far sette Afriche difesa; E rammentando come fu ammonito Dal santo
Vecchio, che gli die l'impresa, Di tor Provenza e d'Acquamorta il lito Di man
de' Saracin che l'avean presa:D'una gran turba fece nuova eletta. Quella ch'ai
mar gli parve manco inetta). 26 Ed avendosi piene ambe le palme, Quanto potean
capir, di varie fronde A lauri, a cedri tolte, a olive, a palme, Venne sul
mare, e le gittò nell' onde, uh felici e dal Ciel ben dilette alme! Grazia che
Dio raro a' mortali infonde! Oh stupendo miracolo che nacque Di quelle frondi,
come fur nell'acque! 27 Crebbero in quantità fuor d'ogni stima; Si feron curve
e grosse e lunghe e gravi; Le vene cVa traverso aveano prima, Mutaro in dure
spranghe e in grosse travi; E rimanendo acute in ver la cima, Tutto in un
tratto diventaro navi Di differenti qualitadi, e tante, Quante raccolte fur di
varie piante. 28 Miracol fu veder le fronde sparte Pro'lur f uste, galee, navi
da gabbia. Fu mirabile ancor, che vele e sarte E remi avean, quanto alcun legno
n'abbia. Non mancò al Duca poi chi avesse l'arte Di governarsi alla ventosa
rabbia; Che di Sardi e di Córsi non remoti, Nocchier, padron, pennesi ebbe e
piloti. 29 Quelli che entraro in mar, contati foro Ventiseimila, e gente d'ogni
sorte. Dudon andò per capitano loro, Cavalier saggio, e in terra e in acqua
forte. Stava Tarmata ancora al lito moro, Miglior vento aspettando che la
porte, Quando un naviglio giunse a quella riva, Che di presi guerrier carco
veniva. 30 Portava quei ch'ai periglioso ponte, Ove alle giostre il campo era
sì stretto, Pigliato avea l'audace Rodomonte, Come più volte io v' ho di sopra
detto. Il cognato tra questi era del Conte; E il fedel Brandimarte e
Sansonetto, Ed altri ancor, che dir non mi bisogna, D'Alemagna, d'Italia e di
Guascogna. Èl Quivi il nocchier, eh' ancor non s'era accorto Degl'inimici,
entrò con la galea, Lasciando molte mislia addietro il porto D'AIgieri, ove
calar prima volea. Per un vento gagliardo ch'era sorto, E spinto oltre il dover
la poppa avea. Venir tra i suoi credette, e in loco fido, Come vien Progne al
suo loquace nido. 32 Ma come poi l'imperiale Augello, I Gigli d'oro, e i Pardi
vide appresso, Restò pallido in faccia, come quello Che'l piede incauto
d'improvviso ha messo Sopra il serpente venenoso e fello, Dal pigro sonno in
mezzo l'erbe oppresso; Che spaventato e smorto si ritira, Fuggendo quel eh' è
pien di tosco e d'ira. 33 Già non potè fuggir quindi il nocchiero t Né tener
seppe i prigion suoi di piatto. Con Brandimarte fu, con Oliviero, Con
Sansonetto e con molti altri tratta Ove dal Duca e dal fìgliuol d' Uggiero Fu
lieto viso agli suo' amici fatto; E per mercede, lui che li condusse, Volson
che condannato al remo fusse. 34 Come io vi dico, dal figliuol d' Otone I
cavalier Cristian furon ben visti, E di mensa onorati al paliglione. D'arme e
di ciò che bisognò provvisti. Per amor d'essi differì Dudone L'andata sua; che
non minori acquisti Di ragionar con tai baroni estima, Che d'esser gito uno o
due giorni prima. 35 In che stato, in che termine si trove E Francia e Carlo,
istruzion vera ebbe; E dove più sicuramente, e dove, Per far miglior effetto,
calar debbe. Mentre da lor venia intendendo nuove, S'udì un rumor che tuttavia
più crebbe; E un dar all'arme ne segui si fiero. Che fece a tutti far più d'un
pensiero. 36 II duca Astolfo e la compagnia bella. Che ragionando insieme si
trovare. In un momento armati furo e in sella, E verso il maggior grido in
fretta andaro, Di qua di là cercando pur novella Di quel remore; e in loco
capitalo. Ove videro un uom tanto feroce. Che nudo e solo a tutto '1 campo nuoce.
37 Menava un suo baston di legno in volta, Ch'era si duro e si grave e sì
fermo, Che declinando quel, facea ogni volta Cader in terra un uom peggio
ch'infermo. Già a più di cento avea la vita tolta; Né più se li facea riparo o
schermo. Se non tirando di lontan saette:Da presso non é alcun già che
Paspette. 38 Dudone, Astolfo, Brandimarte essendo Corsi in fretta al remore, ed
Oliviero, Della gran forza e del valor stupendo Stavan maravigliosi di quel
fiero; Quando venir s'un palafren correndo Videro una donzella in vestir nero.
Che corse a Brandimarte e salutollo, E gli alzò a un tempo ambe le braccia al
collo. Stanza 15. 39 Questa era Fiordilìgi, che si acceso Ayea d'amor per
Brandimarte il core, Che, quando al ponte stretto il lasciò preso, Vicina ad
impazzar fu di dolore. Di là dal mare era passata, inteso Avendo dal Pagan che
ne fu autore, Che mandato con molti cavalieri Era prigion nella città d
Algieri. 40 Quando fu per passare, avea trovato A Marsilia una nave di Levante,
Ch' un vecchio cavaliere avea portato Della famiglia del re Monodante; Il qual
molte provincie avea cercato, Quando per mar, quando per terra errante, Per
trovar Brandimarte; che nuova ebbe Tra via di lui, eh' in Francia il
troverebbe. 41 Ed ella conosciuto che Bardino Era costui, Bardino che rapito Al
padre Brandimarte Piccolino, Ed a Rocc\ Silvana avea no trito, E la cagione
incesa del cammino, Seco fatto l'avea scioglier dal Jito, Avendogli narrato in
che maniera Brandimarte passato in Africa era. 42 Tosto che furo a terra, udir le
nuove, Ch'assediata da Astolfo era Biserta. Che seco Brandimarte si ritrove
Udito avean, ma non per cosa certa. Or Fiordiligi in tal fretta si muove, Come
lo vede, che ben mostra aperta Queir allegrezza ch'i precessi guai Le fero la
maggior ch'avesse mai. Stanza 40. 43 II gentil Cavalier, non men giocondo Di
veder la diletta e fida moglie, Ch'amava più che cosa altra del mondo.
L'abbraccia e stringe, e dolcemente accoglie: Né per saziare al primo né al
secondo Né al terzo bacio era l'accese voglie; Se non ch'alzando gli occhi,
ebbe veduto Bardin che con la donna era venuto. 44 Stese le mani, et abbracciar
lo volle, E insieme domandar perchè venia; Ma di poterlo far tempo gli tolle Il
campo ch'in disordine fuggia Dinanzi a quel boston che '1 nudo folle Menava
intorno, e gli facea dar via. Fiordiligi mirò quel nudo in fronte, E gridò a
Brandimarte: Eccovi il Conte. 45 Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi, Che
questo Orlando fosse, ebbe palese Per alcun segno che dai vecchi Divi Su nei
terrestre Paradiso intese. Altrimente resuavan tutti privi Di cognizion di quel
Signor cortese, Che per lungo sprezzarsi, come stolto, Avea di fera, più che
d'uomo, il volto. 46 Astolfo, per pietà, che gli trafisse Il petto e il cor, si
volse lacrimando:Et a Dudon, che gli era appresso, disse, Et indi ad Oliviero:
Eccovi Orlando. Quei gli occhi alquanto e le palpebre fisse Tenendo in lui,
l'andar raffigurando; E '1 ritrovarlo in tal calamitade, Gli empi di maraviglia
e di pietade. 47 Piangeano quei Signor per la più parte; Si lor ne dolse, e lor
ne 'ncrebbe tanto. Tempo è, lor disse Astolfo, trovar arte Di risanarlo, e non
di fargli il pianto:E saltò a piedi, e cosi Brandimarte, Sansonetto, Oliviero e
Dudon santo; E s' avventar(c) al nipote di Carlo Tutti in un tempo; che volean
pigliarlo. 48 Orlando che si vide fare il cerchio, Menò il baston da disperato
e folle; Et a Dudon, che si facea coperchio Al capo dello scudo, ed entrar
volle, Fé' sentir ch'era grave di soperchio:E se non che Olivier col brando
tolle Parte del colpo, avria il bastone inginsto Rotto lo scudo, l'elmo, il
capo e il busto. 49 Lo scudo roppe solo, e su Telmetto Tempestò sì, che Dudon
cadde in terra. Menò la spada a un tempo Sansonetto, E del baston più di duo
braccia afferra Con valor tal, che tutto il taglia netto. Brandimarte, eh'
addosso se gli serra, Gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe Le braccia, e
Astolfo il piglia nelle gambe. 50 Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi Da sé
l'Inglese fé' cader riverso:Non fa però che Brandimarte il lassi. Che con più forza
l'ha preso a traverso. Ad Olivier, che troppo innanzi fassi, Menò un pugno sì
duro e si perverso, Che lo fé' cader pallido ed esangue, E dal naso e dagli
occhi uscirgli il sangue. 51 E se non era l'elmo più che buono Ch' avea
Olivier, V avria quel pugno ucciso:Cadde però, come se fatto dono Avesse dello
spirto al Paradiso. Dudone e Astolfo che levati sojo, Benché Dudone abbia gonfi
"to il viso, E Sansonetto che'l bel colpo ha fatto, Addosso a Orlando son
tutti in un tratto. 55 Come egli è iu terra, gli son tutti addosso, E gli legan
più forte e piedi e mani. Assai di qua di là sè Orlando scosso; Ma sono i suoi
risforzi tutti vani. Comanda Astolfo che sia quindi mosso, Che dice voler far
che si risani. Dudon eh' è grande, il leva in su le schene E porta al mar sopra
T estreme arene. "faPrt, Stanza 51. 56 Lo fa lavar Astolfo sette volte, E
sette volte sotto acqua l'attuffa; Si che dal viso e dalle membra stolte Leva
la brutta roghine e la muffa: Poi con cert' erbe, a questo effetto colte La
bocca chiuder fi, che soffia e buffa; Che non volea ch'avesse altro meato Onde
spirar, che per lo naso, il fiato. 57 Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso, Tn
che il vsenno d'Orlando era rinchiuso; E quello in moflo appropinquogli al
naso. Che nel tirar che fece il fiato in suso, Tutto il votò. Maraviglioso caso
! Che ritornò la mente al primier uso; E ne' suoi bei discorsi l'intelletto
Rivenne, più che mai lucido e netto. 02 Dudon con rran vigor dietro V abbraccia
. Pur tentando col pie farlo cadere: Astolfo e gli altri gli han prese le
braccia, Xè Io puon tutti insieme anco tenere. Chi ha visto toro a cui si dia
la caccia, E eh' alle orecchie abbia le zanne fiere, Correr mugliando, e trarre
ovunque corre I cani seco, e non potersi sciorre; 53 Immagini ch'Orlando fosse
tale, Che tutti quei gnerrier seco traea. Tn quel tempo Olivier di terra sale,
Là dove steso il gran pugno l'avea; E visto che cosi si potea male Far di lui
quel ch'Astolfo far volea. Si pensò un modo, et ad effetto il messe, Di far
cader Orlando, e gli successe. 54 Si fé' quivi arrecar più d'una fune, E con
nodi correnti adattò presto; Ed alle gambe ed alle braccia alcune Fé' porre al
Conte, ed a traverso il resto. Di quelle i capi poi parti in comune, E li diede
a tenere a quello e a questo. Per quella via che maniscalco atterra Cavallo 0
bue, fu tratto Orlando in terra. Stanza 54. 58 Come chi da noioso e grave
sonno, Ove, 0 veder abbominevol forme Di mostri che non son, né eh' esser
ponno, 0 gli par cosa far strana ed enorme, Ancor si maraviglia, poi che donno
È fatto de' suoi sensi, e che non dorme; Così poi che fa Orlando d'error
tratto. Restò maraviglioso e stupefatto. 59 E Brandimarte, e il f ratei d'Alda
bella, E qnel cheU senno in capo gli ridusse, Pur penando liguarda, e iron
favella, Com'egli quivi, e quando si condusse. Girava gli occhi in questa parte
e in quella Né sapea imaginar dove si fusse; Si maraviglia che nudo si vede, E
tante funi ha dalle spalle al piede. 60 Poi disse, come già di?se Sileno A quei
che lo legar nel cavo speco:Solvite me, con viso si sereno, Con guardo sì men
dell'usato bieco, Che fu slegato, e de' panni ch'avieno Fatti arrecar
parteciparon seco; Consolandolo tutti del dolore. Che lo premea, di quel
passato errore. stanza 67. HI Poi che fu all'esser primo ritornato Orlando più
che mai saggio e virile, D'amor si trovò insieme liberato; Si che colei che sì
bella e gentile Gli parve dianzi, e eh' avea tanto amato, Non stima più, se non
per cosa vile. Ogìii suo studio, ogni disio rivolse A racquistar quanto già
Amor gli tolse. 62 Narrò Bardino intanto a Brandimarte, Che morto era il suo
padre Monodante; E che a chiamarlo al regno egli da parte Veniva prima del
fratel Gigliante, Poi delle genti ch'abitan le sparte Isole in mare, e l'ultime
in Levante; Di che non era un altro regno al mondo Si ricco, populoso, o si
giocondo. 63 Disse, tra più ragion, che dovea farlo. Che dolce cosa era la
patria; e quando Si disponesse di voler gustarlo, Avria poi sempre in odio
andare errando. Brandimarte rispose, voler Carlo Servir per tutta questa guerra
e Orlando; E se potea vederne il fin, che poi Penseria meglio sopra i casi
suoi. 64 II di seguente la sua armata spinse Verso Provenza il figlio del
Danese:Indi Orlando col Duca si ristrinse, Ed in che stato era la guerra,
intese: Tutta Biserta poi d'assedio cinse, Dando però l'onore al Duca inglese
D'ogni vittoria; ma quel Duca il tutto Facea, come dal Conte venia instmtto. V.
V stanza 44. 65 Ch' ordine abbian tra lor, come s' assaglia La gran Biserta, e
da che lato e quando, Come fu presa alla prima battaglia, Chi neir onor parte
ebbe con Orlando, S'io non vi seguito ora, non vi caglia; ChMo non me ne vo
molto dilungando. In questo mezzo di saper vi piaccia Come dai Franchi i Mori
hanno la caccia. 66 Fu quasi il re Agramante abbandonato Nel pericol maggior di
quella guerra; Che con molti Pagani era tornato Brarsilio e 1 re Sobrin dentro
alla terra; Poi su V armata e questo e quel montato, Che dubbio avean di non
salvarsi in terra; E duci e cavalier del popol moro Molti seguito avean T
esempio loro. 67 Pure Agramante la pugna sostiene; E quando finalmente più non
puote, Volta le spalle, e la via dritta tiene Alle porte non troppo indi
remote. Babican dietro in gran fretta gli viene, Che Bradamante stimola e
percuote. D'ucciderlo era disiosa molto; Che tante volte il suo Buggier le ha
tolto. 68 II medesmo desir Marfìsa avea, Per far del padre suo tarda vendetta,
E con gli sproni, quanto più potea, Facea il destrier sentir ch'ella avea
fretta. Ma né l'una né l'altra vi giungea Sì a tempo, che la via fosse intercetta
Al Be d'entrar nella città serrata. Et indi poi salvarsi in su l'armata. 71 E
fatto sopra il Bodano tagliare I ponti tutti. Ah sfortunata plebe, Che dove del
tiranno utile appare, Sempre è in conto di pecore e di zebe! Chi s'affoga nel
fiume e chi nel mare, Chi sanguinose fa di sé le glebe. Molti perir, pochi
restar prigioni; Che pochi a farsi taglia erano buoni. 72 Della gran
moltitudine ch'uccisa J'u da ogni parte in quest' ultima guerra (Benché la cosa
non fu ugual divisa, Ch' assai più andar dei Saracin sotterra Per man di
Bradamante e di Marfisa), Se ne vede ancor segno in quella terra; Che presso ad
Arli, ove il Bodano stagna Piena di sepolture è la campagna. Stanza 71. 69 Come
due belle e generose par de Che fuor del lascio sien di pari uscite, Poscia eh'
i cervi o le capre gagliarde Indarno aver si veggano seguite. Vergognandosi
quasi, che fur tarde, Sdegnose se ne tornano e pentite; Cosi tornar le due
donzelle, quando Videro il Pagan salvo, sospirando. 73 Fatto avea intanto il re
Agramante sciorre E ritirar in alto i legni gravi, Lasciando alcuni, e i più
leggieri, a torre Quei che volean salvarsi in su le navi. Vi sté duo di, per
chi f uggia raccorre; E perchè i venti eran contrari e pravi, Fece lor dar le
vele il terzo giorno; Ch'in Africa credea di far ritorno. 70 Non però si
fermar; ma nella frotta Degli altri cbe fuggivano cacciarsi, Di qua di là
facendo ad ogni botta Molti cader, senza mai più levarsi. A mal partito era la
gente rotta, Che per fuggir non potea ancor salvarsi; Oh' Agramante avea fatto,
per suo scampo, Chiuder la porta ch'uscia verso il campo, 74 II re Marsilio,
che sta in gran paura Ch'alia sua Spagna il fio pagar non tocche, E la tempesta
orribilmente oscura Sopra i suoi campi all' ultimo non scocche; Si fé' porre a
Valenza, e con gran cura Cominciò a riparar castella e rocche, E preparar la
guerra che fu poi La sua mina e degli amici suoi. 75 Verso Africa Agramante
alzò le vele De' legni male armati, e vóti quasi; D'uomini vóti, e pieni di
querele, Perch'in Frapcia i tre quarti eran rimasi. Chi chiama il Re superbo,
chi crudele, Chi stolto; e, come avviene in simil casi, Tutti gli voglion mal
ne' lor secreti; Ma timor n'hanno, e stan per forza cheti. 7 ti Pur duo talora
o tre schindon le labbia . Ch'amici sono, e che tra lor s'han fede, E sfogano
la collera e la rabbia; E '1 mìsero Agramante ancor si crede Ch'ognun gli porti
amore, e pietà gli abbia: E questo gì' intervien, perchè non vede Mai visi se
non finti, e mai non ode Se non adnlazìon, menzo2ne e frode. stanza dò. 77
Erasi consigliato il Re africano Di non smontar nel porto di Biserta; Però eh'
avea del popol nubiano, Che quel lito tenea, novella certa; 3! a tenersi
disopra si lontano, Che non fosse acre la discesa ed erta; Mettersi in terra, e
ritornare al dritto A dar soccorso al suo popolo afflitto. 78 Ma il suo fiero
destin, che non risponde A quella iutenzi'on provida e saggia, Vuol che
l'armata che nacque di fronde IJracolosamente nella spiaggia, E vien solcando
inverso Francia l'onde, Con questa ad incontrar di notte s' aggia, A nubiloso
tempo, oscuro e tristo, Perchè sia in più disordine sprovvisto. 79 Non ha avuto
Agramante ancora spia, Ch' Astolfo mandi un' armata si grossa; Né creduto anco,
a chi'l'dicesse, avria, Che cento navi un ramuscel far possa: E vien senza
temer ch'intorno sia Chi contra lui s'ardisca di far mosa; Né pone guardie né
veletta in gabbia, Che di ciò che si scopre avvisar abbia. 80 Si che i navili
che d'Astolfo avuti Avea Dudon, di buona gente armati, E che la sera avean
questi veduti, Ed alla volta lor s' eran drizzati, Assalir gli nemici
sprovveduti. Gì t taro i ferri, e sonsi incatenati, Poich'ai parlar certificati
foro Ch' erano Mori, e gì' inimici loro. 6181 Xell'arrivar cbe i gran navili
fénno (Spirando il vento a lor desir secondo), Nei Saracin con tale impeto
dènno, Che molti legni ne cacciaro al fondo: Poi cominciaro oprar le mani e il
senno, £ ferro e fuoco e sassi di gran pondo, 'J irar con tanta e si fiera
tempesta, Che mai non ebbe il mar simile a questa. 82 Quei di Dndone, a cui
possanza e ardire Più del solito è lor dato di sopra (Che venuto era il tempo
di puuire I Saracin di più duna mal'opra), Sanno appresso e lontau si ben
ferire, Che non trova Agramante ove si copra. Gli cade sopra un nembo di
saette; Da Iato La spade e graffi e picche e accette. 83 D'alto cader sente
gran sassi e gravi, Da macchine cacciati e da tormenti; £ prore e poppe
fracassar di navi, £d aprire usci al mar larghi e patenti:£'1 maggior danno è
degPiucendj pravi, A nascer presti ad ammorzarsi lenti. La sfortunata ciurma si
vuol tórre Del gran periglio, e via più oguor vi corre. 84 Altri, che'l ferro e
T inimico caccLi, Nel mar si getta, e vi s'affoga e resta; Altri, che muove a
tempo piedi e braccia, Va per salvarsi o in quella barca o in questa Ma quella,
grave oltre il dover, lo scaccia. E la man, per salir troppo molesta, Fa
restare attaccata nella spoudi: Ritorna il resto a far sanguigna l'onda. 85
Altri, che spera in mar salvar la vica, 0 perderlavi ahnen con minor pena.
Poiché notando non ritrova aita, £ mancar sente i'auimo e la lena, Alla vorace
fiamma eh' ha fugglta, La tema di annegarsi auco rimena: S'abbraccia a un legno
ch'arde e per timore Ch' ha di du3 morti, in ambe se ne muore. 86 Altri, per
tema di spiedo o d'accetta Che vede appresso al mar ricorre invano, Perchè
dietro gli vien pietra o saetta Che non lo lascia andar troppo lontano. Ma
saria forse, mentre che diletta Il mio cantar, consiglio utile e sino Di
finirlo, piuttosto che seguire Tanto, che v'aimoiasse il troppo dire. NOTE. St.
3. V.4. Troppo.... ribuffa: troppo si affretta a menar colpi. St. 22. v.8. n
paladin Dudone. Nacque da Er mellioa, figlia di Namo duca di Baviera, e moglie
di Uggiero il Danese. Fu preso da Bodomonte a Montco di Provenza, come si
accenna nella Stanza seguente; quindi mandato in Africa, e dato in custodia a
Branzardo. St. 28. v.28. Navi da gabbia: navi di maggior portata che le fus'e e
le galee, che hanno gli alberi principali moniti di gabbie. Inesì: ufficiali
subal terni nelle navi, cura de' quali è stivare e distivare i diversi oggetti
che sono a bordo. St. 30. V.5. Il cognato,.., del conte: Oliviero di Vienna,
fìntello di Alda, moglie d'Orlando. St. 31. V.8. Come vien Progne, ecc. La
rondine, volatile in cui fu tramutata Progne figlia dì Paudione re di Atene, e
moglie di Tereo. St. 32. V.1 i. LHmperiale augello, I gìgli doro, e i pardi:
insegne di Carlo Magno, di Francia e d'InghilteiTa. St. 40. V.34. Un vecchio
eavaliero, ecc.: Bardiuo del quale si parla nella Stanza seguente. Egli era al
servigio del re Monodane, a cui, per un dispiacere ri cevutone, tolse il
figliuoletto Brandimarte, e lo vendè al conte di Rocca Silvana. 11 conte lo
adottò per figlio, e a lui fatto adulto lasciò la signoria. Ma il giovane, vago
di avventure 'cavalleresche, e andandone in ti ac cia, restò prigione della
fata Morgana, che teneva preso anche Ziliante, o Qigliante, fratello di
Brandimiite. Ambidue però furono liberati da Orlando. St. 42. V.7. Precessi:
preceduti, passati. St. 47. V.6. Diuion santo: chiana cosi Dudone, perchò lasciò,
dopo un certo tempo, la vita militale e si applicò alla devota. St. 55. V.4.
Risforsi: reazioni. St. 69. V.2. Lascio: guinzaglio. St. 85. V.2. Tormenti:
macchine da lanciare pro iettili, come altrove si ò detto. XL. ARGOMENTO.
Disfattfi ed ar?j[i U Elotta di Agramftiiid, seifiie ì oppa naJunc di BLnprta
oh' è pr"j& per forr d'urtai, e abbandonata al sacdigrgìo e alk
flatnme. Arm munte con Solai 11 u Siì rkot era in Lara pedina r e tii>VKto
Gra dasso ili qiieirisola, ò fermato tm loro il oocuiglio d'in vitare eulà
Orlatido &d altri doe caalierì ft batUglia. Orluinlo afo.kglic dì buongrado
rinvilo, e sì elegge a coinpaMiì Brand iinarte e Oliviero Intanto Riipero
turnato in Adi JìUer", sette re ttfricanU coudotuvipri pionieri da
Eiiudon?, e pancia viene alle amai eoft lai. LuLigo sarebbe, ae i diversi casi
Volessi dir di quel uavaJ conflitto; E raetiontirlo a voi mi parrift quasi,
Maguauiuio tìglìuol d Ercole iuritto, Portar, come ai dice a Samo vasi, Nùttole
a Atene, e crocidili a Egitto:Cile quando per udita io ve ne parlo, Signor
nuraHte, e fu;; te altrui mirarlo. Ebbe lungo spettacolo il fetlele Vo?tro
popid la notre e'I di che stette Ci ime in tei\tro, l'iuimiclie vele Mirando iu
Po tra ferro e fuoco astrette Che gridi udir si possano e querele, Ch'onde
veder di sangue umano infette, Per quanti modi in tal pugna si mora, Vedeste, e
a molti il dimostraste allora. Stanza 7. Noi vidi io già, ch'era sei giorni
innanti, Mutando ogn'ora altre vetture, corso Con molta fretta e molta ai piedi
santi Del gran Pastore a domandar soccorso:Poi né cavalli bisognar né fanti;
Ch'intanto al Leon dór T artiglio el morso Fu da voi rotto sì, che più molesto
Non 1' ho sentito da quel giorno a questo. Ma Alfonsin Trotto, il qual si trovò
in fatto, Annibal e Pier Moro e Afranio e Alberto, E tre Ariosti, e il Bagno e
il Zerbinatto Tanto me ne contar, ch'io ne fui certo: Me ne chiarir poi le
bandiere affatto, Vistone al tempio il gran numero offerto E quindici galee eh'
a queste rive Con mille legni star vidi captive. Chi viJe quelli incenfìj e
quei naufragi, Le tante uccisioni e sì diverse, Che, vendicando i nostri arsi
palagi, Finché fu preso ogni narilio, fèrsej Potrà veder le morti anco e i
disagi Che '1 miser popol d'Africa sofferse Col re Agramante in mezzo l'onde
salse, La scura notte che Dudon Stanza 8. 6 £ra la notte, 6 non si vedea lume,
Quando sMncominciàr T aspre contese: Ma poi che U zolfo e la pece e U hitume
Sparso in gran copia, ha prore e sponde acce8\ E la vorace fiamma arde e
consume Le navi e le galee poco difese; Sì chiaramente ognun si vedea intorno,
Che la notte parea mutata in giorno. 7 Onde Agramante, che per Paer scuro Non
avea l'inimico in si gran stima, Né aver contrasto si credea si duro, Che,
resistendo, alfin non lo reprima; Poi che rimosse le tenebre furo, E vide quel
che non credeva in prima, Che le navi nimiche eran duo tante; Fece pensier
diverso a quel d'avante. 8 Smonta con pochi, ove in piìì lieve larra Ha
Brigliadoro e l'altre cose care. Tra legno e legno taciturno varca, Finché si
trova in più sicuro mare Da' suoi lontan, che Dudon preme e carca, E mena a
condizioni acri ed amare. Gli arde il foco, il mar sorbe, il ferro stmgge;
Egli, che n'è cagion, via se ne fugge. 9 Fugge Agramante, ed ha con Ini
Sobrino, Con cui si duol di non gli aier crednto, Quando previde con occhio
divino, E'I mal gli annunziò, ch'or gli è avvenuto. Ma torniamo ad Orlando
paladino. Che, prima che B'serta abbia altro aiuto. Consiglia Astolfo che la
getti in terra. Sì che a Francia mai più non faccia guerra.' 10 E cosi fu
pubblicamente detto,Che'l campo in arme al terzo dì sia instmlto. Molti navi li
Astolfo a questo effetto Tenuti avea, né Dndon n'ebbe il tutto: Di qnai diede
il governo a Sansonetto, Si buon guerrier al mar come all'asciutto: E quel si
pose, in su l'ancore sorto, Contra a Biserta, un miglio appresso al poito. 11
Come veri cristiani, Astolfo e Orlando. Che senza Dio non vanno a rischio
alcuno, Neil' esercito fan pubblico bando, Che sieno orazi'on fatte e digiuno;
E che si trovi il terzo giorno, quando Si darà il segno, apparecchiato ognuno
Per espugnar Biserta, che data hanno. Vinta che s'abbia, a fuoco e a
saccqipanno. 12 E così, poi che le astinenzie e i voti Devotamente celebrati
foro, Parenti, amici, e gli altri insieme noti Si cominciaro a convitar tra
loro. Dato restauro a' corpi esausti e vóti, Abbracciandosi insieme lacrimoro;
Tra loro usando i modi e le parole Che tra i più cari al dipartir si suole. 13
Dentro a Biserta i sacerdoti santi. Supplicando col popolo dolente, Battonsi il
petto, e con dirotti pianti Chiamano il lor Macon, che nulla sente Quante
vigilie, quante offerte, quanti Doni promessi Fon privatamente ! Quanti in
pubblico templi, statue, altari, Memoria etema de' lor casi amari ! 14 E poi
che dal Cadi fu benedetto, Prese il popolo Tarme, e tornò al moro. Ancor giacca
col suo Titon nel letto La bella Aurora, ed era il cielo oscuro, Quando Astolfo
da un canto, e Sansonetto Da un altro, armati agli ordini lor furo; £ poi cheU
segno, che die il Conte, udirò, Biserta con grande impeto assalirò. 15 Avea
Biserta da duo canti il mare, Sedea dagli altri duo nel lito asciutto. Con
fabbrica eccellente e singulare Fu a iniquamente il suo muro costrutto. Poco
altro ha che V aiuti o la ripare:Che poi che '1 re Branzardo fu ridutto Dentro
da quella, pochi mastri e poco Potè aver tempo a riparare il loco. 16 Astolfo
dà l'assunto al Re de' Neri, Che faccia a' merli tanto nocumento Con falariche,
fonde, e con arcieri, Che levi d'affacciarsi ogni ardimento: Si che passin
pedoni e cavalieri Fin sotto la muraglia a salvamento, Che veugon, chi di
pietre e chi di travi. Chi d'asse e chi d'altra materia gravi. 17 Chi questa
cosa e chi quell'altra getta Dentro alla fossa, e vien di mano in mano: Di cui
l'acqua il di innanzi fu intercetta Si, che in più parti si scopria il pantano.
Ella fu piena ed otturata in fretta, E fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando ed Olivier procura Di far salire i fanti in su le mura.
Ariobto. 18 I Nubi d'ogni indugio impazienti, Dalla speranza del guadagno
tratti, Non mirando a' pericoli imminenti, Coperti da testuggini e da gatti.
Con arieti e loro altri instrumenti A forar torri, e porte rompere atti, Tosto
si fero alla città vicini; Né trovaro sprovvisti i Saracini: 19 Che ferro e
fuoco e merli e tetti gravi Cader facendo a guisa di tempeste, Per forza aprian
le tavole e le travi Delle macchine in lor danno conteste. Nell'aria oscura e
nei principj pravi Molto patir le battezzate teste; Ma poi che'l Sole usci del
ricco albergo, Voltò Fortuna ai Saracini il tergo. 20 Da tutti i canti
risforzar l'assalto Fé' il conte Orlando e da mare e da terra. Sansonetto,
ch'avea Tarmata in alto, Entrò nel porto, e s'accostò alla terra; E con frombe
e con arcbi facea d'alto, E con Tari tormenti estrema guerra; E facea iusieme
espedir lance e scale, Ogni apparecchio e miinizion navale. stanza 13. 23 Vien
Brandimarte, e pon la scala a' muri, E sale, e di salir altri conforta:Lo
seguon molti intrepidi e sicuri; Che non può dubitar chi l'ha in sua scorta.
Non è chi miri, o chi mirar si curi, Se quella scala il gran peso comporta. Sol
Brandimarte agl'inimici attende; Pugnando sale, e alfine un merlo prende. 24 E
con mano e con pie quivi s' attacca, Salta sui merli, e mena il brando in
volta. Urta, riversa e fende e fora e ammacca, E di sé mostra esperì'enzia
molta. Ma tutto a un tempo la scala si fiacca, Cile troppa soma e di soperchio
ha tolta: E, fuor che Brandimarte, giù nel fosso Vanno sozzopra, e l'uno e
l'altro addosso. 25 Per ciò non perde il Cavai ier l'ardire. Né pensa riportare
addietro il piede; Benché de' suoi non vede alcun seguire, Benché bersaglio
alla città sì vede. Pregavan molti (e non volse egli a lire) Che ritornasse; ma
dentro si diede:Dico che giù nella città d'un salto Dal muro entrò, che trenta
braccia era alto. 26 Come trovato avesse o piume o paglia, Presse il duro
terren senza alcim danno; E quei ch'ha intorno affrappa e fora e taglia. Come
s'afirappa e taglia e fora il panno. Or contra questi or contra quei si
scaglia; E quelli e questi in fuga se ne vanno. Pensano quei di fuor, che l'han
veduto Dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto. 21 Facea Oliviero, Orlando e
Brandimirte, E quel che fu si dianzi in aria ardito, Aspra e fiera battaglia
dalla parte Che lungi al mare era più dentro al lito. Ciascun d'essi venia con
una parte Dell' oste che s' avea quadripartito. Quale a mur, quale a porte, e
quale altrove, Tutti davan di sé lucide prove. 22 II valor di ciascun meglio si
puote Veder cosi, che se fosser confusi": Chi sia degno di premio e chi di
note, Appare innanzi a mill'occhi non chiusi. Torri di legno trannosi con
ruote, E gli elefanti altre ne portano usi, Che su lor dossi così in alto
vanno, Che i merli sotto a molto spazio stanno. 27 Per tutto '1 campo alto
rumor si spande Di voce in voce, e'I mormorio e'I bisbiglio. La vaga fama
intorno si fa grande, E narra, ed accrescendo va il periglio. Ove era Orlando
(perchè da più bande Si dava assalto), ove d'Otone il figlio, Ove Olivier,
quella volando venne, Senza posar mai le veloci penne. 28 Questi guerrier, e
più di tutti Orlando, Ch'amano Brandimarte e l'hanno in pregio, Udendo che, se
van troppo indugiando, Perderanno un compagno così egregio, Pigliau le scale, e
qua e là montando, Mostrano a gara animo altiero e regio. Con si audace
sembiante e si gagliardo, Che i nemici tremar fan con lo sguardo. 29 Come nel
mar che per tempesta freme, Assagliou Tacque il temerario legno, Chor dalia
prora, or dalle parti estreme Cercano entrar con rabbia e con isdegno; Il
pallido nocchier sospira e geme . Ch'aiutar dere, e non ha cor né ingegno; Una
onda viene alfin eh occupa il tutto, E dove quella entrò, segue ogni flutto: 30
Così, di poi eh ebbono presi i muri Questi tre primi, fu si largo il passo, Che
gli altri ormai seguir ponno sicuri, Che mille scale hanno fermate al basso. Aveano
intanto gli arieti duri Rotto in più lochi, e con sì gran fracasso, Che si
poteva in più che in una parte Soccorrer P animoso Brandimarte. 35 Fu Bueifar
dell'Algazera morto =Con esso un colpo da Olivier gagliardo. Per luta ogni
speranza, ogni conforto, S' uccise di sua mano il re Branzardo. Con tre ferite,
onde morì di corto. Fu preso Folvo dal Etnea del Pardo. Questi eran tre ch'ai
suo partir lasciato Avea Agramante a guardia dello Stato. 36 Agramante,
ch'intinto avea deserta L'armata, e con Sobrin n' era fuggito, Pianse da lungi
e sospirò Biserta, Veduto sì gran fiamma arder sul lito. Poi più d'appresso
ebbe novella certa Come della sua terra il caso era ito:E d'uccider sé stesso
in pensier venne, E lo facea; ma il re Sobrin lo tenne. 31 Con quel furor che
'1 Re de'fiimii altiero, Quando rompe talvolta argini e sponde, E che nei campi
Ocnei s' apre il sentiero, E i grassi solchi e le biade feconde, E con le sue
capanne il gregge intiero, E coi cani i pastor porta nell'onde; Guizzano i
pesci agli olmi in su la cima Ove solean volar gli augelli in prima:32 Con quel
furor l'impetuosa geutp, Là dove avea in più parti il muro rotto, Entrò col
ferro e con la face ardente A distruggere il popol mal condotto. Omicidio,
rapina, e man violente Nel sangue e nell'aver, trasse di botto La ricca e
trionfai città a mina, Che fii di tutta l'Africa regina. 33 D'uomini morti
p'eno era per tutto, E delle iunumerabili ferite Fatto era un stagno più scuro
e più brutto Di quel che cinge la città di Dite. Di casa in casa un lungo
incendio indutto Ardea palagi, portici e meschite. Di pianti e d'urli e di
battuti petti Suonano i vóti e depredati tetti. 34 I vincitori usar delle
funeste Porte vedeansi di gran preda onusti. Chi con bei vasi e chi con ricche
veste, Chi con rapiti argenti a' Dei vetusti: Chi traea i figli, e chi le madri
meste. Fur fatti stupri e mille altri atti ingiusti, Dei quali Orlando una gran
parte intese. Né lo potè vietar, né'l Duca ioglese. 37 Dicea Sobrin: Che più
vittoria lieta, Signor, potrebbe il tuo nimico avere. Che la tua morte udire,
onde quieta Si spereria poi l'Africa godere? Questo contento il viver tuo gli
vieta: Quindi avrà cagion sempre di temere. Sa ben che lungamente Africa sua
E<?ser non può, se non per morte tua. 38 Tutti i sudditi tuoi, morendo,
privi Della speranza, un ben che sol ne resta. Spero che n'abbi a liberar, se
vivi, E trar d'affanno e ritornarne in festa. So che, se muori, slam sempre
captivi, Africa sempre tributaria e mesta. Dunque, s'in util tuo viver non
vuoi, Vivi, Signor, per non far danno ai tuoi. 39 Dal Soldano d'Egitto, tuo
vicino, Certo esser puoi d'aver danari e gente Mal volentieri il figlio di
Pipino In Africa vedrà tanto potente. Verrà con ogni sforzo Norandino Per
ritornarti in regno, il tuo parente:Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi, Tutti
in soccorso avrai, se tu li chiedi. 40 Con tali e simil detti il vecchio
accorto Studia tornare il suo Signore in speme Di racquistarsi l'Africa di
corto; Ma nel suo cor forse il contrario teme. Sa ben quanto é a mal termine e
a mal porto E come spesso invan sospira e geme Chiunque il regno suo si lascia
tórre, E per soccorso a' Barbari ricorre. Stanza 30. 41 Anuibal e lugurta di
ciò fóro Buon testimoni, ed altri al tempo antico: Al tempo nostro Ludovico il
Moro, Dato in poter dun altro Ludovico. Vostro fratello Alfonso da costoro Ben
ebbe esempio (a voi, Signor mio, dko)y Che sempre ha riputato pazzo espresso
Chi più si fida in altri, chMn sé stesso. 42 E però nella guerra che gli mosse
Del Pontefice irato un duro sdegno, Ancorché nelle deboli sue posse Non potesse
egli far molto disegno, E chi lo difendei, d'Italia fosse Spinto, e n avesse il
suo nimico il regno; Né per minacce mai né per promesse S'indusse che lo stato
altrui cedesse. 43 11 re A/amante air Oriente avea Vòlta la prora, e s'era
spinto in alto: Quando da terra una tempesta rea Mosse da banla impetuoso
assalto. Il nocchier eh' al governo vi sedea:Io veggo (disse alzando gli occhi
ad alto) Una procella apparecchiar sì grave, Ohe contrastar non le potrà la
nave. Stanza 33. 44 S'attendete, signori, al mio consiglio, Qui da man manca ha
un' isola vicina, A cui mi par eh' abbiamo a dar di piglio, Finché passi il
furor della marina. Consenti il re Agramante, e di periglio Usci, pigliando la
spiaggia mancina. Che per salute de' nocchieri giace Tra gli Afri, e di Vulcan
l'alta fornace. 45 D'abitazioni è l'isoletta vota, Piena d'urail mortelle e di
ginepri; Gioconda solitudine e remota A cervi, a daini, a caprioli, a lepri:E,
fuor eh' a pescatori, è poco nota; Ove sovente a rimondati vepri Sospendon, per
seccar, l'umide reti": Dormono intanto i pesci in mar quieti. 46 Quivi
trovar che s'era un altro legno, Cacciato da fortuna, già ridutto. Il gran
guerrier eh' in Sericana ha regno, Levato d'Arli, avea quivi condutto. Con modo
riverente e di sé degno L'un Ee con l'altro s'abbracciò all'asciutto; Ch'erano
amici, e poco innanzi furo Compagni darme al parigino muro. 47 Con molto
dispiacer Gradasso intese Del re Agramante le fortune avverse: Poi confortollo,
e, come Re cortese, Con la propria persona se gli offerse; Ma eh' egli andasse
all' infedel paese D'Egitto, per aiuto, non sofferse. Che vi sia, disse,
periglioso gire, Dovria Pompeio i profugi ammonire. 48 E perché detto m'hai che
con l'ainto Degli Etiopi sudditi al Senàpo, Astolfo a tòrti l'Africa é venuto;
E ch'arsa ha la città che n'era capo; E eh' Orlando é con lui, che dimiuuto
Poco innanzi di senno aveva il capo; li pare al tutto un ottimo rimedio Avjr
pensato a fani uscir di tedio. stanza 43. 49 Io piglierò per amor tuo l'impresa
D'entrar col Conte a sino;olar certame. Contra me so che non avrà difesa, Se
tutto fosse di ferro o di rame. Morto lui, stimo la cristiana Chiesa Quel che T
ugnelle il lupo ch'abbia fame. Ho poi pensato, e mia cosa lieve, Di fare i Nubi
uscir d'Africa in breve. 50 Parò che gli altri Nubi che da loro Il Nilo parte e
la diversa legge, E gli Arabi e i Macrobi, questi d'oro Ricchi e di gente, e
quei d'equino gregge, Persi e Caldei (perchè tutti costoro Con altri molti il
mio scettro corregge), Farò eh' in Nubia lor faran tal guerra, Che non si
fermeran nella tua terra. Stanza 54. 53 Purch'io non resti fuor, non me ne
lagno. Disse Agramente, o sia primo o secondo Ben so ch'in arme ritrovar
compagno Di te miglior non si può in tutto '1 mondo. Ed io, disse Sobrin, dove
riraaguo? E se vecchio vi paio, vi rispondo Ch'io debbo esser più esperto; e
nel periglio Presso alla forza è buono aver consiglio. 54 D'una vecchiezza
valida e robusta Era Sobrino, e di famosa prova; E dice eh' in vigor 1' età
vetusta Si sente pari alla già verde e nuova. Stimata fu la sua domanda giusta;
E senza indugio un messo si ritrova, Il qual si mandi agli africani lidi, E da
lor parte il conte Oliando sfidi; 55 Che s'abbia a ritrovar con numer pare Di
cavalieri armati in Lipadusa. Una isoletta è questa, che dal mare Medesmo che
la cinge è circonfusa. Non cessa il messo a vela e a remi andare. Come quel che
prestezza al bisogno usa, Che fu a Biserta; e trovò Orlando quivi, Ch'a'suoi le
spoglie di videa e i captivi. 56 Lo'nvito di Gradasso e d'Agramante E di
Sobrino In pubblico fu espresso, Tanto giocondo al Principe d'Anglante, Che
d'ampli doni onorar fece il messo. Avea da' suoi compagni udito innante, Che
Durindana al fianco s'avea messo Il Te Gradasso; ond'egli, per desire Di
racquistarla, in India volea gire. 51 Al re Agramante assai parve opportuna Del
re Gradasso la seconda offerta; E si chiamò obbligato alla Fortuna, Che l'avea
tratto all' isola deserta:Ma non vur)l torre a condizione alcuna, Se racquistar
credesse indi Biserta, Che battaglia per lui Gradasso prenda; Che 'n ciò gli
par che l'onor troppo offenda. 52 S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io.
Rispose, a cui la pugna più conviene; E pronto vi sarò: poi faccia Dio Di me
come gli pare, o male o bene. Facciam, disse Gradasso, al modo mio, A un nuovo
modo eh' in pensier mi viene:Questa battaglia pigliamo ambedui Incontra
Orlando, e un altro sia con lui. 57 Stimando non aver Gradasso altrove, Poi
ch'udì che di Francia era partito. Or più vicin gli è offerto luogo, dove Spera
che '1 suo gli fia restituito. Il bel corno d'Ai monte anco lo muove Ad
accettar si volentier lo'nvito, E Brigliador non men; che sapea in mano Esser
venuti al figlio di Troiano. 58 Per compagno s elegge alla battaglia Il fedel
Brandimarte e'I suo colato. Provato ha quanto l'uno e l'altro vaglia; Sa che da
entrambi è sommamente amato. Buon destrier, buona piastra e buona maglia . E
spade cerca e lance in ogni lato A sé e a' compagni. Che sappiate parme, Che
nessun d'essi avea le solite arme. 59 Orlando (come io vho detto più volte)
Delle sue sparse per furor la terra:Agli altri ha Rodomonte le lor tolte, Ch'
or alta torre in ripa un fiume serra. Non se ne può per Africa aver molte, Sì
perchè in Francia avea tratto alla guerra Il re Agramante ciò ch'era di buono,
Sì perchè poche in Africa ne sono. 60 Ciò che di rug;ginoso e di brunito Aver
si può, fa ragunare Orlando; E coi compagni intanto va pel lito Della futura
pugna ragionando. Gli avvien ch'essendo fuor del campo uscito Più di tre
miglia, e gli occhi al mare alzando, Vide calar con le vele alt" un legno
Verso il lito African senza ritegno. 61 Senza nocchieri e senza naviganti, Sol
come il vento e sua fortuna il mena, Venia con le vele alte il legno avanti
Tanto, che si ritenne in su V arena. Ma prima che di questo più vi canti, Lamor
eh' a Ruggier porto, mi rimena Alla sua istoria, e vuol ch'io vi racconte Di
lui e del guerrier di Chiaramonte. 62 Di questi duo guerrier dissi, che tra ti
S' erano fuor del marziale agone, Viste convenzi'on rompere e patti, E turbarsi
ogni squadra e legione. Chi prima i giuramenti abbia disfatti, E stato sia di
tanto mal cagione, 0 r imperator Carlo o il re Agramante, Studian saper da chi
lor passa avante. 63 Un servitor intanto di Ruggiero, Ch'era fedele e pratico
ed astuto, Né pel conflitto dei due campi fiero Avea di vista il patron mai
perduto, Venne a trovarlo, e la spada e '1 destriero Gli diede, perchè ansaci
fosse in aiuto. Montò Ruggiero, e la sua spada tolse, lfa nella zuffa entrar
non però volse. 64 Quindi si parte; ma prima rinnova La convenzion che con
Rinaldo avea: Che se pergiuro il suo Agramante trova, Lo lascerà con la sua
setta rea. Per quel giorno Ruggier fare altra prova D'arme non volse; ma solo
attendea A fermar questo e quello, e a domandarlo Chi prima roppe, o'I re
Agramante o Carlo. 65 Ode da tutto l m >ndo, che la parte Del re Agramante
fu che roppe primi. Ruggiero ama Agramante; e se si parte Da lui p'r questo,
error non lieve stima. Fur le genti africane e rotte e sparte (Questo ho già
detto innanzi), e dalla cim Della volubil ruota tratte al fondo, Come piacque a
colei ch'aggira il mondo. 66 Tra sé volve Ruggiero, e fa discorso, Se restar
deve, o il suo Signor seguire. Gli pon V amor della sua donna un morso, Per non
lasciarlo in Africa più gire: Lo volta e gira, ed a contrario corso Lo sprona,
e lo minaccia di punire, Se'l patto e'I giuramento non tien saldo, Che fatto
avea col palalin Rinaldo. Stanza ii567 Non men dall'altra parte sferza e sprona
La vigilante e stimnlosa cura, Che s' Agramante in quel caso abbandona, A viltà
gli sia ascritto ed a paura. Se del restar la causa parrà buona A molti, a
molti ad accettar fia dura. Molti diran che non si de' osservare Quel eh' era
ingiusto e illicito a giurare. 68 Tutto quel giorno e la notte seguente Stette
solingo, e così l'altro giorno. Pur travagliando la dubbiosa mente, Se partir
deve, o far quivi soggiorno. Pel Signor suo conclude finalmente Di fargli
dietro in Africa ritorno. Potea in lui molto il coniugale amore; Ma vi potea
più il debito e 1 onore. 69 Torna verso Arli; che trovar vi spera L'armata
ancor, cb' in Africa il trasporti:Né lego in mar né dentro alla rivera, Né
Saracini vede, se non morti. Seco al partire ogni legno che vera Trasse
Agramaiite, e'I resto arse nei porti. Fallitogli il pensier, prese il cammino
Verso Marsilia pei iito marino. 73 Venne in speranza di lontan Ruggiero, Che
questa fosse armata d'Agramaute; E, per saperne il vero, urtò il destriero: Ma
riconobbe, come fu più innante, li Re di Xasamona prigioniero, Bambirago,
Agricalte e Feruraute, Manilardo e Balastro e Rìmedonte, Che piangendo tenean
bassa la fronte. Stanza 74. 74 Roggier che gli ama, sofTerir non puote Che
stian nella miseria in che li trova. Quivi sa cha venir con le man vaote. Senza
usar forza, il pregar poco giova. La lancia abbassa, e chi li tien percuote; E
fa del suo valor l'usata prova: Stringe la spada, e in un piccol momento Ne fa
cadere intorno più di cento. 75 Dudone ode il rumor, la strage vede, Che fa
Ruggier; ma chi sia non conosce:Vede i suoi e' hanno in fuga volto il piedCon
gran timor, con pianto e con angosce. Presto il destrier, lo scudo e Telmo
chiede, Che già avea armato e petto e braccia e cosce: Salta a cavallo, e si fa
dar la lancia, E non obblia eh' é Paladin di Francia. 70 A qualche legno pensa dar
di piglio, Ch'a prieghi o forza il porti all'altra riva. Già v'era giunto del
Danese il figlio Con l'armata de' Barbari captiva. Non si avrebbe potuto un
gran di miglio Gittar nell'acqua: tanto la copriva La spessa moltitudine di
navi. Di vincitori e di prigioni, gravi. 71 Le navi de' Pagani, ch'avanzaro Dal
fuoco e dal naufragio quella notte, Eccetto poche ch'in fuga n'andaro, Tutte a
Marsilia avea Dudon condotte. Sette di quei eh' in Africa regnare, Che, poi che
le lor genti videf rotte, Con sette legni lor s'eran renduti, Stavan dolenti,
lacrimosi e muti. 72 Era Dudon sopra la spiaggia uscito, Ch'a trovar Carlo
andar volea quel giorno; E de' captivi e di lor spoglie ordito Con lunga pompa
avea un trionfo adorno. Eran tutti i prigion stesi nel Iito, E i Nubi vincitori
allegri intorno, Che faceauo del nome di Dudone Intorno risonar la regione.
Stauza 81. 76 Grida che si ritiri ognun da canto. Spinge il cavallo, e fa
sentir gli sproni. Ruggier cent' altri n'avea uccisi intanto, E gran speranza
dato a quei prigioni: E come venir vide Dudon santo Solo a cavallo, e gli altri
esser pedoni, Stimò che capo e che Signor lor fosse; E centra lui con gran
desir si mosse. 77 Già mosso prima era Dudon, ma quando Senza lancia Ruggier
vide venire, Luuge da sé la sua gittò, sdegnando Con tal vantaggio il cavaìier
ferire. Ruggiero, al cortese atto riguardando, Die fra sé: Costui non può
mentire, Ch! uno non sia di quei guerrier perfetti Che Paladin di Francia sono
detti. 80 Ma perchè in mente ognora avea di meno Ofifenler la sua donna, che
potea; Ed era certo, se spargea il terreno Del sangue di costui, che la
offendea (Delle case di Francia istrutto appieno, La madre di Dudone esser
sapea Armellina, sorella di Beatrice, Ch'era di Bradamante genitrice). 78
S'impetrarlo potrò, vocheU suo nome, Innanzi che segua altro, mi palese:E cosi
domandollo; e seppe come Era Dudon, figliuol d'Uggier danese. Dudon gravò
Ruggier poi d'ugual some; E parimente lo trovò cortese. Poi che i nomi tra lor
s'ebbono detti, Si disfidare, e vennero agli effetti. 79 Avea Dudon quella
ferrata mazza. Ch'in mille imprese gli die eterno onore. Con essa mostra ben,
ch'egli è di razza Di quel Danese pien d'alto valore. La spada ch'apre ogni
elmo, ogni corazza, Di che non era al mondo la migliore, Trasse Ruggiero, e
fece paragone Di sua virtude al paladin Dudone. 81 Per questo mai di punta non
gli rass3 E di taglio rarissimo feria. Schermiasi, ovunque la mazza calasse, Or
ribattendo, or dandole la via. Crede Turpin che per Ruggier restasse Che Dudon
morto in pochi colpi avria Né mai, qualunque volta si scoperse, Ferir, se non
di piatto, lo sofferse. 82 Di piatto usar potea, come di taglio, Ruofgier la
spada sua, eh' avea gran schena E quivi a strano gioco di sonaglio Sopra Dudon
con tanta forza mena, Che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio Che si ritien
di non cadere a pena. Ma per esser più grato a chi m'ascolta, Io differisco il
Canto a un' altra volta. St. 3. V.67. Al Leon d6r Cartiglio e l morso, ecc.
Ripete della Hconfitta dat" sul Po ai Veneziani dal car dinal d'Este. ST.
9. V.3. Divino: indovino. St. 14. V.1. Cadì: nome di magistrato giudiziario
presso i Maomettani, il qnale hi ineienza anche nelle cose del culto. St. 16.
V.3. Falariche: lunghe picche da lanciare, che avevano fuochi lavorati avvolti
intorno al ferro. Fonde 0 frombe ed anche fionde: strumenti di fune da lanciar
sassi o palle di piombo, adoperati anticamente dalle milizie leggiere: erano
lunghi circa due braccia, ed aveano nel mezzo una reticella dove si metteva il
proiettile che volevasi scagliare. St. 18. V.45. Coperti da testugjini e da
gatti, Con, arieti, ecc. La testuggine era macchina murale d'offesa, formata da
una tettoia sovrappo&ta a quattro travi, e coperta di cuoio fresco per
garantirla dal fuoco: gì java sulle mote, e potea volgersi da ogni binda. Sotto
di essa slavano i soldati riparati dalle offese del ne mico, per far agire
altre macchine, o per altre opera zion Una di queste testuggini dicevasi dai
Komani anetartaf perchè sotto di essa pendeva orizzontalmente Varieté, ch'era
una trave ferrata in una delle sue estre mità, e con essa si battevano le mura
nemiche. Il gatto era un' altra specie di testuggine, e consisteva in un tetto,
0 tavolata intessuto di vimini, e copeito anch'esso di pelli crude, sotto il
quale pendeva o l'ariete, o nn forte rampicene di ferro con cui si aggrappavano
i merli del muro, o le pietre già smosse dagli urti dell'a riete, che così era
denominato, per una certa rassomi glianza alla t3sta e agli urti di.
quell'animale. St. 21. V.2, E quel cw fu sì diami in aria ar dito: Astolfo. St.
25. V.6. Dentrtì si diede: si mise, si lanciò dentro. St. 26. V.3. Affrappa:
taglia a pez/.ì. St. 31. V.13. // re de' fiumi: il Po. Campi Ocnei: campi del
Mantovano, detti qui Ocnei da Ocno figlio di Manto, creduto fondatore di
Mantova insieme con sua madre..St. 33. V.4. Di quel che cinge la vittu di Dite:
della palude Stigia. St. 35. V.6. Dal duca dal Pardo: da Astolfo. St. 41. V.14.
Annibal e Jugurta, ecc, Annibal ri fuggitosi presso Prusia re della Bitinia, si
avvelenò per non esuer dal suo ospite consegnato ai Romani Jagurta, o
Giugiirta, re di Numidja, rimessosi al]" fede di Bocco, re di Mauritania e
suo genero. Ai da lui dato in mano a Sillu, che lo fece morir di fame nel
carcere Mamer lino. L'un altro LvdovicQ: di Luigi XII re di Francia; nrlle cui
mani Lodoxico Sforza cadde per tradi mento degli Svizzeri che teneva al proprio
rervizio. Si". 42. V.16. Allude alle circostanze in cui si trovò il duca
Alfonso, quando Giulio II con l'appoggio degli Svizzeri gli mosse guerra. Alloia
i Francesi, difensori del duca, erano cacciati d'Italia, e gli Spagnuoli suoi
nemici tenevano il Regno di Napoli. St. 41. V.68. la spiaggia mancina, Che per
sa lute, ecc.. risoletta di Lampedusa, che giace tra la costa d'Africa e la
Sicilia. J5t Vtiifau l'alta forno ce :lEtì\&, nel cui interno finsero i
poeti che fosse la principale fucina di Vulcano. St. 47. V.8. Doxria Fompeio i
profvgi ammo nire. Pompeo, disfatto da Cesare nei campi della Tesa glia, si
ricoveiò in Alessandria d'Egitto presso quel r Tolomeo, il quale, per
gratificarsi il vincitore, fece al mozzare il capo. St. 60 V.2 6. 7/ JSilo
parte t la diversa Itfjgt. I Nubj abitanti oltre la destra sponda del Nilo,
erano an che allora maomettani. Corregge: regge. St. 55. V.24. Lipadusa: Lampedusa,
nominai a più sopra. Dal mare Medamo che li cince, è circoh fusa: è bagnata
all'intorno dal Meditenaneo, che ba gna anche Biserta, ove si trovano i
cavalieri di Carle. St. 57. V.5. Il lei corno dAlmonie: tolto ad A" monte
da Orlando, e cui poscia lo tolse Brunello. St. 58. V.2. JS 7 svo co(,r,ato:
Oliviero. St. 73. V.58. L'Arie ito si Fcorda qui che Agri calte, Puliano e
Balastro li ha fatti nccidei e nella I at taglia descritta nel Canto X I e
XVIII. St. 82. V.34. E quivi a strano giuoco di "oiu glio, ecc. Jl giuoco
del acuoglio è poco dissìmile da quello che i fanciulli chiamano moscadeca:
nelqaal"> si danno forti colpi ma non pericolosi; e tali erano i colpi
di Ruggiero sopra Dudone. XLI. RiiKiora e Timido ne ceasano il alla pugna, con
fiatto di? siano fatti lilutìrt i sette paesani re prigionierL Euggìturo sMm
bari:a con fi.T5Ì per TAfilca? e nel tragitto retiLtio tatti siiminorsi p;r
fnrtuna ili mare, tranne HLi;rtero; il quale fìlli (ln(ti e pnitaU a
salvam"nitu plesso un ri>nntf>, cho gli pikiliiif diverse cnsp. J,a
nri.vp. vuota di gonte. capila vicimi a Binerta, eon a bitrli il Riavallo, Ifl
apada e J'ar matnm Uì Htiii>iero. Odamio pflhdc {uìt s" la padu, dà
laiinatura a Ulìvlevo, u Brandmarto il ra vallo; e lutti tre \ anno a
Lam]>edusa rt;r battersi coi tiT padani. Sì altiuca la zutr, daianle lagnale
Boluina e Olivier' iono fcritij e liranfìiniaitR rimane uccìso. I/odi.r di' è
siinrstj in ben nullità e h.lhi 0 cbioma cj bniba o delicata vesta Vi giovane
Irggiailro o dì rloiizelJn, ih' iiuior stive ti te I luti man do defila; Se
&pira, e fa sxiitìr dì !ò novella, E dopo molti giomi ancora resta, nostra
con chiaro ed evidente effetto, Cone a piincipio Iuolo era e ptifeito. L'almo
liquor che ai metitori suoi Fece Icaro gustar con sno gran dauno, E che &i
dice che già Celti e Boi Fé' passar TAlpe, e nou sentir P affanno; Mostra che
dolce era a principio, poi Che 8i serva ancor dolce al fin dell'anno. L'arbor
ch'ai tempo rio foglia non perde, Mostra eh' a primavera era ancor verde.
L'incliU stirpe che per tanti lustri Mostrò di cortesia sempre gran lume, £ par
eh' oor più ne risplenda e lustri, Fa che con chiaro indizio si presume Che chi
progenerò gli Estensi illustri Dovea d'ogni laudabile costume, Che sublimar al
ciel gli uomini suole, Splender non men che fra le stelle il Sole. Stanza 9.
Hnggier, come in ciascun suo degno gesto. D'alto valor, di cortesia solca
Dimostrar chiaro segno e manifesto, E sempre più magnanimo apparea; Così verso
Dudon lo mostrò in questo, Col qual (come di sopra io vi dicea) Dissimulato
avea quanto era forte, Per pietà che gli avea di porlo a morte. Avea Dadon ben
conosciutocerto ch'ucciderlo Ruggier non l'ha voluto; or s' ha ritrovato allo
scoperto, Or stanco sì, che più non ha potuto. Poiché chiaro comprende, e vede
aperto Che gli ha rispetto, e che va ritenuto; Quando di forza e di vigor vai
meno, Di cortesia non vuol cedergli almeno. Per Dio (dice). Signor, pace
facciamo; Ch' esser non può più la vittoria mia: Esser non può più mia; che già
mi chiamo Vinto e prigion della tua cortesia. Ruggier rispose: Ed io la pace
bramo Non men di te; ma che con patto sia. Che questi sette Re e' hai qui
legati, Lasci ch'in libertà mi sieno dati E gli mostrò quei sette Re ch'io
dissi Che stavano legati a capo chino; E gli soggiunse, che non gì' impedissi
Pigliar con essi in Africa il cammino. E così furo in libertà rimessi Quei Re;
che gliel concesse il Palalino:E gli concesse ancor, eh' un legno tolse. Quel
eh' a lui parve, e verso Africa sciol.". 8 II legno sciolse, e fé'
scioglier la vela, E si die al vento perfido in possanza, Che da principio la
gonfiata tela Drizzò a cammino, e die al nocchier baldanza. Il lito fugge, e in
tal modo si cela, CLe par che ne sia il mar rimaso sanza; Keir oscurar del
giorno fece il vento Chiara la sua perfidia eM tradimento. 9 utossi dalla poppa
nelle sponde, Indi alla prora, e qni non rimase anco. Ruota la nave, ed 1
nocchier confonde; Ch'or di dietro, or dinanzi, or loro è al fianco. Sorgono
altiere e minacciosa T onde:Mugliando sopra il mar va il gregge bianco. Di
tante morti in dubbio e in pena stanno, Quante son Tacque eh' a ferir li vanno.
10 Or da fronte or da tergo il vento spira, E questo innanzi, e quello addietro
caccia; Un altro da traverso il legno aggira, E ciascun pur naufragio gli
minaccia. Quel che siede al governo, alto sospira Pallido e sbigottito nella
faccia; E grida invano, e invan con mano accenna Or di voltare, or di calar V
antenna. 1 1 Ma poco il cenno, e '1 gridar poco vale:Tolto è'I veder dalla
piovosa notte. La voce, senza udirsi, in aria sale, In aria che feria con
maggior botte De' naviganti il grido universale, E'I fremito dell'onde insieme
rotte: E in prora e in poppa e in ambedue le bande Non si può cosa udir, che si
comande. Ì2 Dalla rabbia del vento che si fende Nelle ritorte, escono orribil
suoni. Di spessi lampi l'aria si raccende; Risuoua '1 ciel di spaventosi tuoni.
V è chi corre al timon, chi remi prende; Van per uso agli uflìcj a che son
buoni: Chi s' affatica a sdorre e chi a legare; Vota altri l'acqua, e toma il
mar nel marj 13 Ecco stridendo l'orribil procella Che'l repentin furor di Borea
spinge, La vela coutra l'arbore flagella: Il mar si leva, e quasi il cielo
attinge. Frangonsi i remi; e di fortuna fella Tanto la rabbia impetuosa
stringe, Che la prora si volta, e verso 1' onda fa rimaner la disarmata sponda.
14 Tutta sotto acqua va la destra banda, E sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun, gridando, a Dio si raccomanda; Che più che certi son gire al profondo.
D' uno in un altro mal Fortuna manda:Il primo scorre, e vien dietro il secondo.
Il legno vinto in più parti si lassa, E dentro l'inimica onda vi passa. Stanza
15. 15 Muove crudele e spaventoso assalto Da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tan t'aito, Che par ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra l'onde in su tal salto, Ch' a mirar giù par lor veder lo
'nferno. 0 nulla 0 poca speme è che conforte; E sta presente inevitabil morte.
16 Tutta la notte per diverso mare Scorsero errando ove caccioUi il vento; Il
fiero vento che dovea cessare Nascendo il giorno, e ripigliò augumcnto. Ecco
dinanzi un nudo scoglio appare: Voglion schivarlo, e non v'hanno argumento. Li
porta, lor mal grado, a quella via Il crudo vento e la tempesta ria. 17 Tre
volte e quattro il pallido nocchiero Mette vigor, perchè '1 timon sia volto, E
trovi più sicuro altro sentiero; Ma quel si rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha si la vela piena il vento fiero, Che non si può calar poco né molto: Né
tempo han di riparo o di consiglio; Che troppo appresso è quel mortai periglio.
20 Del mare al fondo; e seco trawe quanti Lasciaro a sua speranza il maggior
leaa. Allor sudi con dolorosi pianti Chiamar soccorso dal celeste regno:Ma
quelle voci andaro poco innanti, Che venne il mar pien d'ira e di dis legno . E
subito occupò tutta la via Onde il lamento e il flebil grido uscìa. 18 Poiché
senza rimedio si comprende La irreparabil rotta della nave, Ciascuno al suo
privato utile attende, Ciascun salvar la vita sua cura Ave. Chi può più presto
al palischermo scende; la quello è fatto subito sì grave Per tanta gente che
sopra v' abbonda, Che poco avanza a gir sotto la sponda. 21 Altri laggiù, senza
apparir più, resta; Altri risorge, e sopra Tonde sbalza: Ohi vien nuotando, e
mostra fuor la testa: Chi mostra un braccio, e chi una gamba scalza. Ruggier,
che '1 minacciar della tempesta Temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza, E
vede il nudo scoglio non lontano, Ch'egli e i compagni avean fnggito invano. 4
Stanza 19. 19 Ruggier che vide il comite e'I padrone E gli altri abbandonar con
fretta il legno, Come senz'arme si trovò in giubbone, Campar su quel battei
fece disegno; Ma lo trovò sì carco di persone, E tante venner poi, che Tacque
il segno Passaro in guisa, che per troppo pondo Con tutto il carco, andò il
legnetto al fondo; 22 Spera, per forza di piedi e di braccia Nuotando, di salir
sul lito asciutto. Soffiando, viene, e lungi dalla faccia L'onda respinge e
l'importuno flutto. Il vento intanto e la tempesta caccia Il legno vóto, e
abbandonato in tutto Da quelli che per lor pessima sorte Il disio di campar
trasse alla morte. 23 Oh fiillace degli uomini credenza! Campò la nave che
dovea perire; Quando il padrone e i galeotti senza Governo alcun l'avean
lasciata gire. Parve che si mutasse di sentenza Il vento, poi che ogni uom vide
fuggire: Fece che '1 legno a miglior via si torse, Né toccò terra, e in sicura
onda corse. 29 E perchè gli facean poco mestiero L'arme (ch'era inviolabile e
affatato), Contento fu che l'avesse Oliviero; Il brando no, che sei pose egli a
lato: A Braudiraarte consegnò il destriero. Cosi diviso ed ug:ualmente dato
Volse che fosse a ciaschedun compagno, Ch'insieme si trovar, di quel guadagno.
24 E dove col nocchier tenne via incerta, Poi che non l'ebbe, andò in Africa al
dritto, E venne a capitar pres?o a Biserta Tre miglia o due, dal lato verso
Egitto; E nell'arena sterile e deserta Kestò, mancando il vento e l'acqua,
fitto. Or quivi sopravvenne, a spasso andando, Come di sopra io vi narrava,
Orlando. 25 E disioso di saper, se fiisse La nave sola, e fusse o vota o carca.
Con Brandiraarte a quella si condusse, E col cogimto, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s'introdusse, Tutta la ritrovò d'uomini scarca: Vi trovò
sol Frontino il buon destriero. L'armatura e la spada di Ruggiero; 26 Di cui fu
per campar tanta la fretta, Ch'a tor la spada non ebbe pur tempo. Conobbe
quella il Paladin, che detta Fu Baliwrda, e che già sua fu un tempo. So che
tutta l'istoria avete letta, Cume la tolse a Fallerina, al tempo Che le
distrusse anco il giardiu sì bello, E come a lui poi la rubò Brunello; 27 E
come sotto il monte di Csrena Brunel ne fé' a Rnggier libero dono. Di che
taglio ella fosse e di che schena, N'avea già fatto esperimento buono; Io dico
Orlando; e peiò n'ebbe piena Letizia, e ringrazionne il sommo Trono; E si
credette (e spesso il disse dopo) Che Dio gliela mandasse a si grande uopo: S8
A si grande uopo, quant'era, dovendo Condursi col Signor di Sericana; Ch'oltre
che di valor fosse tremendo, Sapea ch'avea Baiardo e Durindana. L'altra
armatura, non la conoscendo, Non apprezzò per cosa si soprana, Come chi ne fé'
prova; apprezzò quella, Per buona sì, ma per più ricca e bella. >/stanza 22.
30 Pel di della battaglia ogni guerriero Studia aver ricco e nuovo abito
indosso. Orlando ricamar fa nel quartiero L'alto Babel dal fùlmine percosso. Un
can d'argento aver vuole Oliviero, che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,
Con un motto che dica: Finché vegna:E vuol d'oro la veste, e di sé degna. 31
Fece disegno Brandimarte, il giorno Della battaglia, per amor del padre E per
suo onor, di non andare adomo Se non di sopravveste oscure et adre. Fiordiligi
le fé' con fregio intorno Quanto più seppe far, belle e leggiadre. Di ricche
gemme il fregio era contesto: D'un schietto drappo, e tutto nero il resto. 32
Fece la donna di sua man le sopra Vesti a cui l'arme converrian più fine,
De'quai Tosbergo il cavalier si copra, E la groppa al cavallo e U petto e U
criin. Ma da quel dì che cominciò quest'opra, Continuando a quel che le die
fine, E dopo ancora, mai segno di riso Far non potè, né d'allegrezza in viso.
83 Sempre ha timor nel cor, sempre tormento, Che Brandimarte suo non le sia
tolto. Già l'ha veduto in cento lochi e cento In gran battaglie e perigliose
avvolto; Né mai, come ora, simi'e spavento Le agghiacciò il sangue e
impallidille il volto. E questa novità d'aver timore Le fa' tremar di doppia
tema il core. 34 Poi che son d'arme e d'ogni arnese in punto. Alzano al vento i
cr.valier le vele. Astolfo e Sansonetto con l'assunto Riman del grand'esercito
fedele. Fiordiligi col cr di timor punto,Empiendo il ciel di voti e di querele,
Quanto con vista seguitar le puotc, Segue le vele in alto mar remote. 85
Astolfo a gran fatica e Sansonetto Potè levarla da mirar nell' onda, E ritrarla
al palagio,ove sul letto La lasciaro affannata e tremebonda. Portava intanto il
bel numero eletto Dei tre buon cavalier l'aura seconda. Andò il legno a trovar
l'isola al dritto, Ove far si dovea tanto conflitto. Stanza 46. 36 Sceso nel
lito il Cavalier d'Anglante, Il cognato Oliviero e Brandimarte, Col padiglione
il lato di Levante Primi occupar; né forse il fér senz'arte. Giunse quel dì
medesimo Agramante E s' accampò dalla contraria parte; Ma perchè molto era
inchinata l'ora, Differir la battaglia nell'aurora. 37 Di qua e di là sin alla
nuova luce Stanno alla guardia i servitori armati. La sera Brandimarte si
conduce Là dove i S.\racin sono alloggiati, E parla, con licenzia del suo duce,
Al Re african, ch'amici erano stati; E Brandimarte già cpn la bandiera Del re
Agramante in Francia passato era. 38 Dopo i saluti e '1 giunger mano a mino.
Molte ragion, sì come amico, disse Il fedel Cavai iero al Re pagano, Perchè a
questa battasflia non venisse:E di riporgli ogni cittade in mano, Che sia tra
'1 Nilo e '1 segno eh' Ercol fise. Con volontà d'Orlando gli offeria, Se creder
volea al Figlio di Maria. 39 Perché sempre v'ho amato ed amo molto, Questo
consiglio, gli dicea, vi dono; E quando già, Signor, per me V ho tolto, Creder
potete ch'io l'estimo buono. Cristo conobbi Dio, Maumette stolto; E bramo voi
por nella via in eh' io sono:Nella via di salute, Signor, bramo Che siate meco,
e tatti gli altri ch'amo. 40 Qui consiste il ben vostro; né consiglio Altro
potete prender, che vi vaglia; E men di tutti gli altri, se col figlio Di Milon
vi mettete alla battaglia: Che il guadagno del vincere al perìglio Della
perdita grande non si agguaglia. Vincendo voi, poco acquistar potete: Ma non
perder già poco, se perdete. 41 Quando uccidiate Orlando, e noi venuti Qui per
morire o vincere con lui, Io non veggo per questo che i perduti Dominj a
racquistar sabbian per vui. Ne dovete sperar che si si muti Lo stato delle
cose, morti nui, Ch'uomini a Carlo manchino da porre Quivi a guardar fin
all'estrema torre. stanza 40. 42 Così parlava Brandimarte, ed era Per soggiungere
ancor molte altre cose; Ma fu con voce irata e faccia altiera Dal Pagano
interrotto, che rispose: Temerità per certo e pazzia vera È la tua, e di
qualunque che si pose A consigliar mai cosa o buona o ria. Ove chiamato a
consigliar non sia. 43 E che U consiglio che mi dai, proceda Da ben che m'hai
voluto, e vuommi ancora, Io non so, a dir il ver, come io tei creda Quando qui
con Orlando ti veggo ora. Crederò ben, tu che ti vedi in preda Di quel dragon
che l'anime divora, Che brami teco nel dolore eterno Tutto '1 mondo poter
trarre all' Inferno. 44 Ch'io vinca o perda, o debba nel mio regno Tornare
antiquo, o sempre stame in bando, In mente sua n' ha Dio fatto disegno, Il qual
né io, né tu, né vede Orlando. Sia quel che vuol, non potrà ad atto indegno Di Re
inchinarmi mai timor nefando. S'io fossi certo di morir, vo' morto Prima
restar, ch'ai sangue mio far torto. 45 Or ti puoi ritornar; che se migliore Non
sei dimani in questo campo armato, Che tu mi sia paruto oggi oratore, Mal
troverassi Orlando accompagnato; Queste ultime parole usciron fuore Del petto
acceso d'Agramante irato. Ritornò Puno e T altro, e ripososse Finché del mar il
giorno uscito fosse. 46 Nel biancheggiar della nuova alba, firmati E in un
momento fiir tutti a cavallo. Pochi sermon si son tra loro usati:Non vi fu
indugio, non vi fu intervallo; Che i ferri delle lance hanno abbassati. Ma mi
parria, Signor, far troppo fallo, Se, per voler di costor dir, lasciassi Tanto
Ruggier nel mar, che v'affogassi. 47 II giovinetto con piedi e con braccia Percotendo
venia Porribil onde. Il vento e la tempesta gli minaccia: Ma più la coscì'enzia
lo confonde. Teme che Cristo ora vendetta faccia; Che, poiché battezzar nell'
acque monde, Quando ebbe tempo., sì poco gli calse, Or si battezzi in queste
amare e salse. 48 Gli ritornano a mente le promesse Che tante volte alla sua
donna fece; Quel che giurato avea quando si messe Centra Rinaldo e nulla
satisfece. A Dio, eh' ivi punir non lo volesse, Pentito disse quattro volte e
diece; E fece voto di core e di fede D'esser Cristian, se ponea in terra il
piede: 49 E mai più non pigliar spada né lancia Contra ai Fedeli in aiuto de'
Mori; Ma che ritomeria subito in Francia, E a Carlo renderla debiti onori; Né
Bradamante più terrebbe a ciancia, E verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol fti, che senti al fin del voto Crescersi forza, e agevolarsi il nuoto.
50 Cresce la forza e l'animo indefesso:Ruggier percuote l'onde e le respinge.
L'onde che seguon V una all' altra presso . Di che una il leva, un'altra lo
sospinge. Cosi montando e discendendo spesso Con gran travaglio, alfin l'arena
attinge; E dalla parte onde s'inchina il colle Più verso il mar, esce bagnato e
molle. 51 Fur tutti gli altri, che nel mar si di?rii . Vinti dall'onde e alfin
restar nell'acque. Nel solitario scoglio uscì Ruggiero, Come all'alta Bontà
divina piacque. Poi che fu sopra il monte inculto e fiero Sicur dal mar, nuovo
timor gli nacque D'avere esilio in sì stretto confine, E di morirvi di disagio
alfine. 52 Ma pur col core indomito, e costante Di patir quanto é in ciel di
lui prescrìtto, Pei duri sassi l'intrepide piante Mosse, poggiando inver la
cima al dritto. Non era cento passi andato innante, Che vide d'anni e
d'astinenzie afflitto Uom eh' avea d'eremita abito e segno, Di molta reverenzia
e d'onor degno; 53 Che, come gli fu presso, Saulo, Saulo, Gridò, perché
perseguì la mia Fede? (Come allor il Signor disse a san Paulo, Che'l colpo
salutifero gli diede). Passar credesti il mar, né pagar nanlo, E defraudare
altrui della mercede. Vedi che Dio, e' ha lunga man, ti giunge, Quando tu gli
pensasti esser più Innge. 54 E seguitò il santissimo Eremita, Il qual la notte
innanzi avuto avea In vision da Dio, che con sua aita Allo scoglio Ruggier
giunger dovea E di lui tutta la passata vita, E la futura, e ancor la morte
rea, Figli e nipoti ed ogni discendente Gli avea Dio rivelato interamente. 55
Seguitò r Eremita riprendendo Prima Ruggiero: e alfin poi confortollo. Lo
riprendea ch'era ito difierendo Sotto il soave giogo a porre il collo; E quel
che dovea far, libero essendo, Mentre Cristo pregando a sé chiamollo. Fatto
avea poi con poca grazia, quando Venir con sferza il vide minacciando. 56 Poi
confurtollo che non niega il cielo, Tardi o per tempo, Cristo a chi gliel
chiede; E di quegli operari del Vangelo Narrò, che tutti ebhono ugual mercede.
Con caritade e con devoto zelo Lo venne ammaestrando nella Fede Verso la cella
sua con lento passo, Ch' era cavata a mezzo il duro sasso. hS Eran degli anni
ormai presso a quaranta, Che sullo scoglio il fraticel si messe; Ch'a menar
vita solitaria e santa Luogo opportuno il Salvator gli elesse. Di frutte còlte
or d'una or d'altra pianta, E d'acqua pura la sua vita resse, Che valida e
robusta e senz'affanno Era venuta all'ottantesimo anno. Stanza 5a 59 Dentro la
cella il vecchio accese il fuoco, E la mensa ingombrò di vari frutti, Ove si
ricreò Ruggiero un poco, Poscia ch'i panni e i capelli ebbe asciutti. Imparò
poi più ad agio in questo loco l'i nostra Fede i gran misteri tutti j £d alla
imra fonte ebbe battesmo 11 di seguente dal vecchio medesmo. Stanza 60. 60
Secondo il luogo, assai contento stava Quivi Ruggier; chè'l luon servo di Dio
Fra pochi giorni intnzion gli dava Di rimandarlo ove più avea disio. Di molte
cose intanto Mgionava Con lui sovente, or al regno di Dio, Or alli propri oasi
appertinenti, Or del suo sangue alle future genti. 57 Di sopra siede alla
devota cella Una piccola chiesa, che risponde All'oriente, assai comoda e
bella; Di sotto un bosco scende sin all'onde, Di lauri e di ginepri e di
mortella, E di palme fruttifere e feconde, Che riga sempre una liquida fonte,
Che mormorando cade giù dal monte. 61 Avea il Signor, che'l tutto intende e
vede. Rivelato al santissimo Eremita,Che Ruggier da quel dì ch'ebbe la Fede,
Dovea sette anni, e non più, stare in vita; Che per la morte che sua donna
diede A Pinabel, ch'a lui fia attribuita. Saria, e per quella ancor di
Bertolagi, Morto dai laganzesi empi e malvagi:62 £ che quel tradimento andrà sì
occulto, Che non se n'udirà di fuor novella; Perchè nel proprio loco fia
sepulto, Ove anco ucciso dalla gente fella: Per questo tardi vendicato ed ulto
Fia dalla moglie e dalla sua sorella: £ che col ventre pieu per lunga via Dalla
moglie fedel cercato fia. 65 £ perchè dirà Carlo in latino: Este Signori qui,
quando foragli il dono; Nel secolo futur nominato Este Sarà il hel luogo con
augurio buono; E così lascerà il nome d'Ateste Delle due prime note il vecchio
suono. Avea Dio ancora al servo suo predetta Di Ruggier la futura aspra
vendetta: tigWi Stanza 61. 63 Fra l'Adige e la Brenta appiè de colli Ch'ai
troiano Antenór piacquero tanto, Con le sulfuree vene e rivi molli, Con lieti
solchi e prati ameni accanto, Che con l'alto Ida volentier m atolli, Col
sospirato Ascanio e caro Xanto, A partorir verrà nelle foreste Che son poco
lontane al frigio Ateste:64 £ ch'in bellezza ed in valor cresciuto Il parto
suo, che pur Ruggier fia detto, £ del sangue troian riconosciuto da quei
Troiani, in lor Signor fia eletto; £ poi da Carlo, a cui sarà in aiuto Incontra
i Longobardi giovinetto, Dominio giusto avrà del bel paese, £ titolo onorato di
Marchese. 66 Ch'in visione alla fedel consorte Apparirà dinanzi al giorno un
poco; £ le dirà chi l'avrà messo a morte • £, dove giacerà, mostrerà il loco:
Ond'ella poi con la cognata forte Distruggerà Pontieri a ferro e a fuoco; Né
farà a'Maganzesi minor danni Il figlio suo Ruggiero, ov' abbia gli anni. 67 D'
Azzi, d Alberti, d'Obici discorso Fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,
Insino a Niccolò, Leonello, Borso, Ercole, Alfonso, Ippolito e Isabella. Ma il
santo vecchio, ch'alia lingua ha il morso. Non di quanto egli sa però favella:
Narra a Ruggier quel che narrar convìensi; E quel ch'in sé de' ritener,
ritiensi. 68 In questo tempo Orlando e Brandimarte £ '1 marchese Olivier col
ferro basso Vanno a trovare il Saracino Marte (Che così nominar si può
Gradasso), E gli altri duo che da contraria parte Han mosso il buon destrier
più che di passo; Io dico il re Agramante e '1 re Sobrino:Rimbomba al cor?o il
lito e'I mar vicino. 69 Quando allo scontro vengono a trovarsi, E in tronchi
vola al ciel rotta ogni lancia, Del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi, Del
gran rumor che s'udì sino in Francia. Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi;
E potea stare ugual questa bilancia, Se non era il vantaggio di Baiardo, Che
fé' parer Gradasso più gagliardo. 70 Percosse egli il destrier di minor forza.
Ch'Orlando avea, d'un urto così strano, Che lo fece piegare a poggia e ad orza,
E poi cader, quanto era lungo, al piano. Orlando di levarlo si risforza Tre
volte e quattro, e con sproni e con mau">: E quando alfin noi può
levar, ne scende, Lo scudo imbraccia, e Balisarda prende. 71 Scontrossi col Re
d'Africa Oliviero; £ fur di quello incontro a paro a paro. Brandimarte restar
senza destriero Fece Sobrin, ma non si seppe chiaro Se v'ebbe il destrier
colpa, o il cavaliero; Ch'avvezzo era cader Sobrin di raro. 0 del destriero, o
suo pur fosse il fallo, Sobrin si ritrovò giù del cavallo. 72 Or Brandimarte,
che vide per terra Il re Sobrin, non l'assalì altrimente; Ma contro il re
Gradasso si disserra, Ch'avea abbattuto Orlando parimente. Tra il Slarchese e
Agramante andò la guerra Come fu cominciata primamente; Poi che si roppon
l'aste negli scudi, S'eran tornati incontro a stocchi ignudi. Stanza 74. 73
Orlando, che Gradasso in atto vede, Che par eh' a lui tornar poco gli caglia;
Né tornar Brandimarte gli concede, lo stringe e tanto lo travaglia; Si volge
intorno, e similmente a piede Vede Sobrin che sta senza battaglia. Vèr lui
s'avventa; e al muover delle piante J?'a il ciel tremar del suo fiero
sembiante. 74 Sobrin, che di tanto uora vede l'assalto, Stretto nell'arme
s'apparecchia tutto: Come nocchiero a cui vegna a gran salto Muggendo incontra
il minaccioso flutto, Drizza la prora, e quando il mar tant'alto salire, esser
vorria all'asciutto. Sobrin lo scudo oppone alla mina Che dalla spada vien di
Fallerina. Sunza 78. 75 Di tal finezza è quella Balisarda, Che l'arme le puon
far poco riparo: In man poi di persona si gagliarda. In man d'Orlando, unico al
mondo o raro. Taglia lo scudo; e nulla la ritarda Perchè cerchiato sia tutto
d'acciaro: Taglia lo scudo, e sino al fondo fende, sotto a quello in su la
spalla scende. 76 Scende alla spalla; e perchè la ritrovi Di doppia lama e di
maglia coperta, Non vuol però che molto ella le giovi, Che di gran piaga non la
lasci aperta. Mena Sobrin; ma indarno è che si provi Ferire Orlando, a cui per
grazia certa il Motor del cielo e delle stelle, Che mai forar non se gli può la
pelle, 77 Raddoppia il colpo il valoroso Conte, E pensa dalle spalle il capo
torgli. Sobrin che sa il valor di Chiaramonte, E che poco gli vai lo scudo
opporgli, S'arretra; ma non tanto, che la fronte Non venisse anco Balisarda a
còrgli. Di piatto fu, ma il colpo tanto fello, Ch'ammaccò l'elmo, e gl'intronò
il cervello. 78 Cadde Sobrin del fiero colpo in terra, Onde a gran pezzo poi
non è risorto. Crede finita aver con lui la guerra Il Paladino, e che si
giaccia morto; E verso il re Gradasso si disserra, Che Brandimarte non meni a
mal porto: Chè'l Pagan d'arme e di spada l'avanza, E di destriero, e forse di
possanza. V f''' Stanza 85. 79 L'ardito Brandimarte in su Frontino, Quel buon
destrier che di Ruggier fu dianzi, Si porta cosi ben col Saracino, Che non par
già che quel troppo l'avanzi; E s'egli avesse osbergo cosi fino, Come il Pagan,
gli starla meglio innanzi; Ma gli convien, che mal si sente armato, Spesso dar
luogo or d'uno or d'altro lato. 80 Altro destrier non è che meglio intenda Di
quel Frontino il cavillerò a cenno: Par che, dovunque Durindana scenda, Or quinci
or quindi abbia a schivarla senno. Agramante e Olivier battaglia orrenda
Altrove fanno, e giudicar si denno Per duo guenier di pari in arme accorti, E
poco differenti in esser forti. 81 Avea lasciato, come io dissi, Orhindo
Sobrino in terra; e contra il re Gradasso . Soccorrer Brandimarte disiando.
Come si trovò a pie, venia a gran passo. Era vicin per assalirlo, quando Vide
in mezzo del campo andare a spasso Il buon cavallo onde Sobrin fu spinto; E per
averlo, presto si fu accinto. 82 Ebbe il destrier, che non trovò contesa, E
levò un salto, ed entrò nella sella. Nell'una man la spada tien sospesa, Mette
l'altra alla briglia ricca e bella. Gradasso vede Orlando, e non gli pesa Ch' a
lui ne viene, e per nome l'appella. Ad esso e a Brandimarte e all'altro spera
Far parer notte, e che non sia ancor sera. S'd Voltasi al Conte, e Brandimarte
lassa, E d'una punta lo trova al camaglio:Fuorché la carne, ogni altra cosa
pasa; Per forar quella è vano ogni travaglio. Orlando a un tempo Balisarda
abbassa: Non vale incanto ov'ella mette il taglio. L' elmo, lo scudo, 1'
osbergo e l'arnese . Venne fendendo in giù ciò ch'ella prese; 84 E nel volto e
nel petto e nella coscia Lasciò ferito il Re di Sericana, Di cui non fu mai
tratto sangue, poscia Ch' ebbe queir arme: or gli par cosa strana Che quella
spada (e n'ha dispetto e angoscia) Le tagli or si; né pur é Durindana. E se più
lungo il colpo era o più appreso, L'avria dal capo insino al ventre fésso 85
Non bisogna più aver nell' arme fede, Come avea dianzi; che la prova è fatta.
Con più riguardo e più ragion procede, Che non solea; meglio al parar si
adatta. Brandimarte ch'Orlando entrato vede, Che gli ha di man quella battaglia
tratta. Si pone in mezzo all'una e all'altra pugna, Perchè in aiuto, ove è
bisogno, gingna. 86 Essendo la battaglia in tale istato, Sobrin, eh' era
giaciuto in terra molto . Si levò poi ch'in sé fu ritornato; E molto gli dolca
la spalla e 'l volto. Alzò la vista, e mirò in ogni Iato: Poi, dove vide il suo
Signor, rivolto, Per dargli aiuto i lunghi passi torse Tacito sì, ch'alcun non
se u' accorse. 87 Vieu dietro "ad Olivier, che tenea gli occhi Al re
Affamante, e poco altro attendea; E gli feri nei deretin ginocchi Il deatrier
di percossa in modo rea, Che senza indugio è forza che trabocchi. Cade Olivier;
nèl piede aver potea, Il manco pie ch'ai non pensato caso Sotto il cavallo in
staffa era rimaso. 91 Trovato ha Brandimarte il re Agramante, E cominciato a
tempestargli intorno:Or con Fronti n gli è al fianco, or gli è davante, Con
quel Frontin che gira come un torno. Buon cavallo ha il figliaol di Monodante;
Non l'ha peggiore il re di Mezzogiorno:Ha Brigliador che gli donò Ruggiero Poi
che lo tolse a Mandricardo altiero. <' Stanza 87. 88 Sobrin raddoppia il
colpo, e di riverso Gli mena, e se gli crede il capo torre; Ma lo vieta V
acciar lucido e terso, Che temprò già Vulcan, portò già Ettorre. Vede il
periglio Brandimarte, e verso Il re Sobrino a tutta briglia corre; E lo fere in
sul capo, e gli dà d'urto: Ma il fiero vecchio è tosto in pie risurto; 89 E toma
ad Olivier per dargli spaccio, Sì eh' espedito all'altra vita vada; O non
lasciare almen eh' esca d'impaccio, 2Ia che si stia sotto il cavallo a bada.
Olivier e' ha di sopra il miglior braccio, Sì che si può difender con la spada,
Di qua di là tanto percuote e punge, Che, quanto è lunga, fa Sobrin star lunge.
90 Spera, s' alquanto il tien da sé rispinto, In poco spazio uscir di quella
pena. Tutto di sangue il vede molle e tinto, E che ne versa tanto in su
l'arena, Che gli par eh' abbia tosto a restar vinto:Debole è si, che si
sostiene a pena. Fa per levarsi Olivier molte prove. Né da dosso il destrìer
però si muove. 92 Vantaggio ha beuB assai dell' armatura; A tutta prova Pha
buona e perfetta. Brandimarte la sua tolse a ventura, Qual potè avere a tal bisogno
in fretta: Ma sua animosità si V assicura, Ch' in miglior tosto di cangiarla
aspetta:Come che'l Re african d'aspra percossa La spalla destra gli avea fatta
rossa, 93 E serbi da Gradasso anco nel fianco Piaga da non pigliar però da
gioco. Tanto l'attese al varco il guerrier franco. Che di cacciar la spada
trovò loco. Spezzò lo scudo, e ferì il braccio manco, E poi nella man destra il
toccò un poco. Ma questo un scherzo si può dire e un spasso Verso quel che fa
Orlando e '1 re Gradasso. stanza 88. 94 Gradasso ha mezzo Orlando disarmato;
L'elmo gli ha in cima e da dui lati rotto; E fattogli cader lo scudo al prato,
Osbergo e maglia apertagli di sotto: Non l'ha ferito già; ch era affatato. Ma
il Paladino ha lui peggio condotto: In faccia, nella gola, in mezzo il petto
L'ha ferito, oltre a quel che già v'ho detto. 95 Gradasso disperato, che si
vede Del proprio sangue tutto molle e brutto, E ch'Orlando del suo dal capo al
piede Sta dopo tanti colpi ancora asciutto; Leva il brando a due mani, e ben si
crede Partirgli il capo, il petto, il ventre e'I tutto; E appunto, come vuol,
sopra la fronte Percuote a mezza spada il fiero Conte. 100 Padre del elei, dà
fra gli eletti tuoi Spiriti luogo al martir tuo fedele. Che giunto al fin de'
tempestosi suoi Viaggi, in porto ormai lega le vele. Ah Durindana, dunque esser
tu puoi Al tuo signore Orlando sì crudele, che la più grata compagnia e più
fida Ch'egli abbia al mondo, innanzi tu gli ncdda? 96 E s' era altro eh'
Orlando, l'avria fatto; L'avria sparato fin sopra la sella:Ma, come colto
l'avesse di piatto, La spada ritornò lucida e bella. Della percossa Orlando
stupefatto. Vide, mirando in terra, alcuna stella. Lasciò la briglia, e 'I
brando avria lasciato; Ma di catena al braccio era legato. 97 Del suon del
colpo fu tanto smarrito Il corridor eh' Orlando avea sul dorso, Che discorrendo
il polveroso lito, Mostrando già quanto era buono al corso. Della percossa il
Conte tramortito. Non ha valor di ritenergli il morso Segue Gradasso, e l'avria
tosto giunto, Poco più che Ba lardo avesse punto. 98 Ma nel .voltar degli
occhi, il re Agramantc Vide condotto all' ultimo periglio; Che nell'elmo il
figliuol di Monodante Col braccio manco gli ha dato di piglio, E gliel'ha
dislacciato già davante, E tenta col pugnai nuovo consiglio; Né gli può far
quel Re difesa molta, Perchè di man gli ha ancor la spada tolta. f9 Volta
Gradasso, e più non segue Orlando; Ma, dove vede il re Agramante, accorre.
L'incauto Brandimarte, non pensando Ch'Orlando costui lasci da sé tórre. Non
gli ba né gli occhi né '1 pensiero, instando Il coltel nella gola al Pagan
porre. Giunge Gradasso, e a tutto suo potere Con la spada a due man l'elmo gli
fere. Stanza 97. 101 Di ferro un cerchio grosso era duo dita Intorno all'elmo,
e fu tagliato e rotto Dal gravissimo colpo, e fu partita La culfia dell'acciar
ch'era di sotto. Brandimarte con faccia sbigottita Giù del destrier si riversò
di botto; E fuor del capo fé' con larga vena Correr di sangue un fiume in su
l'arena. 102 II Conte .si risente, e gli occhi gira. Ed ha il suo Brandimarte
in terra scorto; E sopra in atto il Serican gli mira, Che ben conoscer può che
glie T ha morto. Non so se in lui potè più il duolo o l'ira; Ma da piangere il
tempo avea sì corto, Che restò il duolo, e Tira uscì più in fretti". Ma tempo
è omai che fine al Canto io metta. St. 2. V.1. L'almo liquor, ecc. Intendesi il
vino dato da Bacco ad Icaro, e più comunemente Icario, fi glio di Ebaio re di
Laconia. Qaesti ne fece bere ai suoi mietitori, i quali ne divennero ubbrlachi;
e creden dosi da lui avvelenati. Io gettarono in un pozzo,'dove morì. V.6.
Celti e Boi: popoli delle Gallie, che ade scati dalla bontà delle frutta, e
segnatamente del vino d'Italia, passarono le Alpi e posero sede nella Peni
sola. St. 9. V.67. Mugliando sopra il mar va il gregge bianco. I mostri marini
van mugliando, ecc., detti bian chi perchè classificati tra i pesci, e gregge,
psrchè diti in guardia, secondo le favole, e condotti dal dio Pioteo. St. 19.
V.1. IZ cornile e H padrone. Nelle galere dicevasi comite o cornilo il basso
uffiziale che soprav veglia alla ciurma, e ordina le manovre. Padrone cbia
mavasi il capitano dei minori navigli. St. 26. V.5. .Sto cJì tutta l'istoria
avete letta. Al Canto XVII, lib I, dell'Orbando 7/ma morato del Boiardo. St.
'28. V.5. Laltra armatura, ecc. Ruggiero aveva conquistata l'armatura d'Ettore
Troiano, figliuolo di Priamo, portata da Mandricardo. Vedi Canto XXX, St. 74.
St. 36. V.24. Brandimarte: Costei em venuta in Francia ad .\rdenna con
Ruggiero, Giadasso e Mandri cardo per liberare Orlando, ch'era tenuto
allacciato da gli incanti di Atlante. Vedi Semi, Canto LXVI, St. 14, e Canto
LXVII, St. 17, 7 e segj. liè forse il fèr Sem arte: perchè era gran vantaggio
che il sole, na scendo dietro le loro spalle, battes.se in faccia i nemici St.
.38. v.'ò. Il fedel cavaliero, ecc. Brandimarte era stato battezzato da
Orlando, trovandosi amendue prigioni di Monodante. Berni, Orlando IiinamoratOf
Canto XLI, Stanza 11. St. 43. V.6. Di quel dragon: del dem(Tnio. St. 53. V.5.
Naulo (o più comunemente nolo) ciò che si paga per fare un viaggio marittimo.
Qui il naulo che Dio fa paga a Ruggiero per quel tragitto, è il naufragio, qual
gastigo del recalcitrare di lui alle di vine chiamate. St. 63. V.13. Fra V
Adige e la Brenta: fiumi che limitano il territorio di Padova da mezzogiorno a
settentrione. Al troiano Antenòr piacquero tanto. Se guita r opinione che
Antenore fuggitivo da Troia ve nisse in Italia, e vi fondasse Padova. Lealtà
Ida: montagna di Frigia, non lungi da Troia. Ascanio: nome di lago e fiume nell
i Misia, soggetta al re Priamo. Xanto, 0 Scamandro, fiumicello vicino a Troia.
Al frigio Ateste: nome antico del castello d'Este sul padovano; e il Poeta Io
dicefriglOt perchè in que' tempi credevasi fabbricato dai Troiani. St. 65. v.6.
Delle due prime note: dell'A e del T, che sono le due prime lettere della
parola Ateste. Gl'im peratori, quando a rimeritare alcuno de' loro seguaci o
capitani voleano costituirlo signore di qualche luogo, dicevano in latino: Este
hic domini, cioè siate qui si onori. Or quando Carlo Magno donò a Ruggiero
l'antico castello di Ateste, dovette pure pronunciare tali parole. E da questo
costume e dal nome del suddetto castello, l'Ariosto, puntualmente seguendo i
Cronisti originò il cognome dei duchi di Ferrara. St. 83. y. 2. E d'una punta
lo trova: lo colpisce, lo percuote. Camaglio: parte dell'armatura che di fende
il collo. XLII. Il combattimento in Lampedusa ttuwec con la morte di Qn dasso e
di Aframanto, uccisi per mano d'Orl&tido, eh(c) con fliTva in vita Jobnno
Bnidamaiito ai accora pel rilanJo di RtiSgicro; e Rinaldo, oll'andare in
traccia il'Attglic", trOT" crii lo gtiarice dairainOLOsa piscione.
iQC&mmtEiatosì quindi juH raggi u(ij;jti re tarlando, s' imbatto in an
cavallerìe ehfl la accoglie in un magni Itco palazzo ornato di aiatQe
rapiirefcn tanti varie do a uè Kilenii; ed Ivi T oapite gli propoite om mnàtù
onik c[:rti Scarsi sulla fedeltà della moglie. 1 Qiml duro freno, o qnal hnìgno
nodo, Qimi, s' e4ser può, catena di diaìnante Farà che V ira servi ordine e
modo, Che non trascorra oltre al prescrìtto innante, Quando persona, che con
saldo chiodo T abbia già fìssa Amor nel cor costante, Tu vegga o per violenzia
o per inganno Patire o disonor o mortai danno?E 8 a cradel, sad inumano effetto
Quell'impeto talor P animo svia, escusa; perchè allor del petto Non ha ragione
imperio né balia. Achille, poi che sotto il falso elmetto Vide Patroclo
insanguinar la via, D'uccider chi l'uccise non fu sazio, Se noi traea, se non
ne facea strazio. Invitto Alfonso, simile ira accese La vostra gente il di che
vi percosse La fronte il grave sasso, e si v offese, Ch' ognun pensò che l'alma
gita fosse:L'accese in tal furor, che non difese Vostri inimici argini o mura o
fosse, Che non fessine insieme tutti morti, Senza lasciar chi la novella porti.
Il vedervi cader causò il dolore Che i vostri a furor mosse e a crudeltade.
S'eravate in pie voi, forse minore Licenzia avrian ayute le lor spade. Era vi
assai, che la Bastia in manche ore V'aveste ritornata in potestade, Che tolta
in giorni a voi non era stata Da gente Cordovese e di Granata. Forse fu da Dio
vindice permesso Che vi trovaste a quel caso impedito, Acciò che '1 crudo e
scellerato eccesso Che dianzi fatto avean, fosse punito; Che, poi ch'in lor man
vinto si fu messo Il miser Vestidel, lasso e ferito, Senz'arme fa tra cento
spade ucciso Dal popol la più parte circonciso. Ma perch' io vo' concludere, vi
dico Che nessun' altra quell'ira pareggia. Quando Signor, parente, o sozio
antico Dinanzi agli occhi ingiuriar ti veggia. Dunque è ben dritto, per sì caro
amico, Che subit'ira il cor d'Orlando feggia; Che dell' orribil colpo che gli
diede Il re Gradasso, morto in terra il vede. Qual nomade pastor, che vedut'
abbia Fuggir strisciando l'orrido serpente Che il figliuol, che giocava nella sabbia,
Ucciso gli ha col venenoso dente, Stringe il baston con collera e con rabbia;
Tal la spada, d'ogn' altra più tagliente, Stringe con ira il cavalier
d'Anglante:Il primo che trovò, fu il re Agramante, 8 Che sanguinoso, e della
spada privo, Con mezzo scudo, e con l'elmo disciolto, E ferito in più parti
ch'io non scrivo, S' era di man di Brandimarte tolto, Come di pie all' astor
sparvier mal vivo, A cui lasciò alla coda, invido o stolto. Orlando giunse, e
messe il colpo giusto Ove il capo si termina col busto. 9 Sciolto era l'elmo, e
disarmato il collo, che lo tagliò netto come un giunco. Cadde e die nel sabbion
l'ultimo crollo Del regnator di Libia il grave tronco. Corse lo spirto all'
acque, onde tiroUo Caron nel legno suo col graffio adunco. Orlando sopra lui
non si ritarda, Ma trova il Serican con Balisarda. 10 Come vide Gradasso
d'Agramante Cadere il busto dal capo diviso; Quel che accaduto mai non gli era
innante, Tremò nel core, e si smarrì nel viso: E all' arrivar del cavalier
d'Anglante, Presago del suo mal, parve conquiso. Per schermo suo, partito alcun
non prese, Quando il colpo mortai sopra gli scese. 11 Orlando lo ferì nel
destro fianco Sotto r ultima costa; e il ferro, immerso Nel ventre, un palmo
uscì dal lato manco, Di sangue sin all'elsa tutto asperso. Mostrò ben che di
man fu del più franco E del miglior guerrier dell' universo n colpo eh' un
Signor condujse a morte, Di cui non era in Paganìa il più forte. 12 Di tal
vittoria non troppo gioioso, Presto di sella il Paladin si getta; E col viso turbato
e lagrimoso A Brandimarte suo corre a gran fretta. Gli vede intorno il campo
sanguinoso:L'elmo, che par ch'aperto abbia un'accetta. Se fosse stato firal più
che di scorza, Difeso non l'avria con minor forza. 13 Orlando l'elmo gli levò
dal viso, E ritrovò che '1 capo sino al naso Fra r uno e l'altro ciglio era
diviso:Ma pur gli è tanto spirto anco rimaso, Che de' suoi falli al Re del
Paradiso Può domandar perdono anzi l'occaso; E confartar il Conte, che le gote
Sparge di pianto, a pazì'enzia puote; 14 E dirgli: Orlando, fa che ti raccordi
Di me neirorazion tue grate a Dio: Né meu ti raccomando la mia Fiordi.... Ma
dir non potè ligi: e qui finio. E voci e Huoni d'Angeli concordi Tosto in aria
s' udir, che l'alma uscio; La qual, disciolta dal corporeo Telo, dolce melodia
sali nel cielo. 15 Orlando, ancorché far dovea allegrezza Di sì devoto fine, e
sapea certo Che Brandimarte alla suprema altezza Salito era, che U ciel gli
vide aperto; Pur dair umana volontade, avvezza Coi fragil sensimale era
sofferto Ch'un tal più che fratel gli fosse tolto, E non aver di pianto umido
il volto. 16 Sobrin che molto sangue avea perduto, Che gli piovea sul fianco e
sulle gote, Riverso già gran pezzo era cadalo, E aver ne dovea ormai le vene
vote Ancor giacca Olivier; né riavuto piede avea, né riaver lo puote Se non
ismosso, e dallo star che tanto Gli fece il destrier sopra, mezzo infranto: Ì7
E seU cognato non venia ad aitarlo, Siccome lacrimoso era e dolente, Per sé
medesmo non potea ritrarlo. E tanta doglia e tal martir ne sente, Che ritratto
che Tehbe, né a mutarlo Né a fermarvisi sopra era possente; E n'ha insieme la
gamba si stordita, Che muover non si può, se non si aita. Stanza 9. 18 Della
vittoria poco rallegrosse Orlando; e troppo gli ea acerbo e duro Veder che morto
Brandimarte fosse. Né del cognato molto esser sicuro. Sobrin che vivea ancora,
ritrovosse. Ma poco chiaro avea con molto oscuro: Che la sua vita per l'uscito
sangue Era vicina a rimanere esangue. 19 Lo fece tdr, che tutto era sanguigno.
Il Conte, e medicar discretamente; E confortollo conparlar benigno, Come se
stato gli fosse parente:Che dopo il fatto nulla di maligno In sé tenea, ma
tutto era clemente. Fece dei morti arme e cavalli torre; I)el resto a' servi
lor lasciò disporre. 20 Qui della istoria mia, che non sia vera, Federigo
Fulgoso é in dubbio alquanto; Che con Tarmata avendo la riviera Di Barberia
trascorsa in ogni canto, Capitò quivi, e Pisola sì fiera. Montuosa e inegual
ritrovò tanto. Che non è, dice, in tutto il luogo strano Ove un sol pie si possa
metter piano: 21 Né verisimil tien che nell'alpestre Scoglio sei cavalieri, il
fior del mondo, Potesson far quella battaglia equestre. Alla quale obiezion
così rispondo: Ch'a quel tempo una piazza delle destre, Che sieno a questo,
avea lo scoglio al fondo: Ma poi, eh' un sasso, che 'l tremuoto aperse Le cadde
sopra, e tutta la coperse. 22 Si che, 0 chiaro fulgor della Fnlgosa Stirpe. 0
serena, o sempre viva luce, Se mai mi riprendeste in questa cosa, E forse
innanti a quello invitto Duce, Per cui la vostra patria or si riposa, Lascia
ogni odio, e in amor tutta sMnduce; Vi priego che non siate a dirgli tardo.
Ch'esser può che né in questo io sia bugiardo. 23 In questo tempo, alzando gli
occhi al mare, Vide Orlando venire a vela in fretta Un na villo leggier, che di
calare Facea sembiante sopra P isoletta. Di chi si fosse, io non voglio or
contare, Peic' ho più d'uno altrove che m' aspetta. Veggiamo in Francia, poi
che spinto ne hanno I Saracin. se mesti o lieti stanno. 24 Veggiam che fa
quella fedele amante, Che vede il suo contento ir si lontano; Dico la
travagliata Bradamante, Poi che ritrova il giuramento vano, Ch'avea fatto
Ruggier pochi di innante. Udendo il nostro e T altro stuol pagano. Poi chMn
questo ancor manca, non le avanza In chella debba più metter speranza: 25 E
ripetendo i pianti e le querele, Che pur troppo domestiche le furo. Tornò a sua
usanza a nominar crudele Ruggiero, e U suo destin spietato e duro. Indi
sciogliendo al gran dolor le vele, II Ciel che consentia tanto pergiuro, Né fatto
n'avea ancor segno evidente. Ingiusto chiama, debole e impotente. 26 Ad accusar
Melissa si converse, E maledir Toracol della grotta; Cha lor mendace suasion
s'immerse Nel mar d'Amore, ov'è a morir condotta. Poi con Marfisa ritornò a
dolerse Del suo fratel, che le ha la fede rotta; Con lei grida e si sfoga, e le
domanda. Piangendo, aiuto, e se le raccomanda. 27 Marfisa si ristringe nelle
spalle, E, quel sol che può far, le dà conforto; Né crede che Ruggier mai cosi
falle, Ch' a lei non debba ritornar di corto; E se non toma pur, sua fede
dàlie, Ch' ella non patirà si grave torto; 0 che battaglia piglierà con esso, 0
gli farà osservar ciò e' ha promesso. 28 Così fa ch'ella un poco il duo!
raffrena; Ch'avendo ove sfogarlo, è meno acerbo. Or ch'abbiam vista Bradamante
in pena. Chiamar Ruggier pergiuro, empio e superbo: Veggiamo ancor se miglior
vita mena 11 fratel suo che non ha polso o nerbo, Osso 0 medolla che non senta
caldo Delle fiamme d'Amor; dico Rinaldo: Stanza 27. 29 Dico Rinaldo, il qual
(come sapete) Angelica la bella amava tanto; Né l'avea tratto all'amorosa rete
Si la beltà di lei, come l'incanto. Aveano gli altri Paladin quiete. Essendo ai
Mori ogni vigore affranto: tra i vincitori era rimase solo Egli captivo in
amoroso duolo. 30 Cento messi a cercar che di lei fiisse Avea mandato, e
cerconne egli stesso. Alfine a Malagigi si ridusse. Che nei bisogni suoi V
aiutò spesso. A narrare il suo amor se gli condusse Col viso rosso e col ciglio
dimesso. Indi lo priega che gF insegui dove La desiata Angelica si trove. 31
Gran maraTiglia di si strano caso Va rìfolgendo a Malagigi il petto. Sa che sol
per Rinaldo era rimaso D'averla cento volte e più nel letto:Ed egli stesso,
acciò che persuaso Fosse di questo, avea assai fatto e detto Con prieghi e con
minacce per piegarlo; Né mai avuto avea poter di farlo: stanza 34. 32 E tanto
più, challor Rinaldo avrebbe Tratto fuor Malagigi di prigione. Fare or
spontaneamente lo vorrebbe, Che nulla giova, e nha minor cagione: Poi priega
lui, che ricordar si debbe Pfir quanto ha offeso in questo oltr' a ragione; Che
per negargli già, vi mancò poco Di non farlo morire in scuro loco. 33 Ma quanto
a Malagigi le domande Di Rinaldo importune più pareano; Tanto che l'amor suo
fosse più grande, Indizio manifesto gli faceano. I prieghi che con lui vani non
spande, Fan che subito immerge nell'oceano Ogni memoria della ingiuria vecchia,
E che a dargli soccorso s' apparcccliia. 34 Termine tolse alla risposta, e
spena Gli die, che favorevol gli saria: E che gli saprà dir la via che tiene Angelica,
o sia in Francia, o dove sii. E quindi Malagigi al luogo viene, Ove i demonj
scongiurar solia; Oh' era fra monti inaccessibil grotta:Apre il libro, e gli
spirti chiama in frotta. 35 Poi ne sceglie un che de' casi d'Amore Avea
notizia: e da lui saper volle, Come sia che Rinaldo, eh' avea il core Dianzi si
duro, or l'abbia tanto molle:E di quelle due fonti ode il tenore, Di che l'una
dà il foco, e l'altra il toUe; E al mal che l'una fa, nulla soccorre, Se non V
altr' acqua che contraria corre. 36 Et ('de come avendo già di quella. Che
l'amor caccia, bevuto Rinaldo, Ai lunghi prieghi d'Angelica bella Si dimostrò
cosi ostinato e saldo: E che poi giunto, per sua iniqua stella, A ber
nell'altra l'amoroso caldo. Tornò ad amar, per forza di quelle acque, Lei che
pur dianzi oltr'il dover gli spiacqae 87 Da iniqua stella e fier destin fu
giunto A ber la fiamma in quel ghiacciato rivo; Perchè Angelica venne quasi a
un punto A ber nell'altro di dolcezza privo, Che d'ogni amor le lasciò il cor
si emunto, Ch' indi ebbe lui, più che le serpi, a schivo:Egli amò lei, e l'amor
giunse al sego In ch'era già di lei l'odio e lo sdegno. 38 Del caso strano di
Rinaldo a pieno Fu Malagigi dal demonio instructo. Che gli narrò d'Angelica non
meno, Ch'a un giovine african si donò in tutto; E come poi lasciato avea il
terreno Tutto d'Europa, e per l'instabil flutto Verso India sciolto avea dai
liti ispani Su l'audaci galee de' Catalani 39 Poi che venne il cugin per la
risposta, Molto gli dissuase Malagigi Di più Angelica amar, che s' era posta
D'un vilissimo Barbaro ai servigi; Ed ora si da Francia si discosta, Che mal
seguir se ne potria i vestigi: Ch'era oggimai più là ch'a mezza strada Per
andar con Medoro in sua contrada. . 40 La partita d'Angelica non molto Sarebbe
grave air animoso amante; Né pur gli avria turbato il sonno, o tolto Il pensier
di tornarsene in Levante: Ma sentendo ch'avea del suo amor colto Un Saracino le
primizie innante, Tal passione e tal cordoglio sente, Che non fu in vita sua
mai più dolente. 41 Non ha poter d'una risposta sola; Triema il cor dentro, e
trieman fuor le labbia; Non può la lingua disnodar parola; La bocca ha amara, e
par che tosco v'abbia. Da Malagigi subito s'invola; E come il caccia la gelosa
rabbia. Dopo gran pianto e gran rammaricarsi, Verso Levante fa pensier
tornarsi. 42 Chiede licenzia al figlio di Pipino; E trova scusa, che'l destrier
Baiardo, Che ne mena Gradasso Saracino Contra il dover di cavalier gagliardo,
Lo muove per suo onore a quel cammino, Acciò che vieti al Serican bugiardo Di mai
vantarsi che con spada o lancia L'abbia levato a un paladin di Francia. 43
Lasciollo andar con sua licenzia Carlo, Benché ne fu con tutta Francia mesto;
Ma finalmente non seppe negarlo: Tanto gli parve il desiderio onesto. Vuol
Dudon, vuol Guidone alcompagnarlo; Ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi, e se ne va via solo, Pien di sospiri e d'amoroso duolo. Stanza
45. 44 Sempre ha in memoria, e mai non se gli toUe, Ch'averla mille volte avea
potuto, E mille volte avea, ostinato e folle, Di sì rara beltà fatto rifiuto; E
di tanto piacer, eh' aver non volle, Sì bello e sì buon tempo era perduto; Ed
ora eleggerebbe un giorno corto Averne solo, e rimaner poi morto. 45 Ha sempre
in mente, e mai non se ne parte. Come esser puote eh' un povero fante Abbia del
cor di lei spinto da parte Merito e amor d' ogni altro primo amante. Con tal
pensier, che'l cor gli straccia e parte, Rinaldo se ne va verso Levante: E
dritto al Reno e a Basilea si tiene, Finché d'Ardenna alla gran selva viene. 46
Poi che fu dentro a molte miglia andato Il Paladin pel bosco avventuroso, Da
ville e da castella allontanato. Ove aspro era più il luogo e periglioso. Tutto
in un tratto vide il cìel turbato, Sparito il Sol tra nuvoli nascoso. Ed uscir
fuori d'una caverna oscura Un strano mostro in femminil figura. 47 Mill'occhi
in capo avea senza palpebre; Non può serrarli, e non credo che dorma: Non men
che gli occLi, avea l'orecchie crebre; Avea, in loco di crin, serpi a gran
torma. Fuor delle diaboliche tenèbre. Nel mondo uscì la spaventevol forma. Un
fiero e maggior serpe ha per la coda, Che pel petto si gira, e che l'annoda. 48
Quel ch a Rinaldo in mille e mille imprese Più non avvenne mai, quivi gli
avviene; Che come vede il mostro eh' 11' offese Se gli. apparecchia, e eh' a trovar
lo viene, Tanta paura, quanta mai non scese In altri forse, gli entra nelle
vene; Ma pur V usato ardir simula e finge, E con trepida man la spada stringe.
49 S'acconcia il mostro in guisa al fiero assalto, Che si può dir che sia
mastro di guerra: Vibra il serpente venenoso in alto, E poi centra Rinaldo si
disserra: Di qna di là li vien sopra a gran salto. Rinaldo centra lui vaneggia
ed erra:Colpi a dritto e a riverso tira assai: Ma non ne tira alcun che fera
mai. Stanza 50. 52 Nel più tristo sentier, nel peggior calle Scorrendo va, nel
più intricato bosco, Ove ha più aspreaza il balzo, ove la valle È più spinosa,
ov'è l'aer più foàco; Cosi sperando torsi dalle spalle Quel brutto, abbominoso,
orrido tosco; J] ne sarla mal capitato forse. Se tosto non giungea chi lo
soccorse. 53 Ma lo soccorse a tempo un cavaliere Di bello armato e Incido
metallo, Che porta un giogo rotto per cimiero DI rosse fiamme ha pien lo scudo
giallo; Così trapunto il suo vestire altiero, Così la sopravvesta del cavallo:
La lancia ha in pugno, e la spada al suo loco, E la mazza airarcion, che getta
foco. 54 Piena d'un foco etemo è quella mazza, Che senza consumarsi ognora
avvampa:Né per buon scudo, o tempra di corazza, 0 per grossezza d'elmo se ne
scampa. Dunque si debbe il cavalier far piazza, Giri ove vuol l'inestinibil
lampa; Né manco bisognava al guerrier nostro, Per levarlo di man del crudel
mostro. 55 E come cavalier d'animo saldo. Ove ha udito il rumor, corre e
galoppa, Tanto che vede il mostro che Rinaldo Col brutto serpe in mille nodi
aggroppa, E sentir fagli a un tempo freddo e caldo: Che non ha via di torlosi
di groppa. Va il cavaliere, e fere il mostro al fianco, E lo fa traboccar dal
lato manco. 50 II mostro al petto il serpe ora gli appicca, Che sotto l'arme e
sin nel cor l'agliiaccia : Ora per la visiera gliele ficca, E fa ch'erra pel
collo e per la faccia. Rinaldo dall'impresa si dispicca, E quanto può con
sproni il destrier caccia: Ma la Furia infernal già non par zoppa, Che spicca
un salto, e gli è subito in groppa. 56 Ma quello è appena in terra che si
rizz.\, E il lungo serpe intorno aggira e vibra. Quest' altro più con l'azza
non V attizza; Ma di farla col foco sì delibra. La mazza impugni, e dove il
serpe guizza Spessi come tempesta i colpi libra; Né lascia tempo a quel bratto
animale. Che possa farne un solo, o bene o male:51 Vada attraverso, al dritto,
ove si voglia, Sempre ha con lui la maledetta peste; Né sa modo trovar che se
ne scioglia. Benché '1 destrier di calcitrar non reste. Triema a Rinaldo il cor
come una foglia: Non ch'altrimenti il serpe lo moleste; Ma tanto orror ne sente
e tanto schivo, Che stride e geme, e ducisi ch'egli è vivo. 57 E mentre
addietro il caccia o tiene a bada, E lo percuote, e vendica mille onte.
Consiglia il Paladin che se ne vada Per quella via che s'alza verso il monte.
Quel s'appiglia al consiglio ed alla strada; E senza dietro mai volger la
fronte. Non cessa che di vista se gli tolle, Benché molto aspro era a salir
quel colle Stanza 53. 58 II cavalier, poi ch'alia scura baca Fece tornare il
mostro dall'Inferno, Ore rode sé stesso e si manuca, E da mille occhi yersa il
pianto etemo Per esFer di Einaldo guida e duca, Gli sali dietro, e sul giogo
superno Gii fu alle spalle, e si mise con lui Per trarlo fuor de' luoghi oscuri
e bui 69 Come Rinaldo il vide ritornato, Gli disse che gli avea grazia
infinita, E ch'era debitore in ogni lato Di porre a beneficio suo la vita. Poi
lo domanda come sia nomato. Acciò dir sappia chi gli bacato aita; E tra
guerrieri possa, e innanzi a Carlo, Dell' alta sua bontà sempre esaltarlo. 60
Rispose il cavalier: Non ti rincresca SeJ nome mio scoprir non ti vogliora: Ben
tei dirò prima chnn passj cresca L'ombra; che ci sarà poca dimora. Trovare,
andando insieme, un'acqua fresca, Che col suo mormorio facea talora Pastori e
viandanti al chiaro rio Venire, e berne T amoroso obblio. Stanza 57. 63 L'un e
l'altro smontò del suo cavallo, E pascer lo lasciò per la foresta; E nel
fiorito verde a rosso e a giallo Ambi si trasson l'elmo della testa. Corse
Rinaldo al liquido cristallo. Spinto da caldo e da sete molesta, E cacciò, a un
sorso del freddo liquore, Dal petto ardente e la sete e l'amore. 64 Quando lo
vide l'altro ca vallerò La bocca sollevar dell' acqua molle, E ritrarne pentito
ogni pensiero Di quel desir eh' ebbe d'amor si folle; levò ritto e con
sembiante altiero Gli disse quel che dianzi dir non volle; Sappi, Rinaldo, il
nome mio è lo Sdegno Venuto sol per sciorti il giogo indegno. 65 Cosi dicendo,
subito gli sparve, E sparve insieme il suo destrier con lui. Questo a Rinaldo
un gran miracol parve; S' aggirò intorno, e disse: Ov' è costui?Stimar non sa
se sian magiche larve; Che Malagigi un de' ministri sui (Ui abbia mandato a
romper la catena Che lungamente l'ha tenuto in pena; 66 Oppur che Dio dall'alta
gerarchia Gli abbia per ineffabil sua bontade, come già mandò a Tobia, Un
angelo a levar di cecitade. Ma buono o rio demonio, o quel che sia. Che gli ha
renduta la sua libertade, Ringrazia e loda; e da lui sol conosce Che sano ha il
cor dell' amorose angosce. 61 Signor, queste eran quelle gelide acque. Quelle
che spenon l'amoroso caldo; Di cui bevendo y ad Angelica nacque ch'ebbe di poi
sempre a Rinaldo. E s'ella un tempo a lui prima dispiacque. E se nell'odio il
ritrovò si saldo, Non derivò, Signor, la causa altronde, Se non d'aver bevuto
di queste onde. b2 II cavalier che con Rinaldo viene. Come si vede innanzi al
chiaro rivo, Caldo per la fatica il destrier tiene, E dice: 11 posar qui non
fia nocivo. Non fia, disse Rinaldo, se non bene; Ch' oltre che prema il mezzogiorno
estivo, M' ha così il brutto mostro travagliato, Che '1 riposar mi fia comodo e
grato. 67 Gli fu nel primier odio ritornata Angelica, e gli parve troppo
indegna D'esser, non che si lungi seguitata, Ma che per lei pur mezza lega
vegna. Per Biiard) riaver tutta fiata Verso India in Sericana andar disegna, Si
perchè l'onor suo lo stringe a farlo, Si per averne già parlato a Carlo. 68
Giunse il giorno seguente a Basilea, Ove la nuova era venuta innante Che '1
conte Orlando aver pugna dovea Contra Gradasso e centra il re Agramante. Né
questo per avviso si sapea Ch'avesse dato il Cavalier d'Anglante; Ma di Sicilia
in fretta vennt'era Chi la novella v'apportò per vera. 69 Rinaldo vuol trovarsi
con Oliando Alla battaglia, e se ne vede Innge. Di dieci in dieci m'glia va
mutando Cavalli e guide, e corre e sferza e punge. Passa il Beno a Costanza, e
in su volando, Traversa l'Alpe, ed in Italia giunge. Verona addietro, addietro
Mantua lassa; Sul Po si trova, e con gran fretta il 70 Già sM'nchinava il sol
molto alla sera. E già apparia nel del la prima stella, Quando E inaldo in ripa
alla riviera Stando in pensier s'avea da mutar sella, O tanto soggiornar, che
Paria nera Fus'gisse innanzi alP altra aurora bella, Wnir si vede un cavaliero
innanti, ( 'urtese nell'aspetto e nei sembianti. 71 Costui dopo il saluto, con
bel modo (j]\ domandò s'aggiunto a moglie fosse. Disse Rinaldo; Io son nel
giugal nodo; lIa di tal domandar m aravi gliosse. Soggiunse quel: Che sia cosi
ne godo. Poi, per chiarir perchè tal detto mosse, Disse: Io ti prego che tu sia
contento Ch'io ti dia questa sera alloggiamento; 72 Che ti farò veder cosa che
debbe Ben volontier veder chi ha moglie a lato. Rinaldo, si perchè posar
vorrebbe, Ormai di correr tanto affaticato; Sì perchè di vedere e d'udir ebbe
Sempre avventure un desiderio innato; Accettò l'offerir del cavaliero, E dietro
gli pigliò nuovo sentiero. 73 Un tratto d'arco fuor di strada uscirò, E innanzi
un gran palazzo si trovare, Onde scudieri in gran frotta venire Con torchi
accesi, e fero intorno chiaro. Entrò Rinaldo, e voltò gli occhi in giro, E vide
loco il qual si vede raro, 14 gran fabbrica e bella e bene intesa; Né a privato
uom convenia tanta spesa. 74 Di serpentin, di porfido le dure Pietre fan della
porta il ricco vólto. Quel che chiude è di bronzo, con figure Che sembrano
spirar, muovere il volto. Sotto un arco poi s'entra, ove misture Di bel mosaico
ingannan l'occhio molto. Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia Delle sue
logge ha lunga cento braccia. 75 La sua porta ha per sé ciascuna loggia, E tra
la porta e sé ciascuna ha un arco: D'ampiezza pari son, ma varia foggia, Fé
d'ornamento il mastro lor, non parco. Da ciascun arco s'entra, ove si poggia Si
facil, che un somier vi può gir carco. Un altro arco di su trova ogni scala; E s'entra
per ogni arco in una sala. stanza 66. 76 Gli archi di sopra escono fuor del
segno Tanto, che fan coperchio alle gran porte; E ciascun due colonne ha per
sostegno, Altre di bronzo, altre di pietra forte. Lungo sarà; se tutti vi
disegno Gli ornati alloggiamenti della corte; E oltr'a quel ch'appar, quanti
agi sotto La cava terra il mastro avea ridotto. 77 L'alte colonne e i capitelli
d'oro, Da che i gemmati palchi eran suffiilti, I peregrini marmi che vi foro Da
dotta mano in varie forme soniti, Pitture e getti, e tant' altro lavoro (Beuchè
la notte agli occhi il più ne occulti) Mostran che non bastare a tanta mole Di
duo Re insieme le ricchezze sole. 78 Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
Ch erano assai nella giocondastanza, V era nna fonte che per più ruscelli
Spargea freschissime acque in abbondanza. Poste le mense a?eau quivi i
donzelli; Ch' era nel mezzo per egual distanza:Vedeva, e parimente veduta era
Da quattro porte della casa altiera. Stanza 90. 81 Fermava il pie ciascun di
questi segni Sopra due belle immagini più basse, Che con la bocca aperta facean
segni Che U canto e l'armonia lor dilettasse:E queir atto in che son, par che
disegni Che V opra e studio lor tutto lodasse Le belle donne che sugli omeri
hanno, Se fosser quei di cui in sembianza stanno. 82 I simulacri inferiori in
mano Avean lunghe ed amplissime scritture .. Ove facean con molta laude piano I
nomi delle più' degne figure; E mostravano ancor poco lontano I propri loro in
note non oscure. Mirò Rinaldo a lume di doppieri Le donne ad una ad una, e i
cavalieri. 83 La prima inscrizì'on ch'agli occhi occorre. Con lungo onor
Lucrezia Borgia noma, La cui bellezza ed onestà preporre Debbe all'antiqua la
sua patria Roma. I duo che voluto han sopra so tórre Tanto eccellente ed
onorata soma, Noma lo scrittoi Antonio Tebaldeo, Ercole Strozza; un Lino, ed
uno Orfeo. 84 Non men gioconda statua né men bella Si vede appresso, e la
scrittura dice: Ecco la figlia d'Ercole, Isabella . Per cui Ferrara si terrà
felice Via più, perchè in lei nata sarà quella, Che d'altro ben che prospera e
fautrice E benigna Fortuna dar le deve, Volgendo gli anni nel suo corso lieve.
79 Fatta da mastro diligente e dotto La fonte era con molta e sottil opra, Di
loggia a guisa, o padiglion ch'in otto Facce distinto, intorno adombri e copra.
Un ciel d'oro, che tutto era di sotto Colorito di smalto, le sta sopra; Ed otto
statue son di marmo bianco, Che sostengon quel ciel col braccio manco. 80 Nella
man destra il corno d'Amaltea Sculto avea lor P ingenì'oso mastro, Onde con
grato murmurc cadea L'acqua di fuore in vaso d'alabastro; Ed a sembianza di
gran donna avea Ridutto con grande arte ogni pilastro. Son d'abito e di faccia
differente, Ma grazia hanno e beltà tutte egualmente. 85 I duo che mostran
disiosi affetti Che la gloria di lei sempre risuone Gian lacchi ugualmente
erano detti, L'uno Calandra, 1 altro Bardelone. Nel terzo e quarto loco, ove
per stretti Rivi r acqua esce fuor del padiglione, Due donne son, che patria,
stirpe, onore Hanno di par, di par beltà e valore. 86 Elisabetta l'nna, e
Leonora Nominata era l'altra, e fia, per quanto Narrava il marmo sculto, d'esse
ancora Si gloriosa la terra di Manto Che di Vergilio, che tanto l'onora. Più
che di queste, non si darà vanto. Avea la prima appiè del sacro lembo Iacopo
Sadoleto e Pietro Bembo. 87 Un elegante Castiglione, e nn colto Muzio Arelio
dell'altra eran sostegni. Di questi nomi era il bel marmo sculto, Ignoti
allora, or sì famosi e degni, Veggon poi quella a cui dal Cielo indulto Tanta
irtù sarà, quanta ne regni, 0 mai regnata in alcun tempo sia, Versata da
Fortuna or buona or ria. 88 Lo scritto d'oro esser costei dichiara Lucrezia
Bentivoglia; e fìra le lode Pone di lei, che'l Duca di Ferrara D'esserle padre
si rallegra e gode. Di costei canta con soave e chiara Voce un Camil, chel Reno
e Felsina ode Con tanta attenzTon, tanto stupore, Con quanta Anfìriso udì già
il suo pastore:stanza 91. 89 Ed un per cui la terra, ove l'Isauro Le sue dolci
acque insala in maggior vase, Nominata sarà dall' Indo al Mauro, £ dalPaustrine
all'iperboree case. Via più che per pesare il Romano auro, Di che perpetuo nome
le rimase; Guido Postumo, a cui doppia corona Pallade quinci, e quindi Febo
dona. 90 L'altra che segue in ordine, è Dna. Non guardar (dice il marmo
scritto) ch'ella Sia altiera in vista; che nel core umana Non sarà però men
ch'in viso bella. Il dotto Celio Calcagnin lontana Farà la gloria e'I bel nome
di quella Nel regno di Monese, in quel di luba. In India e Spagna udir con
chiara tuba; Stanza 98. 91 Ed un Marco Cavallo, che tal fonte Farà di poesia
nascer d'Ancona, Qiial fé' il cavallo alato uscir del monte, Non sose di
Pamasso o d'Elicona. Beatrice appresso a questo alza la fronte, Di cui lo
scritto suo cosi ragiona:Beatrice bea, vivendo, il suo consorte, E lo lascia
infelice alla sua morte; 92 Anzi tutta l'Italia, che con lei Fia tri'onfonte; e
senza lei captiva. Un signor di Correggio di costei Con alto stil par che
cantando scriva, E Timoteo, l'onor de' Bendedei:Ambi faran tra 1' una e l'altra
riva Fermare al suon d"3'lor soavi plettri Il fiume ove sudar gli antiqui
elettri. 93 Tra questo loco,. e quel deUa colonna Che fu sculpìta in Borgia,
com è detto, Formata in alabastro una gran donna Era di tanto e si sublime
apetto, Che sotto puro velo, in nera gonna i Senza oro e gemme, in un vestire
schietto, Tra le più adorne non parea men bella. Che sia tra le altre la
Ciprigna stella. Stanza 101. 94 Non si potea, ben contemplando fiso Conoscer se
più grazia o più beltade, 0 maggior maestà fosse nel viso, 0 più indizio aMngegno
o d'onestadc. Chi vorrà di costei (dicea IMucìko riarmo) parlar quanto parlar n
accade, Ben torrà impresa più dogni altra degna: Ma non però, eh' a fin mai se
ne vegna. 95 Dolce ruantunque e pien di grazia tanto Fosse il suo bello e ben
formato segno, V'.r.x sdegnarsi che con urail canto Ardisse lei lodar si rozzo
ingegno, Com'era quel che sol, senz' altri accanto (Non so perchè), le fu fatto
sostegno. Di tuttofi resto erano i nomi soniti; Sol questi duo l'artefice avea
occulti. 96 Fanno le statue in mezzo un luogo tondo. Che '1 pavimento asciutto
ha di corallo. Di freddo soavissimo giocondo, Che rendea il puro e liquido
cristallo, Che di fuor cade in un canal fecondo, Che '1 prato verde, azzurro,
bianco e giallo Rigando, scorre per vari ruscelli, Grato alle morbid'erbe e
agli arbuscelli. 97 Col cortese oste ragionando stava Il Paladino a mensa; e
spesso spesso, Senza più differir, gli ricordava Che gli attenesse quanto avea
premesso: £ ad or ad or mirandolo, osservava Ch'avea di grande affanno il cuore
oppresso; Che non può star momento che non abbia Un cocente sospiro in su le
labbia. SUDza 102. 98 Spesso la voce dal disio cacciata. Viene a Rinaldo sin
presso alla bocca Per domandarlo; e quivi, raifrenat i Da cortese modestia,
fuor non scocca. Ora essendo la cena terminata. Ecco un donzello, a chi
l'ufficio tocca. Pon su la mensa un bel nappo d'or fino. Di fuor di gemme, e
dentro pien di vino. 99 II signor della casa allora alquanto Sorridendo, a
Rinaldo levò il viso; Ma chi ben lo notava, più di pianto Parea ch'avesse
voglia, che di riso. Disse: Ora a quel che mi ricordi tanto, Che tempo sia di
soddisfar m' è avviso; Mostrarti un paragon eh' esser de' grato Di vedere a
ciascun e' ha moglie a lato. 100 Ciascun marito, a mio giudizio, deve Sempre
spiar se la sua donna Fama; Saper s' onore o biasmo ne riceve; Se per lei
bestia o se pur uom si chiama. L'incarco delle coma è lo più lieve Ch'ai mondo
sia, sebben l'uom tanto infama: Lo vede quasi tutta l'altra gente; E chi l'ha
in capo, mai non se lo sente. 101 Se tu sai che fedel la moglie sia Hai di più
amarla e d onorar ragione, Che non ha quel che la conosce ria, 0 quel che ne
sta in dubbio e in passione. Di molte n'hanno a torto gelosia 1 lor mariti, che
son caste e buone:Molti di molte anco sicuri stanno Che con le coma in capo se
ne vanno. 102 Se vuoi saper se la tua sia pudica (Come io credo che credi, e
creder dèi:Ch' altrimente far credere è &tica Se chiaro già p3r prova non
ne sei), Tu per te stesso, senza eh' altri il dica, Te n'avvedrai, s'in questo
vaso bei; Che per altra cigion non è qui messo, Che per mostrarti quanto io
t'ho promesso. 108 Se bei con questo, vedrai grande effetto:Ohe se porti il
cimiér di Comovaglia, Il vin ti spargerai tutto sul petto. Né gocciola sarà
ch'in bocca saglia; Ma s' hai moglie fedel, tu berai netto. Or di veder tua
sorte ti travaglia. Cosi dicendo, per mirar tien gli occhi, ' Oh' in seno il
vin Rinaldo si trabocchi. 104 Quasi Rinaldo di cercar suaso Quel che poi
ritrovar non vorria forse 3Ies3a la mano innanzi, e preso il vaso, Fu presso di
volere in prova porse; Poi, quanto fosse periglioso il caso A porvi i labbri,
col pensier discorse. Ma lasciate, Signor, eh' io mi ripose; Poi dirò quel che
'1 Paladin rispose. NOTE. St. 2. V.5a AchiUCt poi che sotto il fUlso elmet tOy
ecc. É noto per V Biade d'Omero, che Achille diede la propria armatura
all'amico Patroclo, "cciocchò com battesse con Ettore. Patroclo restò
ucciso in quel com battimento; e Achille tanto se ne sdegnò, che dopo aver data
la morte ad Ettore, ne trascinò il cadàvere, av vinto al suo carro, intorno
alle mura al Troia. St. 3. V.2. Il dì che vi percosse La fronte il grave sasso,
ecc. Rammenta una ferita ohe neirattacco della Bastia sul Po. il duca Alfonso
riportò in fronte da una pietra scagliata da una macc'iina dagli Spagauoli. St.
5. V.38. Acciò che 'l crudo e scellerato ecces so, ecc. Prim% di qaeir attacco,
il Vestidello, governa tore della Bastia, fatto prigioniero dagli Spa?nuoli,
era stato da essi ucciso, nonostante le legi di guerra; per cui, ricuperato che
fu quel fortilizio dalle genti d'Al, il presidio spaguuol >, composto nella
maggior parte di gente circoncisa, Mori cioè, o discendenti da Mori, fu passato
a fil di spada. St. 6. V.6. Fegga: ferisca. ST. 22. V.16. 0 chiaro fulgor della
Fulgosa Stir ]ìe, ecc. Dirige la parola a Federico Fulgoso oFregoso, nominato
nella Stanza 20 (e lè con ambedue queste voci Iti denota una sola illustre
famiglia di Genova), il quale fu arcivescovo di Salerno, vescovo di Gubbio, e
poi cardinale. Andando egli qual condottiere della flotta geno vese contro il
corsaro Gorregoli, vide Lampedusa; e par che non convenisse col Poeta sulla
condizione fisica di queir isola. Quello invitto duie, Per cui la vostra
patria: ò Ottaviano Fregoso, fratello di Federico e doge di Genova, che
pacificò le fazioni onde quella repubblica era turbata. St. 38. V.8. I Caf
alani furono nel medio evo grandi navigatori. St. 47. V.3. Orecchie crèbre:
spesse, numerose. St. 65. V.6. Un de ministri sui: uno fra i demoni che
ubbidivano all'incantatore Malagigi. St. 76. V.78. Quanti agi sotto la cavj
terra, ecc. Intende dei comodi di cucine, che si praticano ne' sot terranei dei
palazzi. St. 80. V.1. Il corno dAmaltea: il corno dell'ab bondanza. Amaltea era
il nome della capra, o della ninfa a cui apparteneva la capra che allattò
Giove: e chi pos sedeva quel corno, otteneva tutto ciò che desiderava. St. 81.
V.18. Ciascun di questi segni: ciascuna di queste statue. Che con la bocca
aperta facean segni, ecc. Vuol diie che le statue inferiori, con la bocca aperta,
come in atto di cantare, mostravano compia cersi di encomiare le donne
rappresentate dalle statue s nperiori che su di loro posavano. St. 83. V.28.
Luereiia Borgia: moglie del duca Alfonso I. Antonio Tebaldeo: verseggiatore
nelle dae lingue, italiana e latina; mori in Roma in età d'anni 80. Ercole
Strozza: se ne parlò nella nota alla St. 8 del Canto XXZVII. Un Lino ed un
Orfeo: paragona il Tebaldeo a Lino, figlio d'Apollo e di Terpsioore, riguar
dato come inventore della poesia lirica; e lo Strozza ad Oifeo, figlio di Giove
e di Calliope, il quale con la sua musica si faceva seguitare dalle rocce e
dagli albl. ' St. 85. v.34. Oian Jacobi ugualmente ecc. Que sti due,
cognominati l'uno Calandra e Faltro Bardellone, erano mantovani; e il Calandra
ò noto come fcrittòre prosastico di soggetti amorosi. St. 86. V.18. Elisabetta
V una e Leonora Nomi nata eia V altra t ecc. Elisabetta era sorella di France
sco Gonzaga, marchese di Mantova, e moglie di Gaidu baldo duca d'Urbino.
Leonora, figlia del predetto Gon zaga, fa sposa di Francesco Maria della
Roverej creato duca d'Urbino da Giulio II. Jacopo Sadoleto e Pietro Bembo. Il
Sadoleto nasceva in Modena, fu vescovo, ed ebbe il cappello cardinalizio da
Paolo III. Era letterato insigne, poeta e teologo. Il Bembo era intrinseco del
Sadoleto, e molto innanzi nella buona grazia del duca Guidubaldo. St. 87. V.18.
Uno eHegante Castiglione, e xm culto Muzio Arelio, ecc. Il Castiglione, celebre
specialmente per il suo Cortigiano, loda molto negli eleganti suoi versi latini
Leonora. Muzio Arelio, altrimenti detto Gio vanni Mozzarelle, tu. autore di
molti componimenti ita lianj e latini, e accademico in Roma al tempo di Leon X;
mori di ferite dategli da alcuni suoi malevoli. Veggon poi quella a cui dal
cielo indulto, ecc. Intendesi qui la nominata più a basso Lucrezia Bentivogli,
figlia naturale del duca di Ferrara, e partecipe della fortuna, ora propizia,
ora contraria, ohe provarono i Bentivogli, signori di Bologna. St. 88. y. 24.
Lucrezia, figlia d'Ercole I e d'una Condulmiero, sposò Annibale Bentivoglio,
signore di Bo logna, e mutò spesso fortuna. Ivi. y. bS. Di costei canta con
soave e chiara Voce un Camil, ecc. È questi Camillo Paleotto, bolo gnese, e
cortigiano del cardinale di Bibbiena, che, in sieme col Postumo, di cui tra.
poco, cantò le lodi della Bentivogli. Beno: fiume di Bologna. Fdsina: nome
antico di Bologna. Anfriso: fiume di Tessa glia, presso il quale Apollo
pascolava gli armenti del re Admeto. St. 89. V.18. iSi ti" per cui la
terra, ove Vlsau ro, ecc. Accenna Pesaro, patria di Guido Postumo, no minato
nel settimo verso. Questi ebbe nome Guido Sii vestrif e lo dissero Postumo,
perchè nato dopo la morte del padre; fu valente medico, soldato e poeta, amicis
simo dell'Ariosto, e addetto qual medico alla corte del cardinale Ippolito da
Este. Isauro, oggi denominato Foglia, è il fiume che scorre vicino a Pesaro, ed
ha foce neir Adriatico. Nominata sjrd.... Via piA che per pesare il romano auro
ecc. Alcuni, sairantoriià di Servio commentatore di Virgilio, trassero l'etimolo
gia di Pesaro iPisaurum\ vera o falsa che sia, dall'oro rapito dai Galli ai
Romani ed ivi tolto ai rapitori dal dittatore CammìUo, che colà li raggiunse. A
cui doppia coróna, ecc. Allusione al merito filosofioo e let terario del
Postumo, tenuto in reputazione anche nella corte di Leone X. St. 90. V.18.
Valtra che segue in ordine iDim na, ecc. Questa è Diana d'Este, nata di
Siisismondo Estense, dei màròheòi di S. Martino. Fu domia di bel sembiante,
d'animo altiero. Il dotto Celio Calcagràn: erudito scrittore ferraiese, che per
due anni e pia fu compagno di viaggio al cardinal Ippolito, e ne compose
l'elogio funebre. Nel regno di Monese e in qnti di luba. Monese fa re de'
Parti, Inba dei Maoritani; e que sti due regni sono qui indicati per
significare il setten trione ed il mezzogiorno. In India e Spagna: re gioni che
denotano l'una il levante, e l'altra il ponente. St. 91. V.1.8. Ed un Marco
Cavallo, ecc.: loda tore di Diana Estense, insieme col CalcagninL Era an
conitano, e buon rimatore; onde il Poeta lo paragona al cavai Pegaso della
Favola, che con nn calcio fere scaturire una fonte dal Parnaso, secóndo alcuni,
e se condo altri, dall'Elicona, montagne ambedue consacrati ad Apollo e alle
Muse. Beatrice appresso, ecc., É questa la figlia del duca Ercole I, moglie di
Lodovico Sforza, encomiata nelle Stanze 62 e 63 del Canto XIIl, alle quali si
rimette il lettore, a scanso d'inatili rii"e tizioni. St. 92. V.38. uh
signor di Correggio; ecc. Niccolò da Correggio, che, oltre le composizioni da
lai fatte in lode di Beatrice, scrisse due poemi in ottava rima, in titolati
Psiche V uno, e l'altro Aurora. B Timoteo Vonor de Bendedei: letterato
ferrarese easo pure, che adoperò il suo ingegno poetico nell'ooorar Beatrice Il
fiume ove sudar gli antiqtii elettri: il Po, sulle cai rive le sorelle del
caduto Fetonte furono convertita in pioppi. St. 98. y. 18. Della colonna che fu
9culpita in Borgia: del marmo in cui fu scolpita la stàtna di La orezia Borgia;
e lo dice colonna, perchè cosi qaella e le altre statue sostenevano col braccio
manco il dorato cielo della sala. Formata in alabastro una grttn donna, ecc.
Air ssandra Benucci, amica e poi moglie del Poeta. In nera gonna: còsi la
rappresenta O Poeta, perchè quand'egli sinvagfai di Alessandra, essa era ve
dova da poco tempo di Tito Stro. St. 95. V.5 8. Com'era quel che sol, ens altri
accanto, ecc. Una sola statua d'uomo era sostegno a quella della Benucci,
mentre le altre statue erano so stenute da due. Ed in quel sosterò il Poeta
figura sé stesso. XLIII. Una foTlB e pituita invettiva contro L'avarizin npi'c
questo Canto, e infTt'ilft due novdle che ve n goti nunriitea Rìnghio, Tina a
vitn pfro ùvUf! donne, ['altra ilpgli nomini che si JafcTano viniiere da
(]iji;lla bniUa"!paH3ÌonePtfr limo cammini terrestr e marittimo fiiiniRf.'
RinaMo in LampeJasap essendo terminato il comliattimento fra i iialadini e i
pagani . Fcenìono tutti in fììinlia" f'A ivi Mulla Npiaia d'Aigento
rendoìio li aitimi nnod alli laor tali Jij>cpKlì<3';di Brandimaite. Di
colà vanno al romitaggio ove )ìta Hngiioro,;ià fatto cristiano; e il buon
eremita risana Oli viero eJ aneli a Sobrino, cJi& poi prende il
batti.'i'flmo, 0 esecrabile Avarizia, o ingorda Fame iV avere, io non mi
maraviglio Chad alrim vile e ri' altre macchie Ionia, 8i facH mente dar poai di
piglio; Ma che meni legaci in una curda E die tu impianelli dd medeima artiglio
Alcun elle per altezza era d'incegno, Se te scliivar potea, tV ogni onor degno.
2 Alcun la terra e '1 mare e U del miaarEi E render sa tutte le cause appieno
IVojni opra, d'oijui effetto di Natura, E poirirìa iii, dì\ Dio ri stuarda in
seno; E non può a,ver più ferma e maggior cura, Morso dal tuo mortifero veleno,
Ch'unir tesoro; e questo sol gli preme, E pouyi ogni salute, ogni sua speme. 3
Rompe eserciti alcun, e nelle porte Si vede entrar di bellicose terre, Ed esser
primo a porre il petto forte, Ultimo a trarre, in perigliose guerre: E non può
riparar che sino a morte Tu nel tuo cieco carcere noi serre. Altri d'altre arti
e d'altri studii industri, Oscuri fai, che sarian chiari e illustri. 9 Cosi
dicendo il buon Rinaldo, e intanto Respingendo da sé V odiato vase, Vide
abbondare un gran rivo di pianto Dagli occhi del signor di quelle case, Che
disse, poi che racchetossi alquanto: Sia maledetto chi mi persuase Ch'io
facessi la prova, oimè! di sorte, Che mi levò la dolce mia consorte. 4 Che
d'alcune dirò belle e gran donne, Ch'a bellézza, a virtù di fidi amanti, A
lunga servitù, più che colonne Io veggo dure, immobili e costanti? Veggo venir
poi V Avarizia, e pónne Far si, che par che subito le incanti: In un di, senza
amor (chi fia che '1 creda?) A un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà [in
preda. 5 Non è senza cagion s'io me ne doglio: Intendami chi può, che
m'intend'io Né però di proposiro mi toglie. Né la materia del mio Canto obblio;
Ma non più a quel e' ho detto adattar voglio, Ch' a quel eh' io v' ho da dire,
il parlar mio. Or torniamo a contar del Paladino, Ch'ad assaggiare il vaso fu
vicino. 6 Io vi dicea ch'alquanto pensar volle, Prima ch'ai labbri il vaso
s'appressasse. Pensò, e poi disse: Ben sarebbe folle Chi quel che non vorria
trovar, cercasse. Mia donna é donna, ed ogni donna é molle: Lasciam star mia
credenza come stasse. Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova: Che poss'io
megliorar, per fame prova? 7 Potria poco giovare, e nuocer molto: Ché'l tentar
qualche volta Iddio disdegna. Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto; Ma
non vo'più saper che mi convegna. Or questo vin dinanzi mi sia tolto: Sete non
n' ho, né vo' che me ne vegna; Che tal certezza ha Dio più proibita. Ch'ai
primo padre l'arbor della vita. 8 Che come Adam, poi che gustò del pomo Che Dio
con propria bocca gì' interdisse, Dalla letizia al pianto fece un tomo, Onde in
miseria poi sempre s'afflisse; Cosi, se della moglie sua vuol Tuomo Tutto saper
quanto ella fece e disse. Cade dall'allegrezze in pianti e in guai. Onde non
può più rilevarsi mai. 10 Perché non ti conobbi già dieci anni, Si che io mi
fossi consigliato teco, Prima che cominciassero gli affanni, E '1 lungo pianto
onde io son quasi cieco? Ma vo' levarti dalla scena i panni, Che'l mio mal
vegghi, e te ne dogli meco; E ti dirò il principio e l'argumento Del mio non
comparabile tormento. 11 Quassù lasciasti una città vicina, A cui f% in tomo un
chiaro fiume laco, Che poi si stende, e in questo Po declina, E l'origine sua
vien di Benaco. Fu fatta la città quando a mina Le mura andar dell'agenoreo
draco. Quivi nacqui io di stirpe assai gentile, Ma in pò ver tetto, e in
fàcnltade umile. 12 Se Fortuna di me non ebbe cura Si, che mi desse al nascer
mio ricchezza, Al difetto di lèi supplì Natura Che sopra ogni mio ugual mi die
bellezza. Donne e donzelle già di mia figura Arder più d'una vidi in
giovanezza; Ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi; Benché stia mal che i'uom sé
stesso lodi. 13 Nella nostra cittade era un uom saggio, Di tutte l'arti oltre
ogni creder dotto, Che, quando chiu gli occhi al febeo raggio, Contava gli anni
suoi cento e ventotto. Visse tutta sua età solo e selvaio, Se non l'estrema;
che, d'Amor condotto, Con ptemio ottenne una matrona bella, E n' ebbe di
nascosto una zittella. 14 E per vietar che simil la figliuola Alla matre non
sia, che per mercede Vendè sua castità, che valca sola Più che quant'oro al
mondo si possiede, Fuor del commercio popular la invola; Ed ove più solingo il
luogo vede. Questo ampio e bel palagio e ricco tanto Fece fare a demonii per
incanto. XLIII. 15 A vecchie donne e caste fé' nutrire La figlia qui, eh' in
gran heltà poi venne; Né che potesse altf uom veder, né udire Pur ragionarne in
quella età, sostenne. E perch' avesse esempio da seguire, Ogni pudica donna che
mai tenne Contra illicito amor chiuse le sharre, Ci fé' d'intaglio e di color
ritrarre:16 Non quelle sol che, di virtnde amiche, Hanno si il mondo all'età
prisca adomo; Di quai la &ma per l'istorie antiche Non é per veder mai
l'ultimo giorno:Ma nel futuro ancora altre pudiche Che faran hella Italia
d'ogn' intorno, Ci fé' ritrarre in lor fattezze conte, Come otto che ne vedi a
questa fonte. 17 Poi che la figlia al vecchio par matura Si, che ne possa l'uom
cogliere i frutti, 0 fosse mia disgrazia o mia avventura. Eletto fai degno di
lei fra tutti. 1 lati campi, oltre alle helie mura, Non meno i pescherecci che
gli asciutti, Che ci son d'ogni intomo a venti miglia. Mi consegnò per dote
della figlia. 21 Ella sapea d'incanti e di malie Quel che saper ne possa alcuna
maga: Rendea la notte chiara, oscuro il die, Fermava il Sol, facea la terra
vaga. Non potea trar però le voglie mie, Che le sanassin l'amorosa piaga Col
rimedio che dar non le potria Senz'aita ingiuria della donna mia. 22 Non perchè
fosse assai gentile e hella, Né perchè sapess'io che si me amassi, Né per gran
don, né per promesse ch'ella Mi fésse molte, e di continuo instassi. Ottener
potò mai eh' una fiammella, Per darla a lei, del primo amor levassi;
Ch'addietro ne traea tutte mie voglie Il conoscermi fida la mia moglie. 23 La
speme, la credenza, la certezza Che della fede di mia moglie avea, M'avria
fatto sprezzar quanta hellezza Avesse mai la giovine Ledea, 0 quanto offerto
mai senno e ricchezza Fa al gran pastor della montagna Idea. Ma le repulse mie
non valean tanto, Che potesson levarmela da canto. 18 Ella era hella e
costumata tanto. Che più desiderar non si potea. Di hei trapunti e di ricami,
quanto Mai ne sapesse Pallade, sapea. Vedila andare, odine il suono e 1 canto,
Celeste e non mortai cosa parca; E in modo all'arti liberali attese. Che quanto
il padre o poco men n'intese. 19 Con grande ingegno e non minor bellezza, Che
fatta l'avria amabil fin ai sassi, Era giunto un amore, una dolcezza, Che par
eh' a rimembrarne il cor mi passi. Non avea più piacer né più vaghezza Che
d'esser meco ov'io mi stessi o andassi. Senza aver lite mai stenmio gran pezzo;
L'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo. 20 Morto il suocero mio dopo cinque anni
Oh' io sottoposi il collo al giugal nodo, Non stero molto a cominciar gii
affanni Ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo. Mentre mi richiudea tutto
coi vanni L'amor di questa mia che si ti lodo, Una femmina nobil del paese,
Quanto accender si può, di me s'accese. 24 Un di che mi trovò fuor del palagio
La maga, che nomata era Melissa, E mi potè parlare a suo grande agio, Modo
trovò da por mia pace in rissa, E con lo spron di gelosia malvagio Cacciar del
cor la fé' che v'era fissa. Comincia a commendar la intenzion mia. Ch'io sia
fedele a chi fedel mi sia. 25 Ma che ti sia fedel tu non puoi dire, Prima che
di sua fé' prova non vedi. S' ella non falle, e che potria fallire, Che sia
fedel, che sia pudica credi. Ma se mai senza te non la lasci ire, Se mai vedere
altr' uom non le concedi, Onde hai questa baldanza, che tu dica E mi vegli
affermar che sia pudica? 26 Scostati un poco, scostati da casa; Fa che le
cittadi odano e i villaggi Clie tu sii andato, e ch'ella sia rimasa: Agli
amanti dà comodo e ai messaggi. S' a prieghi, a doni non fia persuasa Di fare
al letto maritale oltraggi, E che, facendol, creda che si cele, Allora dir
potrai che sia fedele. 27 Con tai parole e simili non cessa LMncantatrice, fin
che mi dispone Che della donna mia la fede espressa Veder voglia e provare a
paragone. Ora poguiamo, le soggiungo, ch essa Sia qnal non posso averne
opinione) Come potrò di lei poi farmi certo Che sia di punizion degna o di
merlo? 28 Disse Melissa: Io ti darò un vasello Fatto da ber, di virtù rara e
strana, Qnal già, per fare accorto il suo fratello Del fallo di Ginevra, fé'
Morgana. Chi la moglie ha pudica, bee con quello: Ma non vi può già ber chi Tha
puttana; Che 1 vin, quando lo crede in bocca porre, Tutto si sparge, e fuor nel
petto scorre. 29 Prima che parti ne farai la prova, E per lo creder mio tu
berai netto:Che credo eh' ancor netta si ritrova La moglie tua: pur ne vedrai
l'effetto. Ma s'al ritomo esperì'enzia nuova Poi ne farai, non t'assicuro il
petto: Che se tu non lo immolli, e netto bei, D'ogni marito il più felice sei.
80 L'offerta accetto. Il vaso ella mi dona: Ne fo la prova, e mi succede a
punto; Che, com'era il desio, pudica e buona La cara moglie mia trovo a quel
punto. Dice Melissa: un poco l'abbandona; Per un mese o per duo stanne disgiunto:
Poi toma; poi di nuovo il vaso toUi; Prova se bevi, oppur se '1 petto immolli,
81 A me duro parea pur di partire; Non perchè di sua fé' mi dubitassi, Come eh'
io non potea duo di patire, Né un'ora pur, che senza me restassi. Disse
Melissa: Io ti farò venire A conoscere il ver con altri passi. Vo'che muti il
parlare e i vestimenti, E sotto viso altmi te le appresenti. 82 Signor, qui
presso una città difende Il Po fra minacciose e fiere coma; La cui
giurisilizion di qui si stende Fin dove il mar fugge dal lito e torna. Cede
d'antiquità, ma ben contende Con le vicine in esser ricca e adorna. Le reliqnie
troiane la fondaro. Che dal flagello d'Attila camparo. 33 Astringe e lenta a
questa terra il morso Un cavalier giovene, ricco e bello, Che dietro un giorno
a un suo falcone iscorsiOt Essendo capitato entro il mio ostello, Vide la
donna, e "i nel primo occorso Gli piacque, che nel cor portò il suggello;
Né cessò molte pratiche far poi, Per inchinarla ai desiderii suoi. 34 Ella gli
fece dar tante ripulse, Che più tentarla alfin egli non volse; Ma la beltà di
lei, eh' Amor vi sculse, Di memoria però non se gli tolse Tanto Melissa
allusingommì e mulse, Ch' a tor la forma di colui mi volse; E mi mutò (uè so
ben dirti come) Di faccia, di parlar, d'occhi e di chiome. 85 Già con mia
moglie avendo simulato D'esser partito e gitone in Levante, Nel giovene amator
cosi mutato L'andar, la voce, l'abito e'I sembiante, Me ne ritorno, ed ho
Melissa a lato, Che s'era trasformata, e parea un fante; E le più ricche gemme
avea con lei. Che mai mandassin gl'Indi e gli Eritrei. 36 Io che r uso sapea
del mio palagio. Entro sicuro, e vien Melissa meco; E madonna ritrovo a sì
grande agio, Che non ha né scudier né donna seco. I miei prieghi le espongo,
indi il malvagio Stimulo innanzi del mal far le arreco: I mbini, i diamanti e
gli smeraldi, Che mosso avrebbon tutti i cor più saldi. 37 E le dico che poco è
questo dono Verso quel che sperar da me dovea. Della comodità poi le ragiono,
Che, non v' essendo il suo marito, avea:E le ricordo che gran tempo sono Stato
suo amante, com'ella sapea; E che l'amar mio lei con tanta fede Degno era avere
alfin qualche mercede. 38 Turbossi nel principio ella non poco, Divenne rossa,
ed ascoltar non volle: Ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco, Le belle gemme,
il duro cor fé' molle; E con parlar rispose breve e fioco Quel che la vita a
rimembrar mi tolle; Che mi compiacerla, quando credesse Ch'altra persona mai
noi risapesse. 39 Fu tal risposta un venenato telo, Di che me ne senti' V alma
trafissa; Per r ossa andommi e per le Tene un gelo:Nelle fauci restò la voce
fissa. Levando allora del suo incanto il Telo, Nella mia forma mi tornò
Melissa. Pensa di che color dovesse farsi . Ch'in tanto error da me vide
trovarsi. 40 Divenimmo ambi di color di morte, Muti ambi, ambi restiam con gli
occhi bassi. Potei la lingua appena aver sì forte, E tanta voce appena, eh' io
gridassi:Me tradiresti dunque tu, consorte, Quando tu avessi chi '1 mio onor
comprassi?Altra risposta darmi ella non puote, Che di rigar di lagrime le gote.
42 E la mattina s'appresenta avante Al cavalier che 1' avea un tempo amata,
Sotto il cui viso, sotto il cui sembiante Fu contro Ponor mio da me tentata. A
lui, che n' era stato ed era amante, Creder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fé' dir ch'io non sperassi Che mai più fosse mia, né più m'
amassi. stanza 42 41 Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno Ch' ella ha, da
me veder farsi quella onta, E multiplica sì senza ritegno, Ch'in ira alfine e
in crudele odio monta. Da me fuggirsi tosto fa disegno; E nell'ora che'l sol
del carro smonta, Al fiume corse, e in una sua barchetta Si fa calar tutta la
notte in fretta: 43 Ah lasso! da quel di con lui dimora In gran piacere, e di
me prende giuoco: Ed io del mal che procacciaimi allora, Ancor languisco, e non
ritrovo loco. Cresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne muora; E resta ornai da
consumarci poco. Ben credo che '1 primo anno sarei morto, Se non mi dava aiuto
un sol conforto44 II conforto ch'io prendo, è che di quanti Per dieci anni mai
fur sotto al mio tetto (Ch a tutti questo vaso ho messo innanti), Non ne trovo
un che non s'immolli il petto. Aver del caso mio compagni tanti Mi dà fra tanto
mal qualche diletto. Tu tra infiniti sol sei stato saggio, Che far negasti il
periglioso saggio. 46 II mio voler cercare oltre alla meta Che della donna sua
cercar si deve, Fa che mai più trovare ora quieta Non può la vita mia,
siajlunga o breve. Di ciò Melissa fu a principio lieta:Ma cessò tosto la sua
gioia lieve; Ch'essendo causa del mio mal stata ella. Io l'odiai si, che non
potea vedella. 46 Ella d'essere odiata impaziente Da me, che dicea amar più che
sua vita/ Ove donna restarne immantinente Creduto avea, che T altra ne fosse
ita; Per non aver sua doglia si presente, Non tardò molto a far di qui partita;
E in modo ahhandonò questo paese, Che dopo mai per me non se n'intese. 47 Cosi
narrava il mesto cavaliero:E quando fine alla sua istoria pose, Rinaldo
alquanto stè sopra pensiero, Da pietà vinto, e poi cosi rispose:Mal consiglio
ti die Melissa in vero, Che d'attizzar le vespe ti propose; E tu fosti a cercar
poco avveduto Quel che tu avresti non trovar voluto. 48 Se d'avarizia la tua
donna viuta A voler fede romperti fu indutta, Non t'ammirar; né prima ella né
quinta Fu delle donne prese in si gran latta: E mente via più salda ancora è
spinta Per minor prezzo a far cosa più brutta. Quanti uomini odi tu. che già
per oro Han traditi padroni e amici loro? 49 Non dovevi assalir con si fiere
armi, Se bramavi veder farle difesa. Non sai tu, contra l'oro, che né i marmi
Nè'l durissimo acciar sta alla contesa? Che più fallasti tu a tentarla parmi,
Di lei che così tosto restò presa. Se te altrettanto avess' ella tentato, Non
so se tu più saldo fossi stato.' stanza 56. 50 Qui Rinaldo fé' fine, e dalla
mensa Levossi a un tempo, e domandò dormire; Che riposare un poco, e poi si
pensa Innanzi al di d'un' ora o due partire. Ha poco tempo; e '1 poco e' ha,
dispensa Con gran misura, e invan noi lascia gire. Il signor di là dentro, a
suo piacere, Disse, che si pò tea porre a giacere; 51 Ch' apparecchiata era la
stanza e '1 letto:Ma che se volea far per suo consiglio. Tutta notte dormir
potria a diletto, E dormendo avaiizarsi qualche miglio. Acconciar ti farò,
disse, un legnetto, Con che volando, e senz' alcun periglio, Tutta notte
dormendo vo'che vada, E una giornata avanzi della strada. 52 La profferta a
Rinaldo accettar piacque, E molto ringraziò l'oste cortese: Poi senza indugio
là, dove neir acque Da' naviganti era aspettato, scese. Quivi a grande agio
riposato giacque, Mentre il corso del fiume il legno prese. Che da sei remi
spinto, lieve e snello Pel fiume andò, come per aria augello. 53 Cosi tosto
come ebbe il capo chino, Il cavalier di Francia addormentosse; Imposto avendo
già, come vicino Giungea a Ferrara, che svegliato fosse. Restò Melara nel lito
mancino; Nel lito destro Sermide restosse: Figarolo e Stellata il legno passa,
Ove le coma il Po iracondo abbassa. 54 Delle due corna il noccbier prese il
destro, £ lasciò andar verso Vinegia il manco:Passò il Bonrleno; e già il color
cìlestro Si vedea in Oriente venir manco; Che, votando di fior tutto il
canestro, L'Aurora vi facea vermiglio e bianco; Quando I lontan scoprendo di
Tealdo Ambe le rocche, il capo alzò Rinaldo. 55 0 città bene avventurosa,
disse, Di cui già Malagìgi, il mio cugino, Contemplando le stelle erranti e
fisse E costringendo alcun spirto indovino, Nei secoli futuri mi predisse (Già
chMo facea con lui questo cammino) Ch' ancor la gloria tua salirà tanto,
Ch'avrai di tutta Italia il pregio e'I vanto. 56 Cosi dicendo, e pur tuttavia
in fretta Su quel battei che parca aver le penne, Scorrendo il re de' fiumi,
all'isoletta Ch' alla cittade è più propinqua, venne:E benché fosse allora erma
e negletta, Pur s' allegrò di rivederla, e fenne Non poca festa; che sapea
quanto ella, Volgendo gli anni, saria ornata e bella. 57 Altra fiata che fé'
questa via, Udì da Malagigi, il qual seco era, Che settecento volte che si sia
Girata col monto n la quarta sfera. Questa la più gioconda isola fia Di quante
cinga il mar, stagno o riviera; Si che, veduta lei, non sarà eh' oda Dar più
alla patria di Nausicaa loda. 58 Udì che di bei tetti posta innante Sarebbe a
quella si a Tiberio cara; Che cederian 1' Esperide alle piante Ch' avria il bel
loco, d'ogni sorte rara; Che tante spezie d'animali, quante Vi fien, né in
mandra Circe ebbene in ara; Che v' avria con le Grazie e con Cupido Venere
stanza, e non più in Cipro o in Guido; 59 E che sarebbe tal per studio e cura
Dì chi al sapere ed al potere unita La voglia avendo, d'argini e di mura Avria
sì ancor la sua città munita, Che centra tutto il mondo star sicura Potria,
senza chiamar di fuori aita; E che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe Padre il
signor che questo e quel far debbe. 60 Così venia Rinaldo ricordando Quel che
già il suo cugin detto gli avea, Delle future cose divinando, Che spesso
conferir seco solca. E tuttavia V nmil città mirando:Come esser può eh' ancor,
seco dicea, Debban cosi fiorir queste paludi Di tutti i liberali e degni studi?
61 E crescer abbia di sì piccol borgo Ampia cittade e di si gran bellezza? E
ciò ch'intorno é tutto stagno e gorgo, Sien lieti e pieni i campi di ricchezza?
Città, sinora a riverire assorgo L'amor, la cortesia, la gentilezza De' tuoi
Signori, e gli onorati pregi Dei cavalier, dei cittadini egregi. 62
L'inefifabil bontà del Redentore, De' tuoi principi il senno e la giustizia,
Sempre con pace, sempre con amore Ti tenga in abbondanza ed in letizia; E ti
difenda centra ogni furore De' tuoi nimici, e scopra lor malizia:Del tuo
contento ogni vicino arrabbi, Piuttosto che tu invidia ad alcuno abbi. 63
Mentre Rinaldo cosi parla, fende Con tanta fretta il snttil legno l'onde, Che
con maggiore a logoro non scende Falcon ch'ai grido del padron risponde. Del
destro corno il destro ramo prende Quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Giorgio addietro, addietro s'allontana La torre e della Fossa e di Gaibana.
64 Rinaldo, come accade eh' un pensiero Un altro dietro " e quello un
altro mena. Si venne a ricordar del cavaliere, Nel cui palagio fu la sera a
cena; Che per questa cittade, a dire il vero, Avea giusta cagion di stare in
pena: E ricordossi del vaso da bere, Che mostra altrui l'error della mogliere;
65 E ricordossi insieme della prova Che d'aver fatta il cavalier narrolli:Che
di quanti avea esperti, uomo non trova Che bea nel vaso, e '1 petto non s'
immolli. Or si pente, or tra sé dice: E' mi giova Ch'a tanto paragon venir non
volli. Riuscendo, accertava il creder mio; Non riuscendo, a che partito era io?
66 Gli è questo creder mio, come io l'avessi Ben certo, e poco accrescer lo
potrei: Si che, sal paragon mi succedessi, Poco il meglio saria chMo ne
trarrei; Ma non già poco il mal, quando vedessi Quel di Clarice mia, ch4o non
vorrei. Metter saria mille contra uno a giuoco, Che perder si può molto, e
acquistar poco. 69 II nocchier soggiuugea: Ben gli dicesti . Che non dovea
offerirle si gran doni, Che contrastare a questi assalti e a questi Colpi non
sono tutti i petti huoni. Non so se d'una giovane intendesti (Ch' esser può che
tra voi se ne ragioni) . Che nel medesmo error vide il consorte, Di ch'esso
avea lei condannata a morte. Stanza 73. 67 Stando in questo pensoso il
cavaliero Di Chiaramonte, e non alzando il viso, Con molta attenzìon fu da un
nocchiero. Che gli era incontra, riguardato fi.o:E perchè di veder tutto il
pensiero. Che r occupava tanto, gli fu avviso, Come uom che ben parlava ed avea
ardire, A seco ragionar lo fece uscire. 68 La somma fu del lor ragionamento,
Che colui mal accorto era ben stato, Che nella moglie sua l'esperimento Maggior
che può far donna, avea tentato; Che quella che dall'oro e dall'argento Difende
il cor di pudicizia armato, Tra mille spade via più facilmente Difenderallo, e
in mezzo al fuoco ardente. 70 Dovea in memoria avere il signor mio. Che l'oro
e'I premio ogni durezza inchina; Ma, quando bisognò, l'ebbe in obblio, Ed ei si
procacciò la sua mina. Cosi sapea lo esempio egli, com'io, Che fu in questa
città di qui vicina, Sua patria e mia, che '1 lago e la palude Del rifrenato
Menzo intorno chiude:71 D'Adonio voglio dir, che'l ricco dono Fé' alla moglie
del giudice, d'un cane. Di questo, disse il Paladino, il suono Non passa
l'Alpe, e qui tra voi rimane; Perchè uè in Francia, uè dove ito sono, Parlar
n'udi' nelle contrade estrane: Si che di' pur, se non t' incresce il dire; Che
volentieri io mi t'acconcio a udire. 72 n nocchier cominciò: Già fu di questa
Terra un Anselmo di famiglia degna, Che la sua gioventù con lunga vesta Spese
in saper ciò eh' Ulpi'ano insegna; E di nobil progenie, bella e onesta Moglie
cercò, ch'ai grado suo convegna; E d'una terra quindi non lontana N'ebbe una di
bellezza sopraumana; 73 E di bei modi e tanto graziosi. Che parea tutto amore e
leggiadria; E di molto più forse, eh' ai riposi, Cballo stato di lui non
convenia. Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi Al mondo fur, passò di
gelosia:Non già ch'altra cagion glie ne desse ella, Che d'esser troppo accorta
e troppo bella. 74 Nella città medesma un cavaliero Era d'antiqua e d' onorata
gente, Che discendea da quel lignaggio altiero CVusci d'una mascella di
serpente: Onde già Manto, e chi con essa fero La patria mia, disceser
similmente. Il cavalier, ch'Adonio nominosse. Di questa bella donna
innamorosse: 75 E per veiiìre a fin di questo amore, A spender cominciò senza
rilego In vestire, in conviti, in farsi onore, Quanto può farsi un cavalier più
deguo. II tesor di Uberio imperatore Non saria stato a tante spese al segno. Io
credo ben che non passar duo verni, Ch' egli usci fuor di tatti i ben patemi.
76 La casa eh era dianzi frequentata Mattina e sera tanto dagli amici, Sola
restò, tosto che fu privata Di stame, di fagian, di coturnici Egli che capo fu
della brigata. Rimase dietro, e quasi fra mendici:Pensò, poi eh' in miseria era
venuto, D'andare ove non fosse coneeciuto. 77 Con questa intenz'ion una
mattina, Senza far motto altmi, la patria lascia; E con sospiri e lacrime
cammina Lungo Io stagno che le mura fascia. La donna che del cor gli era
regina, Già non obblìa per la seconda ambascia. Ecco un'alta avventura che lo
viene Pi sommo male a porre in sommò bene. 78 Vede un villan che con uu gran
bastone Intorno alcuni sterpi s'affatica. Quivi Adonio si ferma, e la cagione
Di tanto travagliar vuol che gli dica. Disse il villan, che dentro a quel
macchione Veduto avea una serpe molto antica. Di che più lunga e grossa a'giomi
suoi Non vide, né credea mai veder poi; 79 E che non si voleva indi partire,
Che non l'avesse ritrovata e morta. Come Adonio lo sente cosi dire, Con poca
paz'ienzia lo sopporta. Sempre solea le serpi favorire:Che per insegna il
sangue suo le porta, In memoria ch'usci sua prima gente De' denti seminati di
serpente. 80 E disse e fece col villano in guisa Che, suo malgrado abbandonò
l'impresa; Si che da lui non fu la serpe uccisa, Né più cercata, né altrimenti
offesa. Adouio ne va poi dove s'avvisa Che sua condìzìon sia meno intesa; E
dura con disagio e con affanno Fuor della patria appresso al settimo anno. 81
Né mai per lontananza, né strettezza Del viver, che i pensier non lascia ir
vaghi Cessa Amor che si gli ha la mano avvezza, Ch'ognor non gli arda il core,
ognor impiaghi, É forza alfin che torni alla bellezza Che son di riveder si gli
occhi vaghi. Barbato, afflitto, e assai male in arnese, Là donde era venuto, il
cammin prese. Stanza 74. 2 In questo tempo alla mia patria accade Mandare un
orator al Padre santo. Che resti appresso alla sua Santitade Per alcun tempo, e
non fu detto quanto. Gettan la sorte, e nel Giudice cade. Oh giorno a lui
cagion sempre di pianto! Fé' scuse, pregò assai, diede e promesse Per non partirsi;
e alfìn sforzato ces'e.83 Non gli parea cradele e duro manco A dover sopportar
tonto dolore: Che se veduto aprir s'avesse il fianco, E vedutosi trar con mano
il core. Di geloso timor pallido e bianco Per la sua donna, mentre starla
fuore, Lei con quei modi che giovar si crede, Supplice priega a non mancar di
fede; Stanza 75. 84 Dicendola eh' a donna né bellezza, Nò nobiltà, né gran
fortuna basta, Si che di vero onor monti in altezza Se per nome e per opre non
è casta; E che quella virtù via più si prezza, Che di sopra riman quando
contrasta; E ch'or gran campo avria, per questa absenza. Di far di pudicizia
esperienza. 85 Con tal le cerca ed altre assai parole Persuader eh' ella gli
sia fedele. Della dura partita ella si duole, Con che lagrime, oh Dio! con che
querele! E giura che più tosto oscuro il Sole Vedrassi, che gli sia mai si
crudele, Che rompa fede; e che vorria morire Piuttosto ch'aver mai questo
desire. 86 Ancor eh' a sue promesse e a' suoi scongiuri Desse credenza e si
acchetasse alquanto, Non resta che più intender non procuri, E che materia non
procacci al pianto. Avea nn amico suo, che dei futuri Casi predir teneva il
pregio e '1 vanto; E d'ogni sortilegio e magic' arte 0 il tutto, 0 ne sapea la
maggior parte. 87 Di égli pregando di vedere assunto, Se la sua moglie,
nominata Argia, Nel tempo che da lei starà disgiunto, Fedele e casta, o pel
contrario fia: Colui, da prieghi vinto, toUe il ponto; 11 ciel figura come par
che stia. Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno A lui per la risposta fa
ritomo. Stanza 83. 88 là astrologo tenea le labbra chiose, Per non dire al
dottor cosa che doglia; E cerca di tacer con molte scuse. Quando pur del suo
mal vede e' ha voglia, Che gli romperà fede, gli concluse, Tosto eh' egli abbia
il pie fiior della soglia, Non da bellezza né da prieghi indotta, Ma da
guadagno e da prezzo corrotta. 89 Giunte al timore, al dubbio chavea prima,
Queste minacce ilei superni moti, Come gli stesse il cor tu stesso stima, Se
damor gli accidenti ti son noti. E sopra ogni mestizia che T opprima, E che
l'afflitta mente aggiri e arruoti, È '1 saper come, vinta d'avarizia, Per
prezzo abbia a lasciar sua pudicizia. 90 Or per far, quanti polea far, ripari
Da non lasciarla in queir error cadere (Perchè il bisogno a dispogliar gli altari
Trae V uom talvolta, che se 4 trova avere), Ciò che tenea di gioie e di danari
(Che n'avea somma) pose in suo potere: Rendite e frutti d'ogni possessione, E
ciò e' ha al mondo, in man tutto le pone: stanza 86. 91 Con facultade, disse,
che ne' tuoi Non sol bisogni te li goda e spenda, Ma che ne possi far ciò che
ne vuoi. Li consumi, li getti, e doni e venda. Altro conto saper non ne vo'poi,
Purché, qual ti lascio or, tu mi ti renda:Purché, come or tu sei, mi sie
rìmasa. Fa eh' io non trovi né poder né casa. 92 La prega che non faccia, se
non sente Ch' egli ci sia, nella città dimora; Ma nella villa, ove più
agiatamente Viver potrà d'ogni commercio fuora. Questo dicea, però che l'urail
gente, • Che nel gregge o ne' campi gli lavora Non gli era avviso che le castevoglieContaminar
potessero alla moglie. 93 Tenendo tuttavia le belle braccia Al timido marito al
collo Argia, E di lacrime empiendogli la faccia. Ch' un fiumicel dagli occhi le
n' uscia, S'attrista che colpevole la faccia, Come di fé' mancata già gli sia;
Che questa sua sospizi'on procede Perchè non ha nella sua fede fede. 94 Troppo
sarà s' io voglio ir rimembrando Ciò ch'ai partir da tramendua fu detto. Il mio
onor, dice alfin, ti raccomando. Piglia licenza, e partesi in effetto; E ben si
sente veramente, quando Volge il cavallo, uscire il cor del petto. Ella lo
segue, quanto seguir puote, Con gli occhi che le rigano le gote. 95 Adonio
intanto misero e tapino, E, come io dissi, pallido e barbuto, Verso la patria,
avea preso il cammino, Sperando di non esser conosciuto. Sul lago giunse alla
città vicino, L\ dove avea dato alla biscia aiuto, Ch' era assediata entro la
macchia forte Da quel villan che por la volea a morte. Stanza 86. 96 Quivi
arrivando in su V aprir del giorno, Ch' ancor splendea nel cielo alcuna stella,
Si vede in peregrino abito adorno Venir pel lito incontra una donzella In
siguoril sembiante, ancor ch'intorno Non r appari8.<"e né scudier né
ancella. Costei con grata vista lo raccolse, E poi la lingua a tai parole
sciolse:97 Sebbeu non mi conosci o ca vallerò, Son tua parente e grande obbligo
t' aggio: Parente son,, perchè da Cadmo fiero Scende d'amenduo noi Paltò
lignaggio. Io son la fata Manto, che M primiero Sasso messi a fondar questo
villaggio; E del mio nome icome ben forse hai Contare udito) Mantua la nomai.
98 Delle Fate io son una: ed il fatale Stato per farti anco saper eh importe.
Nascemmo a un punto, che d'ogn'aliro male Siaino capaci, fuor che della morte.
Ma giunto é con questo essere immortale Condizion non meu del morir forte;
Ch'ogni settimo giorno ognuna è certa Che la sua forma in biscia si converta.
99 II vedersi coprir del brutto scoglio, E gir serpendo, è cosa tanto schiva.
Che non é pare al mondo altro cordoglio; Talché bestemmia ognuna d'esser viva.
E l'obbligo ch'io t'ho (perchè ti voglio lusiememente dire onde deriva) Tu
saprai; che quel di, per esser tali, Siamo a periglio d'infiniti mali. 100 Non
è sì odiato altro animale in terra, Come la serpe; e noi, che n'abbiam faccia,
Patimo da ciascun oltraggio e guerra; Che chi ne vede, ne percuote e caccia. Se
non troviamo ove tornar sotterra. Sentiamo quanto pesa altrui le braccia,
Meglio saria poter morir, che rette E storpiate restar sotto le botte. 101
L'obbligo ch'io t'ho grande, è ch'una volti Che tu passavi per quest'ombre
amene, Per te di mano fui d'un villan tolta, Che gran travagli m'avea diti e
pene. Se tu non eri, io non andava asciolta, Ch'io non portassi rotto e capo e
schene, E che sciancata non restassi e storta, Sebbeu non vi potea rimaner
morta; 102 Perchè quei giorni che per terra il petto Traemo avvolte in
serpentile scorza. Il ciel, eh' in altri tempi è a noi suggetto, Niega
ubbidirci, e prive slam di forza. In altri tempi ad un sol nostro detto 11 sol
si ferma, e la sua luce ammorza; L'immobil terra gira, e muta loco:S'infiamma
il ghiaccio e si congela il fuoco. 103 Ora io son qui per renderti mercede Del
beneficio che mi festi allora. Nessuna grazia indamo or mi si chiede, Ch'io son
del manto viperino fuora. Tre volte più che di tuo padre erede Non rimanesti,
io ti fo rioco or ora. Né vo'che mai più povero diventi. Ma quanto spendi più,
che più augomenti. stanza 96. rH/i. OF 104 £ perchè so che neir antiquo nodo,
In che già Amor t' avvinse, anco ti trovi; Voglioti dimostrar T ordine e'I modo
Ch'a disbramar tuoi desiderii giovi. Io voglio, or che lontano il marito odo,
Che senza indugio il mio consiglio provi; Vadi a trovar la donna che dimora
Fuor alla villa, e sarò teco io ancora. 105 E seguitò narrandogli in che guisa
Alla sua donna vuol che s' appresenti; Dico come vestir, come precisa Mente
abbia a dir, come la prieghi e tenti; E che forma essa vuol pigliar divisa;
Che, fuor cheM giorno ch'erra tra' serpenti, In tutti gli altri si può far,
secondo Che più le pare, in quante forme ha il mondo. 106 Messe in abito lui di
peregrino, n qual per Dio di porta in porta accatti. 3Intossi ella in un cane,
il più piccino Di quanti mai n'abbia Natura fatti: Di pel lungo, più bianco eh'
armellino, Di grato aspetto e di mirabili atti. Così trasfigurati entraro in via
Verso la casa della bella Argia: 107 E dei lavoratori alle capanne, Prima
ch'altrove, il giovene fermosse, E cominciò a suonar certe sue canne, Al cui
suono danzando il can rizzosse. La voce e '1 grido alla padrona vanne, E fece
si, che per veder si mosse. Fece il romeo chiamar nella sua corte, Si come del
dottor traea la sorte. 108 E quivi Adenio a comandare al cane Incominciò, e il
cane a ubbidir lui; E far danze nostral, farne d'estrane, Con passi e
continenze e modi sui: E finalmente con maniere umane Far ciò che comandar
sapea colui. Con tanta attenzion, che chi lo mira, Non batte gli occhi, e
appena il fiato spira. 109 Gran maraviglia, et indi gran desire Venne alla
donna di quel can gentile; £ ne fa per la balia profferire Al cauto peregrin
prezzo non vile. S'avessi più tesor, che mai sitire Potesse cupidigia
femminile, Colui rispose, non saria mercede Dì comprar degna del mio cane un
piede. 110 E per mostrar che veri i detti foro. Con la balia in un canto si
ritrasse, E disse al cane, ch'una marca d'oro A quella donna in cortesia
donasse. Scossesi il cane" e videsi il tesoro. Disse Adonio alla balia che
pigliasse. Soggiungendo: ti par che prezzo sìa Per cui sì bello et util cane io
dia?Stanza 111. 1 1 1 Cosa, qual vogli sia, non gli domando, Di eh' io ne tomi
mai con le man vote:.E quando perle, e quando anella, e quando Leggiadra veste
e di gran prezzo scuote, Pur di' a madonna, che fia al suo comando, Per oro no,
eh' oro pagar noi puote; Ma se vuol ch'una notte seco io giaccia, Abbiasi il
cane, e '1 suo voler ne faccia. . 112 Cosi dice; e una gemma allora nata Le dà,
ch'alia padrona l'appresenti. Pare alla balia averne più derrata. Che di pagar
dieci ducati o venti. Toma alla donna, e le fa l'ambasciata; E la conforta poi
che si contenti D'acquistare il bel cane, ch'acquistarlo Per prezzo può, che
non si perde a darlo. 113 La bella Argia sta ritrosetta in prima: Parte, cbe la
sut fé romper uon vuole; Parte, ch'esser possibile non stima Tutto ciò che ne
suonan le parole. La balia le riconla. e rode e lima, Che tanto ben di rado
avvenir suole; E fé che V agio un altro dì si tolse, Che'l can veder senza
tanti occhi volse. Stanza 114. 114 Quest'altro comparir ch'Adonio fece, Fu la
ruina e del dottor la morte. Facea nascer le doble a diece a diece, Filze di perle,
e gemme d'ogni sorte: Sì che '1 superbo cor mansuefece, Che tanto meno a
contrastar fu forte, Quanto poi seppe che costui eh' innante Le fa partito, è
'1 cavalier suo amante. 115 Della puttana sua balia i conforti, I prieghi
dell'amante e la presenzia, II veder cbe guadagno se l'apporti, Del misero
dottor la lunga abseuzia, Lo sperar eh' alcun mai non lo rapporti, Fero ai
casti pensier tal vi'olenzia. Ch'ella accettò il bel cane, e per mercede In
braccio e in preda al suo amator si diede. 116 Adonio lungamente frutto colse
Della sua bella donna, a cui la fata Grande amor pose, e tanto le ne volse, Che
sempre star con lei si fu obbligata. Per tutti i segni il sol prima si volse.
Ch'ai Giudice licenzia fosse data: Alfìn tornò, ma pien di gran sospetto Per
quel che già l'astrologo avea detto. 117 Fa, giunto nella patria, il primo volo
A casa dell' a9trologo, e gli chiede Se la sua donna fatto inganno e dolo,
Oppur serbato gli abbia amore e fede. Il sito figurò colui del polo, Ed a tutti
i pianeti il luogo diede: Poi rispose, che quel eh' avea temuto, Come predetto
fu, gli era avvenuto; 118 Che da doni grandissimi corrotta. Data ad altri
s'avea la donna in preda. Questa al dottor nel cor fu sì gran botta, Che lancia
e spiedo io vo'cha ben le ceda. Per esserne più certo, ne va allotta (Benché
pur troppo allo indovino creda) Ov'è la balia, e la tira da parte, E per
saperne il certo usa grand'arte. 119 Con larghi giri circondando prova Or qua
or là di ritrovar la traccia; E da principio nulla ne ritrova, Con ogni
dìligenzia che ne faccia; Ch' ella, che non avf'a tal cosa nuova, Stava negando
con immobil faccia; E come bene istrutta, più d'un mese Tra il dubbio e'I certo
il suo padron aospefle. 120 Quanto dovea parergli il dubbio buono Se pensava il
dolor ch'avrìa del certo? Poi ch'indarno provò con priego e dono Che dalla
balia il ver gli fosse aperto, Né toccò tasto ove sentisse suono Altro che
falso; come uom bene esperto, Aspettò che discordia vi venisse; Ch'ove femmine
son, son liti e risse. 121 E come egli aspettò, così gli avvenne; Ch' al primo
sdegno che tra loro nacque, Senza suo ricercar la balia venne Il tutto a
raccontargli; e nulla tacque. Lungo a dir fora ciò che '1 cor sostenne, Come la
mente costernata giacque Del Giudice meschin, che fu sì oppresso Che stette per
uscir fuor di sé stesso: 122 E si dispose alfia, dallMra vinto, Morir; ma prima
uccider la saa moglie, £ che dambidui sangui un ferro tinto Levasse lei di
biasmo, e sé di doglie. Nella città se ne ritoma, spinto Da così furibonde e
cieche voglie; Indi alla villa un suo fidato manda, E quanto eseguir debba gli
comanda. 123 Comanda al servo, ch'alia moglie Argia Tomi alla villa, e in nome
suo le dica Ch' egli è da febbre oppresso cosi ria, Che di trovarlo vivo avrà
fatica:Si che, senza aspettar più compagnia . Venir debba con lui, s' ella gli
è amica (Verrà: sa ben che non farà parola); che tra via le seghi egli la gola.
124 A chiamar la patrona andò il famiglio, Per far di lei quanto il signor
commesse. Dato prima al suo cane ella di piglio, Montò a cavallo, ed a cammin
si messe. L' avea il cane avvisata del periglio, Ma che d'andar per questo ella
non stesse: Chavea ben disegnato e provveduto Onde nel gran bisogno avrebbe
aiuto. 125 Levato il servo del cammino s'era; E per diverie e solitarie strade
A studio capitò su una riviera Che d'Apennino in questo fiume cade; 0?' era
bosco e selva oscura e nera, Lungi da villa e lungi da cittade. Gli parve loco
tacito e disposto Per l'effetto cradel che gli fu imposto. 126 Trasse la spada,
e alla padrona disse Quanto commesso il suo signor gli avea; Sì che chiedesse,
prima che morisse, Perdono a Dio d'ogni sua colpa rea. Non ti so dir com'ella
si coprisse: Quando il servo ferirla si credea, Più non la vide, e molto d'ogn'
intorno L'andò cercando, e alfin restò con scorno. 128 Non sa che far; che né
l'oltraggio grave Vendicato ha, uè le sue pene ha sceme. Quel ch'era una
festuca, ora è una trave; Tanto gli pesa, tanto al cor gli preme. L'error che
sapean pochi, or si aperto ave. Che senza indugio si palesi, teme. Potea il
primo celarsi j ma il secondo, Pubblico in breve fia per tutto il mondo. Stanza
117. 129 Conosce ben che, poiché '1 cor fellone Avea scoperto il misero centra
essa, Ch' ella, per non tornargli in suggezione, D'alcun potente in man si sarà
messa. Il qual se la terrà con irrisione . Ed ignominia del marito espressa; E
forse anco verrà d'alcuno in mano, Che ne fia insieme adultero e mfiìano. 127
Toma al patron con gran vergogna ed onta, Tutto attonito in faccia e
sbigottito;E V insolito caso gli racconta, Ch'egli non sa come si sia seguito.
Ch'a'suoi servigi abbia la moglie pronta La fata Manto, non sapea il marito;
Che la balia, onde il resto avea saputo, Questo, non so perché, gli avea
taciuto. 130 Si che, per rimediarvi, in fletta manda Intorno messi e lettere a
cercame. Chi 'n quel loco, chi 'n questo ne domanda Per Lombardia, senza città
lasciamo. Poi va in persona, e non si lascia banda Ove 0 non vada o mandivi a
spiarne:Né mai può ritrovar capo né via Di venire a notizia che ne sia. Stanza VJ6.
131 Alfìn chiamx quel servo, a chi fa imposta L'opra crudel che poi uou ebbe
effetto, E fa che lo conduce ove nascosta Se gli era Arga, sì come gli avea
detto; Che forse in qualche macchia il di reposta, La notte si ripara in alcun
tetto. Lo guida il servo ove trovar si crede La folta selva, e un gran palagio
vede. 132 Fatto avea farsi alla i>ua Fata intanto La beila Argia con subito
Idvuro D'alabastri un palagio per incauto, Dentro e di fuor tutto fregiato
d'oro. Ne lìngua dir, né cor pensar può quanto Avea beltà di fuor, dentro
tesoro. Quel che iersera si ti parve bello, Del mio signor, saria un tugurio a
quello. 133 E di panni di razza, e di cortine Tessale riccamente e a varie
foggie, Ornate eran le stalle e le cantitie, Non sale pur, non pur camere e
loggie; Vasi d oro e d argento senza fine, Gemme cavate, azzurre e verdi e
roggie, E formate in gran piatti e in coppe e in nappi, E senza fin doro e di
seta drappi. 134 II Giudice, siccome io vi dicea. Venne a questo palagio a dar
di petto, Quando né una capanna si credea Di ritrovar, ma solo il bosco
schietto. Per l'alta maraviglia che n'avea, Esser si credea uscito
d'intelletto:Non sapea se fosse ebbro, o se sognasse, Oppur se 1 cervel scemo a
volo andasse. 135 Vede innanzi alla porta un Eti'ópo Con naso e labbri grossi;
e ben gli è avvis " Che non vedesse mai, prima né dopo, Un cosi sozzo e
dispiacevol viso; Pei di fattezze, qua! si pinge Esopo, D'attristar, se vi
fosse, il Paradiso; Bisunto e sporco, e d'abito mendico:Né a mezzo ancor di sua
bruttezza io dico. 136 Anselmo, che non vede altro da cui Possa saper di chi la
casa sia, A lui s'accosta, e ne domanda a lui; Ed ei lisponde: Questa casa è
mia. Il Giudice ò ben certo che colui Lo beffi, e che gli dica la bugia: Ma con
scongiuri il Negro ad affermare Che sua è la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
J37 E gli offerisce, se la vuol vedere, Che dentro vada, e cerchi come voglia;
E se v'ha cosa che gli sia in piacere 0 per sé o per gli amici, se la toglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere Anselmo, e messe il pie dentro alla
soglia; E per sale e per camere condutto. Da basso e d'alto andò mirando 11
tutto. 139 E gli fa la medesima richiesta Ch'avea già Adonio alla sua moglie
fatta. Dalla brutta domanda e disonesta. Persona lo stimò bestiale e matta. Per
tre repulse e quattro egli non resta; E tanti modi a persuaderlo adatta, Sempie
offerendo in merito il palagio, Che fé' inchinarlo al suo voler malvagio.
stanza 135. 188 La forma, il sito, il ricco e bel lavoro Va contemplando, e
l'ornamento regio; E spesso dice: Non potria quant' oro É sotto il Sol pagare
il loco egregio. A questo gli risponde il brutto Moro, £ dice: E questo ancor
trova il suo pregio: Se non d'oro o d'argento, nondimeno Pagar lo può quel che
vi costa meno. 140 La moglie Argia, che stava appresso ascosa, Poi che lo vide
nel suo error caduto. Saltò fuora gridando: Ah degna cosa Ch' io veggo di
dottor saggio tenuto ! Trovato in si mal'opra e viziosa, Pensa se rosso far si
deve e muto. 0 terra, acciò ti si gittasse dentro, Perché allor non t' apristi
insino al centro? stanza 140. 141 La douna in suo dìscarco, ed in vergogna
D'Anselmo, il capo gì' intronò di gridi, Dicendo: Come te punir bisogna Di quel
che far con si vii uom ti vidi, Se per seguir quel che natura agogna, Me, vinta
a'prieghi del mio amante, uccidi. Ch'era bello e gentile, e un dono tale Mi
fé', eh' a quel nulla il palagio vale? 142 S'io ti parvi esser degna d'ona
morte. Conosci che ne sei degno di cento: E benché in questo loco io sia sì
forte. Ch'io possa di te fare il mio talento, Pure io non vo' pigliar di
peggior sorte Altra vendetta del tuo fallimento. Di par l'avere e '1 dar,
marito, poni; Fa, com'io a te, che tu a me aijcor penloui. 143 £ sia la pace e
sia raccordo fatto, Chogni passato error vada in obblio; Né eh in parole io
possa mai uè in atto Ricordarti il tuo errori né a me tu il mio. Il marito ne
parve aver buon patto, Né dimostrossi al perdonar restio. Cosi a pace e
concordia ritornaro, E sempre poi fu Tnno air altro caro. 144 Cosi disse il
nocchiero; e mosse a riso Rinaldo al fin della sua istoria un poco; E diventar
gli fece a un tratto il viso, Per l' onta del Dottor, come di fuoco. Rinaldo
Argia molto lodò, ch'avviso Ebbe d alzare a quello augello un gioco Oh' alla
medesma rete fé' casca) lo, In che cadde ella, ma con minor fallo. stanca 149.
14.5 Poi che più in alto il Sole il cammin prese, Fé' il Paladino apparecchiar
la mensa, Ch'avea la notte il 3rantiian cortese Provvista con larghissima
dispensa. Fugge a sinistra intanto il bel paese, Ed a man destra la palude
immensa:Viene e fnggesi Argenta e '1 suo girone, Col lito ove Santerno il capo
pone. 146 Allora la Bastia credo non v'era, Di che non troppo si vantar
Spagnuoli D'avervi su tenuta !a bandiera; Ma più da pianger n'hanno i
Rom(ignuo)i. E quindi a Filo alla dritta riviera Cacciano il legno, e fan parer
che voli. Lo volgon poi per una fossa morta. Ch'a mezzodì presso a Ravenna il
porta. 147 Benché Rinaldo con pochi danari Fosse sovente, pur n'avea si allora,
Che cortesia ne fece a' marinari, Prima che li lasciasse alla buon' ora. Quindi
mutando bestie e cavallari, A Rimino passò la sera ancora; Né in Montefiore
aspetta il mattutino, E quasi a par col sol giunge i Urbino. 148 Quivi non era
Federico allora, Né Lisabetta, nè'l buon Guido v'era, Né Francesco Maria, né
Leonora, Che con cortese forza, e non altiera, Avesse astretto a far seco
dimora Sì famoso guerrier più d'una sera; Come fèr già molti anni, ed oggi
fanno A donne e a qavalier che di 14 vanuo. 149 Perchè quivi alla briglia alcun
noi prende, Smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta. Pel monte che 1 Metanro o
il Gauno fende, Passa ApenninOf e più non Tha a man ritta; Passa gli Ombri e
gli Etmsci, e a Roma scende; Da Roma ad Ostia; e qnindi si tragitta Per mare
alla cittade a cui commise Il pietoso figliaci V ossa d Anchise. 150 Muta ìyì
legno, e verso V isoletta Di Lipadusa fa ratto levarsi; Quella che fu dai
combattenti eletta, £d ove già stati erano a trovarsi Insta Rinaldo, e gli
nocchieri affretta, Cha vela e a remi fan ciò che può farsi; Ma i venti
avversi, e per lui mal gagliardi, Lo fecer, ma di poco, arrivar tardi. 151
Giunse ch'appunto il Principe d'Anglante Fatta avea l'utile opra e
gloriosa:Avea Gradasso ucciso ed Agramante, Ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n'era il figliuol di Monodante: E di grave percossa e perigliosa Stava
Olivier languendo in su T arena, E del pie guasto avea martire e pena. 162
Tener non potè il Conte asciutto il viso, Quando abbracciò Rinaldo, e che
narroUi Che gli era stato Brandimarte ucciso, Che tanta fede e tanto amor
portolli. Né men Rinaldo, quando si diviso Vide il capo all' amico, ebbe occhi
molli: Poi quindi ad abbracciar si fu condotto Olivier, che sedea col piede
rotto. 158 La consolazion che seppe, tutta Die lor, benché per sé tòr non la
possa; Che giunto si vedea quivi alle frutta. Anzi poi che la mensa era
rimossa. Andare i servi alla città distrutta, E di Gradasso e d'Agramante
l'ossa Nelle mine ascoser di Biserta, E quivi divulgar la cosa certa. 154 Della
vittoria ch'avea avuto Orlando, S'allegrò Astolfo e Sansonetto molto; Non si
però, come avrian fatto, quando Non fosse a Brandimarte il lume tolto. Sentir
lui morto il gaudio va scemando Sì, che non ponno asserenare il volto. Or chi
sarà di lor, ch'annunzio voglia A Fiordiligi dar di si gran doglia? 155 La
notte che precesse a questo giorno, Fiordiligi sognò che quella vesta Che, per
mandarne Brandimarte adomo, Avea trapunta e di sua man contesta, Vedea per
mezzo sparsa e d'ogn' intomo Di goccio rosse, a guisa di tempesta: Parca che di
sua man cosi l'avesse Ricamata ella, e poi se ne dogliesse. 156 E parca dir:
Pur hammi il signor mio Commesso ch'io la faccia tutta nera: Or perché dunque
ricamata hoU'io Centra sua voglia in si strana maniera? Di questo sogno
fe'giudicio rio; Poi la novella giunse quella sera: Ma tanto Astolfo ascosa
glie la tenne, Ch' a lei con Sansonetto se ne venne. 157 Tosto ch'entraro, e
ch'ella loro il viso Vide di gaudio in tal vittoria privo, Senz' altro annunzio
sa, senz' altro avviso, Che Brandimarte suo non é più vivo. Di ciò le resta il
cor cod conquiso, E cosi gli occhi hanno la luce a schivo, E cosi ogn' altro
senso se le serra, Che come morta andar si lascia in terra. 158 Al tornar dello
spirto, ella alle chiome Caccia le mani; ed alle belle gote, Indarno ripetendo
il caro nome, Fa danno ed onta più che far lor puote: Straccia i capelli e
sparge; e grida come Donna talor che'l demon rio percuote, 0 come s'ode che già
a suon di comò Mènade corse, ed aggìrossi intomo. 159 Or questo or quel
pregando va, che pòrto Le sia un coltel, si che nel cor si fera: Or correr vuol
là dove il legno in porto Dei duo signor defunti arrivato era, E dell'uno e
dell'altro cosi morto Far cmdo strazio, e vendetta aera e fiera: Or vuol
passare il mare, e cercar tanto, Che possa al suo signor morire accanto. 160
Deh perché, Brandimarte, ti lasciai Senza me andare a tanta impresa? (disse)
Vedendoti partir, non fVi più mai Che Fiordiligi tua non ti seguisse. T'avrei
giovato, s'io veniva, assai; Ch'avrei tenute in te le luci fisse: E se Gradasso
avessi dietro avuto, Con un sol grido io t'avrei dato aiuto; 161 0 forse esser
potrei stata si presta, Ch'entrando in mezzo, il colpo t avrei tolto: Fatto
scudo t'avrei con la mia testa; Che morendo io, non era il danno molto. Ogni
modo io morrò; né fia di questa Dolente morte alcun profitto cólto; Che, quando
io fossi morta in tua difesa, Non potrei mlio aver la vita spesa. 162 Se pur ad
aiutarti i duri fati Avessi avuti e tutto il cielo avverso, Gli ultimi baci
almeno io t'avrei dati, Almen t'avrei di pianto il viso asperso; E prima che
con gli angeli beati Fosse lo spirto al suo Fattor converso, Detto gli avrei:
Va in pace, e là m'aspetta: Ch' ovunque sei, son per seguirti in fretta. 163 É
questo, Brandimarte, è questo il regno, Di che pigliar lo scettro ora dovevi?
Or cosi teco a Dammogire io vegno? Cosi nel real seggio mi ricevi? Ah Fortuna
crudel, quanto disegno Mi rompi ! oh che speranze oggi mi levi ! Deh, che cesso
io, poic'ho perduto questo Tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto? 164
Questo ed altro dicendo, in lei risorse n furor con tanto impeto e la rabbia,
Ch'a stracciare il bel crìu di nuovo corse, Come il bel crin tutta la colpa
n'abbia. Le mani insieme si percosse e morse; Nel sen si cacciò l'ugne e nelle
labbia. Ma tomo a Orlando ed a' compagni, intanto Ch'ella si strugge e si
consuma in pianto. 15 Orlando, col cognato che non poco Bisogno avea di medico
e di cura; Ed altrettanto, perchè in degno loco Avesse Brandimarte sepoltura;
Verso il monte ne va, che fa coi fuoco Chiara la notte, e il di di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano Non è quel lito lor molto lontano. 1
66 Con fresco vento eh' in favor veniva, Sciolser la fune al declinar del
giorno, Mostrando lor la taciturna Diva La dritta via col luminoso corno; E
sorser l'altro dì sopra la riva Ch'amena giace ad Agrigento intomo. Quivi
Orlando ordinò per l'altra sera Ciò ch'a funeral pompa bisogno era. 167 Poi che
l'ordine suo vide eseguito, Essendo omai del Sole il lume spento, Fra molta
nobiltà eh' era allo 'nvito De' luoghi intorno corsa iu Agrigento, D'accesi
torchi tutto ardendo '1 lito, E di grida sonando e di lamento, Tomo Orlando ove
il corpo fu lasciato. Che vivo e morto avea con fede amato. 168 Quivi Bardin,
di soma d'anni grave, Stava piangendo, alla bara funebre, Che pel gran pianto
eh' avea fatto in nave, Dovria gli occhi aver pianti e le palpebre. Chiamando
il ciel cmdel, le stelle prave, Bnggia come un leon ch'abbia la febre. Le mani
erano intanto empie e ribelle Ai crin canuti e alla rugosa pelle. stanza 168.
169 Levossi, al ritomar del Paladino, Maggiore il grido, e raddoppiossi il
pianto. Orlando, fatto al corpo più vicino. Senza parlar stette a mirarlo
alquanto, Pallido come còlto al mattutino É da sera il ligustro o il molle
acanto; E dopo un gran sospir, tenendo fisse Sempre le luci in lui, cosi gli
disse: 170 0 forte, o caro, o mio fedel compagno, Che qui sei morto, e so che
vivi in cielo, E d'una vita v' hai fatto guadagno, Che non ti può mai tòr caldo
né gelo. Perdonami, sebben vedi eh' io piagno; Perchè d'esser rimaso mi
querelo, E ch'a tanta letizia io non son teco; Non già perchè quaggiù tu non
sìa meco. ] 7 1 Solo senza te son; né cosa in terra Senza te posso aver più che
mi piaccia. Se teco era in tempesta e teco in guerra, Perchè non anco in ozio
ed in honaccia? Ben grande èl mio fallir, poiché mi serra Di questo fango uscir
per la tua traccia. Se negli affanni teco fui, perch' ora Non sono a parte del
guadagno ancora? 172 Tu guadagnato, e perdita ho fatto io: Sol tu air acquisto,
io non son solo al danno. Partecipe fatto é del dolor mio L'Italia, il regno
franco e l'alemanno. Oh quanto, quanto il mio Signore e zio. Oh quanto i
Paladin da doler s' hanno Quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa, Che perduto
han la sua maggior difesa! Stanza 181. 173 Oh quanto si torrà, per la tua
morte, Di terrore a' nimici e di spavento ! Oh quanto Paganìa sarà più forte!
Quanto animo n'avrà, quanto ardimento! Oh come star ne dee la tua consorte! Sin
qui ne veggo il pianto, e 'i grido sento:So che m' accusa', e forse odio mi
porta, Che per me teco ogni sua speme è morta. 174 Ma, Fiordiligi, almen resti
un conforto A noi che siam di Brandimarte privi; Ch'invidiar lui con tanta
gloria morto Denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi. Quei Decj, e quel nel
roman Foro absorto, Quel si lodato Codro dagli Argivi, Non con più altrui
profitto e più suo onore A morte si donar, del tuo signore.175 Queste parole ed
altre dicea Orlando. Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati, E tutti gli altri
chieici, seguitando Andavan con lungo ordine accoppiati, Per r alma del
deftinto Dio pregando, Che gli donasse requie tra' beati. Lumi innanzi e per
mezzo e d'ogn' intorno, Mutata aver parean la notte in giorno. 176 Levan la
bara, ed a portarla fOro Messi a vicenda Conti e cavalierL Purpurea seta la
copria, che doro E di gran perle ayea compassi altieri:Di non men bello e
signori! lavoro Avean gemmati e splendidi origlieri; E giacea quivi il cavalier
con vesta Di color pare, e d'un lavor contesta. SUnza 185. 177 Trecento agli
altri eran passati ìnnanti, De' più poveri tolti della terra, Parimente vestiti
tutti quanti Di panni negri, e lunghi sin a terra. Cento paggi seguian sopra
altrettanti Grossi cavalli, e tutti buoni a guerra; E i cavalli coi paggi ivano
il suolo Badendo col lor al)ito di duolo. 178 Molte bandiere innanzi, e molte
dietro. Che di diverse insegne eran dipinte, Spiegate accompagnavano il
feretro; Le quai già tolte a mille schiere vinte, E guadagnate a Cesare ed a
Pietro Avean le forze ch'or giaceano estinte. Scudi v'erano molti, che di degni
Querrier, a chi fur tolti, aveano i segui. 179 Veniali eento e cent' altri a
diversi usi Deir esequie ordinati; ed avean questi, Come anc3 il resto, accesi
torchi; e chiusi, Più che vestiti, eran di nere vesti. Poi seguia Orlando, e ad
or ad or soffusi Di lacrime avea gli occhi, e rossi e mesti; Né più lieto di
lui Rinaldo venne: Il pie Olivier, che rotto avea, ritenne. 180 Lungo sarà s'io
vi vo'dire in versi Le cerimonie, e raccontarvi tutti I dispensati manti oscuri
e persi, Gli accesi torchi che vi furon strutti. Quindi alla chiesa cattedral
conversi, Dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti; Si bel, sì buon, sì
giovene, a pietade Mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade. 183 E vedendo le
lacrime indefesse, Ed ostinati a uscir sempre i sospiri; Né, per far sempre
dire ufficj e messe, Mai satisfar potendo a' suoi disiri; Di non partirsi
quindi in cor si messe, Finché del corpo V anima non spiri:E nel sepolcro fé'
fare una cella, E vi si chiuse, e fé' sua vita in quella. 184 Oltre che messi e
lettere le mande. Vi va in persona Orlando per levarla. Se viene in Francia,
con pensìon ben grande Compagna vuol di Gktlerana farla:Quando tornare al padre
anco domande, Sin alla Lizza vuole accompagnarla: Edificar le vuole un
monastero, servire a Dio faccia pensiero. stanza 190. 181 Fu posto in chiesa; e
poi che dalle donne Di lacrime e di pianti inutil opra, E che dai sacerdoti
ebbe eleisonne, E gli altri, santi detti avuto sopra, In un' arca il serbar su
due colonne:E quella vuole Orlando che si copra Di ricco drappo d'ór, sinché
reposto In un sepulcro sia di maggior costo. 182 Orlando di Sicilia non si
parte. Che manda a trovar porfidi e alabastri. Fece fare il disegno, e di
quell'arte Inarrar con gran premio i miglior mastri. Fé' le lastre, venendo in
questa parte, Poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri Che quivi, essendo
Orlando già partito, Si fé' portar dall'africano lito. 185 Stava ella nel
sepulcro; e quivi, attrita Da penitenzia, orando giorno e notte, Non durò lunga
età, che di sua vita Dalla Parca le fur le fila rotte. Già fatto avean
dall'isola partita. Ove i Ciclopi avean l'antique grotte, I tre guerrier di
Francia, afflitti e mesti Che'l quarto lor compagno addietro resti. 186 Non
volean senza medico levarsi, Che d'Olivier s'avesse a pigliar cura; La qual,
perché a principio mal pigliarsiPotè, fatt' era faticosa e dura:E quello udiano
in modo lamentarsi, Che del suo caso avean tutti paura. Tra lor di ciò
parlando, al nocchier nacque Un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque. 187
Disse ch'era di là poco lontano In un solingo scoglio uno eremita, A cui
ricorso mai non s' era invano, 0 fosse per consiglio o per aita; E facea alcun
effetto soprnmano, Dar lume a ciechi, e tornar morti a vita. Fermare il vento
ad un segno di croce, E far tranquillo il mar quando è più atroce; 188 E che
non dnno dubitare, andando A ritrovar quell' uomo a Dio sì caro, Che lor non
renda Olivier sano, quando Fatto ha di sua virtù segno più chiaro. Questo
consiglio si piacque ad Orlando Che verso il santo loco si drizzare; Né mai
piegando dal cammin la prora, Vider lo scoglio al sorger dell'aurora. 189
Scorgendo il legno uomini in acqua dotti, Sicuramente s'accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti, Declinaro il marchese nel battello: E per le
spumose onde far condotti Nel duro scoglio, et indi al santo ostello; Al santo
ostello, a quel vecchio medesmo, Per le cui mani ebbe Kuggier battesmo. 190 II
servo del Signor del paradiso Baccolse Orlando e i compagni suoi, E benedilli
con giocondo viso, E de' lor casi dimandolli poi; Benché di lor venuta avuto
avviso Avesse prima dai celesti eroi. Orlando gli rispose esser venuto Per
ritrovare al suo Oliviero aiuto; 191 Ch'era, pugnando per la fé di Cristo, A
periglioso termine ridutto. Levógli il Santo ogni sospetto tristo, E gli
promise di sanarlo in tutto. Né d'unguento trovandosi provvisto.. Né d'altra
umana medicina instrutto, Andò alla chiesa, ed orò al Salvatore; Et indi usci
con gran baldanza fuore: 193 E in nome delle eteme tre Persone, Padre e
Figliuolo e Spirto Santo, diede Ad Olivier la sua benedizione. Oh virtù che dà
Cristo a chi gli crede ! Cacciò dal cavallero ogni passione, £ ritomògli a
sanitade il piede, Più fermo e più espedito che mai fosse: E presente Sobrino a
ciò trovosse. 193 Giunto Sobrin delle sue piaghe a tanto,,Che star peggio ogni
giorno se ne sente, Tosto che vede del monaco santo Il miracolo grande ed
evidente, Si dispon di lasciar Macon da canto, E Cristo confessar vivo e
potente: E domanda, con cor di fede attrito, D'iniziarsi al nostro sacro rito.
194 Cosi l'uom giusto Io battezza, ed anco Gli rende, orando, ogni vigor
primiero. Orlando e gli altri cavalier non manco Di tal conversion letizia
fero. Che di veiler che liberato e franco Del periglioso mal fosse Oliviero.
3[aggior gaudio degli altri Kuggier ebbe; E molto in fede e in devozione
accrebbe. 195 Era Buggier dal dì che giunse a nuoto Su questo scoglio, poi
statovi ognora. Fra quei guerrieri il vecchierel devoto Sta dolcemente, e li
conforta ed óra A voler, schivi di pantano e loto. Mondi passar per questa
morta gora, C'ha nome vita, che si piace a' sciocchi; Ed alle vie del ciel
sempre aver gli occhi. [Stanza 193. 196 Orlando un suo mandò sul legno, e
trarne Fece pane e buon vin, cacio e presciutti; E all'uom di Dio, eh' ogni
sapor di starne Pose in obblio poi eh' avvezzossi a' frutti, Per carità mangiar
fecero carne, E ber del vino, e far quel che fèr tutti. Poi ch'alia mensa
consolati f5ro, Di molte cose ragionar tra loro. 1197 E come accade nel parlar
sovente, Ch' una cosa vien l'altra dimostrando, Buggier riconosciuto finalmente
Fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando, Per quel Kuggier in arme sì eccellente,
Il cui valor s' accorda ognun lodando:Né Binaldo l'avea niffigurato Per quel
che provò già nello steccato. 198 Ben V avea il re Sobrio riconosciuto, Tosto
che 1 vide col vecchio apparire; B[a volse innanzi star tacito e muto, Che
porsi in avventura di fallire. Poi eh' a notizia agli altri fu venuto Che
questo era Ruggier, di cui l'ardire, La cortesia, e'I valore alto e profondo Si
facea nominar per tntto il mondo; 199 E sapendosi gii eh' era crist'ano, Tutti
con lieta e con serena faccia Vengono a lai: chi gli tocca la mano, Chi lo
bacia, e chi lo stringe e abbraccia. Sopra gli altri il signor di Montalbano
D'accarezzarlo e fargli onor procaccia. Perch'esso più degli altri, io '1 serbo
a dire Nell'altro Canto, se'l vorrete udire. NOTE. St. 8. v.3. Tomo; caduta.
St. 10. V.5. Levarti dalla scena i panni: vale manifestarti il mio interno. St.
11. V 16. Una cittd vicina, ecc.: Mantova, circondata da un laf?o formato dal
Mincio, che deriva dal Benaco (lago di Gai'da) e si scarica in Po. Le mura....
de'l agenoreo draco: Tebe di Beozia, fabbri cata da Cadmo, figlio di Agenore,
re di Fenicia. Andava egli in traccia d'Kuropa, sua sorella, rapita da Giove; e
giunto con i suoi compagni in Beozia, trovò quella regione infestata da un
drago; Tnccise ed avendone seminati i denti, ne nacquero nomini armati, che lo
aiu tarono a fabbricar la città. St. 13. V.4. Pallade: figlia di Giove, dea
della sapienza, dell'arti e della guerra. St. 23. V.46. La giovane Ledea:
Elena, fleliadi Leda e di Tindaro, e moglie di Menelao, re di Sparta, famosa
per l'avvenenza. Al gran pastor deVa mon tagna Idea: Paride, figlio di Priamo,
re di Troia; fu allevato dai pastori reali sul monte Ida, e giudicò la contesa
sulla bellezza fra Venere, Pallade e Giunone, ognuni delle qui li, per averlo
propirio, gli offeriva i pregi di che poteva disporre. St. '28. V.34. Qual già,
per fare accorto, ecc. Leggesi nei romanzi della Tavola Rotonda, che Mor gana,
sorella di Marco, re di Gomovaglia, per mostrare al fratello che la consorte di
lui, Ginevra, gli avea man cato alla fede, fece per incanto un bicchiere . che
pro duceva l'effetto indicato nei quattro ultimi versi di questa Stanza. St. 32.
V.18. Signor, qui presso una n'iti difende Il Po, ecc. Ferrara, che giace dove
il Po si divide ne' due rami di Volano e di Primaro. Fin dove il mir fugge dal
Ufo e toma: fino alla spiaggia dell'Adrìa lico. Le reliquie troiane la fondaro,
ere. Accenna l'opinione, allora coirente, che fondatoti di Fenura fos se 0 i
Padovani scampati dalP eccidio che fece Atala della loro città, che credevasi
fabbricata dal troiano Antenore. St. 33. V.5. Nel primo occorso: nel primo
incontro. St. W. V.5 8. Melara.... Sermide... Figarolo e Stellata, castelli sul
Po; r ultimo di questi sorge là dove quel fiume si divide in due rami, il
destro de' quali, detto Poatello, rade Ferrara, e l'altro sbocca nell'Adrìatico
col nome di Po di Goro. ST. 54. V.38, iZ Bondeno: altro castello sulla
confluenza del Pan!.ro nel Poatello. Di TecUdo Amh le rocche: qai s'intenle un
castello fabbricato, secondo il Pigna, da Te<laUo dEste sul Poatello, nella
estnmità occidentale di Ferrara, circa l'anno 970, epoca poste riore ai tempi
di Carlo Magno. St. 56. v.38. AlV isoletta, ecc.: Belvedere, piccola isola
formata dal Po, la quale ai tempi del Poeta era luogo di delizie del duca
Alfonso. St. 57. V.38. Che settecento volte che si sia Gi rata col M nton la
quarta sfera: locuzione che im porta scorsi che sieno 700 anni. La quarta
sfera, se condo il sistema di Tolomeo, è quella del Sole; e l'anno astronomico
comincia all'entrar di quell'astro nel segno d'Ariete. Alla patria di Nausicaa:
l'isola di Pea eia, ora Corfù, rinomata presso gli antichi per la bel lezza dei
giardini d'Alcinoo, pdre di Nausicaa, che n'era il sovrano. St. 58. v.26.
Quella si a Tiberio cara: l'isola di Capri, ultimo ritiro dell' imperator
Tiberio Nerone. Né in mandra Circe ebbe né in hara: Circe, figlia del Sole e
maga famosa, convertiva in bestie, e per lo pia in porci, gli uomini che
approdavano nella sua isola Hara: porcile. St. 59. V.78. E che d'Ercol
figliuola ecc.: inten desi il duca Alfonso, figliuolo d'Ercole I, e padre d'Er
cole II. St. 63. V.88. Logoro: or .Ugno di penne e di cuoio . fatto a modo
d'ala, che serve agliuccellatori, per ri chiamare il falcone. Del destro corno
il destro ramo prende, ecc. Quel ramo cioè del Poatello, che piA avanti
chiamasi Po di Primaro, ed è il destro anche rispetto air altro ramo, detto Po
di Volano. San Giorgio:nome di un'isoletta sul Po. La torre e della Fossa e di
Galbana: due torri costruite sul Po di Primaro a sei miglia da Ferrara, la
prima a destra, l'altra (oni più non esistente) a sinistra di quel ramo di
fiume. St. 70. V.C8. Che fu in qttesta cittd di qui vi cina, ecc. Mantova,
circondata dal lago formato dal Mincio, come si è notato poc'anzi. St. 72. V.4.
Ciò ch'Vlpiano insegala. Fu Ulpiano un celebre giureconsulto, ai tempi
dell'imperatore Ales sandro Sevei'o. St. 74. V.34. 2>a quel Urnaggio altiero
CKusci da una mascella di serpente: dai compagni di Cadmo, nati, come s' è
veduto, dai denti del drago o serpeate ucciso da quello. St. 75. V.58. H tesar
di Tiberio imperatore: non Tiberio Nerone, ma nn altro Tiberio che saccedette a
Giustino Ian\ore, e che fa doviziosissimo per gli eredi tati tesori. ])er
quelli ammassati da Narsete spogliando ritalia, e per altri provenutigli dalle
vittorie che riportò sui Persiani. Usci fuor di tutti i ben paterni: gli
scialacquò tatti. St. 79. v. 8. Di' denti seminati di serpente. Finge il Poeta
che gli antenati di Antonio discendessero dai compagni di Cadmo. St. 87. V.5.
Tolle il punto: coglie il punto accon cio per le osservazioni astrologiche. St.
101. V.56. Io non andava aseiolta Ch'io non portassi rotto, ecc. Io non andava
esente dal portar rotto, ecc. St. 107. V.3. Certe sue canne: una zampogna
composta di canne. Il romeo: nome che davasi a chi andava in pellegrinaggio a
Roma, e che poi si estese anche agli altri pellegrini. Traea: per voleva. St. 133.
v.1. Ratsi o Panni di tazza non sonò altro che gli arasti, cosi detti dalla
città di Arras in Fiandra, ove da principio si fabbricarono. St. 135. V.5.
Esopo: scrittore di favole e deforme. St. 145. V.8. Col lito ove Santerno il
capo pone: la riva del Po di Primaro, in cui, sotto Argenta, sbocca il
Santerno, ch'è il fiume dimoia. St MS. V.47. I RomagnuoH: vedi la Stanza 53 del
Canto Ili. E quindi a Filo: nome di una villa sulla sinistra del Po di Primaro,
sette miglia sotto Ar genta. Fossa morta: cosi chiamano un ramo subal terno del
Po di Primaro, che corre per dodici miglia fino a Ravenna. St. 148. V.13. Quivi
non era Federico al/ora, ecc.: Federico e Ouidubaldo da Montefeltro, Elisabetta
sua moglie, e Francesco Maria della Rovere, marito di Leo nora Gonzaga, duchi d
Urbino, e splendidamente ospi tali alle persone distinte. St. 149. V.28. Cagli:
piccola città vescovile nel l'Urbinate, alle fetide degli ApenninL Pel monte
che 7 Metawo o il Gauno fende: questo monte è il Furio, nel cui intemo, per
mezzo di un foro, passa un tratto della strada postale. Il Metauro ò fiume dell
Urbinate che si confonde col Gauno, fiumicello di cui forse ora si è perduto il
nome. Oli Ombri e gli Strusci: il paese abitato una volta dagli Umbri e dagli
Etruschi, che faceva parte degli Stati del papa nello Spoletino, nel Perugino,
e nel cosi detto Patrimonio di San Pietro. Ostia: alla foce del Tevere; già
florida città qaando era il porto di Roma, ora quasi totalmente distrutta e
abbandonata all'aria malsana. Alla cittade a cui commise ecc. Trapani in
Sicilia, ove Enea fece seppel lire Tossa di suo padre Anchise. St. 158. V.8.
-Menade: nome comune alle Baccanti 0 sacerdotesse di Bacco, che ne celebravano
i notturni misteri coiTendo furiose, e agitandosi a suon di comi e di altri istromenti.
St. 163. y. 3. Dammogire: città capitale del regno di Brandimarte. St. 165.
V.5. Verso il monte.... cìie fa col fuoco Chiara la notte, ecc.: TEtna, o
Mongibello, montagna vulcanica di Sicilia. St. 174. V.56. Quei DeeJ: due
Romani, padre e figlio, che votaronsi agli Dei per la salate del popolo,
esponendosi alla morte. Quel nel roman Foro ab sorto: Curzio, che per salvare
la patria si gettò in una voragine apertasi nel Foro di Roma. Quel sì lodato
Codro, ultimo r" di Atene, il quale per amore della li bertà della Grecia
sì fece volontariamente uccidere dai nemici. T. 176. V.4. Compassi altieri:
compartimenti, o lavori a disegno magnifico. St. 181. V.13. Di lacrime e di
].ianti. ecc.: allude al costume ani ico di prezzolar donne a piangere nei fa
nerali. Eleisonne: il salmo Miserere, che comincia in greco con la parola
eleisonme. S T, 182. V.4. Inarrar: impegnare. St. 184. V.46. Galerana: la
moglie di Carlo Ma gno. Lizza: anticamen'e detta Laodt'cea ad mare ora Latakia.
St. 190. V.6. Dai celesti eroi: dai Santi del cielo. Canto XLIV. .Hringonsì ì
cinque giiertieri in fraterna aniicizj"; e Einalila per ìa stima cho f dì
Rng|s:>ro,e pei confotti de! baon romito, gli firc tuetle BralnniaTite in
coasorie. Vanno <iuitidi et ìliraUim, dove con tempo l'alien in <ii te
ttrtivii Astolfo, che ìia Ikenitiati gik i Xtibj, e ren dilla In floita d primo
Etsre di foglie. I paUdiut e Sobrtiìfi sono accolti niEiRniflcanieiite da.
Carlo in Parigi; ma quel gaudio è turbato dal difsenso del duca Amono e di
BeaTricoairiinio"fi dj Kiiggiro con Biadamant, da loro fidaiiiata a Leone,
figlio àtl l'iinperator gì eco. Atniasi Rupgìtro; o pieno d'o<j io cqatTtt
LeotHf, bi loca al campo de' Bulfri, tbe li unno guerra co 'Greci, Bconfig
qtitstì ultimi, poi \a ad allogiarù in nna terra da lui non lobo acìuta per
soggetta al greco impeto; ed hi A denaniiato com autore del diaastro £ offerto
dai Greci. l SpDì?Po iu pùberi alberghi e in piceml tetli. Nelle calaTDitadl e
uei disagi " lleglio BVasTìiunjCoii tV amicìzia i petti, Che fra ricchezze
invì{liuHe tì agi Tel le piene tV insidie e ili aosipetti Curti regali e
splendidi palagi, Ove la cari t ade è in tutto estinta, Né si vede amici/ia se
non finta Quindi avvjen che tra Principi e Signori Patti e convennon sono sì
frali. Fan lega oggi Re" Papi e Imperatori; T'iniHii pLìran nimicì
CLpitali: Perchè, qual V apparenze esteriori, Non hanno i cor, non han gli
animi tali; Che, non mirando al torto più chal dritto, Attendon solamente al
lor profitto.3 Questi, quantunque d'amicizia poco Sieno capaci, perchè non sta
quella Ove per cose gravi, ove per giuoco Mai senza finzì'on non si favella;
Pur, se talor gli ha tratti in umil loco Insieme una fortuna acerba e fella, In
poco tempo vengono a notizia (Quel che in molto non fér) dell'amicizia. I Profferte
senza fine, onore e feata Fece a Ruggiero il Paladin cortese. Il prudente
Eremita, come questa Benivolenzia vide, adito prese. Entrò dicendo: A fare
altro non resta (E lo spero ottener senza contese), Che come V amicizia è tra
voi fatta, Tra voi sia ancora affinità contratta; 4 n santo vecchierel nella
sua stanza Giunger gli ospiti suoi con nodo forte Ad amor vero meglio ebbe
possanza, Ch'altri non avria fatto in real corte. Fu questo poi di tal
perseveranza, •Che non si sciolse mai fino alla morte. Il vecchio li trovò
tutti benigni, Candidi più nel cor, che di fuor cigni. 5 Trovolli tutti amabili
e cortesi, Non della iniquità ch'io v'ho dipinta Di quei che mai non escono
palesi, Ha sempre van con apparenza finta. Di quanto s'eran per addietro offesi
Ogni memoria fu tra loro estinta: E se d'un ventre fossero e d'un seme, Non si
potriano amar più tutti insieme. " Sopra gli altri il Signor di
Blontalbano Accarezzava e riveria Ruggiero; Si perchè già l'avea con Tarme in
mino Provato quanto era animoso e fiero; Si per trovarlo affabile ed umano Più
che mai fosse al mondo cavaliere:Ma molto più, che da diverse bande Si conoscea
d'avergli obbligo grande. 7 Sapea che di gravissimo periglio Egli avea liberato
Ricciardetto, Quando il Re ispano gli fé' dar di pìglio, E con la figlia
prendere nel letto:E eh' avea tratto l'uno e l'altro figlio Del duca Buovo,
com'io v'ho già detto, Di man dei Saracini e dei malvagi Ch'eran col maganzese
Bertolagi. Stanza 9. 10 Acciò che delle due progenie illustri, Che non han par
di nobiltade al mondo, Nasca un lignaggio che più chiaro lustri Che'l chiaro
Sol, per quanto gira a tondo; E come andran più innanzi ed anni elustrì. Sarà
più bello, e durerà (secondo Che Dio m'inspira, acciò eh' a voi noi celi)
Finché terran l'usato corso i cieli. 8 Questo debito a lui parca di sorte. Oh'
ad amar lo stringeano e ad onorarlo; E gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
Che prima non avea potuto farlo, Quando era l'un nelP africana corte, E l'altro
ali! servigi era di Carlo. Or che fatto Cristian quivi lo trova, Quel che non
fece prima, or far gli giova. 11 E seguitando il suo parlar più innante. Fa il
santo vecchio si, che persuade Che Rinaldo a Rugier dia Bradamante; Benché
pregar né l'un né l'altro accade. Loda Olivier col Principe d'Anglante, Che far
si debba quest i affinitade:Il che speran che approvi Amone e Carlo, E debba
tutta Francia commendarlo. 12 Cosi cean; ma non sapean ch'Amone, Con Yolnntà
del figlio di Pipino, Navea dato in quei giorni intenzione Air imperator greco
Costantino, Che glie le domandava per Leone Suo figlio, e snccesBor nel gran
domino. Se nera, pel valor che n'avea inteso, Senza vederla, il giovinetto
acceso. 18 Risposto gli avea Amon, che da sé solo non era per concludere
altramente. Né pria che ne parlasse col figliuolo Rinaldo, dalla corte allora
assente; Il qual credea che vi verrebbe a volo, E che di grazia avria si gran
parente:Pur, per molto rispetto che gli avea, Risolver senza lui non si volea.
Svtó:''; stanza lo. 14 Or Rinaldo lontan dal padre, quella Pratica imperiai
tutta ignorando. Quivi a Ruggier promette la sorella, Di suo parere e di parer
d'Orlando, £ degli altri eh' avea seco alla cella, Ma sopra tutti V Eremita
instando:E crede veramente che piacere Debba ad Amon quel parentado avere. 16
Quel di e la notte, e del seguente giorno Steron grau parte col Monaco saggio.
Quasi obbliando al legno far ritorno. Benché il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno Increscea ornai, mandar più d'un
messaggio, Che sì li stimolar della partita, Ch' a forza li spiccar dall'
Eremita. 16 Ruggier che stato era in esilio tanto, Né dallo scoglio avea mai
mosso il piede, Tolse licenzia da quel mastro santo, Ch'insegnata gli avea la
vera Fede. La spada Orlando gli rimesse accanto, L'arme d'Ettorre, e il buon
Frontin gli diede; Si per mostrar del suo amor segno espresso, Si per saper che
dianzi erano d'esso. 17 E quantunque miglior nell'incantata Spada ragione
avesse il Paladino, Che con pena e travaglio già levata L'avea dal formidabile
giardino, Che non avea Ruggiero, a cui donata Dal ladro fu, che gli die ancor
Frontino;' Pur volentier gliele donò col resto Dell'armi, tosto che ne fu
richiesto. 18 Par benedetti dal vecchio devoto E sol navìlio alfin si
ritornaro, I remi air acqua, e diér le vele al Noto; E fa lor sì sereno il
tempo e chiaro. Che non vi bisognò priego né voto, Finché nel porto di
Marsiglia entraro. Ma quivi stiano tanto, eh' io conduca Insieme Astolfo, il
glorioso duca. 19 Poi che della vittoria Astolfo intese " Che sanguinosa e
poco lieta s'ebbe; Vedendo che sicura dall'offese D'Africa oggiinai Francia
esser potrebbe, Pensò che '1 Re de' Nubi in suo paese Con l'esercito suo
rimanderebbe, Per la strada medesima che tenne Quando centra Biserta se ne
venne. stanza 23. 20 L'armata che i Pagan roppe nell' onde, Già rimandata ave.i
il figliuol d' Uggiero; Di cui, nuovo miracolo, le sponde (Tosto che ne fu
uscito il popol nero) E le poppe e le prore mutò in fronde, E ritomolle al suo
stato primiero:Poi venne il vento, e come cosa lieve LeToUe in aria, e fé'
sparire in breve. 22 Negli utri, dico, il vento die lor chiuso, Ch'uscir di
mezzodì suol con tal rabbia, Che muove a guisa d'onde, e leva in suso, E rota
fin in ciel l'arida sabbia; Acciò se lo portassero a lor uso, Che per cammino a
far danno non abbia; E che poi, giunti nella lor regione, Avessero a lassar
fuor di prigione. 21 Chi a piedi e chi in arcion, tutte partita, D' Africa fèr
le Nubiane schiere. Ma prima Astolfo si chiamò infinita Grazia al Senape ed
immortale avere. Che gli venne in persona a dare aita Con ogni sforzo edogni
suo potere. Astolfo lor nell'uterino claustro A portar diede il fiero eturbido
Austro. 23 Scrive Tarpino, come furo ai passi Dell'alto Atlante, che i cavalli
loro Tutti in uu tempo diventaron sassi; Sì che, come venir, se ne tornerò. Ma
tempo é ornai ch'Astolfo in Fran'ia passi; E cosi, poi che del paese moro Ebbe
provvisto ai luoghi principali, AU'Ippogrifo suo fé' spiegar l'ali. 24 Volò in
Sardigna in nn batter di penne, E di Sardigna andò nel llto corso; E quindi
sopra il mar la strada tenne, Torcendo alquanto a man sinistra il morso. Nelle
maremme alP ultimo ritenne Della ricca Provenza il leggier corso, Dov'eseguì
dell'Ippogrifo quanto G.i disse già V Evangelista santo. 25 Hagli commesso il
santo Evangelista, Che più, giunto in Provenza, non lo sproni; E eh' all'impeto
fier più non resista Con sella e fren, ma libertà gli doni. Già avea il più
basso eie), che sempre acquista Del perder nostro, al corno tolti i suoni; Che
muto era restato, nonché roco, Tosto eh' entrò '1 guerrier nel divin loco.
stanza 29. 28 Per onorar costor, ch'eran sostegno Del santo Imperio e la
maggior colonna, Carlo mandò la nobiltà del regno Ad incontrarli fin sopra la
Sonna. Egli usci poi col suo drappel più degno Di Re e di Duci, e con la
propria donna, Fuor delle mura, in compagnia di belle E ben ornate e nobili
donzelle. 21 L'Imperator con chiara e lieta Aronte. I Paladini e gli amici e i
parenti. La nobiltà, la plebe fanno al Conte Ed agli altri d'amor segni
evidenti: Gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte. Sì tosto non finir gli
abbracciamenti, Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero Al signor loro
appresent&r Ruggiero; 80 E gli narrar che di Ruggier di Risa Era figliuol,
di virtù uguale al padre. Se sia animoso e forte, ed a che guisa Sappia ferir,
san dir le nostre squadre. Con Bradamante in questo vien Marfi::.!, Le. due
compagne nobili e leggiadre. Ad abbracciar Ruggier vien la sorella: Con più
rispetto sta l'altra donzella. 31 L'imperator Ruggier fa risalire. Ch'era per
riverenzia sceso a piede, E Io fa a par a far seco venire; E di ciò eh' a
onorarlo si richiede, Un punto sol non lassa preterire. Ben sapea che tornato
era alla fede; Che tosto che i guerrier furo all' asciutto, Certificato avean
Carlo del tutto. 26 Venne Astolfo a Marsiglia, e venne appunto 11 dì che v'era
Orlando ed Oliviero, E quel da Montalbano insieme giunto Col buon Sobrino e col
meior Ruggiero. La memoria del sozio lor defunto Vietò che i Paladini non
poterò Insieme cosi a punto rallegrarsi, Come in tanta vittoria dovea farsi. 2
Con pompa trionfai, con festa grande Tomaro insieme dentro alla cittade, Che di
frondi verdeggia e di ghirlande: Coperte a panni son tutte le strade: Nembo
d'erbe e di fior d'alto si spande, E sopra e intomo ai vincitori cade, Che da
veroni e da finestre amene Donne e donzelle gittano a man piene. 27 Carlo avea
di Sicilia avuto avviso Dei doo Re morti, e di Sobrino preso, E ch'era stato
Brandimarte ucciso; Poi di Ruggiero avea non meno inteso: E ne stava col cor
lieto e col viso D'aver gittate intollerabil peso, Che gli fu sopra gli omeri
si greve, Che starà un pezzo pria che si rìleve. 33 Al volgersi dei canti in
vari lochi Trovano archi e trofei subito fatti che di Biserta le mine e i fochi
Mostran dipinti, ed altri degni fatti: Altrove palchi con diversi giuochi, E
spettacoli e mimi e scenici atti; Ed è per tutti i canti il titol vero Scritto:
Ai liberatori dell'Impero. 34 Fra il suon d'argute trombe, e di canore Piffxre,
e d'ogni musica armonia, Fra riso e plauso, iiubiio e favore Del popolo eh' a
pena vi capa, Smontò al palazzo il magno Imperatore, Ove più giorni quella
compagnia Con toruiamenti, personaggi e farse, Danze e conviti attese a
dilectarse. 85 Rinaldo un giorno al padre fé' sapere Che la sorella a Rusgier
dar volea; Ch'in presenzia d'Orlando per mogliere, E d' Olivier, promessa glie
l'avea; Li quali erano seco d'un parere, Che parentado far non si potea, Per
nobiltà di sangue e per valore, Che fosse a questo par, nonché migliore. stanza
32. 36 Ode Amone il figliuol con qualche sdegno, Che, senza conferirlo seco,
gli osa La figlia maritar, ch'esso ha disegno Che del figliuol di Costantin sia
sposa, Non di Ruggier, il qual non eh' abbi' regno 3ra non può al mondo dir:
Questa è mia cosa; Né sa che nobiltà poco si prezza, E men virtù, se non v'è
ancor ricchezza. 37 Bla più d'Araou la moglie Beatrice Biasma il figliuolo, e
chiamalo arrogante; E in segreto e in palese contraddiceChe di Ruggier sia
moglie Bradamante: A tutta sua possanza Imperatrice Ha disegnato farla di
Levante. Sta Rinaldo ostinato, che non vuole Che manchi ou iota delle sue
parole. 38 La madre, eh' aver crede alle sue voglie La magnanima figlia, la
conforta Che dica, che piuttosto ch'esser moglie D'un pover cavalier, vuole
esser morta; Né mai più per figliuola la raccoglie, Se questa ingiuria dal
fratel sopporta: Nieghi pur con audacia, e tenga saldo; Che per sforzirla non
sarà Rinallo. SO Sta Bradamante tacita, né al detto Della madre s'arrisca a
contraddire; Che r ha iu tal riverenzia e in tal rispetto, Che non potria
pensar non l'ubbidire. Dall' altra parte terria gran difetto, Se quel che non
vuol far volesse dire. Non vuol, perchè non può; chè'l poco e'I molto Poter di
se disporre Amor le ha tolto. 40 Né negar, né mostrarsene contenta S'ardisce; e
sol sospira, e non risponde: Poi quando é in laogo ch'altri non la senta,
Yersan lacrime gli occhi a guisa d'onde; £ parte del dolor, che la tormenta,
Sentir fa al petto ed alle chiome bionde: Che l'un percuote, e l'altre straccia
e frange; E cosi parla, e cosi seco piange: Stanza 33. 41 Ahimè! vorrò quel che
non vuol chi deve Poter del voler mio più che poss'io? Il voler di mia madre
avrò in si lieve Stima, ch'io lo posponga al voler mio? Deh ! qual peccato
puote esser si grieve A una donzella, qual biasmo si rio, Come questo sarà, se,
non volendo Chi sempre ho da ubbidir, marito prendo? 42 Avrà, misera me! dunque
possanza La materna pietà, ch'io t'abbandoni, 0 mio Ruggiero? e eh' a nuova
speranza, A desir nuovo, a nuovo amor mi doni? Oppur la riverenzia e
l'osservanza Ch'ai buoni padri denno 1 figli buoni Porrò da parte, e solo avrò
rispetto Al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?43 So quanto, ahi lassa !
debbo tài: so quanto Di buona figlia al debito conviensi: 10 '1 so; ma che mi
vai, se non può tanto La ragion, che non possine più i sensi? S'Amor la caccia
e la fa star da canto, Né lassa ch'io disponga, né ch'io pensi Di me dispor, se
non quanto a lui piaccia, E sol, quanto egli detti, io dica e faccia? 44 Figlia
d'Amone e di Beatrice sono, E son, misera me! serva d'Amore. Dai genitori miei
trovar perdono Spero e pietà, s'io cadere in errore: Ma s' io offenderò Amor,
chi sarà buono A schivarmi con prieghi il suo furore, Che sol voglia Una di mie
scuse udire, E non mi faccia subito morire? 45 Cime ! con lunga ed ostinata
prova Ho cercato Ruggier trarre alla Fede; Ed bollo tratto alfin: ma che mi
giova, Se'l mio ben fare in util d'altri cede? Così, ma non per sé, l'ape
rinnova 11 mele ogni anno, e mai non lo possiede. Ma vo' prima morir, che mai
sia vero Ch' io pigli altro marito, che Ruggiero. Stanza 95. 46 S io non sarò
al mio padre ubbidiente, Né alla mia madre, io sarò al mio fratello, Che molto
e molto è più di lor prudente, Né gli ha la troppa età tolto il cervello. E a
questo che Rinaldo vuol, consente Orlando ancora, e per me ho questo e quello;
Li quali duo più onora il mondo e teme, Che V altra nostra gente tutta insieme.
47 Se qnesti il fior, se questi ognuno stima La gloria e Io splendor di
Chiaramente; Se sopra gli altri ognnn gli alza e sublima Più che non è del
piede alta la fronte; Perchè debbo voler che di me prima Amon disponga, che
Rinaldo e '1 Conte?Voler noi debbo; tanto meu, che messa In dubbio al Greco, e
a Bnggier fui promessa. 48 Se la donna s'affligge e si tormenta, Né di Euggier
la mente è più quieta; Ch' ancorché di ciò nuova non si senta Per la città, pur
non é a lui segreta. Seco di sua fortuna si lamenta, La qual fruir tanto suo
beu gli vieta. Poi che ricchezze non gli ha date e regni, Di che è stata si
larga a mille indegni. 50 Ma ilvolgo, nel cui arbitrio son gli onori, Che, come
pare a lui, li leva e dona (Né dal nome del volgo voglio fuori, Eccetto Tuom
prudente, trar persona; Che né Papi né Re né Imperatori Non ne trae scettro,
mitra né corona; Ma la prudenzia, ma il giudizio buono, Grazie che dal del date
a pochi sono): Stanza 86. 51 Questo volgo (per dir quel ch'io vo'dire),
Ch'altro non riverisce che ricchezza, Né vede cosa al mondo che più ammire, E
senza, nulla cura e nulla apprezza . Sìa quanto voglia la beltà, l'ardire. La
possanza del corpo, la destrezza. La virtù, il senno, la bontà: e più in questo
Di ch'ora vi ragiono, che nel resto. 49 Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista, Aver tanta e tal parte egli si
vede, Qual e quanta altri aver mai s'abbia vista; Ch'a sua bellezza ogni
bellezza cede; Ch'a sua possanza é raro chi resista: Di magnanimità, di
splendor regio A nessun, più eh' a lui, si debbe il pregio. 52 Dicea Ruggier:
Se pur é Amon disposto Che la figliuola Imperatrice sia, Con Leon non concluda
cosi tosto:Almen termine un anno anco mi dia; Ch'io spero intanto che da me
deposto Leon col padre dell'imperio fia: E poi che tolto avrò lor le corone,
Genero indegno non sarò d'Amene. 53 Ma 86 fa senza indugio, come hadetto,
Suocero della figlia Costantino; S'alia promessa non avrà rispetto Di Rinaldo e
d Orlando suo cugino Fattami innanzi al Tecchio benedetto, Al marchese
Oliviero, al re Sobrìno; Che farò? vo' patir si grave torto? 0, prima che
patirlo, esser pur morto?54 Deh che farò? &rò dunque vendetta Contra il
padre di lei di quest'oltraggio? Non miro ch'io non son per farlo in fretta, 0
s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio: Ma voglio presuppor eh' a morte io
metta L'iniquo vecchio, e tutto il suo lignaggio: Questo non mi tara, però contento;
Anzi in tutto sarà contra al mio intento. 55 E fu sempre il mio intento, ed è,
che m'ami La bella donna, e non che mi sia odiosa:lfa, quando Amon le uccida, o
faccia o tramiCosa al fratello o agli altri suoi dannosa, Non le do giusta
causa che mi chiami Nimico, e più non voglia essermi sposa? Che debbo dunque
far? debbo l patire? Ah non, per Dio: piuttosto io vo' morire. 56 Anzi non vo'
morir; ma vo'che muoia Con più ragion questo Leone Augusto, Venuto a disturbar
tanta mia gioia; 10 vo' che muoia egli e '1 suo padre ingiusto. Elena bella
all' amator di Troia Non costò si, né a tempo più vetusto Proserpina a Piritoo,
come voglio Ch'ai padre e al figlio costi il mio cordoglio, 57 Può esser, vita
mia, che non ti doglia Lasciare il tuo Ruggier per questo Greco? Potrà tuo
padre far che tu lo toglia, Aucor ch'avesse i tuoi fratelli seco? Ma sto iu
timor, ch'abbi piuttosto voglia D'esser d'accordo con Amon, che meco; E che ti
paia assai miglior partito Cesare aver,. eh' un privato uom, marito. 58 Sarà
possibil mai che nome regio. Titolo imperiai, grandezza e pompa, Di Bradamante
mia l'auimo egregio, 11 gran valor, l'alta virtù corrompa Si, eh' abbia da
tenere in minor pregio La data fede, e le promesse rompa? Né piuttosto d'Amon
farsi nimica. Che quel che detto m'ha, sempre non dica? 59 Diceva queste ed
altre cose molte, Ragionando fra sé Ruggiero; e spesso Le dicea iu gsa,
ch'erano raccolte Da chi talor se gli trovava appresso; Si che il tormento suo
più di due volte Era a colei, per cui pativa, espresso; A cui non doleJi meno
il sentir lui Cosi doler, che i propri affanni sai 60 Ma più d'ogni altro dnol
che le sia detto Che tormenti Ruggier, di questo ha dogUa, Ch'intende che
s'affligge per sospetto Ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia Onde, acciò
si conforti, e che del petto Questa credenza e questo error si toglia, Per una
di sue fide cameriere Gli fé' queste parole un di sapere:61 Ruggier, qual
sempre fui, tal esser voglio Fin alla morte, e più, se più si puote. 0 siami
Amor benigno, o m' usi orgoglio, 0meFortuna in alto o in basso mote, Immobil
son di vera fede scoglio Che d'ogn' intorno il vento e il mar percuote: Né
giammai per bonaccia né per verno Luogo mutoi, né muterò in eterno. 62
Scarpello si vedrà di piombo, o l!ma. Formare in varie immagini diamante. Prima
che colpo di Fortuna, o prima Ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante; E si
vedrà tornar verso la cima Dell' alpe il fiume turbilo e sonante, Che per novi
accidenti, o buoni o rei, Faccino altro viaggio i pensier miei. 63 A voi,
Ruggier, tutto il dominio ho dato Di me, che forse é più ch'altri non criede.
So ben eh' a novo Prìncipe giurato Non fu di questa mai la maggior fede; So che
né al mondo il più sicuro stato Di questo, Re né Imperator possiede: Non vi
bisogna far fossa né torre, Per dubbio eh altri a voi lo venga a torre; 64 Che,
senza eh' assoldiate altra persona, Non verrà assalto a cui non si resista: Non
é ricchezza ad espugnanni buona, Né si vii prezzo un cor gentile acquista; Né
nobiltà, né altezza di corona, Ch'ai sciocco volgo abbagliar suol la vista; Non
beltà, eh' in lieve animo può assai, Vedrò, che più di voi mi piaccia mai. 65
Non avete a temer chMn forma nuova Intagliare il mio cor mai più sì possa: Sì
l'immagine vostra si ritrova Scalpita in lui, cìi' esser non può rimossa. Che'l
cor non ho di cera, è fatto prova; Che gli die cento, non eh' una percossa,
Amor, prima che scaglia nelevasse, Quando all'immagin vostra lo ritrasse. 66
Avorio e gemnui, ed ogni pietra dura Che meglio dall' intaglio si difende,
Romper sì può; ma non ch'altra figura Prenda, che quella ch'una volta prende.
Non è il mìo cor diverso alla natura Del marmo o d'altro ch'ai ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze, Che lo possa sculpir d'altre
hellezze. 67 Soggiunse a queste altre parole molte, Piene d'amor, dì fede e di
conforto. Da ritornarlo in vita mille volte, Se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più della tempesta tolte Queste speranze esser credeano in porto, Da
un nuovo tnrho impetuoso e scuro Rispinte in mar, lungi dal lito, furo: 68
Perocché Bradamante, ch'eseguire Vorria molto più ancor che non ha dett • .
Rivocando nel cor l'usato ardire, E lasciando ir da parte ogni rispetto, S'
appresenta un di a Carlo, e dice: Sire, S'a vostra Maestade alcun effetto 10
feci mai, che le paresse huono, Contenta sia di non negarmi un dono. 69 E prima
che più espresso io le lo chieggia, ?u la real sua fede mi prometta Farmene
grazia; e vorrò poi che veggia Che sarà giusta la domanda e retta. Merta la tua
virtù che dar ti deggia Ciò che domandi, o giovane diletta, Rispose Carlo; e
giuro, sebhen parte Chiedi del regno mio, di contentarte. 70 n don ch'io bramo
dall'Altezza vostra, È che non lasci mai marito darme. Disse la damigella, se
non mostra Che più (li me sia valoroso in arme. Con qualunque mi vuol, prima o
con giostra O con la spada in mano ho da provarme 11 primo che mi vinca, mi
guadagni: Chi vinto sia, con altra s'accompagni. 71 Disse r Imperator con viso
lieto, Che la domanda era di lei ben degna; E che stesse con l'animo quieto.
Che farà a punto quanto ella disegna. Non è questo parlar fatto in segreto Si,
eh' a notizia altrui tosto non vegna; E quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all'orecchia. Stanza C9. 72 Li quali parimente
arser di grande Sdegno contra alla figlia, e di grand'ira; Che vider ben con
queste sue domande, Ch'ella a Ruggier più eh' a Leone aspira: E presti, per
vietar che non si mande Questo ad effetto, a ch'ella intende e mira. La levaro
con fraude della corte, E la menaron seco a Rocca Forte. 73 Quest' era una
fortezza eh' ad Amone Donato Carlo avea pochi dì innante. Tra Perpignano assisa
e Carcassone, In loco a ripa il mar molto importante. Quivi la riteneau come in
prigione, Con pensier di mandarla un dì in Levante: Si eh' ogni modo, voglia
ella o non voglia,Lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.74 La yalorosa donna,
che non meno Er modesta, cV animosa e forte; Ancorché posto gaardia non
Tavieno, E potea entrare e uscir fiior delle porte; Pur stava ubbidiente sotto
ilfreno Del padre: ma patir prigione e morte, Ogni martire e crudeltà,
piuttosto Che mai lasciar Ruggier, savea proposto. 77 L arme che fur già del
troiano Ettorre, E poi di Mandricardo, si riveste, E fa la sella al buon
Frontino porre, E cimier muta, scudo e sopravveste. A questa impresa non gli
piacque tórre L aquila bianca nel color celeste; Ma un candido liocorno, come
giglio, Vuol nello scudo, eM campo abbia vermiglio. stanza 86. 78 Sceglie de'
suoi scudieri il più fedele, E quel vuole, e non altri, In compagnia; E gli fa commission
che non rivele In alcun loco mai, che Ruggier sia. Passa la Mosa e '1 Reno, e
passa de le Contrade d'Ostericche in Ungheria; E lungo ristro per la destra
riva Tanto cavalca, eh' a Belgrado arriva. 79 Ove la Sava del Danubio scende, E
verso il mar maggior con lui dà volta, Vede gran gente in padiglioni e lentie
Sotto r insegne imperiai raccolta; Che Costantino ricovrare intende Quella
città che i Bulgari gli bau tolta. Costantin v'è in persona, e'I figliuol seco
Con quanto può tutt) l'Imperio greco. 80 Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il
monte, E giù fin dove il fiume il pie gli lava, L'esercito dei Bulgari gli è a
fronte; E l'uno e l'altro a ber viene alla Sava, Sul fiume il Greco per gittare
il ponte, Il Bulgar per vietarlo armato stava. Quando Ruggier vi giunse; e
zuffa grande Attaccata trovò fra le due bande. 75 Rinaldo, che si vide la
sorella Per astuzia d'Amon tolta di mano, E che dispor non potrà più di quella,
E ch'a Ruggier l'avrà promessa invano; Si duol del padre, e centra a luì favella.
Posto il rispetto fili'al lontano. Ma poco cura Amon di tai parole, E di sua
figlia a modo suo far vuole. 76 Ruggier, che questo sente, ed ha timore Di
rimaner della sua donna privo, E che l'abbia o per forza o per amore Leon, se
resta lungamente vivo; Senza parlarne altrui si mette in core Di far che muoia,
e sia, d'Augusto, Divo; E tdr, se non l'inganna la sua speme, Al padre e a lui
la vita e'I regno insieme. 81 I Greci son quattro contr'uno, ed hanno Navi coi
ponti da glttar nell'onda; E di voler fiero sembiante fanno Passar per forza
alla sinistra sponda. Leone intanto, con occulto inganno Dal fiume
discostandosi, circonda Molto paese, e poi vi torna, e getta Nell'altra ripa i
ponti, e passa in fretta. 82 E con gran gente, chi in arcion, chi a piede (Che
non n' avea di venti mila un manco), Cavalcò lungo la riviera, e diede Con
fiero assalto agl'inimici al fianco. L'Imperator, tosto che '1 figlio vede Sul
fiume comparirsi al lato manco, Ponte aggiungendo a ponte, e nave a nave, Passa
di là con quanto esercito ave. 83 II capo, il re de' Salgari Vatrano, Animoso e
prudenteeprò gaeniero, Di qua e di là s affaticava invano Per riparare a un
impeto si fiero; Quando, cingendol con robusta mano Leon, gli fé' cader sotto
il destriero; £ poiché dar prigion mai non si volse, Con mille spade la vita
gli tolse. 84 I Bulgari sin qui fatto avean testa; Ma quando il lor Signor si
vider tolto, E crescer d'ogn' intorno la tempesta, Volt&r le spalle ove
avean prima il volto. Rnggier, che misto vien fra i Greci, e questa Sconfitta
vede, senza pensar molto, I Bulgari soccorrer si dispone, Perch' odia
Costantino, e più Leone. Stanza 95. 85 Sprona Frontin, che sembra al corso un
vento, E innanzi a tutti i corridori passa; E tra la gente vien, che per
spavento Al monte fugge, " la pianura lassa. Molti ne ferma, e fa voltare
il mento Centra i nemici, e poi la lancia abbassa; E con si fier sembiante il
destrier muove, Che fin nel eiel Marte ne teme e Giove.86 Dinanzi agli altri un
cavaliere adocchia, Che ricamato nel vestir vermiglio Avea d'oro e di seta una
pannocchia Con tutto il gambo, che parca di miglio; Nipote a Costantin per la
sirocchia, Ma che non gli era men caro che figlio:Gli spezza scudo e osbergo
come vetro, E fa la lancia un palmo apparir dietro. 87 Lascia quel morto, e
Balisarda strìnge Verso uno stuol che più si vede appresso; E contra a questo e
contra a quel si spinge, Ed a chi tronco ed a chi il capo ha fésso:A chi nel
petto, a chi nel fianco tinge Il brando, e a chi Tha nella góla messo: Taglia
busti, anche, braccia, mani e spalle; E il sangue, come un no,corre alla valle.
88 Non è, visti quei colpi, chi gli faccia Contrasto più; cosi n'è ognun
smarrito: Si che si cangia subito la faccia Della battaglia; che, tornando
ardito, Il petto volge e ai Greci dà la caccia Il Bulgaro che dianzi era
fuggito:In un momento ogni ordine disciolto Si vede, e ogni stendardo a fuggir
volto. 89 Leone Augusto s'un poggio eminente, Vedendo i suoi fuggir, s'era
ridutto; E sbigottito e mesto ponea mente (Perch'era in loco che scopriva il
tutto) Al cavalier ch'uccidea tanta gente, Che per lui sol quel campo era
distrutto; E, non può far, sebben n'è offeso tanto, Che non lo lodi e gli dia
in arme il vanto. 90 Ben comprende alP insegne' e sopravvesti, All'arme
luminose e ricche d'oro. Che, quantunque il guerrier dia aiuto a questi Nimici
suoi, non sia però di loro. Stupido mira i soprumani gesti, E talor pensa che
dal sommo coro Sia per punire i Greci un angel sceso, Che tante e tante volte
hanno Dio offeso. 91 E come uom d'alto e di sublime core, Ove l'avrian molt'
altri in odio avuto, Egli s' innamorò del suo valore, Né veder fargli oltraggio
avria voluto: Gli sarebbe per un de' suoi che muore, Vederne morir sei manco
spiaciuto, E perder anco parte del suo regno, Che veder morto un cavalier si
degno. 92 Come bambin, sebben la cara madre Iraconda Io batte e da sé caccia,
Non ha ricorso alla florella o al padre, Ma a lei ritorna, e con dolcezza
abbraccia; Cosi Leon, sebben le prime squadre Ruggier gli uccide, e l'altre gli
minaccia, Non lo può odiar, perch' all'amor più tira L'alto valor, che quella
ouesa all'ira. 93 Ma se Leon Ruggiero ammira ed ama Mi par che duro cambio ne.
riporte Che Ruggiero odia lui, né cosa brama Più, che di dargli di sua man la
morte. Molto con gli occhi il cerca, ed alcun chiama. Che glie lo mostri; ma la
buona sorte E la prudenza dell'esperto Greco Non lasciò mai che s'affrontasse
seco. 94 Leone, acciò che la sua gente affatto Non fosse uccisa, fé' sonar
raccolta Ed all'Imperatore un messo ratto A pregarlo mandò, che desse volta, E
ripassasse il fiume, e che buon patto N'avrebbe, se la via non gli era tolta:
Ed esso, con non molti che raccolse. Al ponte ond' era entrato i passi volse.
95 Molti in poter de' Bulgari restaro Per tutto il monte, e sin al fiume uccisi
E vi restavan tutti, se'l riparo Non gli avesse del rio tosto divisi. Molti
cadder dai ponti, e s' affogare; E molti, senza mai volgere i visi, Quindi
lontano irò a trovar il guado E molti fur prigion tratti in Belgrado. 96 Finita
la battaglia di quel giorno, Nella qual, poiché il lor signor fu estinto, Danno
i Bulgari avriano avuto e scorno, Se per lor non avesse il guerrier vinto, Il
buon guerrier che '1 candido liocorno Nello scudo vermiglio avea dipinto; A lui
si trasson tutti, da cui questa Vittoria conoscean, con gioia e festa. 97 Uno
il saluta, un altro se gì' inchina, Altri la mano, altri gli bacia il
piede:Ognun, quanto più può, se gli avvicina, E beato si tien chi appresso il
vede, E più chi'l tocca; che toccar divina E soprannatural cosa si crede. Lo
pregan tutti, e vanno al del le grida, Che sia lor Re, lor capitan, lor guida.
98 Ruggier rispose lor, che capitano E re sarà, quel che fia lor più a grado;
Ma né a baston né a scettro ha da por mano, Né per quel giorno entrar vuole in
Belgrado: Che, prima che si faccia più lontano Leone Augusto, e che ripassi il
guado, Lo vuol seguir, né torsi dalla traccia, Finché noi giunga, e che morir
noi faccia: 99 Che mille miglia e più, per questo solo Era venuto, e non per
altro effetto. Cosi senza indugiar lascia lo stuolo, E si volge al cammin che
gli vien detto Che verso il ponte fa Leone a volo, Forse per dubbio che gli sia
intercetto. Gli va dietro per l'orma in tanta fretta, Che'l suo scudier non
chiama e non aspetta. 100 Leone ha nel fuggir tanto vantaggio (Fuggir si può
ben dir, più che ritrarse), Che trova aperto e libero il passaggio: Poi rompe
il ponte, e lascia le navi arse. Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio Era
del sol, né sa dove alloggiarse. Cavalca innanzi, che lucea la luna, Né mai
trova Castel né villa alcuna. 101 Perché non sa dove si por, cammina Tutta la
notte, né d'arcion mai scende. Nello spuntar del nuovo sol vicina A man
sinistra una città comprende; Ove di star tutto quel dì destina. Acciò
l'ingiuria al suo Frontino emende, A cui, senza posarlo o trargli briglia, La
notte fatto avea far tante miglia. 102 Ungiardo era signor di quella terra,
Suddito e caro a Costantino molto. Ove avea, per cagion di quella guerra. Da
cavallo e da pie buon numer tolto. Quivi, ove altrui P entrata non si serra.
Entra Ruggiero; e v'é sì ben raccolto. Che non gli accade di passar più avante
Per aver miglior loco e più abbondante. 103 Nel medesimo albergo in su la sera
Un cavalier di Romania alloggiosse, Che si trovò nella battaglia fiera. Quando
Ruggier pei Bulgari si mosse, Ed a pena di man fuggito gli era, Ma spaventato
più ch'altri mai fosse; Sì eh' ancor triema, e pargli ancora intomo Avere il
cavalier dal liocorno. stanza 103. 104 Conosce, tosto che lo scudo vede, Che U
cavalier che quella insegna porta È quel che la sconfitta ai Greci diede, Per
le cui mani è tanta gente morta. Corre al palazzo, ed udienzia chiede, Per dire
a quel signor cosa ch'importa; E subito intromesso, dice quanto Io mi riserbo a
dir nell'altro Cauto. NOTE. St. 7. V.5a L'uno e Valtro figlio Del duca Buovo:
Malagigi e Viviano, figlinoli di Baovo d'Agrismonte, liberati da Ruggiero. St.
17. V.4. Dal formidabile giardino: dal giar dino di Fallerina. St. 18. V.3.
Noto: vento di mezzogiorno. St. 21. V.78. NélV uterino claustro: nel vano dell'otre.
Austro: vento meridionale, lo stesso che Noto. St. 25. V.56. Jl più basso ciel,
che sempre ac quista Del perder nostro: il cielo della luna, ove si raduna ciò
che si perde saUa terra. St. 29. V.5. Mongrana e Chiaramonte: nome delle case a
cui appartenevano Orlando e Rinaldo. St. 56. V.57. AlV amator di Troia: a
Paride. A Piritoo: figlio d'Issione; scese all'inferno insieme con Teseo per
rapire Proserpina, ed ivi fu divorato da Cerbero, cane di Pluto. St. 61. V.7.
Verno: procella. St. 76. V.6. S sia d'Augusto, Divo: e da Augusto ch'egli ò
ora, divenga Divo. Ironica allusione ai co stumi ch'ebbero i Romani, sotto
gl'imperatori, di divi nizzarli dopo la morte. St. 77. v.78. Ma un candido
liocorno.." Vuol nello scudo, e 'l campo abbia vermiglio. Il lioconio
bianco (animale da un corno solo) in campo rosso, fu impresa anticamente usata
dagli Estensi; e se ne vedono tuttora le reliquie in qualche luogo di Ferrara.
St. 78. V.67. Ostericche: Austria. Istro: oggi Danubio. Ruggiero, preao nel
sonno da Uogiardo, resta prigioniero di Teodora, sorella deirimperator
Costantino. Cario intanto, a richiesta di Bradamante, ha fatto bandire che chi
la vuole in moglie deve battersi con lei, e via cere la pugna. Leone, che ha
concepito amore e stima per Ruggiero, benché noi conosca, lo trae di prigione,
e lo impegna ad assumersi quel duello. Ruggiero, portando le insegne di Leone,
combatte con la donzella. Sopraggiunta la notte, <3arlo fo cessale la pugna,
e destina Bradamante al creduto Leone. Ruggiero acco rato vuole uccidersi; ma
presentasi a Qrlo Marfisa, e impedisce quel maritaggio. Quanto più sn
l'iustabil mota vedi Di fortuna ire in alto il miser uomo; Tanto più tosto hai
da vedergli i piedi Ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo. Di questo
esempio è Policrate, e il Re di Lidia, e Dionis;!, ed altri ch'io non uomo, Che
minati son dalla suprema Gloria in un dì nella miseria estrema. 3 n re Luigi,
suocero del figlio Del Duca mio; che rotto a Santo Albino, E) giunto al suo
nimico neir artìglio, A restar senza capo f\i vicino. Scorse di questo anco
maggior periglio, Non molto innanzi, il gran Mattia Corrino. Poi Tun de
Franchi, passato quel ponto. L'altro al regno degli Ungarì fu assunto. Cosi
all'incontro, quanto più depresso, Quanto è più Tuom di questa motA al fondo.
Tanto a quel punto più si trova appresso, C'ha da salir, se de' girarsi in
tondo. Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo. Che l'altro giorno ha dato legge
al mondo. Servio e Mario e Ventidio l'hanno mostro Al tempo antico, e il re
Luigi al nostro: Si vede, per gli esempi di che piene Sono l'antiche e le
moderne istorie, Che '1 ben va dietro al male, e 1 male al bene, £ fin son l'un
dell'altro e biasmi è glorie; E che fidarsi all'nom non si conviene In suo
tesor, suo regno e sue vittorie; Kè disperarsi per Fortuna avversa, Che sempre
la sua mota in giro Tersa. Ruggier, per la vittoria ch'avea avuto Di Leone e
del padre Imperatore, In tanta confidenzia era venuto Di sua fortuna e di suo
gran valore, Che senza compagnia, senz' altro aiuto, Di poter egli sol gli dava
il core, Fra cento a pie e a cavallo armate squadre Uccider di sua mano il
figlio e il padre. stanza 4. 6 Ma quella che non vuol che si prometta Alcun di
lei, gli mostrò in pochi giorni Come tosto alzi, e tosto al basso metta, E
tosto avversa e tosto amica torni. Lo fé' conoscer quivi da chi in fretta A
procacciargli andò disagi e scorni, Dal cavalier che nella pugna fiera Di man
fuggito a gran fatica gli era. 7 Costui fece ad Ungiardo saper come Quivi il
goerrier ch'avea le trenti rotte Di Costantino, e per molt' anni dome, Stato
era il giorno e vi staria la notte; E che Fortuna presa per le chiome, Senza
che più travagli o che più lotte, Darà al suo Re, se fa costui prigione; Ch' a'
Bulgari, lui preso, il giogo pone. 8 Ungiardo dalla gente che, fuggita Della
battaglia, a lui s'era ridutta (Ch'a parte a parte v'arrivò infinita, Perch'ai
ponte passar non potea tutta), Sapea come la strage era seguita. Che la metà
de' Greci avea distrutta: E come un cavalier solo era stato, Ch' un campo
rotto, e l'altro avea salvato. 9 E che sia da sé stesso senza caccia Venuto a
dar del capo nella rete, Si maraviglia, e mostra che gli piaccia, Con viso e
gesti e con parole liete. Aspetta che Ruggier dormendo giaccia; Poi manda le
sue genti chete chete, E fa il buon cavalier, ch'alcun sospetto Di questo non
avea, prender nel letto. 10 Accusato Ruggier dal proprio scudo. Nella città di
Novengrado resta Prigion d'Ungiardo, il più d'ogni altro crudo, Che fa di ciò
maravigliosa festa. E che può far Ruggier, poi ch'egli è nudo Ed è legato già
quando si desta? Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta A dar la nuova a
Costantino in fretta. 11 Avea levato Costantin la notte Dalle ripe di Sa va
ogni sua schiera; E seco a Beleticche avea ridotte, Che città del cognato
Androfilo era. Padre di quello a cui forate e rotte (Come se state fossino di
cera) Al primo incontro l'arme avea il gagliardo Cavalier, or prigion del fiero
Ungiardo. 12 Quivi fortificar facea le mura L'Imperatore, e riparar le porte;
Che de'Bulgari ben non s'assicura. Che con la guida d'un guerrier sì forte Non
gli faccino peggio che paura, El resto ponghin di sua gente a morte Or che
l'ode prigion, né quelli teme, Né se con lor sia il mondo tutto insieme. 13
L'Impera tor nuota in un mar di latte, Né per letizia sa quel cVe si faccia.
Ben son le genti bulgare disfatte. Dice con lieta e con sicura faccia. Come
della vittoria, chi combatte. Se troncasse al nimico ambe le braccia, Certo
saria; così n'é certo e gode L'Imperator, poiché '1 guerrier preso ode. 14 Non
ha minor cagìon di rallegrarsi Del padre il figlio; eh' oltre che si spera Di
racquistar Belgrado, e soggiogarsi Ogni contrada che de' Bulgari era, Disegna
anco il guerriero amico farsi Con benefici, e seco averlo in schiera. Né
Rinaldo uè Orlando a Carlo Magno Ha da invidiar, se gli è costui compagno. 16
Da questa voglia è ben diversa quella Di Teodora, a chi '1 figliuolo uccise
Ruggier con Tasta che dalla mammea Passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella, Costei si gettò a' piedi, e gli conquise E
iutenerìgli il cor d'alta pietade Con largo pianto, che nel sen le cade. 16 Io
non mi leverò da questi piedi, Diss'ella, Signor mio, se del fellone Ch'uccise
il mio figliuol non mi concedi Di vendicare, or che 1' abbiam prigione. Oltre
che stato t'è nipote, vedi Quanto t' amò, vedi quant' opre buone Ha per te
fatto, e vedi s'avrai torto Di non lo vendicar di chi l'ha morto. 17 Vedi che
per pietà del nostro duolo Ha Dio fatto levar dalla campagnaQuesto crudele, e,
come augello, a volo A dar ce l'ha condotto nella ragna, Acciò in ripa di Stige
il mio figliuolo Molto senza vendetta non rimagna. Dammi costui. Signore, e sii
contento Ch'io disacerbi il mio col suo tormento. 18 Cosi ben piange, e cosi
ben si duole, E cosi bene ed efficace parla; Né dai piedi levar mai se gli
vuole (Benché tre volte o quattro per levarla Usasse Costantino atti e parole),
Ch'egli é forzato alfin di contentarla: E cosi comandò che si facesse Colui
condurre, e in man di lei si desse. 19 E per non far in ciò lunga dimora,
Condotto hanno il guerrier dal liocorno, E dato in mano alla crudel Teodora,
Che non vi fu intervallo più d'un giorno. Il far che sia squartato vivo, e
muora Pubblicamente con obbrobrio e scorno. Poca pena le pare; e studia e pensa
Altra trovarne inusitata e immensa. ataD7A 18L 20 La femmina crudel lo fece
porre. Incatenato e mani e piedi e collo, Nel tenebroso fondo d'una torre, Ove
mai non entrò raggio d'Apollo. Fuor eh' un poco di pan muffato, tórreGli fé'
ogni cibo, e senza ancor lassollo Duo dì talora; e lo die in guardia a tale,
Ch' era di lei più pronto a fargli male. 29 E che fattabbia ancor qualche
disegno, Per più tosto levarsela dal core, D'andar cercando d'uno in altro
regno Donna per cui si scordi il primo amore, Come si dice che si suol d'un
legno Talor chiodo con chiodo cacciar fuore. Nuovo pensier eh' a questo poi
succede, Le dipinge Ruggier pieno di fede; 30 E lei, che dato orecchie abbia,
riprende, A tanta iniqua suspizione e stolta: E così r un pensier Ruggier
difende, L altro l'accusa; ed ella amenduo ascolta, E quando a questo e quando
a quel s'apprende, Né risoluta a questo o a quel si volta:Pur all'opinion
piuttosto corre Che più le giova, e la contraria abborre. 33 Deh avesse Amor
cosi nei pensier miei Il tuo pensier, come ci ha il viso, sculto! Io son ben
certa che lo troverei Palese tal, qual io lo stimo occulto; E che si fuor di
gelosia sarei, Ch'ad or ad or non mi farebbe insulto; E dove a pena or è da me
respinta, Rimarria morta, non che rotta e vinta. 31 E talor anco, che le toma a
mente Quel che più volte il suo Ruggier Ip ha detto, Come di grave error, si
duole e pente, Ch' avuto n' abbia gelosia e sospetto; E come fosse al suo
Ruggier presente, Chiamasi in colpa, e se ne batte il petto. Ho fatto error,
dice ella, e me n'avveggio; Ma chi n' è caua, è causa ancor di peggio. 32 Amor
n'è causa, che nel cor m'ha impresso La forma tua cosi legadra e bella; E posto
ci ha l'ardir, l'ingegno appresso, E la virtù di che ciascun favella; Ch'
impossibil mi par, eh' ove concesso Ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
Non ne sia accesa, e che non usi ogni arte Di sciorti dal mio amore, e al suo
legarte. St&uza 'ài. 34 Son simile all'avar, e' ha il cor sì intento Al suo
tesor, e sì ve l'ha sepolto, Che non ne può lontan viver contento. Né non
sempre temer che gli sia tolto. Ruggiero, or può, ch'io non ti veggo e sento In
me, più della speme, il timor molto; Il qual, benché bugiardo e vano io creda,
Non posso far di non mi dargli in preda. XLVI. 36 Ma non apparirà il lume sì
tosto Agli occhi miei del tuo tìso giocondo, Contro ogni mia credenza a me
nascosto, Non 80 in qual parte, o Ruggier mio, dei mondo, Come il falso timor
sarà deposto Dalla vera speranza, e messo al fondo. Deh toma a me, Ruggier,
toma e conforta La speme che '1 timor quasi m ha morta ! 36 Come al partir del
sol si fa maggiore y ombra, onde nasce poi vana paura; E come ali apparir del
suo splendore Vien meno l'ombra, e '1 timido assicura: Cosi senza Ruggier sento
timore; Se Ruggier veggo, in me timor non dura. Deh toma a me, Ruggier, deh
torna prima Che '1 timor la speranza in tutto opprima ! 37 Come la notte ogni
fiammella è viva, E rìman spenta sobito ch'aggiorna; Così, quando il mio Sol di
sé mi pi iva, Mi leva incontra il rio timor le corna. Ma non si tosto air orizzonte
arriva, CheU timor fugge, e la speranza torna. Deh torna a me, deh toma, o caro
lume, E scaccia il rio timor che mi consume ! 41 La Contj E ch< Con I La su
Del e E ch( E noi 42 II (Non Mosse E che Molto E di In gu 38 Se'l sol si
scosta, e lascia i giorni brevi. Quanto di bello avea la terra asconde; Fremono
i venti, e portan ghiacci e nevi:Non canta augel, uè fior si vede o fronde:
Cosi, qualora avvien che da me levi, 0 mio bel Sol, le tue luci gioconde. Mille
timori, e tutti iniqui, fanno Un aspro vemo in me più volte Panno. 39 Deh toma
a me, mio Sol, toma, e rimena 43 Par! La desiata dolce primavera! Della Sgombra
i ghiacci e le nevi, e rasserena Vederi La mente mia si nubilosa e nera. Sentei
Qual Progne si lamenta, o Filomena, Giunta Ch' a cercar esca ai figliuolini ita
era, Audaci E trova il nido vóto; o qual si lagna E fa e Turture e' ha perduto
la compagna: Ch' egl 40 Tal Bradamante si dolca, che tolto 44 II e Le fosse
stato il suo Ruggier teraea, Seco a Di lagrime bagnando spesso il volto, Col co
Ma più celatamente che potea. Che si Oh quanto, quanto si dorria più molto,
Giunti S'ella sapesse quel che non sapea, Al cas Che con pena e con strazio il
suo consorte Per ap Era in prigion, dannato a cmdel morte ! E subi 45 Apron la
cataratta, onde sospeso Al canape, ivi a tal bisogno posto, Leon si cala, e in
mano ha nn torchio acceso, Là dove era Rnggier dal sol nascosto. Tutto legato,
e s'una grata steso Lo trova, al racqna un palmo e men discosto, li'avria in un
mese, e in termine più corto, Per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto. 46 Leon
Rnggier con gran pietade abbraccia, E dice: Cavai ier, la tua virtute
Indissolubilmente a te m'allaccia Di voluntaria etema servitute, E vuol che più
il tuo ben che '1 mio mi piaccia, Né curi per la tua la mia salute, E che la
tua amicizia al padre; e a quanti Parénti io m'abbia al mondo, io metta innanti
s' stanza < 47 Io son Leon, acciò tu intenda, figlio Di Costantin, che vengo
a darti aiuto. Come vedi, in persona, con periglio (Se mai dal padre mio sarà
saputo) D'esser cacciato, o con turbato ciglio Perpetuamente esser da lui
veduto; Che, per la gente la qual rotta e morta Da te gli fu a Belgrado, odio
ti porta. 48 E seguitò, più cose altre dicendo Da farlo ritornar da morte a
vita; E lo vien tuttavolta disciogliendo. Rnggier gli dice: Io v'ho grazia
infinita; E questa vita, ch'or mi date, intendo Che sempre mai vi sia
restituita, Che la vogliate riavere, ed ogni Volta che per voi spenderla
bisogni. ?0 loco oscaro, lian rimase; ri faro. ) case, ro persu'ise; er gagliardo
se Ungiardo. 55 Ma due cose ha Il cavalier, che qu L'altra, nel campo In modo
che non " A se lo chiama, e E pregai poi con ( Ch'egli sia quel ci Col
nome alimi, s lardìan strozzato 56 L'eloquenza del la prigion. he Bill niiKìì
¦un 9' appone, penstuo ¦une; ma.i aTulo ATVi ai alo. Ma più delPeloque
L'i>bbligM granile f Dft mai non ne ììù Si che quaumnqtie E non TJos.H'bil
qun Più che COTI cor gi Ch'era per far pel U'giero ilia, iero e miglia,
priniieru, a quel simiglia, e veneuo; amor pieno. giorni" pensa, avefv
immen"a. orteMa ispensa iA sia, ì certe, più nuu mrte. la ymavii "lì
(Il Francia, bbia a far prova e con huii'ia, i guancia; e fiirae ha noie, ser
non può te ì UiiicUè ila tier d Parala lia detta, iJ Che giorno e notte Sempre
V affligge e E veggii ì\ sim tin l'ur non è mai pej Che prima eh' a L Mille
Volte, non e m supplire jur sia manco, n pari re sa il name aneo, ' Si ni ire
glia Francj:V irajiresa, e presa. nS Bm\ certo è di 1 La diiutia, ha da I 0 che
l'accorerà i 0 se 'l duolo e la Con le irniu propri Che eiiiga ralmi, Ch'ogni
altra cosa Che poter lei vede 59 Gli è di morir disposto; ma che sorte Di morte
voglia far, non sa dir anco. Pensa talor di fingersi men forte, E porger nudo
alla donzella il fianco; Che non fa mai la più beata morte, Che se per man di
lei venisse manco. Poi vede, se per lui resta che moglie Sia di Leon, che
l'obbligo non scioglie; 60 Perchè ha promesso centra Bradamante Entrare in
campo a singoiar battaglia. Non simulare, e fame sol sembiante, Sì che Leon di
lui poco si vaglia. Dunque starà nel detto suo costante:E benché or questo or
quel pensier Tassaglia, Tutti li scaccia, e solo a questo cede, Il qual r
esorta a non mancar di fede. 61 Avea già fatto apparecchiar Leone, Con licenzia
del patre Costantino, Arme e cavalli, e un numer di persone, Qual gli convenne,
e entrato era in cammino; E seco avea Ruggiero, a cui le buone Arme avea fatto
rendere e Frontino:E tanto un giorno e un altro e un altro andare, Ch'in
Francia ed a Parigi si trovare. 62 Non volse entrar Leon nella cittate, E i
padiglioni alla campagna tese: E feMl medesmo di per ambasciate, Che di sua
giunta il Re di Francia intese. L'ebbe il Re caro; e gli fu più fiate. Donando
e visitandolo, cortese. Della venuta sua la cagion disse Leone, e lo pregò che
P espedisse; 63 Ch'entrar facesse in campo la donzella Che marito non vuol di
lei men forte; Quando venuto era per fere o eh' ella Moglier gli fosse, o che
gli desse morte.Carlo tolse l'assunto, e fece quella Comparir l'altro dì fuor
delle porte, Nello steccato che la notte sotto All' alte mura fu fatto di
botto. 65 Lancia non tolse; non perchè temesse Di quella d'òr, che fu dell'
Argalia E poi d'Astolfo a cui costei successe, Che far gli arcion votar sempre
solia; Perchè nessun, eh' ella tal forza avesse, 0 fosse fatta per negromanzia,
Avea saputo, eccetto quel Re solo Che far la fece, e la donò al figliuolo. 66
Anzi Astolfo e la donna, che portata L'aveano poi, credean che non l'incanto,
Jla la propria possanza fosse stata, Che dato loro in giostra avesse il vanto;
E che con ogni altr'asta ch'incontrata Fosse da lor, farebbono altrettanto. La
cagion sola, che Ruggier non giostra È per non far del suo Frontino mostra: 67
Che Io potria la donna facilmente Conoscer, se da lei fosse veduto; Perocché
cavalcato, e lungamente In Montalban l'avea seco tenuto. Ruggier, che solo
studia e solo ha mente Come da lei non sia riconosciuto, Né vuol Frontin, né
vuol cos' altra avere. Che di far di sé indizio abbia potere. 68 A questa
impresa un'altra spada volle; Che ben sapea che centra a Balisarda Saria ogn'
osbergo, come pasta, molle; Ch'alcuna tempra quel furor non tarda; E tutto '1
taglio anco a quest'altra tolle Con un martello, e la fa men gagliarda. Ck)n
quest'arme Ruggiero, al primo lampo Ch'apparve all'orizzonte, entrò nel campo.
69 E per parer Leon, le sopravveste Che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso; E
l'aquila deU' òr con le due teste Porta dipinta nello scudo rosso. E facilmente
si potean far queste Finzion, ch'era ugualmente grande e grosso L'un come
l'altro. Appresen tossi l'uno; L'altro non si lasciò veder d'alcuno. 64 La
notte ch'andò innanzi al terminato Giorno della battaglia, Ruggiero ebbe Simile
a quella che suole il dannato Aver, che la mattina morir debbe. Eletto avea
combatter tutto armato, Perch' esser conosciuto non vorrebbe; Né lancia né
destriero adoprar volse; Né, fuor che '1 brando, arme d'offesa tolse. 70 Era la
volontà della donzella Da quest'altra diversa di gran lunga; Che se Ruggier
sulla spada martella Per rintuzzarla, che non tagli o punga, La sua la donna
aguzza, e brama ch'ella Entri nel ferro, e sempre al vivo giunga; Anzi ogni
colpo si ben tagli e fere Che vada sempre a ritrovargli il core. 7 1 Qnal su le
mosse il barbaro si vede, Che '1 cenno del partir focoso atteude, Né qua né là
poter fermare il piede, Gonfiar le nare, e che le orecchie tende: Tal V animosa
donna, che non crede Che questo sia Ruggier con chi contende, Aspettando la
tromba, par che fuoco Nelle vene abbia, e non ritrovi loco. 72 Qua] talor, dopo
il tuono, orrido vento Subito segue, che sozzopra volve L'ondoso mare, e leva
in un momento Da terra fin al ciel 1 oscura polve; Fuggon le fiere, e col
pastor T armento, L'aria in grandine e in pioggia si risolve: Udito il segno la
donzella, tale Stringe la spada, e '1 suo Ruggiero assale. 73 Ma non più
quercia antica, o grosso muro Di ben fondata torre a Borea cede, Né più
all'irato mar lo scoglio duro. Che d'ogni intomo il di e la notte il fiede; Che
sotto l'arme il buon Ruggier sicuro. Che già al troiano Ettór Vulcano diede. Ceda
all'odio e al furor che lo tempesta Or ne' fianchi, or nel petto, or nella
testa. 74 Quando di taglio la donzella, quando Mena di punta; e tutta intenta
mira Ove cacciar tra ferro e ferro il brando, Sì che si sfoghi e disacerbi
l'ira. Or da un lato, or da un altro il va tentando; Quando di qua, quando di
là s'aggira; E si rode e si duol che non le avvegna Mai fatta alcuna cosa che
disegna. 75 Come chi assedia una città che forte Sia di buon fianchi e di
muraglia grossa, Spesso l'assalta, or vuol batter le porte, Or l'alte torri, or
atturar la fossa; E pone indarno le sue genti a mort", Né via sa ritrovar,
eh' entrar vi possa:Così molto s' affanna e si travaglia, Né può la donna aprir
piastra né maglia. 76 Quando allo scudo e quando al buono elmetto, Quando
all'osbergo fa gittar scintille Con colpi eh' alle braccia, al capo, al petto
Mena dritti e riversi, e mille e mille, E spessi più che sul sonante tetto La
grandine far soglia delle ville. Ruggier sta su l'avviso, e si difende Con gran
destrezza, e lei mai non offende:77 Or si ferma, or volte già, or si ritira, E
con la man spesso accompagna il piede. Porge or lo scudo, ed or la spada gira
Ove girar la man nimica vede. 0 lei non fere, o, se la fere, mira Ferirla in
parte ove mpn nuocer crede. La donna, prima che quel di s' inchine, Brama di
dare alla battaglia fine. 78 Si ricordò del bando, e si ravvide Del suo
periglio, se non era presta; Che se in un dì non prende e non uccide Il suo
domandator, presa ella resta. Kra già presso ai termini d'Alcide Per attuifar
nel mar Febo la testa. Quand'olia cominciò di sua possanza A diffidarsi, e
perder la speranza. Stanza 74. 79 Quanto mancò più la speranza, crebbe Tanto
più l'ira, e raddoppiò le botte; Che pur quell'arme rompere vorrebbe, Ch' in
tutto un dì non avea ancora rotte Come colui ch'ai lavorio che debbe Sia stato
lento, e già vegga esser notte, S'affretta indamo, si travaglia e stanca.
Finché la forza a un tempo e il dì gli manca, 80 0 misera donzella, se costui
Tu conoscessi, a cui dar morte brami; Se lo sapessi esser Ruggier, da cui Della
tua vita pendono gli stami: So ben eh' uccider te, prima che lui, Vorresti; ebé
di te so che più l'ami: E quando lui Ruggiero esser saprai, Di questi colpi
ancor, so, ti dorrai. 81 Carlo e moli' altri seco, che Leone Esser costai
credeansi, e non Ragg;iero, Vedoto come in arme, al paragone Di Bradamante,
forte era e leggiero; E, senza offender lei, con che ragione Difender si sapea,
mntan pensiero, E dicon: Ben convengono amendni; Ch' egli è di lei ben degno,
ella di lai. 82 Poi che Febo nel mar tatt è nascoso, Carlo, fatta partir quella
battaglia. Giudica che la donna per suo sposo Prenda Leon, né ricusarlo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo. Senz'elmo trarsi, o alleggerirsi maglia,
Sopra un piccìol ronzin toma in gran fretta Ai padiglioni ove Leon P aspetta.
87 Di chi mi debbo, oimè! dicea, dolere Che cosi m'abbia a un punto ogni ben
tolto? Deh, sMo non voM' ingiuria sostenere Tenza vendetta, incontro a cui mi
volto? Fuorché me stesso, altri non so vedere Che m'abbia offeso, ed in miseria
vòlto. Io mho dunque di me centra me stesso Da vendicar, e' ho tutto il mal
commesso. 88 Pur quando io avessi fatto solamente A me r ingiuria, a me forse
potrei Donar perdon, sebben difficilmente; Anzi vo' dir che far non lo vorrei:Or
quanto, poi che Bradamante sente Meco r ingiuria uguil, men lo ferei?Quando
bene a me ancora io perdonassi, Lei non convien ch'invendicata lassi. 83 Gittò
Leone al cavalier le braccia Due volte e più fraternamente al collo; E poi,
trattogli Telmo dalla faccia. Di qua e di là con grande amor baciollo. Vo',
disse, che di me sempre tu faccia Come ti par; che mai trovar satollo Non mi
potrai, che me e lo stato mio Spender tu possa ad ogni tuo disio. 84 Né veggo
ricompensa che mai questa Obbligazion, ch'io t'ho, possi disdorre; E non, s
ancora io mi levi di testa La mia corona, e a te la venghi a porre. Rnggier, di
cui la mente auge e molesta Alto dolore, e che la vita abborre, Poco risponde;
e l'insegne gli rende. Che n'avea avute, el suo liocorno prende; 85 E stanco
dimostrandosi e svogliato, Più tosto che potè da lui levosse; Ed al suo
alloggiamento ritornato, Poi che fu mezzanotte, tutto armosse; E sellato il
destrìer, senza commiato, E senza che d'alcun sentito fosse, Sopra vi salse, e
si drizzò al cammino Che più piacer gli parve al suo Frontino. 89 Per vendicar
lei dunque debbo e voglio Ogni modo morir, né ciò mi pesa: Ch'altra cosa non so
ch'ai mio cordoglio, Fuorché la morte, far possa difesa. Ma sol, ch'allora io
non morii, mi doglio?Che fatto ancora io non le aveva offesa. Oh me felice, s'
io moriva allora Ch'era prigion della crudel Teodora! 90 Sebben m'avesse
ucciso, tormentato Prima ad arbitrio di sua crndeltade. Da Bradamante almeno
avrei sperato Di ritrovare al mio caso pietade. Ma quando ella saprà eh' avrò
più amato Leon di lei, e di mia volontade Io me ne sia, perch'egli l'abbia,
privo, Avrà ragion d'odiarmi e morto e vivo. 91 Questo dicendo, e molte altre
parole Che sospiri accompagnano e singulti, Si trova all'apparir del nuovo sole
Fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti; E perchè è disperato e morir
vuole, E, più che può, che'l suo morir s'occulti, Questo luogo gli par molto
nascosto. Ed atto a far quant'ha di sé disposto. 86 Frontino or per via dritta
or per via torta. Quando per selve e quando per campagna II suo signor tutta la
notte porta. Che non cessa un momento che non piagna: Chiama la morte, e in
quella si conforta. Che l'ostinata doglia sola fregna; Né vede, altro che
morte, chi finire Possa V insopportabil suo martire. 92 Entra nel folto bosco,
ove più spesse L'ombrose frasche e più intricate vede; Ma Frontin prima al
tutto sciolto messe Da sé lontano, e libertà gli diede. 0 mio Frontin, gli
disse, s'a me stesse Di dare a'merti tuoi degna mercede Avresti a quel destrier
da invidiar poco Che volò al cielo, e fra le stelle ha loc. 93 Cillaro, so, non
fu, non fu Arìone Di te miglior, né meritò più lode; Né alena altro destrier di
cui menzione Fatta da' Greci o da' Latini a' ode. Se ti fiir par nell'altre
parti beone, Di questa so eh' alcun di lor non gode, Di potersi vantar ch'avuto
mai 94 Poich' alla più Donna gentile e Si caro stato sei £ di sua man ti Caro
eri alla mi La dirò più, se S'io l'ho donata Abbia il pregio e l'onor che tu
avuto hai; Di volger questa stanza 92. 95 Se Ruggier qui s'affligge e si
tormenta, E le fere e gii augelli a pietà muove (Ch' altri non è che questi
gridi senta, Né vegga il pianto che nel sen gli piove), Non dovete pensar che
più contenta Bradamante in Parigi si ritrove, Poiché scusa non ha che la difenda,
0 più l'indugi, che Leon non prenda. 96 Ella, prima ci Che'l suo Ruggii Mancar
del dette I parenti e gli a E quando altro i 0 col veneno o ' Che le par megl
Che, vivendo, n 97 Deh, Ruggier mio, dìcea, dove Sci gito? Puote esser che tn
sia tanto discosto, Che tu non abbi questo bando udito, A nessun altro, fuor
che a te, nascosto?Se tu '1 sapessi, io so che comparito Nessun altro saria di
te più tosto. Misera me ! eh' altro pensar mi deggio, Se non quel che pensar si
possa peggio?stanza 94. 98 Come è, Ruggier, possìbil che tu solo Non abbi quel
che tutto il mondo ha inteso? Se inteso l'hai, né sei venuto a volo. Come esser
può che non sii morto o preso? Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo Di
Costantin t' avrà alcun laccio teso; Il traditor t'avrà chiusa la via, Acciò
prima di lui tu qui non sia. 99 Da Carlo impetrai grazia, eh' a nessuno Men di
me forte avessi ad esser data, Con credenza che tu fossi quell'uno A cui star
contra io non potessi armata. Fuorché te solo, io non stimava alcuno:Ma dell'audacia
mia m'ha Dio pagata; Poiché costui, che mai più non fé' impresa D'onore in vita
sua, cosi m'ha presa: 100 Se però presa son, per non avere Uccider lui né
prenderlo potuto; Il che non mi par giusto; né al parere Mai son per star,
ch'in questo ha Carlo avuto. So ch'incostante io mi farò tenere, Se da quel e'
ho già detto ora mi muto; Ma nò la prima son né la sezzaia, La qual parata sia
incostante, e paia. 101 Basti che nel servar fede al mio amante D'ogni scoglio
più salda mi ritrovi, E passi in questo di gran lunga quante Mai furo ai tempi
antichi, o sieno ai nuovi. Che nel resto mi dicano incostante, Non curo, purché
l'incostanzia giovi: Purch'io non sia di costui tórre astretta, Volubil più che
foglia anco sia detta. 102 Queste parole ed altre, ch'interrotte Da sospiri e
da pianti erano spesso, Segui dicendo tutta quella notte Ch' air infelice
giorno venne appresso. Ma poi che dentro alle cimmerie grotte Con l'ombre sue
Notturno fu rimesso, Il Ciel, ch'eternamente avea voluto Farla di Ruggier
moglie, le die aiuto. 1 03 Fé' la mattina la donzella altiera Marfisa innanzi a
Carlo comparire, Dicendo ch'ai fratel suo Ruggier era Fatto gran torto, e noi
volea patire, Che gli fosse levata la mogliera, Né pure una parola glie ne
dire: E contra chi si vuol di provar toglie. Che Bradamante di Ruggiero é
moglie; 104 E innanzi agli altri, a lei provar lo vuole, Quando pur di negarlo
fòsse ardita: Ch'in sua presenzia ella ha quelle parole Dette a Buggier, che fa
chi si marita; E con la cerimonia che si suole. Già si tra lor la cosa é
stabilita, Che più di sé non possono disporre, Nò r un r altro lasciar, per
altri tórre. 105 .Marfisa, o'I vero o '1 falso che dicesse, Pur lo dicea, ben
credo con pensiero. Perché Leon più tosto interrompesse A dritto e a torto, che
per dir il vero; E che di volontade lo facesse Di Bradamante. eh' a riaver
Ruggiero, Ed escluder Leon, né la più onesta Né la più breve via vedea di
questa. 106 Turbato il Re di questa cosa molto, Bradamante chiamar fa
immantinente; E quanto di provar Marfisa ha tolto Le fa sapere, ed ecci Amon
presente. Tien Bradamante chino a terra il volto, E confusa non niega né
consente, In gnisa che comprender di leggiero Si può che Marfisa abbia detto il
vero. 107 Piace a Rinal Tal cosa udir, e Che '1 parentado Che già conchius E
pur Rnggìer 1 Malgrado avrà d E potran senza 1 Di man per forz Stanza 95 108
Che se tra lor queste parole stanno. La cosa è ferma, e non andrà per terra.
Cosi atterràn quel che promesso gli hanno, Più onestamente e senza nuova
guerra. Questo è, diceva Amon, questo è un inganno Centra me ordito: ma'l
pensier vostro erra: Ch' ancorché fosse ver quanto voi finto Tra voi v avete,
io non son però vinto. 109 Che presuppos Né vo' credere an Scioccamente a R
Come voi dite, e Quando e dove fi Più chiaro e piar Stato so che non Prima che
Ruggì HO Ma s'egli è stato ìananzi che cristiano Fosse Ruggier, non vo' che me
ne caglia; Ch'essendo ella Fedele, egli Pagano, Non crederò che'i matrimonio
vaglia.' Non 3i debbe per questo essere invano Posto al risco Leon della
battaglia; Né il nostro Imperator credo vogli' anco Venir del detto suo per
questo manco. Stanza 103. Ili Quel ch'or mi dite, era da dirmi quando Era
intera la cosa, né ancor fatto A'prieghi di costei Carlo avea il bando Che qui
Leone alla battaglia ha tratto. Così contra Rinaldo e contra Orlando Amon
dicea, per rompere il contratto Fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire, Né
per Fun né per l'altro volea dire.112 Come si senton, s' Austro o Borea spira,
Per l'alte selve murmurar le fronde; 0come soglion, s'Eolo s'adira Contra
Nettuno, al lito fremer l'onde: Cosi un rumor che corre e che s'airgirat E che
per tutta Francia si diffonde, Di questo dà da dire e da udir tanto, Ch'ogni
altra cosa é muta in ogni canto. 113 Chi parla per Ruggier, chi per Leone; Ma
la più parte è con Ruggiero in lega: Son dieci e più per un che n'abbia Amone.
L'Imperator né qua né là si piega; Ma la causa rimette alla ragione, Ed al suo
Parlamento la deléga. Or vien Marfisa, poich'é differito Lo sponsalizio, e pon
nuovo partito; Stanza 113. 114 E dice: Con ciò sia ch'esser non possaD'altri
costei, finché '1 fra tei mio vive; Se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
Adopri sì, che lui di vita prive: E chi manda di lor 1' altro alla fossa, Senza
rivale al suo contento arrìve. Tosto Carlo a Leon fa intender questo, Come anco
intender gli avea fatto il resto. 115 Leon che, quando seco il cavaliero Dal
liocorno sia, si tien sicuro Di riportar vittoria di Ruggiero, Né gli abbia
alcun assunto a parer duro; Non sappiendo che l'abbia il dolor fiero Tratto nel
bosco solitario e oscuro, Ma che . per tornar tosto, uno o due miglia Sia
andato a spasso, il mal partito piglia. XLVII. 116 Ben se ne pente in breve;
che colui, 117 Pe Del qual più del dover si promettea, Dapp Non comparve quel
dì, né gli altri dui Né co Che lo seguir, né nuova se n'avea; Egli i E tor
questa battaglia senza lui Ma n< Contra Ruggier, sicur non gli parea: Né V
Mandò, per schivar dunque danno e scorno, Se no Per trovar il guerrier del
liocorno. Mi se N o T B. St. 1. V.46. Far.... il tomo: da tornare, che vale
cadere eoi capo aWingiù. Folicrate, e il re di Lidia, e Dionigi. Il primo er
tiranno di Samo, e celebre per la prosperità onde tutte le sue imprese furono
accom pagnate ; ma rimase sconfitto dair armata di Dario, e mori appiccato. Re
di Lidia fu Creso, l'uomo più liceo de' suoi tempi, felice ne' suoi principj,
ma vinto da Ciro. Dionigi, tiianno di Siracusa, vide mutarsi lo splendore di
sua fortuna nella oscurità di maestro di scuola, a cui fu costretto ridursi in
Corinto. St. 2 V.7. Servio, Mario, Ventidio. Da figlio della schiava
Tanaqnilla, Servio diventò re di Roma, succe dendo a Tarquinio Prisco. Mario,
nato in Arpino di basso lignaggio, ebbe sette volte il consolato di Roma.
Vèìitidio era schiavo di Strabone, e nondimeno riportò pel primo il trionfo sui
Parti, e fu pretore e con sole in Roma. St. 3. V.18. Il re Luigi, ecc. Parla
del re di Fran cia Luigi XII, padre di Renata che fu consorte del duca Alfonso
1. Sconfitto e tenuto prigione da Carlo VITI, gli successespetto di dislao, 1
poco dop St. 10. neirUngl St. 65. l'Argalia St. 92. Pegaso, Chimera, ST. 93. di
Castoi vallo di per rendi St. la Qui è la HllaPaln al lago d gine: qui Canto
XLVI. Mflissa va iii traccia di Ruggiero j e qU salva la Tìta col!"iez?,o
Ji Lpoiie, clie, fatto inteso del motivo onde Rtig Riero ó flrtli'tto, gli ce
(te Bmdamaiite. Tutti va" no a Fa riij dou! lìiTBfjterOj gìh eletto re dei
Bulgari, è macife Htstu pd ravaliete clic ha combattuto con BTolamatite, Si
fminD If iio;cz(4 ron regale eplendldczz e prepiiraBt it talamo sotro J'isl
oriate padiglione imperiale, cJie Meli" con raagit:artc la fttt to
ti"aportBie da Costantinopoli, XtirnUìinp fioino ddle feste nuziali,
8opraY\ieDe Bodo TUùntct, che stidii tUigRicro a battaglia, conibat te con e e
maoiu: por di lui mano. Or, se mi mostra ta mia carta il vero, Noti è lontAiìo
a discoprirsi il porto; Sì clic nel lito Ì voti scioglier spero A chi nel mar
per tanta via m'hsi scorto | t)vc . 0 ili non tornar col legno i a toro, 0
d'errar sempre, ebbi già il viso smorto Ma mi par di veiler, ma veggo certo,
Veggo la terra, e veggo il (ito aperto 2 Sento venir per allegrezza un tnono
Che fremer l'aria e rimbombar fa T onci e; Odo di sqnille, odo dì trombe xm
suono Che Talto popnlnr grido confonde. Or comincio a d lacerne re cbi &ono
PncHti eh' (in pioti del parto ambe le sponde. Par che tutti s'allegrino ch'io
sia Venuto a fin di cosi innga via. 3 Oh di che belle e sagge donne veggio, 4
Oh di che cavalieri il lito adorno! Da Oh di che amici, a chi in eterno deggio
Ve Per la letizia e' han del mio ritorno ! Da Mamma e Ginevra e l'altre da
Correggio Ve Veggo del molo in su l'estremo corno; Ch Veronica da Gamhara è con
loro, Co grata a Febo e al santo aonio coro. Bi Stanza 3. Ecco la bella, ma più
saggia e onesta, 6 Barbara Turca, e la compagna è Laura. Qu Non vede il Sol di
più bontà di questa Ce: Coppia dair Indo all' estrema onda maara. Do Ecco
Ginevra che la Malatesta Cr< Casa col suo valor si ingemma e inaura, E Che
mai palagi imperiali o regi To Non ebbon più onorati e degni fregi. Né 7 Del
mio Signor di Bozolo la moglie, La madre, le sirocchie e le cugine, E le
Torelle con le Bentivoglie, E le Visconte e le Pallavicine; Ecco chi a quante
oggi ne sono, toglie, E a quante o Greche o Barbare o Latine Ne Airon mai, di
quai la fama s'oda. Di grazia e di beltà la prima loda. 8 Giulia Gonzaga, che
dovunque il piede Volge, e dovunque i sereni occhi gira. Non pur ogn' altra di
beltà le cede. Ma, come scesa dal ciel Dea, T ammira. La cognata è con lei, che
di sua fede Non mosse mai, perchè T avesse in ira Fortuna che le fé' lungo
contrasto:Ecco Anna d' Aragon, luce del Vasto; 9 Anna bella, gentil, cortese e
saggia, Di castità, di fede e d'amor tempio. La sorella è con lei, eh' ove ne
irraggia L'alta beltà, ne paté ogn' altra scempio. Ecco chi tolto ha dalla
scura spiaggia Di Stige, e fa con non più visto esempio, Malgrado delle Parche
e della Morte, Splender nel ciel l'invitto suo consorte. 18 Ecco Alessandro, il
mio signor. Farnese: Oh dotta compagnia che seco mena! Fedro, Capella, Porzio,
il bolognese Filippo, il Volterrano, il Madalena, Blosio, Piero, il Vida
cremonese, D'alta facondia inessiccabil vena, E Lascari e Musuro e Navagero, E
Andrea Marone, e '1 monaco Severo. 14 Ecco altri duo Alessandri in quel
drappello. Dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino. Ecco Mario d'Olvito "
ecco il flagello De' Principi, il divin Pietro Aretino. Duo Jeronimi veggo,
l'uno è quello Di Verìtade, e l'altro il Cittadino. Veggo il Mainardo, veggo il
Leoniceno, Il Pannizzato, e Celio e il Teocreno. 15 Là Bernardo Capei, là veggo
Pietro Bembo, che '1 puro e dolce idioma nostro, Levato fuor del volgare uso
tetro, Qnal esser dee, ci ha col suo esempio mostro. Guasparro Obizzi è quel
che gli vien dietro. Ch'ammira e osserva il si ben speso inchiostro. Io veggo
il Fracastorio, il Bevazzano, Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano. 10 Le
Ferraresi mie qui sono, e quelle Della corte d'Urbino e riconosco Quelle di
Mantua, e quante donne belle Ha Lombardia, quante il paese tosco. n cavalier
che tra lor viene, e ch'elle ' Onoran si, s'io non ho l'occhio losco, Dalla
luce ofiFuscato de' bei volti, É'I gran lume aretin, l'Unico Accolti. 11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio, C'ha purpureo il cappel, purpureo il
manto, Col Cardinal di Mantua, e col Campeggio, Gloria e splendor del
consistono santo. E ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio) Al viso e ai gesti
rallegrarsi tanto Del mio ritomo, che non facil parmi Ch'io possa mai di tanto
obbligo trarmi. 12 Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei, E Paulo Pausa, e'I
Dresino, e Latino Giuvenal parmi, e i Capilupi miei, E '1 Sasso e 1 Molza e
Florian Montino; E quel che per guidarci ai rivi ascrei Mostra piano e più
breve altro cammino, Giulio Camillo; e par eh' anco io ci scema Marco Antonio
Flaminio, il Sanga, il Berna. 16 Veggo Niccolò Tiepoli, e con esso Niccolò
Amanio in me affissar le ciglia; Anton Falgoso, eh' a vedermi appresso Al lito
mostra gaudio e maraviglia. n mio Valerio è quel che là s'è messo Fuor delle
donne; e forse si consiglia Col Barignan c'ha seco, come offeso Sempre da lor,
non ne sia sempre acceso. 17 Veggo sublimi e sopmmani inoegni, Di sangue e
d'amor giunti, il Pico e il Pio. Colui che con lor vien, e da' più degni Ha
tanto onor, mai più non conobbi io; Ma, se me ne fur dati veri segni, È l'uom
che di veder tanto desio, lacobo Sannazar, eh' alle Camene Lasciar fa 1 monti,
ed abitar l'arene. 18 Ecco il dotto, il fedele, il diligente Secretarlo
Pistofllo, ch'insieme Cogli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente Piacer, che più
del mar per me non teme. Annibal Malagnzzo, il mio parente, Veggo con
l'Adoardo, che gran speme Mi dà, eh' ancor del mio nativo nido Udir farà da
Calpe agi' Indi il grido. XLVIII. 19 Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa 20
(, Di riyedermi e la fanno altri cento. V 1 Veggo le donne e gli nomini di
questa Che Mia ritornata ognun parer contento. Nod Dunque a finir la breve via
che resta E d Non sia più indugio, or cho propizio il vento; Che E torniamo a
Melissa, e con che aita Per Salvò, diciamo, al buon Buggier la vita. Che stanza
12. 21 In preda del dolor tenace e forte 23 S< Buggier tra le scure ombre
vide posto. Qua Il qual di non gustar d'alcuna sorte Se 1 Mai più vivanda fermo
era e disposto. Ben E col digiun si volea dar la morte: Qua Ma fu r aiuto di
Melissa tosto; Al i Che, del suo albergo uscita, la via tenne Che Ove in Leone
ad incontrar si venne: Non 22 II qual mandato, Puno alP altro appresso, 24 II
Sua gente avea per tutti i luoghi intorno; E s( E poscia era in persona andato
anch'esso II p Per trovar il guerrier dal liocorno. Mai La saggia incantatrice,
la qual messo Sol Freno e sella a uno spirto avea quel giorno, Sta E Pavea
sotto in forma di ronzino, Per Trovò questo figliuol di Costantino. S'al 25
Neir animo a Leon subito cade, Che'l cavalier di chi costei ragiona, Sia quel
che per trovar fa le contrade Cercare intomo, e cerca egli in persona; Sì eh' a
lei dietro, che gli persuade Si pietosa opra, in molta fretta sprona; La qual
lo trasse, e non fèr gran cammino, Ove alla morte era Ruggier vicino. 26 Lo
ritrovar che senza cibo stato Era tre giorni, e in modo lasso e vinto, ChMu pie
a fatica si saria levato, Per ricader, sebben non fosse spinto. Giacca disteso
in terra tutto armato, Con Telmo in testa, e della spada cinto; E guandal dello
scudo s'avea fatto, In che 1 bianco liocorno era ritratto. 27 Quivi pensando
quanta ingiuria egli abbia Fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto
Isconoscente le sia stato, arrabbia, Non pur si duole; e se n'affligge tanto,
Che si morde le man, morde le labbia, Sparge le guancie di continuo pianto; E
per la fantasia che v' ha si fissa, Né Leon venir sente, né Melissa: 28 Né per
questo interrompe il suo lamento, Né cessano i sospir, né il pianto cessa. Leon
si ferma, e sta ad udire intento; Poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento Conosce ben; ma la persona espressa Non gli
è, per cui sostien tanto martire; Ch'anco Ruggier non glie l'ha fatto udire. 29
Più innanzi, e poi più innanzi i passi muta, Tanto che se gli accosta a faccia
a faccia; E con fraterno affetto lo saluta, E se gli china a lato, e al collo
abbraccia. Io non so quanto ben questa venuta Di Leone improvvisa a Ruggier
piaccia; Che teme che lo turbi e gli dia noia, E se gli voglia oppor, perché
non muoia. 30 Leon con le più dolci e più soavi Parole che sa dir, con quel più
amore Che può mostrar, gli dice: Non ti gravi D'aprirmi la cagion del tuo
dolore; Che pochi mali al mondo son si pravi, Che Tuomo trar non se ne possa
fùore. Se la cagion si sa; né debbe privo Di speranza esse/ mai, finché sia
vivo. 31 Ben mi duol che celar t'abbi voluto Da me, che sai s' io ti son vero
amico, Non sol di poi ch'io ti son si tenuto, Che mai dal nodo tuo non mi
districo, Ma fin allora ch'avrei causa avuto D'esserti sempre capital nemico; E
dèi sperar ch'io sia per darti aita Con l'aver, con gli amici e con la vita. 32
Di meco conferir non ti rincresca Il tuo dolore; e lasciami far prova, Se
forza, se lusinga, acciò tu n'esca. Se gran tesor, s'arte, s' astuzia giova.
Poi, quando l'opra mìa non ti riesca, La morte sia ch'alfin te ne rimova: Ma
non voler venir prima a quesi' atto, Che ciò che si può far non abbi £atto. 33
E seguitò con si efficaci prieghi, E con parlar si umano e si benigno, Che non
può far Ruggier che non si pieghi, Che né di ferro ha il cor né di macigno, E
vede, quando la risposta nieghi, Che farà discortese atto e maligno. Risponde;
ma due volte o tre s'incocca Prima il parlar, eh' uscir voglia di bocca. 34
Signor mio, disse alfin, quando saprai Colui ch'io son, che son per dirtel ora,
Mi rendo certo che di me sarai Non men contento, e forse più, ch'io mora. Sappi
ch'io son colui che si in odio hai: Io son Ruggier, ch'ebbi te in odio ancora;
E che con intenzion di porti a morte, Già son più giorni, usci' di questa
corte; 35 Acciò per te non mi vedessi tolta Bradamante, sentendo esser d'Amone
La voluntade a tuo favor rivolta. Ma perchè ordina l'uomo, e Dio dispone. Venne
il bisogno ove mi fé' la molta Tua cortesia mutar d'opinione; E non pur l'odio
ch'io t'avea deposi, Ma fé' eh' esser tuo sempre io mi disposi. 86 Tu mi
pregasti non sapendo ch'io Fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere Ia donna;
ch'altrettanto sana il mio Cor fuor del corpo, o l'anima volere. Se soddisfar
piuttosto al tuo desio. Ch'ai mio, ho voluto, t'ho fatto vedere. Tua fatta é
Bra"lamante; abbila in pace; Molto più che '1 mio bene, il tuo mi piace.
41 Che prima il nome di Rnggiero odiassi, ChMo sapessi che tu fossi Ruggiero,
Non negherò; ma chor più innanzi passi L'odio ch'io t'ebhi, t'esca del
pensiero. £ se, quando di carcere io ti trassi, N'avessi, come or n'ho, saputo
il yero; n medesimo avrei fatto anco allora, Oh' a benefizio tuo son per far
ora. 42 E s'allor volentier fatto l'avrei, Ch'io non t'era, come or sono,
obbligato; Qnant'or più farlo debbo, che sarei. Non lo facendo, il più d'ogn'
altro ingrato? Poiché, negando il tuo voler, ti sei Privo d'ogni tuo bene, e a
me l'hai dato. Ma te lo rendo; e più contento sono Renderlo a te, ch'aver io
avuto il dono. 43 Molto più a te, eh' a me, costei conviensi, La qual, bench'io
per li suoi merit'ami. Non è però, s'altri l'avrà, eh io pensi, Come tu, al
viver mìo romper li stami. Non vo'che la tua morte mi dispensi, Che possa,
sciolto ch'ella avrà i legami Che son del matrimonio ora fra voi, Per legittima
moglie averla io poi. 44 Non che di lei, ma restar privo voglio Di ciò e' ho al
mondo, e della vita appresso. Prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio Per mìa
cagion tal cavaliero oppresso. Della tua diiìidenzia ben mi doglio; Che tu che
puoi, non men che di te stesso, Di me dispor, piuttosto abbi voluto Morir di
duol, che da me avere aiuto. 45 Queste parole ed altre soggiungendo. Che tutte
saria lungo riferire, £ sempre le ragion redarguendo, Ch'in contrario Ruggier
li potea dire, Fé' tanto, ch'alfin disse: Io mi ti rendo, E contento sarò di
non morire. Ma quando ti sciorrò l'obbligo mai, Che due volte la vita dato
m'hai? 47 II qual con gran fatica, ancor ch'aiutx) Avesse da Leon, sopra vi
salse:Cosi quel vigor manco era venuto, Che pochi giorni innanzi in modo valse,
Che vincer tutto un campo avea potuto, E far quel che fé' poi con Tarme false.
Quindi partiti, giunser, che più via Non fèr di mezza lega, a una badia: 48 Ove
posaro il resto di quel giorno, E l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
Tanto che'l cavalier dal liocorno Tornato fu nel suo vigor primiero. Poi con
Melissa e con Leon ritomo Alla città real fece Ruggiero, E vi trovò che la
passata sera L'imbascieria" de' Bulgari giunt'era: 49 Che quella nazìon,
la qual s'avea Ruggiero eletto Re, quivi a chiamarlo Mandava questi suoi, che
si credea D'averlo in Francia appresso al Magno Carlo; Perchè giurargli fedeltà
volea, E dar di sé dominio, e coronario. Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
Con questa gente, ha di lui dato nuova. 50 Della battaglia ha detto, ch'in
favore De' Bulgari a Belgrado egli avea fatta Ove Leon col padre Imperatore
Vinto, e sua gente avea morta e disfatta:E per questo V avean fatto Signore,
Messo da parte ogni uomo di sua schiatta: • E come a Novengrado era poi stato
Preso da IJngiardo, e a Teodora dato: 51 E che venuta era la nuova certa, Che
'1 suo guardian s' era trovato ucciso, E lui fuggito, e la prigione aperta: Che
poi ne fosse, non v' era altro avviso. Entrò Ruggier per via molto coperta
Nella città, né fu veduto in viso. La seguente mattina egli e '1 compagno Leone
appresentossi a Carlo Magno. 46 Cibo soave e prezioso vino Melissa ivi portar
fece in un tratto; E confortò Ruggier, ch'era vicino. Non s' aiutando, a
rimaner disfatto. Sentito in questo tempo avea Frontino Cavalli quivi, e v' era
accorso ratto. Leon pigliar dalli scudieri suoi Lo fé' e sellare, ed a Ruggier
dar poi; 52 S'appresentò Ruggier con l'augel d'oro, Che nel campo vermiglio
avea due teste; E, come disegnato era fra loro, Con le medesme insegne e
sopravveste Che, come dianzi nella pugna fòro, Eran tagliate ancor, forate e
peste; Si che tosto per quel fti conosciuto, Ch' avea con Bradamante
combattuto. XLVI. 53 Con ricche yesti e regalmente ornato, Leon senz' arme a
par con luì venia; £ dinanzi e di dietro e d'ogni lato Avea onorata e degna
compagnia. A Carlo s inchinò, che già levato Se gli era incontra; e avendo
tuttavia Roggier per man, nel qnal intente e fisse Ognun avea le luci, cosi
disse: 54 Qnesto ò il hnon cavaliere, il qnal difeso S è dal nascer del giorno
al giorno estinto; E poiché Biadamante o morto; o preso, O fuor non V ha dallo
steccato spinto, Magnanimo Signor, se hene inteso Ha il Yostro bando, è certo
d'aver vinto, E d' aver lei per moglie guadagnata; E cosi viene, acciò che gli
sia data. 55 Oltre che di ragion, per lo tenore Del bando, non vha altr'uom da
far disegno; Se s' ha da meritarla per valore, Qnal cavalier più di costui nè
degno? S' aver la dee chi più le porta amore, Non è chi '1 passi o ch'arrivi al
suo segno: Ed è qni presto contra a chi s oppone, Per difender con Parme sua
ragione. 56 Carlo, e tutta la corte stupefatta, Qnesto udendo, restò; ch'avea
creduto Che Leon la battaglia avesse fatta. Non qnesto cavalier non conosciuto.
Marfisa, che cogli altri quivi tratta S era ad udire, e eh' appena potuto Avea
tacer, finché Leon finisse n sno parlar, si fece innanzi e disse:57 Poiché non
c'è Ruggier, che la contesa Della moglier fra sé e costui disciogUa, Acciò per
mancamento di difesa Così senza rumor non se gli teglia, Io che gli son
sorella, questa impresa Piglio contra a ciascun, sia chi si voglia, Che dica
aver ragione in Bradamante, O di merto a Ruggiero andare innante. 58 E con
tant'ira e tanto sdegno espresse Questo parlar, che molti ebber sospetto, Che
senza attender Carlo che le desse Campo, ella avesse a far quivi l'effetto. Or
non parve a Leon che più dovesse Ruggier celarsi, e gli cavò l'elmetto; E
rivolto a Marfisa: Ecco lui pronto A rendervi di sé, disse, buon conto. 59
Quale il canuto Egèo rimase, quando Si fu alla mensa scellerata accorto Che
quello era il suo figlio, al quale, instando L'iniqua moglie, avea il veneno
pòrto; E poco più che fosse ito indugiando Di conoscer la spada, l'avria morto:
Tal fu Marfisa, quando il cavaliere Ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero. 60
E corse senza indugio ad abbracciarlo, Né dispiccar se gli sapea dal eolio.
Rinaldo, Orlando, e di lor prim% Carlo Di qua e di là con grand'amor baciollo.
Né Dudon né Olivier d'accarezzarlo. Né 'I re Sobrin si pnò veder satollo. Dei
Paladini e dei Baron nessuno Di far festa a Ruggier restò digiuno. 61 Leone, il
qual sapea molto ben dire. Finiti che si fur gli abbracciamenti, Conunciò
innanzi a Carlo a riferire, Udendo tutti quei ch'eran presenti, Come la
gagliardia, come l'ardire (Ancorché con gran danno di sue genti) Di Ruggier,
eh' a Belgrado avea veduto, Più d'ogni offesa avea di se potuto; 62 Si
ch'essendo di poi preso e condutto A colei ch'ogni strazio n'avria fatto. Di
prigion egli, malgrado di tutto D parentado suo, l'aveva tratto; E come il buon
Ruggier, per render frutto E mercede a Leon del suo riscatto, Fé' l'alta
cortesia, che sempre a quante Ne furo o saran mai, passerà innante. 63 E
seguendo, narrò di punto in punto Ciò che per lui fatto Ruggiero avea: E come
poi da gran dolor compunto, Che di lasciar la moglie gli premea. S'era disposto
di morire; e giunto V'era vicin se non si soccorrea; E con si dolci affetti il
tutto espresse. Che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse. 64 Rivolse poi con
si efficaci prieghi Le sue parole all'ostinato Amone, Che non sol che lo muova,
che lo pieghi. Che lo faccia mutar d'opinione; Ma fa ch'egli in persona andar
non nieghi A supplicar Ruggier che gli perdone, E per padre e per suocero
l'accette: E cosi Bradamante gli promette;65 A coi là dove, della vita in
forPiangea i suoi casi in camera segreta, Con lieti gridi in molta fretta crse
Per più dnn nie."8o la novella lieta: Onde il sangue ch'ai cor, quando lo
morse Prima il dolor, fa tratto dalla pietà, A questo annunzio il lasciò solo
in guisa, Che quasi il gaudio ha la donzella uccisa. 66 Ella riman d ogni vigor
si Tòta, Che di tenersi in pie non ha balia; Benché di quella forza ch'esser
nota Vi debbe, e di quel grande animo sia. Non più di lei, chi a ceppo, a
laccio, a mota Sia condannato, o ad altra morte ria, E chi già agli occhi abbia
la benda negra, Gridar sentendo grazia, si rallegra. 67 Si rallegra Mongrana e
Chiaramonte, Di nuovo nodo i dui raggianti rami; Altrettanto si duol Cno col
conte Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami: Ma pur coprendo sotto un'altra
fronte Van lor pensieri invidiosi e erami; E occasione attendon di vendetta,
Come la volpe al varco il lepre aspetta. 71 Ruggiero accettò il regno, e non
conteae Ai preghi loro, e in Bulgheria promesse Di ritrovarsi dopo il terzo
mese, Quando Fortuna altro di lui non fèsse. Leone Augusto, che la cosa intese.
Disse a Rnggier, ch'alia sua fede stesse. Che, poich' egli de' Bulgari ha il
domino, La pace è tra lor fatta e Costantino: 72 Né da partir di Francia s avrà
in fretta, Per esser capitan delle sue squadre; Che d'ogni terra ch'abbiano
suggetta, Far la rinunzia gli farà dal padre. Non é virtù che di Rnggier sia
detta, Ch'a muover sì l'ambiziosa madre Di Bradamante, e far che '1 genero ami,
Vaglia, come ora udir che Re si chiami. 73 Fansi le nozze splendide e reali.
Convenienti a chi cura ne piglia: Carlo ne piglia cura, e le et quali Farebbe
maritando una sua figlia: I merti della donna erano tali, Oltre a quelli di
tutta sua famiglia, Ch'a quel Signor non parria uscir del segno. Se spendesse
per lei mezzo il suo regno. 68 Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso Molti in
più volte avéan di quei malvagi; Benché l'ingiurie fur con saggio avviso Dal Re
acchetate, ed i comun disagi; Avea di nuovo lor levato il riso L'ucciso
Pinabello e Bertolagi: Ma pur la fellonia tenean coperta, Dissimulando aver la
cosa certa. 74 Libera corte fa bandire intomo, Ove sicuro ognun possa venire; E
campo franco sin al nono giorno Concede a chi contese ha da partire. Fé' alla
campagna l'apparato adomo Di rami intesti e di bei fiori ordire, D'oro e di seta
poi, tanto giocondo, Che'l più bel luogo mai non Ai nel mondo. 69 Gli
ambasciatori bulgari, che in corte Di Carlo eran venuti, cxyme ho detto. Con
speme di trovare il guerrier forte Del liocorno, al regno loro eletto;
Sentendol quivi, chiamar buona sorte La lor, che dato avea alla speme effetto;
E riverenti ai pie se gli gittaro, E che tornasse in Bulgheria il pregare; 70
Ove in Adrianopoli servato Gli era Io scettro e la real corona: Ma venga egli a
difendersi Io Srato; Cha danni lor di nuovo si ragiona Che più numer di gente
apparecchiato Ha Costantino, e toma anco in persona: Ed essi, se '1 suo Re
ponno aver seco, Speran di tórre a lui V Imperio greco. 75 Dentro a Parigi non
sariano state L'innumerabil genti peregrine, Povere e ricche e d'ogni quali tate.
Che v' eran, greche, barbare e latine. Tanti Signori, e ambasderie mandate Di
tutto '1 mondo, non aveano fine: Erano in padiglion, tende e frascati Con gran
comodità tutti alloggiati. 76 Con eccellente e singulare ornato La notte
innanzi avea Melissa maga Il maritale albergo apparecchiato, Di ch'era stata
già gran tempo vaga. Già molto tempo innanzi desiato Questa copula avea quella
presaga: Dell'avvenir presaga, sapea quanta Boutade uscir dovea dalla lor
pianta. 77 Posto avea il genì'al letto fecondo In mezzo un padiglione ampio e
capace, ]] più ricco, il più ornato, il più giocondo Che giammai fosse o per
guerra o per pace, 0 prima o dopo, teso in tutto U mondo; £ tolto ella l'avea
dal lito trace:L'ayea di sopra a Costantin levato, Ch'a diporto sul mar s'era
attendato. 83 Elena nominata era colei, Per cui lo padiglione a Proteo diede;
Che poi successe in man de'Tolomei. Tanto che Cleopatra ne fa erede. Dalle
genti d'Agrippa tolto a lei Nel mar Leucadio fa con altre prede: In man d
Augusto e di Tiberio venne, £ in Roma sin a Oostantiii si tenne; 78 Melissa di
consenso di Leone, 0 piuttosto per dargli maraviglia, E mostrargli dell'arie
paragone, Ch' al gran vermo infernal mette la briglia, E che di lui, come a lei
par, dispone, E della a Dio nimica empia famiglia; Fé' da Costantinopoli a
Parigi Portare il padiglion dai messi stigi. 79 Di sopra a Costantin, ch'avoi
l'Impero Di Grecia, lo levò da mezzo giorno, Con le corde e col fusto, e con
l'intero ' Guemimento eh' avea dentro e d'intorno: Lo fé' portar per l'aria, e
di Ruggiero Qaivi lo fece alloggiamento adorno: Poi, finite le nozze, anco
tornoUo Miracnlosamente onde levollo. 80 Eran degli anni appresso che duo
milia, Che fa quel ricco padiglion trapunto. Una donzella della terra d'Ilia,
Ch'avea il furor profetico congiunto, Con studio di gran tempo e con vigilia Lo
fece di sua man di tutto puto. Cassandra fu nomata, ed al fratello Inclito
Ettor fece un bel don di quello. 81 n più cortese cavalier che mai Dovea del
ceppo uscir del suo germano (Benché sapea, dalla radice assai Che quel per
molti rami era lontano) Ritratto avea nei bei ricami gai D'oro e di varia seta,
di sua mano. L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio, Per chi lo fece e pel
lavoro egregio. 82 Ma poi eh' a tradimento ebbe la morte, E fu '1 popol troian
da' Greci afflitto:Che Sinon falso aperse lor le porte, E peggio seguitò che
non è scritto; Menelao ebbe il padiglione in sorte, Col quale a capitar venne
in Egitto, Ove al re Proteo lo lasciò, se volse La moglie aver che quel tiran
gli tolse. Akiosto.Stanza 51. 84 Quel Costantin, di cui doler si debbo La bella
Italia finché giri il cielo. Costantin, poi che '1 Tevere gì' increbbe, Portò
in Bisanzio il prezioso velo. Da un altro Costantin Melissa l'ebbe. Oro le
corde, avorio era lo stelo; Tutto trapunto con figure belle, Più che mai con
pennel facesse Apelle. 85 Quivi le Grazie in abito giocondo Una Regina
aiutavano ai parto:Si bello iniante n'apparia, chel inondo Non ebbe un tal dal
secol primo al quarto. Vedeasi Giove, e Mercurio facondo, Venere e Marte, che
l'aveano sparto A man piene e spargean d'eterei fiori, Di dolce ambrosia e di
celesti odori. 86 Ippolito diceva una scrittura Sopra le fasce in lettere mi
onte. In età poi più ferma l'Avventura L'avea per mano, e innanzi era Virtute.
Mostrava nuove genti la pittura Con veste e chiome lunghe, che venute A
domandar da parte di Corvino Erano al padre il tenero bambino. 87 Da Ercole
partirsi riverente Si vede, e dalla madre Leonora; E venir sul Danubio, ove la
gente Corre a vederlo, e come un Dio l'adora. Vedesi il Re degliUngari
prudente. Che '1 maturo sapere ammira e onora In non matura età tenera e molle,
E sopra tutti i suoi Baron V estolle. 88 V'è chi negl'infantili e teneri anni
Lo scettro di Strigonia in man gli pone: Tempre il fanciullo se gli vede a'
panni, Sia nel palagio, sia nel padiglione :0 centra Turchi o centra gli
Alemanni Quel Re possente faccia espedizione, Ippolito gli è appresso, e fiso
attende A' magnanimi gesti, e virtù apprende. S9 Quivi si vede come il fior
dispensi De' suoi primi anni in disciplina ed arte. Fusco gli è appresso, che
gli occulti sensi Chiari gli espone dell'antiche carte. Questo schivar, questo
seguir conviensi, Se immortai brami e glorioso farte, Par che gli dica: così
avea ben finti 1 gesti lor chi già gli avea dipinti. 90 Poi Cardinale appar, ma
giovinetto, Sedere in Vaticano a consisterò, E con facondia aprir l'alto
intelletto E far di sé stupir tutto quel coro. Qual fia dunque costui d'età
perfetto?Parean con meraviglia dir tra loro. Oh se di Pietro mai gli tocca il
manto, Che fortunata età ! che secol santo ! 91 In altra parte i liberali
spassi Erano e i giuochi del giovene illustre. Or gli orsi affronta su gli
alpini sassi, Ora i cingiali in valle ima e palustre: Or s'un giannette par che
'l vento passi: Seguendo o caprio, o cerva multilustre, Che giunta, par che
bipartita cada In parti uguali a un sol colpo di spada. 92 Di filosofi altrove
e di poeti Si vede in mezzo un'onorata squadro. Quel gli dipinge il ccrso de'
pianeti, Questi la terra, quello il ciel gli squadra: Questi meste elegie, quei
versi lieti, Quel canta eroici, o qualche oda leggiadra. Musici ascolta, e vari
suoni altrove; Né senza somma grazia un passo move. 93 In questa prima parte
era dipinta Del sublime garzon la puerizia. Cassandra l'altra avea tutta
distinta Di gesti di pru'lenzia, di giustizia, Di valor, di modestia, e della
quinta Che tien con lor strettissima amicizia; Dico della virtù che dona e
spende; Delle quai tutto illuminato splende 94 In questa parte il giovene si vede
Col Duca sfortunato degl' Insubri, Ch'ora in pace a consiglio con lui siede, Or
armato con lui spia i colubri; E sempre par d'una medesma fede, 0 ne' felici
tempi o nei lugubri:Nella fuga lo segue, lo conforta Neil' afdiziou, gli é nel
periglio scorta. 95 Si vede altrove a gran pensieri intento, Per salute
d'Alfonso e di Ferrara; Che va cercando per strano argumento, E tjova, e fa
veder per cosa chiara Al giustissimo frate il tradimento Che gli usa la
famiglia sua più cara; E per questo si fa del nome erede, Che Roma a Ciceron
libera diede. 96 Vedesi altrove in arme relucente, Ch'ad aiutar la Chiesa in
fìretta corre; E con tumultuaria e poca gente A un esercito instrutto si va
opporre; E solo il ritrovarsi egli presente Tanto agli Ecclesiastici soccorre,
Che'l fuoco estingue pria ch'arder comince; bi che può dir, che viene e vede e
vince. XLVII. 97 Vedesi altrove della patria riva 103 Pugnar incoutra la più
forte armata, E < Che contra Turchi o con tra gente argiva Pei Da Veneziani
mai fosse mandata: Chi La rompe e vince, ed al fratel captiva Ma Con la gran
preda V ha tatta donata; Ve Né per sé vedi altro serbarsi lui, Coi Che Tonor
sol, che non può dare altrui. AH 98 Le donne e i cavalier mirano fisi, 104
Senza trarne construtto, le figure, E Perchè non hanno appresso chi gli avvisi
Me Che tutte quelle sien cose future. E Prendon piacere a rigujrdare i visi Ma
Belli e ben fatti, e legger le scritture: Ch Sol Bradamante, da Melissa
instrutta, La Gode tra sé; ohe sa V istoria tutta. Pe 99 Buggiero, ancor cha
par di Bradamante 105 Non ne sia dotto, pur gli torna a mente Co Che fra i
nipoti suoi gli solea Atlante So Commendar questo Ippolito sovente. Ch Chi
potria in versi appieno dir le tante E Cortesie che fa Carlo ad ogni gente? Pi
Di vari giochi è sempre festa grande, E E la mensa ognor piena di vivande. Fi
100 Vedesi quivi chi è buon cavaliero; 106 Che vi son mille lance il giorno
rotte: P( Fansi battaglie a piedi ed a destriero, Pi Altre accoppiate, altre
confuse in frotte. In Più degli altri valor mostra Ruggiero, E Che vince
sempre, e giostra il di e la notte,; Di E cosi in danza, in lotta ed in ogni
opra, Se Sempre con molto onor resta di sopra. E 101 L'ultimo di, nell'ora chel
solenne 107 Convito era a gran festa incominciato; E Che Carlo a man sinistra Rnggier
tenne, CI E Bradamante avea dal destro lato; CI Di verso la campagna in fretta
venne CI Contra le mense un cavaliero armato, CI Tutto coperto egli e '1
destrier di nero, E Di gran persona e di sembiante altiero. CI 102 Quest'era il
Re d'Algier, che per lo scorno 108 Che gli fg' sopra il ponte la donzella, S(
Giurato avea di non porsi armi intorno, E Né stringer spada, né montare in
sella, CI Finché non fosse un anno, un mese e un giorno Q Stato, come eremita,
entro una cella. Q Cosi a quel tempo solean per sé stessi D Punirsi i cavalier
di tali eccessi. S 109 Mostrando ch'essendo eg nnovo speso, Non doTea conturbar
le proprie nozze; Raggkr rispose lor: State in riposo; Che per me fdran queste
scase sozze. Larme che tolse al Tartaro famoso Vennero, e tur tutte le lunghe
mozze. Gli sproni il conte Orlando a fiuggier strinse £ Carlo al fianco la
spada gli cinse. SUnza 115. HO Bradamante e Marflsa la corazza Posta gli
areano, e tutto V altro arceite. Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
Tenne la staffa il figlio del Danese. Feron d'intorno far sabito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese: Cacdaro in fretta ognun dello steccato, A
tai bisogni sempre apparecchiato. Cosi a tutta la pl, e allapià parte Dei cara!
ieri e dei Baron parca; Che di memoria ancor lor non si parte Quel ch'in Parigi
il Pagan &tto ayea; Che, solo, a ferro e a fuoco una gnn parte N'avea
distrutta, e ancor vi rimanea, E rimarrà per molti giorni il segno:Né maggior
danno altronde ebbe quel regno. 113 Tremava, più eh' a tutti gli altri, il
core, A Bradamante; non ch'ella credesse Che 1 Saracin di forza, e del valore
Che vien dal cor, pia di Ruggier potesse; Né che ragion, che spesso dà l'onore
A chi l'ha seco, Rodomonte avesse: Par stare ella non può senza sospetto; Che
di temere, amando, ha degno effetto. Oh quanto Tolentier sopra sé tolta
L'impresa avria di quella pugna incerta . Ancorché rimaner di vita sciolta Per
quella fosse stata più che certa ! Avria eletto a morir più d'una volta, Se può
più d'una morte esser sofferta, Piuttosto che patir che 1 suo consorte Si
ponesse a pericol della morte: 115 Ma non sa ritrovar priego che vaglia. Perché
Ruggiero a lei l'impresa lassi. A riguardare adunque la battaglia Con mesto
viso e cor trepido stassi. Quinci Ruggier, quindi il Pagan si scaglia, E
vengonsi a trovar coi ferri bassi. Le lande all' incontrar parver di gielo; I
tronchi, augelli a salir verso il cielo. 116 La lancia del Pagan, che venne a
córre Lo scudo a mezzo, fé' debole effetto Tanto l'acciar che pel famoso
Ettorre Temprato avea Vulcano, era perfetto. Ruggier la lancia parimente a
porre Gli andò allo scudo, e glie lo passò netto, Tuttoché fosse appresso un
palmo grosso. Dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso. lU Donne e
donzelle con pallida faccia Timide a guisa di colombe stanno, Che da' granosi
paschi ai nidi caccia Rabbia de' venti che fremendo vanno Con tuoni e lampi, eU
nero ar minaccia Grandine e pioggia, e a' campi strage e danno: Timide stanno
per Ruggier; che male A quel fiero Pagan lor parea uguale. 117 E se non che la
lancia non sostenne Il grave scontro, e mancò al primo assalto, E rotta in
schegge e in tronchi aver le penne Parve per l'aria, tanto volò in alto, L'
osbergo apria (si furi'osa venne), Se fosse stato adamantino smalto, E finia la
battaglia; ma si roppe: Posero in terra ambi i destrier le groppe. Con briglia
e sproni i cavalieri instando, Bisalir fèron subito i destrieri; £ d' onde
gittar V aste, preso il brando, Si toraaro a ferir cmdeli e fieri. Di qua di là
con maestria girando Gli animosi cavalli atti e leggieri, Con le pungenti spade
incomlnciaro A tentar dove il ferro era più raro. 119 Non si trovò lo scoglio
del serpente, Che fu sì dnro, al petto Rodomonte, Né di Nembrotte la spada
tagliente; Ne 1 solito elmo ebbe qnel di alla fronte; Che r usate arme, quando
fu perdente Contra la donna di Dordona al ponte, Lasciato avea sospese ai sacri
marmi. Come di sopra avervi detto parmi. 124 Bodomonte per questo non
s'arresta. Ma s'avventa a Rnggier che nulla sente; In tal modo intronata avea
la testa. In tal modo offuscata avea la mente. Ma ben dal sonno il Saracin lo
desta: Gli cinge il collo col braccio possente; £ con tal nodo e tanta forza
afferra, Che dall arcion lo svelle, e caccia a terra. 125 Non fa in terra si
tosto, che risorse. Via più che d'ira, di vergogna pieno; Però che a Bradamante
gli occhi torse, E turbar vide il bel viso sereno. Ella al cader di lui rimase
in forse, E fu la vita sua per venir meno. Ruggiero, ad emendar presto queir
onta, Stringe la spada, e col Pagan s'affronta. 120 Egli avea un'altra assai
buona armatura, Non come era la prima già perfetta: Ma né questa né quella né
più dura A Balisarda si sarebbe retta; A cui non osta incanto né fattura. Nò
finezza d'acciar né tempra eletta. Ruìer di qua di là d ben lavora. Ch'ai Pagan
l'arme in più d'un loco fora. Quando si vide in tante parti rosse Il Pagan
l'arme, e non poter schivare Che la più parte di quelle percosse Non gli
andasse la carne a ritrovare: A maggior rabbia, a più furor si mosse, Ch' a
mezzo il verno il tempestoso mare Oetta la scudo, e a tutto suo potere Sa l'elmo
di Ruggiero a due man fere. Con quella estrema forza che percuote La macchina
eh' in Po sta su due navi, E levata con uomini e con mote Cader si lascia sulle
aguzze travi; Fere il Pagan Ruggier, quando più puote, Con ambe man sopra ogni
peso gravi: Giova l'elmo incantato; che senza esso, Lui col cavallo avria in un
colpo fesso. Ruggiero andò due volte a capo chino, E per cadere e braccia e
gambe aperse. Raddoppia il fiero colpo il Saracino, Che quel non abbia tempo a
ria verse; Poi vien col terzo ancor: ma il brando fino Si lungo martellar più
non sofferse; Che volò in pezzi, ed al crudel Pagano Disarmata lasciò di sé la
mano. stanza Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero Lo causa
accortamente, e si ritira; E, nel passare, al fren piglia il destriero Con la
man manca, e intorno lo raggira; E con la destra intanto al cavaliere Ferire il
fianco o il ventre o il petto mhra; E di due punte fé' sentirgli angoscia,
L'una nel fianco, l'altra nella coscia. 127 Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
Il pome e 1' elsa della spada rotta, Ruggier su l'elmo in gnisa percotea. Che
lo potea stordire alj' altra botta. Ma Ruggier, eh' a ragion vincer dovea, Gli
prese il braccio, e tirò tanto allotta. Aggiungendo alla destra V altra mano, '
Che fuor di sella alfìn trasse il Pagano. Sua foriea o sua destrezza vaol che
oada Il Pagan sì, eh' a Rnggier resti al paro; Vo' dir che cadde in pie; che
per la spada Ruggiero averne il meglio giudicaro. Ruggier cerca il Pagan tenere
a hada Lungi da sé, né di accostarsi ha caro:Per lui non fa lasciar venirsi
addosso Un corpo così grande e così grosso. Stanza E insanguinargli por
tuttavia il fianco Vede e la coscia e 1 altre sue ferite. Spera che venga a
poco a poco manco, Si che alfin gli ahhia a dar vinta la lite. L'elsa eU pome
avea in mano il Pagan anco E con tutte le forze insieme unite Da sé scaglioni,
e si Ruggier percosse. Che stordito ne fu più che mai fosse. 130 Nella guancia
dell'elmo e nella spalla Fu Ruggier cólto; e si quel colpo sente, Che tutto ne
vacilla e ne traballa, E ritto si sostien difficilmente. ]1 Pagan vuole entrar;
ma il pie gli falla Che per la coscia offesa era impotente: E '1 volersi
affrettar più del potere, Con un ginocchio in terra il fa cadere. 131 Ruggier
non perde il tempo, e di grand'urto Lo percuote nel petto e nella faccia; E
sopra gli martella, e den si curto, Che con la mano in terra anco lo caccia. Ma
tanto fa il Pagan, ch'egli è risurto; Si stringe con Ruggier sì, che
l'abbraccia: L'uno e l'altro s'aggira e scuote e preme. Arte aggiungendo alle
sue forze estreme. Di forze a Rodomonte una gran parte La coscia e 'l fianco
aperto aveano tolto. Ruggiero avea destrezza, avea grand' arte . Era alla lotta
esercitato molto: Sente il vantaggio suo, né se ne parte; E d'onde il sangue
uscir vede più sciolto, E dove più ferito il Pagan vede, Pon braccia e petto, e
l'uno e l'altro piede. 133 Rodomonte, pien d'ira e di dispetto, Ruggier nel
collo e nelle spalle prende: Or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
Sollevato da terra lo sospende; Quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto, E
per farlo cader molto contende. Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
Senno e valor, per rimaner di sopra. Tanto le prese andò mutando il franco E
baon Ruggier, che Rodomonte cinse; Calcògli il petto sul sinistro fianco, E con
tutta sua forza ivi lo strìnse. La gamba destra a un tempo innanzi al manco
Ginocchio e all'altro attraversdgli e spinse e dalla terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tomolio. Del capo e delle schene Rodomonte La terra
impresse, e tal fu la percossa, Che dalle piaghe sue, come da fonte, Lungi andò
il sangue a &r la terra rossa. Ruggier e' ha la Fortuna per la fronte.
Perché levarsi il Saracin non possa, L'una man col pugnai gli ha sopra gli
occhi, L'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi. 136 Come l'i! volta, ore
si cava Poro Là tra' Paunonì o nelle mine ibsre, Se improvvisa mina su coloro
Che vi condusse empia avarizia, fere, Ne restano si oppressi, che può il loro
Spirto appena, onde uscire, adito avere; Così fu il Saracin non meno oppresso
Dal vincitor, tosto ch'in terra messo. 188 Come mastin sotto il feroce alano,
Che fissi i denti nella gola gli abbia. Molto s affanna e si dibatte invano Con
occhi ardenti e con spumose labbia, £ non può uscire al predator di mano. Che
vince di vigor, non già di rabbia; Cosi falla al Pagano ogni pensiero D'nacir
di sotto al vincitor Ruggiero. Alla vista dell'elmo gli appresenta La punta del
pugnai ch'avea già tratto; E che si renda, minacciando, tenta, E di lasciarlo
vivo gli fa patto. Ma quel, che di morir manco paventa. Che di mostrar viltade
a un minimo atto. Si torce e scuote, e per por lui di sotto Mette ogni suo
vigor, né gli fa motto. 139 Pur si torce e dibatte sì, che viene Ad espedirsi
col braccio migliore; E con la destra man che'l pugnai tiene. Che trasse anch'
egli in quel contrasto fuore, Tenta ferir Ruggier sotto le rene. Ma il giovene
s'accorse dell'errore In che potea cader, per differire Di far quell'empio
Saracin morire. E due e tre volte nell'orribil fronte Alzando, più eh' alzar si
possa, il braccio, Il ferro del pugnale a Rodomonte Tutto nascose, e si levò
d'impaccio. Alle squallide ripe d' Acheronte, Sciolta dal corpo più freddo che
ghiaccio, Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa, Che fu sì altiera al mondo e si
orgogliosa. St. 1. V.18. Or, se mi mostra la mia carta il verOf ecc.: ora, se
la carta della mia navigazione non erra, non è lungi il porto, ecc. St. 3.
V.58. Mamma Beatrice, figlia di Nicolò da Correggio e sposa d'un Sanvitale.
Ginevra, figliuola di Qiberto e di Veronica Gambara maritata Fregoso. Mette con
le correggesclie Veronica Gambara, brescian8 la celebre rimairìce imitatrice
del Bembo, che andò sposa a Giberto signore di Correggio. St. 4. V.34. Emilia
Pia: di nobilissima famiglia Carpiiriftna. E la notrita Damigella TrivtUzia al
sacro speco. Questa era figlia di Giovanni Trivulzio, • milanese; di
quattordici anni si dedicò alla letteratura, evi fece progressi maravigliosi.
Il sacro speco è la gl'Otta della Focide, presso Delfo, famosa per le ispira
zioni poetiche. Sr. 5. V.28. Barbara Turca: allude forse il Poeta alla figlia
del duca di Brandeburgo, maritata a Lodo vico Gonzaga, secondo marchese di
Mantova, sopranno minato il Turco. Laura: la tei'za moglie del duca Alfonso,
nata in umile condizione, ma donna d'alto in gegno e di senno. Ecco Ginevra
che, ecc.: Ginevra dEste, sorella del duca Ercole, maritata a Sigismondo
Malatesta, signoro di Uimini. St. 7. V.1. Del mio signor di BomoIo: Federico
Gonzaga, detto da Bozolo, castello sulla sinistra delrOglio, fu valente
capitano e si segnalò nelle guerre di Francia. St. 8. V.18. Giulia Gonzaga
ecc.: moglie di Vespasiano Colonna: era tanto famosa per T avvenenza, che il
corsaro Barbarossa mandò gente in Fondi a rapirh; e l ella appena potè
salvarsi, fuggendo in camicia. La cogitata è con lei: Isabella Colonna, moglie
di Luigi da Gazolo. Anna d'Aragon, luce del Vasto: era figlia di Ferrante
d'Aragona, e moglie di Alfonso dAvaIos, marchese del Vasto. St. 9. V.38. La
sorella è con lei. Parlasi di Gio vanna, sorella della maichesa del Vasto, e moglie
di Ascanio Colonna. Ecco chi tolto ha dalla scura spiaggia, ecc.: Vittoria
Colonna, la celebre poetessa, moglie di Ferdinando Francesco d'Avalos, marchese
di Pescara. St. 10. V.8. V uni co Accolti: improvvisatore senza pari, unico.
Era aretino. Frequentò la corte di Urbino, e s'innamorò della Duchessa
Elisabetta. St. U. V.14. Benedetto, il nipote: detto il car dinale di Ravenna;
mori in Firenze di morte subitanea. Col cardinal di Mantua e col Campeggio. Il
primo Po. Ercole Gonzaga, fratello di Francesco nltlmo marchese, e di
Ferdinando primo duca di Mantova; T altro fu Lorenzo Campeggio, giureconsulto
bolognese. Ambi' due ebbero il cappello cardinalizio da Clemente TIF. St. 12.
V.18. Lattanzio e Claudio Tolomei: due lettei'ati di Sisna; Claudio fu altresì
distinto oratore e poeta. Paulo Pausa: genovese, che coltivò la poesia latina.
EH Dresino: Giorgio Trissino di Vicenza, dotto nelle lettere greche e poeta,
autore dell Italia liberata e della Sofonisba. Latino Giovenal: lette YKìo
parmigiano, linomato ai tempi di Leon X e di papa Clemente, nella corte dei
quali si segnalò. B i Capilupi miei. Erano cinque mantovani di questa fa
miglia; ma il Poeta intende forse di Lelio e dlppolito, noto qnest ultimo come
scrìttor di sonetti e di centoni latini. EH Sasso: modenese, scrittor di rime
italiane e latine. EH Molta: Fiancesco Maria Molza di Mo dena letterato
valente, rimatore e compagnone amabi lissimo. Giulio Camillo: rimatore
anch'egli, e autore del Teatro delle scienze, opera scritta per facilitare agli
studiosi le vie del sapere, adombrate qui sotto il nome di Hvi ascrei. Marco
Antonio Flaminio: da Imola, poeta latino e scrittore di cose sacre e
filosofiche. Jl Sanga: abile ciferista, e per ciò gradito a Clemente YIL Il
Berna: Francesco Bemi, il celebre canonico fio rentino, dagli scritti festevoli
di cai ha preso nome lo stile bernesco. St. 13. V.18. Ecco Alessandro, ecc.: il
cardinale Alessandro Farnese, nomo di lettere, e amsnte de letterati, creato
papa col nome di Paolo III Fedro: da Volteria, familiare del cardinale Pompeo
Colonna, e professore d'eloquenza, comejlo fu Camillo Porzio, nominato in
questo stesso verso. Il bolognese Filippo, Rammenta verosimilmente Filippo
Beroaldo, molto accetto a Leon X, e da quel pontefice preposto alla Biblioteca
Vaticana. Il Volterrano: Raffaello da Volterra, uomo versato in tutte le buone
discipline. Il Madalena: riguardato nella corte romana come leg giadro
scrittore. Blosio: di nome Palladio, eccellente poeta e segretario di Clemente
VII. Pierio: genti luomo di Cividal di Belluno, verseggiatore. Il Vida
cremonese: Girolamo Vida, che tratta in versi latini di vari soggetti, e scrive
sui filugelli e sul giuoco degli scacchi. E Lascari, e Musuro e Navagero: Gio \
anni Lascari di Costantinopoli, Iti dottissimo grecista e caro a Lorenzo il
Magnifico. Il Musuro era di Creta; eipose in Padova i classici greci, ebbe da
Leon X la sede vescovile di Ragusi, e poco prima dì sua morte ottenne il
cappello cardinalizio. Navagero e gentiluomo veneziano, culto e castigato
latinista, e fu in pregio anche per le sue rime italiane Andrea Marone:
bresciano, gratissimo a Leone X, le cui cene rallegrava colle sue latine ed
estemporanee poesie. E H nwnaco Severo. Don Severo da Volterra, monaco ca
maldolese, amico dell’autore e poeta. St. 14. v.18. Ecco altri duo Alessandri,
ecc.: Alessandro dall'Orologio, nobile padovano, e Alessandro Guarino,
letterati. Mario d'Olvito: Mario Equicola da Olvito nel regno di Napoli, fu
lungo tempo in corte di Federico marchese di Mantova, e scrisse di cose d'a more,
d'antichità e di storia. Pietro Aretino: V in fame scrittore troppo conosciuto
perchè s' abbia a par lame. Duo Jeronimi: il veronese Girolamo Verità, poeta in
italiano, e Girolamo Cittadini, verseggiatore latino. Il Mainardo: ferrarese,
dotto nella scienza medica, scrittore di medicina. Il Leoniceno : àottìa ! Simo
medico vicentino, e il primo a tradoire le opere di Galeno; ed era assai
gradito ad Ercole li e al figlio di lui Alfonso. St. 15. V.78. Il Fracastorio:
Girolamo Fraca storo, medico veronese, astronomo, ed autore del poema sulla
Sifilide. Jl Bevazzano: era veneziano, e 8ti> mato nella corte di Leon X e
di papa Clemente. Trifpn Gabriele: veneziano anch'esso, e uomo di gran
giudizio, benché nulla abbia lasciato di scritto. E il Tasso: Bernardo Tasso,
bergamasco, celebre poeta, e padre di Torquato. St. 16. V.18. Niccolò Tiepoli:
senatore veneto di grande autorità, e uno fia i primi riformatori dello Studio
di Padova. Niccolò Amanio: v<mU cremmaco, Il mio Valerio: il veneto Gian
Francesco. Col Barignan: Piero Barignano, il dicitore in rima" e ao
cademico in Roma ai tempi di Leon X. St. 17. V.28. H Pico: Gian Francesco Pico
della Mirandola. Il Pio: Alberto Pio, signore di Carpi. Jacobo Sannaziar, ecc.:
il primo a comporre Ecloghe piscatorie, St. 18. V.27. Pisto/ilo: Bonaventura
Pistofilo, segretario del duca di Ferrara. Ad esso T Autore indi rizzò rnltima
delleiue satire. Cot Acciainoli: fio rentini di origine; furono tre i lodati
dal Giraldi come valenti poeti; Antonio cioè, Jacopo ed Archelao. An nibal
Malagnxto: il Poeta lo dice sao parente, perchè la madre sua appartenne a
quella famiglia. Del mio Tiativo nido: di Reggio; ove nacque il poeta. St. 19.
V.1. "WWor Fausto .greco di nazione, pro fessore di lettere gree, e
soprintendente all'arsenale di Venezia. St. 59. V.16. Quale il canuto Egeo,
ecc.: re di Atene, che, ad istigazione di Medea sua moglie, fa sai punto di
avvelenare, non conoscendolo, Teseo nato da lui e da Etra. Ma ravvisando la
spada di Teseo per quella eh' egli medesimo aveva lasciata ad Etra, si astenne
da quel misfatto. St. 67 y. 34. Gano col eonte Anselmo, ecc. Gano 0 Ganellone
di Magonza, il conte Anselmo d'Alt ariva, ricordati altrove, erano, insieme con
gli altri tre no minati nel quarto verso, nemici delle due famiglie Mon grana e
Chiaramonte. St. 80. V.S7. Della terra d'Ilia: di Troia, detta anche Ilio.
Cassandra: figlia del re Priamo, e pro fetessa. St. 82. V.38. Sinon falso: quel
greco, che per suase i Troiani ad accogliere nella città 11 cavallo, entro cui
stavano nascosti i Greci, che poi la disfecero. Menelao: re di Sparta, marito
d'Elena, che fu rapita da Paride. Proteo: re d'Egitto, di coi Erodoto nana che,
spinto essendo dalla burrasca Paride con la rapita Elena a Canopo, i due amanti
fbrono mandati InMenfi a Proteo, il quale si tenne Elena, e rimandò l'amante.
Finita la guerra troiana, Menelao andò in Egitto e riebbe la moglie, la quale
dal Poeta si finge riscattata col padiglione che nella precedente Stanza ò
mentovato. ST. 84. y. 12. Di cui doler si debbe La bella Italia, per la male
augurata traslocazione della sede imperiale in Costantinopoli. St. 85. Questa e
le Stanze seguenti fino a tutta la 97 ridondano di lodi profuse al cardinale
Ippolito d'E ste, nato dal duca Ercole I e di Leonora d'Aragona. Beatrice
d'Aragona, sua zia materna e moglie di Mattia Corvino re d’Ungheria, volle
Ippolito presso di se, essendo egli per anche fàuolullo. Tenuto in gran conto
dal re, ottenne Tarci vescovato di Strigonia. Poscia chia mato a Milano da sua
morella, consorte di Lodovico Sforza, e arcivescovo di Milano e cardinale, ed
ebbe gran parte nel governo dello stato. Giustifica la Adncia in lai posta da
Lodovico, restandogli fedele anche nel lawersa fortuna. Divenne poi vescovo
d'Agria, ed ebbe onoriAche preminenze sull’alto clero di Roma. Salvò lo Stato
da inteme perturbazioni, scoprendo la congiura ordita contro di Alfonso da
Qiulio e Ferdinando d'Este. 8t. 89. V.3. Fusco: Tommaso Fusco, prima
precettoie, poi segretario d'Ippolito. St. W. V.2. Col duca sfortunato
degl'Insubri: con Lodovico Sforza duca di Milano, cacciato da Luigi XIL il av p
COI l ti i dai nle Ariosto. 1. Nome compiuto: Gregorio Calopreso. Gregorio
Caropreso. Gregorio Caroprese. Gregorio Caloprese. Keywords: il filosofo delle
incantatrice esperienze, naturalismo di Lucrezio, renatismo, cartesianismo,
impero romano, vita civile, Vico, Caloprese e Vico, Croce e Caloprese, animo,
corpo ed animo, renatismo, Ariosto, Orlando innamorato, Orlando furioso,
passione, filosofia, Arisosto tra i filosofi, il nuovo Carneade. Refs.:
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Caloprese,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Caluso: la ragione conversazionale,
la grammatica universale e l’implicatura conversazionale degl’initiati e gl’initiante
– initians, initiatum – inizianti – scuola di Torino – filosofia torinese –
filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Valperga: essential
italain philosopher. Grice:
“Noble Italians love a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so
Ryle had in under the “C””. Tommaso Valperga di Caluso. Discendente
dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si
sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore
dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu
capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella
congregazione dei padri filippini fu professore di teologia. Tornato a Torino studia fisica e matematica
sotto la guida del BECCARIA, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle
riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di
San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il
futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia. Eccelse negli studi filosofici e apprese
l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il
latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore
dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli
Eandi. Membro della Massoneria. "Le
veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali,
Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di
Sardegna. Altre
opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La
Cantica ed il Salmo secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani);
“Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello,
Tommaso Valperga di C., Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii
latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo
supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux
mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino.L'‘Orlando
Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini,
La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di C., Alessandria,
Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in
«Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di
Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e
periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia,
Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in
«Dante. Rivista internazionale di studi su Alighieri», Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti,
in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del
Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università
degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro atroci
fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco, Clara
Leri, Torino, aAccademia university press, Versione latina di Inferno, in «Lo Stracciafoglio».
Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata confutazione di
“meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie», Un
maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di
Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-C.
volgarizzati dal Conte con Annotazioni di Rosmini-Serbati (Turin). See also Cerruti's
La Ragione Felice e altri miti (Florence). C.: motivi prerosminiani del sentimento
fondamentale corporeo. demiurgo piemontese.
L’interesse del C. per l’omicidio e il “lato oscuro” non è mai stato
indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha sempre
privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e di
saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto
idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci
interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco
epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto
inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che granitica.
Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi liberarsi di
questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì il Foscolo, avesse
dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude affatto che egli
fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini, anzi le sue
considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano perfettamente
all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà intellettive. L’inedito
Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della
Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione, e in particolar modo sul
rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle opere dedicate alla felicità,
tema particolarmente caro a lui, che si impegnò nell’indagine di questo complesso
concetto dalla gioventù fino all’estrema vecchiaia: è possibile, infatti,
seguire l’evoluzione della riflessione del Caluso sulla felicità dalle lettere
al nipote degli anni Sessanta del Settecento fino al Della felicità de’
governati. Il tema della felicità pervade tutta la produzione dell’autore; esso
non è affrontato solo nella saggistica filosofica, nelle lettere intime ad
amici e parenti e nelle poesie, ma si ritrova anche nei trattati didattici e in
alcune opere erudite, perché e convinto che il fine di ogni studio fosse la
felicità, la quale puo essere conquistata solo attraverso una profonda passione
per le lettere e per le scienze. A proposito del concetto calusiano di “rassegnazione”
si legga il seguente passo, tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi
italiani cit. Diderot constata che nella pratica quotidiana si incontravano
uomini felici, pur essendo tu… L’indagine sulla felicità porta inevitabilmente
il Caluso a scontrarsi con lo studio della ragione. Secondo C., la ragione ha
un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli strumenti adatti a conquistare la
felicità, dall’altro ci fa acquisire la coscienza di non avere sempre il
dominio su ciò che accade. La consapevolezza porta alla rassegnazione, questa
rassegnazione però aiuta sì a sopportare i casi della vita, ma non dona la
felicità, come teorizzavano gli stoici. C. pensa, quindi, che i poteri della
ragione siano limitati. Questa presa di coscienza però non lo porta a meditare
sul fatto che la felicità possa essere disgiunta dalla ragione. Infatti, se da
un lato ammette che anche il più saggio tra gli uomini è vittima della
sofferenza («né sognai che ad uom concesso viver fosse ognor lieto, o ne’
tormenti sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro non arriva a
constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire, che spesso
nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero
necessarie all’uo... Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la
Biblioteca Reale di Torino (Varia). I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e
di Les aventures du Marquis de Bel. La ragione ha anche il fondamentale compito
di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica alla
misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi
sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti
dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza.
Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse
nulla di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è
più felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte Ghiaccio d’un cor, cui
ogni affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa
malattia. Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di
Polifemo per Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope,
consumato dal desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido
qual angue / Le spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di
vermiglio sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti
e gli studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore
platonico è un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto,
che teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel
saggio filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi
inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani. La follia amorosa non è l’unica passione
condannata da C.. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il
controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E.
la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della
gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della
vendetta: L’inedito VARIA PHILOSOPHICA, ritrovato presso l’Archivio Peyron
della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di
fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che
in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere,
una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può
trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di C., Di Livia Colonna
del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie. La raccolta fu
pubblicata a Roma da Antonio Barre15 Id, Di Livia Colonna. Si dedicò allo
studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di
sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica
fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi
autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna («Da parecchi versi per
la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente
non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende
numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra
i quali anche il Caro e il Della Casa. In un brano del Della certezza
morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti
fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda
che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un
pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di
note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime,
ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato
difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua
vita17: Livia nacque da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; è rapita
da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la
bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco
riacquistò, la vista 18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste
informazioni, C. passa a parlare del tema che lo ha maggiormente
interessato: Valperga di C., Di Livia Colonna. Ma qui veniamo al punto,
che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da
parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più
tardi, e certamente non prima del 1550, e Livia trucidata barbaramente. L’abate
fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra
Livia da Dom. Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime
della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva
sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima. Rivolta la carta 87 delle
mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue,
e alla carta si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo
suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo
padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un
genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole
maschile? Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi
dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o
dal senso dell’onore. L’autore sembra propendere per il primo movente:
nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un
uomo; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia
avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo,
dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa padrone
un marito fiero e imperioso». Per quanto concerne invece il movente dell’ira,
suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di sangue
ingorda più che di vero onor, C. non si profonde in ipotesi specifiche, ma si
limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare insieme»
sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello dell’onore:
la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla scoperta o
dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un servo.
L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa riferimento
alla mano mozzata di Livia -- E la recisa man, l’aperto lato -- l’abate
immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la
propria mano a un servitore. C. riflette inoltre sul fatto che questo terzo
movente può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia
avrebbe ridotto l’eredità di Pompeo: ogni matrimonio della suocera dovea
spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di
quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui. Zannini,
Livia Colonna tra storia e lettere in
Studi offerti a Giovanni. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è
criticata da Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere, nel quale
egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di C., che
centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un
romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue
del secolo xvi, presso fantasiosi lettori. Archivio di Stato di Roma, Tribunale
del Governatore, Processi, I responsabili furono condannati grazie alle
deposizioni di testimoni oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella,
per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla... Chiodo, Di alcune
curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F.
Zannini ricava dai documenti processuali, trascritti in appendice al saggio,
che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò
attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici
stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e
nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori
Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, non vi è alcun accenno né alla
mutilazione della mano né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso
riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati
scritti e pubblicati tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse
«abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore. Egli quindi ritiene
che C. abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere
interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo
una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero
petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una
profonda lacerazione». Contro questa interpretazione polemizza, giustamente,
Domenico Chiodo, che difende le ragioni del C.: «le sue [dell’abate] capacità
di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del
nostro contemporaneo. L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su
5 carte scritte sia sul recto ... È bene
precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di
commentare il ... Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago ... Anche ai tempi del C. era stata
sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di
Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso
Verani Ex-agostiniano, conservato presso il Castello di Masino, Verani dichiara
di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte
di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò
soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose
relazioni. Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro
uccisore di Livia, non vi è a ... Egli spiegava diversamente il significato dei
versi citati da C. e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza
di Pompeo sia l’interpretazione del verso del Dardano. Altrettanta fede merita
il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto
lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di
ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente
ferita, ma non recisa. L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali
calusiani della Biblioteca Reale di Torino (La sua spiegazione ha invece
persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Negri, che in una lettera scrive a
Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi d’C.; nel
componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della
mano. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato
anche A. Ferrero Ponziglione, che n ... Il manoscritto è vergato su 6 carte,
compilate sia sul recto sia sul ... C. si occupa anche di un altro fatto di
cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da
parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due documenti,
scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della Contessa
Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di cinque
testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno Monsù
Bresse che uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli, famiglia
patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive quattro carte
contengono un racconto particolareggiato dei fatti. Il narratore formula
varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può ...
Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata
trai Scritti dell’al ... La vicenda esposta nel secondo documento è la
seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è follemente innamorato della
Contessa Aureli della Torricella che però, pur apprezzando la sua compagnia,
non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di incessanti nonché vani
corteggiamenti, Bresse sale a casa della donna e, approfittando di un momento
di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla; la Contessa Aureli però si
nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto umilia a tal punto il
Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli brandisce la spada e
sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel tentativo di
difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo disperato schermirsi
eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la colpisce sul volto con
pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro, l’assassino chiude la porta
a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e dall’orrore delle proprie
azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta in mezzo agli occhi. La
Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte, striscia in un lago di
sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla tappezzeria, che cede per il peso
del corpo e fa ricadere a terra la donna ormai agonizzante. L’Aureli viene
ritrovata qualche ora dopo col volto tumefatto, il petto squarciato dalle
ferite e un orecchio aperto in due. Più tardi viene rinvenuto anche il cadavere
del Bresse, che dopo essere stato conservato tre giorni nella sabbia, viene
seppellito, secondo un ordine giunto da Torino, come si farebbe con «dei cani o
degli asini morti». Il racconto si conclude con una tirata moraleggiante contro
la pratica del cicisbeismo, ormai diffusasi anche presso le «petecchie di
Cherasco» che fanno carte false per procurarsi un «damerino». Il suo comment si
trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare i ... C.
scrisse alcune considerazioni in merito al secondo documento del manoscritto.
Questa non è relazione, ma novella, a imitazione di quelle del Boccaccio,
benché non molto felicemente lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore,
che le ha aggiunte a disegno di far credere che fosse questo un ragguaglio
fatto a un Cardinale. Ma oltre che vi stanno appiccicate collo sputo, e non
sono dello stile del rimanente, non si confanno in modo alcuno col titolo e
cominciamento. Senza dubbio l’autore finì ove ha posta la stelletta. È qui del
rimanente questa novella molto mal concia del suo copista. L’abate quindi
commenta il manoscritto da due diversi punti di vista: da un lato dimostra la
falsità delle dichiarazioni che chiudono il racconto e dall’altro critica i
contenuti e lo stile della narrazione. Per quanto concerne il primo aspetto, C.
fa riferimento all’ultima frase del testo, scritta dopo un asterisco: «E con
questa scrizione sonomi ingegnato di contentare l’eminenza vostra, alla quale
contarlo profondissime riverenze divotamente mi raccomando. Lo scritto ricalca
la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve
r ... Le argomentazioni addotte dall’abate per smascherare la contraffazione
sono convincenti: lo stile dell’ultima frase non si sposa con quello del
racconto e anche il contenuto di questa presunta aggiunta è svincolato dalle
altre parti del testo. La nostra analisi grafologica ha stabilito che l’ultima
frase fu scritta dalla stessa mano del resto del testo; questo dimostra che il
documento posseduto dal Caluso non è l’originale, ma è una trascrizione
realizzata da un copista inesperto, che non si era accorto della
falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, l’abate
sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né lo stile né la
struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a una novella di
poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e ridondante del
narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario. 16Questo
caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del Settecento
stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già
interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i
due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna
massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene
tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un
orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal
genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente). T. Valperga
di C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de
Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês
de Castro di Antoine Houdar de La Motte, che ebbe uno straor ... C. si era interessato
anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato
omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in
freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de
Castro, che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere da
Alfonso VI re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore,
che la fece dissotterrare e coronare». Le notizie indicate dall’autore sono
corrette: Inês de Castro è l’amante del principe Pietro di Portogallo al giorno
nel quale fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due
sicari mandati dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo
gesto sanguinoso da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei
fratelli della donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del principe.
Pedro perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie, mosse
guerra contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo grazie
all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo alle
proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri del
padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai militari
d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece
disseppellire e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria
amata fosse incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto
sanguinoso ispirò molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di
Inês nei Lusiadi; nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês
ebbe ampia fortuna sia nel mondo del teatro musicale sia in ambito tragico. Nel
sonetto calusiano, Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria
incoronazione post mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza
dell’omicidio: Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro
e corona, in vita affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli
opposti furor di due tiranni. Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di
me privo Re crudel diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di
Re troncar con man cruenta. Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà
modesta, umil, se de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese? C.,
Versi italiani. Io vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a
noi discese, Mio bel fallo sarà che non peccai. C. si dilungò nella descrizione
di un macabro fatto di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni
Alessandro Valperga marchese di Albery nella quale viene narrato
l’agghiacciante suicidio del giovane professore torinese Don Casasopra, che,
caduto in un profondissima depressione, si era tolto la vita in quella notte. Cipriani,
Le lettere inedite d’C. al nipote Giovanni Alessandro si trovò il letto
imbrattato copiosamente di sangue ed egli con un laccio al collo, soffocato
presso a una scanzia, ed era lacerato di colpi di temperino, che alcuni dicono
giungere al numero di vent’otto. Se ne poté conchiudere che egli cominciò per
tentar d’uccidersi sul letto con volersi tagliare i polsi alle mani e alle
tempia e poi si dié tre colpi di punta verso il cuore, e tardando forse la
morte, o che immediatamente egli siasi anche a ciò trasportato, egli passò a
impicarsi. La cagione si può credere una frenesia nata di malinconia e
d’accension di sangue. Se indaghiamo in modo approfondito i quattro casi che
attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che l’elemento che li
accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa Aureli non sono
semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati in modo
gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono funzionali alla
morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo degli assassini
(la criminologia contemporanea cataloga questi atti come overkilling,
considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In questo modo
gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della bellezza e,
quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a coloro che
trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza delle due
donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post flagitium; il
potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del lettore, che
inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo straziato di due belle
e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di uomini adulti. L’assassino
di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i due killer assoldati da
Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio, mentre Bresse stacca un
dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa dominare la propria
furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro le parti mozzate
per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono mitomani o
psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il secondo
agisce in preda a un raptus. A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del
corpo dopo la morte, Bari, Laterza. Nel terzo caso, quello di Inês, si assiste
a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la
ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il
“gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere
ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà
onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta
della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte;
l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina
all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci
insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento
sociale, culturale e affettivo sul corpo») e a plasmare una creatura
mostruosa. Nel quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte
a creare ribrezzo: la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro
esso, che da un lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella,
resistendo alla morte il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica
impazienza del Casasopra, che desidera a tal punto annullare la propria
esistenza da suicidarsi, potremmo dire, tre volte contemporaneamente. L’abate
quindi osserva una terza tipologia di follia, quella suicida. C.. si concentra
tanto sul corpo mutilato delle vittime quanto sul corpo mutilante dei
carnefici, che possono trasformarsi a loro volta in vittime di se stessi; in
Don Casasopra carnefice e vittima coesistono, mentre Bresse, spinto dal
rimorso, decide di togliersi la vita in modo razionale, per quanto è possibile,
contrariamente al professore torinese che cede invece alla
«frenesia». Negli occhi di C. è assente la pietà cristiana, non perché
egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché l’interesse che lo spinge a
osservare questi fatti di sangue è di tipo scientifico; egli, in generale nei
suoi scritti filosofici, evita di introdurre considerazioni di carattere
teologico o semplicemente religioso, perché non sente l’esigenza, provata da
molti suoi contemporanei, di conciliare il cristianesimo con la filosofia dei
lumi o con le correnti filosofiche antiche, i concetti di virtù o di colpa
vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo scientifico è evidente, per
esempio, nella descrizione del terrificante suicidio del professore torinese.
L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra, ma presenta subito le
proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così estremo: egli suppone che
la follia suicida sia stata scatenata dalla combinazione di una causa psicologica
(«malinconia») e una organica («accension di sangue»). Senza la sentenza
scientifica finale, la descrizione del suicidio del Casasopra potrebbe avere
anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma pur sempre farsesco):
l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i polsi tagliati tenta di
impiccarsi però non fa sorridere cinicamente, perché C. descrive il tutto come
un caso clinico e non come una scena, mi si passi il termine, splatter, anzi
comic splatter. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco. L’abate
non sovrappone la fiction agl’oggetti della propria RIFLESSIONE FILOSOFICA. La
componente orrorifica, per esempio, è molto presente nel Masino, poemetto
popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e morti resuscitati; questo
testimonia che egli non fu immune all’influenza dell’Arcadia lugubre, ma tutto
ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi dei quali ci stiamo occupando,
che non sono trattati come storie, come racconti, ma come fatti di cronaca,
recente o lontana, da esaminare. La terrificante incoronazione di Inês è
sviluppata sì in un sonetto, ma la prefazione in prosa che illustra la vicenda
storica testimonia che l’autore aveva compiuto studi approfonditi
sull’episodio, forse durante il suo soggiorno lusitano. Il corpo smembrato
viene “osservato” non con compiacimento morboso, ma con l’occhio attento del
filosofo, che, studiando il potere della ragione, è costretto a indagarne anche
i limiti e le ombre. C. in verità non censura in alcun modo i particolari più
macabri delle vicende, come l’arto mozzato di Livia, la pozza di sangue nella
quale striscia la Contessa, il foro in mezzo alle ciglia di Bresse (poi
sotterrato come la carogna di un animale), lo scettro ricevuto da Inês «in
freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra; questo sguardo fisso sui
dettagli più agghiaccianti però non è fine a se stesso, ma serve a “toccare con
mano” quanto orrore generi la follia. Così nella vicenda di Inês, ciò che
disgusta maggiormente il lettore non è il ripugnante cadavere ricomposto, ma la
pazzia di Pedro: insomma il mostro non è lo scheletro di Inês, ma Pedro
stesso. L’interesse per i fatti di sangue dimostra come sia fuorviante e
falsa la rappresentazione di C. come saggio rintanato nel proprio rassicurante
romitorio, dal quale contempla con indifferenza il mondo e le sue passioni;
egli, al contrario, era attaccato alla “vita reale” (ne è una riprova il fatto
che nelle sue opere preferisce sempre offrire esempi tangibili, senza
abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte elucubrazioni) ed era desideroso di
studiare l’uomo “vero” – quello che, a volte, cede alla brutalità e alla follia
più nera – e non l’uomo ideale. Il Caluso crede che ogni progresso sia
possibile solo partendo dall’analisi di «ciò che esiste», egli non vuole
proporre un modello utopistico di uomo perfetto, ma desidera ragionare
concretamente sulla natura umana, sulle sue luci e sui suoi spettri. Sulla
figura dell’abate di C. si vedano gli studi del Calcaterra e, soprattutto, del
Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze,
Olschki, Le buie tracce: intelligenza subalpina al tramonto dei lumi; con tre
lettere inedite di Tommaso Valperga di C. a Bodoni, Torino, Centro studi
piemontesi; Un inedito di Masino all’origine dell’opuscolo dibremiano ‘Degli
studi e delle virtù di C.’, «Studi piemontesi», Inoltre mi permetto di rinviare
anche alla mia monografia:Contini, La felicità del savio. Ricerche su C.,
Alessandria, Edizioni dell’Orso. Si legga il seguente passo, tratto da una
lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany: «e io lasciai l’ordine ch’ella, e
il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso avessero l’edizione in carta
velina» (Foscolo, Epistolario, a cura di Carli, Firenze, Monnier). Questo
appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa composizione dell’abate,
il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto a Firenze, come precisa
l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi italiani (Euforbo
Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra gli Arcadi Euforbo
Melesigenio, Torino, Barberis. L’inedito Della felicità de’ governati,
ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca di Torino, ora pubblicato
in Contini, La felicità. A proposito del concetto calusiano di rassegnazione,
si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa d’Albany. De’
cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria alla felicità, o
per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra, onde io ne fo uno
de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla necessità» Pélissier,
Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, Fontemoing, Melesigenio, Versi
italiani cit. Diderot aveva constatato che nella pratica quotidiana si
incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che virtuosi, e lo stesso
ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito della
razionalità. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che
le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era stato
sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle Réflexions
critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà una grande
influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non fa
riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore:
l’apatia. Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la
Biblioteca Reale di Torino (Varia). 10 I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de
Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs de l’amour (Varia) sono
conservati presso la Biblioteca Reale di Torino. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani. L’inedito “Varia Philosophica”, ritrovato presso
l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è
riprodotto in CONTINI “L’attività filosofica di C.”, Mattioda, Torino, C., Di
Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie des
sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des
sciences et des arts. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel
1555. 15 Id, Di Livia Colonna. C. in un brano del “DELLA CERTEZZA MORALE
ED ISTORICA” sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai
poeti. Diciamone adunque partitamente vediamo prima qual sia L’ESAME DEL FATTO per
trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti
che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’
Poeti. (“DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” Fondo Peyron). L’abate cita le
seguenti fonti. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani
gentilhuomo fiorentino. Divisa in libri XXII, Firenze, Giunti, e Santis,
Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas,
Roma, Bernabo. C. ricorda che vari poeti avevano scritto molte dolenti rime su
questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari
di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna
(Capponi). C., Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome
della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi
chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia”. Zannini, Livia
Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della
Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma,
Tribunale del Governatore, Processi.
I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni
oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò
che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non
fece alcun riferimento alla mutilazione di arti. Chiodo, Di alcune curiose
chiose a un esemplare delle “Rime” di Porrino custodito nel Fondo Cian,
«Giornale storico della letteratura italiana», L’opera è scritta con inchiostro
nero e grafia minuta su V carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte
l’ultima, scritta solo sul recto. È bene precisare che Verani si rivolge
a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del C..
Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto
del Verani. Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino).
Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di
Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione
del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di
Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so
indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile
interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e
vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia
chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per
intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso. L’articolo di lettera è
conservato presso gl’Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (St.
Patria). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una
copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte
della lettera che riguardava C. Il caso dell’assassinio della Contessa
Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della
Patria Società letteraria propose la composizione di una novella su questo
argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’,
Torino, SEI). Non era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella
Filopatria ; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima
di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi.
Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Bresse grazie a
qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi. Il manoscritto è
vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono
scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono
riconducibili a quella di C.. Il narratore formula varie ipotesi sulle
origini di Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato
con un ugonotto, un massone o un ex chierico. Sotto il racconto si legge
la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora
profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data 9 giorni dopo
l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il
primo dei due documenti (Memoria intorno a Bresse; Fondo Peyron). Il
commento del C. si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È
da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di
firma del C. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto
infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una
Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato
il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente
pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte. C., Versi
italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il
melodramma italiano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di
P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine
Houdar de La Motte, che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne
tradotta dall’Albergati (Albergati Capacelli, Paradisi, Scelta di alcune
eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, Liegi ma
Modena. C., Versi italiani. Cipriani, Le lettere inedite di C.al nipote, marchese
di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore
Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi,
A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari,
Laterza. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore
in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto
con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e
“iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Declension Edit First/second-declension
adjective. Number Singular Plural Case / Gender Masculine FeminineNeuter Masculine
Feminine Neuter Nominative initiātus initiāta initiātum initiātī initiātae initiāta
Genitive initiātī initiātae initiātī initiātōrum initiātārum initiātōrum Dative
initiātō initiātōinitiātīs Accusative initiātum initiātam initiātum initiātōs initiātās
initiāta Ablative initiātō initiātāinitiātō initiātīs Vocative initiate initiāta
initiātum initiātīinitiātae initiāta References Edit initiatus in Charles du
Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ Latinitatis (augmented edition
with additions by D. P. Carpenterius, Adelungius and others, edited by Favre)
Warburton. DISSERTAZIONE SULL’INIZIAZIONE A’MISTERII ELEUSINI;
OVVERO, NUOVA SPIEGAZIONE DEL LIBRO VI DI VIRGILIO, tratta dalla sessione
della Divinici della Mistione di Mose MOSTI ATA DA WARBURTON
Stenda Sdiva VENEZIA Curii. Al NOBILE SIGNOR BARONE
GIROLAMO TREVISAN VICE-PRESIDENTE AL TRIBUNAL D'APPELLÒ
ìli VENEZIA bLÌ EDITORI, Non il paiavinó nobile sangue j che nelle
vene vi scorre, non l'antichità de’ vostr’avi 3 non gli onori e le cariche eh
tra gli altr’uomini vi distinguono j furonoj Egregio Signore le cagioni che
ci spinsero a umiliarvi rispettosi la presente dissertazione:
cerchino altri sì fatte cose o per vite adulazione bassissima, o per
mercarsi non mentati favori o per altr’indiretti fini del generoso animo
vostro onninamente indegni ma sì bene ci mossero e i rari vostri talenti
che fecervi un giorno brillare guai lucidissima stella nel veneto
foro, e il genio che nutrite verace per ogni sorta di letteratura. Possian
dunque dire che vi appartenga questa operetta come a quelt esimio personaggio
che di vera FILOSOFIA lo spirito fornito e di fino critico gusto le
bellezze ammirare sapete della veneranda antichità. Accogliete pertanto di buon
cuore quelh che offerir vi possiamo e siate certo che cm- ptiratorì
ognora de’ vostri pregii e delle virtù vostre conserveremo per voi
quella stima, venerazione e rispetto con cui di essere ci
protestiamo, là zs. X inalrtiente comparisce alla veduta del dotto
mondo il vero VIRGILIO: il suo poema veste le ingenue sembianze, di cui lo
adorna il suo autore: quello che finora hanno gl’amatori della sapienza,
i filosofi. In esso riconosciuto di bello ora di nuova luce rifulge; e
quanto a’ critici è parato di riscontrarvi dì assurdo e sconcio, e al rigore
dell’epiche leggi incoerente ad un tratto dileguasi. Cosi felici effetti ha
prodotti la presente dissertazione. Il giudizioso inglese che l'ha scritta
facendosi a contemplar di pie fermo quel filo segreto che l’Omero latino
condusse in questo divino poema, colpi nell'intimo sno spirito, scoperse le
ragioni, di tutto ciò, che introduce nell'ENEIDE VIRGILIO, e l'ipotesi
sua co quella vasta erudizione che possede, colle cose, costumi, e
opinioni dell'antichità raffrontando, comprese ch’ella regge con
mirabile armonia e alle idee dell'autore e alla natura dell' epica poesia
ed alla sapienza degl’antichi FILOSOFI. Se ciò sia vero, lo scorge il
leggitore leggendo l’opera presente, e dopo letta, a
rileggere ponendosi, e studiare VIRGILIO attentamente, L'Autore
della Disseriazione non ebbe in vista che d'illustrare il VI Libro dell'ENEIDE.
Ma la sua scoperta è di un uso universale per l’intero poema virgiliano,
che pell’intelligenza d’ogn’altro, e spezialmente di quello d' Omero .
Quindi è che noi creduto abbiamo di fare cosa graia alla letteraria
repubblica nel dare alla luce quest’opera dall’inglese nell’italico idioma
rrcala-, e vi- viamo colla fiducia, che i leggitori ci sajjra,n, po
grado di sì utile impresa. Per solo bene e vantaggio della società
letteraria ci siam noi mossi a riprodurre U presente Dissertazione; e
come sapevamo esser rarissima e ricercata, abbiamo tostamente procurato dì
ripiegarla e correggerla; di note fornirla e d'illustrare con alcuni
cenni la vita del suo Autor valoroso, e farne così al collo
pubblico un dono, Di quanto pregb ella sia, quanta contenga erudizione
non è a dire; sarebbe desiderabil cosa che tutti ì italiani delle lettere
amanti, i quali Unto vanno affaticandosi per isludiare l’epico latino,
prima attentamente leggessero questa dissertazione che porge la chiave a
bene, eziandio comprenderne tutto il poema. Non dubitiamo pertanto,
che gl’eruditi non ci appiani grado di questa, benché leggiera,
fatica j e il lor favore in adesso ci serve di sprone, onde farsi strada ad
imprese maggiori. Ha l’uomo collo ed erudito noniolo, ma piu audio
l'imperito e l'indotto un desiderio pressoché costante, una voglia direi
qnati innata di voler investigar n conoscere in azioni e le gesta,
di que' tra suoi simili, che sugli altri emersero t p er gebio peti
tiratore e sagace, o per talenti letterari e politici, o per dignità
ragguardevoli, o per onori non comuni, o per altra mai dote, la quale
tulio scioperato vulgo distinguere ne li faccia, fi da questo desiderio, è
da questa voglia che riconoscer debbe la repubblica letteraria e scientifica
quei lumi tutti, che (les- sa per opera de' suoi membri possiede in
riguar- do alla virtù, e al merito de' più chiari eroi, che ognora
illustre la resero. È perciò eh' ab- biamo creduto noi opportuno il dar
qui in ri- stretto (come la parvità del volume lo esige) alcuni
cenni sulla vita del chiarissimo autore della presente Dissertazione. Warburton
nacque nel Dicembre del ni Ì 11 effe ì ce n tono van torto il
vigesimoqnarto giorno a Nevarck sul fiume Trent nella gran
Brettagna, nella qual città occupava suo padre il posto di Procuratore.
Warburton di perspicace acume dotato e non vulgare talento nelle
principali Università l' ordinario corio degli stadi! a percorrer lì diede, e
riportatane laurea nelle teologiche discipline colla fama di
letterato ed erudito quegli sturili a ricominciar ritiro»;, che più alla
naturale sua inclinazione si confacevano ; ben persuaso che le scuole
non additino che i mezzi, onde fare di vera sapien- za l'acquisto.
Si applicò quindi alla erudizione sacra e profana, non che all' amena
letteratura, e ben presto mature fratta produsse . Tardi pe- rò
agli onori ed alle dignità elevato il volle for- long^-iaa jamfls
tardi altrettanto più sublime- mente innalzollo. Aveva egli trascorsi
cinquan- tasei anni dell'età sua, quando Giorgio II. che allor
l'Inghilterra reggeva con suo grazioso decreto il fece sno Cappellano., e in
breve forni- re di un canonicato in Durbatn ne lo volle. Proseguiva
frattanto le sue erudite fatiche iti nostro Guglielmo, quando l'anno
correndo niil- Jesettecen sessanta videsi egli al decanato di Bristol
inopinatamente eletto, la qual dignità non fece che servirgli di scala
all' onor vescovile, di cui tra non molto con soddisfazione e con-
tentamento di que' tutti, che le di lui virtù, conoscevano, fu
giustamente insignito. Fugli a sua sede destinata Gloceiter, che a
reggere cominciò con non ordinaria: moderazione e prudenza da meritarne de'
suoi connazionali gli applau- si . Ognor vigilante, sobrio, amico dì
tutti, vero filantropo degno stato sarebbe (se altronde 1* provvidenza
non avesse rettissim amente disposto) d'essere ortodosso, e di possedere
diocesi orto- dossa . Tra le cure però di suo vescovato tener
godeva in casa letteraria conrersazione e giocon- ila, onde il ma
affaticato spirito alquanto ri- crearsi potesse ; e come dotato era dal
Cielo di eccellente memoria, e per meno de' suoi travi., gli di
vasta erudizione, così sapea talmente a lempo con istradivi aneddoti la
compagnia rav. vivaio, ch'era egli della società chiamato l'ido- lo
e la delizia. Fra tante virtù aveva tuttavia il difetto a' suoi patrioti
universalmente comu- ne, quello cioè, di essere nell'odio terribile,
quanto nell'amicizia tenero e dolce: a sua lau- de per altro riflettali
die una legg'"^ «mpen- aazione, una minima protesta discuta era a
cai- marlo sufficiente. Sin qui il Warburton non ci i prelenta che
personaggio di rare qualità, di cariche e di onori fornito ; ma è tempo
che renda di pubblico diritto le immense fatiche, che per naturale suo
genio a sostenere ai accinse. Sempre amico delle lettere, e della gloria
de' auoi cittadini volle egli darne un saggio col pre- siedere all'
impressioni! delle opere del grande Shakespear, la quale più nitida rese
per nota- bili correzioni, ed illustrò con crìtiche note, dove
tutto it giudicio risplende, che tanto i ve- ri dai troppo creduli
critici distingue. L'amici- zia stretta .col Pope lo indusse pure a,
sopran ten- dere alla stampa de' di lui lavori, che colla usa- ta
sua diligenza presto trasse a line. Persuaso che allora camminarebbe
meglio la società, quan- do la religione e la politica si congi
ungessero insieme a formarne i reali vantaggi, diede alla luce
delle sode dissertazioni sulla unione appunto della Religione, della Morale, e
della Politi- ca, le quali poi trasportò in gallica lingua Stefano di
Silhouette, e in due voltimi di vite. Per porgere, dirà coi), pascolo
alla sua estcìis. «ima erudizione scrisse auche un discorso intorno al
terremoto, e all'eruzione ignea, che im- pedirono all' Apostata
Imperatore la restaurazio- ne del Tempio santo, Ma tntto questo
sapere diWarburton è nn nulla in paragone della critica, del genio, della
erudizione, che dispiegò in un'opera, la quale nei fasti delle
scienze renderlo doveva immortale, e cui, come osser- Vano
-d«» JrttWMti " ili maaturl delle rìcer- che antiche
leggeranno sempre con -piacere, ed anche con frutto e vale a dire la
di- vina legazione di Masè dimostrata in quattro volumi
distribuita. II filosofo di Farne/ cerco tosto di accreditare coli'
autorità di Warbnrton tutte le imposture, gli errori, le follie, le
men- zogne, che sacrilegamente «parie aveva nel Li- bro dei Libri;
quindi è che astenere non si potò dal non tributare in larga copia
all'Anglo Prelato gli encomii li più seducenti e lusinghieri . Guglielmo
pero che aveva nel petto nn fon- do di virtù bastante a far argine a
coteste vi- lissime adulazioni, e che l'empietà appieno conosceva dell'
autore della Pulcella d' Orleans, in una seconda edizione a provare si
fece che il aig. di Voltaire non solo non avea l'opera inte- sa, ma
che l' avea falsamente citata, peggio in- terpretata, e impudentemente
calunniato Tanto- re di essa. L'Oracolo della Francia allora canto Dóion.
degli Uom. Ili, v. gli nelle più amate invettive, nei sarcasmi più
«cuti, nelle ingiurie più maldicenti gli clogii che aveva al Vescovo di
Glocesttr prodigalizza- to, a cu! non degnò egli rispondere
mostrando colla sua grandetta d'animo di quelle ingiurie la
insussistenza, e procacciando così alla sua opera più durevole fama.
Osservan nullameno ì Critici che più perfetto ne sarebbe il lavora t
so ognor vi rispondesse il lucido ordine di Orazio, « se più
digerita la erudizione ne fosse. Chec- ché peto sia, resr eterno il nome
del celebre Inglese, e dì questo n'hanno un bel saggio i leggitori
nella presente disseriazione » di' è da quello ricavata - Una
vita sobria e morigerata fece trarre al Warborton pacifici giorni e
tranquilli da nessun malore sturbati ; sicché carico d'anni in Glocetcr
ai siile Gingno del niilles ettecen setlantanove compi sua mortale
carriera da tutti ì suoi, non monodie dalia letteraria repubblica
meritamente compianto, lira egli di statura alta, grosso e
corpulento anzicheno, di carnagione rubicondo, di temperamento forte e
robusto. Questo è quanto abbiamo di lui potuto rac- cogliere,
e succintamente esporli benevolo leg- gitore ; Vive ; Vali :
si quid navìitì reHiut istis Candidai imperli: li »m, bit Mere
memi». Virgilio nel libro Yl.;"cfi*r fl "Capo 3'opera
dell'Eneide, ha per dileguo di descrivere l'iniziazione del suo eroe ne'
misterii, e di mettere lotto l'occhio de' suoi leggitori almeno ima parte
dello Spettacolo Eleusino, in cui tutto face- vasi per mezzo di
decorazioni e macchine, e in cui la rappresentazione della storia di
Cerere da- va occasione di far comparire tal Teatro il Cielo, l'Inforno,
i Campi Élisii, il Purgatorio, tutto ciò che ha relazione eoa lo stato avvenire
degli uomini. Ma acciocché il lettore non si offenda di questta
proposizione che può sembrare nti paradosso, sarà cosa utile l'esaminare
qual sia il carattere dell' ENEIDE. Tutti e due i Poemi di Omero
contengono la narrazione di un'azione semplici; ed unica, de-
tonata ad insegnare un punto di morale egual- mente semplice, ed in
questo genere ammirasi con tutta la ragione questo filosofo. E
impossibile che in ciò VIRGILIO lo superasse. Il suo vero modello e
perfetto; niente mancatagli, ii maniera che i maggiori partitami del FILOSOFO
LATINO, senza eccettuarne Scalugero', ridotti si no a (allenare, eh' e FILOSOFO
LATINO, e lo Scaligero stessa ha sostenuta, clic lutto il vantaggia di Virgilio
aopra Ornerò consiste negli Episodi i j nelle descrizioni, comparazioni, nella
netiena, e purità dello stile, è nella aggiustateza dei pensieri ; ma ninno ha
conosciuto a mio credere il principal vantaggioeli' égli ha sopra
il Poeta Greco: Egli trovò il Poetila Epico mesto già nel primo ordine di tutte
l'opere dello spirito umano; ni* ciò non ancora soddisfaceva a'suoi
alti disegni. Non bastavagli | clip l' istrui- te gli uomini nella morale
fosse il fine del Poe- Ina Kpico; neppure l'insegnare la Fisica j
come ridi col oiam ente s'immaginarono alcuni antichi. Egli è vero,
ch'ei compiaceva^' di queste due •otta d» studii; ma voleva comporre un
Poema, che fosse un sistema di politica. In fatti ì ta- le la ina
Eneide in versi, come in prosi sono i sistemi politici, e le Repubbliche
di Platone, e di CICERONE; e quegli insegna con l'esempio e con le
azioni di un eroe ciò, che questi insegnano coi precetti . Cosi Virgilio portò
il poema epico ad nn nuovo grado di perfezione, e come di Menandio disse
Vellejo Pater colo inve- niebat, neque imitandum rclinquebat .
Benché possa ognun vedere facilmente t che sotto il carattere di ENEA
rappresenta: i OTTAVIANO; pure siccome credevasi^ che questi
ammaestramenti politici destinati veramente per utile di tutto il
genere umano riguardassero il solo principe; così niuno ha compresa la
natura dell' “Eneide”. la questa ignoranza i Poeti, che vennero
dopo, volendo imitare questo Poema, dì cai non conoscevano il vero genio,
riuscirono ancora peg- gio di quello,- che sarebbero riusciti, se si
fos- sero contentati di prendere per modello il semplice piano di Omero.
M. Pope gran Poeta de nostri tempi, é giudice competente in tali materie, dice
nella prefazione all' Ilìade spiegando- ne la cagione. Gli altri Poeti
Epici, dice egli, banco seguito Io stesso metodo ; ( ciò* quel di VIRGILIO,
che unisce due Favole insieme, n t jj- 'A una sola ) ma- in ciir st-som»
tanto avanzati, che hanno introdotta una inokipli- „ cita di favole,
con cui hanno interamente „ distratta l'unità dell'azione, e
l'iianprolungata in ana maniera del lotto irragionevole, cosicché i
lettori più non sanno dove sieno -, .Tale fu la rivoluzione, che cagiona
Virgilio in questo nobil genere dì poesia. Egli lo porto ad un
punto di perfezione, a cui non sarebbe mai giunti) con tutta la sublimità
del suo genio ira* za l'assistenza del più gran Poeta . Egli non
eb- be se non il soccorso della unione dell' Iliade e dell'Odissea,
che potesse fargli eseguire il bel progetto, che si aveva formato.
Imperciocchi pel dare un sistema di politica nella condotta di un
gran Principe bisogna fargli comparire ed osservare tutte le situazioni,
e tutte le circo- stanze, in cui no Principe come tale può ritrovarsi .
Quindi bisogno, che rappresentasse Enea in viaggio come Ulisse, in
battaglia come Achil- le ; ed in ciò non dubito * che questo grand*
ammirator di Virgilio di sopra citato, e che cosi bene ha imitata la purità del
suo itile si compiaccia di vede re, clic questi è la vera iti
gìone della condotta del suo Maestro, piuttosto che l'altra da lui
rapportata. VIRGILIO non avendo un genio ooil Tiro, e cosi feconda
j, come Omero, vi supplì con la «celta di ari oggetto più esteso, e di una
più lunga durata dì tempo, epilogando in un solo Poema il disegno dei due
poemi del Greco Poeta. Ma se avendo scelto lo «tesso soggetto di Oncia, fu
obbligato a trascrivere quella semplicità della favola, clic Aristotele,
ed il Bosiù di luì interprete trovano divina io Omero, questo stesso gli
ha prodotti altri considerabili vantaggi Dell' esecuzione del suo Poema;
poiché questi ornamenti, e queste decorazioni, di cui non han
saputo i Crìtici rendere altra ragione se non di sostenere la dignità del
Poema, diventano, secondo il fine del Poema, punti essenziali del suo
soggetto. Cosi i Principi e GL’EROI scelti per attori, che paiono a prima
vista un semplice ornamento, diventano la essenza medesima del Poema j e
i prodigi! e le interposizioni degli Dei destinati solo a produr maraviglie
diventano con questo nuovo disegno del Poeta una parte essenziale
dell'azione. Qui vedesi lo spi- rito medesimo degli antichi Legislatori,
i quali pensavano sopra tutto a riempire lo spìrito delle idee
della Provvidenza. Questa è dunque la vera ragione di tante maraviglie e
funzioni, che incontransi nell’ENEIDE, per cui alcuni Critici
moderni accusano il nostro Poeta di poco giu- dicio, imitando Omero di
una maniera troppo fervile nel suo Poema, composto nel secolo di ROMA
il più ili um'Bato e il pili polito . 11. Adis- >0D, di cui non devesi
parlare, se non con termini di estimazione, eoa) parla in proposito del
maraviglialo in VIRGILIO. Se qualche paisà dell' Eneide può
criticarti per questo titolo, egli è il principio del terzo libro,
in cui „ rappresentasi Enea, che lacera un mirto, da cui sgorga
sangue. Questa circostanza sembra,, avere il mirabile senza il probabile;
perch' è descritta come prodotta da cagion naturala senza J'
auìtóox* di, alcun» Dtilà., a. d' alcuna "sovrannaturale potenza capace di
produrla. Ma l'Autore non si è ricordato in que- sta osservazione delle
parole dette d’ENEA in questa occasione; Nympbas -ùtntTabaT
agrtsirt Gradi-vamquc Pattern, qui prieiidet Bruii Rite steundartnt
visus, omtnqut levarcnr. I presagii di questa specie poiché ve n' erana
di due sorta sono sempre considerati conte prodotti da una potenza
sovrannaturale. Cosi quando gli Storici ROMANI raccontano una piog-
gia di sangue, egli era un presagio simile a quello del nostro Poeta, il
quale si è certame»- te contenuto dentro i confini del probabile,
asserendo ciò che gii storici pia gravi riferiscono ad ogni pagina de'
loro annali . Questo prodigio non era destinato a sorprendere il lettore.
VIRGILIO, come si è detto, Teste i caratteri di un (0 lib. m.J+ »-
J<-i9 ledisi atore, e vuole eoi prodigi! e cui prestigi!
persuadere il popolo che iddio s'interpone negli affari di questo mondo;
e questo era il metodo degli Antichi . Plutarco adv. CoieC- c'
insegna, die Licurgo co) meno di divinazioni e di pre- «agii
santificò gli Spartani, NUMI I ROMANI, Solone gli Ateniesi, e Deucalione
tutti i Greci 10 generale, e col mezzo delta speranza e del timore
mantennero nello spirito di questi popoli 11 rispetto alla
Religione. Cosi molto a proposi- to colloca VIRGILIO U scena di
<)m-*to accidente tra i popoli barbari e grossolani della Tracia
per ispirare dell'orrore a'coslumi selvaggi e crudeli, e desiderio
di nno stato civile e polito. L'ignoranza del vero fine dell'Eneide
Ila fat- to cadere i Critici in diversi errori poco onore- voli a VIRGILIO,
non solo intorno al piano ed al lavoro del silo Poema, nia intorno al
carattere venerazione profonda agii Dei hanno tanto offe- so
r Ememont scrittore celebre Francese, che b& detto essere questo
Ero e più proprio a fondare una Religione, che uoa Monarchia, Ma non
ha saputo, che nel carattere di ENEA Ila voluto rappresentare
un perfetto legislatore ebbe saputo ancora che ufficio de'
legislatori era non meno stabilire una Religione, che
fondare uno Stato. E sott» qaeita doppia idea VIRGILIO rappresenta
ENEA InferTtttjue Dras Lalla Eoe"!- Uh I. veri. j>.
io. ti «ostro Critico egualmente li offende dell' umanità di ENEA,
dia della tua pietà. Elift consiile, secondo lui, in una grande facilità
piangere, ma egli non ha intesa la Ltlk-zzatì questa parte del suo
carattere. Per dare l'idea ài un legislatore perfetto, bisogna
rappresentarlo penetrato da sentimenti di umanità. Era tanto piil
necessario dare un simile «empio, quanto vediamo per isperienza, che i
politici del comune sono troppo spogliati .di qaciti untimi:!!- ti.
Questo punto di vista, lotto coi rappresentiamo L’ENEIDE serve a giustificare
gli altri caratteri, che metti! in iscena il Poeta. Il dotto Autor delle
ricerche sulla vita» e sugli acrlr- tì di Omero mi permetterà di avere
una opinion ne diversa dalla sua riguardo alla uniformità de caratteri,
che regna nell'ENEIDE. Io la tengo per effetto di un premeditato disegno,
non già di costume e di abito. VIRGILIO, dio' egli, era avvezzo allo
splendor della corte, alla magnificenza di un palazzo, alla pompa di un equi-,,
paggio reale .rizioni di que- „ ala aorte di vita io» più magnifiche e
più nobili di quelle di Omero. Egli osserva già la decenza, e
quelle maniere polite, che reit- „ dono un uomo tempre eguale a se stesso,
e „ rappresenta tutti i personaggi, che si rasromigliano nella loro
condotta, e nelle loro maniere. Ma poiché l'Eneide è un sistema di
politica, e che la dui azione eterna di uno Stato, la forma della magistratura,
ed il piano del governo erano, come lenimmo osserva questa
bi |9 giudicioso «rittore, con famigliari al fotta, niente più
conveniva al suo disegno, quanto descrivere costumi politici.
Imperciocché ufficio di un legislatore È rendere gli uomini dolci
ed umani i e se non pub obbligarli a rinunciare inera mente a' loro
selvaggi costumi, impiegarli al* nieno a coprirli. Questa chiave dell'
Eneide non solo serve 1 piegare molli passi, che pajono soggetti
alla Critica, ma a discoprir la bellezza di un gran numero
d'incidenti, che nel corso del Poema s'incontrano. Prima di finire questo
articolo mi si permetta di osservare, che questa è la seconda specie (Jet
Poema Ippico. Il nostro compatriota il gran Milton ha prodotta la terza,
perchè, come VIRGILIO tenta di sorpassare Omero, Milton volle sorpassar
tutti e due . Egli trovò Omero in pos- sesso della morale, e VIRGILIO
della politica. A (ui restava, solo la Religione . figli prese
questo oggetto, come se avesse voluto con (oro dividere il governo dei mondo poetico, e per mezzo
della dignità, e della eccellenza del suo soggetto si mise alla testa di questo
triumvirato, prr formare il quale vi vollero tanti secoli. Ecco Ì tre
°eneri del Poema epico il soggetto generalm-'te parlando è la condotta
dell'uomo, che si può considerare riguardo alla Morale, alla Politira, e
alla Religione. Omero, Virgilio, « Milton hanno ciascun di loro inventata
la specie . eh - è sua particolare e l'hanno portata dal primo saggio
alla perfezione, cosiceli* è irapoi. Il libile inventare altro
di nuoro nel genere Epico. Supposto adunque, die l'Eneide rappresenti la
condotta degli antichi legislatori, non può credersi che un maestro così
perito, corno VIRGILIO, potesse dimenticarsi un dogma, eli' era il
fondamento ed il sostegno della politica, Cioè il dogma de' premìi e
delle pene nell'altra Vita. Quindi veggiamo, eli' egli ce he ha dato
uh completo sistema ad imitazione di quelli, ch'egli h» presi per
esemplari i come Platone: nella »U alone di Ero, e CICERONE NEL SOGNO DI
SCIPIONE. E come il legislatore cercava di dar [teso a questo dogma con
una istituzione affatto straor- dinaria, in cui rappresentati lo stato
de' morti in uno spettacolo pieno di pompa; cosi la de- tenzione di
tale spettacolo poteva dare molta grazia e bellezza al Poema. La pompa e
la se lennità di queste rappresentazioni doveva natii* ralulente
invitare il Poeta a descrìverle, trovan* do in ciò occasione di mettere
in opera tut- ti gli ornamenti della poesia. Io dico dunque t
Senteii 1» spirilo di pitti» che pirli i un Iniiino non pu- tirebbe al Warburton
per buone rune quello proposi noni riguirl do al Milena ; direbbe egli
quindi, col cometuo de' piti meni fiati Critici, il rrtxo bega lil
immuriate suo Taiio, che n-olio primi del Milton prese a soggetto il
vcrti Religione ; ne dlipiiindo le posta rigore) intente il Poeta In^lett tra
gli Epici tlii- •ificarsi, iccorderebbegli di buon cuore il quarto luugu
come a quellu, il quale secondo che ilice Ugone Bliir " ha calcita
una «rida del culto nuova a straordinaria N. D. E. ch'egli la ha
fatto, « che la distesa di Ehm all' Inferno non e altro, che una
rappresenta- jione enigmatica della sua iniziazione a' miste-
ri» Eia disegno di VIRGILIO dare nella persona di ENEA l'
idea di un legislatore perfetto. L' iniziazioni' a' mUterij rendeva sacro il
carattere di un legislatore, e ne santificava le funzioni. Non è da
stupirli ebe dì proprio tuo esempio volete nobilitare una istituzione, di cui
egli stesso era l' autore i e perciò sono «tati iniziati tutti gli
antichi Eroi e Legislatori. Fintantoché i miiterìi non aveano
passato an- noia l'Egitto, dove erano nati, e che cola andavano per
essere iniziati i Greci legislatori, è cosa naturale, che di questa
cerimonia non li parlasse, se non in termini pomposi ed allegorici. A Ciò
contribuiva parte la natura dei costumi degli Egiziani, parte il
carattere dei viaggiatori j ma sopra tutto la politica de 1 legislativi,
i quali ritornando al paese volevano infivilii e un popolo selvatico, e
giudicavano per se «tessi vantaggioso, e necessario pel popolo
parlare della loro iniziazione, in cui lo stato de' morti era stato Joro
rappresentato in Spetta- tolo, come di una vera discesa all'Inferno. Cosi
fecero Orfeo, Bacco, ed altri. Continuò a praticarsi questa maniera di
parlare anche dap- poiché furono introdotti in Grecia i mìsterii»
come vedesi nelle /avole di Ercole, di Tese* discesi aiT Inferno . Ma
peli' allegoria eravi sem- pre qualche cosa, che discopriva ]a verità
na- ccsitt (otta gli emblemi. Così per esempio di. cerati di Orfeo,
che disceso era ali 1 Inferno pei meno della sua cetra:
Tbrticta frctus cythara, fidì&utJUI Cancri s Il clie moitra ad
evidenza, ch'era in qualità di legislatore, perchè si sa che li cetra È
il tirar bolo delle leggi, per meno delle quali rese cir lite un
popolo grossolano e barbaro . Nella fa- vola di Ercole reggiamo la storia
vera unita al- la favola nata da quella, e intendiamo ch'egli
veramente fu iniziato ne' mister» Eleusini im- mediata Diente prima della
sua undecima fatica, clic fu il levare Cerbero dall' inferno; e lo
Scoliate di Omero ci espone, che il fine di questa iniziazione era
preservarlo da disgrazia in questi impresa pericolosa. Pare, che Euripide
ed Aristofane confermino la nostra, opinione della di- scesa all' Inferno.
Euripide Bel suo Ercole Furioso rappresenta questo Eroe di ritorno
dall'In- ferno per soccorrere la sui famiglia : eslermina il
tiranno Leuco; Giunone per vendicarsi lo fi perseguitar dalle furie, e
nei suo furore egri uccide sua moglie, ed i suoi figliuoli presili
per nemici. Ritornato in se stesso, Tese suo amico lo consola, e lo scusa
cogli «empii scellera- ti degli Dei, il che incoraggi va gli uomini
a commettere i più gravi eccessi ; e questa opi- nioni: cercatati
di abolire ne' misteri), scoprendo la falsità del Politeismo. Ora egli è
chiaro Eoeiu. Lib. VI. vcrs.uo. 6 i abbastanza, eh'
Euripide ha rollilo farci sapere coia egli pensasse della favolosa
discesa all' In- ferno, quando fa risponder Ercole, come un nomo
die ritorna dalla celebrazione de' misteri!, a cai sicnsi confidati i
segreti. " Gl’esempii degli Dei, che voi mi citate, egli dice, niente
significano: io non saprei crederli rei delle 4> colpe, che loro
vengono imputate . Non potso intendere come un Dio sia sopra un altro Dio.
Rigettiamo adunque le favole ridicole, „ che ci raccontano i Poeti itegli
Dei „Aristofane nelle Rane apertamente palesa ciò, che intendeva per la
discesa degli antichi all' Infer- no nell'equipaggio, che da a Bacco,
quando lo introduce a ricercare della strada tenuta da Ercole: sul qnal
fatto lo Scoliaste c' insegna, che cel celebrarti i mister» Eleusini
usavasi di far portare dagli asini le cose bisognevoli per que- sta
cerimonia. Quindi nacqne il proverbio: dsi- nus portat mysteria. Il poeta
dunque introduce fiacco col suo bastone seguitato da Janzio mon-
tato sul!' asino con nn fardello ; e perche non si dubiti del suo disegno,
avendo Ercole a Bacco detto che gli abitatori dei campi Elisiì son
gli iniziati, Janzto risponde: " Io fono 1' asino, che porta i
misterii Ecco dunque come riguardo a molte favole antiche l'espressioni
sublimi e magnifiche nel parlar de' misteri! hanno persuaso alla
credula posterità, che là dentro vi fosse un non so che di
miracoloso . Nè dee maravigliarsi, che ne' tem- pi antichi n
compiacessero d'esprimere con uno stile il più straordinario le cose più.
ordinarie; a5 poiché un Autor moderno, come Apukjo,
6 per imitar gli antichi, o per accomodarsi allo itile solito de 1
misterii descrive nel fine del Li- tro II. la sua iniziazione: decessi
confittium mortis, t> calcato Proserpina limine per omnia veSus
dementa remeavi . NoSe media vidi So~ lem candido coruscantem lamine,
Dcos Inferos é> lieos supero:, accessi corani t> adoravi de
proLìmo. Enea non avrebbe potuto descrivere con altri termini il ino
viaggio notturno dopo che fu fatto uscire per la porta a Avorio. È
•tato dunque obbligato VIRGILIO a fare iniziare il suo Eroe," e la
favolosa, antichità gli sugge- riva di chiamare distesa all'Inferno
questa ini- ziazione . Di questo vantaggio ha saputo profit- tale
con molto giudicio, poiché questa funzione anima tutta la sua favola, che
seni» questa al- legoria sarebbe troppo fredda per un Poema
Epico. Se avessimo ancora un antico poema attribui- to ad Orfeo, e
intitolato discesa all' Inferno t forse vedremmo clic il soggetto di esso
era sem- plicemente l'iniziazione di Orfeo, e che il (let- to ha
somministrata a VIRGILIO l'idea del VI. libro della sua ENEIDE. Checchi;
ne sia, Servio ha ben compreso il fine di questo Poeta, osser-
vando contenti-visi molte cose prese dalla pro- fonda scienza de' Teologi
d'Egitto: Multa per altam scientiam Theologicorum jEgyptiorum j ì
quali hanno inventati i dogmi, die insegnavan- i ne' misterii . Con dire
che questo era il dise- gno principale del Poeta, io non pretendo
assi- curare, ch'egli abbia avuta altra guida, fuor che se
medesimo. Egli ha presi da Omero mot- ti ile' suoi Episodi!, t da
Piatane, «me ce- drassi. L' iniziato aveva un conduttore
chiamato Jc- tofanta Mistagogo, il quale uomo o donna che fosse,
gì' insegnava le ceremonie preparatorie, lo conduceva allo spettacolo
misterioso, e glie- ne spiegava le parti diverse. VIRGILIO ha data
ad ENEA la Sibilla per conduttrice, e la chiama Vatet, magna Sacerdos,
edoàa carnet; e sic. come il Mistagogo doveva viver celibe come Girolamo
ossei va de Monogamìa Sierophanta «pud Alkenas evitat i-irum, t>
sterna debilita- te fit costui ; cosi la Sibilla Cu man a non era
maritata . Il primo comando, che ad Enea dà la Pro- fetessa è
di cercare IL RAMO D’ORO: 1 Annui et folth, et lento vimini ramiti
Junanì ìnferne di&ut tactr. Di questa particolarità Servio non sa come
ren- dere ragione, c s'immagina che forse il poeta alluda ad un
albero, eh' era in mezzo al sacro bosco del Tempio dì Diana in Grecia.
Quando un fuggitivo si era colà ricoverato, e poteva svellere un
ramo di quel!' albero gelosamente cu- stodito da' Sacerdoti, egli aveva
l'onore di bat- tersi con un di loro a colpi di pugno, e le gli
riusciva di superarlo, veniva ad occupare il su* posto . Questa
spiegazione, quantunque troppo lontana dal soggetto, fu dopo Servio
ammessa di emìa Uh «Lvm.fj7.iit. 10 mancanza d'altra
migliora dall'Abate Banier 11 migliore interprete delle favole
antiche. Ma io penso che questo ramo rappresenti la corona di mirti,
di cui, secondo lo Scoliaste d' Aristo, fané nelle Rane, ornavansi gì'
iniziati nella celebraiion de' misteri!. Primieramente perchè di- ce, che
il ramo d'oro è consecrato a Proserpi» ni, «da lei era pure consecrato il
mirto. In tutta questa favola si parla solo di Proserpina, e niente
di Cerere, e perchè si descrive V iniziazione come un'attuale discesa
all'Inferno, e perchè quantunque nella celebrazione delle Cere*
uionie misteriose s'invocasse anzi Cerere, eh Proierpina, questa però
sola presiedeva agli spet- tacoli, ed il libro VI. dell' Eneide non
contie- ne, se non la descrizione degli spettacoli rap- presentati
ne' misterii . In secondo luogo la qua- lità pieghevole di questo ramo d
1 oro, lento vi- mine, rappresenta benissimo i teneri rami del
mirto. In terzo luogo sono le colombe di Venere quelle, che dirigono Enea verso
1' albero : dum maxima] ècroi Matctnas agnoicit avei .
. Esse volano verso l'albero, vi si fermano corner se fossero avvezzate.
L'albero apparteneva alla famiglia, questo era il sito, ove posavano
eoa piacere, perchè il mirto era consecrato a Venere :
Sedìbut optati s gemina mfer arbore sederti (r) Eneid. Lib. VI. veri. (») 1. e.
ver». *oj. Ma iti qtleHo passo trovasi ancor più di lellez- ?a e di
aggi urtai ez za di quello elle a prima vi- sta apparisca . Imperciocché
non solamente il mirto era sacro a Proserpina, come insegna Por- firio
lib. IV. de abstinentia, egualmente che a Venere; ma le colombe erano
sacre ancora a Proserpina . Preso eh' ebbe il ramo e
coronatosi di mir- to, Enea entra nella grotta della Sibilla : Et
vath portai sub nBa Syèìllé (t). E ciò dinotava l'iniziazione a 1
piccioli ttìttèruf poiché nella Orazione XII. insegna Dico Grisotomo, che
facevasi in una . piccioli e stretta cappella come può supporti la grotta
della Si- lilla. GH iniziati he' piccioli misteri! cViiamavansi
Misi ce . Poscia la Sibilla conduce linea al sito d'onde doveva scendere
all'Inferno: Hit iBìs propen extquhuT practpta SyBilla (ij.
Ciò significa l'iniziazione he' gran misteri i, pi" iniziati
de' quali chiamavansi Epopta . Questa iniziazione fassi di notte . Il
luogo simile a quel- lo, dove Dione dice, che celebravansi t gran
disteni, è un Duomo mistico di una grandez- za e di una magnificenza
maravigli osa : Spttttnca alia fuìt, vasloqut immotili blatH
Scrupia, tuia iecu nigre nmorkmqtu ttntbrit (j) Ecco come descrive)!
l'accoglimento fatto ai ENEA {Sub pedièus mugire niam, et fuga tapt*
moviji Silvarum, vistque canti ululare per umbram, Adottami* Dia .
Procul o procul M profani, Conclamai Vaiti, loloquc abiliti" 'uro
(l) . Claudiano fa un» descrizione semplice t senza artificio
del principio di queste formidabili ce-> remonie, da cui apparisce,
questa di Virgilio essere un'esatta descrizione dell'aprirti U
scena de' misteri! E-li sul principio del Libro I. del
rapimento di Proserpina imita la sorpresa e lo stordimento di nn
iniziato, e gettasi, per eoli dire, corno U Sibilla in mezzo alla
scena: furint aniro je imnhtit, aperto Grtssui ttmiruttt profani..
Egli sgrida come estatico ; Jam furor bumanos nostro de
pt8ere reiuut Expulit Jam mibi ctrminiur (rtpidit delubro
movirt Sedibts, O elaram dispergere fulmina tutti*, .y Adoemum
testala Dei.- fam maga*! ab imìi Auditur fremitus Irrris templumque
remugit Cecropidum; sanBasque faets extdlit Eleusu, pingue,
Triptotemi stridunt et squammea curva {il Enrid. lib. VI. mi». >5i>
e segg. <>) l «• »** <(J Cluni, lib. L vets. 4. Colla
kvma.. (l) Ecce frocul ternij Utente variata figuri? Ex»h*r
(1) Molto lene s* accordano queste dae descrizioni con
Je relazioni degli antichi Greci autori in tal propolito, se considerali
l'idea generale da- taci da Dione nell'orazione XII. cori queste
pa- role : " Coi) succede allorché conducesi un Gre*,, co od un
Barbaro per essere iniziato in un certo Duomo mistico di grandezza
e di mignificenza mirabile, dov' egli vede varii spettacoli mistici, e lente
nello stesso tempo una „ moltitudine di voci, dove la luce e le
tene- „ bre alternativamente appariscono ad eccitare vajii
movimenti ne' sensi di lui, c dove gli „ si presentano dinanzi mille
altre cose atraor- Quelle parole viso canes ululare per
umbram fono chiaramente spiegate da Platone ne' suoi acolii sopra
gli oracoli di Zoroaitro. Questo è „ l'uso, dic'egli, nella celebrazione
de' misterii, di presentare dinanzi gli Iniziati de' fati- „ tasmi sotto
la figura di cani e d' altre Torme e visioni mostruose. Le parole procul o
procul este profani della Sibilla sono una ietterai traduzione del
formolafio uiitàto dal Mlstagogo nell'apertura de'tniiterìi ;,'s-ti
Bt'faha e!«d. rie lUp. Prwnp. Hb. L Vm.
J. fte. (i) lo iteti, v. if. L* Sibilla dice ad ENEA, che «'armi di
tutto il suo coraggio per avere a muoversi a combat- tere contro i
più spaventevoli ©Igeili ; Tuqtu invidi vtam, -uagindqu,,rip t
fammi JVW aaìmh opus, Mm«, nunc pefore firmo (i). E infatti
troviamo ben presto l'Eroe impegnato in un combattimento: Carripit
bic tubila inpidus fm-mìdine firmm JEnts, tniSamque acitm wniintib** ofcn
(2). . Tale appunto ci rappresentano gli Anticlù l'ini- ziato nel
principio deJle ceremonie . " Entrando „ net Duomo mistico, dice
Témistio Oration. in. „ Pattern, si riempie di spavento e di
orrore, „ ed il suo animo ha occupato daila inquietu- „ dine e dal
timore. Egli non può avamara „ un sol passo, e non «a come entrare nel
di- „ ritto cammino che lo conduce al luogo, dc-i „ ve vuol
arrivare finoattantocliè il Profeta '(Vaies) 0 il condottiero apra il vestibolo
del „ Tempio,,. Proclo sovra Platone PhxA. libr. III. e XVIII. dice;
" Come ne* santissimi misterii „ prima che si apra la scena delle
mistiche fun- « lioni, l'anima déH'iniiiato I .orpreaa da spa- „
vento } eoil ec. t j Poco dopo si spiega la cagione dello spaven- to di
Enea, e lo vediamo involto fra tanti ma- li reali e immaginari» di questi
vita, e di tut- te le malattie dello spirito e del corpo e dì (>
E«i4 Lib. VL vtrs. >*•. Ut. (», L a *n. „ 0. «1. tutte le
terribile! visu forma de' Centauri, del* ]e Sciite, delle Chimere, delle
Gorgoni e delle Arpie- Ecco ciò che Platone chiama nel luogo eitato
c'Mo'kot* t»'( fiopeaV e«^t«V(/«t* forme e vi- (ioni mostruose, che
vedevansi peli' i egre sjo de* ju i steri i . Celso, come nel vero libro
IV. scrive pcntro di lui Origine, dice, che i fantasmi me- desimi
si presentavano nelle cerimonie di Bac- co. Secondo Virgilio
incontravansi nell'entrata Vestibulum ante ìpmm, e c'insegna
Temistio che il vestibolo del Tempio era il Teatro di fante visioni
orribili vi tì?*t* Teff ««off. Interrom- pe il Poeta la sua narrazione
nel)' aprirsi di que- sta scena, e quasi volesse fare solennemente
la propria apologia, grida; Di, quibus imperium est animrrum
umbraque siteniei Et ebani et pbiegetbon teca noEle liltntia tate,
Sh mibì fas nudità hquì, ih nuvnìnt vtitro Pandcre rei alta ttrra et rsligine
menai Egli sapeva d'impiegarsi in una impresa empia, poiché tale
credevasi la rivelazion de'misterìi. Ciaudiano nel «ovracìlato Poema dove
apertamen- te confessa di trattare de' mister» Eleusini in tempo,
in cui più non erano in venerazione, fegue perù l'uso antico, e cosi si
scusa; Di quib«, ìmmnm (*) Voi mibi sacrarum penetrati*
paudìte rerum, Et vestii secreta pali, qua lampade
Dìtem FU- (i) Elisili. Lib. VI. v«n. :Ó4. c segg, IO Ciani Lib.
J. veri. »g, Fitti t amor, quo duBa ftroV Prostrpina taptu Peiltdit
dolale cbaos, quantasqu* per oras Sollicito gtrtttrì» erraverit ansia
turiu, linde dai* papali s fruga, et glandi TtliSa Ceutrit invintii
Dodonia qusrcui ariitii (l) . Se in Roma con tanta severità si fosse
punita la rivelazion de' misteri!, come facevaai in Gre- cia, non
avrebbe oiato Virgilio scrivere questa portimi di Poema. Come per6
trattavasì da em- pio, al dir di Svetonìo nella vita di Augu- sto
C. xeni., quello ebe rivelava i misterii, Vir- gilio lo fa di nascosto e
nel tempo stesso si giù- sii Rea presso coloro che potessero penetrare
il suo disegno. Intanto l'Eroe e la guida conti- ptiano il loro
viaggio: l lbant obscuri sala sub naBt per umbram Perque demos
Ditis vacuas et inania regna; Quale per ìnctrtam luna-m sub luce
maligna Est iier in lilvis, ubi ectlum condidìt umbra Jupiier, et rebus
nox abslulit atra colorem (2). Questa descrizione mi fa sovvenire
dì un passo di Luciano nel suo dialogo n/pivw. e del Tiranno. Andando
insieme all' altro mondo una compagnia dì persone di condizioni diverse,
Mi- cillo grida: " Ah! come qui e oscuro I Dov'à il bel
Nagillo! Chi distingue adesso la belleiza di Simiche e di Prine? Tntto qui
ras- „ somigliasi: tutto è dello stesso colore, non li possono fare
confronti. Lo stesso mio vecchia Citai. 1, c veti. 1;. te. Eneìd. lib. VI.
veri. mantello, che si Imito tra a vedere, adesso „ è tanto bello,
quarto la porpora di sua Maetà, eh' è qui in nostra compagnia. In verità
„ 1" un e l'altra tono svaniti ai nostri occhi, e,, nascosi sotto lo
stesso velo. Ma amico Cinico dove sei? Dammi la mano. Tu che sei iniziato
ne' misterii Eleusini, dimmi un poco: non rassomiglia questo al viaggio,
che facesti all'oscuro? Cìnico: Oh affatto affatto . Guarda una delle
furie che -viene dal di lui seguito con le torcia accese in mano e col
suo terribile sguardo. Giunto linea in sulle rive di Cocito stupisco
in vedere tante ombre erranti intorno di questo £ume, è in atto d'
impazientarsi perchè non vengono tragittate, e intende dalla sua
condut- trice, esser quelle ombre di persone insepolte, e perciò
condannate a errar qua e là sulle spon- de del nume per lo spazio di
cent'anni prima di poterlo passare: H*C cmnis i guani cernili
inopi inhumataqul turba m Portitor Hit Ciana; hi, quo: tithit unda,
irpulii, Net rlpai dal tir horrtndas, ntc rauca fiutila
Transportart prius, quam ssdibui oisa quierunt; Ctmsm trranr annui,
volitantqui hxc litiora circitm, Tum demum admìiii stagna txopiata
revhunt. Ni crediamo, che quest'antica nozione sia sta- ta del volgo
superstizioso: ella è una delle in- venzioni più serie defili antichi
Legislatori dì W EneiA Lib, VL vus. jjj. « ssg^. «ver saputo
imprimere qnesta idea nello spirito dei popolo. Ma può dubitarli, .che
loro non debba attribuirsi, poiché viene dagli Egiziani. Questi gran
maestri di sapienza pensarono, dia mollo giovasse alla sicurezza de' loro
cittadini la pubblica e solenne sepoltura de' morti, senza di che
facilmente e impunemente si potevano rem' mettere mille secreti omioidii
. Quindi introdussero il costarne de' pubblici funerali e pomposi C'insegnano
Erodoto e Disdoro di Sicilia, che l'esequie si facevano presso gli
Egiziani con più ceremonie di quello che si masse da altri popoli. Ma per
più assicurarne l'usanza con un mo- tivo di Religione oltre quel del
costume, inse- gnavano al popolo, che i morti non potevano giungere
al luogo del loro riposo nel!' altro mon- do prima-che in questo non
fosseio. loro fatti gli onori del funerale j la qual condizione
deva per necessità aver portati gli uomini ad osser- vare
seriamente tutte le ceremonie dei funerali. Con che il legislatore
otteneva il- ano intento, ch'era la sicurezza del suo popolo. Questa
no- zione si sparse tanto e tanto profondamente s'im- presse nello
spirito degli uomini, che queJtoj che di essenziale vi era in questa
sop^tizione si conservato sino al presente nella maggior parte
delle genti colte . Se ben si ridette, ì) avvi una cosa, la quale ben dimostra
di quanta importanza credevano gli antichi che fosse ìa se- poltura
de'morti. Omero, 5ofocle ed Euripide sono senza dubbio i più gran Poeti
tra Greei. Ora, secondo l' osservazione de'C/itici, nell'Iliade, nell'
Ajace, e ne' Fonici I trovasi una viaio sa crjnlinnazion della favoli, e le
vien retta I' uniti dell'azione colla celebrazione dt' funerali ài
Patroclo, di Ajace, e di Polinice . Ma non rifl: -l'ino questi Critici
elle gli antichi risguar. davano l'isequie. come una parte
inseparabile delia tocidì, e della morte di un uomo. Quin- di
qu'.aii gran Maestri, dell'unità e del dovere non potevano erodere finita
l'azione, prima che non si l'ossero compiuti gli ultimi doveri
verso oVmnrti 11 legislatore degli Egiziani trovò un altra
vantaggio in questa opinione dtl popolo sulla, necessità de' funerali pel
riposo de' morti, ed era di dare un castigo a' debitori, che non
pa- gavano, da cui nasceva alla società un consi- derabile
vantaggio. Imperciorrhe invece di seppellir vivi i debitori che non pagavano,
come generalmente si usava tra barbari, gli Egizii, popolo colto ed
umano, fecero una legge, che comandava di lasciare insepolti i cadaveri
di questi debitori, Si noi sappiamo dalla storia che il terrore di
questo castigo produsse l'effetto, che bramavano. Pare elle siasi ingannato
il Mar- sliani nella sess. IV. §. III. del suo Catone Cronico, supponendo
che questo divieto di seppellire avesse dato luogo alla opinione de' Greci,
i quali credevano ch'errassero qua e là gli spiriti degli insepolti
mila terra. Laddove la natura stessa della cosa dimostra chiaramente la
legge essere fondata su questa opinione, ch'ebbe la sua origine
dall'Egitto, e non l'opinione sulla, legge, essendo questa opinione la
cosa sola, chej alla legge dai- potesse qualche autorità. Ché Se il
Poeta non avesse creduta la cosa tanto importante, egli non vi si sarebbe
coti lungo tempo fermato, non l'avrebbe di poi ri- petuta, non
l'avrebbe espressa con tanta fot**) nè avrebbe rappresentato il suo Eroe
pensoso « sommamente attento alla medesima: Cunstitit Aitcèisa
satuj, Gf vestigi» pressi: Multa putans, (aggiunge) sarttmquc animo
miseratiti iniquam. Il pass» è commentato da SERVIO: Iniqua enini
sors est puniri propter alteriut negligentiam ; nequé enim juìs culpa sua
caret sepulcto Qua 1 le ingiustizia-' dice qui Mr. Bayle. Jn una risposta
alle ricerche di un Provinciale toni. IV. Gap. KXir. Era forse colpa di
quelle anime ella non fossero sotterrati i loro corpi? Ma non sa'
pendo l'origine di questa opinione, non ne ba saputo l'uso, e perciò egli
attribuisce a super- stizione 1' effetto di una savia politica. VIRGILIO colle
pai-ole Sortem itllquatn intende, che in que-» sta civile istituzione,
come in molte altre, un bene generale sovente diventa un male per
un particolare. Alle rive di Cucilo vedevasi Carolile con la sua
barca. Sono persuasi tutti i dotti, che costui era veramente un Egiziano
esistente in car- ne ed ossa. Gli Egiziani non men degli altri
popoli nelle descrizioni delle cose . dell' altro mon- do prendevano
l'idea delle eose di questo fami. £0 Mi Lib. VI. TOt.|ii.jia. jlìari .
Nelle fero funebri ccteinonie, che pres- so loro erano *di maggiore
importanza che pres- so le altre nazioni, come osservammo, usavano
ai trasportare i corpi dall'altra parte del Nilo per la palude, ossia
lago Acberonzio, e niettevansi incerte, volte sotterranee. Nella loro
lin- gua il barcaiuolo chiamaTaii Caronte. Ora nel- le descrizioni
dell' altro mondo, clic facevano ne' loro miiterii, era cosa molto
naturale prender l'idea da ciò, che faceva*! nelle ceremonie fu-
nerali . Sarebbe facile il provare, quando bisognane, clie gli Egiziani
cambiarono in favole queste cose reali, e non già i Gxeci, come ta-
luni hanno pensato. Passato ch'ebbe il fiume, Enea si trova nel- la
regione de' morti : il primo incontro spaven-toso se e il Cerbero : Hit
ingens latrata regna tri tauri Personal, adversa ricuBans immani s in
entro. Questo veramente è \\ fantasma dei misteri!, che sotto il detto
del sovrastato Catane appari- va sotto la figura di un catte kWì* ; e
nella fa- vola di Ercole sceso all'Inferno, che altro non
significa, se non la tua iniziazione a' ni i steri i, si dice ch'egli
andò all'Inferno per di là con- durne Cerbero. La region dell'Inferno era
divi- sa in tre parti secondo Virgilio: il Purgatorio, l'Inferno, e
i Campi Eliti i . Dcifobo, ch'era nel Purgatorio dice ;
Ditcedam, txpltèo numeram ttddaraue ìimbris (l) . (i) Eneid lib.
VI. veri. 417. 4l 8. L e. T«t. j«- Di Teseo ch'i nel fecondo si
dice: itdit alirrji<mqiit stdtbit Infcl.x TitJtUt
(l). Nei misteri! queste regioni erano precisamente divise
nella stessa maniera. Platone nel Fedone parla delle anime, che sono
sepolte nel fango e nelle sozzure, e che devono stare nel fan-o e
nelle tenebre fino a che si purificano per un lungo corso di anni, come
qui insegna Virgilio . E Celso, come nel libro Vili, riferisce
Orio- ne, dice che ne' misterii inseguavasi la eternità delle
pene. Ciò, che qui merita osservazione e che mol- to serve al
disegno presente si È che le virtù e i vizj annoverati dal Poeta, e che
popolano que- ste tre regioni sona precisamente quelli, ch« hanno
più relazione alla società. Quindi bene scorgesi che Virgilio aveva le
stesse mire, eh' eh- bero ne' mìsterii gli institntorì. Il
Purgatorio, eh' è la prima, divisione è po- polato da quelli, che hanno
uccisi se «essi, dagli stravaganti innamorati, da' viziosi guerrie-
ri, in una parola da quelli, che lasciato libero il corso alle loro
violenti passioni erano piutto- sto infelici, che sfortunati. E notisi
che tra questi trovasi un iniziato. Ctrtrìqut sacrum Volybettn Insegnavasi
pubblicamente ne' misteri;, che sen- za la virtù, l'iniziazione a nulla
serviva; lad- EmiA lib. vL tot. t,j. <„ 1. e. dove gli
iniziati, che attaccatami alla pratica delle virtù avevano nell 1 altra
vita molti vantag- gi sopra gli altri. Di tutti i disordini, che li
puniscono nel Purgatorio, niuno più pernicioso alla società dell'omicidio
di se medesimo. Quindi la condizione infelice di tutti questi omicidi si
nota più distesamente di tutte le altre: Prima dande trneni matti
(net, qui liii Ittbum liticarti peperere menu, iucemqia pittisi
Projicirt animai . Quam vtllenc ctètre in alta Nunc et paupiriem, et dumi
per/erre- labore: Prosegue esattamente il Poeta cib, che insegna- tasi
ne' mister», dove -non solo proibì vasi il dar la morte a «e stesso, ma
spiegatasi ancora la cagione di questa colpa . I discorsi, che ci
ven- gono fatti continuamente nelle ceremonie, e uè 1 tuisterii,
dtCe Platone nel Fedone, che Iddio ci ha messi in questa vita, come in un
posto, che senza di fui permissione non dobbiamo giammai abbandonare,
possono essere troppo difficili per noi a sorpassare la nostra
capacità. Tutto va bene sin qui. Ma che diremo dei fanciulli
e degli uomini condannati ingiustamen- te, che il Poeta mette nel
Purgatorio T Non è così facile Io spiegare, perchè colà sieno
queste due sorta dì persone, e lì commentatori taciotio al solito
su questo soggetto. Se consideriamo il caso de' fanciulli vedremo
impossibile renderne la ragione, se non con questo sistema. Eneid. Lib.
VX Tcn, 414. e «gg- il Contìnua anditi vocei, vagilài et ingerii
Infamumque anime fieniej in limine primo ; Quqi dulcit vile exorlis, et ali
ubere rapini Abstulh atra dies, et funere menit acerba. Queste par
che {onero le grida e le lamentazio- ni che Procolo nel Litro X. della
Repubblica di Fiatone, dice che sentivansi ne' misteri! Bisogna solamente
indagare l'origine di una si straordinaria opinione. Io credo, che questa sia
un’altra institniione elei legislatore destinata alla conservazione de’ fanciulli,
come 1’institurioni de’ funerali è destinata alla conservazione de’ padri-
Niuna cosa poteva più impegnare i pa. dii nella cura della vita de* loro
figliuoli, <ju au- to questa terribile dottrina. Né si dica, che
l'amore de'padrì è per se stesso bastevolmente possente, e non ha bisogno
di nuovi motivi, che loro suggeriscano di conservare ì loro figliuoli. Si
sa che l'uso orribile e contro natura di esporre ì figliuoli era tra gli
antichi universalmente stabilito, ed aveva questo del tatto svelti dal
cuore i sentimenti di natura, e quel- li ancora della morale. Bisognava a
questo disordine opporre un forte riparo ed io nino persuaso che i magistrati
abbiano usato questo artificio di far credere nel Purgatorio i fanciulli
jnortì in tenera età per islabilire l' instiluto e ravvivare ì naturali
sentimenti, ch'erano quasi «tìnti . In fatti niuna cosa era più degna
della (ij Eneìi Lib. VL Ven, ^t, e Kg*. vigilanza de'
t»agistr*ti ; poiché, cerne saggia- jneuta dice Pericle della
gioventù " distruggere i fanciulli è lo stesso che togliere
dall'anno la primavera. Qui pure scandalezzas'i Mr. Bayle nel luogo
addotto di sopra La prima cosa, die* egli, die incontratasi
nell'ingresso dell'Inferno era il luogo de'fancinlli elle continuaniente
piangevano, e poi quello delle persone ingiustamente condannate a morte. Clic
liawi di più. irragionevole e scandaloso, s, quanto la pena di queste
picciole creature, che non avevano commesso ancora peccato alcuno, e la
pena di quelli, l'innocenza dei quali era stata oppressa dalla calunnia ?
Ab- biamo spiegato ciò die risguarda i fanciulli, esamineremo il.
restante dell'obbiezione . Ma non è da stupirsi che il Bayle non abbia
potuto digerire questa dottrina intorno a' fanciulli, imperciocché forse il
gran Platone medesimo se n'è scandaleizato. Riferendo *gli nel X.
della Repubblica la visione di Ero di Panfili* intorno la
distribuzione de' castighi e de' prernii dell'air tra vita, quando arriva
a parlare de'Ia condir zione de' fanciulli j s'esprime in questa
maniera ben degna da osservarsi : " Ma riguardo a quel?,, li, cha
rouojono in tenera età, Ero diceva cose che non meritavano d'essere
ricordale. Il racconto di quanto tiro vide nel]' altro mon- do è un
compendio di quanto gli Egiziani insegnano in questo proposito, a non
dui»'» punto che la dottrina de' fanciulli nel Purgatorio fosse ciò che
non meritasse essere ricordato . Piatone se ne offese, perchè non
riflettè sulla •ligio*, sull'uso «ti questa dottrina, come lo
abbiamo «piegato. Bisogna cercare un'altra soluzioni; per quelli
clic ingiustamente erano condannati, a questa k la Maggior difficolta
dall'Eneide.- lini juxia falso damnati crimine morti i . JW
viro bit line soni d*t*, irne judiee icdts : Quciitor Mimi uraam tnmet :
Me sihntum 'Concilittmque -uoeat, vitaique et elimina discìt. Sembra
queata essa una gran confusione ed una grande ingiustizia. Quelli che
sono ingiustamen- te condannati non solo trovatisi in un luogo di
pene, ma dopo essere tutti rappreientati «otto la medesima idea sono
poscia distinti in due classi, 1' una da' colpevoli e l'altra
d'innocen- ti. Per inviluppare questa difficoltà bisogna ri-
cordarsi la vecchia storia riportata da Platone nel Gorgia. Al tempo di
Saturno aravi una legge intorno agli nomini, e sempre osservata dagli Dei,
che quando un uomo fosse vissiuto secondo le regole della giustizia e della,,
pietà, era dopo morte trasportato nei!' isola de' Beati, dove godeva di
tutte le felicità,, senza una di que' mali, che tormentano gli „ uomini :
ma quegli eh' era ingiusto ed empio era gettato in un lago di pene,
prigione dcl-,, la divina giustizia chiamato il Tartaro. Ora „ al tempo
di Saturno e sul principio del regno di Giove, i giudici, cui era
commesso (»J Eneid. Lib. VI. veri. 43I. < ttgg.,, 1' eseguir
questa légge, erano semplice mente „ uomini, che giudicavano i vivi e
stabilìvan» „ a ciascuno il luogo e il giorno, in cui do-,, ve vano
morire. Quindi nascevano molti giu- tt dìcii ingrusti e mal fondati:
perciò Plutone, „ e quei ch'erano alla custodia delle Isole Bea-
te andarono a trovar Giove, e gli lappresen- „ taro no che gli
uomini discendevano ali' Inlev- „ no mal giudicati, non meno quando
venivano assolti, che condannali. Allora il padre M degli Dei rispose :
io liuiedierò a questo dìsordine. I falsi giurflciì nascono in parte dal corpo,
onde sono involti i giudicati, perchè ti giudicano ancor viventi.
Malti di essi sot- to una bella apparenza nascondono un cuora
„ corrotto, la lor nascita, le lor ricchezze in- „ gannano, e quando
vengono per essere giudi- cali, trovano facilmente i falsi
testimoni! della loro vita e de' loro costumi . Questo è
ciò, che rovescia la giustizia, ed accieca i „ giudici. Un' altra
cagione di questo disordine si è che i giudici medesimi sono
imbarazzati,, da questa massa corporea. L' intelletto na- „ scondesi
sotto il manto degli occhi e della I, orecchie, e sotto l'iutpenetrabil
velo della carne: ostacoli tutti, che impediscono ai giu-
dici di giudicar rettamente. In primo luogo,, adunque io farò, che i
giudici non sappiano H preventivamente il giorno della morte, e or-
dinerò a Prometeo di loro togliere questa prescienza. In secondo luogo
poi farò sì, che t, quelli, i quali verranno ad essere giudicati, „
flieno spogliali di tutto ciò che li cuopre, e t, in avvenire saranno
giudicati Bell' altro moa- do. fcl cnuie saranno eiii totalmente
spogliati è ben conveniente che tali sieno i loto gin» „ dici,
perchè all' arrivo di ogni novello abi- „ tante, che viene libero di
tutto ciò die circondollo sulla terra, e lascia addietro tutti 1 suoi
ornamenti, possa l'anima vedere ed ei« sere cosi in istato di pronunciare
nn giusto „ giudicio . Quindi comecché io non aveva pre-r t, veduto
tutte queste cose, prima ohe voi ve ne accorgeste, ho pensato di metter
per gìu-,, dici i miei proprii figliuoli . Due di questi „ Minoase e
Radamanto sono Asiatici, Europeo „ è il terzo Baco. Quando morranno
avranno i loro tribunali nell'Inferno, appunto nel mezzo del aito, che si
divide in due strade, 1’una delle quali conduce all' Isole Beate, l'altra
al Tartaro. Radamento giudichi gli,, Asiatici. ttaco gli Europei, ma a Minosse
io „ db una suprema autorità ; egli sarà giudice di appellazione,
quando gl’altri saranno dui»- Luisi in qualche caso oscuro e difficile,
affinehè con tutta equità possa a ciascuno assegnar- „ 9i il luogo dovuto
„ . La materia comincia cos'i a dilucidarsi. Egli e chiaro, che
parlando il Poeta dei falsamente condannati, allude * quest' antica
favola . Quindi per le parole falsa damnati crimine mortis Virgilio non
intende, come potrebbe immaginarsi, innocente! addirli ob infetta*
calumnias, ma homines indigne et perperam adjudicali, assolti o condannati
che fieno . imperciocché pronunciando i giudici più sovente
sentenza di condanna, ebe dì assoluzione mentii per figura la maggior parte pri
tutto . Forse Virgilio aveva scritto: Hos juxta fal- so damnati tempore
mortis; onde segue: tftc viro. h<e line sarte data, sìne /«die*
stdes (i), Vitaiqye et crimine discit. Accordandosi con questa
spiegazione { la qual suppone una mal data sentenza sia di assoluzione o
di condanna ) la conferma nel tempo stesi so, e tutto ciò è ben legato
con una serie con- tinuata. Resta una sola difficoltà, e,' per dire
il vero, ella nasce piuttosto ila una negligenza di Virgilio, die di chi
lo legge. Troviamo que- ste persone mal giudicate messe di g.à con
altri colpevoli in un luogo destinato per essi, vale a dire nel
Purgatorio. Ma per inavvertenza del Poeta sono mal collocati ; poiché
vedesi dalla favola, che dovrebbero essere messi sul confine delle tre
divisioni, dove la grande strada si par- te in duo l'una che conduce al
Tartaro e l'al- tra agli Elisir, che Virgilio descrive cosi:
Bit focus est, parti; ubi se via findir in améas, Desterà qua D
'ilis magni sub mania tendi! : lìec iter Elysium nobis : et ini*
mahrum Exercet panar, et ad ìmpia Tartara mietil Ricercando il principio
e l'origine della favola io penso così. C insegna Diodoro di Sicilia,
che usavano gli Egizii di stabilire alcuni giudici al- la sepoltura
di tutti i particolari, per esanima- to Eneid. Lib-VI. ras. 4 ;i. (.) j. c
. T er<-4!i- (j) t c. i4 a. t «g E . re la loro vita e condotta,
-onde sì assolvessero o co ad annaserò secóndo le favorevoli o toni
ra- ri u testimoniarne ctie. avessero. Questi giudici erano
Sacerdoti, e pretendevano che le loro sentente fossero ratificate nel soggiorno
delle om- bre. La parzialità e i regali forse ottennero col tempo
ingiuste sentenze, e il favore particolare vinse la giustizia. Di che
potendosi scandalezza- re il popolo, fu creduto a proposito dare ad
in- tendere ch'era riserbata al Tribunale dell'altro mondo la
sentenza, che doveva decidere della sorte di ciascuno, se io non
m'inganno; quin- di ebbe origine la favola generale . Havvi però
una circostanza, di cui norr si pub rendere pie- namente ragione, cioè
" de' giudici che in que-,, sto mondo pronuncian sentenza, predicono
il „ giorno della morte del colpevole, dell* ordine,1 dato a Prometeo di
abolire la loro giurisdizio-,> ne, e privarli di questa prescienza. Per
la che intendere, supponiamo ciò eh' è probabile, che il postume
riferito da Diodoro fosse nato da un altro mo più antico, cioè, che i
Sacer- doti giudicavano i colpevoli in vita per delitti, di cui il
tribunale civile non poteva rilevare la verità. Se cos'i è, ne nasceri
che per la predi- zione della morte del colpevole a' intenderà la
pena della morte, a cui veniva condannato; e Prometeo che toglie loro il
dono della prescien- za vorrà dire, che il magistrato civile abolì
la loro giurisdizione. Questo nome di Prometeo ben conviene al
magistrato, il quale forma lo spirito ed i costumi del popclo colie arti
neces- sarie alla pubblica felicità . Ecco secondo il mio 48
parete, l'orìgine della favola di Platone ; e pa- re infanti
ch'egli intendesse cosi, poiché facen- dola/accontare da Socrate, gli (a
dire : " Ascòl- „ late un famoso racconto, clic voi forse
tratterrete da favola; ma per me la chiamo una il vera storia. Io spero
di avere con questa spiegazione sod- disfatto, la quale era necessaria
per le osserva- lioni fatte in tal proposito da Mr. Addisson Voi.
II. in un discorso espressamente composto per ispiogare la discesa di
Enea all'Inferno. " Veggonsi, dice questo celebre autore, i
caratterì di tre sorta di persone situate a'eon- ni: ni saprei dire la
cagione, perchè cosi particolarmente collocate in questo aito: se „
non fosse, perchè non pare ch'alcun di loro „ dovesse essere collocato
tra morti, non aven- „ do ancora compiuto il corso degli anni asse-
D 8 nat 'S'> sulla terra . I primi sona le anime,i de' fanciulli levati dal
mondo con una morte „ immatura : i secondi sono gli uccisi
ingiusta- „ mente con una iniqua sentenza: in teno Ino- „ go quei,
che lassi dì vìvere, sì sono da se „ medesimi uccisi ma Trovami poscia due episodii 1' nn sopra
Didone, e l'altro sopra Deifobo, ad imitazione di Omero, ne' quali non
evvi alcuna cosa al mio proposito, se non fosse l' orribile descrizione
di Deifobo, il cui fantasma rappresentato mutilato ci dimostra,
secondo la filosofia di Platone,, che i morti non solo conservano tutte
le passioni dell' anima, ma i segni ancora e i difetti del corpo
.Passata eh' ebbe Enea la prima divisione, ar» riva si confini del
Tartaro, dove gli viene di- spiegato tutto ciò che riguarda le colpe e
le pene degli abitanti in questi luoghi terrìbili. La sua
conduttrice lo instruiice di tutto, e per fargli intendere l'ufficio del
Jerofanta» onta in- terprete dei misteri!, co»l gli dice i
«•' Dm intlytt Ttucrmn t . Nulli fai. casta tceltratum iati
litri .limta i Std mi, tura luci! Uicati prarfteit Avermi » Ipsa
Dtum panai datai t, perqm omnia duxìt (i) Osservisi che ENEA vien condotto per
le regioni del Purgatorio, e dei Campi filili!, ma che il Tartaro
gli ri fa vedere da lungi, e ne dice la cagione la sua condottrice
t Ti.m dimum borritone,tridtntei eardine iter*
Panduntstr porte . Cernii custodia qualij V estibulo stdeat?
fatiti que Unum* itrvtt? (i) Negli spettacoli e nelle
rappresentazioni de' mi- sterii non poteva essere difesamente . I colpevoli
condannati alle pene eterne iono primiera- mente coloro, che per ischi
vare il castigo de' ma- gistrati avevano peccato aegretamente:
Gnotsius htc Rhadamantui baiti durissima tigna, Cairigatqui,
aud'stqui dolci, tuéigitqui fami, Qua; quii «pud Superai farlo Ulatui
inani. Distaili in itram commina piacula mortem. Endd. lib. VI. re» jfc.
c"il^ {,) 1. £ . T(n . K . (3; L e. ma. j«. tt.
d Appunto per quelle colpe e«e»«o i legiilatori
d'inculcare il dogma delle pene dell'altra vita; In scendo luogo
fili Atei, che prendevano a icheruo la Religione e gli Dei :
Bit 8W **ti9**f urr*Titdnià fui" (i). Il die era conforme alle
leggi di Caronda, che al riferir di St-bro strili. XLU. dice; Il
disprez- zo degli Dei ita una, delle colpe pili grandi. Il Pu- ta
pailicolarnirnlv insiste, su quella specie d'empirti, perei gli uomini
pretendevo.» gli onori dovuti agli Dei t V 'idi et erudita dansim
Salmaaia panar, fìum Ji«mma,-Jbvii, et -tmitut imitttur Oìymfi (l) Sema
dubbiò egli voleva censurare l'Apoteosi, che già incorni oci ava ad
introdurli in Roma ; ed io credo che nella Ode III. del Libro!.,
del- la quale il «oggetto «.Virgilio, abbia voluto Orario
rimproverare questa MB* a' mai ..citta- dini: . Calum ipsxm pitimus
stùtiitìa Wtfw Tir nostrum paiimur stilili Iraconda Jbvtm
ponete fulmina (j) - In quarto luogo" i traditori, e -gli
adulteri, che duo perturbatori dell* salute pubblica e pri- vata
i Quiqut ab kMteriltm erti, quiqut arma secati Impia ; nec
viriti àomm-runi fallire Uixsr. s, M tntid. lìb vi- mi. s ao. u) L c wn.
jij. j«- (riHorit.ivivttnl.ee. lucimi panarti euptclant (i)
Vendidit hic aura patri ani, daminumquC pitentem ImpOfuit, fixit legai prstio a'tque
rtfixir, Hic thtlamum invaili.,., velitojqw hymenxos.(& .
È degna di osserva/ione non dirsi solamente gli adulteri, ma ancora gli
uccisi per cagion di. adulterio; per far intondere che dinanzi, al
tri- bunale della giustìzia divina -non bastano a punir questa
colpa i castighi umani anidra i jiiù -severi. La ijMott*-ed
uitira»-«p»cie tn-cqlpewiiii sano Vi intrusi ne' misteri!, e i violatori
di e ni, rappresentati tutti e due sotto il carattere di Teseo
:1 s Sedet <eftrnUmqùl
sed&iir \ ' " Infelix
Thtsexi, PblttyajqHe rniterrimus orma ' Mmonet et magna itstsiur
voce per umbra: ; Discile jitiiiiiam moniti, et non lemiere D/oe'j
(;).. Secondo la favola Teseo e Piritoo disegnarono di rapire
Proserpina dall' Inferno, ma colti sul latto, Piritoo fu gettato a
Cerbero, « T«eo incatenato, finche da Ercole fu liberato. Con che
ci s» diedi; ad intendere, che clandestina- mente si, erano, instrutli
dei misteri i, e puniti . A questo proposito mi sovviene una Storia
rac- contata da Livio nel Libro X.X.XI, Gli Ateniesi impegnarono in una
guerra, contra Filippo per un motivo dì poca importanza, in tempo,
in,cui altro non restava loro dell' antico splen- dore, che la. fierezza
. .JSV giorni dell' iuiziazio. (0 tfc'd. Lib. VI.' tu. <sij.
ftfe M L o. ttiMM. *«• *»!• (j» I. e. * 7 . e »fg. d i
„ da, glor.ni MT-i*«W. >«>• L,„.«:,., . ™»
.•p<«™ k Si ?™"* culto segreta, entrarono con 1. ™rb. nel
leu,- 2 di ferm. « —ita»—"•>"• «uri .1
Presidente de' miste,,,, e benché tale chiaro che innocentemente, e per
fello era», entrati nel tempio, furono '•"> m °""'
™" = rei di un enorme delitto . Forse per Fregi»
intendono i popoli deil. Beo-. a ì, dì cui riferisce Paosania, 1 queir
perrron tntt'i dal fulmine, dal terremoto e dalla peate. Quindi
generalmente Fregia »o» dire •£ e.pr. 3 i „crMe S M. L'officio dato qui •
Te.» i. ..orlare alla pietà, a nino megli», «M onmeni.a nello
spettacolo, de' mr.ter,,, rapp.e- ienl.ndo egli on. persona, che fjli«««
P™'« tìii. Co.1 l'idea noitr. intorno la drsces» d’ENEA all'Inferno
toglie un» difficolti non m», .piegai» da' Critici. Non et» .(* no
officio »~ «1, e r.r«r di propello gridar conimnamen . air orecchio
de' coodaun.ti, che Imparasse™ la pietà e la ri.ercnra »er,o gli Dei!
Qoantonqu. Lesta sentenza insegni una importanti,....» re. A.', era
peri inolile predicarla a peranno, eh. più n»n potevano sperare il perdono.
Scarrone, che ha impiegato il suo poco «lento per me*- fere in
ridicolo il pii util'Po. ma, che ma, st» .fato composto, non ha mancato
di far. guest» flessa obbietione : Li itnlmxn i eviene e btlla,
Ma all' Infima non Val *iU Infitti, secondo l’idea comune della discesa d’ENEA
all'Inferno, VIRGILIO fa rappresentare a Teseo un personaggio fuori di
proposito. Ma questo continuo avvertimento diviene il più ra-
gionevole ed il più utile, quando suppongasi (come è di fatto) die VIRGILIO
faccia nna rap- presentazione di cià die facevasi e dicevasi nel celebrare
gli spettacoli de' ìnisterii, poiché in questo caso serviva d'
avvertimento ad una mol- titudine di spettatori viventi Aristide negli
Bicaimi dice, che non mai cantavanii parole più proprie a spaventare,
qnanto in questi misterii^ perchè le voci e gli spettacoli insieme
uniti, dovevano fare una più profonda impressione sul- lo spirito
degli iniziati". Ma da un passo ili Pin- daro io conchiudo, elle ne'
spettacoli dei miste* rii (donde gli uomini han prese tutte le idee
delle regioni Infernali ) nsavasì, che ogni col- pevole rappresentato nel
ano attuale castigo fa-' cesse agli assistenti una esortazione contro
la colpa da lui commessa; " Volgendosi, son parole di Pindaro, a.
Pyth., volgendosi conti- n nuamente sulla sua rapida-ruota, grida a'
mor- ii 'ali ) che sempre situo disposti s confessare la loro
gratitudine verso a' benefattori per le », grazie da loro ricevute „ . La
parola mortali fa chiaramente «edere, che questo discorso fa*
«evali agli uomini di questo mondo. II Poeta cosi finisce il
catalogo de' dannati : Ami amati immane ntfns ausoqne patiti (l)
. «) Sncid. ta.VI. ver», fi*. d 3 Erìit"~~ a,s,i C,,
:,!',i •t™/a e dell' appro^aiione degli Un. ma era un traodo,
che sono estn.lmmt, "SS"". Punto il Tartaro g™to • «o» 1 "" "S" l
'" tìl, ENEA si purifica: - ... 0,, r J«« "*'». IW
'««"' Entra dopo nel soggiorno de' Beati: Dtvvttrt
Ivor «W» ^ fl "" r '''' T " Vff4 Fun'uw°r«'" nìmotvw,
irdtiqac itti al : Lvgì°* bic campo, etitr, O '«•»'»' " T U,purta:
lOÌemqM luam, s«n Wrr-r nonno" (a) . Cosi precisamente
Temistlo, Orolion. jnPniranj ocsc.iv. P Iniriato nel momento the i. apre
» ecena r " Essendosi purificato, scuopresi ali mi- „ ilato
una legione tutta illuminala e rtsplen- „ dente di una ohiareaaa divina.
Son dissipate „ in un tempo le nuvole e le false tenebre, e „
l'anima trovasi, per cosi dire, dalla piUter- „ libile oscuriti nel piii
chiaro e sereno g.or- „ no „ . Questo passaggio dal Tartaro agli
Elia* fa dire ad Aristide negli Eleusini, die da one- ste ceremonie
nasce nel tempo stesso ed onoro e piacer., che sorprende . Qui Virgilio
abban- l.jlasld. Lib.V».,.n. «i>. ijsì «>' "" '1*'
« '' IS ' donando Omero, eseguendo la dilettevole de- crÌzioDe« die
nella rappresentazione rie' niisterìi faceva»! ne'Cauìpi Elisii, schivi»
un gran 'difet- to, nel -quale era caduto il' ano mae>tro, che
Ila fatta una pittura sì poco gradevole de' to- schi fortunati, che non
faceva alcuna voglia di vivere in quel luogo : onde ha rovinato il
dise- gno de' legislatori, che mlrvano i popoli per- suaiì dell'
tsistcniS di quel felice soggiorno. Egli introduce il suo Eroe e
favorito, e gli fa aire ad Ulisse, eh' ei vorrebbe essere piuttosto
un semplice artigiano sulla terra, di quello che comandare nella regione
de' morti ; e tutti i suoi Eroi sono egualmente rappresentati in uno
stata infelice. Oltre di che per togliere agli uomini tutti gli
stimoli delle grandi e belle azioni, rap- presenta la Tama e la gloria,
come cose imperi, tinenti e ridicole r quando erano i più ponenti
motivi della virtù nel mondo Pagano, e di cui non mai bisogna privare gli
nomini interamen- te i laddove Virgilio, che nel tuo Poema non '
avea altro 'fine, che procurare il bene della -so- cietà, rappresenta
l'amore della fama e della gloria, come tini possente paciose ancora
Dell' altro mondo . La semplice promessa fatta dalla Sibilla a
Palinuro di eternare il suo nome, con- sola la di lui ombra, hanclrt ti tm>HM»!W
(?' infelici: Mtirnumqm lecui Pali nari nomtn èaèiéit . ììis diciis
cura tuoi», puhnsque'parump»r Corde dolor iriiti : gauJtt cognomini urrà (l) 0)
Enrid. llfc. VI, va*. H» !*»• ì*)- d 4 Queste dispiacevc-li
descrizioni dell'altro auindo, e le porie licenziose degli Dei, It une e
le al- tre tanto dannose alla società, persuasero Plato- ne a
bandire dalla Repubblica Omero. Io queste beate regioni il Poeta,
assegna, il primo luogo a' legislatori e a quei, che trassero gH
uomini dallo stato di semplice natura, « gli ridussero a vivere io
società: Magnanimi Hercu, natii mtliorièus annìs (i).
Capo di questi è Orfeo, il più celebre legislatori d’Europa, ma più
conosciuto in qualità di Poeta . Imperciocché essendo scritte in
versi le prime leggi, onde fossero più facili a rite- nersi a
memorie, la favola ci ha .supposto Or- .feo colla forza della sua armonìa
raddolcite i costumi selvaggi di Tracia: ; Tbrticius lunga
cum utìtr Sacndos Oil'/^uirur nxmtrii septem discrimina veeitm (i) .
Egli fu il primo, che dall'Egitto portò i mi- steri in quella
parte d' Europa. Il secondo luo- ^o è assegnato a' buoni cittadini e a
quei, che •i sono sacrificati per la patria: Hit nfanus ub
patriam pugnando vulnera passi (3). .Trovami in terzo luogo i
sacerdoti pieni di vir- tù e dì pietà; Quiqut Sucrrdmis casti, dum
vita mantbat ; Quiaut pìi vaifs, O" fiaia digna lucuti
(4>- (1) Eneid. Lib. VL ras. (i) 1 e. veri. f*s- «4<-
(j) L c. ra. Kb. (4, J. C vers. c fri. (tu *?
Essendo necessario il bene della società, ohe coloro i quali
presiedevano alla Religione vivi-s- iero santamente, e non insegnassero'
degli Dei, le non cose convenienti alta loro natura. L'ul- timo
luogo è assegnato agli inventori delle arti liberali e. meccaniche:
Inventai aut qui viram excoluere per ariti f Quiqut mi mimarti
alio! fecere merendo (l). In tntto questo Virgilio ha esattamente
spiegata quanto iniegnavasi nella celebrazione de' miste* rìi, ne'
quali continuamente i oca! cavasi, clic la VÌrtil sola pub rendere gli
uomini felici : le ce- remonie, le lustrazioni, i sacrifìci] niente
vale* yano senza della virtù . Passa trinami Enea uà gran numero di
persone dalle due parti di Stige : Malrei atque viri
defun&aque carperà vita Magnsnimum herount, patri inuptieqai parila'
(l). Sane circum innumere gemei papali qa; valabant (j ) Aristide
c'insegna, che negli spettacoli de' mi- aterii apparivano agli iniziati
truppe in numera, bili d'uomini e di donne. Per convincere
interamente . il lettore della verità drlla nostra interpretazione, VIRGILIO
nota una particolarità, malgrado questa conformità perfetta tra Io
spettacolo da lui rappresentato e qurllo dV mistcrii . Questo è il famoso
segreto àv misteriì, il quale era il domata della unità (i) E«id. LiU VI. vtrt. Étfj. («4. tu L e. ver*. jo*.
(jtJ.cvert.7c5. (**> fli Dio, particolarità,
clie se avesse tralasciala Virgili» bisognerebbe confessare, che
quantum quo avesse per fine di rappresentare V iniziazio- ne a'
misterri, non 1' avesse rappresentata perfet- tamente- Ma egli era troppo
eccellente pittore per non lasciare qualche equivoco nel suo quadro.
Quindi copchiucie l'iniziazione del -suo Eroe con fida'n Jogli, come
solevasi, i secreti e il dogma dell'unità. Senza di questo l'iniziato non
era arrivato ancora al grado più alto di perfezione, -e non
potevasi chiamarlo già Tf.iìhoths nel si- gnificato tutto esteso di
questa parola. Quindi -il Poeta- introduce Museo', ch'era stato
Jerofan- t» in Atene, e che qui conduce Enea verso il luogo, -dove
apparitagli l'ombra di sno Padre, * gii insegna' la' secreta dottrina
sublime della . perfelione con queste .sublimi
espressioni: Principiti cmlmn ac tèrra! eamposque
liquentts, Lucintemque glohiim Lunr Titnnìaqtte astra' 'Spirilui rteMrr
ai'tt ; TÒtumqitr infitta p'rV àrtui 'Mtnt agitai materni et magno s: forfore
miictti Txtle bominum ptcudùmqite gtitur vititqut velatlnn, Et qu/e
marmoreo feri mostra sub aquari pontus CO - Segue Anchise «piegando )a
natura e l'uso del Purgatorio, il elle non era» fatto -nel passare
di Knea per quella regione. Viene poi alla dot- Irina della Metempsicosi
o trasmigrazione: do^ trina che insegnavasi ne'niistem per
gimlificare gli. attributi morali della divinità. Quest' OSS* 1 Uf Eatid. Ub.VI. vtts.,714. e
tegg. I J N:l'"J il': L.l »9 (o sv^gwwce al Poeta
l'episodio il più belio ci)* immaginarsi potesse, facendogli passare
'dìnan-, come in rassegna la sua posterità, e' cosi fi- Bisce lo
spettacolo \-' '(' I» questo viaggio che fa' l'Eroe per le
tré regioni de' morti, abbiamo dimostrato di uianò ' in mano con
l'-atrtorift- di' qnalelfd 'autore' la conformità de' suoi avvenimenti a
quelli' degli iniziati. Ora tinnendo in.urr putito' solò di vi- sta
le cose' qua * là disperse, diverrà cosi lu- minosa U nostra spiegazione,
elle non potrà pifi dubitarsene; perciò rapporterò un passo consere
vatoci dallo Stobeo nel sermone CXIX., il qua- le contiene una
descrizione degli spettacoli de' misterii, che 'Si accorda affano cogli
avvenimen- ti di Enca> L'anima prova' nella morte' le pas- sioni
medesime, «he sente nell' iniziazione a' ini- iterii; ed osservisi che le
parole corrispondono alle cose ; Poiché rrttu;^ significa morire, e
essere iniziato.- Nella prima scena altro non vi è, «he errori,
incertezze, viaggi fatico- si e penosi, e spettacoli fra le tenebre
folte nella notte. Arrivati a' confini della morte, e della
iniziazione tutto appariva sotto un terribi- le aspetto ; " tutto *
Órrortf, ' timore, ' tremore 'e spavento . Ma ' passati' questi' spaventi
sopravvie- ne una luce miracolosa e divina: vaglie piana- re e
prati smaltati di fiori sì presentano loro da ogni parte: inni e cori di
musica dilettano le orecchie loro: sentono le stìblimi dottrine
della sacra scienza, ed hanno visioni sante e veneran- de .. Cosi,
veri,. perfetti, iniziati, dimeni*"» ione- più ristretti; ma
coronati e trionfanti pai- «o reggia? per le regioni de'Beati,
MmttHli con uomini canti e virtuosi, ed a loro talento ede-
Finito il viaggio torna ENEA con la condotw trice rielle regioni
superne per la porta d' avo- rio . C* insegna esserci due porte, I 1 una
di cor- no, per cui escono le vere visioni, V altra di avorio, per
cui escono le false : Sunigimine tornili pan* : quorum altèri fenar ite.
(i) E termina t Froiequiiur ditti s (i) . A
questo passo freddamente osserva Servio, stm- plice grammatico, voler
significare il Poeta, che il tutto da lui detto «falso, e nenia
fondamen- to: Vu.lt autem intelligi, falsa <«c omnia qua dixìt.
Questa pure è la spiegaiione di tatti i Critici. Il P. U Rue, che per
altro è uno de' valenti, dice quasi lo stesso; C.um igiturFirgi-
lius&nearn eburnea porta emiitit, indicai pro- feSoj quidquid a se de
ilio inferorum adita. diSum est, in fabulis esse numerandum . PER
SIGNIFICARE LA QUALE OPINIONE SI DICE CHE VIRGILIO ERA EPICUREO, e che nelle
sue Georgiche tratta da favola tutto ciò, che dicesi Jdl' Inferno !
Felix, qui potui, rerum eognueert c«u !!as, \ Atqut moi UI Bm „ fI
et InnorìSift fatum Sabfidi ptdièut, urephumqu! Mehcrenth nari
(;). (0 E« c id. tib. Vi. veri. B,j. {1) I. e. veri. tft. ti)
Graie. lib.II. virilo, 491,49», Se li* vuol dar fede a coloro, avrà dunque
il divino Virgilio terminata la più Leila delle sue opere in una
maniera ridicola. Egli ha scritto Don per dilettare l'orecchio, ed i
fanciulli nel- le lunghe iceie dell'Inferno con racconti simili
alle favole Milrsiaue ; ma per ì ostruire degli no- cini e de' cittadini,
c per insegnar loro r do- veri della umanità c delta società. Dunque
do- veva essere il fine di questo VI. litro, in pri- jno luogo d'
insegnare la dotlrina di una vita avvenire, utile in questo mondo ; e ciò
ha fat- to il Poeta, rappresentando con qnal regolato- no
distribuiti i premi! e le pene : io secondo luogo d'impegnare gli Eroi in
imprese degna di loro. Ma le crediamo a questi Critici, dopo' d'
aver impiegate tutte le forze del sno spirito' in questo libro per
giungere a questo fine, arrivato alla conclusione, con un sol tratto dì
penna distrugge tutto, come *e avesse detto: Ascoltate, miei cittadini, io
ho procurato d’insinuarvi la virtù, dì allontanarvi dal vizio per rendere
felice tutta intera la società, e procurare il bene di ognuno in
particolare . li par imprimale nel vnslro spirito queste,j verità, che
voleva insegnarvi, vi ho proposto,, nn grand' esemplare, vi ho descritti gli
av- „ veni menti del famoso vostro antenato, del „ fondatore del
vostro impero; e per maggior „ vostro onore l'ho rappresentato, come un
Eroe „ perfetto, gli ho fatta eseguire 1* azione più „ ardita, ma
insieme la più divina, vale a di- „ re lo stabilimento della polizia
civile : anzi t, per rendere il suo carattere piti
rispettabile! 6= e date alle sue ..leggi maggior- »m*irt,- gli
„ ho, fatto intraprendere, il viaggio^ di cui . c -, f dete la relazione
.- Ma. per paura,, elle toì ne „ riportiate qualche vantaggio, ed il mio
Emo „ qualche giuria, vi, avverto * che tutto questo lunghissima
discorso di uria vita, avvenire al- „ tio non\ è.,, che va* Ridicola e
puerile finrio- »> ? e » < d »' personaggio rappresentato dei
dd- „ sito Eroe è un, sogno vano. In somma tutto „ c(ò che avete
inteso, dovete riputarlo, come y scherzo, che niente significa, e da cui
non v dovete cavare conseguenza jlcunj., e» Boa, t ch'il Poeta aveva,
voglia dì ridere,, e di hur- g larsi delle vostrr; superstizioni „ .
Cosi, si fa- rebbe parlare Virgilio, seguitando Ja interpreta-
zione de' critici antichi e- moderni» La writàui è, che non si potrebbe
iciogliere .questa terribi- le difficoltà senza, questo, nuovo aisteina,
. secondo il quale aititi non intende VIRGILIO per.que- ?* *-?!!?.* della
discesa all' Inferno, the . Ja ini- ziazione a' misterii . Ciò spiega, l'
enigma, PJ 1 as-solve, il Pj^taj. Jaiperciocclià,.^tslf «M» dise- gno di
descriyer.e,. qu L ^ta. iniiiazioae., come è credibile, avrà senza,
dubbio scoperta con. qual- che segno, fa, «qa, interuiono. secreta) ma
dovu poteva palesarla, meglio,. c l>e » thiudemle il suo libro?
Kgli f, a j uuque ^iv-pna bellissima invenzione migliorato ciò, «li*»
Omero, racconta delle due.porte, quella di corno destinata alle visioni
vere, e. quella di avorio, alie.fali. . Per la puma dimostra Virgilio la
realità di una vi- ta avvenire; ma in questo ciò ch'egli vide non
era all' lni eino, ( „, a, nel tempio di Cerere. O.,— sta
rappresent.izionc chiamasi MÙàoe, o la favo- la per eccellenza. Questo è
secondo il staso ve- lo ^ queste parole : Mitra canihali pnftBa nitet
Eltphnnta ; Sud Uba ad calum mìttum insomma mamffi. ÌA*
quantunque non avessero niente di reale i sogni, che uscivano per questa
porti,So- non dubito, di' ella ir» /atti, non vi- latte-. Questa
era la. »tasni&cai porta del tempio, onde usciva- no gl'iniziati,
quando era compita la ceremo- uia. Questo tempio era di una numeri--
gran-* dezia,. come lo descrive Apulejo lilr. II. Senws duxit me
protinus ad forcs adìs amplissima. È» curiosa . la descrizione, che ne fa
Vìrruvio da antiquitate nella prefazione del lì tir. VII. Eleusince-
Cereris, (a Praserpina celiata immani ma- gnitudine.,. Dorico ordine,
sine exterioribus co- tumnii. ad laxamentum usui sacrificiorum per-
r.exit. Eum autem postea, cum Bememus Pha- lera-u? Athenis rerum
potiretyr, • Philon. mite templum. in. fronte columms constilutis
Prosty- lum fecit- auéìo vestibolo, laxnmentum initian- libus r .
operisque Aummain adjecil autloritatem • Eravi dunque- uno spazio assai
lungo capace di tutti questi ipettacoU* e, dì tutte le rappiesen-
tazioni. K. poiché ne. abbiamo tanto parlato, a riferitene alcune varie
particolarità c/na e là: di- sperse, non sarà cosa imitile, prima di
finire, darne in poche parole: una idea generale. M
Intii^Ub. Vt. Ì9S, Ijrd. To credo adunque, che la
celebrazioni' Jé' tnl- sttrii consi.ieise principalmente io una
specie di rappresentazione drammatica della stona dì Cerere, la
quale dava occasione di esporre agli occhi de*apettarori queste tre cose,
che sopra tulio inspgnavansi ne' murarli . I.", l'origine o l’istituzione
della società : IT. la dottrina do* pniiiii e delle pene di un'altra
vita': ' fi f.' Ir falsiti del Politeismo, e la dottrina della
unità' di Dio. Apollodoro nel Libr. I. Cap V. della sua Biblioteca
c'insegna, che come Cerere avera stabilite leggi nella Sicilia e nell'etica, e,,eCondo
la tradizione, aveva incivHili gli abt-' tanti di que'due paesi, e
raddolciti i loro co- stumi selvaggi, ciò diede luogo alla
rappresen- tazione del primo degli artìcoli' sopradetti . Bio» doro
di Sicilia dice, che nel tempo della festa di Cerere, che durava dieci
giorni in Sicilia, rappresentavano 1' antica maniera di vìvere,
pri- ma die gli uomini avessero imparato a lemìua- re, e a servirsi
delle biade. 11 secondo articolo nasceva dalla cara, ebe Cerere si prese
di an- dare all' Inferno a cercare sua figliuola Proser- pina, e
finalmente il tino ' dal rapimento della fgliuola . Queste
sono le osservazioni, che io ha fatte iti questo famoso viaggio di Enea,
e (se non m' inganno) questa mia idea non solo illustra e toglie
molte difficoltà in ogni altro sistema in- tollerabili; ma sparge copiosa
grazia sopra tutto il Poema. Imperciocché questo famoso Episodio
Conviene perfettamente bene al «oggetto genera- la dell' Banda, eh' è lo
stabilimento di onesta- to» «8 lo, e di nna
Religione, poiché, secondo ti co- t'Aiv.ic degli antichi, chiunque
intraprendeva un cosi difficile disegno era obbligato
nidisptnsabit- uiente di preparatisi colla iniziazione ai mifterii .
Multa eximia t dice M. Tullio, divinaque videntur Athence tua peperisse,
atque in vitaru Jiominum attutisse t tum nihilmelius illit myste-
fili, quibus ex. agresti immanique vita exculti, ad humanitqteni
istituti. et mingali sumus ; jnitiaque, ut appeilanlur, et vera principia
vi- fa> cognop'uns . Neque salum cum Imtitia vi- vendi rationem
occepimus, at alani cum sp$ mfiiiori moriendi (i). £] M- X.
Ci.tq. dci«gi. Ubi. II. Clf.KlV-. -=» JftllM qu*lt si
<t> U tptigt%ìw di Dkrìl ttìiSfznwi appwni***ti d'Miittrii
Sfattoti. I Sacerdoti primari! ne'mbterìi, che chiama- vansi
Hierophanta: } per conservare la castità i' ungevano di cicuta • Un
antico interprete A Senio, alla jatif* V. -dice: Cicuta colorem i*
notti frigorit sui vi extinguit} unde Sacerdòti» Cereri* Eleusina liquore
ejtu ùngebantur, ut concubiti* abstiner^nt. Altri vogliono che
beve» •ero la cicuta. S. Girolamo Lìbr. V. cont. Jovin. ba coti :
Bierophantct Athenìensium cicuta sor~ bilioni castrati, et pouquam in
Pontificatavi fuerìnt eleSi, viro* esse desivere. latitati
Inter mortuos honoratioret foie ere- debantur. Scholiattes Ariitophanii
in Ranis art: ConspeBiores mnf apud inferni initiati- Diogene» Lantius in
vita Diogeni* Cenici : Jpud ìn- fero! priori loco initiati honoratUur
. (Tantaìo all'inferita.) Né i Sacerdoti, né gli
assistenti nell'antico Egitto palesarono giammai ciò, che «veano
ve- duto nello spettacolo: né vi é esempio, eh* qnantunque ne] fine
d e ' sacrifici, le obbiezioni fossero portate da dieciottò femmine
figlinolo de' Sacerdoti, alcun mai siasi attutato di queito
spettacolo, Orfeo Ita espressa la riterva, ali* quale sopra quoto punto
erano obbligati dalla ttiaoti del loogo, «aito I 1 immagine di
Tantalo in meno alle acque senza poterne bevete. ' 1 Quelli j che
andarono per J' iniziazione ne'ino- ghi sotterrane» dell'Egitto,
sentirono ntl primo ingresso vagiti di bambini. Qtlelti erano i fi.
gliuoli de' Sacerdoti, che colà vanivano partoriti ed educati. Orfeo a questa
verità suppose ttaa dottrina, che i bambini di latte defunti
/ussero collocati nel]' mgreiso dell'Infero. Ne'soUeranei luoghi dell' Egitto
e.avi un luo- go chiamato il campp delle, lagrime ìugens som- pur.
Era uno spailo largo tre giugeii, ltrng» nove circondato da quattro
strade. Ivi si casti- gavano sopra il Sudicio di tre Sacerdoti gli
er- rori degli ufficiali di secondo ordine, con castighi proporzionati, i
più umani, come per aver mancato più volte «Haipontntlìtà de' loro
ufi» cii. Là castigavano gli uomini, facendo loro voltare un
cilindro di sasso nulla cima di oli collina, che andava dalla parte
opposta. Le donne attingevano, acqua da profondi pozzi per versarla in un
canale, che scorreva per questo earr£> po di lagrime. Quindi e facile
riconoscere l'ori- gine del sasso di Sisifo, del vaso delle Danaidi
presso Orfeo. In caso di viola zion di secreto, erano tanto i Sacerdoti,
che gl'iniziati e gli ufficiali destinali ad essere loro aperto il
petto, strappato il cuore, e dato a divorarlo agli il Celli di rapina .
Quindi Orfeo immagino la per» di, Prometeo e. di Tizio. Ami dalla
grandezza del campo è tram ia grandezza gigantesca di Tizio, che
steso a terra occupa ls spazio di no. « giugeri. Eravi pure' un giardino
chiamato Eliso . L( luce del iole, che si ammirava era indebolita,
.perchè cadeva dall'altezza di dieciotto piedi. Ciò fece nascere ad
Orfeo, il pensiero di dare all' Elifo un iole particolare ed astri
particola- ri. Nel fondo settentrionale' dell' eliso era vi il
Tartaro, in cai face vanii le rapprese stazio ci da Sacerdoti e dalle
Sacerdotesse. Facevar»i' vedere in lontananza grandissima molte persone,
cha per la distanza e per la poca luce, non potcva- no essere
distinte . In fatti gli iniziati e i con- sultanti credevano: veramente
rTedefe trasportati nel toggiòrfao dell'altra vita J e non
credevano veramente vivi, se non quelli, che gli accom» pago a vano
. Salendo per ima scala sontuosa all'Edificio del Teatro,
vedevano a traverso de' giardini, come in un vasto sotterraneo, un' canale
diacqUe spiritose e sulfuree accese, che parevano uri na- rne di
fiamme . Un uomo, che torni alla Ida elsa, dice il P. Bossù,
la contesa di due altri nori'ha' in w niente di grande; ma diventano
azióni illustri, quando è Ulisse, che ritorna in Itaca, Achille ed
Agamemnone, che contrastano. Vi sono del- le azioni per se stesse
importanti, come lo sta- bilimento ( o la rovina di ano Stato, o di
una Religione; e tutt'è l'azione dell’ENEIDE. Egli ha conosciuta la
gran differenza tra i Poemi di Omero e di VIRGILIO. È mirabile che da ciò
non abbia compreso di una specie differente essrre l'Eneide
dall'Odissea, e dallMliade. Una delle ragioni ancora per cui vieppiù
SÌ manifesta la falliti della glosa dì Servio e Jt" moi seguaci
nell' asserire, che Virgilio [scendo uscire dall' In Temo il im Eroe per
la porla di Avorio abbia voluto sigili (icari* mere stato simi- le
a un sogna tutto il precidente. racconto, udì delle ragioni, dico, è che
dentro il racconto VIRGILIO fa profetare Anchise di cose già succedute, ma
succedute di Catto. Dunque come poteva far passare per falso quello» oh'
«0, verissimo Quindi le sue descI Questo sapiente Dottor Inglese Warburton
e quegli) clic ha preso a difendere altamente nelle sue Dissertazioni, o
Lettere filosofiche e morali (tradotte in Francese, conte li
osservo nei cenni mila vita del Warburton premesti a questa
edizione, dal Sig. di Silhouette, e im- presse in Londra nel 1742 colla
traduzione de' aggi lulla Mitica e sull'uomo, e di-IP epistole
morali entro una raccolta intitolata Melange da Litteraiure. et de
Philotophieì Pope il quale fu acerbamente attaccato dal Sig. di Crousaz e
da molti altri scrittori, e fra questi dal Ratina, a cui rispose
addi aS Aprile 1741 il Sig. di Kamseais, cosi pure al Sig. Montesquieu
autore delle 'lettere Fiamminghe e delle Persiane. 10 Warburton
raccolse ed impresse in IX. volti- mi tutte le varie opere del Pape, che
ave va- gliene data l'incombenza col lasciargli tatti »
Cicerone parla de' mister» Eleusini, ne' quali pretende il Sig. di
Middeleton nella sua vita, essersi fatto egli iniziare nel primo suo
viaggio in Atene 1' anno di Roma 67Ì, e di sua et* XXVIII., ne
parla, dico, Tisi c. Quasi. i>3,, e 3 ed «pressa ni enti: ilice de Legìbus I.
sopracit; Initiaguc, ut appellatiti, (s vera principia uè- Ite
cognovimut : neque soliim cum Imiti» vivendi rationem ticcepimus, sed etiam cum
spe me- liori moriendi. Questi m uteri i si celebravano in
determinate stagioni dell'anno con inoltre solen- ni, e con una gran
pompa di macchine : il che tirava un concorso di popolo frequentissimo
da tutti i paesi. L. Crasso giunse per sorte in Ate- ne due giorni
dopo, ch'erano stati celebrali, ed avendo invano desiderato che si
replicassero, non si volle più fermare, e partì corrucciato da
quella città (CICERONE, DE OR. de Ora*. 5. io. ) . Ciò fa Tevere quanto i
magistrati Ateniesi fossero guar- dinghi nel rendere que' misterii troppo
familia- ri, » tu ire non vollero permetterne la vista fuo- ri di
i. mpo ad uno de' primi Oratori e Senato- ri di Roma. Stimati che nella
decorazione fol- lerò i appiè sentati il Cielo, l'Inferno, il
Purga- torio e tutto quello che -si riferiva allo «tato futuro de'
molti, a bella posta per inculcare sen- iibilmente, ed esemplificare le
iiotljine promul- gate ayli iniziati : e siccome erano un argomen-
to accomodato alla poesia però cosi frequente- mente vi alludono i poeti
antichi. Cicerone in una sua lettera ad Attico il prega a richiesto,
di Chilio poeta eccellente di quel secolo, che trasmettagli una relazione
de 1 riti Eleusini, che probabilmente destinatasi per un Episodio,
o abbellimento a qualche opera di Chilio. ' I miiterìì della
Dea Cerere, ossia le ceremo- nie religiose, che facevausi in di lei
onore, chiamavano Eleutinia dalia città dell' Attica det- ta da
alcuni Elettiti; ma da altri con più fon- daon-nto Eleusine, oggi
Leptiaa. Le ceremonio Eleusine piano presso i Citici le feste più
toJ leoni e sacrosante, onde per eccellenza furori dette i Misteri!
senz'altro aggiunto. La città di Eleusina era così gelosa di questo
privilegio di celebrare i misterii, che ridotta dagli Ateniesi agli
estremi, si arrese con questa sola condizio- ne, che non le si levassero
le feste Eleusine. Contuttociò le stesse feste divennero comuni a
tutta la Grecia. Le crremonie al dir di Arnobio, e di Late
lamio, erano una imitazione, o rappresentazio- ne di ciò, che i Mitologi
c'insegnano della Dea Cerere . Esce duravan più giorni, ne' quali
si correva con torcie accese in mano, si sacrificavano vittime a Cerere e
a Giove, ai facevano delle libazioni con due vasi, uno dei quali sì
versava air Oriente e l'altro all'Occidente. I festeggiami si portavano in
pompa alta città di Eleusi, e sulla strada di tratto in tratto si
fa- ceva alto, e ti cantavano inni, e l'immolava- no vìttime ; e
tutto questo face va lì non solo andando da Atene ìn Eleusi, ma nel
ritorno ancora. Del resto si era obbligato ad un invio- labil
secreto, e la legge condannava a morte chiunque aveste ardito di
pubblicare i misterii, Anzi la slessa pana incorrevano quelli ancora,
che avessero data retta a' violatori del segreto . I Candiotti erano i
soli, cui si potevano sco- prire . Le feste Eleusine nominavangi pure
EVi- xpuW cioè abscondita poste sotto chiave. Onde ebbe a dir
Sofocle aell' Edipo Coloneo, che la Nngtia de'Saeirdoti Ettmoìpidi era serrata con
chiavi d'oro. Non ostante un %\ severo decreto Tertulliano, Teddofeto,
Aruobio, Clemente Ale*, mandrino affermano, che nelle feste Eleusine
si mostrava una parte oicena. Ma questa impart- itone potrebbe
essere mal fondata; poiché ia tjuesti in iste ni nulla v'era di scritto,
v'era la Ifìtì grave di torte le pene per chi violava il Je- eretó
4 n* v'ha esempio ch'alcuno l'abbia mai violato, V erano due
sorta di feste Elusine le grandi e le picciole. Il detto fin ora riguarda
le gran- di . Le picciolo' erano state instìtuìte in grazia di
ErcoW. Qoesto Eroe avendo chiesto di essere iniziato a* mi iteri i Eleusini,
e gli Ateniesi non potendo compiacerlo, perchè la legge vietava che
't'ammettesse alcnn forastiere, ne volendo con- -tnttociò contristarlo,
initituirono altre fe*te; Elea* line, coi poteste egli assistere . Le
grandi si ce- lebravano nel radi e di Roedromìone, che corri-
(ponile al nostro Agosto, e le picciole nel me» /Intheucrione, che
corrisponde al mese di Gen- naio secondo Scaligero, al mese di Mano
secon- do Xilaadro . Non veniva alcuno ammesso alla
partecipazio- ni; di questi miiterii, se non per gradi. Prima
bisognava purificarsi: dipoi si era ricevuto agli Eleusini minori] in
fine li era ammesso ed ini- ziato ai grandi, o aia maggiori . Que' eh'
erano ascrini, a' piccioli, ehiamavanii Mysti, * que' ch'erano
iniziati ai grandi, Epopti ed Efori, TÀeh a dire Inspmori . Ed
ordinariamente dovc^ *ari sostenere una prova di cinque anni
per passare da* piccioli Eleo» ini 'a' grandi . Qualche volta un
anno bastava,' dopo il' quale- spaziò di tempo si era immediatamente
ammuso a quanta Véra di più secreto in quelle religione ceremo*
aiti. Giovanni Menrsio ha composto un trattata sugli Eleusini, nel quale
prora la maggior par- te de' fatti j che noi qui sopra abbiamo narrati La
cognizione e par coti dire, la chiara con- templazione de" miiterii
Eleusini, chiamossi Au- lópsto. In che consistesse non ai sa. Solo
si legge negli antichi scrittori, che un Sacrificato- re detto
Midranes immolava a Giove una troja, pregna ; : e dopo avere ite ta la di
lei pelle in terra, su quella li faceva stare chi doveva es- sere
purificato . Questa ceremonìa era accompa- gnata da preghiere, le quali
un austero digiuna doveva aver preceduto . Di poi dopo qualche
ablazione fatta coli' acque del mare, si corona? va l'iniziando con nn
cappello di fiori . Dopo queste prove il candidato poteva aspirare
alla qualità di Itiysta, o d' Infoiato a' misteri! . Quanto
raccontano gli antichi de' mostri e delle terribili apparizioni,
ch'avevano gì* inizia* ti ai misterii Eleusini si può provare . con
quan- -trizio, ch'è una grotta piccìola cavata nel sasso di
una isoletta del lago d'Erma nel li Contea di Pungali nell'Irlanda. Tutti
i pellegrini ch'an- davano a visitar il Purgatorio di S. Patrizio
non' potevano entrare, se prima non vi si erano pre- parati con
lunghe vigilie e con rigorosi digiuni j nel qnal tempo v'era chi loro
empiva la testa di terribili racconti? La prensione, i raccon-
ti, la deboteeza, le Miche operavano in guiia nella
immaginazione di qui;' malconci pellegrini, ch'entrati nella; picciola
caverna in meno a quelle angusìic, ove regnava, una osciiriiiini»
notxe, credevano divedere realmente lutto quel- lo, che avevano sentito
narrarli; onde usciti tutto ipacciavan per vero e reale, sebbene
non fosse rtato tale, che nella loro riicaldata e tur- bata
nfcntUt*; Seneca nelle questioni naturali Lìbr. Vili. Gap.
XXXI. fa menzione di qoeito proverbio; Eleusina servai, quod ostendai
revisentibus . Sì dice contro chi vuol dire, e inoltrare tutto ciò
che fa, od ha tenia frapponi dimora, tigli è preso di qui, che i ebbe ni
nel tempio di Cererà vi foriero molli ornamenti sacri, su' quali
cade- va r Auptosla, pure non li inoltravano ohe, *e- paraUmcnte,
ed in diversi tempi. Fine delle Osservotiorti . A. Cuti. The belief in
an underworld is very old, and most peoples imagine the dead as going
somewhere. Yet they each have their own elaboration of these beliefs, which can
run from extremely detailed, to a rather hazy idea. The Romans belong to the
latter category. They do not seem to have paid much attention to the afterlife.
Thus, Virgil, when working on his “Aeneid”, had a little problem. How should he
describe the underworld where Aeneas was going? To solve this problem, VIRGILIO
draws on three important sources, as Norden argues in his commentary: Homer’s
Nekuia, which is by far the most influential intertext, and two lost poems
about descents into the underworld by Heracles and Orpheus. Norden is fascinated
by the publication of the Apocalypse of Peter, but he is not the only one: this
intriguing text appeared in, immediately, three edition. Moreover, it also
inspires the still useful study of the underworld by Dieterich. When Norden
published his commentary on Aeneid, and he continued working on it, his essay
still impresses by its stupendous erudition, impressive feeling for style, [In general,
see Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife (London). 2 For Homer’s influence,
see Knauer, “Die Aeneis und Homer” (Göttingen). Norden, KleineSchriften zum klassischenAltertum
(Berlin), ‘Die Petrusapokalypse und ihre antiken Vorbilder’. In his monumental
commentary, Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6. A Commentary” (Berlin) mistakenly
states it was 1 Enoch. For the bibliography, see the most recent edition: Kraus
and T. Nicklas, “Das Petrusevangelium und die Petrusapokalypse (Berlin).
Dieterich, “Nekyia” (Leipzig and Berlin). For Dieterich, see most recently
H.-D. Betz, The “Mithras” Liturgy (Tübingen) Wessels, Ursprungszauber. Zur
Rezeption von Hermann Useners Lehre von der religiösen Begriffsbildung
(London); H. Treiber, ‘Der “Eranos” – Das Glanzstück im Heidelberger
Mythenkranz?’, in W. Schluchter and F.W. Graf (eds), Asketischer
Protestantismus und der ‘Geist’ des modernen Kapitalismus, Tübingen, many interesting
glimpses of Dieterich’s influence in Heidelberg; Tommasi, Albrecht Dieterich’s
Pulcinella: some considerations a century later, St. Class. e Or. F. Graf,
‘Mithras Liturgy and Religionsgeschichtliche Schule, MHNH Norden, P. Vergilius Maro
AeneisVI (Leipzig) 5 (sources). ingenious reconstructions of lost sources and
all-encompassing mastery of Roman literature. It is, arguably, the finest
commentary of the golden age of German Classics.7 Norden’s reconstructions of
Virgil’s sources for the underworld in Aeneid VI have largely gone unchallenged,
and the next worthwhile commentary, that by Austin clearly did not feel at home
in this area. Now the past century has seen a number of new papyri of
literature as well as new Orphic texts, and, accordingly, a renewed interest in
Orphic traditions. Moreover, our understanding of Virgil as a philosophical bricoleur
or mosaicist, as Horsfall calls him, has much increased in recent decades. It
may therefore pay to take a fresh look at Virgil’s underworld and try to
determine to what extent these new discoveries enrich and/or correct Norden’s
picture. We will especially concentrate on the Orphic, Eleusinian, and
Hellenistic backgrounds of Aeneas’s descent. Yet a Roman philosopher may hardly
avoid his *own* Roman tradition, and, in a few instances, we will also comment
on these aspects. As Norden observes, Virgil divides his picture of the
underworld into six parts, and we will follow these in our argument. For
Norden, see most recently E. Mensching, Nugae zur Philologie-Geschichte, 14
vols (Berlin). Rüpke, “Römische Religion” (Marburg); B. Kytzler et al., Norden
(Stuttgart); W.M. Calder III and B. Huss, “Sed serviendum officio...” The
Correspondence between Wilamowitz-Moellendorff and Eduard Norden (Berlin); W.A.
Schröder, Der Altertumswissenschaftler Eduard Norden. Das Schicksal eines
deutschen Gelehrten Abkunft (Hildesheim); A. Baumgarten, ‘Eduard Norden and His
Students: a Contribution to a Portrait. Based on Three Archival Finds’, Scripta
Class. Israel; Horsfall, Virgil, “Aeneid”, with additional bibliography,
although overlooking Neuhausen, ‘Aus dem wissenschaftlichen Nachlass Franz
Bücheler’s (I): Eduard Nordens Briefe an Bücheler’, in Clausen (ed.), Iubilet
cum Bonna Rhenus. Festschrift zum 150 jährigen Bestehen des Bonner Kreises
(Berlin) (important for the early history of the commentary) and -- Rüpke, ‘Dal seminario all’esilio: Norden e
Jaeger,’ Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia (Siena). See now also O.
Schlunke, ‘Der Geist der lateinischen Literatursprache. Eduard Nordens verloren
geglaubter Genfer Vortrag’, A&A 8 For a good survey of the status quo, seeA.
Setaioli,‘Inferi’,inEVII,
Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos liber sextus (Oxford, 1977). For Austin see, in his inimitable
and hardly to be imitated manner, J. Henderson, ‘Oxford Reds’ (London)
Horsfall(ed.), A Companion to the Study of Virgil (Leiden) See especiallyN.
Horsfall, VIRGILIO: l’epopea in alambicco (Napoli). Norden, AeneisVI,208 (sixparts).
As Horsfall,Virgil,“Aeneid”6, has used my previous articles for his commentary,
I will refer Horsfall only in cases of substantial disagreements or
improvements of my analysis. I freely make use of]. Before we start with the
underworld proper, we have to note an important verse. At the very moment that
Hecate is approaching and Aeneas will leave the Sybil’s cave to start his entry
into the underworld, at this emotionally charged moment, the Sibyl calls out.
“Procul, o procul este, profani.” Austin just notes: ‘a religious formula’,
whereas Norden comments. “Der Bannruf der Mysterien ἑκὰς ἑκάς.” However, such a cry is not attested for the Mysteries in Greece but
occurs only in Callimachus. In Eleusis it is *not* the ‘uninitiated’ but those
who cannot speak proper Greek or had blood on their hands that are excluded. But
Norden is on the right track. The formula alludes to the beginning of the,
probably, oldest Orphic theogony which has now turned up in the Derveni papyrus
(Col, ed. Kouremenos et al.), but allusions to which can already be found in
Pindar, the Italic philosopher Empedocles of Girgenti -- who was heavily
influenced by the Orphics -- and Plato. “I will sing to those who understand:
close the doors, you uninitiated.” A further reference to the Mysteries can
probably be found in Virgil’s subsequent words. “Sit mihi fas audita loqui” --
as it was forbidden to speak about the content of the Mysteries to the
non-initiated. my ‘The Roman Tour of
Hell’, in T. Nicklas et al. (eds), Other Worlds and their Relation to this
World (Leiden); ‘Roman Tours of Hell: in W. Ameling (ed.), Topographie des
Jenseits (Stuttgart) 13–34 (somewhat revised and abbreviated as ‘De katabasis
van Aeneas’ Lampas) and ‘Descents to Hell and Ascents to Heaven’, in Collins, Oxford
Handbook of Apocalyptic Literature (Oxford). For the entry, see H. Cancik,
Verse und Sachen (Würzbur) (‘Der Eingang in die Unterwelt. Ein
religionswissenschaftlicher Versuch zu Vergil, Aeneis VI, fi). For further
versions of this highly popular opening formula, see Weinreich, Ausgewählte
Schriften II (Amsterdam); Ried- weg, Hellenistische Imitation eines orphischen
Hieros Logos (Munich); A. Bernabé, ‘La fórmula órfica “Cerrad las puertas,
profanos”. Del profano religioso al profano en la materia’, ‘Ilu and on OF 1;
Beatrice, ‘On the Meaning of “Profane” in Antiquity. The Fathers,
Firmicus Maternus and Porphyry before the Orphic “Prorrhesis” (OF 245.1 Kern)’,
Ill. Class. Stud., who at p. 137 also observes the connection with Aen. 6.258. In
addition to the opening formula, see also Hom. H. Dem.; Eur. Ba.; Diod. Sic.;
Cat. - “orgia quae frustra cupiunt audire profane”; Philo, Somn.; Horsfall on
Aen. For the secrecy of the Mysteries, see Horsfall on Aen. The ritual cry,
then, is an important signal for our understanding of the text, as it suggests
the theme of the Orphic Mysteries and indicates that the Sibyl acts as a kind
of mystagogue for Aeneas. After a sacrifice to the chthonic powers and a
prayer, Aeneas walks in the ‘loneliness of the night’ to the very beginning of
the entrance of the underworld, which is described as “in faucibus Orci” -- an
expression that also occurs elsewhere in Virgil and other Latin philosophers. Similar
passages suggest that the Roman philosophers imagine the ‘underworld’ as a vast
hollow space with a comparatively narrow opening. “Orcus” can hardly be
separated from Latin “orca,” -- and we find here an ancient idea of the
underworld as an enormous pitcher with a narrow opening. This opening must have
been proverbial, as in Seneca’s Hercules Oetaeus. Alcmene refers to fauces only
as the entry of the underworld. All kinds of ‘haunting abstractions’ (Austin),
such as War, Illness and avenging Eumenides, live here. In its middle, there is
a dark elm of enormous size, which houses the dreams. The elm is a kind of
arbor infelix, as it does not bear fruit (Theophr. HP Norden), which partially
explains why Virgilio chose this tree, a typical arboreal Einzelgän- ger, for
the underworld. Another reason must have been its size, “ingens”, as the
enormous size of the underworld is frequently mentioned in Roman philosophy. In
the tree the empty dreams dwell. There is no equivalent for this idea, but
Homer (Od.) situates the dreams at the beginning of the underworld. Virgil
places here all kinds of hybrids and monsters, some of whom are also found in
the Greek underworld, such as Briareos (Il.). Others, though, are just
frightening figures from mythology, such as the often closely associated Harpies
and Gorgons, or hybrids like the Centaurs and Scyllae. According to Norden
‘alles ist griechisch gedacht’, For similar
‘signs’, see Horsfall,Virgilio (‘I segnali per strada’). Verg. Aen. with
Horsfall ad loc.; Val. Flacc.; Apul. Met. 7.7; Gellius; Arnob.; Anth. Lat.
Wagenvoort, Studies in Roman Philosophy (Leiden) 102–131 (‘Orcus’); for a possibly,
similar idea in ancient Greece, see West on Hes. Th. See also ThLL. For a possible
echo of the Italic philosopher Empedocles of Girgenti B121DK, see Gallavotti,‘Empedocle’,
EVII. For a possible source,see Horsfall, Virgilio. Most important evidence:
Macr. Sat., cf. J. André, ‘Arbor felix, arbor infelix’, in Hommages à Jean
Bayet (Brussels); J. Bayet, “Croyances et rites dans la Rome antique” (Paris)
Lucrezop; Verg.Aen. (ingens!); Sen.Tro. Horsfallon Aen.; Bernabéon OF717 (=P.
Bonon.4).33. but that is perhaps not quite true. The presence of Geryon (“forma
tricorporis umbrae”) with Persephone in an Etruscan tomb as Cerun points to at
least one Etruscan-Roman tradition. From this entry, Aeneas proceeds along a
road to the river that is clearly the border to the underworld. In passing, we
note here a certain tension between the Roman idea of “fauces” and a conception
of the underworld separated from the upperworld by a river. Virgil keeps the
traditional names of the rivers as known from Homer’s underworld, such as
Acheron, Cocytus, Styx, and Pyriphlegethon, but, in his usual manner, changes
their mutual relationship and importance. Not surprisingly, we also find there
the ferryman of the dead, Charon. Such a ferryman is a traditional feature of
many underworlds, but iCharon is mentioned in the late archaic Minyas (fr. 1
Davies/Bernabé), a lost Boeotian epic. The growing monetization of Athens also
affects belief in the ferryman, and the custom of burying a deceased with an
obol, a small coin, for Charon becomes visible on vases, just as it is
mentioned first in Aristophanes’ Frogs. Austin (ad loc.) thinks of a picture in
the background of Virgil’s description, as is perhaps possible. The date of
Charon’s emergence probably precludes his appear- [See Nisbet and Hubbard on
Hor. C. 2.14.8; P. Brize, ‘Geryoneus’, in LIMC at no. 25. 28 A. Henrichs, ‘Zur
Perhorreszierung des Wassers der Styx bei Aischylos und Vergil’, ZPE. Pelliccia,
‘Aeschylean ἀμέγαρτος and Virgilian inamabilis’, ZPE. Horsfall on Aen. Note its mention also inOF717.42.
30 L.V. Grinsell, ‘The Ferryman and His Fee: A Study in Ethnology, Archaeology,
and Tradition’, Folklore; Lincoln, ‘The Ferryman of the Dead’, J. Indo-European
Stud.; Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death to the End of the Classical
Period (Oxford); Oakley, Picturing Death (Cambridge); J. Boardman, ‘Charon I’,
in LIMC, Debiasi, ‘Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale minore’, in E. Cingano
(ed.), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e stroriografia
(Alessandria), Oakley, Picturing Death, with bibliography; add R. Schmitt,
‘Eine kleine persische Münze als Charonsgeld’, in Palaeograeca et Mycenaea
Antonino Bartonĕk quinque et sexagenario oblata (Brno); Gorecki, ‘Die
Münzbeigabe, eine mediterrane Grabsitte. Nur Fahrlohn für Charon?’, in M.
Witteger and P. Fasold, “Des Lichtes beraubt. Totenehrung in der römischen
Gräberstrasse von Mainz-Weisenau (Wiesbaden); G. Thüry, ‘Charon und die
Funktionen der Münzen in römischen Gräbern der Kaiserzeit’, in O. Dubuis and S.
Frey-Kupper, Fundmünzen aus Gräbern (Lausanne)] ance in the poem on Heracles’
descent, although he seems to have been present already in the poem on Orpheus’
descent. Finally, on the bank of the river, Aeneas sees a number of souls and
he asks the Sibyl who they are. The Sibyl, thus, is his ‘travel guide’. Such a
guide is not a fixed figure in Orphic descriptions of the underworld, but a recurring
feature of later tours of hell and going back to 1 Enoch. This was already
seen, and noted for Virgil, by Radermacher, who had collaborated on an edition
with translation of 1 Enoch. Moreover, another formal marker in later tours of
hell is that the visionary often asks: ‘Who are these?’, and is answered by the
guide of the vision with ‘these are those who...’, a phenomenon that can be
traced back equally to Enoch’s cosmic tour in 1 Enoch. Such demonstrative
pronouns also occur in the Aeneid, as Aeneas’ questions can be seen as
rhetorical variations on the question ‘who are these?’, and the Sibyl’s replies
contains “haec”, “ille” and “hi”. In other words, Virgil uses this tradition to
shape his narrative, and he may have used some other Hellenistic motifs as well.
Leaving aside Aeneas’s encounter with different souls and with Charon, we
continue our journey on the other side of the Styx. Here Aeneas; Contra Norden,
Aeneis; Stuckenbruck, ‘The Book of Enoch: Its Reception in Second Temple Jewish
and in Christian Tradition’, Early Christianity; Radermacher, Das Jenseits im
Mythos der Hellenen (Bonn) 14–15, overlooked by M. Himmelfarb, Tours of Hell, Philadelphia,
and wrongly disputed by H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy (Oxford)
183, cf. J. Flemming and L. Radermacher, Das Buch Henoch (Leipzig). For
Radermacher, see A. Lesky, Gesammelte Schriften (Munich); Wessels,
Ursprungszauber. As was first pointed out by Himmelfarb, Tours of Hell, Himmelfarb,
Tours of Hell; J. Lightfoot, The Sibylline Oracles (Oxford), who also notes the
passage “contains three instances each of “hic” as adverb and demonstrative
pronoun - a rhetorical question answered by the Sibyl herself, and several
relative clauses identifying individual sinners or groups’. Add Aeneas’s questions
in the Heldenschau especially, – “quis”, “pater”, “ille” -- ), and further
demonstrative pronouns. 39 Differently, Horsfallon Aen. and the Sibyl are immediately welcomed by
Cerberus who first occurs in Hesiod’s Theogony but must be a very old feature
of the underworld, as a dog already guards the road to the underworld in
ancient mythology. After Cerberus is drugged, Aeneas proceeds and hears the
sounds of a number of souls. Babies are the first category mentioned. The
expression “ab ubere raptos” suggests infanticide, which is also condemned in
the Bologna papyrus, a katabasis in a papyrus from Bologna, the text of which
seems to date from early imperial times and is generally accepted to be Orphic
in character. This papyrus, as has often been seen, contains several close
parallels to Virgil, and both must have used the same identifiably Orphic
source. Now ‘blanket condemnation of abortion and infanticide reflects a moral
perspective. As we have already noted moral influence, we may perhaps assume it
here too, as abortion and infanticide in fact occurs almost exclusively in ‘moralistic’
tours of hell’. Indeed, the origin of the Bologna papyrus should probably be
looked for in Alexandria in a milieu that underwent moral influences. We may
add that the so-called Testament of Orpheus is a revision of an Orphic poem and
thus clear proof of the influence of Orphism on Egyptian (Alexandrian?) moralism.
Yet some of the Orphic material of Virgil’s and the papyrus’ source must be
older than the Hellenistic period. M.L. West, Indo-European Poetry and Myth (Oxford).
For the text, with extensive bibliography and commentary, see Bernabé,
Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta. (OF), who notes: ‘omnia quae in papyro
leguntur cum Orphica doctrina recentioris aetatis congruunt’. This has been
established by N. Horsfall, ‘P. Bonon.4 and Virgil, Aen.6, yet again’, ZPE; See
also Horsfall on Aen. Lightfoot, Sibylline Oracles, 513 (quotes), who compares
1 Enoch 99.5; see also Himmelfarb, Tours of Hell; D. Schwartz, ‘Did People
Practice Infant Exposure and Infanticide in Antiquity?’, Studia Philonica
Annual; Stuckenbruck, 1 Enoch (Berlin and New York, Shanzer, ‘Voices and
Bodies: The Afterlife of the Unborn’, Numen, with a new discussion of the
beginning of the Bologna papyrus, in which she argues that the papyrus mentions
abortion, not infanticide. 44 A. Setaioli, ‘Nuove osservazioni sulla
“descrizione dell’oltretomba” nel papiro di Bologna’, Studi Ital. Filol. Class.
Riedweg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos and ‘Literatura
órfica’, in A. Bernabé and F. Casadesus (eds), Orfeo y la tradicion órfica
(Madrid); F. Jourdan, Poème judéo-hellénistique attribué à Orphée: production
juive et réception chrétienne (Paris). After the babies
we hear of those who were condemned innocently, suicides, famous mythological
women such as Euadne, Laodamia, and, hardly surprisingly, Dido, Aeneas’
abandoned beloved. In this way Virgil follows the traditional combination of
ahôroi and biaiothanatoi. The last category that Aeneas meets at the furthest
point of this region between the Acheron and the Tartarus/Elysium are war
heroes. When we compare these categories with Virgil’s intertext, Odysseus’
meeting with ghosts in the Odyssey, we note that, before crossing Acheron,
Aeneas first meets the souls of those recently departed and those unburied,
just as in Homer Odysseus first meets the unburied Elpenor. The last category
enumerated in Homer are the warriors, who here too appear last. Thus, Homeric
inspiration is clear, even though Virgil greatly elaborates his model, not
least with material taken from Orphic katabaseis. Aeneas then reaches a fork in
the road, where the right-hand way leads to Elysium, but the left one to
Tartarus. The fork and the preference for the right are standard elements in
eschatological myths, which suggests a traditional motif. Once again, we are
led to the Orphic milieu, as the Orphic Gold Leaves regularly instruct the soul
‘go to the right’ or ‘bear to the right’ after its arrival in the underworld, thus
varying Pythagorean usage for the upper world. Virgil’s description of Tartarus
is mostly taken from the Odyssey. Grisé, Le suicide dans la Rome antique (Paris).
These two heroines are popular in funereal poetry in Hellenistic-Roman times:
SEG 52.942, 1672. For the place of Dido in Book VI and her connection with
Heracles’ katabasis, see R. Nauta, ‘Dido en Aeneas in de onderwereld’, Lampas
See, passim, S.I. Johnston, Restless Dead (Berkeley, Los Angeles, London,
1999); Horsfall on Aen. 6.426–547. 50 Norden, AeneisVI,238–239. 51 Pl.Grg. 524a,
Phd.108a; Resp.10.614cd; Porph.fr. 382;Corn.Labeofr. 7. 52 A. Bernabé and A.I.
Jiménez San Cristóbal, Instructions for the Netherworld (Leiden) 22–24 (who
also connect 6.540–543 with Orphism); F. Graf and S.I. Johnston, Ritual Texts
for the Afterlife: Orpheus and the Bacchic Gold Tablets (London) no. 3.2
(Thurii) = OF 487.2, 8.4 (Entella) = OF 475.4, 25.1 (Pharsalos) = OF 477.1. For
the exceptions, preference for the left in the Leaves from Petelia (no. 2.1 =
OF 476.1) and Rhethymnon (no. 18.2 = OF 484a.2), see the discussion by Graf and
Johnston, Ritual Texts. The two roads also occur in the Bologna papyrus, cf. OF
717.77 with Setaioli, ‘Sulla descrizione’. Smith,‘The Pythagorean Letter and Virgil’s
GoldenBough’, Dionysius -- but the picture is complemented by references to
other descriptions of Tartarus and to contemporary Roman villas. What does our
visitor see? Under a rock there are “moenia” encircled by a threefold wall. The
idea of the mansion is perhaps inspired by the Homeric expression ‘house of
Hades’, which must be very old as it has Hittite, Indian and Irish parallels, but
in the oldest Orphic Gold Leaf, the one from Hipponion, the soul also has to
travel to the ‘well-built house of Hades’. On the other hand, Hesiod’s
description of the entry of Tartarus as surrounded three times by night seems
to be the source of the three-fold wall. Around Tartarus there flows the river
Phlegethon, which comes straight from the Odyssey, where, however, despite the
name Pyriphlegethon, the fiery character is not thematized. In fact, fire only later
became important in ancient underworlds. The size of the Tartarus is again
stressed by the mention of an “ingens” gate that is strengthened by columns of
adamant, the legendary, hardest metal of antiquity, and the use of special
metal in the architecture of the Tartarus is also mentioned in the Iliad (‘iron
gates and bronze threshold’) and Hesiod (‘bronze fence’). Finally, there is a
tall iron tower, which according to Norden and Austin is inspired by the Pindaric
‘tower of Kronos’. However, although Kronos is traditionally locked up in
Tartarus, Pindar situates his tower on one of the Isles of the Blessed. As the
tower is also not associated with Kronos here, Pindar, whose influence on
Virgil was not very profound, will hardly be its source. Given that the
Tartarus is depicted like some kind of building with a gate, “vestibulum” and
threshold, it is perhaps better to think of the towers that form part of Roman
villas. The
“turris aenea” in 54 Cf.A. Fo,‘Moenia’,in E VIII.557–558. 55 Il. VII.131,
XI.263, XIV.457, XX. 366; Emp. B 142 DK, cf. A. Martin, ‘Empédocle, Fr. 142
D.-K. Nouveau regard sur un papyrus d’Herculaneum’, Cronache Ercolanesi 33
(2003) 43–52; M. Janda, Eleusis. Das
indogermanische Erbe der Mysterien (Innsbruck, 2000) 69–71; West, Indo-European
Poetry, Note also Aen.: domos Ditis. 56 Grafand Johnston, RitualTexts,no.
1.2=OF474.2. 57 For Hesiod’sinfluence on Virgil, see A. LaPenna, ‘Esiodo’, in EVII,386–388;HorsfallonAen.
7.808. 58 Lightfoot, Sibylline Oracles, 514. 59 Lexikon des frühgriechischen
Epos I (Göttingen) s.v.; West on Hesiod, Th. 161; Lightfoot, Sibylline Oracles,
494f. 60 On Kronos and his Titans, see Bremmer, Greek Religion and Culture, the
Bible, and the Ancient Near East (Leiden). For rather different positions, see
Thomas, “Reading Virgil and His Texts” (Ann Arbor) and Horsfall on Aen.
3.570–587. 62 Norden, Aeneis VI, 274 rightly compares Aen. 2.460 (now with
Horsfall ad loc.), although 3 pages later he compares Pindar; E. Wistrand, ‘Om
romarnas hus’, Eranos 37 which Danae is locked up according to ORAZIO may be
another exam-ple, as before Virgil she is always locked up in a bronze chamber
(Nisbet and Rudd ad loc.). Traditionally, Tartarus was the deepest part of the
Greek underworld, and this is also the case in Virgil. Here, according to the
Sibyl, we find the famous sinners of mythology, especially those that revolted
against the gods, such as the Titans, the sons of Aloeus, Salmoneus, and Tityos.
However, Virgil concentrates not on the most famous cases but on some of the
lesser-known ones, such as the myth of Salmoneus, the king of Elis, who
pretended to be Zeus. His description is closely inspired by Hesiod, who in
turn is followed by later authors, although these seem to have some additional
details. Salmoneus drove around on a chariot with four horses, while
brandishing a torch and rattling bronze cauldrons on dried hides, pretending to
be Zeus with his thunder and lightning, and wanting to be worshipped like Zeus.
However, Zeus flung him headlong into Tartarus and destroyed his whole town. Receiving
nine lines, Salmoneus clearly is the focus of this catalogue, as the penalty of
Tityos, an “alumnus” of Terra, is related in 6 lines, and other sinners, such
as the Lapiths, Ixion, and Pirithous, are; Opera selecta (Stockholm). For
anachronisms in the Aeneid, see Horsfall, Virgilio, Il., 478; Hes. Th. 119 with
West ad loc.; G. Cerri, ‘Cosmologia dell’Ade in Omero, Esiodo e Parmenide’,
Parola del Passato; D.M. Johnson, ‘Hesiod’s Descriptions of Tartarus (Theogony
721–819)’, Phoenix; Except for Salmoneus, they are als opresent in ORAZIO’s s underworld:
Nisbet and Ruddon Hor. Compare Soph. fr10c6 (makingnoisewithhides, cf. Apollod.1.9.7,
to be read with Smith and Trzaskoma, ‘Apollodorus: Salmoneus’ Thunder-Machine’,
Philologus and Griffith, ‘Salmoneus’ Thunder-Machine again’); Man. (bronze
bridge); Greg. Naz. Or. 5.8; Servius and Horsfall on Aen. (bridge). 66 In line 591, aere, which is left
unexplained by Norden, hardly refers to a bronze bridge (previous note: so
Austin) but to the ‘bronze cauldrons’ of Hes. fr. 30.5, 7. 67 For the myth, see
Hes. fr. 15, 30; Soph. fr. 537–541a; Diod. Sic.; Hyg. Fab. 61, 250; Plut. Mor.
780f; Anth. Pal. 16.30; Eust. on Od. Hardie, Virgil’s Aeneid: cosmos and
imperium (Oxford); D. Curiazi, ‘Note a Virgilio’, Musem Criticum; A. Mestuzini,
‘Salmoneo’, in EV IV, 663–666; E. Simon, ‘Salmoneus’, in LIMC; Austint ranslates
‘son’, as Homer (Od.) calls him a son of Gaia, but Tityos being a foster son is
hardly ‘nach der jungen Sagenform’ (Norden), cf. Hes. fr. 78; Pherec. F 55
Fowler; Apoll. Rhod.; Apollod. 1.4.1. For alumnus meaning ‘son’, see ThLL s.v.
69 Ixion appears in the underworld as early as Ap. Rhod. 3.62, cf. Lightfoot,
Sibylline Oracles, 517] mentioned only in passing. It is rather striking, then,
that Virgil spends such great length on Salmoneus, but the reason for this
attention remains obscure. Moreover, the latter sinners are connected with
penalties, an overhanging rock and a feast that cannot be tasted, which in
mythology are normally connected with Tantalus We find the same ‘dissociation’
of traditional sinners and penalties in later works. Apparently, specific
punishments gradually stopped being linked to specific sinners. Finally, it is
noteworthy that the furniture of the feast with its golden beds points to the
luxury-loving rulers of the East rather than to contemporary Roman magnates. After
these mythological exempla there follow a series of mortal sinners against the
family and familia, then a brief list of their punishments, and then more
sinners, mythological and historical. In the Bologna papyrus, we find a list of
sinners, then the Erinyes and Harpies as agents of their punishments, and
subsequently again sinners. Both Virgil and the papyrus must therefore go back
here to their older source, which seems to have contained separate catalogues
of nameless sinners and their punishments. But what is this source and when was
it composed? Here we run into highly contested territory. Norden identifies
three katabaseis as important sources for Virgil, the ones by Odysseus in the
Homeric Nekuia, by Heracles, and by Orpheus. Unfortunately, Norden does not
date the last two katabaseis, but thanks to subsequent findings of 70 J.
Zetzel, ‘Romane Memento: Justice and Judgment in Aeneid 6’, Tr. Am. Philol.
Ass. Bremmer,‘Orphic,Roman, Jewish and ChristianToursofHell’. 72 Note also
Dido’s aurea sponda (Aen.); Sen. Thy. 909: purpurae atque auro incubat.
Originally, golden couches were a Persian feature, cf. Hdt.; Esther 1.6; Plut.
Luc. 37.5; Athenaeus 5.197a. 73 P. Salat, ‘Phlégyas et Tantale aux Enfers. À
propos des vers 601–627 du sixième livre de l’Énéide’, in Études de littérature
ancienne, Questions de sens (Paris, 1982) 13–29; F. Della Corte, ‘Il catalogo
dei grandi dannati’, Vichiana, Opuscula IX (Genova) Powell, ‘The Peopling of
the Underworld: Aeneid, in Stahl (ed.), Vergil’s Aeneid: Augustan Epic and
Political Context, London; Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of
Heracles’ katabasis -- with Lloyd-Jones, Greek Epic, on Bacch. and F. Graf,
Eleusis und die orphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit (Berlin)
on Ar. Ra. 291, where Dionysus wants to attack Empusa), 309–312 (see also
Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes
influence of Orpheus’ katabasis on lines 120 (see also Norden, Kleine
Schriften, Horsfall on Aen. 6.120. papyri we can make some progress here. On
the basis of a probable fragment of Pindar, Bacchylides, Aristophanes’ Frogs,
and the mythological handbook of Apollodorus, Hugh Lloyd-Jones reconstructs an
epic katabasis of Heracles, in which he was initiated by Eumolpus in Eleusis
before starting his descent at Laconian Taenarum. Lloyd- Jones dated this poem
to the middle of the sixth century, and the date is now supported by a shard in
the manner of Exekias that shows Heracles amidst Eleusinian gods and heroes. The
Eleusinian initiation makes Eleusinian or Athenian influence not implausible,
but as Parker comments, once the (Eleusinian) cult had achieved fame, a hero
could be sent to Eleusis by a non-Eleusinian poet, as to Delphi by a
non-Delphian. However, as we will see in a moment, Athenian influence on the
epic is certainly likely. Given the date of this epic we would still expect its
main emphasis to be on the more heroic inhabitants of the underworld, rather
than the nameless categories we find in Orphic poetry. And in fact, in none of
our literary sources for Heracles’s descent do we find any reference to
nameless humans or initiates seen by him in the underworld, but we hear of his
meeting with MELEAGRO and his liberation of Theseus. Given the prominence of
nameless, human sinners in this part of Virgil’s text, the main influence seems
to be the katabasis of Orpheus rather than the one of Heracles. There is
another argument as well to suppose here use of the katabasis of Orpheus. Norden
notes that both Rhadamanthys and Tisiphone
recur in Lucian’s Cataplus in an Eleusinian context. Similarly, he
observed that the question of the Sibyl to Musaeus about Anchises can be
paralleled by the question of the Aristophanic Dionysos to the Eleusinian
initiated where Pluto lives [The commentary of W. Stanford on the Frogs (London) is more
helpful in detecting Orphic influence in the play than that by K.J. Dover
(Oxford). Lloyd-Jones, ‘Heracles at Eleusis: P. Oxy. 2622 and P.S.I. 1391’,
Maia = Greek Epic; see also R. Parker, Athenian Religion (Oxford) Boardman et al.,‘Herakles’,inLIMCIV. Parker, Athenian
Religion, Graf, Eleusis, 146 n. 22, who compares Apollod., cf. 1.5.3 (see also
Ov. Met.; P. Mich. Inv., re-edited by M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’
Digests? (Leiden); Servius on Aen.), argues that the presence of the Eleusinian
Askalaphos in Apollodorus also suggests a larger Eleusinian influence. This may
well be true, but his earliest Eleusinian mention is Euphorion and he is absent
from Virgil. Did Apollodorus perhaps add him to his account of Heracles’s katabasis
from another source? Contra Graf, Eleusis, 145–146. Note also the doubts of R.
Parker, Polytheism and Society at Athens (Oxford, 2005) 363 n. 159. Meleager:
Bacch., with Cairns ad loc. Norden, AeneisVI, 274f. Frogs 161ff, 431ff). Norden
ascribes the first case to the katabasis of Orpheus and the second one to that
of Heracles. His first case seems unassailable, as the passage about Tisiphone
has strong connections with that of the Bologna papyrus, as do the sounds of
groans and floggings heard by Aeneas and the Sibyl (cf. OF 717.25; Luc. VH.).
Musaeus, however, is mentioned first in connection with Onomacritus’ forgery of
his oracles in the late sixth century and remained associated with oracles by
Herodotus, Sophocles and even Aristophanes in the Frogs. His connection with
Eleusis does not appear on vases before the end of the fifth century and in
texts before Plato. In other words, it seems likely that both these passages
ultimately derive from the katabasis of Orpheus, and that Aristophanes, like
Virgil, had made use of both the katabaseis of Heracles and Orpheus. To make
things even more complicated, the descent of both Heracles and Orpheus at
Laconian Taenarum shows that the author himself of Orpheus’s katabasis also
used the epic of Heracles’s katabasis. We have one more indication left for the
place of origin of the Heracles epic. After the nameless sinners we now see
more famous mythological ones. Theseus, as Virgil stresses, sedet aeternumque
sedebit. The passage deserves more attention than it has received in the
commentaries. In the Odyssey, Theseus and Pirithous are the last heroes seen by
Odysseus in the underworld, just as in Virgil Aeneas sees Theseus last in
Tartarus, even though Pirithous has been replaced by Phlegyas. Originally,
Theseus and Pirithous are condemned to an eternal stay in the underworld,
either fettered or grown to a rock. This is not only the picture in the
Odyssey, but seemingly also in the Minyas (Paus., cf. fr. dub. 7 = Hes. fr.
280), and certainly so on Polygnotos’ painting in the Cnidian lesche (Paus.)
and in Panyassis (fr. 9 Davies = fr. 14 Bernabé). This clearly is the older
situation, which is still referred to in the hypothesis of Critias’ Pirithous
(cf. fr. 6). The situation must have changed through the katabasis of Heracles,
in which Heracles liberates Theseus but, at least in some sources, left
Pirithous where he was.87 This liberation is most likely another testimony for
an Athenian connection of the katabasis of Heracles, as Theseus was Athens’ na-
[83 Norden, Aeneis; Hdt.7.6.3 (forgery: OF 1109 = Musaeus, fr. 68),8.96.2 (=OF69),
9.43.2 (=OF70); Soph.fr. 1116 (= OF 30); Ar. Ra. 1033 (= OF 63). 85 Pl. Prot.
316d = Musaeus fr. 52; Graf, Eleusis, 9–21; Lloyd-Jones, Greek Epic, 182–183;
A. Kauf- mann-Samaras, ‘Mousaios’, in LIMC, no. 3. 86 As is also observed by
Norden, Aeneis VI, 237 (on the basis of Servius on Aen. 6.392) and Kleine
Schriften, 508–509 nos 77 and 79. 87 Hypothesis Critias’ Pirithous (cf. fr. 6);
Philochoros FGr H 328 F 18; Diod. Sic. 4.26.1, 63.4; Hor. C.; Hyg. Fab. 79;
Apollod. 2.5.12, Ep. 1.23f. ] tional hero. The connection of Heracles, Eleusis
and Theseus points to the time of the Pisistratids, although we cannot be much
more precise than we have already been. In any case, the stress by Virgil on
Theseus’s eternal imprisonment in the underworld shows that he sometimes opts
for a version different from the katabaseis he in general followed. Rather
striking is the combination of the famous Theseus with the obscure Phlegyas who
warns everybody to be just and not to scorn the gods. Norden unconvincingly
tries to reconstruct Delphic influence here, but also, and perhaps rightly,
posits Orphic origins. His oldest testimony is Pindar’s Second Pythian Ode, where
Ixion warns people in the underworld. Now Strabo calls Phlegyas the brother of
Ixion, whereas Servius calls him Ixion’s father. Can it be that this
relationship plays a role in this wonderful confusion of sources,
relationships, crimes and punishments? We will probably never know, as Virgil
often selects and alters at random. After another series of nameless human
sinners, among whom the sin of incest is clearly shared with the Bologna papyrus,
the Sibyl urges Aeneas on and points to the mansion of the rulers of the
underworld, which is built by the Cyclopes – “Cyclopum educta caminis moenia.” Norden
calls the idea of an iron building ‘singulär’ but it fits other descriptions of
the underworld as containing iron or bronze elements. Austin compares
Callimachus, for the Cyclopes as smiths using bronze or iron, but it has
escaped him that Virgil combines here two traditional activities of the
Cyclopes. On the one hand, they are smiths and as such forged Zeus’s thunder,
flash and lightning-bolt, a helmet of invisibility for Hades, the trident for
Poseidon and a shield for Aeneas For this case, see also Horsfall,Virgilio,49.
89 D. Kuijper,‘Phlegyas admonitor’, Mnemosyne; Garbugino,‘Flegias’,in EV II,
539–540 notes his late appearance in our texts. Even though it is a different
Phlegyas, one may wonder whether Statius, Thebais 6.706 et casus Phlegyae monet
does not allude to his words here: admonet ... “discite iustitiam moniti...”?
The passage is not discussed by R. Ganiban, Statius and Virgil (Cambridge,
2007). 91 Norden, Aeneis, compares, in addition to Pindar (see the main text),
Pl. Grg. 525c, Phaedo 114a, Resp. 10.616a. 92 To be addedt o Austin. Berry, “Criminals
in Virgil’s Tartarus: Contemporary Allusions in Aeneid” – CQ; Cf.Horsfall,‘P.
Bonon.4andVirgil,Aen.6’. Aen. 8.447).95 Consequently, they were known as the
inventors of weapons in bronze and the first to make weapons in the Euboean
cave Teuchion. On the other hand, early traditions also ascribed imposing
constructions to the Cyclopes, such as the walls of Mycene and Tiryns, and as
builders they remained famous all through antiquity. Iron buildings thus
perfectly fit the Cyclopes. In front of the threshold of the building, Aeneas
sprinkles himself with fresh water and fixes the golden bough to the lintel
above the entrance. Norden and Austin understand the expression “ramumque
adverso in limine figit” as the laying of the bough on the threshold, but “figit”
seems to fit the lintel better. One may also wonder from where Aeneas suddenly
got his water. Had he carried it with him all along? Macrobius (Sat. 3.1.6)
tells us that washing is necessary when performing religious rites for the
heavenly gods, but that a sprinkling is enough for those of the underworld.
There certainly is some truth in this observation. However, as the chthonian
gods are especially important during magical rites, it is not surprising that
people did not go to a public bath first. It is thus a matter of convenience
rather than principle. But to properly understand its function here, we should
look at the golden bough first. The Sibyl tells Aeneas to find the golden bough
and to give it to Proserpina as her due tribute. The meaning of the golden bough
has gradually become clearer.Whereas Norden rightly rejects the interpretation
of Frazer’s Golden Bough, he clearly was still influenced by his Zeitgeist with
its fascination with fertility and death and thus spends much attention on the
comparison of the bough with mistletoe. Yet by pointing to the Mysteries he
already came close to an important aspect of the bough.103 95 Hes. Theog.;
Apollod. 1.1.2 and 2.1, 3.10.4 (which may well go back to an ancient
Titanomachy); see also Pindar fr. 266. 96 Istros FGrH 334 F 71 (inventors);
POxy. 10.1241, re-edited by Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Teuchion).
97 Pin d. fr. 169a.7; Bacch. 11.77; Soph.; Hellanicus FGrH 4 F 87 = F 88
Fowler; Eur. HF 15, IA 1499; Eratosth. Cat. 39 (altar); Strabo; Apollod.;
Paus.; Anth. Pal. 7.748; schol. on Eur. Or. 965; Et. Magnum 213.29. 98 As is argued
by Wagenvoort, Pietas (Leiden) (‘TheGoldenBough’); Eitrem, Opferritus und
Voropfer der Griechen und Römer (Kristiania, 1915) 126–131; Pease on Verg. Aen.
4.635. 100 For Aeneas picking the bough on a mosaic, see D. Perring,
‘“Gnosticism” in Fourth-Century Britain: The Frampton Mosaics Reconsidered’,
Britannia -- Compare J.G. Frazer, Balder the Beautiful = The Golden Bough VII.2
(London) 284 n. 3 and Norden, Aeneis VI, 164 n. 1. 102 As observed by Wagenvoort,Pietas,
Norden,Aeneis. Combining three recent analyses, which have all contributed to a
better understanding, we may summarize our present knowledge as follows. When
searching for the golden bough, Aeneas is guided by two doves, the birds of his
*mother* Aphrodite. The motif of birds leading the way derives from
colonisation legends, as Norden and Horsfall have noted, and the fact that
there are two of them may well have been influenced by the age-old traditions
of two leaders of colonising groups. The doves, as Nelis has argued, can be
paralleled with the dove that led the Argonauts through the clashing rocks in
Apollonius of Rhodes’ epic. Moreover, as Nelis notes, the golden bough is part
of an oak tree, just like the golden fleece, both are located in a gloomy
forest and both shine in the darkness. In other words, it seems a plausible
idea that Virgil also had the golden fleece of the Argonautica in mind when
composing the episode of the golden bough. This is not wholly surprising. The
expedition of Jason and his Argonauts also was a kind of quest, in which the golden
fleece and the golden bough are clearly comparable. In addition, Colchis was
situated at the edge of Greek civilisation so that the journey to it might not
have been a katabasis but certainly had something of a Jenseitsfahrt. Admittedly,
the Argonautic epic does not contain a golden bough, but Michels points out
that in the introductory poem to his Garland MELEAGRO mentions ‘the ever golden
branch of divine Plato shining all round with virtue’ (Anth. Pal. = Meleager; Gow-Page,
West). Virgil certainly knows Meleager, as Horsfall notes, and he also observes
that the allusion to Plato prepares us for the use Virgil makes of
eschatological myths in his description of the underworld, those of the Phaedo,
Gorgias and Er in the Republic. In this section on the Golden Bough, I refer
just by name to West, ‘The Bough and the Gate’, in S.J. Harrison, Oxford
Readings in Vergil’s Aeneid (Oxford); Horsfall, Virgilio (with a detailed
commentary) and D. Nelis, Vergil’s Aeneid and the Argonautica of Apollonius
Rhodius (Leeds). The first two seem to have escaped Turcan, ‘Le laurier
d’Apollon (en marge de Porphyre)’, in A. Haltenhoff and F.-H. Mutschler (eds),
Hortus Litterarum Antiquarum. Festschrift H.A. Gärtner (Heidelberg), West, Indo-EuropeanPoetry;
Bremmer, Greek Religion and Culture. For the myth of the Golden Fleece, see
Bremmer, Religion and Culture. For the expedition of the Argonauts as
Jenseitsfahrt, see K. Meuli, Gesammelte Schriften (Basel); Hunter, The
Argonautica of Apollonius: literary studies (Cambridge) Michels, ‘The Golden
Bough of Plato’, Am. J. Philol. For Michels, see J. Linderski, ‘Agnes Kirsopp
Michels and the Religio’, Class. However, there is another, even more important
bough. SERVIO tells us that those who have written about the rites of
Proserpina assert that there is “quiddam mysticum” about the golden bough and
that people could not participate in the rites of Proserpina unless they
carried the golden bough. Now we know that the future initiates of Eleusis
carried a kind of pilgrim’s staff consisting of a single branch of myrtle or
several held together by rings. In other words, by carrying the bough and
offering it to Proserpina, queen of the underworld, Aeneas also acts as an
Eleusinian initiate, who of course had to bathe before initiation. Virgil will
have written this all with one eye on OTTAVIANO, who was an initiate himself of
the Eleusinian Mysteries. Yet it seems equally important that Heracles too had
to be initiated into the Eleusinian Mysteries before entering the underworld. In
the end, the golden bough is also an oblique reference to that elusive epic,
the Descent of Heracles. Having offered the golden bough to Proserpina, Aeneas may
now enter Elysium, where he now comes to “locos laetos” (cf. “laeta arva”) of “fortunatorum
nemorum.” The stress on joy is rather striking, but on a Orphic Gold Leaf from
Thurii we read, “Χαῖρε, χαῖρε.” Journey on the right-hand road to holy meadows and groves of
Persephone’. Moreover, we find joy also in
prophecies of the Golden Age, which certainly overlap in their motifs
with life in Elysium. Once again Virgil’s description taps Orphic poetry, as “lux
perpetua” is also a typically Orphic motif, which we already find in Pindar and
which surely must [Servius, Aen. 6.136: licet de hoc ramo hi qui de sacris
Proserpinae scripsisse dicuntur, quiddam esse mysticum adfirment ad sacra
Proserpinae accedere nisi sublato ramo non poterat. inferos autem subire hoc
dicit, sacra celebrare Proserpinae. The connection with Eleusis is also
stressed by G. Luck, Ancient Pathways and Hidden Pursuits (Ann Arbor) (‘Virgil
and the Mystery Religions’. R. Parker,Miasma (Oxford,); Suet. Aug.; Dio Cassius;
Bowersock, “Augustus” (Oxford) 68. 112
For woods in the underworld, see Od.; Graf and Johnston, Ritual Texts for the
Afterlife (Thurii) = OF 487.5–6; Verg. Aen.; Nonnos, D. 19.191. 113
GrafandJohnston, RitualTexts for the Afterlife, no. 3.5–6=OF487 Oracula
Sibyllina: ‘Rejoice, maiden’, cf. E. Norden, Die Geburt des Kindes (Stuttgart)
have had a place in the katabasis of Orpheus, just as the gymnastic activities,
dancing and singing almost certainly come from the same source, even though OTTAVIANO
must have been pleased with the athletics which he encouraged. The Orphic
character of these lines is confirmed by the mention of the Threicius sacerdos
(with Horsfall), obviously Orpheus himself. After this general view, we are
told about the individual inhabitants of Elysium, starting with genus antiquum
Teucri, which recalls, as Austin sees, “genus antiquum Terrae, Titania pubes” opening
the list of sinners in Tartarus. It is a wonderfully peaceful spectacle that we
see through the eyes of Aeneas. Some of the heroes are even “vescentis”, on the
grass, and we may wonder if this is not also a reference to the Orphic
‘symposium of the just’, as that also takes place on a meadow. Its importance
was already known from Orphic literary descriptions, but a meadow in the
underworld has also emerged on the Orphic Gold Leaves. The description of the
landscape is concluded with the picture of the river Eridanus that flows from a
forest, smelling of laurels. Neither Norden nor Austin explains the presence of
the laurels, but Virgil’s first readership will have had several associations
with these trees. Some may have remembered that the laurel is the highest level
of re-incarnation among plants in the Italic philosopher Empedocles of
Girgenti, whereas others will have realised the poetic and Apolline
connotations of the laurel. After Trojan and nameless Roman heroes, priests, and
poets, Aeneas sees those who found out knowledge and used it for the betterment
of life – “inventas aut qui vitam excoluere per artis” tr. 115 Pind. fr. 129; Ar. Ra.; Plut. frr. 178,211;
Visio Pauli21, cf.Graf, Eleusis, Horsfall, Virgilio, For the Titans being the ‘olden
gods’, see Bremmer, Greek Religion and Culture,78. 118 Graf, Eleusis, Pind. fr.
129; Ar. Ra.326; Pl. Grg. 524a, Resp.; Diod. Sic.; Bernabéon OF61. 120 Graf and
Johnston, Ritual Texts for the Afterlife, no. 3.5–6 (Thurii) = OF 487.5–6, no.
27.4 (Pherae) = OF. The Eridanus also appears in Apollonius Rhodius as a kind
of otherwordly river, but there it is connected with the myth of Phaethon and
the poplars, and resembles more Virgil’s Avernus with its sulphur smell than
the forest smelling of laurels in the underworld. For the name of the river,
see Delamarre, ‘ Ἠριδανός, le “fleuve de
l’ouest”,’ Etudes Celtiques. Horsfall, ‘Odoratum lauris nemus – Aeneid” Scripta
Class. Perhaps, readers may have also thought of the laurel trees that stand in
front of OTTAVIANO’s domus on the Palatine, given the importance of OTTAVIANO
in this book, cf. A. Alföldi, Die zwei Lorbeerbäume des Augustus (Bonn); M.
Flory, ‘The Symbolism of Laurel in Cameo Portraits of Livia’, Mem. Am. Ac. Rel.
Austin). As has long been seen, this line closely corresponds to a line from a
cultural-historical passage in the Bologna papyrus where we find an enumeration
of five groups in Elysium that have made life livable. The first are mentioned
in general as those who embellish life with their skills – “αἱ δε βίον σ[οφί]ῃσιν ἐκόσμεον” -- to be followed by the poets, ‘those who cut roots’ for medicinal
purposes, and two more groups which we cannot identify because of the bad state
of the papyrus. Inventions that both improve life and bring culture are
typically sophistic themes, and the mention of the archaic ‘root cutters’
instead of the more modern ‘doctors’ implies an older stage in the sophistic
movement. The convergence between Virgil and the Bologna papyrus suggests that
we have here a category of people seen by Orpheus in his katabasis. How- ever,
as Virgil sometimes comes very close to the list of sinners in Aristophanes’
Frogs, both poets must, directly or indirectly, go back to a common source, as
must, by implication, the Bologna papyrus. This Orphic source apparently was
influenced by the cultural theories of the Sophists. Now the poets occur in Aristophanes’
Frogs too in a passage that is heavily influenced by the cultural theories of
the Sophists, a passage that Graf
connects with Orphic influence. Are we going too far when we see here also the
shadow of Orpheus’s katabasis? Having seen part of the inhabitants of Elysium,
the Sibyl asks Musaeus where Anchises is. Norden persuasively compares the
question of Dionysus to the Eleusinian initiates where Pluto lives in
Aristophanes’ Frogs. In support of his argument Norden observes that, normally,
the Sibyl is omniscient, but only here asks for advice, which suggests a
different source rather than an intentional poetic variation. Naturally, Norden
infers from the comparison that both go back to the katabasis of Heracles. In
line with our investigation so far, however, we rather ascribe the question to
Orpheus’s katabasis, given the later prominence of Musaeus and the meeting with
Eleusinian initiates. Highly interesting is also another observation by Norden.
Norden notes that Musaeus shows them the valley where Anchises lives from a
height – “desuper ostentat” -- and compares a [Treu, ‘Die neue ‘Orphische’
Unterweltsbeschreibung und Vergil’, Hermes ‘die primitiven Wurzelsucher’. 124
Norden, Aeneis VI,287–288; Graf, Eleusis,146n. 21compares Aen.6.609 with Ar. Ra.149–150
(violence against parents), with Ra. (violence against strangers) and 6.612–613
with Ra. 150 (perjurers). Note also the resemblance of 6.608, OF 717.47 and Pl.
Resp. 10.615c regarding fratricides, which also points to an older Orphic source,
as Norden already saw, without knowing the Bologna papyrus. Graf,Eleusis,34–37.
126 Neither Stanford nor Dover refers to Virgil. number of Greek, Roman and
Christian Apocalypses. Yet his comparison confuses two different motifs, even
though they are related. In the cases of Plato’s Republic and Timaeus as well
as in CICERONE’S “IL SOGNO DI SCIPIONE” (Mozart) (Rep.) souls see the other
world, but they do not have a proper tour of hell (or heaven) in which a *supernatural*
person (Musaeus, il divino, [arch]angel, Devil) provides a view from a height
or a mountain. That is what we find in 1 Enoch (17–18), Philo (SpecLeg 3.2),
Matthew (4.8), Revelation (21.10), the Testament of Abraham, the Apocalypse of
Abraham (21), the Apocalypse of Peter, which was still heavily influenced by traditions,
and even the late Apocalypse of Paul (13), which drew on earlier sources. In
other words, it is hard to escape the conclusion that Virgil draws here too,
directly or indirectly, on this very old sources. With this quest for Anchises
we have reached the climax of LIBER VI. It would take us much too far to
present a detailed analysis of these lines but, in line with our investigation,
we will concentrate on Orphic and Orphic-related (Orphoid) sources. Aeneas
meets his father, when the latter has just finished reviewing the souls of his
line who are destined to ascend ‘to the upper light’. They are in a valley, of
which the secluded character is heavily stressed, while the river Lethe gently
streams through the woods. The Romans paid much attention to this river. Those
souls that are to be reincarnated drink the water of forgetfulness. After
Aeneas wonders why some would want to return to the upper world, Anchises
launches into a detailed cosmology and anthropology drawn straight from The
Porch – IL PORTICO -- before we again find Orphic material. The soul locks up
in the body as in a prison, which Vergil derived almost certainly straight from
Plato, just like the idea of engrafted -- concreta – evil [Contra Horsfallon Aen.6.792.
128 For the reference to metempsychosis, see Horsfallon Aen.6.724–751.129679–680
penitus convallevirenti inclusas animas; 703: vallereducta; 704: seclusumnemus.
Theognis 1216 (plain of Lethe); Simon. Anth.Pal.7.25.6(house of Lethe); Ar.Ra.186(plain
of Lethe); Pl. Resp. 10.621ac (plain and river); TrGF Adesp. fr. 372 (house of
Lethe); SEG (curse tablet: Lethe as a personal power). For its occurrence in
the Gold Leaves, see Riedweg, Mysterienterminologie, 40. 131 Soul: Pl. Crat.
400c (= OF 430), Phd. 62b (= OF 429), 67d, 81be, 92a; [Plato], Axioch.; G.
Rehrenbock, ‘Die orphische Seelenlehre in Platons Kratylos’, Wiener Stud. The
penalties the souls have to suffer to become pure may well derive from an
Orphic source too, as the Bologna papyrus mentions clouds and hail, but it is
too fragmentary to be of any use here.On the other hand, the idea that soul has
to pay a penalty for the deeds in the upperworld twice occurs in the Orphic
Gold Leaves. Orphic is also the idea of the “rota” through which the soul has
to pass during its Orphic reincarnation. But why does the cycle last a thousand
years before the soul can come back to life – “mille rotam volvere per annos --?
Unfortunately, we are badly informed by the relevant authors about the precise
length of the reincarnation. The Italic philosopher Empedocles of Girgenti mentions
‘thrice ten thousand seasons’ and Plato mentions ‘ten thousand years’ and, for
a PHILOSOPHICAL life, ‘three times thousand years’. But the myth of Er mentions
a period of thousand years. This will be Virgil’s source here, as also the idea
that the soul has to drink from the river Lethe is directly inspired by the
myth of Er where the soul drinks from the River of Forgetfulness and forgets
about their stay in the other world before returning to earth (Resp. 10.621a).
It will hardly be chance that with the references to the end of the myth of Er,
we have also reached the end of the main description of the underworld. In the
following Heldenschau, we find only one more intriguing reference to the
eschatological beliefs of Virgil’s time. At the end, father and son wander in
the wide fields of air – “aëris in campis latis” -- surveying everything. In
one of his characteristically wide-ranging and incisive discussions, Norden argues
that Virgil alludes here to the belief that the soul ascends to the moon as
their final abode. This belief is as old, as Norden argues, as the Homeric Hymn
to Demeter, where we already find ‘die Identifikation der Mondgöttin Hekate mit
Hekate als Königin der Geister und des Hades’. However, it must be objected
that verifiable associations between the two (i.e. Hecate and the moon) do not
survive from Bernabé, ‘Una etimología Platónica: Sôma – Sêma’, Philologus -- For
the afterlife of the idea, Courcelle, Connais-toi toi-même de Socrate à Saint
Bernard, 3 vols (Paris) 2.345–380. Engrafted evil: Pl. Phd. 81c, Resp., Tim.
42ac. Plato and Orphism: A. Masaracchia, ‘Orfeo e gli “Orfici” in Platone’, in
idem (ed.), Orfeo e l’Orfismo (Rome), reprinted in his Riflessioni sull’antico
(Pisa); Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung’, 38 compares OF
717.130–132; see also Perrone, ‘Virgilio Aen. VI 740–742’, Civ. Class.Crist.;
Horsfall on Aen. 6.739. 133 Graf and Johnston, Ritual Texts 6.4 (Thurii) = OF
490.4; Graf and Johnston 27.4 (Pherae) = OF 493.4. 134 OF338,467,Graf and Johnston,
Ritual Texts, 5. 5 (Thurii) = OF 488.5, withBernabéadloc. 135 Pl. Resp.
10.615b, 621a. Curiously, Norden does not refer to this passage in his
commentary on this line, but at p. 10–11 of his commentary. 136 Norden, AeneisVI,23–26,
also comparing Servius; Ps. Probusp. 333–334. [Moreover, the identification of
the moon with Hades, the Elysian Fields or the Isles of the Blessed is
relatively late. It is only later that we start to find this tradition among
pupils of Plato, such as, probably, Xenocrates, Crantor and Heraclides
Ponticus, who clearly want to elaborate their master’s eschatological teachings
in this respect. Consequently, the reference does indeed allude to the soul’s ascent
to the moon, but not to the ‘orphisch-pythagoreische Theologie’ (Norden). In
fact, it is clearly part of the Platonic framework of Virgil. In the same
century Plato is the first to mention Selene as the mother of the Eleusinian
Musaeus, but he will hardly have been the inventor of the idea. Did the
officials of the Eleusinian Mysteries want to keep up with contemporary
eschatological developments, which increasingly stressed that the soul goes up
into the aether, not down into the subterranean Hades? We do not have enough
material to trace exactly the initial developments of the idea, but it was
already popular enough for Antonius Diogenes to parody the belief in his “Wonders
Beyond Thule”, a parody taken to even greater length by Lucian in his True
Histories. Virgil’s allusion, therefore, must have been clear to his
contemporaries. S.I. Johnston,Hekate Soteira (Atlanta)31. 138 W. Burkert, LoreandSciencein
AncientPythagoreanism (CambridgeMA,1972) 366–368,who also points out that there
is no pre-Platonic Pythagorean evidence for this belief; see also Cumont, Lux
perpetua (Paris) Gottschalk, Heraclides of Pontus, Oxford, Wilamowitz rejects the‘Mondgöttin
Heleneoder Hekate’ already in his letter thanking Norden for his commentary,
cf. Calder III and Huss, “Sed serviendum officio...”, 18–21 at 20. 140 Pl. Resp.
2.364e; Philochoros F Gr H328 F208, cf. Bernabéon Musaeus 10–14T. 141 A.
Henrichs,‘ Zur Genealogiedes Musaios’, ZPE 58(1985)1–8. 142 IG I3 1179.6–7;
Eur. Erechth. fr. 370.71, Suppl., Hel. 1013–1016. Or. 1086–1087, frr. 839.10f,
908b, 971; P. Hansen, Carmina epigraphica Graeca saeculi IV a. Chr. n. (Berlin
and New York, 1989). For Antonius’ date, see Bowersock, “Fiction as History:
Nero to Julian” (London), whose identification of the Faustinus addressed by
Antonius with Martial’s Faustinus is far from compelling, cf. R. Nauta, “Poetry
for Patron”s (Leiden). Bowersock has been overlooked by Möllendorff, Auf der
Suche nach der verlogenen Wahrheit. Lukians Wahre Geschichten (Tübingen) whose
discussion also sup- ports an earlier date for ANTONIO against the traditional
one. When we now look back, we can see that Virgil has divided his underworld
into several compartments. His division contaminates Homer with later
developments. In Homer, virtually everybody goes toHades, of which the Tartarus
is the deepest part, reserved for the greatest e Titans. A few special heroes,
such as Menelaus and Rhadamanthys, go to a separate place, the Elysian Fields,
which is mentioned only once in Homer. When the afterlife became more
important, the idea of a special place for the elite, which resembles the
Hesiodic Isles of the Blessed, must have looked attractive to a number of
people. However, the notion of re-incarnation poses a special problem. Where do
those stay who have completed their cycle and those who are still in process of
doing so? It may now be seen that Virgil follows a traditional Orphic solution
in this respect, a solution that had progressed beyond Homer in that MORAL
criteria had become important. In his Second Olympian Ode Pindar pictures a
tripartite afterlife in which a sinner is sentenced by a judge below the earth
to endure terrible pains. He who is a good man spends a pleasant time with ‘il
divino.’ He who has completed the cycle of reincarnation and has led a
blameless life joins the heroes on the Isles of the Blessed. A tripartite
structure can also be noticed in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti,
who speaks about the place where the great sinners are, a place for those who
are in the process of purificaton. For Hades, Elysium and the Isles of the
Blessed, see Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death, Mace, ‘Utopian and Erotic
Fusion in a New Elegy by Simonides (West2)’, ZPE. For the etymology of “Elysium”,
see R. Beekes, ‘Hades and Elysion’, in J. Jasanoff (ed.), Mír curad: studies in
honor of Calvert Watkins (Innsbruck) 17–28 at 19–23. Stephanie West (on Od.
4.563) well observes that Elysium is not mentioned again before Apollonius’
Argonautica. For good observations, see Molyviati-Toptsis, ‘Vergil’s Elysium
and the Orphic-Pythagor- ean Ideas of After-Life’, Mnemosyne. However, some
would now replaced Molyviati’s terminology of ‘Orphic-Pythagorean’, which Molyviati
inherits from Dieterich and Norden, with ‘Orphic-Bacchic’, due to new discoveries
of Orphic Gold Leaves. Moreover, Molyviati overlooks the important discussion
by Graf, Eleusis, 84–87; see also Graf and Johnston, Ritual Texts, For the reflection
of this scheme in Pindar’s threnos fr. 129–131a, see Graf, Eleusis, 84f. Given
the absence of Mysteries in Pindar, O. 2 and Mysteries being out of place in
Plutarch’s Consolatio one wonders with Graf if τελετᾶν in fr. 131a should not be replaced by τελευτάν. 147 For the identification of this place with Hades, see A. Martin and
O. Primavesi, L’Empédocle de Strasbourg (Berlin). Alfonso, ‘La Terra Desolata.
Osservazioni sul destino di Bellerofonte (Il.)’, MH and a place for those who have led a virtuous
life on earth: they will join the tables of the gods. The same division between
the effects of a good and a bad life appears in Plato’s Jenseitsmythen. In the
Republic the serious sinners are hurled into Tartarus, as they are in the
Phaedo, where the less serious ones may be still saved, whereas those who seem
to have lived exceptionally into the direction of living virtuously pass upward
to a pure abode. But those who have purified themselves sufficiently with
philosophy will reach an area even more beautiful, presumably that of the gods.
The upward movement for the elite, pure souls, also occurs in the Phaedrus and
the Republic whereas in the Gorgias they go to the Isles of the Blessed. All
these three dialogues display the same tripartite structure, if with some
variations, as the one of the Phaedo, although the description in the Republic
is greatly elaborated with all kinds of details in the tale of Er. Finally, in
the Orphic Gold Leaves the stay in Tartarus is clearly presupposed but not
mentioned, due to the function of the Gold Leaves as passport to the underworld
for the Orphic devotees. Yet the fact that in a Leaf from Thurii the soul says:
‘I have flown out of the heavy, difficult cycle of reincarnations’ suggests a
second stage in which the souls still have to return to life, and the same
stage is presupposed by a Leaf from Pharsalos where the soul says: ‘Tell
Persephone that Bakchios himself has released you from the cycle.’ The final
stage will be like in Pindar, as the soul, whose purity is regularly stressed,
will rule among the other heroes or has become a god instead of a mortal. When
taking these tripartite structures into account, we can also better understand
Virgil’s Elysium. It is clear that we have here also the same distinction
between the good soul and the super-good soul. The good soul has to return to
earth. The super-good soul can stay forever in Elysium. Moreover, the place of
the super-good soul is higher than the one of a soul who has to return. That is
why a soul that will return is in a valley BELOW the area where Musaeus is. Once
again, Virgil looks at Plato for the construction of his underworld. Graf and
Johnston, Ritual Texts, 5.5 = OF 488.5; Graf and Johnston 26a.2 = OF .485.2.
Dionysos Bakchios has now also turned up on a Leaf from Amphipolis: Graf and
Johnston, Ritual Texts, 30.1–2 = OF 496n.1–2.5. 150 Graf and Johnston, Ritual
Texts, (all Thurii), 9.1 (Rome) = OF 488.1, 490.1, 489.1, 491.1. 151 Graf and
Johnston, Ritual Texts (Petelia) = OF
476.11; Graf and Johnston, Ritual Texts, 3.4 (Thurii) = OF 487.4 and ibidem 5.9
(Thurii) = OF 488.9, respectively.This was also seen by Molyviati-Toptsis,‘Vergil’s
Elysium’,43, ifnotveryclearly explained. But as we have seen, it is not only
Plato that is an important source for Virgil. In addition to a few traditional autochtonous
indigenous *Roman* details, such as the fauces Orci, we have also called
attention to Orphic and Eleusinian beliefs. Moreover, and this is really new,
we have pointed to several possible borrowings from 1 Enoch. Norden rejects
virtually all Jewish influence on Virgil in his commentary, and one can only
wonder to what extent his own Jewish origin played a role in this judgement. More
recent discussions have been more generous in allowing the possibility of
Jewish-Sibylline influence on Virgil and Horace. And indeed, Alexander
Polyhistor, who works in Rome during Virgil’s lifetime and writes a book On the
Jews, knows the Old Testament and was demonstrably acquainted with
Egyptian-Jewish Sibylline literature. Thus it seems not impossible or even
implausible that among the Orphic literature that Virgil had read, there also
were (Egyptian- Jewish?) Orphic katabaseis with Enochic influence.
Unfortunately, we have so little left of that literature that all too certain
conclusions would be misleading. In the end, it is still not easy to see light
in the darkness of Virgil’s underworld. For the Orphic influence, see also the summary
by Horsfall,Virgil,“Aeneid” Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6, 2.650 is completely
mistaken in mentioning Norden’s ‘pressing and arguably misleading, belief in
the importance of Jewish texts for the understanding of Aen.6’: Norden, Aeneis
Buch VI, 6 actually argued that from the ‘jüdische Apokalyptik ... kaum ein
Motiv angeführt werden kann, das sich mit einem vergilischen berührte’.For
Norden’s attitude towards Judaism, see J.E. Bauer, ‘Eduard Norden:
Wahrheitsliebe und Judentum’, in B. Kytzler et al (eds), Norden (Stuttgart); Nisbet,
Collected Papers on Latin Literature (Oxford); Bremmer, ‘The Apocalypse of
Peter: Greek or Jewish?’, in idem and I. Czachesz (eds), The Apocalypse of
Peter (Leuven) at 3f. 156 C. Macleod,
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Shoshannat Yaakov (Leiden) Alexander Polyhistor FGr H 273 F 19ab (OT), F quotes
Or. Sib., cf. Norden, Kleine Schriften; Lightfoot, Sibylline Oracles; Horsfall,
‘Virgil and the Jews’, Vergilius has contested my views in this respect, but
his arguments are partly demonstrably wrong and partly unpersuasive, see
my ‘Vergil and Jewish Literature’, Vergilius –Various parts of this paper
profited from lectures in Liège and Harvard in 2008. For comments and
corrections of my English I am most grateful to Annemarie Ambühl, Danuta
Shanzer and, especially, Nicholas Horsfall and Ruurd Nauta. Abt, J., American
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Valperga di Caluso. Caluso. Keywords: principi di filosofia per gli initiate
nelle matematiche, implicature corporali, l’iniziazione di Enea, l’iniziaione
di Ottaviano, the golden bough, Turner,
misterij eleusini, una moda tra la nobilita romana – eleusi destrutta da
Alarico – iniziato, iniziante, aspirante, gl’aspiranti – eneide, Virgilio,
poema epico, la fonte di Virgilio e un
poema perduto sulla discesa d’Ercole all’inferno a lottare contro Cerbero –
fatica 10 – statuaria – statua di Antino a Eleusi. L’iniziazione come
contemplazne, il role dell’iniziato, iniziato e inizianti --. La radice
indo-germanica di Eleusi. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Caluso,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.


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